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Appunti di Malattie dell'Apparato Cardiovascolare, Appunti di Malattie Cardiovascolari

Appunti riordinati e corretti sulle lezioni di malattie dell'apparato cardiovascoare del prof. Romano e del prof. Sciarra.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 30/06/2024

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Scarica Appunti di Malattie dell'Apparato Cardiovascolare e più Appunti in PDF di Malattie Cardiovascolari solo su Docsity! Principi di anatomia e funzione del cuore 5/3/24 Il cuore è un organo impari che si trova nel mediastino: si tratta di una cavità virtuale, cioè che esiste solo dopo che vengono estratti gli organi. Si trova localizzata tra i polmoni. Quest’organo si trova localizzato nel centro del petto, è grande come un pugno. Anteriormente ha la gabbia toracica, composta da sterno più coste. La superficie anteriore è composta da atrio e ventricolo destro, l’apice del cuore si trova rivolto verso il polmone sinistro. Vi è un contatto stretto tra cuore e polmoni sia a livello anatomico che funzionale. La parte inferiore del cuore si trova a contatto con il diaframma, un velo muscolare per la respirazione. Sotto questo muscolo si trovano il fegato e lo stomaco, entrambi sono a stretto contatto funzionale ed anatomico con il cuore: ● Dopo un grande pasto lo stomaco si espande, ciò provoca lo spostamento dell’apice cardiaco, ciò provoca delle alterazioni nel ritmo cardiaco. ● Questi due organi sono collegati anche dal sistema nervoso autonomo. Il punto superiore del cuore è rappresentato dal peduncolo vascolare. Nelle radiografie il cuore si vede come un’area più radiopaca, mentre i polmoni sono radiotrasparenti. È possibile vedere degli archi nell’immagine radiografica del cuore: ● A sinistra sono 3. ● A destra sono 2, uno rappresenta la vena cava superiore e l’altro rappresenta l’atrio ed il ventricolo sinistro. Superficie cardiaca Il cuore è rivestito da pericardio, che si divide in due foglietti: ● Viscerale: che circonda e ricopre il cuore. ● Parietale: è un ripiegamento del pericardio viscerale, si trova a contatto con gli altri organi della cavità toracica. All’interno del pericardio si trova un liquido, il liquido pericardico che ha una funzione di lubrificazione, se dovesse aumentare si avrebbe un versamento pericardico. Esistono delle strutture vascolari, le coronarie che dipartono dall’aorta. Vi è anche un sistema venoso che fa capo al seno delle vene coronarie che andrà a gettare nell’atrio destro. Intorno ai vasi si vede del tessuto adiposo che non è collegato al grasso corporeo, ha la funzione di proteggere le coronarie. Si trova concentrato nei solchi del cuore. Circolazione Si divide in due: grande e piccola circolazione. ● Aritmie: sono dei problemi e delle disfunzioni del sistema di conduzione del cuore. Elettrocardiogramma Composto da più onde: 1. Onda P: rappresenta la contrazione degli atri. 2. Intervallo P-R: rappresenta il ritardo del nodo atrioventricolare, se è aumentato ho il blocco atrioventricolare. 3. Complesso Q-R-S: è molto ampio, rappresenta la contrazione ventricolare. 4. Intervallo S-T: è la ripolarizzazione dei ventricoli. Coronarie Sono due, una destra ed una sinistra: ● Destra: darà vita all’arteria discendente posteriore. ● Sinistra: parte come tronco comune per poi dividersi in un ramo discendente anteriore ed un ramo circonflesso. Questi vasi possono subire dei fenomeni adattivi: se si ostruisce ad esempio l’arteria coronaria destra, in modo molto lento, si possono creare dei circoli collaterali, che possono essere: ● Omocoronarici: se derivano dalla stessa coronaria che si sta occludendo. ● Eterocoronarici: se derivano da una coronaria diversa. Importante evidenziare che l’arteria discendente posteriore può originare da tre strutture differenti: ● Dominanza destra: quando origina dalla coronaria destra, è la condizione più comune. ● Dominanza sinistra: quando origina dalla coronaria sinistra, è una condizione frequente al 30%. ● Codominanza: quando deriva da entrambe le coronarie. Quando ho una coronopatia possiamo avere tre condizioni: ● Monovasale. ● Bivasale. ● Trivasale. Anamnesi Nell’anamnesi cardiovascolare si vanno a chiedere le varie informazioni familiari, fisiologiche, di patologie remote o recenti e sui farmaci assunti. Si vanno ad indagare anche dei sintomi, che sono: ● Affaticabilità: ridotta tolleranza allo sforzo. ● Astenia: debolezza. ● Cianosi: colorazione bluastra. ● Disturbi respiratori: come la dispnea, cioè la fatica respiratoria. ● Palpitazioni: percezione del battito cardiaco (cardiopalmo). ● Dolore toracico: è un sintomo aspecifico. ● Edema: accumulo di trasudato in altre zone corporee. ● Nicturia: si urina spesso di notte. ● Sincope: perdita di coscienza temporanea e reversibile con contemporanea perdita del tono posturale. 12/3/24 Aterosclerosi È la principale causa di morte in europa. Si tratta di una patologie delle arterie caratterizzata dalla formazione di placche nella porzione interna della parete arteriosa. Le conseguenze iniziali sono una maggiore rigidità della parete e poi una progressiva ostruzione del lume. È una patologie polidistrittuale che può interessare vari distretti, tra cui: ● Arteria mammaria interna che è quasi sempre immune, per questo si usa per le operazioni di bypass. ● Arti inferiori sono spesso colpiti, mentre i superiori quasi mai. ● Distretto cervico-cefalico è spesso interessato. ● Le coronarie sono spesso colpite, così come le arterie renali, quest’ultime possono provocare una nefropatia aterosclerotica. La malattia aterosclerotica non ha un’unica causa, ma si hanno molti fattori di rischio. Nel tempo la placca va incontro ad un’evoluzione: inizialmente la lesione è di tipo fibroso e possono essere già presenti nel neonato, ciò evidenzia una predisposizione genetica. Crescendo vi sarà poi il danneggiamento del vaso e la complicazione della circolazione. Generalmente per alti consumi di ossigeno si hanno dei sintomi dell’aterosclerosi. Placca È composta dall’endotelio che ne rappresenta lo strato più esterno. All’interno la placca contiene del materiale fibroso. Il core è la parte centrale che contiene un lipide, il colesterolo, del tessuto fibroso e delle cellule muscolari lisce. Cronologicamente la placca parte da una condizione di norma, vi è poi lo sviluppo di placche di piccole dimensioni solo lipidiche, che non danno sintomi e provocano un’ostruzione lieve. Il processo evolutivo non è senquenziale, per questo non è prevedibile. Più la placca evolve e più l’ostruzione è maggiore, con una stenosi al 70% si cominciano ad avere i primi sintomi causati da sforzi muscolari, che possono esitare in un’ischemia del muscolo. La complicanza peggiore della placca è la trasformazione da lesione cronica ad acuta: si ha la rottura dell’endotelio, il sangue viene a contatto con il materiale lipidico che è altamente trombogeno, si ha quindi una chiusura al 100%. Una morte improvvisa può essere dovuta ad una fissurazione acuta della placca, anche con una stenosi iniziale del 50%. Il rivestimento esterno della placca è formato dal cappuccio fibroso composto da fibre collagene, cellule muscolari lisce e cellule infiammatorie. La placca può essere eccentrica o concentrica. Quando la placca interessa i vasi coronarici si hanno due quadri clinici: angina pectoris o infarto acuto del miocardio. Fattori di rischio Sono condizioni che si frappongono tra uno stato di salute ed uno di malattia, possono essere divisi in tre grandi famiglie: ● Condizioni genetiche. ● Condizioni comportamentali. ● Condizioni ambientali. I fattori di rischio sono le condizioni proprie che comportano un aumento del rischio di avere una malattia, ma riducendoli permetto di avere la riduzione della mortalità per infarto. Esistono tre tipologie di fattori di rischio: ● Fattori di rischio modificabili: sono ad esempio il fumo di sigaretta, l’abuso di alcool, una dieta ricca di grassi saturi ed ipercalorica e l’inattività fisica. ● Fattori di rischio parzialmente modificabili: sono ad esempio l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia ed un basso colesterolo HDL e l’obesità. ● Fattori di rischio non modificabili: sono ad esempio l’età, il sesso, i fattori genetici e le predisposizioni familiari ed una storia personale di malattia cardiovascolare. regredisce il flusso si riequilibra e si ha la risoluzione. Il vasospasmo avviene a causa di un’irritazione dovuta a moltissime cause, tra cui lo stress delle coronarie oppure per un aumento delle catecolammine. Dolore anginoso Le caratteristiche del dolore toracico anginoso sono: ● Senso di oppressione localizzato prevalentemente alla zona mediana del petto. ● Bruciore precordiale. ● Senso di strangolamento. ● Dolore profondo, gravoso ed attanagliante. ● Aumento graduale dell’intensità seguito da una risoluzione altrettanto graduale, spesso agevoltata dal riposo o dall’assunzione di farmaci nitroderivati, come la nitroglicerina. Altri aspetti da considerare sono: ● Localizzazione: può interessare qualsiasi zona, principalmente è retrosternale, ma può irradiare ed interessare il braccio sinistro o la zona della mandibola. ● Tipo di dolore: si tratta di un dolore diffuso o viscerale, il dolore somatico non è mai cardiaco, perchè può essere localizzato in modo preciso. ● Tempo: il dolore anginoso ha bisogno di un minimo di tempo, i dolori toracici che durano pochi secondi non sono di tipo cardiaco, stesso discorso vale per tempi troppo lunghi, perchè se supera 30 minuti si può trattare più probabilmente di infarto. ● Non provocato: il dolore da angina non può essere provocato ne da ispirazione (si tratta di dolore pericardico) ne da movimenti delle braccia. La crisi anginosa può essere provocata da sforzi fisici, da un ambiente freddo, dal camminare contro vento, dopo un pasto abbondante, da crisi ipertensive, da paura, rabbia, stato d’ansia e da tensione emotiva o rapporti sessuali. I sintomi associati sono respiro corto, vertigini, palpitazioni e debolezza. La maggior parte degli episodi di dolore toracico non sono provocati da angina pectoris. Si può trattare di nevralgie intercostali, spasmi esofagei, affezioni di origine pleurica o polmonare e da altre situazioni di tipo benigno. Infarto acuto del miocardio Si tratta di una situazione di ischemia irreversibile in cui le cellule miocardiche muoiono. Il meccanismo dell’infarto nasce sempre dalla placca aterosclerotica. L’infarto avviene a seguito della rottura del cappuccio fibroso che la ricopre. CI sono delle placche che contengono una grossa co placche che contengono una grossa componente lipidica e calcidica che sono più predisposte alla rottura. Quando la placca si rompe va ad attivarsi il sistema coagulativo con la formazione di un coagulo che occlude totalmente il lume del vaso, questo è un fenomeno che può interessare anche soggetti che non hanno mai avuto una crisi anginica. In generale queste occlusioni avvengono a riposo, si ha un dolore che non può essere fermato, in questa situazione il nitroderivato non ha nessun effetto, perchè il vaso è totalmente occluso. L’infarto provoca la morte di tutte le cellule a valle dell’occlusione, per questo è necessario riaprire al più presto il vaso tramite una terapia di riperfusione. Differenze tra angina ed infarto L’angina è transitoria, l’infarto è un’occlusione trombotica irreversibile. Il dolore nell’infarto ha una durata molto lunga, mentre nell’angina tende a regredire. Nell’infarto è possibile identificare il contenuto delle cellule morte nel circolo sanguigno, per questo alle analisi del sangue si trovano alti valori dei marcatori di necrosi, in particolare le troponine cardiache I e T. Si va a fare anche il dosaggio del CK-mb, la protein chinasi del miocardio e del cervello. Una cosa che va specificata è che deve passare del tempo dalla trombosi alla ricerca dei marcatori di necrosi, circa 2-3 ore. Altre differenze si trovano a livello dell’elettrocardiogramma: nell’infarto si ha un sopralivellamento del tratto ST, nell’angina si ha un sottolivellamento del tratto ST. Caratteristiche dell’infarto L’infarto colpisce maggiormente il sesso maschile sopra i 60 anni, ma anche sotto quest’età in pazienti con particolari condizioni di salute come il diabete. Generalmente l’infarto colpisce nelle prime ore del mattino, con un dolore simil anginoso ma che dura di più. La riperfusione è la terapia di prima scelta, ma deve essere fatta in tempi molto rapidi. In generale sarebbe il massimo entro la prima ora/novante minuti dall’infarto, dopo le 12 ore è troppo tardi. Una delle complicanze dell’infarto è l’arresto cardiaco, che non avviene per la necrosi muscolare ma per la generazione di una aritmia, che può essere causata anche dall’ostruzione di piccoli vasi, che se si trovano in una zona di passaggio del tratto elettrico di conduzione del miocardio possono provocare lo stop dell’attività contrattile. Trattamento dell’infarto Da un punto di vista storico si ha un’evoluzione della terapia di riperfusione, da quando si è scoperto che è il trombo che va a generare l’infarto, mentre precedentemente si pensava che la causa della cardiopatia fosse da ricercare in uno spasmo coronarico, con la formazione del trombo in fase post-mortem. Trombolitici Inizialmente la terapia dell’ischemia cardiaca era rappresentata da un farmaco trombolitico, da prima iniettato direttamente nella coronaria, metodica che poteva non funzionare per una buona percentuale di popolazione. Per questo si è passato ad una terapia trombolitica sistemica, in cui il farmaco veniva iniettato in vena, in modo da raggiungere successivamente i vasi coronarici. Questa terapia ha avuto ottimi risultati, ma presenta alcune limitazioni: ● Non tutti i pazienti rispondono nello steso modo, circa il 25% della popolazione, che continuava a presentare una stenosi residua. Ciò rappresentava un fattore causale per la formazione di nuovi trombi. Angioplastica È la tecnica maggiormente utilizzata, si usa un catetere che alla fine presenta un palloncino che viene posizionato in corrispondenza della placca, si gonfia andando a spostare il trombo e schiacciando il contenuto della placca, che va ad esteriorizzarsi. Questa tecnica presente dei pro: ● Completa ricanalizzazione del vaso. ● Stenosi residua pari a zero. I contro sono che dopo un anno circa la placca va a riformarsi: per ovviare a questo si va ad apporre degli stent, cioè delle gabbiette metalliche che si inseriscono nella coronaria andando a mantenerla larga, ricanalizzandola e bloccando la possibile recidiva. Lo stent rimanendo nella coronaria, nel 10% dei casi viene riconosciuto come un corpo estraneo andando a provocare una fibrosi che va ad occludere il vaso. Per risolvere questo ulteriore problema si è passati all’uso di stent con mezzi di rilascio di un farmaco che impedisce la formazione del fibroblasti, questi vengono chiamati stent medicati, che nel corso dell’anno provocano la re-endotelizzazione tramite il rilascio del farmaco. In questo caso possiamo avere la presenza di trombosi infra-stent, che viene risolta tramite una terapia anticoagulante più prolungata nel tempo. Il paziente deve quindi essere principale è la camminata. Essa influisce positivamente perchè: ● Abbassa la pressione sanguigna. ● Riduce i trigliceridi ed il colesterolo libero. ● Aumenta l’HDL. ● Riduce lo stress. ● Riduce l’obesità. ● Riduce l’inattività. ● Riduce il diabete rendendo le cellule più sensibili all’insulina. Il luogo in cui si ha maggiormente la morte cardiaca improvvisa è la casa. Esistono dei sintomi premonitori che però vengono spesso ignorati: dei dolori toracici di lieve entità possono manifestarsi già una settimana prima dell’evento. In un cardiopatico uno svenimento improvviso deve sempre essere attenzionato perchè potrebbe essere uns egno premonitore. Morte cardiaca nello sport L’Italia è l’unico paese in cui per frequentare uno sport agonistico bisogna sottoporsi a dei controlli cardiologici annuali, ciò ha permesso di ridurre le morti improvvise degli sportivi dell’89%. Terapia per la morte cardiaca improvvisa Il fattore tempo è essenziale, la rianimazione cardiopolmonare (RCP) immediata eseguita dagli astanti può triplicare la sopravvivenza del paziente. La probabilità di successo della defibrillazione diminuisce nel tempo. La RCP serve a mantenere la parvenza di circolo, permettendo di prendere tempo, ma non è risolutiva, bisogna comunque defibrillare. È molto importante fare tutto molto in fretta, aspettare l’arrivo dell’ambulanza è solo deleterio. Esistono 4 anelli della catena di sopravvivenza: 1. Chiamare il 118. 2. Fare una precoce RCP, importanti sopratutto le compressioni. 3. Defibrillare precocemente. 4. Manovre avanzate da parte degli operatori. Importante il modo di fare le compressioni: il paziente deve stare su un piano stabile, ci si deve mettere al fianco del paziente, inginocchiati, con le braccia tese al livello dello sterno. Non si deve andare ne troppo profondi ne troppo superficiali, circa 3-5 cm. Bisogna tenere un ritmo di 30 copressioni-2 respirazioni, anche se dopo il Covid le respirazioni vengono ritenute non funzionali. Si parla di circa 80-100 compressioni al minuto. Telemedicina Attualmente la maggior parte degli strumenti sono già controllati da remoto, il vero problema è la gestione della mole di dati in arrivo e la loro visualizzazione. 16/4/24 Conseguenze delle terapie per l’infarto nelle procedure odontoiatriche La condizione di un paziente sottoposto a terapia anticoagulante comprende una terapia farmacologica particolarmente articolata: per il primo anno il paziente è sottoposto ad una doppia antiaggregazione. Questa terapia doppia vale solo per i pazienti che hanno un rischio emorragico basso. Ovviamente la valutazione per l’attuazione di una terapia comprende le caratteristiche del paziente e non solo la terapia a cui deve essere sottoposto. I farmaci maggiormente utilizzati sono il Clopidogrel e l’Aspirina. In base al rischio emorragico il paziente nel primo anno può essere sottoposto a varie terapie: ● Doppia terapia se il rischio emorragico è basso. ● Doppia terapia per 3 mesi e poi un farmaco singolo come l’aspirina per un rischio emorragico elevato. ● Doppia terapia per 1 mese e poi il clopidogrel per pazienti con un rischio emorragico olto alto. In alcuni casi limite si può fare una doppia antiaggregazione anche per 3 anni, anche se in linea di massima dopo un anno si passa ad una terapia con un solo farmaco. 6 mesi dall’infarto Di norma a 6 mesi dall’infarto non si fanno terapie odontoiatriche per le seguenti ragioni: ● Vasocostrittori: che possono aumentare il rischio ischemico. ● Aritmie: per varie ragioni, sopratutto nei primi 6 mesi post infarto il rischio di gravi aritmie è molto alto. Per queste ragioni si devono fare solo le procedure che riguardano le condizioni acute e che quindi provocano dolore. Post 6 mesi dall’infarto Dopo 6 mesi dall’infarto si può procedere ma valutando volta per volta la terapia antiaggregante. Di norma nella pratica odontoiatrica si fanno interventi con un rischio chirurgico ed un rischio emorragico basso, ad esclusione delle estrazioni multiple. Farmaci antiaggreganti Tutti i farmaci antiaggreganti hanno una somministrazione giornaliera sotto forma di farmaci orali. I dosaggi sono standard e sono: ● Aspirina cronica: di norma sono 75-100 mg al giorno. ● Clopidogrel: sono 75 mg al giorno. Esistono poi delle formulazioni unite, la più comune è il duoplasin. Il farmaco ticagrelor ha una dose più alta, di 90 mg al giorno, e può essere preso anche per periodi di 3 anni. Importante! Non tutti i pazienti vanno regolarmente alle visite cardiologiche, per questo è importante fare molte domande al paziente e valutare che non stia ancora prendendo la doppia terapia antiaggregante dopo troppo tempo dall’infarto. Raccomandazioni Nei pazienti con doppia terapia antiaggregante bisogna valutare se la terapia a cui il paziente deve essere sottoposto ha un rischio alto: in caso il mio paziente debba sottoporsi ad un intervento con alto rischio emorragico devo andare a valutare il rischio trombotico: ● In un paziente con rischio emorragico e trombotico alto con una terapia non necessaria devo rinviare la chirurgia. ● Se la terapia è necessaria ed il rischio trombotico è alto allora devo continuare la terapia antiaggregante ma per via venosa. ● Se il rischio trombotico non è alto faccio continuare l’aspirina ma blocco qualsiasi altro farmaco antiaggregante che il paziente prende, in modo da fare l’intervento. Importate ricordare che il Clopidogrel non può essere bloccato nei primi 6 mesi di terapia. Definizione del rischio trombotico Vado a classificare 3 classi di rischio: ● Rischio basso: dopo 6 mesi dall’angioplastica coronaria in pazienti con un’unica coronaria ancora aperta o dopo 12 mesi in pazienti con uno stent medicato. ● Rischio intermedio: tra 1 e 6 mesi dopo un intervento di angioplastica coronaria in pazienti con una sola coronaria aperta, in pazienti tra 6 e 12 mesi dopo l’impianto di uno Eziologia Di norma possiamo distinguere due casi: ● Stenosi pura: colpisce il 25% dei pazienti. ● Steno-insufficienza: colpisce il 40% dei pazienti. Ha una prevalenza maggiore nel sesso femminile. Possiamo riconoscere più forme: ● Commissurale: comporta una fusione delle commissure. ● Cuspidale: comporta una mancata chiusura delle cuspidi. ● Cordale: comporta una riduzione della lunghezza delle corde tendinee. ● Combinata: è la fusione di due o più delle precedenti. Conseguenze La principale conseguenza è l’aumento della pressione nell’atrio sinistro, cioè un aumento del gradiente pressoreo tra atrio e ventricolo. Ciò provoca una dilatazione atriale con conseguenti aritmie atriali, se la dilatazione dell’atrio è grande l’impulso elettrico non riesce ad essere coordinato, in questo modo nasce una fibrillazione atriale. Ciò provoca anche un aumento della pressione venosa polmonare con formazione di un edema che viene riconosciuto a causa della dispnea conseguente. La stenosi può anche essere provocata da: ● Tachicardia: per accorciamento della diastole. ● Flusso venoso polmonare aumentato: per il carico del volume. ● Perdita della sincronia atrio-ventricolare: formazione di una fibrillazione atriale o un blocco cardiaco. Sintomi I sintomi possono essere distinti in una fase iniziale in cui sono riscontrabili sono dopo un’attività fisica ed in tardivi che invece insorgono a riposo. Sono: ● Iniziali: ○ Dispnea, sibili e tosse. ○ Astenia. ○ Incapacità all’attività fisica. ○ Palpitazioni. ○ Svenimento. ● A riposo: ○ Tosse. ○ Dispnea parossitica notturna. ○ Emottisi. ○ Raucedine. ○ Ortopnea. Tra le complicanze possiamo avere dei sintomi provocati da aritmie e cardioemobolie: il trombo che va in circolo provoca dei danni in zone molto vascolarizzate come ad esempio il cervello, nel quale provoca un ictus ischemico. Insufficienza mitralica È una patologia che comporta una chiusura incompleta durante la sistole, con conseguente rigurgito del sangue. Possiamo individuarne due forme: acuta o cronica. Forma acuta Causata dalla rottura di una corda tendinea o di un muscolo papillare a causa di un’endocardite batterica provocata da una batteriemia. Il sangue rigurgitato nell’atrio va ad aumentare la pressione ma essendo una condizione acuta non provoca uno slargamento, benchè si possa riscontrare spesso un edema polmonare. Anche a causa di una mixomatosi o di interventi chirurgici traumatici si può provocare una insufficienza mtiralica acuta. Va sottolineato che a causa dell’endocardite si può anche provocare un foro nella valvola. Forma cronica Provoca un prolasso della valvola. Il prolasso comporta il girarsi nella valvola nel verso opposto, cioè verso l’atrio. Può essere provocata da: ● Coronopatia. ● Dilatazione del ventricolo sinistro. ● Febbre reumatica. In questa condizione l’atrio risulta molto dilatato, la pressione venosa è poco aumentata e la portata cardiaca è ridotta, vi è inoltre la presenza di fibrillazione atriale provocata proprio dalla dilatazione della camera. Anche il ventricolo può sfiancarsi, provocando un aumento della sintomatologia disponoica. Il prolasso può essere collegato anche ad altre condizioni meno gravi, anche se va sottolineato che solo prolassi molto grandi sono a rischio di endocardite. Stenosi aortica È una condizione che comporta una riduzione della valvola aortica, può essere provocata da: ● Valvola bicuspide o unicuspide congenita. ● Febbre reumatica. ● Calcificazione valvolare che rappresenta la causa più frequente. ● Valvola bicuspide acquisita. Si tratta di una patologia che riguarda principalmente l’anziano, insorge intorno ai 70 anni di età. Di norma a forma bicuspide o unicuspide della valvola sono fattori predisponenti per la calcificazione delle cuspidi. Conseguenze Si ha un sovraccarico sistolico con una forma di ipertrofia cronica, che viene compensata con: ● Funzione sistolica conservata. ● Alterazione della funzione diastolica. ● Accentuata funzione atriale che provoca delle aritmie. Il gradiente pressorio medio di solito si trova intorno ai 40mmHg nella stenosi severa. Sintomi Tra i sintomi possiamo riscontrare: ● Insufficienza circolatorio con dispnea. ● Angina. ● Morte cardiaca improvvisa. ● Affaticamento. ● Difetti alla vista. ● Sincope da sforzo. Insufficienza aortica Si tratta di una chiusura incompleta durante la fase di diastole, che provoca un reflusso nel ventricolo. Possiamo individuarne due forme: una acuta ed una cronica. Forma acuta Può essere causata da: ● Febbre reumatica. Il rischio in questo caso non è legato solo alla fibrillazione ma anche in generale al rischio trombotico, ciò comprende anche le forme parossistiche. La valutazione del rischio trombotico si fa attraverso un algoritmo, utilizzano lo score CHA2DSVASc: ● C: scompenso cardiaco o disfunzione ventricolare. ● H: ipertensione. ● A2: età superiore a 75 anni. ● D: diabete. ● S2: pregresso stroke, cioè pregresso ictus cerebrale. ● V: malattie vascolari. ● A: età tra i 65 ed i 74 anni. ● Sc: sesso femminile. Tutte queste informazioni danno uno score che indica una percentuale di eventi l’anno, la terapia si fa con uno score maggiore o uguale a due. Trombosi venosa profonda La trombosi venosa profonda riguarda circa 1 su 1000 adulti, ma il numero è probabilmente sottostimato per i numerosi casi asintomatici. In genere in questo tipo di pazienti la terapia è indicata solo per 3 mesi, non serve farla a vita. Nell’embolia polmonare invece il periodo è prolungato a 6 mesi, ma in caso di recidive si può fare anche per 2 anni. Anticoagulanti orali I principali sono i dicumarolici. Sono assorbiti per via orale, si legano al 97% con le proteine plasmatiche e sono degli antagonisti indiretti che agiscono sulla vitamina K, hanno un picco di azione in 90 minuti ed un metabolismo epatico. Con “metabolismo indiretto” si itnende che i tempi in cui svanisce l’effetto anticoagulante sono più lunghi, in quanto è necessario più tempo per la ripresa della sintesi di vitamina K, lo stesso discorso vale per quando si comincia a prendere il farmaco. Agendo sulla concentrazione della vitamina K l’effetto dipenderà dalla quantità di vitamina che viene assunta dal paziente: se ne viene assunta tanta l’effetto anticoagulante sarà minore, se invece ne viene assunta poco l’effetto sarà maggiore. Per questa ragione per questo tipo di farmaci vi è la necessità di un monitoraggio continuo per valutare l’efficacia della terapia. Il monitoraggio viene effettuato tramite il tempo di protrombina. Meccanismo d’azione Il meccanismo si basa sul blocco negli epatociti della riduzione della vitamina K, per inibizione competitiva. I farmaci che fanno parte di questa categoria sono: ● Warfarin (Cumadin): con un dosaggio di 5 mg ed un’emivita di 32 ore. ● Sintrom (Acenocumarolo): con due dosaggi di 1 mg ed un’emivita di 12 ore. Di questi due il sintrom è quello che risulta più maneggevole, se il soggetto ha tante variazioni è più facile modificare il dosaggio. Vantaggi Il cumadin ha una ridotta reversibilità, ma presenta una maggiore stabilità. Questo tipo di farmaci hanno un’indicazione assoluta in alcuni soggetti, in particolare sui portatori di protesi meccaniche che possono prendere solo cumadin o sintrom. Per spiegare questo bisogna specificare che: ● Target: è l’obbiettivo da ragiungere, cioè la precisione per il tipo di patologia da trattare. ● Intervallo terapeutico: è l’intervallo che va bene per il tipo di terapia che si somministra. Ad esempio nel caso di una protesi meccanica a doppio emidisco il target è di 2,5, mentre l’intervallo terapeutico è compreso tra 2 e 3. Parliamo quindi di INR, cio`è dell’indice per la valutazione del rischio trombotico. L’indicazioni in generale sono rappresentate da condizioni che richiedono il farmaco per tutta la vita. Nella fibrillazione atriale si usa per forza il dicumarolico, sopratutto se vi è un’insufficienza renale. Nei portatori di valvola biologica non vi è indicazione per la somministrazione di una terapia anticoagulante orale. In caso di interventi che richiedono la sospensione del cumadin bisogna interrompere il farmaco almeno 3 giorni prima, mentre per il sintrom bisogna sospenderlo almeno 2 giorni prima, ma queste sono indicazioni generiche che vanno regolate in base all’INR. Importante è anche la somministrazione di eparina quando si sospende l’anticoagulante orale, di norma questo sostituto si sospende la sera prima dell’intervento, la sera stessa invece si riprende l’anticoagulante orale e si usa anche l’eparina per mantenere le trombosi sotto controllo. Dopo 2 giorni si fa un controllo dell’INR. Il dosaggio dell’eparina si fa in base al peso corporeo. In caso di INR troppo alto il paziente subisce un effetto anticoagulante troppo marcato, per quest questo si somministra della vitamina K, che agisce come antidoto per i dicumarinici. Importante anche il tempo di tromboplastina parziale attivata, che da un’idea di quanto sia adeguata la protezione anti-trombotica, in quanto è la percentuale espressa nel tempo di determinazioni del range terapeutico. Gli alimenti che contengono vitamina K sono le verdure a foglia larga, nella dieta di una persona sottoposta a terapia con anticoagulanti orali l’importante non è la quantità di di verdure mangiate in una singola volta ma la quantità in relazione alla dieta, cioè se ne vengono mangiate tante tutti i giorni, per questo il farmaco viene adattato con un dosaggio in base alla quantità di vitamina K assunta. Nuovi anticoagulanti orali Sono degli inibitori diretti, che agiscono sui fattori della coagulazione, i quattro più utilizzati sono: ● Dabigatran: inibitore della trombina. ● Rivaroxaban: inibitore del fattore Xa. ● Apixaban: inibitore del fattore Xa. ● Edoxaban: inibitore del fattore Xa. Essendo diretti hanno un effetto immediato, il tempo di azione è di poche ore e la stessa cosa vale per il tempo di sospensione. Hanno un’eliminazione per via renale e non richiedono eparina sostitutiva. Endocarditi infettive Si tratta di infezioni dell’endocardio, che possono sia interessarne la porzione valvolare che quella murale. L’epidemiologia colpisce circa 1,6 su 100000 abitanti, con un’età media tra i 40 ed i 50 anni. I batteri che causano questa condizione sono principalmente Streptococchi, Stafilococchi (sopratutto per i tossicodipendenti) ed Enterococchi. In particolare gli Stafilococchi sono interessati perchè trovandosi sulla cute quando un tossico si buca tendono ad entrare. Sono rare le endocarditi da funghi o da virus. Esistono delle cardiopatie predisponenti, che sono: ● Valvola aortica bicuspide. ● Lesioni valvolari degenerative. ● Cardiopatie congenite. ● Prolasso mitralico. ● Valvulopatia reumatica. Diagnosi Si esegue sempre un’emocultura e si analizzano i dati di laboratorio come: ● Anamensi normocromica e normocitica. ● Ves elevata. ● Fattore reumatoide aumentato. ● Microematuria. Per concludere si fanno degli ecocardiogrammi transoracici e transesofageo. Linee guida È possibile distinguere delle indicazioni per la prevenzione e per la profilassi. Linee guida per la prevenzione Sono le seguenti indicazioni: ● Il paziente deve mantenere una buona igiene orale, che consiste nella pulizia dei denti almeno due volte al giorni ed un follow-up dall’igienista almeno una volta ogni sei mesi. ● Bisogna avere un’ottima igiene cutanea, incluso il trattamento delle malattie croniche della pelle. ● Bisogna sottoporsi ad una terapia antibiotica per ogni forma di infezione batterica. ● Bisogna evitare la self-medication con gli antibiotici. ● Sarebbe meglio evitare piercing o tatuaggi. ● Meglio limitare l’infusione con cateteri e tutte le procedure invasive quando possibile. Profilassi antibiotica Contiene delle indicazioni che fanno parte della classe 1: ● Sottoporsi spesso ad un’igiene orale. ● La profilassi va fatta a tutti coloro che hanno avuto un’endocardite infettiva in passato. ● A tutti coloro che hanno una protesi valvolare di qualsiasi materiale. ● A tutti coloro che hanno una valvola aortica o polmonare impiantata per via transcateterale. ● A tutti i pazienti con cardiopatia cianotica non trattata, con shunt o qualsiasi altro tipo di protesi. La cardiopatia congenita cianotica riguarda i bambini: si tratta di una malformazione cardiaca che determina un passaggio di sangue da destra a sinistra, cioè si mischia il sangue arterioso con quello venoso, questo comporta un passaggio in circolo di sangue poco ossigenato. Una condizione facente parte di questa categoria è la tetralogia di Fallot. In aggiunta i pazienti con un cuore artificiale devono essere sottoposti a profilassi antibiotica. In tutte le altre condizioni cardiache non è necessario sottoporsi alla profilassi, anche nel casso di un prolasso della mitrale o di un portatore di pacemaker. Profilassi Bisogna dividere in due classi: ● Non allergici alle penicilline: ○ Amoxicillina 2 grammi per via orale 30/60 minuti prima della procedura. ○ Ampicillina 2 grammi per via venosa o muscolare. ○ Cefazolin o Ceftriazone 1 grammo per via muscolare o venosa. ● Allergici alle penicilline: ○ Cephalexin 2 grammi per via orale. ○ Azithromycina 500 mg per via orale. ○ Doxucuclina 100 mg per via orale. ○ Cefazolina 1 grammo per via intramuscolare o venosa. Tutti gli antibiotici vengono somministrati tra 30 e 60 minuti prima dell’intervento. 30/04 Elettrocardiogramma di superficie L’elettrocardiogramma è la registrazione grafica dell’attività cardiaca derivante dal muscolo, che è attivato elettricamente dalle cellule muscolari con canali ionici che consentono la polarizzazione positiva e negativa dentro e fuori la membrana plasmatica. Il cuore si attiva elettricamente perchè al suo interno vi sono delle cellule con proprietà elettriche particolari, rappresentate dal nodo del seno, dal fascio di His e dalla branca destra e sinistra. L’attività elettrica e meccanica non sono la stessa cosa, senza stimolo elettrico non si ha neanche attività meccanica. In ordine prima si attivano gli atri, da questi lo stimolo elettrico passa al nodo atrioventricolare che ritarda la diffusione dell’impulso ai ventricoli. Per questo possiamo definire l’attivazione della cavità cardiaca come delle fonti d’onda. L’impulso, dopo essere stato ritardato, viaggia nelle branche destra e sinistra molto velocemente, per far si che i ventricoli si attivino simultaneamente. Storia Matteucci fu il primo a scoprire l’attività elettrica del cuore mediante sperimenti sulle rane, succ successivamente Lippmann inventò uno strumento che registra le differenze di potenziale, graze al quale fu possibile registrare l’attività elettrica cardiaca, dando vita al primo elettrocardiogramma. Fu poi Waller che riuscì a registrare l’attività elettrica del cuore non intracavitaria, ma sulla superifcie. Einthoven chiamò questa registrazione elettrocardiogramma, una registrazione molto importante perchè non si esegue mediante attività invasiva, questo fu possibile perchè il corpo umano possiede degli ioni che riescono a condurre elettricità verso la superficie. Fu proprio Einthoven che chiamò le onde sull’ECG con i nomi di P, Q, R, S e T. Funzionamento dell’ECG L’attività elettrica cardiaca si può misurare in più punti, si scelse di prendere in considerazioni i punti D1, D2 e D3, sfuttando anche le derivazioni bipolari, con un polo positivo ed uno negativo. Si possono avere onde con morfologia diversa in base al punto di osservazioni, per questo si hanno 6 derivazioni nei tempi odierni. A queste vengono poi aggiunte delle derivazioni precordiali, che si prendono direttamente sul torace, sul quarto spazio intercostale, in corrispondenza del ventricolo sinistro. L’interazione cute-elettrodo deve essere ottimale, per questo si usano degli elettrodi adesivi per avere una monitorizzazione costante. Si possono anche usare di conduttori, come dei gel o dell’acqua di rubinetto. Come filtro invece si usa un sistema di gabbie che fa passare alcune frequenze ed altre no. Perchè si registra l’elettricità in superficie? In condizioni di riposo la cellula ha una concentrazione maggiore di ioni negativi internamente e positivi esternamente. Immaginiamo che ci sia una depolarizzazione, grazie alla quale la cellula si attiva facendo entrare cariche positive, in questo modo si attiva un’onda di depolarizzazione che si propaga, non c’è differenza di potenziale quando abbiamo tutta la carica positiva internamente e quella negativa esternamente. Quando si sta attivando il nodo seno-atriale la quantità di cellule che si attiva è così piccola che l’ECG non riesce a registrarlo, per questo la prima onda presente sull’ECG è l’onda P, che rappresenta l’attivazione degli atri, che risulta più piccola di QRS, perchè la quantità di muscolo è inferiore. Più il muscolo è grosso e maggiore sarà l’onda segnalata. Se si presenta un soggetto obeso o con enfisema si crea un’indipendenza al segnale elettrico respirazioni. Attualmente la defibrillazione è ad uso di tutte le persone, anche del personale non medico, per questa motivazione la stessa persona che trova la vittima può anche eseguire sia la manovra cardiaca che l’utilizzo del defibrillatore semi-automatico. I moderni macchinari riescono a guidare al meglio la persona che li usa, dando indicazioni anche su quando defibrillare. Tutte queste procedure sono codificate in maniera precisa nelle linee guida per la RCP e per l’ECG, aggiornate ogni 5 anni. Le linee guida raccomandano ai soccorritori laici di iniziare precocemente la RCP per il presunto arresto cardiaco, perchè il rischio della lesione al paziente è basso anche se il paziente non si trova in stato di arresto. In ordine le procedure da svolgere sono: ● Iniziare la RCP, erogare ossigeno e collegare il defibrillatore. ● Il macchinario farà una diagnosi, valutando il ritmo: ○ Se si tratta di un ritmo defibillabile il macchinario automatico lo fa da solo, quello manuale fa scegliere il momento per scaricare. ○ Se il ritmo non è defibrillabile si ci trova in una situaizone di asistolia, per questo bisogna iniettare adrenalina il prima possibile. Importantissimo sempre il tempo, più si fanno tutte le procedure in fretta e più ci sono probabilità di sopravvivenza. Defibrillatore È lo strumento che permette la somministrazione di uno shock elettrico controllato, al fine di interrompere un’aritmia cardiaca. Finchè vi è attività elettrica si può defibrillare. La scarica del defibrillatore va a polarizzare il cuore, silenziando ogni focolaio elettrico, fermando tutto. In questo modo il nodo seno-atriale riesce a far ripartire il battito cardiaco in modo coerente. Il defibrillatore permette l’erogazione di una corrente continua che attraversano in un intervallo di tempo molto breve una quota di massa miocardica rendendo il cuore refrattario all’onda di attivazione della fibrillazione ventricolare che viene quindi interrotta. A questo stato di refrattarietà segue il risveglio del nodo seno-atriale che ripristina un ritmo adeguato. Importante che quando si preme il tasto di shock nessuno deve toccare la vittima, altrimenti si rischia di prendere la scossa. Tra i tipi di defibrillatori possiamo identificare: ● Defibrillatore manuale: si usa solo in ospedale, per varie condizioni, non solo per la fibrillazione atriale, ha un monitor che permette di vedere il ritmo del paziente. Non usa gli elettrodi, ma riesce a prendere il ritmo dalle piastre). ● Defibrillatore automatico: non ha il monitor, per questo non si vede nessun tipo di ritmo. Il defibrillatore è formato da una serie di componenti: ● Trasformatore: che trasforma la corrente alternata in corrente continua a 10-16 volt. ● Condensatore: che ha il compito di immagazzinare energia. ● Elettrodi o piastre: hanno lo scopo di erogare lo shock e registrare la traccia dell’ECG, vale per entrambe le tipologie, solo che il semiautomatico anche se registra la traccia non la rende visibile. ● Circuito ad alta tensione: provvede alla carica ed alla scarica dell’energia. La collocazione corretta degli elettrodi è molto importante: devono essere posizionate una a destra, in zona sottoclaveare ed uno a sinistra in zona sottomammaria, sulla linea ascellare. Importante anche avere un buon contatto, per evitare la dispersione della scarica elettrica: ● Il torace villoso va depilato. ● Se il soggetto è bagnato va asciugato. ● I cerotti transdermici vanno tolti. ● Se c’è un defibrillatore impiantato gli elettrodi vanno posizionati ad almeno 2,5cm di distanza. Il compito dell’operatore è quello di appiccicare e collegare gli elettrodi, accendere l’apparecchio che in pochi secondi procede all’analisi del ritmo, in presenza di un ritmo shockabile il dispositivo carica automaticamente il condensatore e suggerisce all’operatore di erogare lo shock. L’operatore deve azionare il pulsate di shock per defibrillare. Esiste anche un programma di accesso pubblico alla defibrillazione, suggerito nelle seguenti situazioni: ● Quando la frequenza di arresti cardiaci è tale da rendere ragionevole un uso di AED in 5 anni. ● Quando un intervallo minore di 5 minuti tra allarme e defibrillazione non sia ottenibile con gli usuali mezzi di soccorso. ● Per i non traditional responders, cioè poliziotti, vigili del fuoco ed equipaggi di aerei e navi. Dopo il primo shock si fanno due minuti di massaggio cardiaco, se il ritmo risulta ancora defibrillabile si fa una seconda scarica, poi di nuovo massaggio cardiaco e poi di nuovo defibrillazione. Possibili emergenze in ambito odontoiatrico Negli studi odontoiatrici le emergenze più comuni sono in ordine: 1. Sincopi vasovagali, che sono circa 100 volte più frequenti delle altre condizioni. 2. Angina pectoris. 3. Crisi epilettiche. 4. Ipocalcemia. Nello specifico le condizioni che occorre saper trattare sono: ● Sindromi coronariche acute. ● Edema polmonare. ● Crisi ipertensive. ● Bradi-tachiaritmie. Sindrome coronarica acuta Bisogna saper distinguere l’infarto del miocardio dall’angina, quest’ultima presenta delle caratteristiche particolari: ● Localizzazione: generalmente nella regione retrosternale, in un qualsiasi punto fra epigastrio e faringe, occasionalmente colpisce il braccio e la spalla sinistra. ● Irradiazione: varia dalla spalla sinistra alla mandibola, occasionalmente può arrivare sia all’arto destro che all’area mediale dell’arto sinistro. ● Durata: varia tra 30 secondi a 30 minuti. In una situazione di angina nello studio odontoiatrico bisogna ridurre il precarico, si somministra sempre la nitroglicerina (nitrato), anche quando non si è certi che si tratta di una crisi anginosa in un caso di normopressione. Si possono anche somministrare degli antiaggreganti piastrinici (aspirina). Per evitare il rischio aritmico bisogna anche somministrare degli ansiolitici e di norma è meglio mettersi vicino il defibrillatore, per monitorizzare l’attività elettrica del cuore. Se si ha un forte sospetto di infarto del miocardio si deve raccomandare all’ambulanza di portare un defibrillatore. Edema polmonare Si tratta di una situazione clinica caratterizzata da un aumento del contenuto di liquido nello s 14/05 Aritmie Le aritmie sono delle alterazioni del ritmo cardiaco, dovute ad uno scompenso del suo ritmo elettrico: gli impulsi che fanno pompare correttamente il sangue vengono meno, con conseguenze più o meno gravi in base alla tipologia di aritmia. Comprendono: ● Disturbi della formazione dell’impulso elettrico. ● Disturbi della propagazione dell’impulso. ● Entrambi. Per questo motivo comportano alterazioni della frequenza o della sequenza di attivazione delle camere. Le conseguenze cliniche dipendono dalle caratteristiche elettriche, dal grado di compromissione emodinamica, in molti casi sono innocue, ma in altre possono influire sulla capacità del cuore di riempirsi. Le aritmie più pericolose possono provocare la mancanza del fiato, la perdita della conoscenza e l’arresto cardiaco. Possiamo distinguerle in: ● Aritmie non pericolose: che possono essere anche sintomatiche o determinare scompenso cardiocircolatorio ma non hanno la tendenza elettrica a degenerare in aritmie mortali. L’urgenza della loro interruzione è data dalla gravità dello stato clinico del compenso. ● Aritmie maligne: possono degenerare in aritmie mortali. ● Aritmie mortali: sono ad esempio l’arresto cardiaco e la fibrillazione ventricolare. Possiamo classificarle in base alle conseguenze che hanno sul ritmo in: ● Ipercinetiche: caratterizzate da un aumento del numero degli impulsi, sia normotipici che ectopici, che governano il ritmo cardiaco. Realizzano una frequenza cardiaca superiore ai 100 battiti/minuti. Possono essere sopraventricolari, giunzionali o ventricolari. ● Ipocinetiche: caratterizzate da una diminuzione del numero degli impulsi, provocano una frequenza cardiaca inferiore ai 50 battiti/minuto. Aritmie ipocinetiche L’insorgenza di aritmie ipocinetiche può essere dovuta a: ● Diminuzione della frequenza di scarica del pacemaker fisiologico ossia del nodo del seno. ● Fenomeni di scappamento: quando la frequenza degli impulsi generati e trasmessi dal nodo del seno scende al disotto del valore critico o sono bloccati, entrano in funzione dei centri automatici sottostanti o il fascio di His. ● Disturbi della condizione: è un terzo meccanismo meno frequente. Un difetto della propagazione dell’impulso elettrico che si verifica lungo le normali vie di conduzione, cioè tra il nodo del seno e le branche, costituisce un disturbo della condizione o blocco. Il difetto può essere rappresentato da un rallentamento dell’impulso, come nel blocco atrio-ventricolare, oppure può esserci un arresto della conduzione che si verifica in qualsiasi punto del sistema e l’attività elettrica delle strutture sottostanti, se emerge, dipenderà dai ritmi di scappamento. Blocco seno-atriale È dato dalla mancata trasmissione agli atri dell’impulso originato dal nodo del seno. L’ECG di superficie non è in grado di rilevare l’attività del nodo del seno, ma solo l’attività dell’atrio, perciò la diagnosi di questi blocchi è indiretta. Si ha un’improvvisa scomparsa delle onde P con conseguente arresto dell’attività degli atri. In questo caso i ventricoli riprendono un nuovo ritmo da impulsi che originano spontaneamente dal nodo atrio-ventricolare, in questo modo si hanno dei complessi QRS a bassa frequenza ma senza alterazioni. Possiamo distinguere 3 gradi: ● Grado 1: si ha un rallentamento della condizione. ● Grado 2: alcuni impulsi sono completamente bloccati. ● Grado 3: nessun impulso viene condotto dal nodo seno-atriale. Blocco atrio-ventricolare Sono delle bradiaritmie che possono essere provocate da: ● Ischemia del nodo atrio-ventricolare. ● Compressione del fascio atrioventricolare. ● Infiammazione del nodo atrioventricolare. ● Stimolazione cardiaca da parte delle fibre nervose vagali. Possiamo distinguerle in 3 gradi: ● Blocco atrio ventricolare di tipo 1: si evidenzia all’ECG come un ritardo dell’intervallo PR maggiore di 0,20 secondi. Tutte le onde P sono seguite comunque dal complesso QRS. Non è sintomatico. Può essere dovuto da un ipertono vagale, ischemia o miocarditi. ● Blocco atrio ventricolare di tipo 2: si ha quando la conduzione attraverso il fascio atrio ventricolare è rallentato. Talvolta il potenziale di azione è abbastanza intenso da passare il fa fascio e raggiungere i ventricoli ma talvolta non è abbastanza, per questo ad un’onda P atriale non è sempre conseguente un’onda QRS, i ventricoli saltano un battito. Possiamo distinguerli in: ○ Tipo 1 Mobitz: chiamato anche ritmo Luciani-Wenckebach, la conduzione atrio ventricolare presenta un blocco intermittente ed alcuni impulsi non passano ai ventricoli. Si ha un progressivo allungamento dell’onda P, come se il nodo si stancasse. È fisiologico e può essere presente in alcuni atleti. ○ Tipo 2 Mobitz: l’onda P è costante, ma vi è un’intermittenza di onde P a cui non consegue un’onda QRS. Può essere molto pericoloso. ○ Tipo 2:1: è a salto, di due battiti uno solo riesci ad arrivare ai ventricoli, si tratta di un tipo molto grave causato da un danno al nodo, è quasi sempre sintomatico. ● Blocco atrio ventricolare tipo 3: nessun battito viene condotto dagli atri ai ventricoli, il ritmo cardiaco è governato da pacemaker accessori. Si ha una dissociazione atrio- ventricolare, in cui gli atri ed i ventricoli battono in modo asincrono. Generalmente questi pazienti sono molto anziani, hanno una sintomatologia quasi sempre presente, che inizia sotto sforzo ed ha come esordio una sincope. Blocchi intraventricolari Molti dei fattori che provocano un blocco atrio-ventricolare possono anche provocare il blocco della conduzione del sistema ventricolare. In questo caso l’impulso viaggia velocemente lungo il percorso sano, mentre la zona ventricolare interessata è attivata in modo più lento, per questo la forma dell’onda QRS è anomala. Aritmie ipercinetiche Sono dovute principalmente a 3 meccanismi: ● Aumento della frequenza cardiaca del pacemaker fisiologico. ● Meccanismo di rientro: è quello che si trova alla base delle aritmie ipercinetiche gravi. Deriva dalla presenza di un circuito ad anello chiuso, anatomico o funzionale, che viene percorso dall’eccitamento nei due sensi e si trova inserito in una via comune. Condizione affinchè si verifichi il rientro è che una delle due vie deve avere un blocco unidirezionale, mentre la via non bloccata deve avere una conduzione rallentata. Il risultato di ciò è l’insorgenza di un’onda circolare di eccitazione che invia impulsi al cuore con una frequenza che dipende dalle dimensioni del circuito. ● Entrata in funzione di un centro ectopico, cioè di un pacemaker extrasinusale, che avendo monitoraggio dell’INR. Attualmente sono maggiormente in uso i nuovi anticoagulanti orali, che colpiscono direttamente la cascata coagulativa, per questo non è più necessario il monitoraggio dell’INR. In alcuni pazienti il rischio di ictus è molto alto, per questo sta al cardiologo stabilire se seguire o no la terapia anticoagulante, di solito ci si aiuta con l’indice CHADSVASC. La necessità di controllare la coagulazione del paziente è data da una prevenzione dell’ictus stesso, piuttosto che da una sua grande frequenza di comparsa, per questo la fibrillazione atriale viene considerata come un fattore di rischio per la formazione di trombi. A causa di ciò dopo la prima fibrillazione si segue sempre la terapia anticoagulante a vita. In questi paziente la sospensione è molto rischio, come è sconsigliato la sospensione dell’anticoagulante e la sua sostituzione con l’eparina. Per questa motivazione attualmente si preferisce prendersi un rischio moderato di emorragia piuttosto che rischiare l’ictus sospendendo l’anticoagulante. Se si ha un paziente con fibrillazione atriale, alto rischio emorragico ed alto rischio trombotico si può procedere con la chiusura dell’auricola, una procedura invasiva in cui si immette un dispositivo che va ad occludere l’auricola, riducendo il rischio trombotico ma non azzerandolo. In alcuni pazienti con ictus criptogenetico, cioè di cui non si conosce la causa, può essere fatto un monitoraggio con un loop recorder che va ad analizzare i battiti cardiaci per anni. Non si tratta di dispositivi di emergenza ma permettono l’acquisizione dei dati molto facilmente e velocemente. I sintomi della fibrillazione atriale sono: ● Angina. ● Sincope. ● Palpitazioni. ● Vertigini. ● Dispnea. Esiste anche una scala che divide la sintomatologia in: ● EHRA 1: non vi sono sintomi. ● EHRA 2: i sintomi sono medi e non vi è una riduzione delle normali attività. ● EHRA 3: sintomi severi con riduzione dell’attività normale. ● EHRA 4: sintomi molto gravi. La fibrillazione atriale ha una prognosi favorevole in assenza di cardiopatie, ma con quest’ultime la prognosi peggiora. Va comunque considerato che con la fibrillazione atriale si ha un rischio di morte più alto del normale. Una fibrillazione atriale ne stimola un’altra, si tratta di una sorta di ciclo. Esistono anche delle cause reversibili di fibrillazione atriale, che sono: ● Ipertiroidismo. ● Dis-ionie. ● Pericarditi. ● Infarto del miocardio. ● Periodo perioperatorio per interventi chirurgici. ● Alcool. ● Disfagia. ● Tossicodipendenza. In genere le sostanze fredde, gassate ed alcoliche aumentano il rischio di fibrillazione atriale. Nei pazienti che hanno una forte sintomatologia e che resistono ai farmaci si può eliminare la fibrillazione tramite un’ablazione trans-cateterale, andando a rimuovere dei pezzi di tessuto. In questi pazienti si deve comunque continuare la terapia anticoagulante perchè vi è un 20-30% di rischio di recidive. La maggior parte delle fibrillazioni atriali nascono all’interno dell’ostio delle vene polmonari, qui sono alloggiati dei tralci muscolari, come se il muscolo si continuasse all’interno della vena. Queste strutture sono estremamente irritabili e possono sparare dei battiti velocissimi che accendono la fibrillazione atriale. Andando quindi ad isolare la vena si può risolvere la fibrillazione atriale. Esiste una correlazione tra fibillazione atriale e scompeso cardiaco, che rende la prognosi molto peggiore. Flutter atriale È un’aritmia sopraventricolare spesso emodinamicamente mal tollerata e refrattaria al trattamento farmacologico. La peculiarità di questa aritmia sta nel suo meccanismo elettrofisiologico, nella sua anatomia e nella sua pericolosità. Possiamo classificare il flutter atriale in 3 tipologie: ● Flutter tipico comune: è antiorario, vi è un’attivazione antioraria sul piano frontale craniocaudale a livello della parete anteriore e laterale dell’atrio destro e craniocaudale sul setto. ● Flutter tipico non comune: è orario, è molto simile alla forma antioraria ma con una sequenza sul piano frontale oraria. ● Flutter atriale atipico: ciclo atriale più rapido e meno regolare dei precedenti e sequenza d’attivazione diversa dall’oraria e dall’antioraria. Le barriere anatomiche ed il circuito sono differenti dalle forme oraria ed antioraria. Si tratta di un’alterazione del ritmo cardiaco che ha origine nella cavità atriale. È una condizione provocata da un movimento circolare degli impulsi attorno al miocardio atriale, per questo si distingue dalla fibrillazione, perchè nel flutter il segnale elettrico si propaga in una sola direzione sempre. Questa aritmia si differenzia dalla fibrillazione atriale in quanto le modificazioni del battito sono meno marcate ed hanno un impatto diverso a livello ventricolare, per questo è possibile dividere due tipologie di flutter: ● Parossistico. ● Permanente. La complicanza più grace indotta dal flutter è la predisposizione allo sviluppo di ictus ischemico cerebrale. Le caratteristiche di questa condizione sono: ● Contrazioni frequenti. ● Battito irregolare. ● Insorgenza improvvisa. In genere è causato da un’attivazione di un centro ectopico atriale generalmente associato ad una cardiopatia. Essendo una tachiaritmia ha una frequenza elevata di circa 240-300 bpm. Grazie al filtro del nodo atrio ventricolare solo uno su più impulsi si propaga al ventricolo. Questa condizione richiede comunque con l’uso di anticoagulanti. Tachicardia da rientro nodale È una forma molto comune, si tratta di un’aritmia sostenuta da un circuito intranodale, che si manifesta il più delle volte in giovani sani. È una forma parossistica, ossia insorge e cessa in modo brusco ed improvviso. La prognosi è benigna, anche se episodi frequenti possono influire sulla qualità di vita. ● Riparazione della valvola: si sutura la valvola andando a ridurre l’insufficienza. Questo permette di non sottoporre il paziente a terapia anticoagulante per tutta la vita. Si fa generalmente per il prolasso della valvola mitrale. Se durante questi interventi si sutura troppo si rischia di provocare una stenosi. Questi sono interventi eseguiti sempre con ecocardiogramma continuo. Per i pazienti con protesi valvolare si tende a gestire l’anticoagulazione in occasione di interventi con un alto rischio emorragico, andando a sospendere ed a fare da ponte con l’eparina. È molto importante andare a bilanciare il rischio trombotico e quello emorragico, evitando di sopprimere il dicumarolico. Vizi non puri I vizi valvolari possono anche non essere puri, si possono avere due casi differenti: ● Steno-insufficienza. ● Rischi combinati: sono condizioni che colpiscono più valvole, le principali sono stenosi aortica ed insufficienza mitralica: il ventricolo deve svuotarsi, ma essendo la valvola aortica stenotica il sangue tende a refluire, arrivando all’atrio a causa dell’insufficienza mitralica. Chirurgia miniinvasiva Anche per la protesizzazione della valvola mitrale può essere fatta una chirurgia miniinvasiva, perchè l’approccio classico con sternotomia comporta una frattura dello sterno, che è molto dolorosa, ma anche delle complicanze respiratorie molto fastidiose. Ora si usano degli approcci miniinvasivi, ad esempio facendo una minitoracotomia laterale. Ma è anche possibile l’impianto tramite catetere. Prolasso mitrale Il prolasso mitralico è una forma lieve e spesso congenita, cioè presente fin dalla nascita. In alcuni casi gravi può determinare aritmie, ma si tratta di casi molto limite in cui è presente anche una fibrosi muscolare. Operazione La tecnica di impianto della valvola consiste nella rimozione della valvola danneggiata e nella sutura dell’anello della protesi. Il rischio principale di questo intervento è la trombosi. Di norma nelle valvole meccaniche si sente sempre un click, che diminuisce di intensità man mano che passa il tempo, a causa della endotelizzazione della valvola, cioè dei lembi che vengono ricoperti da un sottile strato di endotelio. Mitraclip Si tratta di un intervento non invasivo: si impianta un cestello che si aggancia alla valvola insufficiente creando una specie di pinzettatura, chiudendo l’insufficienza. Garantisce un rapido miglioramento nei pazienti, specialmente in quelli con un rischio operatorio alto, che non giustifica l’operazione. Per questo tipo di interventi si usa una doppia guida del catetere: una fluoroscopica per i raggi ed una ecocardiografica. Insufficienza cardiaca: il cuore non riesce a pompare adeguatamente il sangue dal ventricolo. È una conseguenza delle patologie valvolari Chiusura del setto Sono interventi non chirurgici. Quando il setto interatriale è aperto si può procede in modo miniinvasivo tramite un catetere, che dall’atrio destro procede oltre il foro fino all’atrio sinistro. A questo punto si gonfia un disco che va ad aderire e chiudere il difetto. Sono escluse da questa terapia i difetti molto ampi. In questi pazienti vi è un rischio trombotico alto nelle prime fasi post-operatorio, poi con l’endotelizzazione questo rischio diminuisce. Il rischio microbiologico è maggiore in tutti i pazienti portatori di qualsiasi tipo di protesi. TAVI Si tratta di un impianto transcatetere della valvola aortica. Quest’intervento si fa sopratutto per la stenosi aoritca, che rispetto a quella mitralica è in netto aumento perchè la causa eziologica principale di questa condizione è l’invecchiamento. Attualmente la stenosi di questa valvola si risolve tramite l’utilizzo di un catetere, senza aprire il torace del paziente. Si punge un’arteria della gamba, si prosegue nell’arteria femorale e poi nell’aorta, si arriva fino alla stenosi e la si sorpassa di poco, quindi si gonfia un palloncino su cui è montata la valvola protesica e si fa aggrappare la protesi al tessuto. In questi pazienti vi è il rischio di danneggiare il tessuto di conduzione e per questo si devono impiantare anche dei pacemaker. Il problema di quest’intervento è il fatto che queste protesi hanno una durata molto limitata, di circa 10 anni. Fibrillazione atriale In alcuni pazienti, quando non è possibile sostenere una terapia anticoagulante si sottopone il paziente alla chiusura dell’auricola. Non è una terapia risolutiva al 100%, ma comunque si ha una risoluzione molto alta. Si accede all’atrio tramite una cannula, bucando il setto, quindi si posizione una dispositivo che viene gonfiato e rilasciato a livello dell’imbocco dell’auricola che la blocca, evitando eventuali trombosi intra-auricola. Nel periodo post-operatorio il paziente deve seguire una terapia anticoagulante per almeno 3 mesi. Non ci sono linee guida stringenti, per questo è possibile la somministrazione sia di sitnrom che di nuovi anticoagulanti orali, anche se si preferisce usare sempre il sintrom.
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