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Guide e consigli
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Appunti di Medicina Interna, Appunti di Medicina Interna

In questo file è presente tutte le lezioni di medicina interna della sede Policlinico (Pavia) II anno infermieristica

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 13/07/2021

Rossella8699
Rossella8699 🇮🇹

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Scarica Appunti di Medicina Interna e più Appunti in PDF di Medicina Interna solo su Docsity! MEDICINA INTERNA Malattie dell’apparato respiratorio La funzione principale dell’apparato respiratorio consiste nel rifomire l'organismo di ossigeno, necessario per la produzione di energia, e nell’eliminazione dell’anidride carbonica, prodotto di scardo del metabolismo cellulare. Oltre allo scambio dei gas, svolge altre funzioni importanti come il mantenimento, insieme al rene, dell’equilibrio acido-base, la fonazione, la difesa contro le particelle e i microrganismi inalati e la rimozione o la trasformazione di sostanze presenti nel torrente circolatorio. L’albero respiratorio è diviso in: . Zona di conduzione, ove non avvengono scambi respiratori ° Zona di transizione, che ha funzioni eminentemente di trasporto ed in piccola parte di scambio gassoso . Zona respiratoria propriamente detta, che è la più estesa ed è pstomnenei pv) sede degli scambi gassosi a 1 Th La zona di conduzione è inclusa nello spazio morto anatomico ed ha un SL volume di circa 150 ml. È costituita da: bocca-naso, faringe, epiglottide, $ [ laringe, trachea, bronchi principali, lobari, segmentali fino ai bronchioli ce terminali con diametro di 2 mm circa. Dal punto di vista anatomico: eocga brorcni fo presenza di uno stroma cartilagineo di sostegno, strutturato ad anelli pera ti esperti dt disposti in serie nella trachea e grossi bronchi, e a placche irregolari nelle «Ul successive diramazioni bronchiali. Nelle vie aeree di conduzione è situato _ o l’intero apparato muco-secemente dell’albero respiratorio, costituito dalle i _ 4Ì ghiandole tubulo-acinose a secrezione siero-mucosa e dalle cellule i con mucipare caliciformi. (ZE mm n bets n % rem © LA ZONA di transizione e respiratoria dal punto di vista anatomico: la parete fatuie , bronchiale è priva di un supporto rigido ed è largamente rappresentata da fasci intrecciati di fibre muscolari lisce, a disposizione spiraliforme, e da fibre elastiche disposte longitudinalmente e circolarmente. È caratterizzata dalla comparsa di alveoli ove possono verificarsi scambi gassosi tra aria e sangue. Le strutture che più tipicamente posseggono questa doppia funzione sono definite bronchioli respiratori; distalmente a queste formazioni si trovano i dotti alveolari, interamente tappezzati da alveoli, e i sacchi alveolari propriamente detti, che costituiscono la zona respiratoria, sede elettiva dello scambio di gas tra aria e sangue. Gli alveoli di un adulto normale ammontano a circa 300 milioni con una superficie respiratoria globale di circa 100 m°. Le vie respiratorie distali a un bronchiolo terminale costituiscono l’acino polmonare, questo è l’unità funzionale di scambio respiratorio, tributario di un singolo bronchiolo terminale, che comprende i bronchioli respiratori, i dotti alveolari, i sacchi alveolari e gli alveoli. La superficie alveolare è formata dagli pneumociti i I tipo o “membranosi” svolgono funzioni di rivestimento, ricoprendo circa il 90% dell’intera superficie alveolare; attraverso il loro sottile citoplasma in diretta connessione con le cellule endoteliali del capillare alveolare, si compie il passaggio dei gas tra sangue e aria alveolare. Hanno ridottissima attività fagocitica e sono sprovviste di capacità rigenerativa. I pneumociti di II ordine o “granulari” rappresentano il 15% della popolazione cellulare alveolare, hanno aspetto cuboidale, con nucleo rilevato e citoplasma dotato di microvilli e sono ricche di organuli citoplasmatici che ne indicano l’elevata attività metabolica e secretoriale (sono i principali produttori del surfattante alveolare). Dotati di elevata capacità rigenerativa. I macrofagi alveolari invece, hanno il compito di depurare gli spazi alveolari da materiali organici o inorganici o da microrganismi provenienti dall’ambiente estemo (attiva capacità fagocitica e corredo enzimatico pag.l estremamente ricco in proteasi acide, lipasi, desossiribonucleasi, ecc. capace di degradare la maggior parte della sostanze fagocitate). I pneumociti II tipo producono il surfactante alveolare costituito da una frazione fosfolipidica associata ad una apoproteina. È prodotto principalmente dalle cellule granulari della parete alveolare e in minima parte dalle cellule di Clara della mucosa dei bronchioli respiratori. Funzione: modulare la tensione superficiale delle pareti alveolari durante le fasi della respirazione, al fine di impedime la rottura o il collabimento. È disposto come un film continuo sulla superficie alveolare e ha un turn-over rapidissimo, essendo continuamente degradato (sembra ad opera di macrofagi alveolari) e resintetizzato. Il piccolo interstizio presenta delle zone cosiddette espansibili, ove più lassa è la giunzione alveolo-capillare e nelle quali si trovano cellule macrofagiche, fibroblasti e cellule mononucleate (linfociti e monociti), oltre ad una componente fibrillare costituita da collagene e in piccola parte da fibre elastiche. piccolo interstizio La clearance mucociliare Le ghiandole bronchiali producono una secrezione visco- elastica composta da un mezzo acquoso in cui si ritrovano disciolte sostanze ad attività antibatterica (tra cui il lisozima e la ferritina, che sottrae il ferro ai batteri), sostanze proteiche (tra cui le IA) e sostanze mucopolisaccaridiche, in prevalenza acide, responsabili della viscoelasticità del muco. Le ciglia si muovono nelle strato più profondo del muco e sono capaci di movimenti ritmici di tipo pendolare, la cui fase rapida è rivolta verso il laringe. In questo modo il materiale particolato penetrato nell’apparato respiratorio e adeso allo strato di muco viene eliminato, procedendo ad una velocità di circa 2 cm/min. Qualsiasi alterazione della struttura delle ciglia, e quindi della loro funzione, o delle caratteristiche reologiche del muco con aumento della viscosità, determina gravi danni a carico dell’apparato respiratorio. Tra gli altri fattori in grado di indurre un rallentamento del battito ciliare, vanno ricordati l’abbassamento della temperatura dell’aria inspirata o l’eccessiva introduzione di bevande alcoliche. Vascolarizzazione Il polmone ha una doppia vascolarizzazione. Il flusso ematico polmonare che giunge al polmone tramite l’arteria polmonare è costituito dall’intera portata del ventricolo destro e consiste nel sangue venoso refluo dai tessuti dell’organismo; è il sangue che arriva agli alveoli e partecipa agli scambi gassosi. La circolazione bronchiale irrora parte dell'albero tracheo-bronchiale, fino ai bronchioli terminali, con sangue arterioso proveniente dall’aorta. I bronchioli respiratori, i dotti alveolari e gli alveoli vengono ossigenati dall’aria alveolare e nutriti dal sangue venoso misto della circolazione polmonare. Lo scambio gassoso tra gli alveoli e i capillari avviene per diffusione attraverso la barriera alveolo-capillare in modo passivo, secondo gradienti di concentrazione dei gas stessi. La respirazione è un atto automatico che assolve la funzione di ricambio costante di gas tra l’aria e il sangue, permettendo il passaggio continuo di ossigeno dall’aria inspirata al torrente circolatorio e la contemporanea rimozione (espirazione) dell’anidride carbonica prodottasi per effetto del metabolismo tissutale. La ventilazione alveolare porta ossigeno nel polmone mediante l’inspirazione e rimuove anidride carbonica con l’espirazione, mentre il sangue capillare polmonare scarica anidride carbonica negli alveoli e assume ossigeno. L'efficacia di questi scambi dipende da valori ottimali della ventilazione alveolare e della perfusione dei capillari polmonari. Anomalie della ventilazione e perfusione possono manifestarsi in singole regioni polmonari. Possono verificarsi due condizioni: - Assenza della ventilazione alveolare: l’alveolo è perfuso ma non ventilato, il sangue che attraversa i capillari alveolari non entra in contatto con l’aria inspirata e non si libera dell'anidride carbonica e non si arricchisce di ossigeno pag.2 Cause di dispnea cronica o Malattie delle vie aeree: ostruzione delle vie aeree superiori (dispnea inspiratoria), asma, BPCO, fibrosi cistica, bronchiettasie o Malattie parenchimali (da riduzione del volume di polmone funzionante): tumori, polmoniti, interstiziopatie, pneumotorace o Malattie vascolari: ostruzioni vascolari, malformazioni artero-venose, vasculiti o Malattie della pleura: versamento pleurico, fibrosi, tumori o Malattie della parete toracica: deformità scheletriche (cifoscoliosi, torace carenato) o Malattie muscolari: disordini neuro-muscolari, distrofie muscolari, disfunzioni del nervo frenico (paralisi del diaframma mono o bilaterale) o Aumento del carico addominale: obesità, ascite, gravidanza o Malattie cardio-vascolari: riduzione della gittata cardiaca, aumento della pressione venosa polmonare, pericardite costrittiva o Disturbi psichici: stati ansioso-depressivi, isteria o Gravidanza: anemia, aumento del metabolismo indotto da HGC, del consumo di 02 e della pressione addominale che riduce l'escursione del diaframma o Lesioni cerebrali (stimolazione o inibizione diretta dei centri del respiro): tumori, meningite, emorragie cerebrali o meningee o Anemia: ridotto apporto di ossigeno ai tessuti o Ipertiroidismo: aumento del metabolismo basale Approccio al paziente con dispnea: domande chiave 1. La dispnea è insorta a riposo? Se si — patologia grave 2. Era presente dolore toracico? Se sì, dove era localizzato? Un dolore toracico localizzato o monolaterale suggerisce la presenza di pneumotorace (dolore poi dispnea), trombo-embolia polmonare (dispnea poi dolore), polmonite con risentimento pleurico, trauma toracico 3. Cosa stava facendo il paziente subito prima o al momento della comparsa di dispnea? Sforzo intenso (pneumotorace, ischemia cardiaca), prolungato riposo a letto o immobilizzazione (trombo-embolia polmonare) 4. Sono evidenti patologie capaci di provocare dispnea? Ad esempio: distrofia muscolare, insufficienza cardiaca, aritmie cardiache, trombosi venose degli arti inferiori, gravidanza... Procedimento diagnostico Anamnesi ed esame obiettivo v Radiografia del torace e Na Spirometria Malattia polmonare (TAC, Emogasanalisi-Pulsiossimetria RNM, __.) “Scintigrafia polmonare ventilatoria- Malattia cardiaca (ECG, perfusoria ecocardiogramma...) Cateterismo cardiaco destro ECG da sforzo Che fare? Misurare la pressione arteriosa, saturazione e somministrazione di ossigenoterapia. pag.5 Tosse La tosse è un violento atto espiratorio a glottide chiusa. È un meccanismo fisiologico di difesa nei confronti di sostanze inalata potenzialmente dannose. La tosse può essere causata da agenti irritanti che raggiungono le vie aree per inalazione o aspirazione. Possono associati a tosse tutti i disturbi che causano: infiammazione, costrizione, infiltrazione e compressione delle vie aeree. La tosse può essere secca o umida (anche detta grassa o produttiva) cioè caratterizzata dalla presenza di secrezioni nell’albero bronchiale. Da un punto di vista meccanico è costituito da tre fasi a) Inspirazione più o meno profonda b) Espirazione a glottide chiusa (durante la quale si raggiungono valori di pressione intra-toracica superiori a 20 mmHg) c) Espulsione violenta di aria e materiale contenuto nelle vie aeree per apertura improvvisa della glottide Stimoli tussigeni Infiammazione Fattori meccanici Fattori chimici Fattori termici Fattori psichici Danno epiteliale Materiale estraneo Irritanti (vapori, Aria calda ammoniaca, anidride carbonica) Iperemia Compressione Fumi Aria fredda Edema della mucosa trazione Profumi Ipersecrezione Cause polmonari di tosse ® Acuta: flogosi acute dell’apparato respiratorio (riniti, sinusiti, faringiti, laringiti, tracheiti, bronchiti, bronchioliti, polmoniti, ascesso polmonare), neoplasie polmonari, inalazione di gas, vapori, corpi estranei, embolia, infarto polmonare ® Cronica: bronchite cronica (fumo di sigaretta), asma bronchiale, bronchiettasie, fibrosi cistica, interstiziopatie polmonari, terapia con ACE-inibitori Cause extra-polmonari di tosse ® Acuta; processi acuti a carico di orecchio medio, mediastino, pericardio, esofago, pleura, diaframma e Cronica: flogosi croniche a carico di orecchio medio, mediastino, pericardio, esofago, pleura, diaframma, masse mediastiniche, reflusso gastro-esofageo (tosse prevalentemente notturna), scompenso cardiaco sinistro, aspirazione ricorrente (per ostruzione meccanica o per alterazione funzionale della deglutizione e del transito esofageo), psicogena (donne giovani, depresse, personalità passiva o ossessiva) Tosse: complicanze Indolenzimento della parete toracica ed addominale Incontinenza urinaria Esaurimento fisico Sincope (pressioni toracica ed alveolari altamente positive > diminuito ritorno venoso > ridotta gittata cardiaca) o Fratture costali o 000 Approccio al paziente con tosse La tosse è acuta (cioè dura da meno di due settimane) o è cronica? Il paziente fuma? È presente febbre? All’inizio vi erano sintomi che suggerivano l’esistenza di un’infezione respiratoria? È stagionale? È associata a sibili? GpREONT pag. 6 6. È associata a secrezioni nasali? È associata a dolore toracico, emoftoe, dispnea, cianosi? — EMBOLIA POLMONARE 8. Compare prevalentemente durante le ore notturne? Si associa a rigurgito, scialorrea, e sapore sgradevole? 9. È associata a dispnea e/o ortopnea? — SCOMPENSO CARDIACO 10. Si associa ad emissione di espettorato? Che caratteristiche ha l’espettorato? 11. Sono cambiate le caratteristiche della tosse? 12. Il paziente è in trattamento con ACE-inibitori? n Tecniche diagnostiche - Esame dell’espettorato: osservazione diretta (colore, quantità, odore, consistenza, presenza di sangue), esame batteriologico diretto, esame colturale, esame citologico - Prove di funzionalità respiratoria - Esami radiologici: radiografia standard del torace, radiografia dei seni paranasali, TAC, RMN, angio TAC - Broncoscopia: evidenzia direttamente possibili lesioni endoluminali, consente il prelievo di campioni per la citologia e la batteriologia, consente l'esecuzione di biopsie bronchiali e polmonari trans-bronchiali e lavaggi bronco-alveolari - pH metria esofagea - Valutazione cardiaca: ECG, ecocardiogramma - Esami bioumorali: VES, PCR, fibrinogeno, esame emocromocitometrico e formula leucocitaria, autoimmunità, marcatori neoplastici, sierologie Emottisi L’emottisi (o emoftoe) è l'emissione, in genere in seguito a colpi di tosse, di sangue puro o frammisto a muco proveniente dalle vie respiratorie (100-600 cc di sangue nelle 24 ore). Il sangue è generalmente rosso chiaro perché arterializzato, cioè ricco di ossigeno e spesso schiumoso poiché si mescola con l’aria dei polmoni. È importante distinguere l’emottisi dall’ematemesi: nell’ematemesi il sangue, proveniente dalle prime vie digestive vie emesso con il vomito, è scuro, non è schiumoso e spesso presente dei coaguli. Cause di sanguinamento ® Localizzato: ascesso, micetoma, cavità tubercolare, bronchiettasia, neoplasia bronchiale, fistola bronchiale (spesso con arterie aneurismatiche), malformazione artero-venosa ® Diffuso: vasculiti (malattie autoimmuni), S. Goodpasture, emosiderosi polmonare idiopatica, anticoagulanti o coagulopatie, farmaci/droghe (cocaina) Approccio al paziente con emottisi 1. Caratteristiche dell’escreato (striatura emorragica o sangue vivo) 2. Condizioni generali del paziente (febbre, brividi, dispnea, ...) 3. Concomitanza con altri sintomi (dimagramento, dolore toracico, disfagia, disfonia) 4. Diagnosi differenziale con ematemesi (il sangue proviene dalle prime vie digestive, viene emesso con il vomito, è di colore scuro, non schiumoso e spesso contiene coaguli) Che fare? Identificare e trattare la malattia di base, terapia sintomatica (antiemomagici, ossigenoterapia...) Cianosi Si definisce cianosi la colorazione bluastra della cute e/o delle mucose dovuta a un eccesso di emoglobina ridotta nel sangue capillare. compare per concentrazioni di emoglobina ridotta (deossiemoglobina) superiori a 5 g/dl. Nelle fasi iniziali, la cianosi è evidente nelle zone più periferiche del corpo cioè i pomelli delle guance, le labbra, il naso e le stremità (letto ungueale). In presenza di una cute iperpigmentata, la cianosi può essere cercata a livello delle mucose. pag. 7 Fisiopatologia della formazione dei versamenti pleurici o o Alterazione del drenaggio linfatico (blocco linfatico) Alterazione dell’emodinamica pleurica (aumento della pressione idrostatica capillare) Alterazioni della pressione idrostatica dello spazio pleurico (aumento della pressione negativa endopleurica) Alterazioni della pressione oncotica plasmatica o dello spazio pleurico Alterazioni della permeabilità capillare Difetti anatomici del diaframma o passaggio di liquido pleurico attraverso vasi linfatici trans- diaframmatici Possibilità diagnostiche Esame chimico-fisico del liquido pleurico prelevato mediante toracentesi per differenziare i trasudati dagli essudati Cause di trasudato pleurico Scompenso cardiaco congestizio Causa più frequente Cirrosi epatica Frequente Sindrome nefrosica Rara Atelettasia polmonare Frequente Dialisi peritoneale Frequente Urinotorace _ Rara PARETE pIOO Pi POLMONE La causa più frequente è lo scompenso cardiaco congestizio da insufficienza ventricolare sinistra (circa 90% dei casi); il versamento è dovuto all’incremento della pressione venosa sistemica e a livello dei +} capillari polmonari. Di solito è bilaterale, spesso maggiore a destra. Pressione oncotica Capilare Capilare sistemico polmonare Cause di essudato pleurico Infezioni polmonari: polmoniti, TBC, micosi, parassitosi Neoplasie: carcinoma: carcinoma polmonare ed extra polmonare, mesotelioma, linfoma Malattie sistemiche autoimmuni: artrite reumatoide, LES Cause extrapleuriche: embolia polmonare, perforazione esofagea, malattie della milza, pancreatite Patologie dei vasi linfatici: chilotorace (rottura dotto toracico, infiltrazione del mediastrini, esiti di chirurgia toracica, migrazione di un versamento chiloso addominale) Cause iatrogene: radiazioni ionizzanti (flogosi della pleura e fibrosi mediastinica — ipertensione venosa ed ostruzione al deflusso linfatico), farmaci (causa immuno-allergica o tossico-degenerativa), scleroterapia esofagea (estensione della flogosi esofagea al mediastino ed alla pleura) Caratteristiche dell’essudato pleurico pag. 10 Infezioni polmonari: sieroso, siero-ematico, purulento, nerastro Neoplase: sieroso, siero-ematico, francamente ematico (se ostruzione linfatica o atelettasia polmonare caratteristiche del trasudato) Malattie sistemiche autoimmuni: sieroso con elevato contenuto in ANA (LES), torbido e di colorito giallo-verdastro ad elevato contenuto in fattore reumatoide (AR) o o Cause extrapleuriche: ematico o con caratteristiche di trasudato (embolia polmonare), sieroso ricco in amilasi (perforazione esofagea) Patologie dei vasi linfatici: aspetto chiloso Versamento pleurico: sintomatologia I piccoli versamenti pleurici possono essere asintomatici, mentre quelli di entità rilevante, soprattutto in presenza di malattie cardiopolmonari, causano dispnea. Possono essere presenti tosse e dolore toracico di tipo pleuritico, generato dal coinvolgimento infiammatorio della pleura parietale, tipicamente accentuato dall’inspirazione profonda e dai colpi di tosse. Il dolore di tipo pleuritico indica la presenza di un essudato. L’esame fisico può evidenziare solo versamenti di entità superiore ai 300 ml, che si manifestano con ipofonesi o ottusità alla percussione e riduzione o assenza del fremito vocale tattile e del murmure vescicolare. Dispnea: sintomo più comune, esacerbato dallo sforzo, tanto maggiore e tanto più difficilmente tollerata quanto più rapida è la formazione del versamento. Dolore toracico: localizzato nella sede dell’area pleurica coinvolta, ed accentuato dai movimenti respiratori, riferito in sede addominale o alla spalla omolaterale; totalmente assente Tosse, emottisi, dimagramento, astenia: segni di accompagnamento o di presentazione della malattia polmonare che ha indotto la formazione di versamento pleurico Tecniche diagnostiche Toracentesi (utile per la diagnosi del 75% dei casi): è necessaria per identificare le caratteristiche del liquido pleurico e permette una diagnosi in circa il 75% dei casi. Può essere attuata a soli scopi diagnostici o terapeutici. L’aspetto del liquido può indirizzare verso precise ipotesi diagnostiche; un aspetto francamente ematico può essere indice di neoplasie o di infarto polmonare, mentre un aspetto purulento è segno di causa infettiva. Lo studio delle caratteristiche del liquido permette, di distinguere tra un trasudato e un essudato Radiografia del torace: se eseguita in posizione eretta evidenzia solo versamenti superiori a 250 ml, mentre un esame radiografico eseguito in decubito laterale può rilevare anche versamenti inferiori a 100 ml Biopsia pleurica percutanea: può essere utile negli essudati di origine neoplastica o tubercolare Toracoscopia: permette di effettuare prelievi bioptici multipli Biopsia pleurica a cielo aperto Broncoscopia Ecografia del torace: evidenzia versamenti di piccola entità e per una migliore definizione delle alterazioni pleuriche e del parenchima polmonare. L’ecografia può essere impiegata per definire la natura liquida di un versamento seccato o come guida per effettuare una toracentesi in presenza di piccoli versamenti o di versamenti saccati Tomografia assiale computerizzata Esame chimico del liquido pleurico (cosa si va ad esaminare) pag. ll Prova di Rivalta Proteine totali LDH Glucosio pH Amilasi Marcatori immunologici Trigliceridi Lisozima Marcatori tumorali Peso specifico Esame batteriologico del liquido pleurico Striscio di materiale prelevato dalla sede dell’infezione e successivamente si esegue l'esame colturale Esame citologico del liquido pleurico Si effettua la conta leucocitaria, si calcola la formula differenziale e le cellule atipiche Malattie ostruttive polmonari Le malattie ostruttive polmonari sono caratterizzate da un’ostruzione delle vie aeree, con un conseguente riduzione dei flussi espiratori e, spesso, con un aumento della capacità funzionale residua e del volume residuo, cioè della quantità di gas che rimane intrappolata negli alveoli alla fine dell’espirazione. Le principali malattie responsabili di ostruzione delle vie aeree sono l’asma, la bronchite cronica, l’enfisema e le bronchiectasie. L’ostruzione al flusso aereo può essere dovuta a fattori endoluminali (muco, detriti cellulari), ad alterazioni della parete delle vie aeree o fattori esterni. Mentre le malattie restrittive polmonari interessano la parte distale delle vie aeree (epitelio alveolare, la parete alveolare, l’endotelio capillare e il tessuto connettivo che circonda i vasi ematici, i vasi linfatici e le vie aeree) cui consegue alterazione dei processi di perfusione e diffusione. Meccanismo d'azione delle malattie ostruttive polmonari Contrazione della muscolatura liscia Edema della parete Formazione di tappi di muco nel lume Alterazione strutturale della parete Entità nosografiche * Asmabronchiale * Bronchite cronica * Enfisema ® Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) * Bronchiectasie Asma Sindrome caratterizzata da un aumento reversibile della resistenza delle vie aeree, generalmente a carattere accessionale, con periodi di crisi seguiti da intervalli asintomatici, conseguente a spasmo della muscolatura liscia bronchiale, eventualmente associato a edema della mucosa ed ipersecrezione di muco. Classificazione: o Asmaallergico: tende a comparire in età giovanile ed è associato ad anamnesi personale e/o familiare di allergie (rinite, orticaria, eczema), aumento dei livelli sierici di IgE totale e di IgE dirette contro specifici allergeni, e positività delle prove cutanee allergiche. L’asma allergico può essere di tipo: a) Stagionale: legato ai periodi di pollinazione delle piante b) Non stagionale o perenne: dovuto ad allergeni costantemente presenti nell’ambiente L’asma allergico è spesso associato a rinite allergica. L'esposizione agli allergeni provoca una risposta broncocostrittiva nel giro di pochi minuti (reazione immediata). Esiste anche la possibilità che si manifesti una seconda crisi asmatica 6-10 ore dopo l'esposizione (reazione tardiva). o Asmaintrinseco o idiosincrasico: in soggetti che non hanno caratteristiche di tipo allergico, in età adulta, generalmente dopo infezioni virali delle vie aeree superiori. pag. 12 Patogenesi: o Ipertrofia dell'apparato ghiandolare mucosecemente (ipersecrezione mucosa) o Edema flogistico della mucosa bronchiale ed alterazioni morfologiche e funzionali delle ciglia vibratili o Spasmo della muscolatura liscia bronchiale Fisiopatologia e clinica Discrepanza tra quantità di muco prodotta (aumentata) e clearance mucociliare (ridotta) La tosse (in un individuo normale circa 100 ml al giorno di secrezione mucosa vengono eliminati dalla clearance mucociliare in assenza di tosse) e rumori polmonari da broncostenosi e da secrezioni: bronchite cronica semplice Edema ed accentuata tendenza alla broncocostrizione I dispnea e rumori polmonari sibilanti, da stenosi: bronchite cronica asmatica Diagnosi: eminentemente clinica, riscontro di tosse produttiva persistente Terapia: prevenzione (astensione dal fumo di sigaretta) e terapia delle complicanze infettive Evoluzione: enfisema polmonare Enfisema cronico ostruttivo Condizione clinica derivante della più o meno estesa distruzione delle strutture fibrose, elastiche e collagene che formano la matrice del parenchima polmonare, a cui consegue la riduzione del ritorno elastico del polmone disteso ed il mantenimento in stato di iperdistensione degli spazi alveolari. Eziologia L’enfisema polmonare può svilupparsi qualora venga alterato il normale rapporto tra il sistema di proteasi endogene (prodotte dalle cellule infiammatorie, macrofagi e granulociti neutrofili) e quello di antiproteasi (a1-AT) con conseguente distruzione delle pareti degli alveoli. Questa condizione può determinarsi come conseguenza di fattori di carattere genetico e/o ambientale. Fattori genetici: al-antitripsina Inibitore delle proteasi prodotta dal fegato e da altre cellule del sistema immunitario che contrasta l’azione delle elastasi prodotte dai neutrofili e quindi protegge l’integrità delle fibre elastiche del tessuto polmonare. Particolari alterazioni genetiche comportano ridotti livelli circolanti di al-antitripsina; il grave deficit causa un precoce sviluppo di enfisema, bronchite conica e bronchiectasie. Fattori ambientali: fumo di sigaretta Meccanismi che concorrono nel produrre il danno alle strutture collagene ed elastiche del polmone: = Più elevata percentuale di granulociti neutrofili, i maggiori produttori di proteasi ed elastasi, nel liquido di lavaggio broncoalveolare dei fumatori pag. 15 = Imacrofagi alveolari liberano attivamente tali enzimi nell'ambiente alveolare in misura maggiore rispetto ai non fumatori = Parziale inattivazione dell’al-antitripsina ad opera di agenti ossidanti contenuti nel fumo stesso o liberati nell'ambiente alveolare dalle cellule macrofagiche o dai granulociti neutrofili, che ne sono particolarmente ricchi. = La più frequente occorrenza di infezioni batteriche e virali che caratterizza il decorso clinico dei bronchitici cronici, rappresenta un ulteriore fattore di accumulo di elementi infiammatori e quindi degli enzimi in essi contenuti, a livello dell’albero respiratorio Anatomia patologia L’enfisema polmonare è un aumento di volume permanente degli spazi aerei distali al bronchiolo terminale, associato a distruzione delle loro pareti. Istologicamente, le pareti alveolari sono sottili, ipovascolari, con riduzione e frammentazione delle fibre elastiche, e delimitano spazi aerei ampi, nei quali sporgono monconi di setti alveolari distrutti; la confluenza di spazi vicini e la sovradistensione danno origine alle bolle. cine polmonare romala . . . o Enfisema centroacinare: sono colpite le parti centrali dell’acino, che corrispondono ai bronchioli respiratori, mentre le parti periferiche (distali) sono normalmente indenni. È la forma più frequente in assoluto ed è la più comune nei fumatori. Predilige i segmenti apicali dei lobi superiori Entisama rtrsacinare i i iferi sontnent e) Enfisema panacinare: le parti centrali e periferiche del lobulo sono ugualmente interessate. È la forma associata a deficit di al-antitripsina. Predilige le parti basse del polmone, soprattutto le basi, ed i margini anteriori Enficoma o Enfisema distale: predilige la zona sottopleurica parecinare o Enfisema irregolare Fisiopatologia Il difetto fondamentale del polmone enfisematoso è una menomazione della capacità di ritorno elastico dopo la sua distensione inspiratoria, a causa della distruzione delle fibre elastiche. Gli alveoli tendono a restare iperdistesi. Quando l’alterazione è di grado elevato, i muscoli ausiliari espiratori vengono messi in azione con conseguente incremento della pressione intratoracica. I bronchioli periferici, privi di stroma cartilagineo, vengono compressi e ridotti di calibro in quella parte del loro decorso nella quale la pressione intratoracica eccede la pressione dell’aria che fluisce al loro interno. La riduzione della superficie alveolo-capillare a causa della distruzione di numerosi setti alveolari e della fusione di vari alveoli in sacche aeree di volume maggiore comporta una riduzione della diffusione dei gas tra sangue e aria alveolare e un aumento dello spazio morto funzionale cui consegue, se la ventilazione non viene aumentata, una ipossiemia e una ipercapnia Le alterazioni più rilevanti sono dipendenti da squilibri tra ventilazione e perfusione che sono particolarmente gravi nell’enfisema centroacinare, nel quale la dilatazione al centro dell’acino ha l’effetto di compromettere il trasferimento dell’O2 dai bronchioli terminali agli alveoli. pag. 16 Quadro clinico: Tipo A Quadro clinico Tipo B Pink puffer intermedio Blue bloated (Enfisema (Enfisema panacinare) centroacinare) Tosse _ + Escreato _ + Dispnea + + Murmure vescicolare ridotto normale Habitus magro Normale/obeso Iperdiafania Rx + - Diaframma abbassato normale Ematocrito <50% >50% Cianosi _ + Edemi declivi - + Basi razionali di terapia Non esiste alcun rimedio farmacologico efficace per l’enfisema polmonare una volta che questo si sia instaurato, (proposte terapie sperimentali basate sulla somministrazione di al-AT o di agenti in grado di aumentarne la sintesi a livello epatico). Prevenzione Limitare l’entità dei fattori di rischio ed intervenire tempestivamente sulle complicanze, ad esempio infettive, che possono accelerare la progressione di una bronchite cronica verso un quadro di grave enfisema e di insufficienza respiratoria. Bronchiecti Il termine bronchiectasie definisce una dilatazione irreversibile dei bronchi e dei bronchioli dovuta alla distruzione infiammatoria della parete bronchiale. Può interessare le vie aeree di una zona circoscritta del polmone (bronchiectasia focale) o di più diffuse e ampie regioni polmonari (bronchiectasia diffusa). Alterazione morfostrutturale dei bronchi di calibro superiore ai 2 mm, consistente in una dilatazione cronica della parete bronchiale, prodotta dalla distruzione dello stroma muscolo-connettivale di sostegno. Manifestazioni cliniche Le manifestazioni cliniche che frequentemente si accompagnano a tale patologia derivano per lo più dalla sovrapposizione di processi infettivi o dall’insorgenza di fenomeni emorragici nel contesto delle pareti bronchiali alterate. Tipici sono la ricorrenza di broncopolmoniti nella stessa sede (“polmonite post- ostruttiva”) e il riscontro all’esame fisico di crepitii persistenti in una determinata regione polmonare. La tosse può essere persistente o ricorrente ed è, generalmente, produttiva con emissione di espettorato muco- purulento talvolta striato di sangue, ma è anche possibile riscontrare la comparsa di copiose emorragie respiratorie. I sanguinamenti sono dovuti all'estrema fragilità della mucosa infiammata o alla rottura delle arterie bronchiali, dilatate i seguito all’infiammazione. Possono comparire dispnea, respiro sibilante o dolore pleurico in caso di concomitanti polmoniti associate a pleurite. Può esserci ippocratismo digitale o dita a bacchetta di tamburo dovuto a ipertrofia del tessuto connettivo con aumentata convessità delle unghie (a vetrino di orologio) Eziopatogenesi I principali effettori del processo distruttivo a carico dello stroma muscolo-connettivale di sostegno del bronco sono le cellule infiammatorie ed in particolare i granulociti neutrofili: tali elementi cellulari possiedono un corredo di enzimi litici (proteasi ed elastasi in particolare) capaci di operare la distruzione pag. 17 si osservano tachicardia, aritmie, ipertensione arteriosa; nelle forme più gravi, bradicardia e ipotensione. L’ipossiemia grave provoca anche una riduzione dei processi di glicolisi aerobica e un aumento della glicolisi anaerobica, è causa di un’aumentata produzione di acido lattico con conseguente acidosi metabolica (alterazioni metaboliche). L’ipossia alveolare induce vasocostrizione polmonare e quindi ipertensione arteriosa nel piccolo circolo che può provocare ipertrofia del ventricolo destro (ipertensione polmonare). L’ipossiemia cronica causa un aumento della sintesi renale di eritropoietina che stimola l’eritropoiesi midollare. L'aumento del numero degli eritrociti, se da un lato è un meccanismo di compenso perché aumenta la capacità di ossigeno, dall’altro è causa di aumento della viscosità ematica, con ulteriore aumento della pressione polmonare e, quindi del lavoro cardiaco (poliglobulia). Conseguenze dell’ipercapnia Come l’ipossiemia, anche l’ipercapnia a insorgenza acuta è peggio tollerata dell’ipercapnia cronica. L’ipercapnia provoca vasodilatazione cerebrale e aumento della pressione del liquido cerebrospinale che si traduce nel quadro di papilledema, evidenziabile con l’esame del fondo oculare. Possono manifestarsi: cefalea, sonnolenza, agitazione e asterissi (tremore delle mani, battito d’ali). Ulteriore incremento della PaCO: provocano obnubilamento del sensorio e narcosi, sino al coma (coma ipercapnico). L’insufficienza respiratoria acuta ipercapnica causa acidosi respiratoria; nell’insufficienza respiratoria cronica, invece, la ritenzione renale di bicarbonato riesce a compensare l'aumento del PaCO: e il pH è solo lievemente ridotto. L’ipercapnia acuta stimola il centro del respiro con aumento della frequenza respiratoria, mentre nell’insufficienza respiratoria cronica con grave ipossiemia e ipercapnia, il centro del respiro può divenire insensibile alle modificazioni della PaCO: e rispondere solo allo stimolo ipossico: in questo caso una correzione eccessiva della PaO» mediante somministrazione di ossigeno elimina lo stimolo ventilatorio dovuto all’ipossia e causa un ulteriore aumento della PaCO:. Quindi la somministrazione di ossigeno deve essere effettuata con molta attenzione. Diagnosi: Il saturimetro non permette di rilevare l’anidride carbonica, il monossido di carbonio e l’emoglobina. Inoltre, la lettura di questo strumento risulta alterata o impossibile se è presente: - Vasocostrizione periferica - Stato di shock - Smalto per le unghie - Interferenze luminose - Movimenti dell’ato - Monossido di carbonio - Blu di metilene Trattamento dell’insufficienza respiratoria Gli obiettivi principali sono: il mantenimento di un0adeguata ossigenazione del sangue, la correzione dell’equilibrio acido-base ed elettrolitico e la riduzione del lavoro respiratorio. L’EGA è indispensabile per la valutazione iniziale della PaCO», della PaO», del pH e dei bicarbonati e per la monitorizzazione del paziente nel corso del trattamento. La correzione dell’ipossiemia con somministrazione di miscele di aria arricchite di ossigeno è il cardine della terapia che avviene mediante: e Cannule nasali ® Maschera di Venturi: permette una precisa determinazione delle concentrazioni erogate e consente di somministrare concentrazioni di O del 24 al 50% ® Maschera senza ri-respirazione con reservoir per l'ossigeno: permette la somministrazione di ossigeno con FiO» (frazione inspirata di O»: indica la percentuale di ossigeno inspirata da un paziente) fino al 90% Lo scopo dell’ossigenoterapia è ottenere una saturazione di ossigeno almeno del’88-90%. Somministrazioni prolungate di alte FO» (>60%) possono causare infiammazione alveolare con conseguente sviluppo di fibrosi polmonare. Per un’ossigenoterapia a lungo termine bisognerebbe, perciò, usare FiO: <60%. I pazienti con grave pneumopatia cronica e con ridotta tolleranza allo sforzo possono tranne beneficio dalla somministrazione continuativa di ossigeno a basso flusso per diversi mesi. È stato dimostrato che tale pag. 20 trattamento permette di ridurre la poliglobulia e l’ipertensione polmonare, e di migliorare la tolleranza allo sforzo. L’ipossiemia che non risponde rapidamente a un aumento della FiO» e l’ipercapnia grave richiedono il trattamento con ventilazione meccanica. Le miscele gassose somministrate vanno sempre adeguatamente umidificate per contribuire a mantenere fluide le secrezioni bronchiali. È importante garantire un adeguato stato nutrizionale del paziente, possibilmente per via enterale o, in alternativa, per via parenterale. Malattie restrittive polmonari Le malattie interstiziali polmonari (MIP) sono un vasto ed eterogeneo gruppo di MALATTIE INTERSTIZIALI A EZIOLOGIA MALATTIE INTERSTIZIALI ASSOCIATE è > . NON NOTA AD AGENTI EZIOLOGICI NOTI malattie che interessano la parte distale delle vie aeree, coinvolgendo l’epitelio alveolare, la parete alveolare, l’endotelio capillare e il tessuto connettivo che circonda i vasi ematici, i vasi linfatici e le vie aeree. Derivano dall’azione di un agente casuale, * Pneumopatie primitive * Pneumopatie da farmaci o trattamenti — fibrosi polmonare idiopatica terapeutici — bronchilolite obliterante con polmonite antibiotici organizzata (BOOP) - emosiderosi polmonare idiopatica — istiocitosi X ecc + Pneumopatie associate a malattie del connettivo — artrite reumatoide - LES sclerosi sistemica progressiva sindrome di Sjogren - polimiosite. dermatomiosite * Pneumopatie associate a vasculiti sindrome di Chur granulomatosi di Wegener * Altre pneumopatie intrstiziali — sarcoidosi — sindrome di Goodpasture — polmonite eosinofila cronica * Pneumopatie da inalazione di polveri inorganiche - Silicosi — Asbestosi — Antracosi ecc * Polmoniti da ipersensibilità - Polmone del contadino - Polmone del chimico - Polmone dellallevatore di uccelli - Polmone da sauna ecc nella maggior parte dei casi sconosciuto, che provoca un danno tessutale. Il danno può essere diretto sull’epitelio alveolare o sull’endotelio capillare, o questi possono essere danneggiati indirettamente dall’attivazione dei processi infiammatori. Le malattie che rientrano nel gruppo delle MIP dono oltre 200. Possono essere classificate in: 1 Malattie associate principalmente a infiammazione e fibrosi > l’evento iniziale è rappresentato dal danneggiamento dell’epitelio alveolare e conseguente attivazione dei processi infiammatori, con accumulo di essudato negli alveoli; se l'infiammazione diventa cronica si attivano i processi fibrotici irreversibili con perdita della normale funzione alveolare. Tra le principali malattie interstiziali appartenenti a questo gruppo troviamo la fibrosi polmonare idiopatica 2. Malattie con predominante reazione granulomatosa > linfociti T, macrofagi e cellule epitelioidi contribuiscono alla formazione di granulomi nel parenchima polmonare; queste lesioni possono progredire in fibrosi. Une delle più comuni MIP associate a reazione granulomatosa è la sarcoidosi Le MIP vengono ulteriormente distinte a seconda che la causa sia nota o sconosciuta. Pneumoconiosi Sono malattie parenchimali polmonari causate da inalazione cronica di polveri inorganiche. L'esposizione a polveri di amianto (o asbesto), usato in passato nelle costruzioni per le sue proprietà di isolante termico ed elettrico e ora vietato dalle attuali normative, è la causa di una pneumopatia fibrotica interstiziale diffusa, detta asbestosi, la cui gravità dipende dal grado e dalla durata dell’esposizione (almeno 10 anni). L’amianto è costituito da silicati di magnesio e di ferro a struttura fibrosa, le fibre possiedono un elevato rapporto lunghezza-diametro. Le manifestazioni cliniche e il quadro radiologico sono simili a quelli della fibrosi polmonare idiopatica. L'esposizione all’amianto è associata a una più elevata frequenza di carcinoma polmonare e di mesotelioma. Negi soggetti affetti da asbestosi che siano anche fumatori, il rischio di sviluppare una neoplasia è superiore alla somma dei singoli rischi connessi all’amianto e al fumo (rischio moltiplicativo) pag.21 La silicosi è una fibrosi polmonare progressiva dovuto all'esposizione professionale, per almeno 10-20 anni, a polveri di silice. Lavorazioni ad alto rischio sono il lavoro in miniera, il taglio di pietre, la produzione di abrasivi, il lavoro in fonderia, la produzione del vetro o della ceramica, la pulitura di superfici mediante sabbiatura. Si manifesta con fibrosi polmonare a noduli distinti, solitamente asintomatica, che successivamente evolve in una fibrosi a noduli confluenti, associata a dispnea e tosse produttiva. Ka fibrosi polmonare può progredire anche dopo l’interruzione dell’esposizione. I pazienti affetti da silicosi più facilmente vanno incontro a infezioni polmonari da micobatteri. La fibrosi polmonare è una malattia interstiziale progressiva a eziologia sconosciuta. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio correlati al suo sviluppo: fumo, uso di antidepressivi triciclici, inalatori di polveri di metalli o solventi e una storia di aspirazione cronica da reflusso gastroesofageo. Viene diagnosticata più frequentemente tra i 40 e 60 anni. La radiografia del torace infiltrati reticolari o reticolo-nodulari nelle aree polmonari inferiori. La presenza di zone polmonari con multipli spazi cistici è tipica delle fasi tardive della malattia. Le manifestazioni cliniche sono: dispnea da sforzo, tosse secca e ippocratismo digitale Polmoniti La polmonite è un’infiammazione del parenchima polmonare che interessa gli alveoli, le vie aree distali e l’interstizio. Le polmoniti possono essere: infettive o non infettive. Le polmoniti infettive batteriche sono le più frequenti, ma anche virus, protozoi e miceti possono essere chiamati in causa come agenti eziologici in una buona percentuale di casi. Le polmoniti non infettive sono causate da: aspirazione di succo gastrico, sindromi ipereosinofile, malattie indotte da farmaci o da ipersensibilità. Nonostante l’aria che noi respiriamo sia vettrice di un gran numero di particelle inorganiche e di microrganismi proveniente dall’ambiente, e l’orofaringe sia colonizzato da una grande varietà di agenti potenzialmente patogeni, il tratto respiratorio inferiore è sterile. Contribuiscono a ciò l’azione filtro svolta nelle prime vie aeree che fermano particelle inalata più grandi (> 10 pm di diametro) il sistema di trasporto mucociliare dell’epitelio permette di rimuovere particelle di dimensioni di circa 5 pm spingendole verso l’orofaringe. Le particelle di dimensioni 0.5-2 um giungono fino agli alveoli che vengono distrutti mediante l’azione combinata di surfactante, fibronectina, vitronectina e macrofagi e con il successivo coinvolgimento di linfociti e neutrofili e la produzione di immunoglobuline. Solamente quei microrganismi che riescono a superare questa barriera riescono a generare una polmonite. I germi possono raggiungere l’ultimo tratto delle vie respiratorie attraverso l’aspirazione del contenuto gastrico o delle secrezioni orofaringee, inalazione di particelle infette aerosolizzate dall'ambiente esterno. Gli agenti eziologici che sono coinvolti sono: Streptococco pneumoniae Hemophilus influenzae Moraxella catarralis Stafilococco aureo Klebsiella pneumoniae Legionella pneumophila Le polmoniti possono essere classificate su base eziologica su base anatomopatologica ed epidemiologica. Possiamo distinguere in base alla classificazione anatomopatologica: - Polmoniti alveolari: interessano gli alveoli da parte del processo infiammatorio, con presenza al loro interno di abbondante essudato, possono interessante la regione del lobo o un intero lobo (polmonite a focolaio) oppure multiple regioni situate in diversi lobi polmonari con il coinvolgimento della parete bronchiale e del parenchima adiacente (broncopolmonite). Sono generalmente dovute a infezioni batteriche pag. 22 Metabolismo della bilirubina Dal catabolismo dell’emoglobina che si libera dalla distruzione delle emazie senescenti nel sistema % $ pen Ge cssipenesi reticolo-endoteliale (soprattutto #8 Mie 10001 nella milza) si formano ogni giorni d 5 POTRA EA 4 g di bilirubina. L’emoglobina è 7 i attoverdino formata dall’eme (molecola a è peste struttura chiusa, ad anello, che Bilirubina sam ingloba il ferro) e dalla globina. Il ferro e la globina sono riutilizzati per la sintesi di nuovi globuli rossi, mentre la molecola ad anello viene trasformata per azione enzimatica in una molecola aperta, a struttura lineare, la biliverdina; questa a sua volta è trasformata in bilirubina libera o non coniugata o indiretta, che si lega fortemente all’albumina circolante e pertanto non può essere eliminata dal rene, poiché, come è noto, l’albumina non attraversa la membrana basale del glomerulo. Il trasporto della bilirubina nell’epatocita, dal sangue (polo vascolare) alla bile (polo biliare) comprende 4 fasi: 1. Captazione della bilirubina libera da parte dell’epatocita 2. Legame intracellulare con una proteina 3. Coniugazione con acido glicuronico 4. Escrezione nel canalicolo biliare in forma di bilirubina coniugata o diretta Il legame con acido glicuronico rende la bilirubina coniugata solubile in acqua e perciò eliminabile attraverso la bile e, quando la sua concentrazione nel sangue aumenta, anche attraverso l’urina. Con il passaggio nell’intestino essa di trasforma in bilinogeno, che conferisce alle feci il colore marrone. Parte del bilinogeno viene riassorbita nel tratto terminale dell’ileo e, attraverso il circolo portale, è trasportata al fegato e di nuovo escreta nella bile. I valori normali della bilirubina nel siero sono compresi fra 0.3 e 1.0 mg/dl, di cui 0.1-0.3 mg/dl coniugata e 0.2-0.7 non coniugata. Il valore soglia della bilirubinemia a livello del quale si rende evidente l’ittero è 2-2.5 mg/dl. Nell’ittero grave la cute può assumere una colorazione verde-brunastra. Test indicativi di danno epatocellulare Sono indicate con gli acronomi AST (SGOT) e ALT (SGPT). Passano nel circolo in caso di necrosi epatocellulare. La ALT è presente soprattutto nel fegato mentre la AST è contenuta in molti altri tessuti: cuore, polmoni, muscolatura scheletrica, cervello, rene, globuli rossi; pertanto è un indice poco specifico del danno epatocellulare, risultando elevato anche nell’infarto del miocardio, del polmone, del rene e in altre patologie. Entrambe aumentano in caso di necrosi epatica. Nelle malattie epatiche l’aumento della ALT è di solito maggiore di quello della AST, tranne nell’epatite alcolica in cui aumenta la AST. In condizioni di normalità i valori della AST (0-29 mU/ml) e della ALT (0-36 mU/ml). Altre prove di funzionalità epatica consistono nella misurazione di: = LDH: 80-300 mU/ml = Gamma-GT: gli aumenti più rilevanti si verificano nelle malattie epatobiliari, di cui gamma-GT è un indicatore molto sensibile, con un andamento parallelo a quello della fosfatasi alcalina (ALP). La gamma-GT aumenta nell’alcolismo, anche quando gli altri test di biochimica epatica sono entro limiti normali. I valori sono inferiori a 20 mU/ml per la donna e a 40 U/ml per l’uomo = Aldolasi: 0.9-6.5 mU/ml pag. 25 Prove di funzionalità epatica: stato degli epatociti — funzioni sintetiche: Prove di funzionalità epatica: stato degli epatociti — funzioni escretorie (colestasi): Fattori della coagulazione (fibrinogeno, fattori II, VII, IX, X). Il valore normale del tempo di protrombina è compreso tra 11 e 16 secondi. È detto anche tempo di Quick e misura la velocità alla quale la protrombina del plasma si trasforma in trombina. L'esame è normale quando il tempo del campione esaminato è uguale a quello del plasma di controllo: in questo caso si dice che l’attività protrombinica è pari al 100%. Il tempo di protrombina aumenta in molte malattie acute e croniche, poiché la sintesi della protrombina dipende non solo dall’integrità delle cellule epatiche ma anche dalla presenza di vitamina K, il tempo di protrombina è alterato in presenza di un difetto di assorbimento intestinale della vitamina. Albumina: 3.5-5.5 g/dl, diminuisce nelle epatopatie gravi in fase avanzata ed è sintetizzata esclusivamente dal fegato. Pseudocolinesterasi Colesterolo Transferrina Fosfatasi alcalina: è un enzima presente nelle ossa, nel fegato, nell’intestino e nella placenta. Un aumento della fosfatasi alcalina del siero indica una malattia del fegato e in particolare delle vie biliari: gli aumenti di grado maggiore si osservano nelle ostruzione delle vie biliari intra- o extraepatiche, nella cirrosi biliare e in casi di metastasi epatiche di carcinoma. I valori normali sono negli adulti: 70-220 mU/ml, nei bambini 100-622 mU/ml. 5 nucleotidasi: 0-1.6 U/ml Bilirubinemia diretta Colesterolemia Cupremia Indici di funzionalità epatica: altri esami o o 000 Ammoniemia (NH3): il fegato li rimuove dal sangue trasformandoli in urea che viene eliminata dal rene. Il valore normale dell’ammoniemia è compreso tra 80 e 110 mg/dl. Il dosaggio dell’ammoniemia è usato per confermare la diagnosi di encefalopatia epatica e seguirne il decorso ma non è di grande utilità perché in molti casi di grave encefalopatia i valori ottenuti sono compresi nei limiti normali. a-fetoproteina (marcatore tumorale) Sierologia dei virus dell’epatite al-antitripsina (difetto genetico) Anticorpi antimitocondri (cirrosi biliare): sono presenti a titolo a 1:40 nel 90% circa dei pazienti con cirrosi biliare primitiva e nel 25% dei pazienti con epatite cronica attiva o con cirrosi postnecrotica Diagnostica per immagini: pag. 26 Ecografia epatica: è un esame non invasivo che utilizza gli ultrasuoni — onde sonore ad alta frequenza innocue per il corpo umano e i suoi tessuti — per studiare il fegato e i suoi vasi, le vie biliari, la cistifellea (o colecisti). Inoltre, è di basso costo, di facile e rapida esecuzione d i notevole sensibilità. Tomografia assiale computerizzata: questo esame è in grado di evidenziare strutture non visibili con i comuni esami radiografici. Esso da immagini tagliate secondo un piano orizzontale (coronale) o verticale. I suoi svantaggi sono l’impiego di radiazioni ionizzanti e il costo relativamente elevato. Le tecnologie di ultima generazione hanno una definizione estremamente precisa e consentono ricostruzione tridimensionali. È di particolare utilità nella valutazione delle masse epatiche, specie con l’impiego di un mezzo di contrasto che accentua la differenza tra la massa e il tessuto epatico circostante. Biopsia epatica: è un esame semplice, abbastanza sicuro e molto utile, che viene di solito effettuato per aspirazione percutanea con ago sottile, sotto guida TC o ecografia, oppure alla “cieca”. È di notevole valore nella diagnosi di alterazioni focali singole o multiple o di malattie parenchimali diffuse quali cirrosi, l’emocromatosi e l’epatite cronica. L'esame presuppone: la collaborazione del paziente (che deve saper trattenere il respiro), un INR non superiore a 1.5, una conta delle piastrine superiore a 50000/mm3. È controindicato in caso di infezione o ostruzione delle vie biliari, versamento pleurico destro, ascite, coagulopatie... se il paziente è in trattamento con anticoagulanti, antiaggreganti o FANS deve sospenderli almeno 7 giorni prima della procedura. ® Laparoscopia: è una tecnica chirurgia, comunemente detta anche chirurgia mininvasiva, che consente di esaminare organi e tessuti situati all’interno dell'addome e della pelvi eseguendo delle piccole incisione, a differenza della chinugia tradizionale a “cielo aperto” che richiede tagli chirurgici. ® Paracentesi: è indicata per il prelievo e/o l'evacuazione del liquido accumulatosi nella cavità peritoneale, a causa di determinate condizioni patologiche. Questa metodica può essere eseguita sia a scopo diagnostico, ossia per analizzare il campione di fluido raccolto dall’addome, sia per motivi terapeutici. La paracentesi viene applicata, in particolare, ai casi di ascite e consente di ridurre la pressione determinata sugli organi dal liquido in eccesso, che, per esempio, può ostacolare la respirazione o provocare dolore. La procedura si esegue con il paziente sdraiato di schiena o su un fianco e viene condotta introducendo, sotto guida ecografica, un ago cannula sottile nella cavità peritoneale. * Colangiopancreatografia retrograda (ERCP): con questa tecnica, sotto guida endoscopica, si inietta mezzo di contrasto nel coledoco e nel dotto pancreatico che vengono visualizzati radiograficamente. È utile nello studio delle vie biliari. e Colangio RNM: consente uno studio accurato delle vie biliari ed evidenzia bene calcoli, dilatazioni o stenosi delle vie biliari. Ha praticamente sostituito la colangiopancreatografia retrograda rispetto alla quale offre notevoli vantaggi: non impiega radiazioni né mezzi di contrasto, è di rapida esecuzione e soprattutto non comporta rischio di pancreatite e non è operatore-dipendente. Ittero L’ittero è una colorazione gialla della cute, delle sclere e delle mucose dovuta ad aumento della concentrazione di bilirubina nel sangue e al suo conseguente deposito nei tessuti. Si parla di subittero sclerale quando la bilirubina totale è maggiore di 1.5 mg/dl ed è inferiore 2.5 mg/dl, mentre si parla di ittero franco quando la bilirubina totale è maggiore di 2.5 mg/dl. La bilirubina proviene per 1’80-85% dall’emoglobina dei globuli rossi circolanti, 10-15% dagli eritroblasti del midollo osseo e <5% da precursori eminici che sono presenti nella molecola dei citocromi e della mioglobina. L’ittero può essere di tre tipi: 1. Pre-epatico, il cui difetto è rappresentato da un’iperproduzione di bilirubina, prevalentemente di tipo non coniugato, come nell’emolisi 2. Epatocellulare, dovuto ad alterazioni della funzione dell’epatocita; la bilirubina è di tipo libero e coniugato [difetto di captazione, difetto di coniugazione e difetto di escrezione della bilirubina] 3. Post-epatico, dovuto a ostruzione delle vie biliari intra- o extraepatiche; la bilirubina è prevalentemente di tipo coniugato A seconda del tipo di bilirubina prevalente nel siero, l’ittero è classificato oggi in ittero da bilinubina non coniugata e ittero da bilirubina prevalentemente coniugata. Ittero da bilirubina non coniugata Le sue caratteristiche ricorrono nelle varie forme, indipendentemente dalla causa: ® Aumento della bilirubina non coniugata nel siero ® Urobilinuria (se vi è aumentata la produzione di bilirubina, aumenta la quantità di urobilina che viene riassorbita a livello intestinale e una parte di essa può essere eliminata nell’urina che assume così un caratteristico colore giallo-brunastro * Assenza di bilirubinuia (la bilirubina libera si lega nel sangue all’albumina e perciò non passa nelle urine) pag. 27 Indici di funzionalità epatica (indici di protido-sintesi, citolisi, colestasi) Emocromo ed indici di emolisi (Hb, reticolociti, LDH, aptoglobina) Esame delle urine Ecografia addominale Altre indagini diagnostiche 00000 Epatopatie acute È una malattia caratterizzata da infiammazione e necrosi del parenchima epatico da cause diverse: più spesso virus, ma anche farmaci, sostanze tossiche, alcol e anticorpi. Viene distinta in acuta o cronica a seconda che la malattia si protragga per meno o più di sei mesi. Epatite acuta Virus: l’epatite virale è una malattia sistemica nella quale l’interessamento del fegato è preminente. Cause più frequenti di epatite sono i virus: =» A(HAV) =» B(HBV) = C(HCV) = Delta (HDV) =» E(HEV) Agenti più rari sono: il virus di Epstein Barr (EBV o virus della mononucleosi infettiva), il Cytomegalovirus (CMV), il virus dell’herpes simplex (HSV) e altri (adenovirus, virus della rosolia e della varicella). Le principali caratteristiche dei più comuni virus responsabili dell’epatite sono riportate in questa tabella. Diametro (nm) Simmetria Genoma Famiglia Virus A 27 Icosaedrica RNA Picornaviridae Virus B 42 Sferica DNA Hepadnaviridae Virus C 50-60 Sferica RNA Flaviviridae Virus D 36-37 Icosaedrica RNA ? Virus E 27-34 Icosaedrica RNA Caliciviridae Epatite B Il virus B è un virus DNA appartenente alla famiglia degli Hepatotropic DNA Viruses. La particella virale completa o virione, detta anche particella di Dane, misura 42 nm di diametro ed è costituita da: o Uno strato esterno di rivestimento, detto envelope (involucro), dove si trova l’antigene di superficie HBsAg denominato come antigene Australia perché isolato per la prima volta nel sangue di un aborigeno australiano o Una parte centrale detta nucleocaspide o core in cui sono compresi: l’antigene c (HBcAg), l’antigene e (HBeAg), il DNA (HBV DNA) e laDNA polimerasi, che determina la replicazione del DNA. L’HBV viene efficientemente trasmesso attraverso il sangue per via parenterale apparente (trasfusioni di sangue o emoderivati e punture/tagli o con aghi/strumenti infetti) e inapparente (microlesioni della cute o della mucosa con oggetti di uso comune, quali rasoi, spazzole, forbici...), con le secrezioni genitali (trasmissione sessuale) e per via verticale della madre infetta al figlio, principalmente al momento del parto. pag. 30 Ciclo di replicazione dell’HBV Infezione da HBV I virus sono parassiti intracellulari obbligati in quanto necessitano di una cellula ospite in cui realizzare il proprio ciclo replicativo. Il ciclo replicativo dei virus può essere suddiviso in cinque fasi: Retrotraenzone del fiamento(-) di DNA 1. Adsorbimento 2. Penetrazione e denudamento 3. Sintesi macromolecolari ® 4. Assemblaggio 5. Liberazione Il ciclo di vita del virus dell'epatite B è complesso. È uno dei pochi virus a DNA conosciuti che utilizzano la Traduzione trascrizione inversa come una parte del proprio processo di replicazione. L'ingresso del virus nella cellula avviene tramite il legame alla sieroalbumina umana polimerizzata sulla superficie della cellula e successiva endocitosi. Poiché il virus si moltiplica attraverso I'RNA grazie ad un enzima dell'ospite, il DNA genomico virale deve essere trasferito al nucleo della cellula ospite da proteine chiamate accompagnatrici. Il DNA virale a doppia elica parziale viene poi realizzato interamente a doppio filamento e trasformato in DNA covalente chiuso circolare (cccDNA) che serve come stampo per la trascrizione di quattro mRNA virali. Il più grande mRNA, (che è più lungo del genoma virale), è usato per fare le nuove copie del genoma attraverso la trascrizione inversa. Questi quattro trascritti virali vengono sottoposti a ulteriori elaborazioni e vanno a formare nuovi virioni che vengono rilasciati dalla cellula per esocitosi. Patogenesi Il virus dell'epatite B non è direttamente lesivo per la cellula epatica. Il danno deriva dai linfociti T citotossici, che agiscono sugli epatociti ai quali si è fissato il virus. Gli interferoni (alfa, beta e gamma) esercitano un’azione protettiva. Marcatori sierologici dell’HBV Marcatori Significato HBsAg Presenza del virus (infezione acuta; infezione cronica; portatore cronico); infettività HBsAb Guarigione dall’infezione; è un anticorpo protettivo HBeAg Replicazione virale; infettività HBeAb Indica nella maggior parte dei casi cessazione della replicazione virale. Può indicare convalescenza (epatite acuta) o persistenza dello stato infettivo (epatite cronica). Non è protettivo HBcAg Non è dosabile nel sangue HBcAb IgM: compare precocemente nel corso dell’infezione acuta; non è protettivo IgG: è di solito presente nell’infezione cronica; non è protettivo HBV DNA Indice più sensibile di replicazione virale; infettività e alta contagiosità pag.31 A Acute Self.Limited HBY Infection == HE DIA — HEek; Antigen orAntibody Level È 10 u ts) » 1 4 i È 10 Weoks since Exposure Ybars since Exposure Sorgente di infezione Sono da ritenere soggetti a rischio di epatite B, acuta o cronica, i tossicodipendenti, le persone con abitudini sessuali promiscue (specie omossessuali maschi), i coniugi di pazienti con infezione acuta, gli operatori sanitari a contatto con il sangue (specie gli addetti ai laboratori di analisi, ai centri trasfusionali, alle unità di emodialisi), gli odontoiatri... in sostanza soggetti che hanno il virus nel sangue ma anche in diversi liquidi biologici. Il virus non è mai presente nelle urine e nelle feci (a patto che non contengano tracce di sangue). Modalità di trasmissione: Via di trasmissione Note Sessuale Modalità principale nelle aree industrializzate Percutanea Modalità praticamente scomparsa Uso di droghe per via venosa Contaminazione accidentale con siringhe, aghi, strumenti chirurgici o odontoiatrici; piercing Trasfusioni di sangue e derivati Perinatale Principalmente modalità di trasmissione in Asia Orizzontale Frequente in Africa In Oriente ed in Africa l’infezione si trasmette prevalentemente per via materno-fetale e colpisce soprattutto neonati e bambini Nel Nord-America e nell’Europa Occidentale l’epatite B è un'infezione dell'adolescenza e della giovinezza. Manifestazioni cliniche: Il periodo di incubazione varia da 30 a 180 giorni (in media 60-90). Ittero ed epatosplenomegalia sono presenti in vario grado. Fase Incubazione (2- 20 settimane) Preitterica o periodo prodromico (5-10 giorni) pag. 32 Segni e sintomi Nessuno Astenia, disappetenza, disturbi del gusto, vomito, vaghi dolori addominali, febbre (37.5-38.5°C), mialgie, cefalea. Nel 10-20%, sindrome simile alla malattia del siero: rash Viremia Il virus è presente nel sangue Massima Esami di laboratorio ALT, AST: normali Bilirubina: normale Anticorpi: assenti ALT, AST: in aumento Virus evidenziabile nel sangue Evoluzione: Soggetti contagiati da HEV Il 15-45% delle persone infette elimina il virus entro 6 mesi (100%) dall’infezione, senza trattamento. Il restante 60-80% va incontro a L__ cronicizzazione; di questi ultimi il 15-30% evolve verso la cirrosi. Infozione asintomatica Epatite acuta Trattamento: e) , 55 . adi ; vi | paia fltminante Vi è una buona probabilità di risposta all’interferone + ribavirina. Tenendo presente che spesso la malattia regredisce spontaneamente il trattamento va iniziato non prima di 2-4 mesi. Terapia dell'epatite da HBV e HCV v cei Epatite cranica Epatite cronica " Terapia “di supporto”: persistente-lobulare attiva . 40.000 10.000 o Riposo a letto (40%) {10%) . . . . Lul © Dieta ipercalorica (via parenterale) Cimosi Gpatica o Colestiramina > viene utilizzata per ridurre il colesterolo 25,000 (ste) alto " Terapia antivirale __T Sarcinonia epatico = Trapianto di fegato (2.526)9 Danno epatico da farmaci e sostanze tossiche Numerose sostanze esogene (perlopiù farmaci di uso comune, prodotti da banco...) possono produrre un danno epatico di variabile gravitò. I farmaci responsabili di reazioni tossiche epatiche sono diverse centinaia; si calcola che il danno epatocellulare rappresenti il 5-6% di tutti gli effetti avversi da farmaci e costituisca una delle cause più frequenti di ritiro dei farmaci dal commercio. Sono spesso colpite le persone anziane. Eziopatogenesi I meccanismi del danno sono poco conosciuti, ma possono essere ricondotti a due: 1. Tossicità diretta, dose-correlata: il danno è prevedibile e costituisce un effetto costante della sostanza assunta: sono infatti colpiti tutti i soggetti che vengono a contatto con essa. È caratteristica una latenza tra il contatto con la sostanza e la comparsa delle manifestazioni cliniche a. Alcool etilico b. Tetracloruro di carbonio c. Tricloroetilene d. Fosforo giallo e. Amanitina 2. Idiosincrasia: la tossicità è imprevedibile e si manifesta solo in una piccola parte dei soggetti che assumono la sostanza; può comparire alla prima assunzione o anche molto tempo dopo; non è correlata con la dose. Alla base di questa reazione vi è probabilmente una predisposizione genetica oppure acquisita e potenziata dalla concomitante assunzione di altri farmaci a. Epatite tossica di tipo citotossico: alotano, paracetamolo, difenilidantoina, etambutolo, sulfamidici, fenilbutazone, indometacina, a-metil-dopa, isoniazide b. Epatite tossica di tipo colostatico: diuretici tiazidici, dicumarolo e derivati, clorpromazina, imipramina, sulfaniluree benzodiazepine Fattori predisponenti: o Età adulta o Sesso femminile o Obesità o Gravidanza pag. 35 Abuso di alcool Associazione con altri farmaci epatotossici Epatopatia preesistente Patologia renale avanzata Variabilità genetica o 0000 Caratteristiche anatomopatologiche dell’epatite da farmaci ® Epatite colestatica Epatite granulomatosa Epatite cronica attiva Steatosi epatica Cirrosi epatica Malattia veno-occlusiva Epatite da cefalosporine Manifestazioni cliniche: a) Danno epatocellulare: tossicità diretta. Il quadro è quello dell’epatite fulminante, con insufficienza epatica grave e spesso mortale Reazione idiosincrarica. La manifestazione cliniche è le stesse dell’epatite virale dovuta da diversi farmaci quali: isoniazide, anti-MAO, FANS (ipereosinofilia) b) Cole: si osserva il quadro clinico di un’ostruzione dei canalicoli biliari, caratterizzato da ittero a bilirubina prevalentemente coniugata, aumento della gamma-GT e della fosfatasi alcalina. Questa sintomatologia è causata da contraccettivi orali, steroidi anabolizzanti... c) Reazioni immunoallergiche: il meccanismo del danno epatocellulare è misto, tossico e immunologico. Febbre, eosinofilia e rash cutaneo, manifestazioni tipiche delle reazioni allergiche, sono abbastanza comuni e si associano con ittero e aumento delle aminotransferasi d) Steatoepatite: l’accumulo di lipidi all’intemo degli epatociti, oltre all’alcolismo, al diabete mellito e all’obesità, può essere dovuto a vari farmaci Diagnosi e trattamento: Il decorso generalmente favorevole se si sospende il farmaco. Se epatite fulminante o tossica bisogna: - Idratazione - Aceticisteina: donatore di gruppi tiolici che potenzia l’attività detossificante del glutatione - S-adenosilmetionina: migliora i processi di transmetilazione, transulfurazione, ripristina la fluidità della membrana cellulare, normalizza l’attività della Na-K ATPasi, aumenta il flusso biliare consentendo una maggiore eliminazione delle sostanze tossiche Cirrosi epatica È una malattia diffusa del fegato caratterizzata da fibrosi e rigenerazione nodulare in risposta a stimoli patogeni di varia natura. La fibrosi è il risultato della proliferazione delle cellule stellate, situate negli spazi perisinusoidali. A causa di vari stimoli patogeni queste cellule, normalmente quiescenti, si attivano e secernono sostanza collagena; questa evolve verso la formazione di tessuto fibroso che forma dei ponti (bridging) tra uno spazio portale e l’altro, e tra spazi portali e vene centrolobulari. Gli stessi stimoli patogeni provocano danno e necrosi degli epatociti e di conseguenza stimolano la rigenerazione cellulare che avviene però in modo disordinato attraverso la formazione di noduli di varie dimensioni. Questa malattia era ritenuta sino a poco tempo fa progressiva e irreversibile qualunque fosse l’eziologia, mai notevoli risultati ottenuti nel trattamento dell’epatite cronica da virus C hanno portato a un arresto e qualche volta alla regressione della cirrosi. pag. 36 Cirrosi micronodulare: i noduli hanno un diametro inferiore a 3 mm (cirrosi alcoolica) Cirrosi macronodulare: i noduli hanno diametro superiore a 3 mm (cirrosi post-epatitica) Cirrosi micro-macronodulare: presenza contemporanea di micro e macronoduli Fisiopatologia Gli agenti eziologici (alcol, epatite da virus B, D, C, steatosi non alcolica, epatite cronica autoimmune, emocromatosi, congestione venosa cronica, cirrosi biliare primitiva, sostanze tossiche e farmaci, cause rare) provocano degenerazione e necrosi degli epatociti e quindi TT produzione di citochine e fattori di crescita che stimolano i processi Ipofunzione epatica | riparativi dei principali componenti Riduzione del letto vascolare del tessuto epatico: . Gli epatociti si rigenerano [Insutficienza epatica | non più secondo il modello T— “Shunt” porta-cava strutturale del lobulo, bensì che saltano il fegato disordinatamente e in noduli di differenti dimensioni (rigenerazione nodulare) * Viene stimolata la neoformazione di vasi, soprattutto sulla superficie del nodulo e Iltessuto connettivo risponde attraverso la produzione di fibrille collagene (fibrosi) da parte di specifiche cellule mesenchimali, le cellule epatiche stellate che si trovano negli spazi subendoteliali. La successiva retrazione del collageno esita nella sclerosi. I noduli di tessuto rigenerato non hanno la stressa capacità funzionale dei lobuli epatici normali sia perché il sovveitimento dell’architettura vascolare compromette gli scambi metabolici tra il sangue ed epatociti, sia perché il tessuto connettivo che evolve verso la retrazione sclerotica non solo tende a incarcerare i noduli, ma si approfondisce al loro interno alterandone la struttura e la funzione. I noduli di rigenerazione possono essere piccoli (<3 mm, cirrosi micronodulare), oppure più grandi, configurando il quadro di cirrosi macronodulare, conseguenza di una necrosi epatica massiva post-epatitica (cirrosi postnecrotica). Il letto vascolare è ridotto e compresso, e ciò causa ipertensione portale che si diffonde in via retrograda attraverso la vena splenica sino alla milza causando splenomegalia. La presenza di cortocircuiti, sia neoformati all’intemo dei noduli tra sistema pitale e sistema delle sovraepatiche, sia all’estemo del fegato “salta” gli epatociti riducendone ulteriormente la funzione. Gli aspetti fisiopatologici più salienti della cirrosi epatica avanzata si possono riassumere pertanto nell’insufficienza funzionale degli epatociti e nell’ipertensione portale, che spiegano il decorso e le complicanze della malattia. Principali cause di cirrosi: ® Alcolismo: è la più comune causa di malattia epatica nel mondo occidentale. Steatosi semplice, steatoepatite e cimrosi alcolica sono le alterazioni epatiche causate dall’alcol. La steatosi epatica semplice è caratterizzata dall’accumulo di trigliceridi all’interno degli epatociti; è reversibile dopo la pag. 37 Emorragia da rottura di varici esofagee Il primo trattamento è quello usuale di supporto che viene attuato in ogni caso di emorragia massiva. È necessario evitare la somministrazione di liquidi in eccesso che può aggravare l'ipertensione portale e quindi favorire il sanguinamento. Il controllo più efficace dell’emotragia è ottenuto con la terapia endoscopica e l’uso di farmaci che riducono la pressione portale. L’esofagogastroduodenoscopia, effettuata se possibile durante il sanguinamento, consente di individuare la causa e la sede dell’emorragia; l’emostasi è realizzata mediante la legatura delle varici con piccoli anelli elastici, oppure con la scleroterapia (iniezione nella varice di una sostanza sclerosante che provoca una tromboflebite chimica e quindi la chiusura del vaso). Se l’endoscopia non è possibile si può ricorrere all'applicazione della sonda di Sengstaken-Blakemore, una tecnica oggi quasi del tutto abbandonata. È utile la somministrazione di un antibiotico per la profilassi dell’encefalopatia epatica. Poiché la possibilità di ricorrenza del sanguinamento è molto elevata, circa 60% entro un anno, si deve istruire un trattamento volto a ridurre la pressione portale mediante betabloccanti come il propranololo con o senza l’aggiunta di nitroderivanti. Se l’emorragia non si arresta si ricorre a tecniche più aggressive per ridure la pressione portare: la TIPS consiste nell’applicazione di una protesi autoespansibile (stent) che viene introdotta per via percutanea nella vena giugulare e spinta attraverso la cava inferiore e le vene sovraepatiche sino a raggiungere il sistema portale. Si crea così uno shunt port-cava intraepatico che scarica il circolo portale attenuando l’ipertensione. Gli inconvenienti maggiori di questa tecnica sono la tendenza alla chiusura dello stent e la più facile insorgenza di encefalopatia epatica. - Valutazione parametri vitali: PA, FC, SO2 - Quantificare il volume di sangue espulso - Posizionamento di accesso venoso periferico - Valutazione dello stato di coscienza e idratazione delle mucose - Terapia farmacologica: plasma expanders, plasma fresco congelato, concentrati piastrinici, albumina, somatostatina ed octreotide + prevengono l’iperemia post-prandiale del circolo splancnico e/o riducono la pressione nel circolo portale mediante peptidi vasoattivi... - Prelievi ematochimici: emocromo, coagulazione, elettroliti, ammoniemia, prove crociate di compatibilità trasfusionale... - Se EGDS in urgenza, NON pos ionare sondino naso-gastrico Prevenzione In presenza di varici di dimensioni medio-grandi che non hanno sanguinato, è essenziale iniziare il trattamento con betabloccanti che riduce il rischio di emorragia. Se le varici sono di grandi dimensioni, si esegue la legatura profilattica. Controlli endoscopici devono essere eseguiti periodicamente. Encefalopatia epatica È una complessa sindrome neurologica e psichiatrica che si sviluppa nel corso di gravi malattie epatiche acute o croniche. Eziopatogenesi L’encefalopatia può essere acuta o, più comunemente, cronica. Le cause scatenanti sono molteplici ma, in alcuni casi, l’encefalopatia si stabilisce spontaneamente e gradualmente senza che vi sia alcun evidente fattore casuale, e rappresenta la fase finale dell’insufficienza epatica. L’encefalopatia è dovuta al passaggio nel circolo sistemico di sostanze, perlopiù neurotossine di origine intestinale, che sono normalmente detossificate dal fegato e che, per insufficienza degli epatociti, sia per lo sviluppo di circolo collaterali porto- sistemici sfuggono al filtro epatico. I due meccanismi possono variamente combinassi: l'insufficienza degli epatociti raggiunge la sua massima espressione nell’epatite fulminante mentre lo shunt porto-sistemico è comune nella cirrosi epatica complicata da ipertensione portale. La tossicità da ammoniaca è l’alterazione più frequente e meglio conosciuta, ma non l’unica. In caso di insufficienza epatica e di shunt porto-sistemico la sua concentrazione nel circolo sistemico aumenta considerevolmente (iperammoniemia) con induzione del pag. 40 danno cerebrale. Il GABA, neurotrasmettitore inibitore del SNC, aumenta nell’insufficienza epatica; si suppone che il suo accumulo contribuisca alla genesi dell’encefalopatia. Cause: o Aumentato carico di azoto: emorragie digestive, dieta iperproteica o Squilibri idro-elettrolitici: ipovolemia dopo paracentesi con sottrazione di eccessive quantità di liquido ascitico, sovradosaggio di diuretici o Varie: infezioni intestinali, somministrazione di sedativi, stress (traumi, interventi chirurgici) Produzione dell’ammoniaca L’NH:; viene normalmente prodotta in due sedi. La quantità maggiore si forma nell’intestino dove questa sostanza viene ottenuta per deaminazione di aminoacidi, che fanno parte dell'apporto dietetico proteico, ad opera della flora batterica.L’NH; viene assorbita dalla mucosa intestinale e, tramite il circolo portale, giunge al fegato dove attraverso il ciclo di Krebs-Henseleit (o ciclo della ornitina-citrullina-arginina) viene trasformata completamente in urea, sostanza priva di tossicità che entra nella circolazione generale e viene eliminata con le urine. L'NH3, prodotta nell’intestino, può talvolta passare direttamente in circolo, come avviene: 1. Incaso di grave insufficienza epatica in cui il difetto funzionale degli epatociti è così rilevante che il ciclo di Krebs-Henseleit diventa insufficiente, per cui non è possibile la completa trasformazione dell’NH; in urea (e quindi in parte dell’NH; passa in circolo) 2. oppure quando, in caso di ipertensione portale, si formano degli shunt tra rami della porta e rami della cava superiore o inferiore, per cui viene “saltato” il distretto epatico con conseguente passaggio diretto nel sangue della NH3. L’altra fonte di produzione è il rene: i tubuli renali producono NH: che viene convertita in ammonio-ioni (NHu*), che servono per ridurre l’acidità titolabile nelle urine. Di solito la quantità di NH; che si forma nel rene non è molto rilevante, a meno che non esistano importanti alterazioni dell’equilibrio acido-base nell’organismo. Manifestazioni cliniche Sono raggruppate in 4 gradi di progressiva gravità: Grado I: euforia o depressione, inversione del ritmo sonno/veglia, amnesia Grado II: confusione, comportamenti bizzarri, disorientamento, flapping tremor Grado III: letargia, profondo disorientamento Grado IV: coma PONT L’esame fisico mostra anche profonda malnutrizione, ittero, edemi, ascite. Il flapping tremor è presente nelle fasi più avanzate. Alcuni paziente hanno un caratteristico alito dolciastro (foetor hepaticus) Trattamento Si devono ridurre i livelli ematici di ammoniaca limitando l’assorbimento delle proteine e delle altre sostanze azotate prodotte nell’intestino. Il paziente deve essere tenuto a dieta ipoproteica per non fornire substrato alla formazione intestinale di ammonio. Il materiale fecale e specialmente il sangue presente nel colon in caso di emorragia devono essere rimossi mediante clisteri di pulizia ripetuti anche più volte nella giornata e anche se l’avo è regolare. Il /attulosio, somministrato per bocca o per sondino naso-gastrico o per clima. Il lattulosio è un disaccaride sintetico non assorbibile che raggiunge il colon dove viene metabolizzato dai batteri in acido acetico e acido lattico. La riduzione del pH intestinale favorisce la produzione di ammonio non assorbibile. Acidifica l’ambiente intestinale e inibisce la flora batterica responsabile della produzione di ammonio; antibiotici non assorbibili, come la neomicina o il metronidazolo e soprattutto la rifaximina, somministrati per bocca (o per sondino naso-gastrico se il paziente è in coma), inibiscono la flora batterica. Non è dimostrata con certezza l'efficacia degli aminoacidi ramificati che tuttavia sono spesso impiegati. I sedativi di ogni tipo devono essere evitati anche se il paziente è agitato, perché peggiorano l’encefalopatia. In pag. 41 casi di rapido deterioramento, come nell’epatite fulminante, va considerata la possibilità del trapianto di fegato. Ascite In condizioni fisiologiche la cavità addominale contiene pochi ml di liquido trasudatizio con il compito di lubrificare la sierosa peritoneale, questa si comporta come una membrana semi-impermeabile per cui scambi continui di acqua e soluti avvengono tra cavità peritoneale e vasi intraperitoneali. L’ascite è la raccolta di liquido libero nella cavità peritoneale; si forma a causa dell’ipertensione portale e della ritenzione renale di sodio. L’ipertensione portale origina dalla compressione esercitata sui sinusoidi dai noduli di rigenerazione e dalla fibrosi; a causa dell’elevata pressione nei sinusoidi, il plasma trasuda attraverso la loro parete e giunge a riversarsi nella cavità addominale. Oltre che all'aumento delle resistenze meccaniche, l’ipertensione portale è dovuta a iperafflusso ematico nell’area portale a causa di un’aumentata produzione di ossido nitrico. La ritenzione renale di sodio, causata dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, incrementa il volume circolante e provoca la continua formazione dell’ascite. Il liquido così formato è di norma un trasudato, cioè ha una concentrazione delle proteine inferiore a 3 g/dl. All'esame clinico l’ascite diviene evidente quando la quantità di liquido supera i 500 ml, ma l’ecografia è in grado di rilevarne quantità assai minori. Cause: Patologia epatica primitiva Alcool, virus, neoplasie, 81% acuta o cronica sindrome di Budd-Chiari Patologia neoplastica Neoplasie addominali 10% Patologia cardiaca Pericarditi 3% Altre patologie TBC, pancreatite, ... 6% Peritonite batterica spontanea Questa grave complicanza si verifica nel 18% dei casi di ascite ed è dovuta al passaggio di germi attraverso ‘una parete intestinale apparentemente integra, donde il termine “spontanea”. I meccanismi patogenetici sono da un lato le ridotte difese della parete intestinale che perde la sua funzione di barriera permettendo la migrazione di batteri enterici dal lume intestinale alla cavità peritoneale: dall’altro lo scarso potere battericida del liquido ascitico che diviene un ottimo terreno di crescita. Il quadro clinico è caratterizzato da un improvviso peggioramento delle condizioni cliniche, con aumento dell’ascite e dell’ittero e dalla comparsa di encefalopatia. Manifestazioni cliniche I sintomi della PBS sono molto variabili. Il paziente può presentare febbre, dolore addominale accompagnato da diarrea, confusione mentale, ipotensione arteriosa e, talora, insufficienza renale progressiva. Tuttavia, in almeno il 30% dei casi la sintomatologia è assente o attenuata, cosicché il medico può sottostimare questa diagnosi. La PBS è una complicanza grave del paziente cirrotico scompensato, soprattutto quando induce insufficienza renale (conseguenza presente in circa il 30% dei casi). La diagnosi di PBS si basa sulla conta dei globuli bianchi e coltura del liquido ascitico. Terapia Il trattamento antibiotico va iniziato appena possibile. In pratica, una conta dei leucociti neutrofili nel liquido ascitico >250/mmc, anche in assenza di sintomi, rappresenta una indicazione assoluta ad intraprendere un trattamento antibiotico, senza attendere l’esito dell'esame colturale. In circa il 70% dei casi i batteri responsabili sono Escherichia Coli e Klebsiella Pneumoniae, e gli antibiotici da preferire sono quelli attivi sui batteri Gram negativi. L’antibiotico di prima scelta è la Cefotaxima Recidive: nei pazienti che abbiano pag. 42 HELL syndrome Il termine HELL è stato coniato nel 1982 da Weinstein a definire una condizione esclusiva della gravidanza complicante lo 0,2-0,6% dei casi, associata o non associata ad un quadro di gestosi gravidica, e caratterizzata da: - Emolisi (H > hemolysis: frammentazione delle emazie causata dal passaggio delle stesse in vasi con endotelio danneggiato e/o con deposizione di microtrombi di fibrina nel lume) - Ipertransaminasemia (EL: elevate liver enzymes: necrosi periportale con distensione della capsula glissoniana) - Piastrinopenia (LP: low platelet count: aumentata adesione delle piastrine circolanti all’endotelio danneggiato o attivato, attivazione del sistema coagulativo con aumentata generazione di trombina, a sua volta responsabile di una aumentata attivazione piastrinica, aumentata clearance piastrinica da parte del sistema reticolo-endoteliale). È associata ad un rischio di mortalità matema dell’ 1%. Criteri diagnostici ® Emolisi: anomali della morfologia eritrocitaria allo striscio periferico, bilirubina totale > 1.2 mg/dl, lattico deidrogenasi (LDH) > 600 U/L, aptoglobina ridotta ® Aumento degli enzimi epatici: aspartato aminotrasferasi (AST) > 70 U/L, LDH > 600 U/L ® Piastrinopenia: o Classe 1: PLT < 50.000/mm} © Classe 2: PLT > 50.000/mm® < 100.000/mm? © Classe 3: PLT > 100.000/mm? < 150.000/mm? Emopoiesi L’emopoiesi è il processo che porta, all’intemo del midollo osseo, alla formazione e alla maturazione delle cellule del sangue: globuli rossi o eritrociti (eritropoiesi), globuli bianchi (granulocitopoiesi), megacariopoiesi, che porta partendo dal granulocito alla formazione di piastrine, e il processo di linfopoiesi che porta alla produzione di tutte le cellule dell’immunità cellulare e umorale (linfociti T e B) il quale in una pate si sviluppa nel midollo ma per la massima parte si sviluppa all’interno degli organi linfoidi (timo, linfonodi). Tutte le cellule del sangue derivano da un unico capostipite deputato alla produzione emopoietica: la cellula staminale totipotente (CST), in grado di profilare e allo stesso tempo maturare verso e all’interno di una specifica linea cellulare. Da una singola CST, per divisione, derivano due cellule funzionalmente diverse: una identica alla madre, che va a sostituire quest’ultima nel gruppo delle cellule totipotenti, il cui numero deve rimanere costante (automantenimento) e l’altra commissionata per proseguire la maturazione verso una determinata linea cellulare. È molto importante che la cellula staminale totipotente deve automantenersi perché se perde questa capacità a un certo punto il midollo non è più in grado di produrre nessuna di queste cellule, infatti sono presenti un gruppo di malattie che si chiamano aplasia midollare il quale interessa appunto questa cellula staminale totipotente che non è più in grado di differenziarsi, portando il midollo a svuotarsi delle cellule. In condizioni normali, ogni ora sono prodotti: 10'° globuli rossi e 10° globuli bianche, 24 ore su 24 per tutta la vita. In condizioni di stress (perdita acuta di sangue, infezione) i fabbisogni possono aumentare di 10 volte. La CST circola liberamente nel sangue periferico, ma solo nel midollo prolifera e si differenzia. Gli eritrociti “neonati” detti reticolociti (RTC), rimangono tali per 3 giorni; di questi ne trascorrono 2 nel MO e 1 in circolo prima di diventare eritrociti maturi con l’espulsione dei residui degli organuli citoplasmatici. La conta dei RTC è fondamentale per la diagnostica delle anemie: se i RTC sono bassi, la causa di anemia è il deficit produttivo del MO; se sono elevati, essa dipende da fattori extra midollari. pag. 45 Fasi dell’emopoiesi L’automantenimento è la fase più importante, è di pertinenza delle cellula staminale totipotente dopodiché la CST si orienta in senso linfoide (dal quale avranno origine tutte le popolazioni linfocitarie) oppure in senso mieloide. Da queste cellule in senso mieloide si differenzieranno poi le cellule di pertinenza eritroide, mieloide propriamente detta o megacariocitaria che poi andranno incontro ad una maturazione. Fattori di crescita implicati nell’emopoiesi L’attività proliferativa del MO è sostenuta da ormoni detti fattori di crescita. Essi sono prodotti da vari tipi di cellule, in particolare monociti e linfociti. Fra questi i più importanti sono l’eritropoietina (Epo) che stimola la produzione di globuli rossi, il GMCSF per le serie granulo-macrofagica e granulocitaria, il GCSF per i granulociti, la trombopoietina per i megacariociti, le interleuchine 1 e 6 e altre il cui bersaglio sono le stesse CST. I fattori di crescita granulocitarie vengono somministrati soprattutto a pazienti che sono in corso di chemioterapia poiché i globuli bianchi diventano così bassi da diventare suscettibili alle infezioni. Timing e sedi dell’ematopoiesi PRENATALE POSTNATALE L’emopoiesi avviene in diverse sedi a seconda se si considera la vita prenatale o la vita postnatale. Nella VERTEDRE fase iniziale della gravidanza i processi emopoietici a livello del fegato avvengono soprattutto nel sacco vitellino poi si spostano nel fegato e nella milza dove man mano che ci avviciniamo alla nascita si spostano nel midollo osseo. Dalla nascita in poi, in condizioni MEDA TA SNASCITÀ 20 fisiologiche dovrebbe essere solo nel midollo osseo e in età diversa a seconda della varie tipologie di osso l’emopoiesi viene persa a livello delle ossa lunga come nelle costole, tibia e del femore mentre viene mantenuta anche nell’età più avanzate a livello dello stemo, vertebre e ossa del bacino. Importante saperlo per l’aspirato midollare o la biopsia ossea. CELLULARITA? (%) Il midollo osseo è formato da: - Cellule emopoietiche - Vasi - Cellule stromali: o Adipoci o Fibroblasti o Macrofagi o Mastociti - Matrice extracellulare Il tessuto osseo invece presenta: 1. Osteoclasti: cellule specializzate nel riassorbimento di tessuto 2. Osteoblasti: cellule specializzate nella produzione di tessuto osseo 3. Osteociti: cellule crescenti che possono trasformarsi in osteoblasti 4. Matrice ossea (trabecole) In molte malattie ematologiche è necessario esaminare le cellule del midollo osseo, ottenute mediante agoaspirato midollare (AM) che si esegue su cresta iliaca anteriore o posteriore o sul manubrio dello sterno. Talvolta si rende necessario l'esame istologico del midollo o biopsia osteomidollare (BOM): mediante un pag. 46 ago speciale si preleva un frammento di cresta iliaca posteriore di circa 2 cm di lunghezza e, dopo specifiche colorazioni, si valutano la cellularità del tessuto emopoietico e i suoi rapporti con il microambiente nel quale le cellule del sangue proliferano e maturano. In altre parole, con 1’ AM si valutano le caratteristiche delle singole cellule emopoietiche: numero, forma, maturazione, proliferazione normale o patologica; con la BOM si esamina il tessuto emopoietico nel suo complesso: iperplasia/ipoplasia/aplasia, infiltrazione da parte di altri tessuti, presenza o meno di fibrosi midollare... Composizione del sangue Il sangue è un tessuto connettivo liquido che scorre all’interno dell’apparato circolatorio. Esso possiede caratteristiche e componenti uniche e risulta costituito essenzialmente da: e Plasma:la matrice liquida del sangue, che ha densità solo lievemente maggiore rispetto a quella dell’acqua. Il plasma contiene proteine (albumine, globuline, fibrinogeno, plasminogeno e complemento) e numerosi soluti disciolti (acqua, lipidi, glucosio, aminoacidi e ioni) [55%] e Elementifigurati: costituiti da cellule ematiche e frammenti cellulari sospesi nel plasma. Questi elementi sono presenti in grande abbondanza e sono altamente specializzati. Gli eritrociti o globuli rossi, trasportano ossigeno e anidride carbonica [45%]. I leucociti o globuli bianchi, meno numerosi, sono componenti del sistema immunitario. Le piastrine sono frammenti di citoplasma avvolti da membrana, contenenti enzimi e altri fattori essenziali per la coagulazione del sangue [1%] Quando vogliamo andare a studiare l’emopoiesi il primo esame da effettuare è l’esame emocromocitometrico EMATOLOGIA ESAME EMOCROMOCITOMETRICO ERITROCITI 84308 (emoglobina) 8a coil) (I E MEV volume Corpuscolae Medal B-MCH iConterute HG medio) B MEHC Conc. HUB Giabulare Media BRDWMCV lAnisocimsi REC CV%) LEUCOCITI E FORMULA LEUCOCITARIA BBC (Leucocio] BNEUTROMILI BUNFOCITI BMONOCITI BEOSINOFILI B-8ASOFILI PIASTRINE REPLI iPiaerrine). PONY {Aniscocitosi PL B-MPY! [Volume piastrinico mediali CONTEGGIO RETICOLOCITI BRENCOLOCIM ara 19,70 #50 uo Bisogna osservare: emoglobina, numero dei leucociti, numero delle piastrine e il numero dei reticolociti. Quest'ultimo ci permette di dare delle informazioni molto importanti per quanto riguarda i pazienti che hanno un difetto di emoglobina. Un altro esame che viene effettuato è lo striscio di sangue periferico: consiste nel prendere una goccia di sangue capillare (come per la misurazione della glicemia) che viene strisciato su un vetrino portaoggetti, colorato, coperto e osservato al microscopio. I globuli bianchi nel sangue periferico o Neutrofili: rappresentano il 50-70% dei leucociti circolanti. Il loro nome deriva dal fatto che i granuli citoplasmatici, contenti enzimi lisosomiali e composti battericidi, non si colorano. o Eosinofilo: devono il loro nome ai granuli che si colorano intensamente con l’eosina, un colorante acido di colore rosso e rappresentano il 2.4% dei leucociti circolanti o Basifilo: possiedono granuli che si colorano intensamente con i coloranti basici e in uno striscio standard appaiono di colorito blu o porpora. Sono piuttosto rari, rappresentano meno dell’ 1% della popolazione leucocitaria pag. 47 Ci sono delle condizioni in cui il midollo non riuscirà più a produrre globuli rossi (aplasia midollare) oppure altre provocheranno la distruzione precoce degli eritrociti e questo permette una riduzione della massa eritrocitaria. Un’altra condizione avviene in corso di emorragia dove avviene tutto correttamente ma a causa di un’emorragia viene perso tutto quanto. Le cellule del rene percependo questa riduzione del sangue aumenterà a produzione di eritropeintina che cercherà di indurre il midollo osseo a produrre di più per far arrivare il sangue a livelli standard. Cause dell’anemia: e Condizioni emorragiche e Condizioni di ridotta emopoiesi: compromissione della sintesi dei globuli rossi (deficit di ferro, acido folico e vitamina B2) e Condizioni di emolisi (precoce distruzione dei globuli rossi) In tutte le condizioni di anemia per capire qual è la causa bisogna eseguire il conteggio dei reticolociti perché ogni volta che si ha una riduzione dell’emoglobina si avrà un aumento dell’eritropoietina che stimolando l’eritropoiesi dovrebbe far aumentare i globuli rossi giovani. Anemia — 2° gruppo: anemia emolitiche [quando gli indici di emolisi sono patologici] In questo gruppo sono incluse le anemia dovute alla riduzione della vita media eritrocitaria al di spotto dei consueti 120 giorni sia attraverso un meccanismo emolitico sia a causa di un'emorragia. L’emolisi, cioè la distruzione dei GR, è definita compensata quando non compare anemia, in quanto il MO, aumentandone la produzione giornaliera di emzie fino a 4-6 volte, riesce a far fronte alla più rapida distruzione eritrocitaria. È invece scompensata qualora compaia l’anemia in qunato l’entità dell’emolisi supera la riserva funzionale del MO. Elementi caratteristici dell’'emolisi: ® Riduzione della vita media delle emazie ® Aumento della bilirubina totale e indiretta ® Iperplasiaeritroblastica nel midollo osseo * Reticolocitosi ® Aumento dell’LDH La latticodeidorgenasi (LDH) è un enzima intracellulare liberato nell’emolisi come in qualsiasi altra situazione di lisi cellulare e aumenta nel siero. L’aptoglobina è una proteina circolante che lega 1’Hb libera: in caso di abbondante presenza di quest’ultima in circolo, il livello dell’aptoglobina libera diminuisce nel siero. Nell’emolisi grave si può arrivare anche all’emissione di Hb libera con le urine (emoglobina). Yta le anemia emolitiche distinguiamo quhelle da causa intracorpuscolare, nelle quali la ridotta sopravvivenza è dovuta a un’alterazione strutturale o metabolica della cellula, o da causa extracorpuscolare, in cui l’eritrocito è normlae, ma l’aggressione dell’esterno ne determina la distruzione. Anamnesi: Forme ereditarie Forme acquisite Difetto della membrana eritrocitaria (es: sferocitosi, Anemia immuno-emolitiche ellissocitosi) Difetto emoglobinico (es: talassemia) Emolisi da frammentazione Difetto metabolico eritrocitario (es: difetto di Danni eritrocitari “ambientali” G6PD) Forme ereditarie Sferocitosi ereditaria È trasmessa come fattore autosomico dominante a penetranza variabile. Il meccanismo responsabile dell’emoli un'alterazione delle membrana eritrocitaria che diventa particolarmente permeabile al sodio. pag. 50 ciò causa un maggiore dispendio energetico per oppotsi all’eccessivo ingresso di sodio e acqua nell’emazia fino a che il meccanismo difensivo della cellula non viene sopraffatto: a questo punto essa si rigonfia, diventa meno elastica, meno resistente alla pressione osmotica e più sensibile al sequestro splenico. L’emolisi è extravascolare. L’anemia quando presente mostra una doppia popolazione di GR: una con elementi piccoli e rotondi, caratteristici della malattia, l’altra con elementi grandi corrispondenti ai reticolociti, sempre molto elevati. I globuli rossi sono colorati dello stesso colore. Sindromi talassemiche Le sindromi talassemiche sono disordini ereditari dovuti all'assenza di attività di uno o più geni responsabili della sintesi di una catena globinica (B o 01) costituente l’HbA dell’adulto: il che comporta conseguentemente una ridotta o assente sintesi dell’Hb stessa. Viene chiamata anche target cell perché hanno un bordo più accentuato colorato di rosso, la zona intermedia chiara e una zona centrale più scura perché l’emoglobina epatologica tendono a precipitare all’interno di queste cellule. Deficit di GOPD L’accorciamento della vita media eritrocitaria dovuto a un difetto enzimatico che determina un'alterazione del metabolismo delle emazie è caratteristica comune a tutte le anemie emolitiche enzimopeniche. Tra queste la più comune è quella da deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi, un enzima necessario per lo sfruttamento energetico del glucosio all’interno della cellula. Attraverso questa vita metabolica, detta “dei pentosi”, si rigenera un tampone, il glutatione ridotto (GSH), essenziale per proteggere l’Hb dall’ossidazione e quindi dalla denaturazione. Mancando la G6PD, 1’Hb non più protetta, si ossia e precipita sulla membrana eritrocitaria danneggiandola. La malattia è genetica, trasmessa dal cromosa X. Esistono oltre 150 varianti dell’enzima G6PD delle quali due, dette A e B, sono le varianti normali predominanti nell’etnia bianca e nera. Si ritiene che circa 400 milioni di persone nel mondo abbiano un deficit di G6PD. Il G6PD A- è la variante enzimatica deficitaria più comune nelle popolazioni bianche dei Paesi mediterranei. Dal punto di vista clinico si possono distinguere diverse sindromi da deficit di G6GPD: 1. Anemia emolitica da farmaci: l'assunzione di un farmaco ossidante, in assenza dell’enzima scatena una crisi emolitica. I farmaci più frequentemente responsabili sono: aspirina, FANS, cotrimossazolo, chinino, sulfamidici, ecc. La crisi emolitica compare alcuni giorni dopo l'assunzione con dolori lombari, febbre, ittero, astenia. 2. Favismo: alcuni soggetti mediterranei con deficit di GGPD A- possono avere crisi emolitiche gravi, oltre che per l'assunzione dei farmaci anche dopo l’ingestione di fave o altri legumi. Tale anomalia è frequente in Sardegna. Dopo 6-24 ore dall’ingestione di fave compare la crisi emolitica acuta con febbre, anemizzazione, diarrea, vomito e talvolta insufficienza renale acuta. 3. Anemia emolitica cronica: alcuni pazienti con deficit di G6PD presentano, come unica anomalia, una ridotta sopravvivenza degli eritrociti. La terapia consiste nell’evitare farmaci o sostanze ossidanti. Anemia post-emorragiche [quando gli indici di emolisi sono normali] Dopo un’emorragia, a seconda della sua entità, si instaura un’anemia il cui grado varia in rappoito al volume della perdita di sangue. anche emorragie relativamente modeste, soprattutto se brusche, causano disturbi quali: astenia, ipotensione nel passare dalla posizione supina a quella eretta (ipotensione ortostatica), sudorazione, cefalea, ecc. La terapia si basa su trasfusioni e/o liquidi sostitutivi del plasma perso. Anemie — 1° gruppo: difetto di produzione Fanno parte di questo gruppo le anemie da insufficiente produzione di GR o Hb. La ridotta produzione di emoglobina può dipendere da carenza o indisponibilità dei suoi costituenti come ferro o proteine, mentre la insufficiente produzione di GR può essere causata da un difetto maturativo dei precursori eritroidi dovuto pag. 51 alla mancanza di vitamine del gruppo B, necessari ai processi proliferativi delle cellule, o a un difetto intrinseco della cellula staminale che le impedisce di maturare normalmente. La grandezza dei GR, indicata come MCV, in queste anemia può essere aumentata, normale o ridotta aiutandoci a differenziare le varie condizioni patologiche. MCV Ridotto Normale Aumentato Carenza marziale IRC Carenza acido folico Malattie croniche Carenza vitamina Bi? Anemia da carenza di ferro 0 sideropenica È l’anemia più frequente, soprattutto nei bambini e nelle donne in età fertile. È un’anemia cronica, pertanto i disturbi prevalenti sono: astenia, adinamia, facile stancabilità, pallore, cefalea. Determinazione dello stato del ferro Per stabilire se abbiamo una carenza di ferro nel nostro organismo, possiamo, “dosare” due molecole: Sideremia 60 - 150 mg/dl TIBC (total iron binding capacity) 250 - 360 mg/dl — 7 1. Sideremia, ovvero il ferro circolante Saturazione della transferrina 16-50 % 2. Ferritina sierica, è una molecola che è in equilibrio con la ferritina presente nei tessuti. Se troviamo alta la ferritina sierica vuol dire che è alta la ferritina nei tessuti. Questa è importante perché è la molecola di deposito del ferro all’intemo del nostro organismo. Bassa la sideremia e bassa la ferritina sierica nell’organismo non è presente ferro. Se invece è bassa la sideremia ma alta la ferritina vuol dire che nell'organismo è presente il ferro ma ci sono delle condizioni che non permettono il consumo corretto. M: 20 - 300 mgil Ferritina sierica F: 15 -200 mgll Il ferro viene assorbito a livello della funzione terminale del duodeno e che per essere assorbito ha bisogno che vi sia un’integrità della funzione gastrica perché l’acidità dello stomaco permette una trasformazione dello ione ferrico e ferroso che poi viene assorbito a livello dell’intestino. Ciclo del ferro Il quantitativo totale del ferro nell’organismo è stimato per l’uomo e per la donna rispettivamente in circa 50- 35 mg per kg di peso corporeo, considerando quello presente sia nell’Hb sia nei depositi. Una piccola parte di Fe circola nel plasma legato alla transferrina, mentre un’altra modesta quantità è inclusa nella mioglobina e in latri enzimi. Dieci ml di sangue contengono circa 5 mg di Fe. Il Fe può essere rapidamente mobilizzato dai depositi, dove si trova sotto forma di ferritina, una proteine presente nel fegato, nella milza e nel MO. Essa lega il Fe assorbito della mucosa intestinale e quello derivante dalla distruzione dei GR alla fine della loro vita. La ferritina sierica (dosabile) è sostanzialmente proporzionale ai depositi di Fe, per cui la ferritinemia ci indica con discreta attendibilità le scorte di Fe possedute da un individuo. L’altra forma di deposito del Fe è l’emosiderina, una specie di polimero della ferritina dal quale il metallo viene rilasciato con minor facilità. Il Fe è trasportato in circolo da una proteina, la transferrina che, legata a esso, si trasforma da insatura in satura. La transferrina totale o capacità totale Fe-legante, costituita dalla proteina insatura e da quella satura, indica la percentuale della proteina di trasporto saturata con il Fe in quel precido momento. la sideremia, indicata spesso come Fe, risente maggiormente del contenuto del metallo nei cibi recentemente ingeriti. Generalmente il fabbisogno medio giornaliero di un adulto è di circa 1 mg di Fe, mentre aumenta nettamente nel neonato, nell’adolescente, nella donna in età fertile, in gravidanza e durante l'allattamento. Il ferro perso è dovuto alla fisiologica esfoliazione delle cellule dell’epitelio gastroenterico, che comporta l’eliminazione giornaliera di circa 0.5 mg di metallo. pag. 52 Anemia cronica I sintomi e i segni sono derivanti da ipoperfusione ed ipossia tissutale Manifestazioni cliniche * Astenia ® Febbricola (di accompagnamento alle anemie severe) ® Aumentata sensibilità al freddo e Cefalea, acufeni, irritabilità, difficoltà di concentrazione (SNC), anoressia, nausea, stipsi, diarrea (sintomi gastrointestinali), irregolarità mestruali e perdita della libido (sintomi genitourinari) * Pallore cutaneo e mucoso e Coilonichia: unghie concave, orlate e fragili ® Tachicardia e palpitazioni (nell’anziano e scompenso cardiaco) e Cheilite angolare: fessurazioni ed ulcerazioni agli angoli della bocca * Glossite ® I capelli si spezzano con facilità perché oltre all’anemia si avrà anche una carenza di ferro Obiettivamente: polso celere, frequente e soffio sistolico funzionale Diagnosi: = Anamnesi = Esameobiettivo = Ematochimici: emocromo, indici di emolisi, stato del ferro, elettroforesi dell'emoglobina, dosaggio vitamina B;» ed acido folico, conteggio dei reticolociti = Esame morfologico di striscio di sangue periferico = Esame morfologico di striscio di sangue midollare = Esameistologico di biopsia ossea = Citogenetica, immunocitochimica, immunoistochimica... Terapia: L’anemia è la conseguente di una malattia quindi da un lato dobbiamo ripristinare il valore di emoglobina ma dall’altro curare la malattia dal quale proviene. Quindi dalla patologia che ha causato l’anemia insieme al supporto trasfusionale con GRC (fornire globuli rossi al paziente mediante trasfusione), supplementazione di ferro, vitamina B12, acido folico ecc. Trasfusione di emocomponenti ed emoderivati Gli emocomponenti sono frazioni del sangue (globuli rossi, plasma, piastrine) ottenute mediante mezzi fisici semplici mentre gli emoderivati sono specialità medicinali (albumina, immunoglobuline, fattori della coagulazione) estratte dal plasma mediante un processo di lavorazione industriale. Prima di andare a trasfondere emocomponenti o emoderivati è necessario il consenso informato del paziente, per i testimoni di Geova può essere sostituita con eritropoietina. Indicazioni: ® Hb: 6 g/dl: anemia cronica, circolazione extracorporea, emodiluizione intraoperatoria ® Hb: 7-8 g/dl: pazienti non sintomatici e con buon compenso cardiocircolatorio, pazienti intra- e post- chirurgici con parametri vitali stabili se anestetizzati ® Hb:9 g/dil: pazienti sintomatici, pazienti di età avanzata o con patologie cardiache, polmonari, vascolari, ventilazione assistita, talassemia pag. 55 Reazioni trasfusionali Re: molitiche: sono dovute a errore nell’identificazione del paziente o nella determinazione del gruppo o ad altri anticorpi “inattesi”, indotti da precedenti trasfusioni o da gravidanza. La trasfusione deve essere immediatamente sospesa, il tubo deflussore va sostituito. Il trattamento è soprattutto volto alla prevenzione dell’insufficienza renale acuta e comprende un'adeguata idratazione per mantenere il flusso urinario ad almeno 100 ml/ora. Reazioni non emolitiche: sono caratterizzate da brivido, febbre, dermatite orticarioide e prurito. Si osservano ini paziente precedentemente trasfusi e sono dovute ad Ac contro proteine plasmatiche o antigeni leucocitari del donatore. L’ipertermia da brivido il più delle volte è dovuta alla presenza di Ac anti-PLT e antileucociti. Il trattamento comprende l’uso di antistaminici ed eventualmente corticosteroidi Reazioni allergiche: viene considerata come una immuno reazione patogena perché alcune persone possono dimostrare una scarsa tolleranza nei confronti di alcune molecole (polline, punture delle vespe, polvere...) questo avviene perché il loro sistema immunitario riconosce e tende a distruggere e a crescere una reazione immunitaria nei confronti di queste molecole, questo avviene nell'ambiente ma alcune di queste molecole possono essere presenti nei concentrati eritrocitari, nel plasma fresco congelato o nei concentrati piastrinici. Solitamente le reazioni allergiche prevalgono quando al paziente viene trasfuso plasma fresco congelato o concentrati piastrinici, questa condizione si verifica poiché il corpo non riconosce propri questi elementi portando allo sviluppo di reazioni allergiche. Prima di effettuare una trasfusione di può somministrare al paziente del cortisone, questo è un farmaco che permette di inibire le reazioni immuni. Sovraccarico circolatorio: si verifica soprattutto negli anziani e bambini o nei cardiopatici per eccessivi liquidi trasfusi che comportano un aumento del ritorno venoso. In questo caso si rallenta la velocità della trasfusione e si somministrano diuretici; può essere necessario interrompere la trasfusione Tos: da citrato: la presenza del sodio citrato che lega avidamente il calcio può dare un’ipocalcemia acuta con tetania che può essere controllata con la somministrazione di calcio gluconato Trapianto allogenico Il donatore è diverso dal paziente Trapianto autologo Il donatore e il ricevente sono la stessa persona Anemia in gravidanza Le donne durante la gravidanza la frazione plasmatica tende ad aumentare rispetto alla frazione cellulare trovandoci davanti a una emodiluizione. Nel 1995 il 43% delle donne gravide erano anemiche mentre nel 2011 il 38%. Questa situazione aumenta man mano che aumentano i mesi (3° trimestre). Condizioni precedenti: pag. 56 Aver avuto altre gravidanze: le riserve di ferro è possibile che non siano state ripristinate, appena la donna inizia una nuova gravidanza si trova in deficit di ferro e quindi in una condizione di anemia Gravidanza gemellare Insufficiente introduzione di vitamine nella dieta Vomito: perché mangia poco e tende a mangiare cibi che non contengono ferro Ciclo abbondante Gravidanze in soggetti giovani perché l’adolescenza le richieste di ferro sono aumentate Anemica prima della gravidanza Cause: = Difetto di ferro ® Difetto diacido folico e Bia È importante correggere l’anemia perché può essere responsabile: * Parto prematuro ® Peso del feto ridotto e Maggiorrischio di depressione post partum ® Bambini durante la crescita possono avere un rallentamento dello sviluppo psichico ma anche un deficit dello sviluppo L’anemia da carenza di acido folico ora non dovrebbe più essere presente poiché l’acido folico viene dato a tutte le donne gravide perché con il tempo il difetto di acido folico portava a un rallentamento della crescita di alcune parti del sistema nervoso. Difetto di vitamina B;» può provocare: Feto: ® Aumento del rischio di morte fetale e Aumentata resistenza insulina: condizione che può predisporre lo sviluppo di diabete * Problemi delle strutture nervose Madre: * Pallore * Tachicardia e Tolleranzaall’esercizio * Fatica Terapia: Dosaggio della concentrazione di vitamina B;2 nel serio se sono <200 la si somministra per via parenterale Emostasi È un processo fisiologico deputato all'arresto delle emorragie spontanee o provocate da traumi o ferite Tappe emostatiche: ® Lesione vascolare e Contrazione del vaso sanguigno leso ® Adesione delle piastrine al collagene esposto sotto l’endotelio leso ® Modificazione di forma delle piastrine che da discoidali diventano sferiche con protuberanze spinose ed aggregano tra loro formando un primo tappo emostatico (trombo piastrinico) ® Attivazione locale dei processi che determinano la conversione del fibrinogeno in fibrina che si deposita localmente sulla guida del tappo piastrinico e Consolidamento del coagulo che si è formato ® Rimodellamento e dissoluzione del coagulo attraverso la digestione della fibrina con completa riparazione della parete vascolare pag. 57 Sistema fibrinolitico Platelet: adhore to site of vascular injury Platelet aggregation and activation Haomoztate plug formation Sono delle molecole Seguito che vengono Ò prodotte 0 da cellule endoteliali o dalle cellule ’— epatiche. La molecola più importante che appartiene al sistema fibrinolitico è il plasminogeno il quale verrà attivato durante la cascata della coagulazione è ha il compito, una volta che il coagulo ha bloccato l'emorragia, di portare a una riassorbimento di questo. Durante una lesione della parete vascolare la prima che avviene è la contrazione della parete vascolare questo perché il vaso cerca di opporsi alla perdita di sangue contraendo la parete vascolare stessa. Successivamente, se vengono perse le cellule endoteliali le molecole del sotto endotelio verranno esposte e riconosciute dalle piastrine che sono nel sangue che passa sopra la lesione vascolare, le piastrine si attivano e cambiando il loro aspetto e unendosi le une alle altre bloccandosi nella zona lesa formano il primo tappo che impedisce l'emorragia, chiamato tappo piastrinico 0 tappo bianco. Successivamente sono stati attivati tutti i fattori della coagulazione che portano alla formazione di fibrina il quale le fibre di fibrina porteranno un reticolo attorno alle piastrine e nel mezzo che ha il compito di stabilizzare il coagulo fino a quando la lesione vascolare non verrà riparata. In mezzo a questi coaguli di fibrina verranno bloccati anche i globuli rossi che passano vicino alla zona parlando in questo momento di coagulo rosso perché il coagulo assume una colorazione rossa dovuta ai globuli rossi intrappolati. Possono succedere 2 cose: ECM protein Smooth mucio cet Fattore piastrinico 1. Vengono attivati le molecole della fibrinolisi: si formano delle molecole che hanno il compito di tagliare le fibre di fibrina permettendo al coagulo di dissolversi completamente creando una parete vascolare integra 2. Invasione dei fibroblasti che permette di formare il tessuto connettivo che si estende al coagulo creando la cicatrice Patologie che derivano da uno squilibro dell’emostasi = Tutte le volte che prevalgono i meccanismi che inibiscono i processi emostatici (funzione delle cellule endoteliali, delle piastrine...) si avrà la comparsa di manifestazioni emorragiche = Tuttele volte che prevalgono i meccanismi che favoriscono l’emostasi si avrà la diatesi trombofilica Diatesi emorragica Tendenza a manifestare emorragie spontanee o episodi emotragici di entità non proporzionata all’agente lesivo Manifestazioni cliniche: * Petecchie * Ecchimosi * Ematomi e Gengivorragie ® Epistassi ® Meno-metrorragie ® Sanguinamento intraparenchimale e Sanguinamento endocavitario e Anomalo sanguinamento in corso di interventi chirurgici pag. 60 La diatesi emorragica compare da: = Alterazione del fattore vascolare Difetto congenito: e Collagene: Sindrome di Ehlers-Danlos (iperflessibilità delle articolazioni, iperelasticità della cute, cute sottile e fragile), Osteogenesis imperfecta La sindrome di Ehlers-Danlos: tipo vascolare (tipo IV) è una rara forma causata da mutazioni del gene COL3AI1. La proteina prodotta dal gene COL3A1 è usata per assemblare molecole di dimensioni maggiori definite collagene di tipo III responsabili della struttura e della forza del tessuto connettivo. Il collagene di tipo III si trova soprattutto nella pelle, nei vasi sanguigni e negli organi interni. Complicanze: rottura improvvisa di un vaso alterioso 0 venoso, rottura dell’intestino o dell’utero, anche in corso di gravidanza. ® Fibre elastiche (Pseudoxantoma elastico) e Collagene + fibre elastiche (Sindrome di Marfan) ® Endoglina, ALK-1, Smad4 (teleangectasia emorragica ereditaria, HHT) Teleangectasia emorragica ereditaria (HHT): è un disturbo ereditario in cui i vasi sanguini sono malformati, fragili e inclini al sanguinamento. I vasi sanguigni dilatati si rilevano sulla cute e sulle pareti di bocca, naso e intestino, se i vasi si rompono, inizia un’emorragia attiva, soprattutto a livello nasale. Inoltre, generalmente la comparsa di vasi sanguini dilatati sulle labbra e sulla lingua è sufficiente per porre una diagnosi. L’emorragia viene fermata e vengono somministrati integratori a base di ferro o trasfusioni di sangue, qualora vi sia anemia. I vasi sottocutanei possono rompersi e sanguinare, determinando piccole aree depigmentate, di colore rosso-violetto, specialmente sul volto, sulle labbra, all’interno della bocca e del naso e sulla punta delle dita delle mani e dei piedi. Può verificarsi anche grave sanguinamento nasale. Possono essere interessati anche i vasi di piccolo calibro degli apparti digestivo e urinario, nonché di cervello, fegato, polmoni e midollo spianale, con emorragie in queste sedi. Se gli episodi emorragici si verificano di frequente, i soggetti possono sviluppare una bassa conta ematica (anemia). Difetto acquisito: o Collagene (Scorbuto) Lo scorbuto è una delle più antiche malattie conosciute dall’uomo, legata ad una grave carenza di acido ascorbico (vitamina C). La C è tuttavia una vitamina fragile, che viene perduta con la cottura, la conservazione prolungata, la luce solare e lo sminuzzamento dei cibi; per questo motivo lo scorbuto è stato a lungo una malattia tipica dei marinai, privati di vegetali freschi durante le interminabili traversate oceaniche. Il fabbisogno di questa vitamina aumenta in seguito a sforzi fisici e psichici di vario tipo; non a caso lo scorbuto era tipico dei soldati e dei già citati marinai. La vitamina C è importante perché entra nella sintesi delle fibre di collagene che entrano nella struttura della parete vascolare. o Connettivo di supporto (Cushing, corticosteroidi sistemici e locali) o Deposizione di molecole patologiche (Amiloidosi, Vasculiti) Diatesi emorragica da alterazione del fattore vascolare: terapia ® Trattamento della malattia di base = Alterazione del fattore piastrinico Difetto qualitativo: alterata funzione o piastrinopatie Le piastrinopatie possono essere dovute a difetti congeniti o acquisiti della funzionalità delle piastrine che, per carenze enzimatiche o per fattori plasmatici esterni a esse, non riescono a svolgere la loro funzione pag. 61 emostatica. L'esplorazione funzionale delle PLT è molto complessa; parzialmente utili sono i test di aggregazione piastrinica di Borne o Breddin. Classificazione delle piastrinopatie: » Formeereditarie: difetto di adesione, difetto di aggregazione, difetto di attivazione e difetto della reazione di rilascio Aggregazione piastrinica nella malattia di Bernard-Soulier La sindrome di Bernard-Soulier (BSS) è un disordine emorragico autosomico recessivo estremamente raro causato da scarsa adesione delle ale della emostasi. La tromboastenia di Glanzmann (GT) è una sindrome emorragica ereditaria caratterizzata dal prolungamento del tempo di emorragia con una sostanziale normalità del numero di piastrine che però hanno perduto la capacità di aggregarsi in risposta agli stimoli fisiologici. =» Formeacquisite: farmaci, epatopatie, uremia, malattie immuni, tumori, attivazione piastrinica in vivo Sostanze con attività antiaggregante o Antiaggreganti classici: acido acetilsalicilico, dipiridamolo, indobufene, ticlopidina, clopidogrei, prostaciclina, AM anti-GPIIb-Ila e derivanti o Antiinfiammatori non steroidei: tutte le sostanze sono in grado di inibire la cicloossigenasi, inibendo questo inibisce l'aggregazione delle piastrine o Antibiotici: ampicillina, meticillina, penicillina, cefalosporine, carbenicillina, mezlocillina, piperacillina... o Citostatici: actinomicina D, ciclofosfamide, mitramicina, alcaloidi della vinca o Vari: acido valproico, anestetici locali, antidepressivi triciclici, betabloccanti, calcioantagonisti, clofibrate... Difetto quantitativo: diminuzione del loro numero Le piastrinopenie possono essere classificate in base al meccanismo fisiopatologico che le causa: = Ridotta produzione Fanno parte di questo gruppo le piastrinopenie dovute a riduzione del numero dei megacariociti midollari o a loro incapacità maturativa, cioè quelle dovute ad aplasia midollare, a infiltrazione midollare da parte di neoplasie del sistema emopoietico di altri organi o a sindromi mielodisplastiche o, infine, a deficit di vitamina Bo di acido folico pag. 62 Diatesi trombofilica Tendenza all’eccessivo deposito di fibrina in corrispondenza della parete vascolare in risposta a stimoli che, in condizioni normali, non sono in grado di favorire la trombosi Malattie tromboemboliche L’alterazione più comune delle vene periferiche è la trombosi venosa ovvero la presenza di un trombo in una vena superficiale o profonda e la concomitante risposta infiammatoria, che può essere minima con semplice alterazione endoteliale o con infiltrazione di granulociti e edema. I meccanismi fisiologici alla base della trombosi venosa sono l’alterazione della parete vasale, il rallentamento del circolo e stati di ipercoagulabilità questi tre meccanismi vengono denominati come la triade di Virchow. Essi possono agire isolati o in associazione. Le alterazioni della parete venosa si producono in occasione di traumi, come interventi chinugici specie ortopedici, sul torace e sull’addome. La tromboflebite superficiale può originare dopo somministrazione venosa di sostante irritanti come farmaci antiblastici, soluzione ipertoniche, mezzi di contrasto radiologici, droghe. Nei meccanismi patogenetici della trombosi tali alterazioni (accelerazione o rallentamento) hanno un ruolo di grande importanza. L’accelerazione contribuisce in modo paiticolare alla formazione di trombi a livello dei vasi arteriosi, mentre per quanto riguarda le trombosi venose è il rallentamento del flusso sanguigno che svolge un’azione di tipo protrombotico. Il rallentamento del flusso ematico (si parla anche di stasi ematica) può verificarsi per diversi motivi: può essere per esempio provocato da una riduzione dell’attività della pompa muscolare (come capita nelle immobilizzazioni di lunga durata) oppure da un aumento del calibro del vaso (come nel caso di formazioni di varici) o anche nel caso di ostruzione parziale o completa del flusso di sangue (come accade per esempio quando si ha una compressione del vaso dall’estemo). L’ultimo meccanismo che costituisce la triade di Virchow è l’ipercoagulabilità, che può essere genetica oppure acquisita. In condizioni fisiologiche normali, una coagulazione eccessiva viene inibita grazie a una serie di meccanismi che limitano l'attivazione delle proteine della coagulazione. In altri termini: fino al momento in cui non vi sono situazioni per le quali è richiesta l’attivazione del meccanismo emostatico, la coagulazione è controllata in modo tale che il sangue mantenga la sua fisiologica fluidità. Il controllo della coagulazione è demandato a diverse sostanze che sono presenti nel sangue, ovvero le sostanze anticoagulanti (antitrombina III, proteina C, proteina S ecc.) e la plasmina. Se, peri più svariati motivi, si verifica un problema che provoca uno squilibrio dei meccanismi sopracitati tale da favorire un aumento dell’attività coagulante, si determina un quadro di trombosi. Formazione di coagulo nel lume venoso Il flusso rallentato e turbolento nelle vene induce stasi e promuove la coagulazione La polimerizzazione della fibrina stabilizza il coagulo Crescita del coagulo La crescita del trombo avviene in progressione prossimale lungo la vena Trombosi venosa + danneggiamento delle vene, embolia polmonare GRONT La trombosi venosa profonda è una condizione più grave, per la possibilità di complicarsi con l’embolia polmonare ovvero un’ostruzione acuta, ricorrente o cronica di uno o più vasi arteriosi polmonari determinata dalla presenza di coaguli ematici. Sebbene la TVP sia generalmente correlata alla formazione di trombosi venosa negli arti inferiori e/o nella pelvi, l'inserimento di cateteri venosi, pacemaker e defibrillatori cardiaci interni ha aumentato l’incidenza di TVP nelle estremità superiori. Si manifesta con dolore o dolenzia, in genere unilaterale, al polpaccio o alla coscia; in altri casi può essere asintomatica ed esordire con il quadro clinico dell’embolia polmonare. L'esame fisico permette di evidenziare edema ed eritema dell’arto colpito o dolorabilità locale alla palpazione profonda sulla vena interessata. Il test del D-dimero è sensibile ma non specifico ed è quindi più utile come test di esclusione. Le cause che possono aumentare il D-dimero sono: età, gravidanza, coagulazione intravascolare disseminata, infiammazione, infezioni, TEV (malattia tromboembolica venosa), scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica e chirurgia. Gli esami strumentali utili per la diagnosi sono: 1. Ecografia Doppler 2. TC pag. 65 3. RM: Permette di evidenziare le TVP prossimali con buona accuratezza, consente di valutare l’eventuale estensione iliaco-cavale della trombosi, utile per la valutazione del mediastino ed è indicata, in alternativa alla flebografia, nei pazienti con allergia o controindicazioni al mezzo di contrasto e/o con insufficienza renale 4. Flebografia periferica Manifestazioni cliniche TVP Dolore spontaneo o provocato dallo stiramento dei muscoli Rossore Cianosi Aumento della temperatura cutanea Crampi Aumento delle dimensioni dell’arto Edema franco Sviluppo di circoli collaterali La sindrome post-flebitica è una conseguenza della stasi venosa cronica da varici venose e di pregressi episodi di flebotrombosi. La cute assume una pigmentazione brunastra punteggiata da emorragie; il derma è fortemente ispessito e infiltrato. I pazienti con sintomi simili a quelli di una TVP ma negativi al controllo strumentale di conferma possono essere affetti da: = Patologie muscolari ed articolari = Rottura di cisti di Baker = Ematomi = Linfangitie celluliti = Reflusso venoso = Trombosi venosa superficiale = Sindrome post trombotica Nel sospetto di trombosi venosa profonda o embolia polmonare viene utilizzata una scala chiamata score di Wells. Il punteggio Wells combina alcune delle informazioni ottenute con anamnesi ed esame obiettivo; la sua capacità discriminante è superiore a quella delle informazioni isolate, sia per escludere che per suffragare una diagnosi clinica di TVP di un arto inferiore. Valutazione conclusiva: o Alta probabilità (score >3) o Media probabilità (score =1 0 2) o Bassa probabilità (score <0) Embolia polmonare Ostruzione acuta, ricorrente o cronica di uno o più vasi arteriosi polmonari, determinata dalla presenza di coaguli ematici provenienti da trombosi a sede periferica nel sistema venoso profondo (tromboembolia). Più raramente da fenomeni di trombosi locale (trombosi cardiaca o polmonare autoctona) oppure da emboli estranei alla normale composizione del sangue (embolie polmonari non trombotiche) Origine del trombo: bolle d’aria, cellule neoplastiche, cateteri venosi, emboli gassosi, talco nei tossicodipendenti, liquido amniotico, sepsi Rappresenta la più frequente causa di morte nei pazienti ospedalizzati. È stato calcolato che 1 pazienti ogni 1.000 ricoverati in ospedale sviluppa un’embolia polmonare, per un totale di 65.000 pazienti/anno in Italia. La mortalità globale dei pazienti con embolia polmonare è del 30%. Un appropriato trattamento, iniziato tempestivamente, riduce la mortalità al 2-8% pag. 66 Embolia polmonare m: tomi Se interessa grossi vasi * Dispnea * Tachicardia e Sincope ® Ipotensione Embolia polmonare non massiva: sintomi Se interessa vasi periferici * Doloretoracico e Tosse * Emottisi Esame obiettivo: L'embolia spesso provoca: dispnea acuta e dolore pleurico (in presenza di infarto polmonare). La dispnea può essere minima a riposo e può peggiorare durante l'attività. I sintomi meno frequenti comprendono: tosse (di solito causata da comorbilità), emottisi (si verifica occasionalmente in caso di infarto polmonare). Il primo sintomo nei pazienti anziani può essere un'alterazione dello stato mentale. L'embolia polmonare massiva può presentarsi con ipotensione, tachicardia, vertigine/presincope, sincope o arresto cardiaco. I segni più frequenti dell'embolia polmonare sono: tachicardia e tachipnea. Meno comunemente, i pazienti hanno ipotensione. Nell'embolia polmonare acuta può essere riscontrato un secondo tono cardiaco forte a causa di una forte componente polmonare legata all'aumento delle pressioni nelle arterie polmonari ma tale riscontro non è comure. sono solo modesti. Possono verificarsi crepitii o sibili, ma di solito sono dovuti a una comorbidità. In presenza di insufficienza ventricolare destra, possono essere evidenti la distensione delle vene giugulari interne e l'itto del ventricolo destro; possono essere auscultati ritmi di galoppo ventricolare destro (30 tono cardiaco), con o senza insufficienza tricuspidale. La febbre, quando presente, è solitamente di basso grado, a meno di non essere causata da una condizione sottostante. L'infarto polmonare è tipicamente caratterizzato da dolore toracico (soprattutto pleuritico) e, occasionalmente, emottisi. La parete toracica può essere morbida. L'ipertensione polmonare tromboembolica cronica provoca la sintomatologia dell'insufficienza cardiaca destra, compresa dispnea da sforzo, facile affaticabilità e edemi periferici che si sviluppano nel corso di mesi o anni. I pazienti con embolia polmonare acuta possono anche avere sintomi di trombosi venosa profonda (ossia, dolore, gonfiore e/o eritema di una gamba o un braccio). Tali sintomi della gamba tuttavia non sono spesso presenti. Diagnosi: e Rxtorace ® Scintigrafia polmonare e Angiografia polmonare e Angio-TC ® ECG> per sospettare un infarto miocardico. Se un pz ha un dolore toracico dobbiamo escludere una patologia cardiaca ® Ecocardiogramma > studia quali sono le dimensioni ® Emogasanalisi * D-dimero e TroponinaI Terapia del tromboembolismo venoso > terapia anticoagulante ® Inibizione della crescita del trombo pag. 67 Le complicanze possono essere: * Cerebrali o Encefalopatia Emorragia Trombosi Infarto lacunare TIA o Demenza * Cardiache o Ipertrofia ventricolare sinistra o Scompenso cardiaco o 000 o Aritmie o Angina o Infarto * Retiniche o Emorragie essudati o Edema della papilla * Vascolari © Dissecazione aortica o Placche ateromatose (aorta, carotidi, coronarie) * Renali o Nefrosclerosi o Insufficienza renale Manifestazioni cliniche: L’ipertensione essenziale ha in genere un inizio insidioso e rimane asintomatica per molto anni. Se non viene precocemente diagnosticata e adeguatamente trattata può creare gravi danni sui cosiddetti organi bersaglio: cervello, cuore, reni e vasi sanguigni. I principali sintomi si possono raggruppare in tre categorie in quanto sono considerati alle seguenti condizioni: 1. Pressione elevata 2. Malattia vascolare ipertensiva 3. Malattia sottostante in caso di ipertensione secondaria I sintomi dell’IA non complicata sono scarsi e non rilevanti: la cefalea, caratteristica soltanto dell’ipertensione grave, in genere è localizzata in sede occipitale ed è spesso presente al mattino quando il paziente si sveglia; vi possono essere inoltre capogiro, palpitazioni, facile stancabilità, impotenza. Quelli legati alla malattia vascolare sono costituiti da epistassi, ematuria, alterazioni delle vista conseguenti alla retinopatia, episodi di debolezza e vertigini dovuti a ischemia cerebrale transitoria, angina pectoris e dispnea provocata da insufficienza cardiaca. Esempi di sintomi correlati alla malattia sottostante nell’ipertensione secondaria sono: poliuria, debolezza muscolare secondari e ipopotassiemia nei pazienti con aldosteronismo primario; aumento di peso in pazienti con sindrome di Cushing. Il feocromocitoma può presentarsi, come si è visto, con crisi di cefalea, palpitazioni, sudorazione e vertigini posturali. Prognosi: ® Eziologia (primaria e secondaria), gravità e durata dell’ipertensione ® Adeguatezza del controllo terapeutico ® Presenzadialtii fattori di rischio, di patologie associate o di danni d’organo I rischi dell’iperteso: arteriopatia obliterante (AOCP) L’arteriopatia obliterante periferica (AOP) è una sindrome aterotrombotica dovuta all’ostruzione di un vaso arterioso a valle delle arterie renali. La conseguente ipoperfusione degli arti inferiori può determinare pag. 70 ‘un’ischemia acuta o cronica e portare fino alla necrosi dei tessuti. L’ AOP è provocata da processi aterosclerotici nella maggior parte dei casi. Perciò, quanti ne sono colpiti presentano un rischio elevato di complicazioni cardiache e cerebrovascolari. Ha un’incidenza maggiore quando associata a: - Diabete - Obesità - Ipercolesterolemia - Abitudine al fumo Esami diagnostici In tutti i pazienti affetti da ipertensione documentata, devono essere valutati: Creatinina e urea nel siero ed esame delle urine con microalbuminuria per escludere malattie renali Potassio nel siero in assenza di terapia diuretica: un basso valore indirizza alla ricerca di un iperaldosteronismo o di una stenosi dell’arteria renale 3. Esame emocitometrico, glucosio, colesterolo, trigliceridi, sodio, calcio, acido urico e TSH nel siero 4. ECG: la presenza di segni elettrocardiografici di ipertrofia ventricolare sinistra suggerisce che l’ipertensione è cronica 5. Ecocardiogramma per valutare la presenza di eventuale ipertrofia ventricolare sinistra 6. Radiografia del torace per ricercare le erosioni costali o l’incisura dell’arco aortico distale 7. In alcuni casi può essere utile il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa. Le apparecchiature sono programmate in modo da registrare un numero di misurazioni variabile da 36- 40 a 70-80 durante le 24 ore, fornendo una serie di utili indicazioni sui valori medi della PA durante l’attività lavorativa e il riposo notturno. Con il monitoraggio ambulatoriale, i valori soglia di riferimento sono 130/80 mmHg Nr Obiettivi del trattamento Prima di iniziare il trattamento farmacologico vero e proprio, vanno adottare le seguenti misure generali: 1. Eliminazione di ogni possibile fattore di stress 2. Dieta iposodica e, se il paziente è in sovrappeso, ipocalorica, aumentando il consumo di frutta e verdura e riducendo l’assunzione di grassi saturi 3. Attività fisica regolare 4. Controllo di altri fattori di rischio che possono contribuire allo sviluppo dell’aterosclerosi, verso la quali i pazienti ipertesi hanno una maggior tendenza; in particolare, abolizione del fumo di tabacco e riduzione del consumo di alcol. Lo scopo della terapia farmacologica è il controllo dell’IA con il minimo di effetti collaterali, utilizzando, possibilmente, un solo farmaco o l’associazione di basse dosi di due farmaci. I farmaci di prima scelta comprendono gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II, i calcioantagonisti, i betabloccanti e i diuretici. Il dosaggio iniziale dovrebbe essere quello minimo per prevenire effetti avversi. Dopo 1-2 mesi si potrà prescrivere un dosaggio maggiore. ® Betabloccanti: questi farmaci agiscono bloccando gli effetti del sistema nervoso simpatico sul cuore (cioè riducendo a gittata e la frequenza cardiaca) e possono ridurre il rilascio di renina. La controindicazione: broncospasmo, blocco atrio-ventricolare, insufficienza cardiaca acuta, bradicardia e diabete insulino-dipendente * ACE:inibitori: gli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina agiscono inibendo la produzione di angiotensina II, un potente ormone vasocostrittore che stimola anche la produzione di aldosterone da parte del surrene. Gli ACE-inibitori sono fra i fattori preferiti per la terapia iniziale dell’ipertensione: ben tollerati, provocano scarsi effetti collaterali. Possono essere utilizzati in monoterapia o associati a diuretici o calcioantagonisti. Gli effetti avversi sono: tosse, rash cutaneo, angioedema, proteinuria, leucopenia, deterioramento della funzione renale in pazienti con stenosi bilaterale delle arterie renali. Sono particolarmente raccomandati nelle seguenti condizioni: pag. 71 scompenso cardiaco congestizio, disfunzione ventricolare sinistra, post-infarto, nefropatia non diabetica, nefropatia nel diabete tipo I, proteinuria ® Bloccantii recettori dell’angiotensina: bloccano selettivamente il sistema renina-angiotensina. Hanno effetti simili a quelli degli ACE-inibitori, ma sembrano essere meglio tollerati; sono particolarmente indicati in caso di tosse e altri effetti avversi da ACE-inibitori e Calcioantagonisti: sono vasodilatatori arteriolari diretti. Hanno quasi tutti, specie il verapamil, effetto inotropo negativo e dovrebbero essere usati con cautela in caso di disfunzione ventricolare sinistra. Il verapamil e, in grado minore, il diltiazem possono provocare bradicardia e blocco atrio-ventricolare, per cui se ne deve evitare l'associazione coni betabloccanti; sono particolarmente utili nei pazienti anziani, in quelli con ipertensione sistolica isolata e negli ipertesi di etnia nera. ® Diuretici: nel trattamento dell’ipertensione i diuretici tiazidici sono preferiti ai diuretici dell’ansa perché hanno un’azione più prolungata; ma i secondo sono più indicati nei pazienti con insufficienza renale. I tiazidici a basse dosi sono spesso usati come agenti di prima scelta, da soli o in associazione ad altri antipertensivi. Sono indicati soprattutto nello scompenso cardiaco congestizio, nell’anziano, nell’ipertensione sistolica isolata. I principali effetti avversi sono: ipopotassiemia, iperglicemia e iperuricemia che possono essere minimizzati usando bassi dosaggi. I diuretici antialdosteronici (spironolattone) sono particolarmente indicati nello scompenso cardiaco congestizio, nella cardiopatia ischemica e nei pazienti con aldosteronismo primario e secondario; durante il loro uso è importante controllare il livello di potassio a causa del frequente sviluppo di iperpotassiemia. ® Inibitori diretti della renina: l’aliskiren è il primo di questa nuova classe di farmaci che blocca il sistema renina-angiotensina-aldosterone all’origine; il suo effetto sulla prevenzione del rischio cardiovascolare è ancora sconosciuto. Viene utilizzato soprattutto in combinazione con altre molecole Caratteristiche del farmaco antiipertensivo ideale * Efficaciaclinica: controllo nelle 24 ore ® Efficacia nei confronti del danno d’organo bersaglio ® Efficacia in tutti i sottogruppi di pazienti ® Assenza di interazioni negative con altri farmaci ® Assenzadi effetti indesiderati su altri organi e apparati * Assenzadi tossicità ® Tollerabilità ottimale Fattori che influenzano la scelta iniziale della terapia antipertensiva e Caratteristiche del paziente (età, sesso, profilo di rischio cardiovascolare) e Controindicazioni del farmaco e Assunzione di altri farmaci coni quali l’antipertensivo può integrare ® Patologie concomitanti ® Presenza di danno d’organo da ipertensione Cardiopatia ischemica L’ischemia è la diminuzione o la soppressione dell’afflusso di sangue e di ossigeno a una parte dell’organismo. Sotto l’espressione cardiopatia ischemica si raggruppa una serie di condizioni fisiopatologiche e cliniche da cause e meccanismi diversi, che hanno in comune un disturbo della funzione cardiaca dovuto a uno squilibrio tra richiesta e apporto di ossigeno. La più comune causa di ischemia miocardica è la malattia aterosclerotica delle arterie coronarie epicardiche (vasi di conduttanza). La cardiopatia ischemica è la principale causa di morte nei paesi industrializzati. Dagli studi epidemiologici sono stati identificati parecchi fattori di rischio: età avanzata, sesso maschile, storia familiare di cardiopatia ischemica, ipertensione, ipercolesterolemia, fumo di tabacco, diabete mellito, obesità, resistenza all’insulina e vita sedentaria. Si pensa che questi fattori di rischio possono alterare le normali funzioni dell’endotelio vascolare che controllano il tono vascolare, impedisce la formazione del trombo e riduce l’adesione e la pag. 72 apre i canali del potassio. L’uso dei FANS è controindicato nei pazienti con cardiopatia ischemia perché associato a un basso ma definito rischio di infarto miocardico e di mortalità Rivascolarizzazione coronarica Angina variante di Prinzmetal L’angina si manifesta caratteristicamente a riposo o durante il sonno, può essere accompagnata da palpitazioni o dispnea e può avere un’insorgenza esplosiva con sintomi estremamente severi. Può essere precipitata anche da uno sforzo fisico, ma la soglia di comparsa è di solito molto variabile. È provocata da uno spasmo localizzato del tratto prossimale di un vaso coronarico epicardico. La valutazione include l’osservazione dell’ECG per evidenziare il sopraslivellamento transitorio del tratto ST e la coronarografia per dimostrare lo spasmo coronarico. La terapia consiste nella somministrazione di nitrati a lunga durata d’azione e di calcioantagonisti. Angina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) Il termine angina instabile definisce almeno una delle seguenti condizioni: = Angina di recente insorgenza (entro le ultime 2 settimane), grave e/o frequente (3 o più episodi al giorno) = Angina ingravescente (ossia un’angina cronica stabile che diventa più frequente, più grave e di maggior durata, o che viene indotta da uno sforzo minore di quello abituale) = Anginaariposo o indotta da un’attività minima e della durata generalmente superiore a 10 minuti Prognosi severa con un alto rischio di infarto miocardico acuto, morte improvvisa, evoluzione in un’angina cronica refrattaria alla terapia medica. Patogenesi Sebbene la fisiopatologia sia eterogena, in molti pazienti il viraggio da un’ischemia stabile a un’ischemia instabile sembra essere dovuto alla rottura o alla fissurazione di placche aterosclerotiche con formazione di un trombo non occlusivo e aumento della reattività piastrinica o del tono vasomotore coronarico. Anche l’infiammazione sembra giocare un ruolo chiave nella rottura della placca. Manifestazioni cliniche e diagnosi La principale manifestazione clinica è il dolore toracico, tipicamente localizzato in sede retrosternale 0, a volte, epigastrica, frequentemente irradiato al collo, alla spalla sinistra e al braccio sinistro, vi possono essere sudorazione, pallore cutaneo, tachicardia sinusale, terzo e/o quarto tono, rantoli basali e, a volte, ipotensione. Il primo passo nella valutazione di pazienti con possibile ACS è stabilire se il dolore toracico è di natura ischemica e quale è il livello di rischio. Nei pazienti con angina instabile il tracciato ECG di base può essere normale. In corso di dolore vi possono essere sottoslivellamento del tratto ST, transitorio sopraslivellamento del tratto ST e/o inversione dell’onda T. Valori elevati dei marcatori di necrosi miocardica come troponina I e T, differenziano i pazienti con NSTEMI da quelli con angina instabile; i pazienti con i livelli molto elevati di troponina hanno un aumentato rischio di morte o infarto miocardico ricorrente. È preferibile non eseguire un test da sforzo nella fase acuta nell’angina, perché può essere pericoloso, ma se il paziente non ha più dolore e i marcatori di necrosi sono negativi, lo stress-test deve essere eseguito entro 72 ore per una migliore definizione diagnostica del dolore toracico. Infarto miocardico acuto con sopraslivellamento ST (STEMI) L’infarto miocardico acuto (IMA) è una necrosi circoscritta del miocardio dovuta a improvviso arresto della perfusione coronarica. L’infarto miocardico acuto associato a segni ECG si sopraslivellamento del tratto ST è caratterizzato da ischemia acuta profonda di estese aree miocardiche; questa sindrome clinica viene distinta dall’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) in cui l’interruzione del flusso coronarico è incompleta e la strategia terapeutica diversa. pag. 75 Fisiopatologia Generalmente è la conseguenza della trombosi di una coronaria già affetta da aterosclerosi. La trombosi può originare dall’emorragia, dalla rottura, dalla fissurazione o ulcerazione di una placca ateromatosa complicata. Inizialmente si ha solo ischemia, che, se grave e prolungata esita in infarto. I pazienti ad aumentato rischio di sviluppo di STEMI sono quelli con angina instabile o angina variante e quelli con molteplici fattori di rischio coronarico. Manifestazioni cliniche Il più comune sintomi di presentazione è costituito dal dolore toracico, tipicamente intenso in sede retrosternale e/o epigastrica con possibile irradiazione alla braccia, collo, nuca, mandibola, occipite, spalle o in sede interscapolare. È simile a quello anginoso ma più intenso, protratto, presente anche a riposo e non alleviato dai nitroderivati; è spesso accompagnato da astenia, sudorazione, nausea, vomito, capogiro e agitazione. Circa il 15-20% degli STEMI si presenta senza dolore; ciò accade più frequentemente nei pazienti anziani o nei diabetici. Nei primi, lo STEMI può presentarsi come improvvisa dispnea che può progredire sino all’edema polmonare acuto. All'esame fisico possono presentarsi: pallore, sudorazione profusa, tachicardia, distensione venosa giugulare in caso di infarto del ventricolo destro, toni aggiunti, soffio sistolico apicale e rantoli da stasi polmonare se vi è scompenso cardiaco. Nel corso della prima settimana vi può essere un aumento della TC fino a 38°C. La PA è variabile, nell’infarto transumurale si può ridurre di 10-15 mmHg. Diagnosi La diagnosi si formala in base all’anamnesi e a 4 gruppi di indagini: ECG, marker sierologici, esami di diagnostica per immagini, indici aspecifici di necrosi e infiammazione tessutali. * ECG: nei pazienti con STEMI compare, nelle derivazioni corrispondenti alla sede interessata dalla necrosi, dapprima un sopraslivellamento del tratto ST, seguito dall’inversione dell’onda T e dalla comparsa di un'onda Q. Nei pazienti con dolore toracico ma senza sopraslivellamento ST, la positività dei biomarcatori di necrosi è diagnosticata per NSTEMI. ® Marker sierologici o Tropine cardiospecifiche: il miocardio quando danneggiato in modo irreversibile, rilascia nel sangue alcune macromolecole fondamentali per la diagnosi di STEMI. Le tropine cardiospecifiche T e I sono proteine altamente specifiche di danno miocardico ® Diagnostica per immagini: o Ecocardiogramma o Scintigrafia o Coronarografia: questo esame avviene attraverso l'iniezione di mezzo di contrasto nelle coronarie, consente la visualizzazione e la valutazione delle ostruzioni dovute alle placche Trattamento I farmaci antiaggreganti piastrinici (aspirina) potenziano gli effetti della terapia riperfusiva e prevengono la formazione di nuovi trombi. Gli inibitori dei recettori glicoproteici piastrinici IIb/IMa sembrano essere utili per prevenire le complicanze trombotiche nei pazienti con STEMI sottoposti ad angioplastica. Il clopidrogrel viene raccomandato in caso di STEMI se l’ASA è controindicata, e in aggiunta all’ASA dopo PCI. Il prasugrel e il ticagrelor sono più efficaci del clopidogrel nella prevenzione delle complicanze ischemiche dei pazienti sottoposti a PCI, ma comportano maggior rischio di sanguinamento. Angioplastica (PTCA) L’angioplastica coronarica eseguita dal cardiologo emodinamista è una procedura che prevede la dilatazione della stenosi mediante un palloncino che si gonfia all’interno della coronaria. Una volta dilatato il restringimento, viene posizionata una reticella (il cosiddetto stent) che permette di mantenere dilatata l’arteria. Questa procedura non è sempre eseguibile. La sua fattibilità dipende dal numero di coronarie interessate, dal numero di restringimenti, dal grado di restringimento e dalla loro posizione. Inoltre, nel tempo è possibile che, laddove venga posizionato lo stent, si riformi la stenosi per la presenza stessa dello stent che provoca una crescita di tessuto anomalo al suo interno. pag. 76 Bypass aortocoronarico Quando l’angioplastica non è possibile, diventa necessario eseguire l’intervento di bypass aortocoronarico. Questo intervento non consiste nel dilatare il restringimento esistente, bensì nel creare una strada alternativa attraverso la quale il sangue ossigenato possa raggiungere il muscolo cardiaco a valle del restringimento, interponendo un segmento di arteria o di vena tra l’aoita e l’arteria coronaria ostruita. Il rischio di formazione di nuove stenosi è con il bypass molto inferiore all’angioplastica, questo tipo di intervento non necessita in genere di successivi interventi e può essere quindi considerato un trattamento più definitivo. Insufficienza cardiaca L’insufficienza cardiaca è una situazione fisiopatologica in cui il cuore, per cause diverse, non è più in grado di soddisfare le esigenze metaboliche dei tessuti. Viene perciò messa in opera una serie di meccanismi di compenso (tachicardia, dilatazione delle cavità cardiache, ipertrofia parietale, redistribuzione del flusso agli organi vitali, ritenzione renale di sodio e di acqua) che sono inizialmente efficaci nel garantire un adeguato flusso ematico periferico, ma che, persistendo le cause dell’insufficienza, finiscono conil divenire essi stessi una causa di lavoro aggiuntivo. Lo scompenso cardiaco congestizio è la fase successiva, dovuta all’inadeguatezza dei mezzi di compenso, e si traduce in una sindrome clinica caratterizzata dalla congestione venosa e dall’insufficiente portata cardiaca. Classificazione funzionale delle cardiopatie secondo la New York Heart Association (NYHA) Classe funzionale Valutazione clinica Classe I Pazienti con malattia cardiaca in assenza di limitazioni dell’attività fisica. Ordinarie attività fisiche non causano astenia, palpitazioni, dispnea 0 angina pectoris Classe II Pazienti con malattia cardiaca e lieve limitazione dell’attività fisica. Benessere a riposo ma le normali attività fisiche causano affaticabilità, palpitazioni, dispnea o dolore toracico Classe IMI Pazienti con patologia cardiaca che causa forte limitazione dell’attività fisica. Benessere a risposo, ma attività fisiche di entità inferiore a quelle abituali provocano sintomi Classe IV Pazienti con malattia cardiaca che causa incapacità a sostenere qualsiasi attività fisica in assenza di sintomi. I sintomi dello scompenso o il dolore toracico potrebbero essere presenti anche a riposo; qualora si intraprenda qualsiasi attività fisica, aumenta la sintomatologia Cause: Base: cardiopatia ischemica, miocardiopatie, cardiopatie congenite, valvolari, ipertensive Scatenati: ® Aumentata assunzione di sodio, che provoca un'espansione del volume circolante e quindi aumenta il lavoro del cuore; eccessi fisici, dietetici, emozionali; temperatura ambientale elevata; sovraccarico di liquidi ® Assunzione di fanmaci che peggiorano l’insufficienza cardiaca e Nonaderenza alla terapia per lo scompenso cardiaco cronico ® Infarto miocardico acuto, in cui la necrosi di una quota rilevante del miocardio ventricolare diminuisce l’efficienza della pompa e Tachiaritmie, che mediante l'aumento marcato della frequenza ventricolare accorciano notevolmente la pausa diastolica e quindi il riempimento ventricolare pag. 77 Farmaci per il trattamento dello scompenso cardiaco o Diuretici: riducono il pre e post-carico e le pressioni di riempimento o ACE.inibitori: bloccano il SRA, riducono il post-carico e riducono il rimodellamento del VS o Fanmaci che bloccano i recettori dell’angiotensina: bloccano il SRA, riducono il post-carico e riducono il rimodellamento del VS o Betabloccanti: inibiscono l’attività del sistema nervoso ortosimpatico o Spironolattone: blocca gli effetti dell’aldosterone riducendo l’infiammazione miocardica e vascolare, la produzione di collagene, l’apoptosi, l’attività del SRA e del sistema nervoso oitosimpatico o Digitale (digossina): migliora la contrattilità cardiaca Edema polmonare acuto È una forma di insufficienza ventricolare sinistra acuta, in cui la pressione dei capillari e delle vene polmonari aumenta improvvisamente a livelli superiori a quelli della pressione oncotica del plasma, con conseguente rapido accumulo di liquido negli spazi interstiziali e negli alveoli. Si verifica così congestione polmonare grave e conseguente ipossia. L’edema polmonare può iniziare con tosse non produttiva, broncospasmo o dispnea. Più tardi, quando si accumula liquido nelle vie aeree distali, diventano udibili rantoli alle basi polmonari. Il paziente appare dispnoico, pallido, sudato, cianotico. L’espettorato è di tipo schiumoso, talora ematico. Vi è tachicardia e, generalmente, aumento della pressione arteriosa. Nelle fasi iniziali, l’EGA dimostra la riduzione sia della PaO; sia della PaCO»; più tardi, con l'evoluzione verso l’insufficienza respiratoria, si sviluppa ipercapnia con acidosi progressiva. La terapia deve essere immediata e aggressiva. Il trattamento consiste nella somministrazione di ossigeno, diuretici, vasodilatatori ed eventualmente morfina. In alcuni casi può essere necessaria una terapia aggiuntiva con farmaci inotropi e inodilatatori. Approccio al paziente immediato e aggressivo A. Mantenere il paziente in posizione seduta per ridurre il ritorno venoso B. O; terapia al 100% con una maschera per raggiungere una PaO» di almeno 60 mmHg Quasi simultaneamente Somministrare un diuretico dell’ansa e.v. Somministrare vasodilatatori (nitroglicerina sublinguale o e.v.) Controllare l’agitazione con morfina cloridrato (no benzodiazepine responsabili dell'eventuale depressione respiratoria) moo Diabete Mellito È un disordine cronico dovuto a un’alterazione del metabolismo glucidico e caratterizzato da iperglicemia e dal tardivo sviluppo di complicanze vascolari. L’iperglicemia è dovuta sia a scarsa o assente produzione pancreatica di insulina sia a resistenza dei tessuti periferici alla sua azione, unito comunque a una riduzione significativa della produzione di insulina. Epidemiologia I malati di diabete mellito (DM) nel mondo sono stimati attorno a 221 milioni e si calcola che nel 2030 saranno 366 milioni; il DM è fra le prime 10 cause di morte nei Paesi europei. In Italia ne sono affette circa 3 milioni di persone, ma il dato è probabilmente sottostimato perché molti diabetici non sanno di esserlo. Studi dell’OMS hanno dimostrato un progressivo aumento dell’incidenza e della prevalenza del DM nei Paesi industrializzati; il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età, l’obesità e la scarsa attività fisica. Nozioni di fisiopatologia Insulina. L’insulina, onmone proteico costituito da 51 aminoacidi, è prodotta dalle cellule beta delle isole di Langerhans pancreatiche. Il suo precursore è la proinsulina, molecola più complessa che nel fegato viene scissa in insulina e in un frammento più piccolo denominato peptide C. La secrezione di insulina comprende due fasi distinte: la secrezione basale, che avviene in assenza di stimoli esogeni e rappresenta la quantità di insulina secreta durante il digiuno, e la secrezione stimolata, che si verifica in risposta a stimoli esogeni, il più importante dei quali è l'aumento della glicemia. L’assorbimento orale del glucosio provoca la liberazione di ormoni intestinale che amplificano la risposta insulinica da pate del pancreas. In linea generale l’azione pag. 80 dell’insulina consiste nel facilitare il passaggio del glucosio dal sangue all’interno delle cellule. I suoi effetti maggiori si verificano a livello del fegato, dei muscoli e del tessuto adiposo. Nel fegato l’insulina promuove la sintesi del glicogeno dal glucosio (glicogenesi) e impedisce sia la reazione opposta (glicogenolisi) sia la sintesi del glicogeno a partire dagli aminoacidi (gliconeogenesi); nel tessuto muscolare favorisce la glicogenesi e la sintesi di proteine dagli aminoacidi. Infine, nel tessuto adiposo promuove l’accumulo dei trigliceridi negli adipociti e impedisce la scissione dei trigliceridi accumulati in acidi grassi (lipolisi) e quindi in corpi chetonici (chetogenesi). Dunque, la presenza di insulina riduce la glicemia favorendo la glicogenesi nel tessuto epatico e muscolare, e la sintesi di trigliceridi nel tessuto adiposo: l’assenza di insulina causa iperglicemia mediante la glicogenolisi e la tendenza alla chetogenesi per scissione dei trigliceridi. Anche il rene contribuisce a mantenere la glicemia nel range fisiologico. In condizioni normali la quantità di glucosio riassorbito dal tubulo renale attraverso i trasportatori SGLT1 e SGLT2 è uguale alla quantità di glucosio filtrata dal glomerulo. Il riassorbimento avviene fino a valori di glicemia attorno a 180 mg/dl (soglia renale del glucosio): sino a questi valori non vi è glicosuria; per valori più elevati il rene elimina una parte del glucosio in eccesso contribuendo così a mantenere bassa la glicemia. Nel DM di tipo 1 e di tipo 2 vi è aumento dei trasportatori SGLT2 cosicché la soglia renale di glucosio è aumentata del 20-40%; ciò riduce l’effetto protettivo del rene contro l’iperglicemia poiché la glicosuria compare per valori di glicemia attorno a 215-250 mg/dl, ben al di sopra della soglia fisiologica. Recettori dell’insulina. La maggior parte delle cellule dell’organismo, in particolare quelle dei tessuti insulino-dipendenti, ha sulla propria superficie recettori specifici per l’insulina che legano l’ormone e lo introducono all’interno della cellula, dove esso esercita i suoi effetti metabolici. I recettori possono subire alterazioni sia nell’affinità per l’insulina, ossia nella solidità del legame con il recettore. La regolazione per difetto (down regulation) è un fenomeno nel quale i recettori diminuiscono a fronte di elevati livelli di insulina circolante, forse a causa di una loro alterazione intracellulare. Si ha così un’elevata concentrazione plasmatica di insulina che ha però una bassa capacità di legarsi ai recettori: ciò accade nell’obesità, nell’alimentazione troppo ricca di carboidrati e forse anche nel trattamento cronico con insulina. Inoltre, la presenza di cortisolo in eccesso riduce il legame insulina-recettore e ciò spiega la comparsa o il peggioramento del diabete durante la terapia con cortisonici. Al contrario, una regolazione per eccesso (up regulation), cioè basso livello dell’insulina circolante e aumentato legame recettoriale dell’insulina, si verifica nell'esercizio fisico e nel digiuno. Glucagone e altri ormoni controregolatori. Il glucagone è un ormone sintetizzato nelle cellule alfa delle isole di Langerhans. La sua produzione è inibita dal glucosio (che invece stimola quella di insulina) ed è indotta dal sistema simpatico e parasimpatico. Al contrario dell’insulina, che favorisce l'accumulo di energia nei vari tessuti, il glucagone rende questa energia disponibile per i diversi tessuti nel digiuno: stimola la demolizione del glicogeno accumulato nel fegato, quindi aumenta la glicemia, e favorisce la gliconeogenesi e la chetogenesi. Per questa sua azione, opposta a quella dell’insulina, il glucagone è considerato un ormone controregolatore dell’omeostasi glucidica. Altri ormoni controregolatori sono l’adrenalina, prodotta nella midollare surrenale che provoca l’aumento della glicemia attivando la glicogenolisi epatica, l’ormone della crescita e il cortisolo. Soprattutto i primi due intervengono nell’ipoglicemia per riportare il valore del glucosio a livelli superiori. Classificazione eziologica del diabete mellito Diabete me) di tipo 1: Precedentemente definito “giovanile”, “insulino-dipendente”, “magro”, “instabile”, questo tipo di DM è caratterizzato dall'assenza pressoché totale di produzione di insulina, dalla tendenza alla chetoacidosi e dalla necessità di terapia sostitutiva con insulina sin dalle sue prime manifestazioni. Si rende evidente nel 70% dei casi prima dei 20 anni. L'esordio è preceduto da una lunga fase preclinica durante la quale le cellule pancreatiche beta vengono gradualmente distrutte. Il DM di tipo 1 è una malattia autoimmune che insorge sul terreno di una dimostrata ma non forte predisposizione genetica. Nell’80% dei casi sono dimostrabili anticorpi antisole pancreatiche e anti-insulina e in alcuni pazienti anche contro altri organi. Una teoria eziologica ipotizza che intervengano fattori ambientali tra i quali alcune infezioni virali che agirebbero non direttamente, ma inducendo una reazione autoimmune. Dato che alcuni virus hanno dei componenti strutturali molto simili a una proteina delle cellule pancreatiche beta, è possibile che le difese immunitarie volte all’eliminazione del virus finiscano per aggredire anche le cellule pancreatiche, distruggendole come se fossero un virus o un batterio. pag.81 Fattori genetici Il gene principale che determina la suscettibilità al DM di tipo1 A è localizzato nella regione HLA del cromosoma 6. Nei gemelli monozigoti la concordanza del DM di tipo 1A varia dal 30 al 70%. Il rischio di sviluppare DM di tipo 1A è di circa 10 volte superiore nei parenti di soggetti affetti. Fattori autoimmunitari Le molecole delle isole pancreatiche bersaglio del processo autoimmune comprendono l’insulina, la decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD65), l’antigene delle cellule insulari e una proteina dei granuli secretori dell’insulina. Gli auto-anticorpi diretti contro le cellule insulari scompaiono quando tutte le cellule È sono state distrutte. Suscettibilità a sviluppare altre patologie autoimmuni Diabete mellito di tipo 2 Precedentemente era definita “di tipo adulto” o “non insulino-dipendente” o “grasso”. In questa forma la produzione di insulina si riduce progressivamente ma non in misura così marcata come nel tipo 1, tanto che nella maggioranza dei casi il trattamento con insulina non è necessario, almeno all’inizio della malattia. La chetoacidosi non è frequente come nel tipo 1 e compare di solito in situazioni di stress caratterizzate da un aumento critico del fabbisogno di insulina. I meccanismi patogenetici sono poco conosciuti: accanto a una marcata predisposizione genetica e alla ridotta produzione di insulina, è stata dimostrata un’aumentata insulino-resistenza dei tessuti periferici. Sia la ridotta produzione sia l’aumentata resistenza sono poi peggiorate dall’iperglicemia, e a loro volta, la peggiorano. La resistenza all’insulina è maggiore negli obesi, e ciò spiega la maggiore incidenza del DM in questi pazienti. Fattori genetici Nonostante i geni principali responsabili di questa alterazione non siano ancora stati individuati, è chiaro che la malattia è poligenica e multifattoriale. La concordanza di DM di tipo 2 nei gemelli monozigoti è tra il 70 e il 90%. Il rischio di sviluppare DM di tipo 2 è aumentato se un genitore è diabetico e può raggiungere il 40% se entrambi i genitori sono affetti. Cause dell’iperglicemia o A digiuno + aumentato rilascio epatico di glucosio o Post-prandiale > ridotto utilizzo periferico di glucosio Prevenzione: dieta, esercizio fisico, farmaci non ipoglicemizzanti (ramipril, pravastatina) Diabete gestazionale Altri tipi specifici di diabete: » Difetti genetici della funzione cellulare » Difetti genetici nell'azione dell’insulina = Malattie del pancreas (pancreatiti, pancreasectomia, neoplasia, emocromatosi...) = Endocrinopatie (acromegalia, glucagonoma, feocromocitoma, sindrome di Cushing...) = Farmaci (glucocorticoidi, ormoni tiroidei, diuretici tiazidici, acido nicotinico, fenitoina, beta- bloccanti...) = Infezioni (rosolia congenita, CMV, virus Coxackie) Manifestazioni cliniche Quando la glicemia supera i 180-200 mg/dl compare glicosuria. Il glucosio presente in elevate concentrazione nella preurina funziona come agente osmotico riducendo il riassorbimento tubulare dell’acqua: si hanno pertanto poliuria (aumento della quantità di urine emesse nelle 24 ore) e nicturia (minzione nelle ore notturne). Ciò comporta disidratazione e aumento del senso della sete con conseguente polidipsia (ingestione di notevole quantità di liquido). La perdita di glucosio implica perdita talvolta cospicua di calore, cosicché successivamente compariranno il dimagrimento, l’astenia e la polifagia. Se l’iperglicemia è marcata possono esservi disturbi visivi dovuti a rigonfiamento osmotico del cristallino. Vi sono differenze, prevalentemente quantitative, nelle manifestazioni cliniche dei due tipi di DM. Per esempio, la poliuria, pag. 82 del pasto, il che costituisce un notevole vantaggio per il paziente. Il picco (effetto massimo) è tra 1 e 2 ore; la durata d’azione totale è di 3-4 ore. Dato il rapido inizio d’azione, il paziente deve essere istruito ad assumere carboidrati all’inizio del pasto per evitare la comparsa di ipoglicemia precoce ® Insulina umana ad azione rapida: insulina umana cristallina o rapida. È l’unico tipo di insulina somministrabile anche per via venosa; pertanto è essenziale nel trattamento della chetoacidosi e nel controllo del DM nel decorso postoperatorio. Quando è somministrata sottocute l’effetto ipoglicemico inizia 30 minuti dopo la somministrazione, che quindi deve avvenire 20-30 minuti prima del pasto; il picco d’azione è a 2.4 ore e la durata d’azione tre 6-8 ore. ® Insulina adazione intermedia: insulina umana NPH o isophane. La miscela di insulina con cristalli di zinco ritarda l'assorbimento e prolunga la durata d'azione. L’effetto inizia 2-4 ore dopo la somministrazione, il picco è tra 6-7 ore e la durata d’azione - varia da persona a persona e anche nella stessa persona - tra 10 e 20 ore. Può essere miscelata con l’insulina rapida ® Insulina adazione lenta: analoghi glargine, detemir e degludec. L’inizio dell’effetto della glargine è a circa 1.5 ore; la caratteristica di questa preparazione è di non avere un picco, ma di esercitare ‘un'azione costante per 24 ore; ciò comporta un duplice vantaggio: da un lato riduce la possibilità di ipoglicemia in corrispondenza del picco e dall’altro fornisce un livello basale costante di insulinemia. L'effetto dell’insulina detemir inizia circa 1 ora dopo la somministrazione; come la glargine essa non ha picco ma la sua durata d’azione è più breve, attomo alle 17 ore. La degludec inizia ad agire dopo 30 minuti, non ha picco e agisce fino a 42 ore dopo. Gli svantaggi di queste insuline sono l'impossibilità di miscelarle con insuline rapide e un lieve fastidio nella sede di iniezione Sedi di iniezione dell’insulina e Addome: sede da preferire ® Parteanteriore delle cosce e glutei (quadrante laterale esterno) ® Partelaterale delle braccia Î Complicanze ACUTE: chetoacidosi diabetica È dovuta a deficit severo di insulina ed è caratterizzata da iperglicemia, disidratazione, acidosi metabolica, presenza di corpi chetonici nel plasma e nelle urine e variabile disturbo dello stato di coscienza. Il deficit di insulina è dovuto di solito a riduzione oppure a omissione delle dosi o ad aumento del fabbisogno in seguito a stress, quali malattie acute cardiovascolari, infezioni, traumi, interventi chirurgici e altro. Tale deficit comporta: - Iperglicemia, per aumentata produzione epatica di glucosio dagli aminoacidi (gliconeogenesi) e per ridotta utilizzazione tessutale. L’iperglicemia causa a sua volta glicosuria, diuresi osmotica e disidratazione - Aumento della lipolisi con produzione di corpi chetonici (acetone, acido acetoacetico, acido beta- idrossibutirrico) e conseguente acidosi metabolica (pH < 7.2, HCOz < 15 mEg/l) - Deplezione di potassio per fuoriuscita dell’elettrolita dalle cellule L’insorgenza della chetoacidosi è graduale, preceduta per uno o più giorni da poliuria, polidipsia, marcata astenia, nausea, vomito. Poiché il paziente non si alimenta, spesso l’insulina viene erroneamente omessa e ciò peggiora ulteriormente l’alterazione metabolica. L’esame fisico rivela i segni di una grave disidratazione: lingua arida, globi oculari molli, cute sollevabile in pliche sottili, vene periferiche collassate, ipotensione arteriosa; l’alito ha un caratteristico odore di acetone. Lo stato mentale è obnubilato, con progressione sino al coma; è presente il respiro periodico di Kussmaul. Gli esami del sangue rilevano marcata iperglicemia, chetonemia, riduzione del pH, riduzione dei bicarbonati. Nelle urine sono presenti glucosio e corpi chetonici. pag. 85 Il trattamento comprende: - Attuazione di tutte le misure di supporto per i pazienti in shock e/o coma: monitoraggio dei parametri vitali, immediato accesso venoso ed eventuale posizionamento di catetere per la misurazione della pressione venosa centrale, cateterismo vescicale per misurare la diuresi, mantenimento della pervietà delle vie aeree, eventuale applicazione di sondino nasogastrico per prevenire l’aspirazione di contenuto gastrico nelle vie aeree, frequente variazione del decubito - Correzione della causa scatenante: trattamento di infezioni, ecc. - Monitoraggio della terapia: registrare o Parametri clinici (PA, polso, respiro, diuresi, stato di coscienza) o Esami di laboratorio (da rilevare ogni ora: glicemia, sodiemia, potassiemia, pH, bicarbonati; una volta al giorno: chetonemia, chetonuria, glicosuria, azotemia, creatininemia) o Terapia (quantità e tipo dei liquidi, dosi di insulina, altri farmaci) - Somministrazione di liquidi: il ripristino del volume intravascolare deve essere immediato e rapido. Il fabbisogno medio di liquidi è attorno a 10% del peso corporeo, di solito si somministra soluzione salita allo 0.9% in quantità di circa 1 l/ora. Ai pazienti con funzione miocardica compromessa tali quantità vanno somministrate con cautela, sotto stretto controllo clinico e, se possibile, con monitoraggio della pressione venosa centrale - Somministrazione di insulina: modalità e dosi sono alquanto variabili. Si inizia di solito con un bolo endovenoso di insulina rapida e si continua con infusione continua, in genere di 5- 10 unità/ora. Quando la glicemia si approssima a 250 mg/dl è opportuno iniziare la somministrazione di glucosata 5% per prevenire ipoglicemia. È necessario inoltre somministrare potassio, dato che vi è sempre deplezione di questo elettrolita - Somministrazione endovenosa di bicarbonato: è riservata ai casi di grave acidosi o shock o coma Sindrome iperglicemica iperosmolare È una complicanza metabolica che colpisce soprattutto pazienti anziani con DM non grave, di solito non in trattamento insulinico, e spesso costituisce la manifestazione di esodio del DM. È caratterizzata da grave iperglicemia (valori da 600 a 2000 mg/dl), iperosmolarità e disidratazione, in assenza di chetoacidosi. La patogenesi non è ben conosciuta: probabilmente la scarsa secrezione di insulina endogena è appena sufficiente a prevenire la chetoacidosi, ma non l’iperglicemia che si stabilisce assai gradualmente. Spesso le condizioni del paziente peggiorano a causa di uno scarso apporto idrico, come nelle infezioni con febbre elevata, nei disturbi addominali con vomito o diarrea, dopo uso di diuretici, negli accidenti cerebrovascolari. Il quadro clinico è dominato dalla disidratazione e dal profondo torpore mentale; la mancanza delle caratteristiche “tossiche” della chetoacidosi è un fattore di ritardo nella diagnosi e nella terapia e spiega come questa sindrome sia gravata da un’altra mortalità che può raggiungere il 50%. Le complicanze tromboemboliche sono una frequente causa di morte. Il trattamento è simile a quello della chetoacidosi, con reidratazione, insulina, potassio. Crisi ipoglicemica/coma ipoglicemico Quando il tasso del glucosio nel sangue scende al di sotto di un livello critico — in genere attorno a 50 mg/dl — compare un complesso sintomatologico definito come reazione o crisi ipoglicemica. La soglia di comparsa delle manifestazioni cliniche varia da soggetto a soggetto e anche in rapporto alla velocità di caduta del tasso glicemico; mentre alcuni individui hanno segni e sintomi di ipoglicemia con valori superiore a 50 mg/dl, altri restano asintomatici anche a valori più bassi. Cause: scorretta assunzione della terapia, scorretta alimentazione Manifestazioni cliniche: astenia, sensazione di fame, confusione mentale, cefalea (ridotto apporto di glucosio alle cellule cerebrali), sudorazione, tremore, pallore, tachicardia, midriasi (aumento di catecolamine e stimolazione simpatica) Diagnosi: misurazione della glicemia capillare Terapia: paziente cosciente e collaborante: somministrazione per OS di acqua zuccherata o alimenti contenenti carboidrati, se il paziente è in coma: somministrazione endovenosa di glucosata al 33% (10 ml) Prevenzione: corretta educazione del paziente e dei familiari pag. 86 Complicanze CRONICHE del diabete mellito ® Microvascolari (derivano dall’iperglicemia cronica) o Malattia oculare: retinopatia (proliferativa o non), edema maculare o Neuropatia: sensitivo-motoria, autonomica o Nefropatia ® Macrovascolari (iperglicemia, ipertensione, dislipidemia...) o Coronaropatia o Vasculopatia periferica o Vasculopatia cerebrale Gastrointestinali (gastroparesi, diarrea) Genitourinarie (uropatia, disfunzione erettile) Dermatologiche Infezioni Cataratta Glaucoma Retinopatia È un'alterazione dei capillari della retina. Esiste in due forme. La forma non proliferativa, più benigna, è presente nel 90% dei pazienti dopo 20 anni di malattia e non altera la funzione visiva. La forma proliferativa è caratterizzata da neoformazione di vasi con emorragie nel vitreo e distacchi della retina che conducono a una progressiva perdita del visus, sino alla cecità; si sviluppa nel 25% dei diabetici di tipo 1 dopo 20 anni di malattia. La fotocoagulazione con laser costituisce il trattamento di scelta ed è efficace nel contenere la perdita del visus Nefropatia Il DM è la prima causa di insufficienza renale terminale, che necessità cioè di trattamento dialitico o di trapianto. Il 20-30% dei pazienti diabetici va incontro a nefropatia, con un’incidenza che è proporzionale alla durata del DM. La lesione è caratterizzata da una deposizione di materiale ialino nel mesangio e da ispessimento diffuso della membrana basale del glomerulo. Compare albuminuria, inizialmente di lieve grado e successivamente, in media 15 anni dopo la diagnosi, di grado maggiore, accompagnata da riduzione della filtrazione glomerulare. Epidemiologia Diabete mellito tipo 1 * Prevalenza: circa 20% ® Incidenza cumulativa: circa 30-45% (dopo 10-15 anni di malattia) e Entro 10 anni il 50% dei pazienti con nefropatia sviluppa insufficienza renale terminale Diabete Mellito tipo 2 * Prevalenza: 10-40% e Incidenza cumulativa: dopo 20 anni di durata del diabete è del 25-50%, con una notevole variabilità etnico-razziale e Senza interventi specifici solo il 20% dei pazienti con nefropatia conclamata evolve verso l’insufficienza renale terminale Screening nefropatia diabetica Eseguire un dosaggio annuale della microalbuminuria (aumento subclinico della escrezione urinaria di albumina compreso tra 30 e 299 mg/24 ore) su 3 campioni di urine nell'arco di sei mesi: ® A partire da S anni dopo la diagnosi nel diabete di tipo 1 ® Dalla diagnosi nel diabete di tipo 2 pag. 87 parla e non obbedisce ai comandi. I pazienti in stato vegetativo possono apparire in qualche modo normali: di tanto in tanto possono fare smorfie, ridere o piangere. Il coma non è nemmeno indice di morte cerebrale, cioè di cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello: può accadere che un paziente in coma sia in grado di respirare da solo, mentre uno decerebrato non può farlo mai. È inoltre diverso anche dal sonno, perché il sonno è sempre interrompibile, mentre non è possibile "svegliare" a piacere una persona in stato di coma. Fisiologia del circolo cerebrale Il funzionamento del SNC dipende dal flusso di sangue e dall’appoito di O» e glucosio ® Flusso cerebrale: 75 ml/min/100 g e Consumo di O»: 3.5 ml/min/100 g e Consumodi glucosio: 5 mg/min/100 g Le riserve di glucosio forniscono energia per 2 minuti dopo l’interruzione del flusso ematico cerebrale; lo stato di coscienza viene perso entro 10 secondi Malattie che portano al coma: Patologie che comprometto direttamente il SNC (cause organiche, intracerebrali): Cause vascolari (ictus, trombosi) Cause infettive (meningiti, encefaliti) Processi espansivi (tumori, ematomi, ascessi) Traumi Manifestazioni cliniche: o Segnia focolaio o Alterazioni dei riflessi oculari e papillari Patologie che riducono le funzioni del SNC (cause metaboliche): Carenza di ossigeno Carenza di substrati metabolici (basso Hb, basso glucosio) Eccesso di substrati metabolici (alto glucosio, alta anidride carbonica, alto sodio, alto ammonio) Presenza di sostanze tossiche (farmaci, droghe, alcool) Manifestazioni cliniche: o Assenza di segni di focolaio © Persistenza dei riflessi oculari COMA TRAUMATICO Commozione cerebrale Ematoma epidurale Ematoma subdurale acuto 0 cronico COMA INFETTIVO Meningite e meningoencefalite Ascesso cerebrale Encefalopatia da stati settici COMA VASCOLARE Emorragia subaracnoidea Emorragia cerebrale Infarto cerebrale Encefalopatia ipertensiva Tromboflebite cerebrale COMA EPILETTICO COMA TUMORALE Neoplasie sopratentoriali extracerebrali/intracerebrali Neoplasie sottotentoriali del troncordel cervelletto COMA DA ALTERAZIONE DELLA TERMOREGOLAZIONE Ipotermia Colpo di calore pag. 90 COMA METABOLICO Ipossia - malattie cardio-polmonari, anemia grave - avvelenamento da monossido di carbonio ischemia - infarto acuto del miocardio - insufficienza cardiaca congestizia - shock - iperviscosità Disturbi dell'equilibrio acido-base: iponatremia, ipematremia, acidosi metabolica, acidosi respiratoria, alcalosi metabolica, alcalosi respiratoria, ipercalcemia, ipocalcemia Iper-ipofunzione endocrina: tiroide (mixedema, tireotossicosi), paratiroide (ipo- iperparatiroidismo), surrene (morbo di Addison, morbo di Cushing, feocromocitoma) COMA TOSSICO Farmaci sedativi: alcol etilico, barbiturici, ipnotici non barbiturici, tranquilanti, bromuri, anticolinergici, oppiacei Tossici acidi 0 prodotti di degradazione degli acidi: paraldeide, alcool metilico, etilene glicole, cloruro d'ammonio Inibitori enzimatici: metalli pesanti, fosfati organici, cianuro, salicilati Insorgenza acuta (secondi o minuti): Ischemia/infarto cerebrale Emorragia subaracnoidea Ipossia cerebrale Traumi cranici Farmaci o droghe Insorgenza graduale (ore o giorni): Coma iperglicemico Coma epatico Coma uremico Trombosi cerebrale Tumore cerebrale Insorgenza tardiva (giorni o settimane): * Ematoma subdurale ® Neoplasie Esame obiettivo e diagnosi (importante per casi clinici) Cute secca (coma iperglicemico, colpo di calore, uremia) Cute umida (coma ipoglicemico, intossicazione barbiturici) Cute cianotica (coma ipercapnico) Cute itterica (coma epatico) Cute terrea (coma uremico) Ipertermia (coma iperglicemico, colpo di calore, uremia) Alto acetonico (chetoacidosi diabetica) Alito urinoso (uremia) Fetore epatico (coma epatico) Alito vinoso (intossicazione acuta da alcool) Ipotensione arteriosa (chetoacidosi, disidratazione) pag. 91 Ipotermia (assideramento, ipoglicemia, intossicazione da alcool o barbiturici, uremia) Ipertensione arteriosa (emorragia cerebrale, emorragia sub-aracnoidea, uremia) ® Decubitoa canne di fucile (meningite) ® Fuoriuscita di sangue o liquor dall’orecchio (trauma cranico con frattura delle ossa della base cranica) ® Petecchie o ecchimosi (coma epatico o traumatico, uremia, emorragia cerebrale in piastrinopenia) ® Ferite cutanee al cranio (trauma cranico) Esame obiettivo neurologico o Motilità degli arti: emiplegia nelle lesioni emisferiche, tetraplegia per lesioni sotto il tronco o Tono muscolare: aumento del tono se lesioni del mesencefalo e del talamo, riduzione se lesioni midollari o Movimenti oculari: deviazione coniugata degli occhi nelle lesioni degli emisferi e del ponte, movimenti a scosse nelle lesioni del ponte, movimenti erratici nel coma leggero, assenza di riflessi oculocefalogiri (occhi fissi) nelle lesioni del tronco. o Pupille: diametro, uguaglianza, reazione alla luce Nel coma tossico-metabolico la reattività pupillare alla luce è sempre conservata tranne in caso di: Anossia Pupille midriatiche non reagenti Anticolinergici Pupille midriatiche non reagenti Colinergici Pupille puntiformi e non reagenti Oppiacei Pupille puntiformi e non reagenti Barbiturici Pupille in posizione intermedia o midriatiche (a seconda della dose ingerita) e non reagenti Ipotermia ___ Pupille in posizione intermedia e non reagenti Coma: accertamenti diagnostici e Indagini bioumorali: elettroliti sierici, emogasanalisi, glicemia, ammoniemia, creatinina, urea, indici funzionalità epatica, emocromo, coagulazione, ricerca e dosaggio farmaci e tossici, indagini colturali e TAC, RMN encefalo/midollo * Rachicentesi ® EEG: elettroencefalografia è la registrazione dell’attività elettrica dell'encefalo Approccio al paziente in coma 1. Respirazione a. Assicurare la pervietà delle vie aeree (rimuovere corpi estranei, protesi, vomito) b. Monitorare la frequenza del respiro e la SO; (somministrare O») 2. Circolazione (le riserve cerebrali di glucosio forniscono energia per circa 2 minuti dopo l’interruzione del flusso sanguigno; la perdita di coscienza avviene dopo 8-10 secondi dall’interruzione del flusso) a. Monitorare la PA b. Monitorare la FC c. Trattare immediatamente ipotensione, aritmie severe... Assicurare sempre un accesso venoso “valido” Rilevare la temperatura ascellare e rettale Posizionare catetere vescicale Posizionare sondino naso-gastrico se si prevede vomito per prevenire polmonite ab ingestis (se i riflessi faringei sono assenti occorre effettuare prima la protezione delle vie aeree mediante intubazione) SIRO Ricercare sempre eventuali cause immediatamente risolvibili: 7. Intossicazione da oppioidi: miosi pupillare serrata (a spillo), presenza di “buchi” agli arti...: somministrare Naloxone fiala per via endovenosa in bolo (Narcan fl 0.4 mg: da 1 a 5 fl): immediato risveglio del paziente pag. 92 Valutazione di laboratorio della funzione renale lomerulare La valutazione della funzione escretoria glomerulare viene effettuata principalmente attraverso la misurazione dell’urea e della creatinina plasmatiche. Azotemia: è la concentrazione ematica dell’azoto non proteico; dipende non solo dal filtrato ma anche dall’appoito esogeno di proteine e dallo stato di idratazione. Il dosaggio ureico misura solo il contenuto d’azoto dell’intera molecole dell’urea del plasma; i valori normali sono compresi tra 5 e 23 mg/dl. Il termine azotemia fa riferimento alla concentrazione plasmatica dell’intera molecola di urea; i valori normali sono compresi tra 20 e 45 mg/dl, circa il doppio di quelli dell’azoto ureico. Creatininemia: derivante dal metabolismo della creatina, costituente i muscoli strati; prodotta giornalmente in quantità costante ed eliminata esclusivamente attraverso la filtrazione perciò usata di routine per la valutazione della funzione glomerulare. Normalmente la creatininemia nell’uomo è compresa tra 0.8 e 1.3 mg/dl e nella donna tra 0.6 e 1.1 mg/dl Clearance della creatinina: volume di plasma totalmente depurato dalla creatinina nell’unità di tempo Funzione tubulare Prova della concentrazione Prova della diluizione Acidificazione delle urine Concentrazione urinaria di sodio, potassio e cloro questi permettono di fornire informazioni importanti in alcune condizioni cliniche come iponatriemia, insufficienza renale acuta, ipopotassiemia e acidosi metabolica o 000 Diagnostica per immagini del sistema urinario Studio Informazione Considerazioni Radiografia dell'addome Dimensioni e fo Studio morfologico senza mez calcoli radiopach di contrasto (m.d.c.) Ecografia Dimensioni del rene, cisti Studio moriologico senza m. masse, idronefrosi TC Forma e dimensioni renali, cisti, Stu tumori, calcoli processi ri RM Tumori, cisti Studi ambosi della vena renale ‘on 0 senza m.d.c Scintigrafia tensione renovascolare Stuc di trapiant sost Arteriografia renale Stenosi de invasivo; m.d zarteri tumori renali Venograîia renale Trombosi della vena renal na Urograi Dimensioni e forma del rene; nai umori; calcoli; Pielografia retrograda Ostruzione Cistouretrografia Biopsia renale La biopsia renale è indicata nei pazienti con malattie del parenchima quando indagini meno invasive non sono in grado di stabilire la diagnosi corretta. La maggior parte delle biopsie viene effettuata in persone pag. 95 affette da malattie glomerulari o da vasculiti. La tecnica più comunemente usata è quella percutanea. Il rene è localizzato di solito con l’ecografia o con la TC; successivamente si introduce attraverso la regione lombare un ago da biopsia con il quale viene prelevato un frustolo di parenchima. La biopsia può essere eseguita a cielo aperto in anestesia generale. Il tessuto renale prelevato viene studiato con il microscopio ottico, con il microscopio elettronico e con l’immunofluorescenza. L’immunofluorescenza serve a evidenziare l’eventuale presenza nel campione bioptico di depositi di immunoglobuline, frazioni del complemento e fibrinogeno. Manifestazioni cliniche: Poliuria: diuresi superiore a 3000 ml/24 ore Oliguria: diuresi compresa tra 400 e 100 ml/24 ore Anuria diuresi inferiore a 100 ml/24 ore Pollachiuria: necessità di frequenti minzioni di piccole quantità di urina senza aumento della quantità totale di urina Nicturia: necessità di urinare durante la notte Enuresi: perdita involontaria di urine durante la notte Incontinenza urinaria: perdita involontaria di urina Disuria: generica difficoltà alla minzione Stranguria: minzione dolorosa Tenesmo vescicale: sensazione dolorosa di incompleto svuotamento vescicale Iscuria o incontinenza paradossa: perdita involontaria e continua di piccole quantità di urina nella ritenzione urinaria cronica Proteinuria: > 150 mg/24 ore Ematuria: presenza di globuli rossi nelle urine Dolore renale: da brusca distensione della capsula renale Dolore ureterale: da brusca distensione della pelvi e da spasmo della muscolatura uretrale Dolore vescicale: da irritazione della parete vescicale o da sovradistensione acuta da ostruzione vescico-uretrale Dolore prostatico: da prostatite o Edema: ritenzione idro-salina ed accumulo di liquidi a livello interstiziale o Ipertensione arteriosa: da ritenzione idro-salina o 000 0000000 o 0000 o Ematuria È la presenza di sangue nelle urine. Si definisce ematuria macroscopica quando è presente una quantità di sangue sufficiente a far assumere all’urina una colorazione con varie tonalità di rosso; nel caso di urine francamente ematiche possono essere presenti coaguli. Una quantità di sangue pari a un cucchiaino di caffè è sufficiente a rendere ematico un litro di urina. Si definisce ematuria microscopica la presenza di globuli rossi evidenziabile solo con esami di laboratorio. L’ematuria macroscopica va differenziata, da altre condizioni in grado di dare all’una una colorazione rossa, come l’assunzione di alcuni farmaci e di alcuni alimenti. L’ematuria può essere evidenziata per mezzo di strisce reattive che vengono immerse in un campione di urine. La negatività di tale esame la esclude; in caso di positività, però, non è possibile discriminare se si tratti di ematuria o di emoglobinuria o mioglobinuria. La presenza di più di 2-5 globuli rossi all’esame microscopico del sedimento urinario ad alto ingrandimento permette di dirimere il dubbio. In caso di ematuria macroscopica si può distinguere un’ematuria totale da una parziale, a seconda che si presenti uniformemente durante la minzione o solo in alcune parti. A tale scopo può essere effettuato il test dei tre calici: raccogliendo il getto urinario iniziale in un calice, quello intermedio in un secondo e quello terminale in unterzo, si può distinguere l’ematuria in totale di provenienza renale, iniziale, di provenienza uretrale o prostatica e terminale di provenienza vescicale. Cause: Renali: Malattie glomerulari Nefropatie tubulo-interstiziali Nefropatie vascolari (infarto renale, necrosi corticale, trombosi art. renale) Infezioni (pielonefrite acuta, TBC) o 000 pag. 96 o Calcolosi o Neoplasie primitive benigne e maligne, metastatiche o Traumi, biopsia renale o Ematuria da sforzo Post-renali: o Meccaniche (calcoli, ostruzioni vie escretrici) o Infettive (cistite, prostatite, epididimite, uretrite) o Iperplasia prostatica benigna o Neoplasie benigne e maligne della prostata e delle vie escretrici Sistemiche: o Disordini della coagulazione o Emoglobinopatie o Farmaci anticoagulanti o Insufficienza cardiaca congestizia Approccio diagnostico: Caratteristiche ematuria (parziale, totale) Sintomi associati (dolori, febbre, strangwia...) Anamnesi farmacologica (anticoagulanti, FANS, antibiotici) Anamnesi personale (calcolosi, neoplasie...) Esami bioumorali (esame chimico-fisico delle urine, esame del sedimento, emocromo, test emocoagulativi) e Esami colturali (urocoltura, emocoltura...) e Indagini strumentali (TC, ecografia, cistoscopia) Proteinuria Una piccola quota di proteine è fisiologicamente presente nelle urine; viene definita: - Proteinuria patologica: > 150 mg/die. - Proteinuria fisiologica: < 150 mg/dl - Sindrome nefrosica: > 3 gr/dl - Micro-albuminuria: 30-300 mg/dl di albumina Fisiopatologia L’aumento delle proteine urinarie può essere dovuto a: ® Danno glomerulare con alterazione della barriera di filtrazione; in alcune glomerulopatie, l’alterata permeabilità dei capillari glomerulari permette il passaggio solo delle proteine a più basso peso molecolare, quali albumina e transferrina, in altri casi invece il danno è più grave e riescono a passare nelle urine anche le proteine più grandi come le gammaglobuline e Dannotubulare con mancato riassorbimento delle proteine plasmatiche a basso peso molecolare, come le microglobuline, che normalmente vengono filtrate a livello glomerulare ® Aumentata filtrazione di piccole proteine, di solito catene leggere di immunoglobuline, che sono presenti in eccesso nel sangue; tale evenienza si verifica in particolare nel mieloma multiplo ® Presenza di proteine provenienti dalle vie urinarie, come IgA secretorie o la proteina di Tamm- Horsfall Diagnosi: > Proteinuria delle 24 ore > Immunofissazione proteine urinarie > Anamnesi > Esame obiettivo > Esami strumentali pag. 97
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