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Appunti di medicina interna, Appunti di Medicina Interna

Appunti su ipertensione, semeiotica ipertensione, fisiopatologia dell'ipertensione, cause di ipertensione secondaria, ruolo del sistema nervo autonomo, tonometria, urgenze ed emergenze ipertensive, ipertensione in gravidanza, rischio cardiovascolare, ipoglicemia, diabete, aspetto lipidico, dislipidemia,

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 14/01/2022

Met1097
Met1097 🇮🇹

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Scarica Appunti di medicina interna e più Appunti in PDF di Medicina Interna solo su Docsity! Medicina interna Semeiotica dell’ ipertensione Strumenti per misurare la pressione arteriosa Sfigmomanometro “mercurio-like": mantiene lo stesso principio di funzionamento dello sfigmomanometro a mercurio e usa al posto di quest’ultimo, un liquido di densità simile. Sfigmomanometro aneroide: sono quelli usati maggiormente. L'unità di misura è mmHg. Sfigmomanometro automatico con metodo auscultatorio o oscillometrico per il braccio. Strumenti per la misura pressoria battito-battito dal dito (metodo pletismografico): registrano la pressione battito per battito. Stima la variazione di volume. Di solito si può fare per: o Tutto l’organismo, perché il metodo pletismografico è utilizzato per esempio in una cabina pressurizzata per misurare i volumi polmonari. o Braccio o la gamba: si possono valutare le variazioni di volume del braccio facendo la vasodilatazione post-ischemica. Si possono utilizzare gli ultrasuoni per vedere come riprende il flusso quando si rilascia il bracciale che ha indotto ischemia, ma si può usare anche la pletismografia. Gli ultrasuoni indagano i cambiamenti di velocità, il pletismografo i cambiamenti di volume. Tonometria arteriosa, come il Finapres: si tratta di un macchinario dotato di un piccolo manicotto che viene posizionato all’estremità di un dito: il manicotto viene mantenuto insufflato, ed è stimolato dalle variazioni di volume del dito, consentendo di registrare la pressione del paziente battito a battito. Mentre gli altri oscillometri misurano la pressione avendo bisogno di almeno 25-30 s per monitorare le oscillazioni in arteria e riportando alla fine una media che è fatta almeno su 10 battiti, il Finapres permette di mostrare le variazioni battito a battito. Questo strumento viene usato nei test da sforzo, dando informazioni: o Sulla pressione arteriosa durante l’esercizio (se sale oltre i 230 l’attività va sospesa). o Sullivello pressorio a cui possono comparire alterazioni di ECG, o di consumo di O). La mano deve essere appoggiata su un sostegno all'altezza del cuore, infatti se la mano è tenuta lungo il corpo la gravità varia i valori fisiologici della pressione. Sfigmomanometro automatico (metodo oscillometrico) per il polso: si ha lo stesso problema legato alla gravità, sebbene sia un attrezzo comodo per il paziente, visto che consente una facile auto- misurazione. A livello del polso vi sono delle problematiche che rendono questi strumenti sconsigliati: o Conformazione dell’anteria radiale: presenta una componente muscolare molto pronunciata che, unita alla posizione spesso infossata, determina una pulsazione difficilmente rilevabile. o La pressione sistolica misurata in questo punto è maggiore rispetto a quella misurata sul braccio, poiché ci si trova più lontani rispetto al cuore e vige il fenomeno dell’amplificazione. o In diastole a livello del polso, il flusso toma verso il cuore rendendo più difficile la misurazione. Metodi applicati o Metodo auscultatorio: sente il passaggio di lamelle sanguigne che passano con graduale liberazione dell’anteria. È stato introdotto dal medico italiano Riva-Rocci. Si basa sull’ascolto dei suoni di Korotkoff, prodotti dal sangue che passa attraverso i vasi parzialmente occlusi. Gonfiando la cuffia ad una pressione maggiore di quella sistolica e poi sgonfiando in modo graduale, si sentono suoni caratteristici in corrispondenza della pressione sistolica e diastolica. o Metodo oscillometrico: è composto da un’unità centrale che genera pressione, acquisisce ed elabora i segnali e una cuffia che comprime il braccio, la coscia o il polso e trasmette la pressione. Percepiscono le oscillazioni di volume del vaso aiterioso di un vaso periferico soggetto ad una pressione esterna. Questi 2 metodi si compongono di un bracciale contenente una cuffia in grado di gonfiarsi fino a vincere la pressione arteriosa e di bloccare il flusso all’interno dell’arteria. Man mano che la cuffia viene desufflata, vi è un primo momento dove non ci sono né oscillazioni né rumori, mentre successivamente aumenterà la grandezza delle oscillazioni: questa risulterà tanto più alta quanto la pressione della cuffia raggiunge la pressione media in arteria. Quando la cuffia non comprime più l’arteria, si torna ad una situazione di oscillazioni minime e nessun rumore. Si definisce complianza la capacità di modificare il volume in rapporto ai cambiamenti di pressione: nel vaso arterioso la complianza è massima quando la pressione del bracciale è uguale alla pressione media nel vaso. Onda di polso e onda di pressione L’onda di polso e l’onda di pressione sono 2 variabili fisiologicamente identiche, con la differenza dovuta alla tempistica in cui queste si formano sullo stesso punto di misurazione (si forma prima quella pressoria interna e poi quella di polso sulle pareti atteriose). L'onda di polso, è il sollevamento delle pareti arteriose, dovuta al passaggio dell’onda di pressione all’interno del vaso. Il tempo che si misura tra il passaggio delle 2 onde è direttamente proporzionale alla rigidità del vaso: se un vaso risulta essere più elastico, il tempo tra le onde si assottiglia, mentre aumenta se il vaso è più rigido. Vi è un fenomeno di amplificazione: partendo dall’ateria brachiale (o dall’aoita, in cui il fenomeno è più evidente) verso i vasi minoti, l’onda si modifica sia nella forma che nell’ampiezza. In paiticolare, la fase diastolica, dopo l’incisura dicrota (chiusura delle valvole aortiche) è la porzione maggiormente modificata. Linee guida per la corretta misura della pressione arteriosa e Il paziente deve essere seduto con il busto appoggiato e il braccio sostenuto a livello del cuore. Non deve accavallare le gambe: se si accavallano le gambe, vi è una piccola variazione di pressione arteriosa. Inoltre, non deve parlare durante la misura. e Condizioneditiposo: è difficile da attuare. Ad esempio nel contesto delle cure primarie, dove si ha la fila davanti alla porta. La misura della pressione deve cominciare dopo almeno 5 minuti di riposo. e Usodiunbracciale adeguato: un bracciale adeguato deve contenere un manicotto, capace di circondare almeno i 2/3 della circonferenza del braccio. Si ha un margine di 1/3 entro il quale il bracciale è compatibile. Con un bracciale che è meno di 2/3, si sovrastima la pressione. Questa è una delle ragioni per cui, negli obesi, usando un bracciale di medie dimensioni, risultano tutti ipertesi. Nell’obeso bisogna usare un bracciale che si utilizza per i soggetti normali quando si misura la pressione arteriosa agli ati inferiori (cosciale). La misura della pressione degli ati inferiori andrebbe fatta abitualmente in tutti i pazienti (tanto più nei giovani) la prima volta che si misura la pressione. ® Frequenza della misurazione: bisogna misurare la pressione 2-3 volte ad intervalli di almeno 2 minuti. Se le misure differiscono tra loro più di 5 mmHg, bisogna effettuare altre misure. Rigonfiando il bracciale immediatamente dopo averlo fatto la prima volta, si induce uno spasmo della muscolatura liscia dell’arteria e questo fa sì che la pressione sia modificata. Per fare 2 misure intervallate da 2-3 minuti, si perdono 5 minuti; e se si pensa che quasi sempre, nei pazienti ipeitesi, è necessario fame 5, si perdono 10 minuti. * Utilizzo degli strumenti: le misure devono essere effettuate con uno sfigmomanometro «mercurio- like» o con uno aneroide, calibrati di recente o con strumenti elettronici omologati. evidenzia in caso di: gravidanza, anemia, anziani, pseudo-ipeitensione. In questi casi si sceglie il 4° tono perché è quello dove si ha l’attenuazione dei rumori. In alcuni soggetti si ha un’impossibilità a comprimere l’arteria e quindi si sente il polso anche quando la cuffia è insufflata a 250-270 mmHg. Nella fase di auscultazione in discesa, si continueranno a sentire rumori quando lo sfigmomanometro segna 15-20 mmHg. In queste condizioni, palpando il polso, si scopre che è duro, ha una componente calcifica che rende difficile la palpazione dell’arteria. La manovra di Valsalva prevede un’espirazione forzata a epiglottide chiusa contro una resistenza che viene calcolata a 40mmHg. Uno strumento per la misura di questo fenomeno è costituito da un boccaglio in cui il paziente soffia, dall’altra estremità è presente un manometro che deve arrivare a 40 mmHg. Il paziente deve mantenere questa pressione per almeno 20 secondi durante i quali avviene una modifica del quadro del ritorno venoso a livello polmonare perché la pressione toracica diventa positiva. La manovra è costituita da 4 fasi: 1 » Fase di spinta: in cui è massimala scarica di adrenalina, la pressione sale all'interno del torace forzando il sangue fuori dalla circolazione polmonare nell'atrio sinistro. Ciò provoca un lieve aumento del volume sistolico durante i primi secondi. Ritomo venoso: il ritorno del sangue sistemico al cuore è ostacolato dalla pressione all'intemo del torace. L'output del cuore è ridotto e il volume sistolico diminuisce. La diminuzione del volume sistolico provoca vasocostrizione con un aumento di pressione sistolica e diastolica con una piccola differenza. Questa compensazione può essere abbastanza marcata con il ritomno della pressione vicino o anche sopra la norma, ma la gittata cardiaca e il flusso di sangue rimangono bassi. Durante questo periodo la frequenza del polso aumenta. Rilascio di pressione: quando il paziente prende fiato si ha un importante ritomo venoso. Ritomo della gittata cardiaca: la pressione sistolica sale notevolmente, il soggetto si bradicardizza, la frequenza cala e la pulsazione aumenta tantissimo. Questa condizione la si ha quando uno spinge per andare di corpo, e perciò nel momento in cui la pressione sale si determina un disequilibrio nel sistema autonomo simpatico e vasale per cui il risultato è che spesso i pazienti non hanno flusso cerebrale adeguato e sincopano cadendo a terra. Monitoraggio della pressione arteriosa nelle 24 ore Fare diagnosi di: o Ipertensione border-line: con valori della pressione asteriosa sono >140/90, ma non sempre. o Ipertensione da camice bianco: ha un rischio più basso rispetto all’ipertensione stabile, nonostante non sia priva di rischio. Non è sorprendente che quando si misura la pressione ad ‘un paziente in accoglimento, questa cambi per il fatto stesso che gliela si sta misurando. Ce ne si accorge osservando il profilo della persona. In questo caso si potrà notare il profilo della pressione nelle 24 h nel quale, nel momento in cui si mette l’Holter e all’ultima ora di registrazione, la pressione è elevata. o Ipertensione mascherata: capita che in ambulatorio la pressione sia normale nel momento in cui si mette l’Holter e nel momento in cui il paziente torna a smontarlo, mentre in altri momenti della giornata, la pressione sia alta. Questo fenomeno può dipendere da varie ragioni, fondamentalmente dal tipo di attività lavorativa. Pazienti con ampia variabilità pressoria: o Variazioni battito-battito: facendo un monitoraggio cruento della pressione, non c’è battito in cui la pressione sia identica a quella del battito precedente: un’oscillazione di 2,5 o 4 mmHg c’è tra un battito e l’altro. o Variazione legata agli atti respiratori: possiede una sua ritmicità. © Variazione legata ad elementi che agiscono sulla pressione. o Vescica: nel giro di mezz'ora inizia a salire progressivamente, poi si ferma stabilizzandosi o aumenta ulteriormente. Significa che il paziente ha bisogno di svuotare la vescica. Più si diventa anziani, più tale variabilità pressoria viene in parte persa e più si avrà la costanza di alcuni fenomeni (per esempio, la frequenza cardiaca che si adatta meno ai cambiamenti fisiologici, come il respiro) e più si avranno delle oscillazioni pressorie. Queste ultime possono essere misurate: o Subase temporale: si parla di frequenza. L'esame della variabilità della pressione nel dominio delle frequenze permette di individuare 2 picchi: = Unpiccoin corrispondenza dell’attività del SNA ortosimpatico. = Unoin corrispondenza di quello parasimpatico. o In base all’ampiezza e all’intensità: fornisce delle informazioni aggiuntive fisiopatologiche che possono avere alcune conseguenze, come l’utilizzo di alcuni farmaci rispetto ad altri. ® Pazienti anziani: hanno delle modifiche importanti di tutti i meccanismi che controllano la pressione. ® Diabetici: categoria di persone con un’alterazione del SNA. ® Ipertensione episodica: ci sono delle condizioni per cui ci sono pazienti con crisi ipeitensive (casi di urgenza). Questa condizione apre il problema dell’ipertensione secondaria dovuta a: o Feocromocitoma: implica un quadro clinico collegato ad una scarica di adrenalina. o Neurofibromatosi (malattia genetica): la scarica che viene liberata è di noradrenalina. o Attacco di panico: mima il feocromocitoma. È definito dallo stesso identico quadro caratterizzato da una scarica di adrenalina (problema di corteccia cerebrale). e Gravidanza: al 3° trimestre di gravidanza vi può essere l'ipertensione gravidica. Si pensi al fatto dell’utero gravido che, comprimendo l’aorta, può indurre modifiche importanti nella propagazione dell’onda di polso. ® Verifica efficacia terapeutica: bisogna capire se il farmaco agisce: o In maniera stabile durante le 24 h. o In maniera limitata nel tempo portando un beneficio solo in quel momento. o In nessun momento della giornata (resistenza al trattamento). Il monitoraggio della pressione nelle 24h permette di calcolare il monitoraggio della risposta ai farmaci attraverso diverse metodiche. o Rapporto valle-picco: rappoito fra 2 elementi. = Lavariazione associata ai massimi cali della pressione durante le 24 h, legato in parte al farmaco ed in parte all’attività della vita di ogni giorno. = La variazione in un punto in cui la pressione è ridotta da farmaci in maniera meno consistente. Se questo rapporto sta vicino all’uno, c’è una certa uniformità di calo della pressione. Se vi è ‘una forte differenza, il farmaco agisce facendo calare la pressione, ma non c’è costanza. o Smoothness index: rappoito tra calo orario (media del calo ogni ora) e deviazione standard. ® Definizione del rischio: la variazione della pressione nelle 24 h rispetto alla misurazione della pressione arteriosa in ambulatorio correla di più con il rischio di avere un’ipertrofia del ventricolo, quindi di avere il preludio di angina e discrepanza, piuttosto che scompenso e insufficienza contrattile. ® Monitoraggio dell’elasticità delle pareti dei grandi vasi: o Elasticità dei vasi: l’elasticità dei grandi vasi permette che vi sia un effetto tampone sulle oscillazioni di pressione. o Indice di rigidità: dice se l'elasticità vasale è tale per cui quando la pressione arteriosa diastolica sale vi è un proporzionale aumento della pressione sistolica e viceversa: = Se tutto fosse perfetto, quando uno stimolo fa sì che salga una delle 2 variabili, dovrebbe salire anche l’altra. = Selostimolo fa salire solo la sistolica e non la diastolica, significa che il sistema non è elastico e non tollera o compensa tali oscillazioni. Correla con: = Danno d’organo in fase preclinica. = Moitalità cardiovascolare in pazienti ipertesi. = Stroke nella popolazione generale. e Identificazione dei soggetti mon dippers: il fatto che durante la notte ci sia un calo della pressione permette di dire che c’è un equilibrio circadiano e quindi che sia gli ormoni del surrene sia il SNA simpatico durante la notte vengono disattivati. Se non si rileva questa discesa, bisogna cercare di capire perché non è avvenuta: o Artefatto: bisogna considerare il fatto che il paziente magari non ha dormito durante la notte perché aveva il macchinario che, ogni volta che si metteva in moto, disturbava il sonno. o Cause patologiche: che portano alla perdita della circadianità dell’attività del SNA. È il caso del diabete. o Patologie che giustificano che la pressione sia alta durante la notte. Indicazioni per l’auto-misurazione nelle 24 ore Tale sistema non è alternativo al monitoraggio della pressione ma è complementare. Deve essere effettuata alla mattina perché la circadianità della pressione prevede un punto più alto il mattino, un punto più basso verso le 18-19 di sera e un calo importante dopo i 3 pasti della giornata. Nel contesto dell’auto-misurazione si possono evidenziare dei pro e dei contro e Contro: o Il paziente può fare degli errori. o La notte nonsi possono avere dei dati. o L’auto-misurazione del paziente dà le stesse informazioni del monitoraggio. o Seil paziente viene educato in maniera corretta, se sta utilizzando un apparecchio adeguato e se si stanno effettuando le corrette procedure, quando il paziente arriva in ambulatorio, si può valutare un rapporto valle-picco n maniera sufficientemente precisa. Variazioni nella misurazione della pressione arteriosa ® Dovuti aderrori: gli errori più frequenti sono: Posizione del braccio. Prendere il 5° o il 4° tono. Rispetto del riposo. Posizione del paziente. Grandezza della cuffia. o 0000 1 , PrirrerenizaLE P, meDIa S P, DIASTOLICA PpirFerenzaLe =AP= Psisrotica 7 Ppusrorica Per parlare di malattia, c'è un concetto che deve essere presente: la persona malata si distingue da una persona sana. Esaminando la distribuzione della pressione arteriosa in una popolazione, non si è capaci di trovare 2 popolazioni, ma c’è una distribuzione gaussiana. e Chi hala pressione di 80 di massima, si trova in questo estremo a sinistra della curva. Ed è possibile che si trovi qui non perché sano, ma per un difetto di pompa di cuore, come nello shock cardiogeno. ® Dall'altra parte alcune persone hanno delle patologie come l'iperaldosteronismo primitivo. Il rischio non è un evento deterministico, cioè un evento che si verifica tutte le volte che si verifica una data condizione. È la probabilità che chi ha ipertensione arteriosa sviluppi una patologia d'organo. Collegato a questo c'è il concetto del continuum: non esiste una soglia identificabile. Questo perché nel concetto di rischio c'è una complessità di eventi che costituisce una sequenza ininterrotta. 1. Inizialmente vi è l'aumento della pressione arteriosa. Generalmente l’ipertensione è associata ad altri fattori di rischio (sovrappeso, obesità, diabete, dislipidemia, fumo). 2. Successivamente l’ipertensione arteriosa determina: o Ipertrofia ventricolare sinistra. o Basi dell’aterosclerosi. Quando c'è questa condizione il primo concetto è quello della discrepanza. » Segue l'angina e poi l'infarto. 4. Ilrimodellamento cardiaco è il cambiamento della forma del cuore, che comincia con la sua ipertrofia. Quando c'è il rimodellamento, e c'è un infarto, ci sarà un ulteriore rimodellamento perché nella parete andata necrotica la struttura muscolare diventa più debole, si formano degli aneurismi e quindi la morfologia della parete cardiaca cambia. In quelle aree che ormai non si contraggono più, c'è il rischio che si formino dei coaguli e che partano degli emboli. 5. Se il muscolo cardiaco ha un difetto di contrazione si ha un altro quadro di patologia: l'insufficienza cardiaca. Poi ci sarà un danno sia del cuore, che degli organi perfusi, soprattutto il rene. Valori pressori Non esiste un valore numerico di cut off rigido perché la distribuzione dei valori pressori segue l'andamento di una gaussiana. E necessario parlare di valori di pressione: e Ottimale:<120 perla massima, <80 perla minima. Una pressione eccessivamente bassa raffigura una situazione di rischio: esiste una curva J, un grafico di pressione-rischio che permette di intuire come sotto una determinata soglia di pressione sistolica, il rischio cardiovascolare ritomi a salire. Questo si verifica perché la perfusione del miocardio avviene in diastole, quando vige la pressione diastolica. Se la pressione sistolica è bassa, sarà verosimile che anche la diastolica sia bassa. ® Normale: <130 perla massima, <85 per la minima. e Normalealta: <139 per la massima, <89 per la minima. ® Ipertensione: >140 perla massima, >90 per la minima. Questi valori sono derivati dal concetto di rischio continuum, un sistema basato sulla probabilità. Non esiste un rischio di malattia cardio-vascolare pari a 0. La probabilità di sviluppare una malattia vascolare aumenta con l'aumentare della pressione. L’ipertensione inoltre si può dividere in 4 gradi di intensità. e Ipertensione di grado 1 (ipertensione lieve): 140-159 di massima, 90-99 di minima. ® Ipertensione di grado 2 (ipertensione moderata): 160-179 di massima, 100-109 per la minima. ® Ipertensione di grado 3 (ipertensione severa): >180 per la massima, >110 per la minima e Ipertensione sistolica isolata: >140 per la massima, <90 per la minima. Ipertensione sistolica isolata In questa classe rientrano molte forme di ipertensione, riscontrabili in diverse tipologie di pazienti: è È riscontrabile infatti sia in soggetti over 60. ® Neisoggetti giovani. Si genera un differenziale elevato tra le 2 pressioni. Nell’adulto genera la perpetuazione di un danno intermittente a livello di cuore e vasi. Questo carico intermittente, procura un danno maggiore rispetto ad una forza applicata gradualmente. Nel giovane la situazione fisiopatologica è diversa. Le cause sono: e Giovani: si possono avere alterazioni genetiche che possono determinare alterazioni della parete dei grossi vasi, oppure un’iperattività del simpatico che fa aumentare la portata cardiaca al momento della misurazione della pressione. ® Anziani: è legata alla trasmissione lungo la parete dei vasi dell’onda di polso. Una pressione massima alta con una pressione minima normale configura un quadro di alterazione della meccanica della parete dei grandi vasi che perdono la propria elasticità. Il valore della pressione differenziale è importante come possibile fattore di danno. Sia il valore delle pressioni sistolica che la pressione diastolica stimano: * Statodisalute. ® Stato di malattia: se il danno si è già verificato. ® Fattore dirischio: qualora il danno a carattere circolatorio non sia ancora sopraggiunto. Differenze tra auto-misurazione e misurazione Nell’auto-misurazione il rischio non viene stimato sul classico 140-90, ma su valori più bassi 135-85. Questo è dovuto ad una differenza nella situazione: ® Misurazione: ogni misurazione tende a modificare la pressione, in quanto è associata al rilascio di adrenalina e noradrenalina che potrebbero alterare i parametri presi. ® Auto-misurazione: l’auto-misurazione dà il tempo di stabilizzare la situazione legata alla misurazione. Toglie quella paste di modifica della pressione legata all’atto stesso della misurazione. L’unico modo per togliere la modifica della pressione è rappresentato dai primi modelli di misurazione: e 1° modello: prevedeva l’inserimento di un ago e di un trasduttore di pressione per dare tempo al paziente di spegnere la reazione di allarme data dalla risposta ai 2 ormoni. ® Pressionecruenta frontale: era un monitoraggio completo nelle 24 h. Un catetere veniva immesso in arteria brachiale. Una cassetta registrava il battito e la pressione nelle 24 h, con somministrazione di eparina da parte di una mini pompa per evitare coaguli. Infatti se il catetere non fosse perfettamente pervio, riceverebbe solo una parte della pressione in arteria. La pressione era frontale perché era inserito in brachiale e veniva misurata in contro flusso. Il risultato di queste procedure consisteva nel rilevare 4 valori di pressione per ogni ora, i quali possono essere espressi come: o Media oraria. o Valore di ogni misurazione. Tutto ciò permette di notare la variazione di © Pressione sistolica. © Pressione diastolica. o Differenziale nelle 24 h. In questo modo si ottengono altri cut off per le classi di ipertensione: o Media delle 24 ore (125/80). o Media durante le ore diurne (135/85): limite normale in auto misurazione. o Media durante le ore notturne (120/70). Ciò detto vale per i soggetti adulti (18 anni in su). Anche in pediatria il problema pressorio sta prendendo piede. Una volta si pensava fosse confinato a pochi bimbi che presentavano forme di ipertensione secondaria, ovvero forme in cui la pressione si alzava per malattie renali o genetiche. La numerosità dei bimbi in cui si possono avere squilibri pressori sta aumentando in relazione all’aumento del numero dei bimbi obesi. L’ipertensione in età pediatrica si determina con valori pressori superiori al 95° percentile, determinati. La distribuzione dei valori pressori è espressa in base al BMI (peso corporeo/altezza?) e all’età. ® Pressionearteriosa sistolica 95° percentile: se un bambino ha un’età compresa tra 1-17 anni, dovrebbe avere 100+(etàx2) di pressione massima. ® Pressione arteriosa diastolica 95° percentile: tra 1 e 10 anni: 60+(etàx2); tra 11 e 17 anni: 70 + (etàx2). Classificazione dell’ipertensione in base all’eziologia ® Ipertensione primaria (primitiva o essenziale): la sua eziologia è parzialmente sconosciuta Si tratta di una combinazione di molteplici fattori, in parte, geneticamente determinati, che concorrono all’auto «mantenimento e alla progressione del disordine, che passa da un fattore di rischio ad una malattia (danno d'organo). L'incertezza sull’eziologia riguarda la multi-fattorialità che li regola, tra cui lo stile di vita e l’alterazione del metabolismo. Si può associare un determinato profilo di personalità, più carismatica, portata a vivere la vita sociale in un ruolo di centralità ad una predisposizione all’ipertensione arteriosa. L'interazione di condizionamenti ambientali (stress, sedentarietà, obesità, dieta) e di influenze genetiche può favorire l'aumento dei valori e influenzare il decorso e la prognosi. e Ipertensione secondaria: dovute ad un precedente danno d’organo ad uno o più di quegli organi che regolano la pressione sistemica. La clinica di queste patologie è associata a ghiandole endocrine e rene. Le forme secondarie hanno assunto un maggiore tasso di incidenza dovuto anche ai migliori metodi diagnostici. Si sviluppa a causa di una patologia che, se identificata in tempo, può essere corretta con la conseguente risoluzione dello stato ipettensivo. Può essere sospettata: o Nelle persone giovani con ipertensione severa. o Nei pazienti che non rispondo alla terapia. Esempi di malattie che portano ad ipertensione: o Nell’acromegalia si ha un aumento nella produzione di GH da pate dell’ipofisi. o Un'altra forma di ipertensione secondaria da patologie endocrine può essere l’ipotiroidismo. o Iperaldosteronismo. Si definisce sindrome il complesso più o meno caratteristico di segni e sintomi (quadro clinico) accomunati da una patogenesi comune, ma che differiscono fra loro per l’eziologia. Ad esempio le 3 sindromi edemigene che hanno eziologia differente. Si definisce morbo il quadro clinico di segni e sintomi correlati da uguale patogenesi e uguale eziologia. Ad esempio morbo di Conn. Ne deriva che l’iperaldosteronismo primario quindi può essere curato efficacemente tramite rimozione della causa: ® Rimozione chiruzgica della causa nel caso ad esempio di adenoma nel morbo di Conn. ® Terapia anti-aldosteronica (se la patogenesi è metabolica). Il progredire del sangue dal cuore verso la periferia è determinato dall’elasticità dell’aotta perché è la sua capacità di distendersi quando il sangue arriva durante la sistole che gli permette di restituire in diastole questa energia. Quando il cuore richiama il sangue una parte verrà riversato, ma l’altra parte andrà verso la periferia. L’altro elemento è il volume in circolo: se il soggetto è anziano e ha la febbre o l’ha avuta, è disidratato e si mette in piedi, ha un giramento di testa per il calo della pressione. Importante componente è anche il genoma e una serie di molecole che intervengono nella regolazione della resistenza dei vasi. In un soggetto iperteso non ci si pone il problema del 1° meccanismo alterato, ma di abbassare la pressione dando dei farmaci che magari agiscono su un altro bersaglio ottenendo un abbassamento. È vero però che, in mono-terapia, solo il 40% dei pazienti risponde a quel farmaco. Alcuni ritengono che sia importante risalire ai disordini che possano aver determinato la comparsa dell’ipertensione. Bisogna considerare anche l’epigenetica, ossia le modificazioni dei geni non da un punto di vista strutturale ma dal fatto che, pur avendo sequenze mantenute per diverse azioni di acetilazioni o metilazioni, possono perdere parte delle loro funzioni. Si può fare riferimento anche all’importanza del microbioma: l'equilibrio dei batteri intestinali può modificare non la sequenza del DNA, bensi la funzione. Infine, si associa anche lo stile di vita, il consumo di sale, ecc... Il controllo delle resistenze periferiche è attuato da 3 macrosistemi: ® Ritenzione renale di sodio. ® Sistemanervoso simpatico. ® Sistema renina-angiotensina-aldosterone. Sono state selezionate delle mutazioni genetiche che modificano la pressione arteriosa, raggruppate in distretti: Distretto renale. Distretto dei grossi vasi arteriosi. Produzione di adrenalina e noradrenalina. Malfunzionamento di RAAS. Adenomi del SNC. Per quanto riguarda il distretto renale sono state evidenziate 4 patologie: e Sindrome di Gintelman: patologia autosomica recessiva. Alterato co-traspoito di sodio e cloro nel tubulo contorto. La pressione è nella norma/bassa. Caratterizzata da alcalosi metabolica ipokaliemica, e diminuzione della secrezione urinaria di calcio. *e Sindromedi Bartter: il disturbo genetico si localizza a livello del tratto ascendente dell’ansa di Henle. Si ha alcalosi metabolica ipokaliemica, pressione normale/bassa e livelli alti di aldosterone e renina. ® Sindromedi Gordon: difetto di un gene che influisce sulle proteine per il co-traspoito. Caratterizzata da ipertensione accompagnata da iperkaliemia, acidosi metabolica ipercloremica, livelli bassi di renina e alti di aldosterone. ® Sindrome di Liddle: autosomica dominate. Danno a livello del dotto collettore. Caratterizzata da grave ipertensione ad esordio precoce associata a diminuzione dei livelli plasmatici di potassio, renina e aldosterone bassi Il sodio è uno dei punti cardine nella regolazione della pressione arteriosa. Può far variare il volume ematico circolante, elemento fondamentale per la generazione della pressione arteriosa. I diuretici tiazidici che si utilizzano per abbassare la pressione arteriosa non riducono la pressione perché scaricano volume, ma perché interferiscono con il trasporto del Na*, del CT, e di altri ioni, manipolando le pompe Na'/K' e Na'/CI. Il consumo di sodio attiva meccanismi ossidativi, tanto che le ROS sono aumentate, e si riscontra un’interferenza con i canali del sodio a livello endoteliale. D'altra parte, se il sodio non viene contrastato con il diuretico, è giusto aspettarsi un aumento del volume circolante rispetto a quanto sarebbe con una dieta povera di sodio. Ciò vuol dire che si assiste a un aumento del volume circolante e delle resistenze periferiche, resistenze che aumentano anche a causa della presenza di una disfunzione endoteliale. I fattori genetici sono stati considerati responsabili di alcune anomalie concernenti la ritenzione ed escrezione renale di sodio. I fattori genetici non solo possono contribuire a spiegare perché ci sono determinati problemi, ima possono anche giustificare alcune predisposizioni che portano a delle abitudini per cui si va ad assumere un'eccessiva quantità di sodio. Alcuni soggetti, ad esempio, possono presentare delle alterazioni delle papille gustative che possono favorire il consumo eccessivo di sodio. Barocettori arteriosi Sono dei trasduttori di forza presenti nelle pareti dei grandi vasi (carotidi, arco dell’aorta) che vengono attivati e disattivati dall'aumento e dalla diminuzione della pressione anteriosa, rispettivamente. ® L’attivazione dei barocettori porta ad un’attivazione riflessa vagale con vasodilatazione periferica. e Ladisattivazione dei barocettori evoca una risposta di tipo simpatico con vasocostrizione periferica e incremento dell’inotropismo. I barocettori contribuiscono alla regolazione delle riposte pressorie immediate, come il mantenimento della pressione arteriosa costante nel passaggio dalla posizione clino-statica a quella ortostatica. Sistema renina-angiotensina-aldosterone I RAAS è un sistema ormonale caratterizzato da una cascata peptidica attivata mediante clivaggio enzimatico che riveste un molo primario nel controllo dell’omeostasi pressoria, in quanto regola sia le resistenze periferiche sia il bilancio idroelettrolitico. Il substrato del sistema RAAS è l’angiotensinogeno, una proteina sintetizzata dal fegato, trasformata in angiotensina I dall’enzima renina, prodotto dall’apparato iuxta-glomerulare del rene. L’angiotensina I è trasformata in angiotensina II dall’enzima di conversione a livello polmonare. L’angiotensina II, regolando il tono vascolare, il rilascio di aldosterone e di ADH, il sistema nervoso autonomo, il filtrato glomerulare e il flusso ematico renale, è l’effettore del sistema RAAS. Endotelio L’endotelio può essere visto come un sensore di ciò che avviene dentro al vaso. La prima modifica che si attua riguarda l'endotelio. L'endotelio risponde ai cambiamenti dentro al vaso, tramite i segnali che gli arrivano riguardo ai cambiamenti dello sltear stress. Ogni volta che cambia la differenza di pressione tra 2 punti di un vaso aumenta la velocità di flusso: quando vengono superati certi limiti di velocità, il flusso da laminare diventa turbolento. Queste variazioni si traducono in variazioni dello shear stress, la forza che il sangue genera scorrendo a contatto con l'endotelio. Lo shear rate è la differenza di velocità con la quale si muovono le singole lamelle che costituiscono il flusso. Quando varia la velocità del flusso di sangue, a causa della modifica del A pressorio, avviene un aumento dello shear stress, al quale l’endotelio risponde attraverso: ® Alterazioni strutturali: tende ad allungarsi in base alla posizione che ricopre nella curvatura del vaso. ® Rilascio sostanze vasoattive, quali: o Diazossido: si caratterizza per la capacità di attivare i canali del potassio, aumentando la permeabilità della membrana agli ioni K* e provocando il rilassamento della muscolatura liscia. o Ossido nitrico: modifica il tono della muscolatura del vaso cercando di ripristinare le condizioni precedenti. Il vaso si dilata e la velocità del sangue all’interno del vaso diminuisce. Quando si crea questa situazione, c’è anche una lesione meccanica, e non solo funzionale: 1. Sigenera una soluzione di continuità fra le cellule endoteliali, per cui i fibroblasti si inseriscono al di sotto dell’endotelio provocando un ispessimento della parete, che è il primo segno di danno d'organo. 2. I fibroblasti si moltiplicano, e si aggiunge il deposito delle apolipoproteine, in paticolare VLDL, alla base della malattia aterosclerotica. 3. Una volta che si è creata la placca si determinano 2 condizioni: o L’endotelio perde la sua integrità, per cui le sostanze vasoattive non vengono più rilasciate come ci si attenderebbe. o L’alterazione anatomica fa sì che, anche se ci fosse la liberazione dei mediatori, non sarebbe possibile la vasodilatazione. 4. Tutto ciò posta al danno d’organo, rilevabile attraverso gli esami strumentali, ma prima che sia palese il danno attraverso tali indagini, esistono dei sistemi che possono rilevare un danno pre-clinico, ovvero quel danno funzionale. La rilevazione elettronica dell’onda di polso, tramite untonometro, è una delle tecniche che permettono di dire se c'è un danno subclinico. Quando la lesione è diventata anatomicamente evidente, ci si trova davanti ad una condizione in cui è difficile ripristinare la situazione iniziale. Per capire se l’endotelio è alterato ci sono dei metodi diretti, come il grado di dilatazione del vaso mediato dal flusso, che permettono di capire come sono gli stimoli generati da vasocostrizione indotta. Quando si misura la pressione si induce una condizione di ischemia sul braccio, perché si gonfia la cuffia a valori sopra la pressione arteriosa. Se si tiene insufflato il bracciale con pressione sopra la diastolica per una manciata di minuti (non sopra la sistolica perché allora si potrebbe avere danno al vaso), la sofferenza fa in modo che l'organismo liberi sostanze vasoattive perché l'organismo si difende e cerca di vincere l’ostruzione generando ossido nitrico. La vasodilatazione viene osservata quando si libera il braccio, perché l’area soggetta ad ischemia ha prodotto in quella fase una serie di vasodilatatori che vengono riversati in circolo. Se l’endotelio è danneggiato produce poche sostanze vasodilatanti, quindi la quantità di flusso che arriva non varia così tanto. Alternativamente si può dosare la micro-albuminuria, indice della sofferenze dell’endotelio ai capillari del glomerulo, che se non integro permette il passaggio di una quantità minimali di albumina. Nel momento in cui esordisce il problema, c’è l’inspessimento dell’intima poi verranno altre complicazione come i fibroblasti proliferanti e prima ancora il danno all’endotelio con deposito di piastrine. I fibroblasti vanno sotto e generano la placca aterosclerotica, si accumulano lipidi e poi si avrà la calcificazione della placca Se c’è la placca si riduce il lume, l'ecografia misura tali variazioni. In questa situazione sono alterate le risposte dei barocettori a livello del seno e glomo carotideo. Inoltre, un’aoita calcifica, non si modifica né in sistole né in diastole e, si può avere ipotensione ortostatica. Un’aoita modificata non può svolgere la funzione di ammoitizzatore che normalmente ha durante la sistole. Durante la sistole viene espulsa una quantità di sangue che genera di suo un aumento della pressione tanto maggiore quanto minore è la capacità dell’aorta di distendersi. Inoltre, la restituzione in diastole dell'energia cinetica accumulata in sistole da parte dell’aorta fa sì che la pressione diastolica non scenda troppo, facendo in modo tale che la perfusione del miocardio sia ottimale. Idrodinamica Un molo fondamentale nella regolazione della pressione anteriosa è giocato dai grandi vasi. In particolare il connettivo elastico, nel tempo subisce delle modifiche strutturali e da connettivo elastico tende a diventare fibroso. L’aorta si allunga e occupa più spazio nel torace. Infatti negli esiti radiologici di una persona di una certa età è quasi sempre citata un’ectasia dell’arco dell’aorta. Dal momento che la gabbia toracica non si espande, ma anzi, con l’età rimpicciolisce, l’aorta diventa più evidente, farà un arco più ampio rendendo l’ectasia un reperto comune. Il concetto principale è quello di proprietà meccaniche: * Proprietà di tipo resistivo. * Proprietà di tipo inerziale. Bloccando il RAAS con degli ACE-inibitori si potrebbe causare una nefrectomia farmacologica. Se il rene percepisce una bassa pressione per via della stenosi dell'arteria renale, attiva il RAAS che determina vasocostrizione, alzando la pressione e mantenendo un flusso adeguato. Se si abbassa la pressione, tutto l'organismo sta bene, eccetto il rene che generava il problema. Nelle fasi finali si parla di rene grinzo. La storia naturale è caratterizzata dalla lenta progressione delle placche aterosclerotiche che può arrivare fino all’occlusione dell’arteria renale; ciò si accompagna a una progressiva compromissione della funzione renale e ad atrofia renale. Il trattamento dell’ipertensione nefro-vascolare è rappresentato dalla rivascolarizzazione del rene ischemico mediante angioplastica con applicazione di stent. La terapia medica si basa sulla somministrazione di calcio- antagonisti. Ipertensione nefro-parenchimale L’ipertensione arteriosa da malattia renale costituisce la forma più frequente di ipertensione secondaria. Il danno renale che si sviluppa durante il suo decorso aggrava l’ipertensione, creando un circolo vizioso. In base alla patologia renale è possibile distinguere varie forme di ipertensione nefro-parenchimale. Si ha un danno tale da avere i capillari soggetti a necrosi fibrinoide. La nefropatia determina lo sviluppo di aterosclerosi accelerata e insufficienza cardiaca. In questi pazienti è necessario ridurre l'apporto di Na' conla dieta a 1-2 g/die. I farmaci dotati di effetto nefro-protettivo sono gli ACE.inibitori e gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II In corso di nefropatie, i diuretici devono essere somministrati a dosaggio maggiore. Cause principali di ipertensione secondaria: * Iperaldosteronismo: alte sia la sistolica che la diastolica. Feocromocitoma: alta sia sistolica che diastolica. L’ipertensione si presenta a crisi. In ambulatorio la pressione la sarà normale. Ipertiroidismo. Gravidanza (preeclampsia). Ipertensione nefro-vascolare. Coatazione aortica. Principali quadri clinici da ipertensione arteriosa Gli organi bersaglio dell’ipertensione arteriosa sono: il cuore, i vasi arteriosi, il rene, l’encefalo. Lo sviluppo delle varie forme di danno d’organo è sotteso dai meccanismi patogenetici comuni. Ciò comporta che spesso il paziente iperteso è portatore contemporaneamente di più forme di danno d’organo. Quindi se non si interviene nelle fasi iniziali del danno, un soggetto che ha un rialzo pressorio va incontro ad un circolo vizioso che porta al danno e all’insufficienza d'organo, con presentazione di quadri clinici quali: Malattia coronarica. Nefroangiosclerosi. Ipertrofia ventricolare sinistra. Dissezione aortica. Retinopatia ipertensiva. Edema polmonare acuto. Insulino-resistenza. Velocità dell’onda di polso: la velocità con la quale l’onda di polso si propaga lungo l’albero arterioso è indice di sofferenza della parete del vaso. Ci possono essere varie cause a monte di una patologia, che possono alterare la fisiologia di un organo e il mantenimento della sua omeostasi. Le cause del danno d’organo possono essere: e Noxa chimica: farmaci, prodotti chimici e fisici (erbicidi, tossine...). e Noxafisica: calore, radiazioni, ipertensione. e Noxabiologica: virus, microbi, prioni. ® Noxa genetico: assetto genetico anomalo. Malattia coronarica Il cuore di un iperteso può andare incontro ad un insieme di sintomi che fanno riferimento alla malattia coronarica, intendendo la patologia dei grandi vasi. La malattia coronarica può presentarsi come: e Elemento dominante l'angina, con evoluzione nell'infarto (malattia ischemica del cuore). * Elementi dominante la dispnea ed edemi declivi. Questi 2 sono i segni che configurano il quadro generale di scompenso cardiaco. Alla base di questa tipologia di manifestazioni cliniche c’è l’alterazione: ® Del macro-circolo con un danno aterosclerotico a questo livello, che porta al fenomeno anginoso. * Delmicro-circolo, che quando è alterato, può non essere in grado di fornire sangue ai tessuti. Ci sono delle patologie, come il diabete, che possono estrinsecarsi come una patologia prevalentemente del microcircolo. Anche in questo caso i soggetti potranno manifestare i segni di una ischemia, ma in questo caso è meno facile che si manifesti dolore. In condizioni di ischemia un muscolo non è in grado di contrarsi adeguatamente, ad esempio nella nuastenia gravis. Se il muscolo cardiaco non riceve flusso adeguato per difetti del microcircolo, il cuore può avere un difetto di contrazione, e quindi un difetto di pompa. In questi casi non ci sarà quasi il sintomo dolore, ma dispnea. Questi soggetti hanno dei danni identici a quelli dell'infarto, ma senza il sintomo dolore. C'è una differenza di genere nelle cardiopatie, che risiede nella tipologia di danno: In caso di danno al macro-circolo si può intervenire con uno stent; se il danno è nel micro-circolo no. Nefroangiosclerosi Il rene, in condizioni fisiologiche, è in grado di autoregolare il suo flusso all’interno di un range pressorio che, se superato, porta ad iper-filtrazione. I punti critici per modificare la filtrazione del glomerulo riguardano il tono dell’aiteriola afferente e dell’arteriola efferente. Alla base della nefroangiosclerosi si avrà: 1. La pressione arteriosa sistemica aumenta in tutto l’organismo e supera la soglia di autoregolazione del tene, facendo sì che esso non sia in grado di garantire la regolazione del flusso. 2. All’interno del glomerulo la pressione di perfusione sale ed il capillare risponde modificando la sua struttura anatomica con una sclerosi, associata ad una necrosi fibrinoide. La necrosi fibrinoide è la necrosi delle cellule muscolari lisce delle anteriole renali, e viene definita fibrinoide perché la degenerazione delle cellule muscolari assomiglia a depositi di fibrina. 3. La necrosi fibrinoide si presenta a macchia di leopardo, non uniforme sulla matassa glomerulare. 4. Il capillare perde la capacità di regolare la velocità di flusso. Quindi cala la capacità di filtrazione, e quindi la creatininemia comincia a salire, non mano a mano che il volume del filtrato diminuisce, ma solo quando questo è sceso sotto una certa soglia. Ipertrofia ventricolare sinistra avanzata A livello cardiaco vi sarà una discrepanza fra la necessità del muscolo di essere ossigenato e la numerosità dei vasi. Il danno provocato dall’ipertensione si traduce in un deficit contrattile determinato dall’insufficiente apporto di O; al muscolo. Nell’ipertrofia patologica, l'elemento qualificante è la mancata angiogenesi, cioè la mancata formazione di una rete capillare che possa irrorare il muscolo. Al contrario nell’ipertrofia dell’atleta si generano dei circoli che permettono di rendere meno importante questa discrepanza. Dissezione dell’arco aortico In questa situazione la pressione arteriosa ha un ruolo rilevante e questa è una delle poche condizioni in cui una crisi ipertensiva deve essere gestita con un abbassamento brusco e rapido della pressione arteriosa massima. Se una persona ha una pressione massima di 180 mmHg e sta avendo una dissezione aortica, se non viene ridotta la pressione a 100, il danno essendo meccanico continuerà a svilupparsi. Retinopatia ipertensiva Le informazioni dall'esame del fondo oculare consentono di dividere la retinopatia in 4 gradi: e GradoI: restringimenti arteriolari focali o diffusi. e Grado II: incroci artero-venosi. Ciò significa che le arteriole, quando incrociano i vasi venosi, lasciano un’impronta perché il carico di pressione nell’arteriola finisce col comprimere la vena. ® Grado III: essudati cottonosi ed emorragie a fiamma, testimonianza della rottura capillare. e Grado IV: edema della papilla con margini sfumati, rappresentativo dell’encefalopatia ipertensiva. Il cervello risente dell’incremento cronico dei valori di pressione arteriosa. Manifestazioni tipiche del danno cerebrale sono le alterazioni a carico dei piccoli vasi e dell'encefalo. Le alterazioni dei piccoli vasi possono essere evidenziate mediante esame del fondo oculare. Le alterazioni retiniche di III e IV grado si associano ad aumento del rischio di eventi cardiovascolari. È stato ipotizzato che alterazioni vascolari ed encefaliche possano essere responsabili del deterioramento delle funzioni cognitive negli ipertesi. Le lesioni cerebrali possono causare deficit minori (disturbi dell’equilibrio e incontinenza urinaria). Lo sviluppo di danno cerebrale nell’ipertensione arteriosa inizia con la perdita dei meccanismi di autoregolazione del flusso cerebrale. Ciò comporta una maggiore predisposizione all’ischemia cerebrale per abbassamenti della pressione arteriosa. Edema polmonare acuto Espressione di un’insufficienza acuta ed improvvisa del ventricolo sinistro. Se il carico pressorio raggiunge livelli elevati, come può avvenire nel sonno durante la fase REM, in cui si determina una scarica adrenergica importante, il sistema cardiocircolatorio va in sovraccarico. Spesso tale sovraccarico è accompagnato dal fatto che chi ha un’insufficienza cardiaca ha un difetto di pompa, quindi la mobilizzazione del flusso di sangue non è ottimale, pertanto queste persone, se stanno a lungo in piedi, accumulano liquidi a livello degli aiti inferiori. Ponendo insieme entrambi l’attivazione adrenergica e l'aumento della volemia, durante la notte sono sperimentabili 2 segni semeiologici caratteristici: ® Nicturia: aumento relativo della diuresi nelle ore nottume. ® Dispnea parossistica notturna: è segno di un’insufficienza acuta del ventricolo sinistro, che in seguito ad un aumento della pressione arteriosa, non riesce a garantire una gittata sistolica adeguata al flusso verso la periferia ed allo svuotamento del ventricolo. La fisiopatologia dell’edema polmonare acuto è: 1. I ventricolo sinistro si deve svuotare, ma se non si svuota, la sua frazione di eiezione risulta essere <55% e si parla di scompenso cardiaco. Pertanto se il ventricolo ha una frazione di eiezione ridotta, nella diastole successiva il volume residuo nel ventricolo sarà almeno pari al 50%. 2. Seilventricolo è già riempito a metà, nell’atrio il sangue non si scarica completamente, quindi l’atrio alla fine della sua sistole immagazzina al suo interno un volume superiore di sangue. 3. Le vene polmonari scaricano nell'atrio, lo trovano parzialmente riempito e non riescono a scaricarsi a loro volta in maniera completa. e Entro ceiti limiti l’atrio si può dilatare più del ventricolo, a causa dello spessore inferiore della muscolatura, e quindi la pressione al suo interno rimane invariata. simpatico, chiedendo al paziente di fare degli atti respiratori profondi e relativamente poco numerosi in 1 minuto, valutando la risposta della frequenza cardiaca. Normalmente si ha un’evidente variabilità di FC con il respiro (aritmia respiratoria con bradicardia seguita da un ritorno alla normalità). In caso di dis-autonomia tale variabilità in termini di FC si perde, mentre è più evidente la variazione pressoria. e Cold pressortest: è importante la componente nocicettiva. Si immerge la mano in acqua ghiacciata e la si tiene li per qualche min. Siccome la mano è fredda vengono attivate le vie dolorifiche. In questo test si fa riferimento all'aumento della pressione sistolica rispetto a chi ha una dis-autonomia. ® Divingtest: prevede l'immersione della faccia in acqua fredda (è sistema usato anche per interrompere delle crisi aritmiche: si fa il massaggio del glomo carotideo per rallentare la FC o si evoca una bradicardia con questo test). Se il sistema funziona, l'aumento della pressione indotto dal freddo, attiva il vago e si ha una bradicardia. ® Valutazione dell’attività dei nervi periferici: si studia il nervo peroneale, raccogliendo poi i vari bust di scarica. Si usa molto in ricerca per studiare l’attività dell’SNA simpatico nell’obesità. ® Tilt testing: utilizzato per studiare le sincopi. Spesso esse hanno come base delle alterazioni vaso- vagali oppure delle aritmie. Il tilt testing si fa ancorando il paziente ad un letto con delle cinghie, mettendolo in piedi e rendendogli impossibile il sollevamento sulle gambe perché altrimenti si attiva ‘un effetto pompa sui vasi ed una risposta sul sistema ortosimpatico e pressotio. Se il sistema autonomo funziona male, la pressione tende a scendere man mano che il paziente raggiunge la posizione eretta, al punto tale da poter raggiungere la sincope. e Testdell’ionoforesi con acetilcolina: non è molto utilizzato in clinica, ma permette di avere indicazioni sul SNA. Infatti, le ghiandole sudoripare sono controllate dal sistema nevoso simpatico e il mediatore è l’acetilcolina. La sudorazione rappresenta una risposta a qualsiasi evento di allarme. Differenze e similarità tra fibrillazione e flutter atriale: sul versante meccanico, c’è una contrazione atriale inefficace in ambedue i casi, per quanto riguarda la parte elettrica c’è un’alta frequenza generata dal fenomeno del rientro e da un’alterazione nelle pompe che regolano la depolarizzazione delle cellule per cui l'impulso non pate più dal nodo seno-atriale ma si instaura un cortocircuito attorno allo sbocco delle vene cave. La differenza tra flutter e fibrillazione riguarda il differente modo in cui gli impulsi sono bloccati al nodo AV, perché nella fibrillazione atriale gli impulsi sono bloccati in modo variabile. Pertanto dato che la frequenza atriale può variare tra 300-600 ma, l’impulso passa 1 ogni 3 ad esempio. Facendo una media generalmente la frequenza ventricolare gira attorno a 130-140, più che sufficiente a rendere molto problematica la vita del paziente. Nel flutter il blocco AV è fisso 2:1. La frequenza atriale è più bassa (350 al massimo) ma siccome l'impulso passa in rapporto 2:1, si possono avere frequenze ventricolari incompatibili con la vita (circa 200). Se un soggetto da fibrillazione passa in flutter può avere una tachicardia che non lo porta a morte, perché magari da flutter si ritrasforma in fibrillazione, ma sufficiente per generare una sincope. Meglio fare un ECG nelle 24 h (perché se ho un flutter parossistico in cui la sincope dura pochi minuti, rischio, facendo un ECG di farlo in un momento sbagliato in cui risulta normale). Si potrebbe fare il massaggio del seno carotideo mentre si fa l’ECG ma solo se si è esperti nella manovra perché si può generare un anresto. Tonometria Molti fattori regolano la pressione all’interno delle arterie: bilancio salino, lo stress, le alterazioni genetiche, l’obesità, la funzione renale e fattori endoteliali. Ciò che regola le differenze di pressione sono le proprietà dell’aorta addominale e delle grandi arterie. Essi sono vasi nei quali la componente elastica è molto presente. Hanno la funzione di portare il sangue in periferia ma, in particolare l’aota, anche di smorzare la gittata sistolica, così un flusso continuo e valori pressori adeguati anche durante la diastole (effetto Windkessel): in questo modo uno stimolo pulsatorio ed intermittente diventa uno stimolo continuo e lineare. Durante la sistole, solo il 40% dell'energia cardiaca sia usato per spingere il sangue in periferia, mentre il 60% viene incamerato nei grandi vasi per essere rilasciato in diastole al fine di garantire il flusso del sangue. Le proprietà viscoelastiche sono determinate dall’elastina e dal collagene. Sono contenute prevalentemente nella matrice extracellulare della tonaca medie delle grandi arterie ed entrambe hanno natura fibrillare. La prima è molto elastica e dà un contributo sostanziale nella funzione di ritorno elastico. Il collagene ha una funzione strutturale. Il rapporto tra queste 2 stabilisce l’elasticità dei vasi. Disperse nella media ci sono cellule muscolari lisce. Nell'ambito della pressione, l'interesse ricade sulla tonaca media. Questi grossi vasi, e quindi le loro tonache, sono soggetti ad alterazioni patologiche e fisiologiche. Un esempio è il processo di invecchiamento: nel corso degli anni la rigenerazione dell’elastina viene meno, ed aumenta l’attività delle elastasi. Di conseguenza ci sarà una variazione del rapporto tra collagene ed elastina con perdita di elasticità. In caso di ipertensione aumenta l’espressione di collagene che previene l’eccessiva estensione della tonaca. È un meccanismo di risposta: è un meccanismo di ipertrofia nel tentativo di ristabilire l’omeostasi. Non solo ipertensione e vecchiaia conducono a ciò, ma anche malattie genetiche: né è un esempio la sindrome di Marfan. In tal caso c’è un deficit nell'espressione e un’alterata funzione della fibrillina, indispensabile nella corretta disposizione dell’elastina. Processi fisiopatologici che interessano i vasi e loro ripercussioni pressorie ® Aterosclerosi: irrigidimento dei vasi attraverso la degradazione della parete e la deposizione di calcio nelle anterie. E correlato all’invecchiamento e ad altri stati patologici. L'aterosclerosi è una malattia degenerativa multifattoriale, che colpisce le arterie di medio e grosso calibro, infiammandole e irigidendole a causa del deposito di grassi e globuli bianchi nella loro parete. Questi depositi (ateromi) si depositano nello strato più intemo delle aterie, quello in diretto contatto con il sangue. e Arteriosclerosi: interessa le arterie di piccolo calibro, in particolare quelle di rene, milza, fegato e pancreas. Non comporta il formarsi di depositi lipidici, ma di proliferazioni anomale di alcune cellule della tonaca intima e di quella media. Fondamentalmente è dovuto ad un’eccessiva deposizione di tessuto connettivo fibroso. Il conseguente ispessimento della parete causa il restringimento del lume arteriolare. L'ipertensione ed il diabete mellito sono importanti fattori predisponenti. Si ha un inigidimento del vaso, un aumento della pressione sistolica e una diminuzione di quella diastolica. Se aumentano le resistenze vascolari periferiche, per un influenza del sodio o del simpatico, aumentano le pressioni: sistolica, media e diastolica. Nel caso di aoito-sclerosi, invece, aumenta la sistolica, diminuisce la diastolica, mentre rimane uguale la media. Inoltre, quando si produce un irrigidimento dei grandi vasi, come l’aoita, quello che si va a inficiare è la pompa diastolica. Essa ha un ruolo fondamentale soprattutto per la perfusione coronarica. Un’ipo-perfusione coronarica cronica può portare ad ischemia sub-endocardica, portando ad una disfunzione ventricolare cardiaca. Inoltre, la disfunzione di pompa causa un aumento della pressione sistolica centrale, con un aumento del post-carico ventricolare sinistro ed ipertrofia del ventricolo sinistro. Si giunge così al medesimo risultato patologico, cioè disfunzione ventricolare sinistra. Velocità dell’onda di polso Per misurare questo parametro bisogna identificare il profilo pressorio a 2 capi di un vaso e, sapendo qual è la differenza di tempo della propagazione del profilo, si può calcolame la velocità. Ciò lo si può fare nella pratica in maniera non invasiva misurando la pressione a livello della carotide comune e a livello dell’arteria femorale. Lo strumento per effettuare la misurazione è il tonometro. Bisogna calcolare la distanza tra i 2 punti dove si è effettuata la rilevazione ed infine si può determinare la velocità dell’onda di polso. La distensibilità è inversamente proporzionale al quadrato della velocità dell’onda di polso. La velocità normale nei grandi vasi è di 10 m/s. La velocità dell’onda di polso non è la velocità del sangue ma la velocità con cui è condotta la pressione. La velocità dell’onda di polso risente di: * Dannistrutturali: Età. Ipertensione anteriosa. Malattie metaboliche genetiche. Malattie che causano un'elevata calcificazione dei vasi, come l’IRC. o 000 * Danni funzionali: o Sistema nervoso simpatico. © Pressione arteriosa media. Questi fattori riguardano sia le arterie centrali di grande calibro sia quelle muscolari, ma in modo diverso: le alterazioni strutturali sono preponderanti nelle prime, mentre le seconde subiscono maggiormente l’effetto delle alterazioni funzionali. Di conseguenza la velocità dell’onda di polso carotido-femorale si rivela un predittore estremamente affidabile di mortalità. La PWS aortica non è determinata, se non minimamente, dalle efferenze simpatiche mobilitate da stress e simili, a differenza di quella delle arterie muscolari, fortemente correlate all’attività del sistema nervoso simpatico e ad alterazioni funzionali della parete arteriosa e non è correlata col rischio vascolare. Esistono altri metodi che possono valutare la rigidità o distensibilità locale in un punto specifico, come nel caso del Wall Track System: con un ecografo si può vedere, tracciando il movimento delle pareti dei vasi, sia la tonaca media che il passaggio dalla muscolare all’avventizia, e poi mettendo dentro anche i valori pressori, si può definire quelli che sono i valori di distensibilità locale. Misura della pressione Il metodo diretto è la tonometria, che si basa sul principio della distribuzione delle forze in un’arteria che viene compressa contro una struttura ossea-muscolare: la forza che preme contro il tonometro corrisponde alla pressione nel vaso. La pressione centrale è per definizione quella nell’aoita ascendente, la pressione in carotide è uguale a quella in aoita ascendente. Il tonometro utilizzato è composto da:: e Unasonda, sincronizzata con l’ECG. e 2sonde, usate contemporaneamente per misurare il tempo di transito da un punto all’altro. L’onda pressoria verrà calibrata coni valori di pressione diastolica (la pressione minima presenta valori uguali a livello centrale e periferico) e di pressione media (anch'essa è costante sia in centro che in periferia). Si ottiene così la misura della pressione sistolica centrale. I valori di pressione diastolica e media possono essere ottenuti anche da una misurazione della pressione sistolica periferica, a livello brachiale. I metodi indiretti usano degli apparecchi diversi e ricostruiscono, attraverso un calcolo matematico, la pressione nell’aorta ascendente a partire da quella in arteria radiale. Analisi morfologica della curva pressoria e Incisura dicrota: data dalla chiusura della valvola aortica, segna la fine della sistole e l’inizio della diastole. ® Inflessione sistolica: data dall’incontro tra onde dirette e onde riflesse, si presenta o nella fase sistolica ascendente o in quella discendente. La presenza di un punto di flesso in fase precoce si trova soprattutto nelle persone anziane e in chi ha una PWV più elevata. Fenomeno dell’amplificazione della pressione arteriosa Lapressione è diversain ogni punto dell’albero atterioso. La pressione centrale è più importante da considerare perché è quella contro la quale lavora il cuore ed è più bassa rispetto a quella periferica. per il fenomeno delle onde riflesse: l’elevata velocità di propagazione delle onde pressorie fa sì che la riflessione dell’onda pressoria non si ripercuota sull'onda successiva ma che si sovrapponga all’onda che l’ha generata, modificando * Perché misurando qualcosa la si va a perturbare. * Perchéicateteri non sono molto precisi di per sé. La pressione diastolica non varia nell’albero asterioso, mentre la sistolica lo fa, in ragione del fenomeno dell’amplificazione. La pressione sistolica viene calibrata sulla diastolica e il computer fomisce il risultato della sistolica centrale. Il sistema cardiovascolare mantiene la pressione diastolica e quella media costanti fino alle ateriole di resistenza, dove avviene un abbassamento. Il tonometro rileva l’onda di pressione centrale e usa i valori della pressione diastolica e media per ottenere quello di pressione sistolica centrale. Fisiologia comparativa: relazione tra frequenza cardiaca, propagazione dell’onda e altezza ® Le persone alte hanno un’amplificazione pressoria maggiore rispetto a quella bassa. ® Di solito, chi ha una statura più bassa ha una frequenza più alta. e La frequenza cardiaca del neonato (110 bpm) va diminuendo via via che cresce. Se il ritorno dell’onda a livello centrale è precoce, non solo la pressione centrale si alza, ma il ventricolo sinistro si trova in contropulsazione con l’aorta durante lo svuotamento e dunque non ce la fa a compierlo. Le differenze di frequenza cardiaca tra le varie specie e tra bambini ed adulti sono legate all’ottimizzazione del ritorno dell’onda pressotia, per far sì che avvengain modo tale da nontrovare il ventricolo in contropulsazione. Sistemi alternativi al tonometro Esistono numerosi strumenti in grado di applicare il metodo indiretto. Ci sono degli strumenti, come l’Omron, in cui c’è un supporto rigido su cui poggiare il polso. Poi il bracciale si chiude come delle manette. Esso rileva l'onda di polso a livello radiale. Alcuni di questi strumenti sono portatili, quindi consentono un monitoraggio della pressione centrale nelle 24 h. Fondamentalmente il metodo indiretto si basa sul concetto di funzione di trasferimento (trasformata di Fourier), ossia sull’approssimazione della curva centrale a patire dalla misurazione della periferica. Ogni azienda ha il suo algoritmo, che consente di associare ad ogni punto dell’onda periferica un punto dell’onda centrale. Molti farmaci anti ipertensivi hanno effetti diversi sulla pressione centrale e su quella periferica: e I B-bloccanti abbassano i valori di pressione centrale meno rispetto a quelli della periferica. Ecco perché i B-bloccanti non sono raccomandati come trattamento di prima linea contro l’ipertensione arteriosa. Meccanismo di azione dei f-bloccanti: riducendo la frequenza cardiaca, le onde di riflessione hanno più tempo e dunque si modifica la pressione a livello radiale. e Icalcio antagonisti e gli ACE inibitori, hanno effetti uguali in intensità, ma generalizzati. Il blocco della stimolazione B-adrenergica riduce la frequenza cardiaca, e ciò modifica il profilo dell’onda di polso radiale perché attenua l'amplificazione (ma la pressione centrale resta alta). Quindi: ®e Daunlatoil muscolo cardiaco avrà un post-carico maggiorato. ® Dall’altro c’è anche la riduzione del consumo di O. da parte del cuore. I calcio antagonisti hanno 3 grandi classi: ® Diidropiridinici: amlodipina, nicardipina, fenodipina, nifedipina, ecc... L'azione di questi viene ad esplicarsi a livello periferico, come calo delle resistenze. ® Benzodiazetine (diltiazem) e fenilalchilammine (verapamil). Queste possono determinare un effetto inotropo negativo a livello cardiaco. I calcio antagonisti sequestrano il calcio a livello del muscolo cardiaco riducendo la forza contrattile e il consumo di 07 Indice di SERV e ischemia miocardica La valutazione della onda pressoria permette di ottenere informazioni anche in merito alla rigidità dell’aorta e sul contributo che ha la pressione nel favorire l'ischemia miocardica. L'ischemia miocardica cronica è determinata sia dalle alterazioni coronariche, ma anche da un ipo-flusso di sangue ossigenato alle coronarie. Una riduzione dell'appoito di sangue ossigenato, con un’aumentata richiesta di O. da parte del miocardio, può slatentizzare un’ischemia cardiaca. L’ipossigenazione del miocardio può essere determinata sia dal profilo pressorio, sia dal contenuto di O; nel sangue. L’indice che permette valutare il rapporto tra sangue apportato e consumato è il SEVR, che può essere derivato dal profilo della pressione centrale ed è l'indice di ischemia subendocardica. Il SEVR si ottiene dividendo l’area sotto la curva della fase diastolica per l’area sotto la curva della fase sistolica, fino all’incisura dicrota. L'area pressoria sotto la diastole è un indice dell'apporto pressorio, e quindi di sangue, al miocardio. L'area sotto la sistole riflette il postcarico, e quindi il carico contro il quale deve rapportarsi il ventricolo sinistro durante la sistole; il carico è in diretta correlazione con il consumo miocardico di O:. Il SEVR dipende dalla pressione presente all'interno del cuore: più è elevata, più controbilancerà l'apporto di sangue durante la diastole. La pressione telediastolica ventricolare sinistra è aumentata durante lo scompenso cardiaco, in quanto nello scompenso si hanno valori pressori più elevati all’intemo del ventricolo sinistro durante la diastole, che alterano l'apporto di sangue nelle coronarie. Il consumo di O: dipende dalla pressione generata al termine della sistole, tanto più elevato è il picco pressorio, tanto più O; sarà consumato, dalla frequenza cardiaca, dalla contrattilità del miocardio. Il area sotto la diastole è direttamente correlato all’appoito di sangue al sub-endocardio, alla pressione e alla durata della diastole, che dipende dalla frequenza cardiaca: aumentando la frequenza si riduce la durata della diastole e quindi si altera il flusso di sangue nel sub-endocardio durante diastole. Si è visto perché, nonostante la presenza di coronarie integre, ci possa essere una situazione che precipiti in una necrosi del miocardio. Ciò si verifica ad esempio nella Sindrome di Tako-Tsubo. La sindrome Tako- Tsubo è un'entità clinica sintomi che possono simulare una sindrome coronarica acuta: dolore toracico, dispnea, alterazioni elettrocardiografiche e alterazioni degli enzimi di necrosi, ma alla coronarografia le arterie sono integre. Non si tratta di condizioni facili da gestire; ciò che si riscontra nella pratica clinica è: Questo è quello che può avvenire ad esempio nel corso di una tachiaritmia o nel caso di valori pressori non controllati. Sono tutte situazioni nelle quali il consumo di O. da parte del miocardio è elevato, ma nello stesso tempo il suo apporto è insufficiente. Alcuni fattori come l’anemia possono slatentizzare questo ridotto apporto di O; al sangue. C’è un valore critico del SEVR al di sotto del quale insorge la condizione di ischemia miocardica. Questo cut- off dipende anche dall’anatomia delle coronarie e da quella del cuore. L’infarto di tipo 2 può essere scatenato da un evento acuto, come un’anemizzazione acuta; però può anche dipendere da alterazioni costanti come una riduzione cronica dell'apporto di O. al miocardio. Urgenze e emergenze ipertensive Con il termine emergenze ipertensive viene definita una serie di condizioni cliniche che possono mettere in pericolo di vita il paziente e che richiedono l'immediata riduzione della pressione arteriosa al fine di limitare il danno agli organi bersaglio dell’ipertensione. Sia le emergenze ipertensive che le urgenze ipertensive sono caratterizzate da ipertensione severa (>180/120). I valori di riferimento per la diagnosi possono essere il superamento del valore di 180 per la massima o il superamento di 120 della minima, o entrambe. e Emergenza ipertensiva: è caratterizzata da un danno imminente o in atto. È fondamentale agire immediatamente tramite farmaci per via parenterale. La patogenesi delle emergenze ipertensive è complessa e vede la partecipazione, oltre all’aumento dei valori di pressione arteriosa, anche la compromissione della funzione degli organi bersaglio. In tal modo si innesca un circolo vizioso che porta al danno irreversibile dell’organo. e Urgenza ipertensiva: sebbene i valori pressori siano molto elevati, non sono presenti sintomi che indichino danno d’organo. In mancanza di danno imminente o in atto è possibile procedere con tempi più lunghi, quindi si possono somministrare farmaci non parenterali. È più probabile che si presenti un caso di emergenza ipertensiva in un paziente con ipertensione secondaria piuttosto che con ipertensione essenziale. Diagnosi ® Misurazione cometta: il paziente è agitato quindi ha la pressione aumentata, quindi bisogna tranquillizzarlo. Si misura la pressione più volte. * Discemere il significato dei sintomi: i pazienti in PS per crisi ipertensiva possono manifestare sintomi molto disparati: cefalea, parestesie, vertigini, pre-cordialgie, cardiopalmo, dispnea, asintomatici. Non sempre un sintomo manifestatosi in concomitanza all’ipertensione severa è legato e dovuto ad essa. Una crisi ipertensiva indica una possibile condizione tra: emergenza, urgenza e pseudo-urgenza ipertensiva. L’aumento della pressione arteriosa di per sé non causa disturbi se non in presenza di: e Ipertensione grave. ® Raricasi di ipertensione secondaria. e Coplicazioni cardiovascolari. I disturbi principali che si manifestano nei casi indicati sono: e Cefalea: sintomo spesso concomitante alla pressione elevata, può non essere connessa direttamente all’aumento pressorio, anzi spesso è proprio questa che causa l’ipertensione. Può essere dovuta a: o Aumento della pressione intra-cranica: presente in pazienti con PA diastolica>120 mmHg e/o con valori di PA che superano il limite superiore dell’autoregolazione cerebrale. o Feocromocitoma: si ha una cefalea pulsante. e Vertigini: da non confondere con le pseudo-vertigini, quasi mai dovute all'ipertensione arteriosa. Se presenti, sono espressione di lesioni vascolari del tronco encefalico e come tali si accompagnano ad altri segni neurologici. Sono collegate tipicamente nei casi di infatto cerebellare. Per “cefalea” si intende dolore al cranio. L’emicrania è una delle condizioni che rientrano nel quadro delle cefalee, ed è una patologia che causa ipertensione, e può portare a un quadro di pseudo-urgenza. Le pseudo-vertigini sono un sintomo che il paziente riferisce come vertigini, ma che possono essere capogiri o simili, dovuti ad altre cause (poco sangue alla testa per bassa pressione, ecc...). Pseudo-urgenza ipertensiva Condizione con pressione di 180/120, dove il paziente presenta una base di pressione elevata, pur non costituendo la pressione il problema centrale. In diversi casi è il sintomo che conduce a un aumento pressorio. Disturbi che erroneamente vengono attribuiti all’ipertensione arteriosa: ® Cefalea: la cefalea determina pressione alta, perché la risposta neuroendocrina al dolore neuropatico porta a ipertensione. * Acufeni: disturbo uditivo costituito da numori come fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni. * Vertigini. * Epistassi. aumento della pressione e ischemia tissutale, tutto questo a livello del microcircolo; a livello sistemico, il rene reagisce all’aumento pressorio eliminando sodio, e in risposta a questa ipovolemia iniziale c’è rilascio di sostanze vasocostrittrici, per cui c’è aumento pressorio. Può essere accompagnata da numerosi sintomi e segni: Pressione arteriosa diastolica molto alta, solitamente >140 mmHg. Emortagia, essudati, papilledema al fondo dell’occhio. Cefalea, confusione, sonnolenza, deficit focale, convulsioni, coma. Oliguria, iperazotemia: interessamento renale. Nausea, vomito: sintomo di ipertensione endocranica. Esistono pazienti asintomatici, soprattutto giovani neri, anche in fase terminale. Encefalopatia ipertensiva Risata improvvisa immotivata, legato a coinvolgimento della corteccia. Caratteristiche laboratoristiche: ® Anemia emolitica microangiopatica: gli eritrociti per passare a livello atteriolare/capillare si mettono in colonna, di conseguenza un inspessimento della parete può causare distruzione del globulo. Ciò determina LDH aumentata. * Proteinuriaedematuia. ® Aumento della creatininemia. * Ipopotassiemia: si verifica nel 50% dei pazienti. È dovuta ad iperaldosteronismo secondario a danno glomerulare. Questo determina attivazione del RAAS, in cui l’aldosterone causa ritenzione di sodio in cambio di potassio, causando un aumento della pressione e ipokaliemia. e Screeningipertensione secondaria. * ECG: ipertrofia ventricolare sinistra, segni di sovraccarico ed ischemia. e Ecocardiografia: ipertrofia ventricolare sinistra, disfunzione diastolica e sistolica, dilatazione atrio sinistro. Se non trattata il paziente va incontro a complicanze cerebrali o cardiovascolari e quindi a morte entro 6 mesi. e Aunannoin assenza di terapia la sopravvivenza è del 10-20%. e Conlaterapia attuale a 5 anni supera il 70%. Encefalopatia ipertensiva La PA progressivamente ingravescente può portare all’encefalopatia ipertensiva, che si può manifestare in tutte le forme di ipertensione arteriosa, sebbene più frequentemente nella maligna accelerata. In condizioni fisiologiche il flusso ematico cerebrale è mantenuto costante da variazioni del calibro dei vasi, modulate dall’attività nervosa simpatica, poiché la scatola cranica non può espandersi, quindi il suo contenuto deve restare costante. L'aumento della pressione determina una diminuzione del calibro dei vasi. Quando le PA medie raggiungono un livello critico (circa 180 mmHg) i vasi, precedentemente costretti, incapaci di sopportare pressioni così elevate, sono stirati e si dilatano con crescita tumultuosa del flusso ematico. Il sangue inonda l’encefalo ad alta pressione (ipertensione endocranica) con passaggio di liquido nel tessuto peri-vascolare, formazione di edema cerebrale e sindrome clinica di encefalopatia ipertensiva. Il valore per cui salta il meccanismo di compenso è variabile: e Maggiore nei pazienti con ipertensione cronica. ® Minore nelcaso di individui non sottoposti abitualmente ad elevate pressioni. Quindi la possibilità che si verifichi una encefalopatia ipertensiva è maggiore, per esempio, a causa di una glomeruloneftite in un bambino o in caso di eclampsia in una donna. L’encefalopatia ipertensiva è caratterizzata dalla comparsa di cefalea associata a disturbi neurologici reversibili come alterazioni visive e turbe dello stato di coscienza. L'esame del fundus oculi può mostrare papilledema (retinopatia stadio IV) e/o emorragie ed essudati (retinopatia stadio III). Ipertensione in gravidanza Complica fino al 10% delle gravidanze. È la principale causa sia di morbilità che di mortalità sia per la madre che il bimbo. L’incidenza della preeclampsia e dell’eclampsia è un indicatore della qualità di assistenza alle nascite del sistema sanitario di una nazione: e InEuropasi ha un caso ogni 2.000-3.000 nascite. e NeiPaesiin via di sviluppo si hanno 1-2 attacchi eclamptici ogni 100 parti In età giovanile, le donne hanno valori pressori più bassi rispetto agli uomini; con l'avanzare dell’età e nella menopausa, i valori pressori tendono ad essere simili tra i sessi. ® Ipertensione gestazionale: si riscontra dopo la 20° settimana di gestazione quando in 2 misurazioni successive a distanza di almeno 6 h si riscontra in paziente normotesa fino alla ventesima settimana almeno una di queste 2 condizioni: o Pressione arteriosa sistolica >140 mmHg. o Pressione arteriosa diastolica >90 mmHg. ® Ipertensione cronica: definibile come una tra 3 condizioni: o Donna che prima della gravidanza faceva uso di terapia antipertensiva. o Insorgenza di ipertensione prima della 20° settimana di gestazione. o Ipertensione persistente per più di 12 settimane dopo il pato. * Pre-eclampsia: condizione caratterizzata da 2 caratteristiche associate insorte dopo la 20° settimana: o Pressione arteriosa >140/90 mmHg valutata tramite 2 misurazioni ad almeno 6 h di distanza. o Proteinuria: >0,3 g/24 ho rapporto proteine/creatinina urinaria > 30 mg/mmol. * Pre-eclampsia sovrapposta ad ipertensione cronica: o Indonne gravide affette da ipertensione cronica precedentemente non proteinuriche. In queste donne si verifica la comparsa di proteinuria significativa dopo 20 settimane di gestazione. o Ingravide affette da ipertensione e proteinuia preesistenti alla gravidanza. In queste donne si verifica un improvviso peggioramento dell’ipertensione e della proteinuria. e Eclampsia: comparsa di uno o più episodi convulsivi in una gravida o in una puerpera che presenta i segni ed i sintomi della preeclampsia. e Gestosi: è untermine abbandonato. Si intendeva una sindrome caratterizzata da edemi, proteinuria ed ipertensione diversamente tra loro. È stato abbandonato per la difficoltà nell’obiettivare gli edemi. Una condizione di linfedema si riscontra in circa 1’80% delle gravidanze. In caso di ipertensione cronica o gestazionale non proteinuica, si tratta di una paziente che si può gestire ambulatorialmente o anche attraverso il medico di base. La preeclampsia lieve presenta valori di pressione ed una proteinuria gestibile, prevede una gestione ambulatoriale ma potrebbe richiedere dei ricoveri. La preeclampsia severa e l’eclampsia vanno associate a specialisti e le donne devono essere ricoverate. Fattori di rischio per la preedampsia e Nulliparità/primiparità. e Gravidanza multipla: si intende gemellare. * Fattori di rischio specifici maternità: Età: <20 0 >35 anni. BMI>30. Familiarità per preeclampsia. Precedenti gravidanze complicate da: o 000 =» Preeclampsia. = Eclampsia. » Sindrome HEELP: ipertensione, aumento degli enzimi epatici e basse piastrine. Patologie croniche. Ipertensione anteriosa. Diabete mellito. Patologie renali. Trombofilie o condizioni trombotiche. Una multipara con un muovo partner ha la stessa probabilità di preeclampsia di una primigravida. Questo perché la pre-eclampsia è dovuta dalla tipizzazione HLA e dall’autoimmunizzazione che la donna sviluppa verso il partner. Rimane ignota la patogenesi, l’ipotesi più verosimile è che ci sia un’insufficiente invasione trofoblastica associata ad un’ipoplasia e trombosi dei vasi sotto-placentari. Ciò determina: e Quadro clinico matemo: una condizione di diffusa vasocos one, con danno glomerulare, si ha quindi proteinuria. Questa condizione di vasocostrizione associata a proteinuria provocano un quadro di ipertensione ipovolemica della mamma. e Quadroclinico fetale: insufficienza placentare, quindi bimbi piccoli ed altre complicanze. Fisiopatologia Nelle donne sane si hanno delle modificazioni sia del numero che del calibro delle arterie spirali che portano il flusso ematico uterino da 50 ml/min, intorno alla 9°-10° settimana di gestazione, a 500 ml/min a termine di gravidanza. Nelle pazienti preeclamptiche il flusso placentare risulta ridotto. Il motivo di questa ipoperfusione sembrerebbe risiedere: ® Nell'inadeguata invasione delle anterie spirali della decidua. e Nell’inadeguata invasione del miometrio da parte del citotrofoblasto: questo fenomeno provocherebbe, una diminuita reattività alle catecolamine endogene, causando una marcata riduzione del calibro delle arterie utero-placentari. Tutto ciò impedisce la formazione di un distretto circolatorio tipico della placenta, che è a bassa resistenza e ad alta capacità. Si ha un’inadeguata perfusione utero-placentare con un circolo ad elevate resistenze. Possibile causa dell’anomala placentazione può essere la riduzione di fattore di crescita placentare (PIGF) e fattore di crescita dell'endotelio vascolare (VEGF). L’invasione trofoblastica delle arterie sotto-placentari avviene in 2 ondate: e Laprimaavviene all’inizio della gravidanza. * Lasecondasi verifica tra 14 e 16 settimane. In una situazione normale la prostaciclina PGI e il trombossano A; durante la gravidanza aumentano, in particolare la prostaciclina aumenta fino a 8 volte, onde favorire l'apporto sanguigno alla placenta. In una situazione pre-eclamptica la produzione di prostaciclina aumenta solo di 2-3 volte, determinando uno o Sel’ipertensione insorge tra 24-28 settimane si accompagna allo sviluppo di una preeclampsia severa. o Va posta attenzione alla pressione arteriosa media nel primo trimestre, poiché valori elevati sembrano essere correlati ad una più alta incidenza di preeclampsia rispetto ai riscontri di singole pressioni ateriose sistoliche o diastoliche aumentate. e Controllo mensile della proteinwia: in caso di proteinwia significativa nel singolo campione d’urina o di positività all’analisi multi-stick è necessaria la successiva conferma con il campione nelle 24 h, che costituisce il metodo più attendibile per quantificare l’escrezione proteica con le urine. La proteinuria intesa come spot ed espressa in rapporto alla creatinuria è sempre un parametro utilizzabile ed in questo caso il cut offè di 30 come rapporto. Le fonti di errore nella stima precisa del volume di urina nelle 24 hin una donna gravida sono: * Perditadiurine: è un evento non comune. e Cistocele: nelle pluripare potrebbe esserci un abbassamento del perineo, che potrebbe determinare un abbassamento della vescica, che determina difficoltà a svuotarla. Tuttavia quest’errore dovrebbe essere sistematico dalle prime urine del test di raccolta delle 24 h. Le pazienti con fattori di rischio accestati per preeclampsia vanno valutate ambulatorialmente ogni 3-4 settimane prima della 32° settimana e ogni 2-3 settimane dalla 32°; salvo casi particolari in cui l'assistenza va personalizzata. Ad esempio una paziente con sindrome trombofilica ha bisogno di una gestione della terapia anticoagulante differente. Gli obiettivi della visita medica sono: ® Verifica dell'andamento pressorio, non sul momento perché la componente emotiva è importante ma si chiede alla paziente di fare un diario coni valori pressori. ® Verifica della funzionalità renale (esami delle urine e creatininemia). e Indagini di approfondimento in caso di condizioni croniche e/o di severità. Se la paziente è ipertesa cronica è verosimile che abbia già effettuato un ECG e una visita cardiologica, quindi si può effettuare ‘un confronto con la condizione attuale. * Neicasidi: o Grosse discrepanze tra i valori riferiti dalla paziente a domicilio e i valori riscontrati in ambulatorio si fa un holter pressorio delle 24 h. o Paziente diabetica che potrebbe sviluppare delle complicanze vascolari o manifesti un’ipertensione severa, si fa l’analisi del fondo oculare o un’ecografia renale. e Consulenze specialistiche se ci sono necessità. ® Ricovero nei casi complessi, anche in day-hospital. e In pazienti con fattori di rischio maggiori per preeclampsia bisogna fare l’inquadramento per trombofilia e patologia autoimmune. Alla visita bisogna fare attenzione e chiedere alla paziente se ci sono sintomi iniziali di disfunzione d'organo, come possono essere: ® Cefaleagrave. ® Dolore epigastrico o al quadrante superiore destro dell’addome. o Indice di danno epatico, probabilmente dovuto a stasi o sindrome HELLP (coagulopatia che interessa primariamente il fegato e poi diventa sistemica). o In questo caso può essere utile effettuare indagini di laboratorio, che potranno evidenziare aumento delle transaminasi e piastrinopenia da consumo. ® Nausea, vomito. * Distubi del visus. Riduzione della diuresi. Dispnea, dovuta all’edema polmonare. Le disfunzioni a livello cardiaco sono dovute a discrepanza, in quanto l'apporto di O» è ridotto rispetto alla pressione che deve essere mantenuta a causa delle resistenze periferiche. Trattamento antipertensivo Si consiglia di intraprendere un trattamento farmacologico in caso di valori pressori "150/100 mmHg. Questo perché è meglio una pressione di 140/90 mmHg in una paziente gravida che una pressione di 100/60 mmHg, che potrebbe indurre ad un’insufficiente perfusione placentare. È bene adottare come obiettivo il mantenimento dei valori pressori sistolici tra 130 e 150 mmHg e diastolici tra 80 e 100 mmHg. Dal momento che nessuno fa studi clinici su pazienti gravide per questioni etiche, è bene valutare in base all’esperienza clinica la tollerabilità della paziente perché spesso il problema fondamentale sono gli effetti collaterali dei farmaci antipertensivi che hanno indicazioni in gravidanza. Si possono utilizzare: Nifedipina a lento rilascio: è un calcio antagonista diidropiridinico. La nifedipina è capace di dilatare i vasi interferendo con il trasporto del calcio. Si usa una formulazione a lento rilascio, per evitare la brusca variazione di pressione. Poiché le diidropiridine agiscono sui canali del calcio sia arteriosi che venosi sono associati spesso ad un sintomo collaterale che è la comparsa di edemi agli ati inferiori, cefalea e flushing (arrossamento del viso). Le benzodiazepine a cui appartiene ad esempio il Verapamil agiscono sui canali del calcio del nodo del seno per cui si tratta di bradicardizzanti che riducono l’inotropismo e la velocità di conduzione. Associati ad altri farmaci possono dare blocco atrio-ventricolare. Metil-dopa: è un bloccante centrale, un problema limitante del suo uso è l’ipotensione ortostatica. Bisogna misurare la pressione atutti i pazienti sia in clino che ortostatismo e in paiticolare ai pazienti in trattamento con metil-dopa bisogna chiedere se hanno cefalea o particolare astenia perché spesso può verificarsi associata all’ipotensione ortostatica. Labetalolo: è un B bloccante. I problemi sono dovuti alla riduzione della frequenza cardiaca: astenia. cefalea, estremità fredde. Farmaci antipertensivi controindicati: sono in particolare gli ACE-inibitori e sartani. Il loro uso si associa a oligoidramnios (volume deficitario di liquido amniotico), FGR (restrizione della crescita fetale), malformazioni ossee, IR neonatale, persistenza di dotto arterioso pervio, ARDS. Si possono avere una serie di problemi fino alla morte fetale e neonatale. Tali effetti sono massimi se i farmaci vengono assunti nel 2° o nel 3° trimestre di gestazione. Farmaci antipertensivi sconsigliati: diuretici, ad esclusione di concomitanti indicazioni nefrologiche, non vi è motivo per il loro impiego nella gestione dell’ipertensione in gravidanza, che è una condizione ipovolemica (si manifestano proteinuria e vasocostrizione generalizzata). Un diuretico potrebbe portare a dei problemi di oligoidramnios al bambino. Condizioni particolari Pre-eclampsia severa: Per fare diagnosi è necessario almeno uno di questi segni o sintomi: PA sistolica >160 e/o diastolica >110 mmHg. Oliguria: diuresi <500 ml/24 h. Disturbi visivi (scotomi, visione offuscata, cecità mono- o bilaterale transitoria). ® Alterazioni neurologiche: cefalea intensa e persistente, iper-riflessia a clono, parestesie, confusione mentale e disorientamento spazio-temporale. Edema polmonare, cianosi. Epi-gastralgia e/o dolore ipocondrio destro. Aumento degli enzimi epatici. Conta piastrinica <100.000/mm}. Restrizione della crescita fetale (FGR). L’entità della proteinuria non è considerata un parametro di gravità perché la diagnosi differenziale deve escludere soprattutto quadri di nefropatia ipertensiva misconosciuti o esorditi nel corso della gestazione. La paziente con pre-eclampsia grave deve essere ricoverata. Valutazione delle condizioni materne: e Esameobiettivo: o Frequenti misurazioni della pressione arteriosa. o Rilevamento di sintomi di disfunzione d’organo quali disturbi visivi, alterazioni neurologiche, edema polmonare, cianosi, epigastralgia e/o dolore all’ipocondrio destro. o Controllo della diuresi e, se indicato (ad esempio in caso di oliguria), del bilancio idrico. e Esamidilaboratorio: Valutazione della proteinuria su campione estemporaneo. Esecuzione della proteinuria/24 h. Emocromo con conta piastrinica. Coagulazione: PT, aPTT, fibrinogeno. Funzionalità epatica: LDH, bilirubina, AST, ALT Creatinina. o 0 0 000 Valutazione delle condizioni fetali: e Auscultazione del battito cardiaco fetale. e Cardiotocografia computerizzata (CTG) in epoca gestazionale >24 settimane (fino a 32 settimane o in caso di ipo-sviluppo fetale noto). e Controllo ecografico della biometria fetale, della quantità di liquido amniotico ed eventuale doppler velocimetria feto-placentare delle arterie uterine. e Ecampsia: Si indica lo sviluppo di una crisi convulsiva in una paziente che presenti i sintomi della preeclampsia. La crisi convulsiva in genere non è prevedibile: ® Solo nel 15-20% dei casi è possibile capire se la persona sta sviluppando una crisi convulsiva. Sono quei casi in cui si hanno segni di disfunzione d’organo quali cefalea, ecc... ® Spesso èla stessa eclampsia ad essere l’esordio della preeclampsia. La crisi convulsiva si verifica nel 25% dei casi prima del parto, nel 50% durante il parto, nel 25% successivamente. Non è prevedibile però è prevenibile attraverso un modello articolato di azioni curative quali: ® Regolari controlli prenatali, allo scopo di individuare precocemente le forme di ipertensione. e Ospedalizzazione con gestione clinica e farmacologica della ipertensione. e Uso adeguato della profilassi con solfato di magnesio: o C’è unrange terapeutico della magnesiemia che va monitorato controllando i riflessi patellari. o È importante non associare al solfato di magnesio i calcio antagonisti, perché vanno in competizione l’uno con l’altro. o Esiste un antidoto, che è il calcio gluconato, che aiuta nella gestione dei livelli tossici. o Anti-aldosteronici (spironolattone). Sono farmaci che talvolta sono mal tollerati dal paziente, specialmente nei maschi in caso di ginecomastia. Sono ottimi nel paziente con ipertensione resistente alla terapia. e Calcio antagonisti: i non diidropiridinici (benzotiazepinici, come il verapamil, e fenilalchilammine, come il diltiazem) agiscono principalmente a livello del muscolo miocardico, determinando un effetto cardiaco inotropo negativo. Si può sfruttare anche l’effetto dromotropo (velocità di conduzione) e batmotropo negativo (eccitabilità). Trovano la loro principale indicazione nell’ipertensione arteriosa complicata da cardiopatia ischemica, mentre trovano scarso utilizzo nella terapia dell’ipertensione arteriosa non complicata I diidropiridinici sono utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa, poiché agiscono soprattutto sulla muscolatura liscia delle arteriole causando vasodilatazione. ® Farmaci simpatico-litici: agiscono sul sistema simpatico: o Beta bloccanti (atenololo, metoprololo): esistono farmaci f-bloccanti selettivi, che agiscono solo sui fi, e non selettivi, che bloccano Bi e f:. In caso di sovradosaggio, tuttavia, anche i B- bloccanti selettivi agiscono sui B:. Riducono la gittata cardiaca e la secrezione di renina. o Alfa bloccanti: Riducono la resistenza arteriolare e la capacitanza venosa con effetto di vasodilatazione. Non è un farmaco di prima scelta, a causa della scarsa efficacia. Ha alcuni vantaggi, poiché non interagisce con il metabolismo, a differenza dei B-bloccanti. Vengono utilizzati per contrastare la vescica da sforzo in corso di ipertrofia prostatica. o Antagonisti adrenergici misti (labetalolo, carvedilolo). o Agenti ad azione centrale (clonidina): riducono la trasmissione simpatica al cuore e alla circolazione periferica. La clonidina non è un farmaco di prima scelta. Si utilizza in caso di controindicazioni per farmaci di prima scelta, e quasi sempre si associa ad altri farmaci; può essere utile nelle crisi ipettensive acute per la sua rapidità d’azione, e nelle crisi d’astinenza d’oppiacei; inoltre è un po’ utilizzato come sedativo. Ci sono delle condizioni che orientano verso la scelta di un farmaco piuttosto che un altro: e Nel danno d’organo asintomatico, come nel caso dell’ipertrofia ventricolare sinistra, è utile dare gli ACE inibitori, perché oltre l’azione sulla pressione hanno un’azione sul rimodellamento cardiaco. e Lo stesso nel caso di micro-albuminuia perché 1’ACE inibitore comporta un miglioramento della micro-albuminuia, è nefro-protettivo sotto questo aspetto. e In caso di pregresso infarto miocardico è utile l'utilizzo del B-bloccante, se il paziente è ben compensato, sempre per il rimodellamento cardiaco. e Nell’anteriopatia periferica è utile l’ACE inibitore e il calcio antagonista. e Nell’ipertensione sistolica isolata, soprattutto nell’anziano, sono da preferire diuretici e calcio antagonisti. e Nel diabete si usano ACE inibitori e sartani. e Ingravidanza si usano metil-dopa e calcio antagonisti perché sono farmaci di cui si dispone da più tempo e c’è una buona esperienza. Ipoglicemia L’ipoglicemia è quel complesso di sintomi e segni che compaiono quando la glicemia si abbassa rapidamente. Il valore soglia dell' ipoglicemia è 70 mg/dl, sotto il quale compaiono i segni e sintomi ma anche è una soglia biologica, nel senso che un valore <70 provoca una risposta di tipo ormonale-metabolico: si ha una produzione di adrenalina e la produzione di glucagone. Si distinguono: e Ipoglicemialieve: 55-70 mg/dl. * Ipoglicemia moderata. ® Ipoglicemia grave: la gravità è definita dall’incapacità del soggetto a porre rimedio alla sua ipoglicemia. Il soggetto ha bisogno di un intervento esterno. I sintomi legati alla secrezione di adrenalina sono: Marcatissima astenia (dovuta all’ipoglicemia a livello muscolare) che compare precocemente. Sudorazione profusa. Pallore. Senso di vuoto epigastrico, addirittura come bisogno di mangiare ad ogni costo. Cardiopalmo importante. Tachicardia. Tachipnea. Allarme psichico. Nel soggetto con diabete di tipo I, essendo giovane, non manifesta grandi rischi per l'apparato cardiovascolare. Nell’anziano l’ipoglicemia va evitata perché può determinare la comparsa di una grave sindrome coronarica acuta. La stimolazione adrenergica (aumento del consumo di O»), se non ci sono coronarie idonee a portare un rifornimento adeguato di O., mette l’apparato cardio-vascolare in una condizione critica. Nell’anziano il pericolo è anche psichico-celebrale. Cura dell’ipoglicemia Per curare l’ipoglicemia si usa la regola del 15, servono 15 g di glucosio o di saccarosio che corrispondono circa 3 cucchiaini di zucchero oppure a 3/4 zollette di zucchero oppure un bicchiere di Coca Cola oppure mezza confezione di succo di frutta. Con un paziente in ipoglicemia la prima azione è la verifica che sia in ipoglicemia con un campionamento ematico. Se viene confermata si somministrano 15 g di glucosio. Dopodiché si aspetta 15 mimuti e si ripete il controllo glicemico: se la glicemia è >100 mg/dl si è risolta risolto l’ipoglicemia, altrimenti si deve ripetere la regola del 15. In ospedale si utilizzano fiale di glucosio al 33% per via parenterale. Una fiala contiene 3 g di glucosio e quindi 5 fiale. Questo trattamento è fondamentale per evitare una neuroglicopenia. Diabete Diagnosi di diabete Il primo metodo introdotto di recente consiste nel dosare l’emoglobina glicata: i gruppi amminici della globina reagiscono con il glucosio per cui quest’ultimo si attacca in modo imeversibile all’emoglobina circolante stessa. L’emoglobina glicata è stabile e dura tanto quanto il globulo rosso infatti il suo valore riflette la glicemia media degli ultimi 2-3 mesi, durata media della vita del globulo rosso. La diagnosi si fa nel momento in cui il valore di emoglobina glicata è >6.5%. Il metodo più comune consiste nel misurare la glicemia a digiuno, dopo il riposo notturno in condizioni di digiuno da almeno 8h: se essa è >126 mg/dl allora si tratta di diabete. Le soglie diagnostiche identificano il punto oltre il quale si conclama la malattia, per cui, dovendo essere certi di questa soglia, bisogna verificare che il valore si ripeta in almeno 2 occasioni a distanza di una settimana. Se la glicemia a digiuno è >126 mg/dl e l’emoglobina glicata è inferiore a 6.5%, si tratta comunque di diabete. La presenza di uno dei due valori soglia fa diagnosi; la glicemia a digiuno considera un punto al momento del digiuno dopo la notte e può variare nei giorni successivi, invece l’emoglobina glicata mantiene valori stabili nei 2-3 mesi. Stando ad un altro metodo, un soggetto che ha i sintomi di iperglicemia, cioè poliuria (il glucosio viene filtrato dal glomerulo e ha un potente effetto osmotico), polidipsia e un valore di glicemia =200 mg/dl anche nona digiuno, ha il diabete. Si tratta di un'eccezione alla regola della diagnosi. L’ultimo metodo consiste nella valutazione della curva glicemica da carico che si fa somministrando 75 g di glucosio diluiti in 200-250 g di acqua e misurando la glicemia a 2 h dalla somministrazione: se >200 mg/dl è diabete. La curva da carico è un test sensibile e specifico che si fa nei casi di incertezza con emoglobina glicata vicina a 6.5% e glicemia vicina a 126 mg/dl per confermare l’ipotesi di diabete. La soglia di 126 mg/dl non è statistica, bensì biologica: questo valore aumenta la possibilità del tempo della complicanza microvascolare (ad esempio retinopatia, caratteristica del diabete) in modo drammatico. Questo vale anche per il valore di 6,5% di emoglobina glicata. Le altre complicanze micro-vascolari che devono essere evitate trattando la malattia sono la nefropatia e la neuropatia, sia autonomica che non autonomica (periferica), oltre alle complicanze macro-vascolari come infarto e ictus. Ivalori compresi fra 140 e 200 mg/dl identificano un quadro di intolleranza al glucosio (pre-diabete). Questa condizione di pre-diabete ha una probabilità di tramutarsi in diabete del 50% a 5 anni, quindi è molto alta. Questa intolleranza agli idrati di carbonio associata a valori di glicemia a digiuno compresi fra 100 e 125 mg/dl può oltre che diventare diabete nel 50% dei casi a 5 anni, anche rimanere invariata nel tempo oppure regredire allo stato di normalità. Quest'ultimo caso succede quando si interviene nella fase di pre-diabete modificando lo stile di vita: l'attività fisica, il calo ponderale e l'alimentazione (ipocalorica con un basso contenuto in zuccheri semplici). Questo dice quanto sia importante identificare, specie nel tipo II, questa condizione di pre-diabete o di intolleranza agli idrati di carbonio. L’iperglicemia è la caratteristica comune ed è anche la causa delle complicanze croniche del diabete. Le puntate acute e croniche dell’iperglicemia determinano complicanze nei tessuti: ® Micro-angiopatiche (retinopatia, nefropatia, neuropatia) strettamente dipendenti dall’iperglicemia. e Macro-angiopatiche (aterosclerosi) che dipendono tanto dall’iperglicemia quanto dagli altri fattori patogenetici (ipertensione arteriosa, iper-lipidemia, ipercolesterolemia, fumo di sigaretta). Per le complicanze micro-angiopatiche è impoitante l’effetto del livello di glicemia, mentre per le macro- angiopatiche occorre controllare anche i livelli di pressione arteriosa e di LDL (ottimali in un diabetico non complicato: 100 mg/dl; 55-70 nel diabete che ha già manifestato sintomi; <55 quando il paziente diabetico ha già avuto eventi di ischemia precoce coronarica o cerebrale). Diabete gestazionale Il diabete gestazionale si manifesta fra la 24° e la 28° settimana di gravidanza e regredisce con il pato. Se non si abbassa la glicemia dopo la 24° settimana si rischia di avere problemi per il feto, specie nel periodo perinatale, ma anche per la madre. Infatti il glucosio passa attraverso la barriera emato-placentare mentre non passa l’insulina matema. Il feto è in grado di produrre insulina dalla 24° settimana: sarà un feto in attività anabolizzante che cresce specialmente a livello di testa, spalle e pancia, per cui c'è il rischio di grave distocia con conseguenze catastrofiche per l’infante e per la madre. Diabete monogenico Il diabete monogenico è un vero diabete genetico, legato ad un difetto del DNA a trasmissione autosomica dominante. Viene definito diabete MODY. Assomiglia al tipo 2 ma appare nei giovani. È legato all’alterazione dei meccanismi di controllo della secrezione insulinica; quello più frequente il MODY?, in cui c'è un difetto di una glucochinasi, il regolatore della secrezione insulinica a livello di B-cellula. Assomiglia al tipo II perché ha caratteristiche di iperglicemia modesta, controllabile con ipoglicemizzanti orali. Lo si riconosce se si ha una famiglia il cui si manifesta la trasmissione verticale della malattia con modalità autosomica dominante. Poi si procede andando a cercare il difetto facendo l'analisi genetica. Diabete secondario Il diabete secondario compare in conseguenza ad un'alterazione endocrina: ® Pancreatite cronica. ® Pancreasectomia per motivi di neoplasia. ® Pazienti con condizione endocrina che porta a secrezione di ormoni contro-insulinici (acromegalia per secrezione di GH o iper-colesterolemia nel Cushing). ® Assunzione cronica di farmaci con azione anti-f cellula: steroidi, anti-retrovirali. I soggetti a rischio per malattia diabetica sono coloro che hanno padre (6%) o madre (3%) oppure un fratello diabetico (6%). Se uno dei 2 gemelli omozigoti è diabetico, la probabilità che anche l’altro lo sviluppi è del 33%. Dunque, il gemello omozigote di un paziente diabetico deve essere seguito nel corso della sua vita. Terapia DMT1 Consiste in una terapia sostitutiva, sostituendo l’insulina che manca con quella esogena. Il soggetto diabetico sviluppa frequentemente la luna di miele diabetica, una condizione per cui il soggetto che ha perso gran paite delle R-cellule, in concomitanza con un evento che causa la manifestazione clinica del diabete (infezione, trauma impoitante, ecc...) e il suo successivo trattamento, torna ad essere normoglicemico. La luna di miele si sviluppa in un soggetto in cui non c’è un diabete conclamato. Questa è una condizione temporanea, quindi sarebbe un errore rimuovere la terapia sostitutiva, poiché lo stress ha aumentato il fabbisogno di insulina e non potendo essere compensata è comparsa l’iperglicemia. Finendo l’evento stressogeno, la terapia ha attenuato la manifestazione ma ha anche abituato le cellule all’insulina esogena, dunque la sensibilità delle stesse sarà modificata nel periodo successivo alla terapia. Quindi, è necessario mantenere la somministrazione di insulina anche a piccole dosi per: e Mantenere il periodo di simil-guarigione più a lungo possibile, riducendo l’autoimmunità. e Noncreare falsa illusione della scomparsa della malattia. La prima insulina esogena fu estratta da un cane nel 1921-1923. Fu usata per curare un bambino afroamericano affetto da DMT1 molto cachettico che sembra rifiorire e dopo poco tempo lo rimette in salute. Questo bambino sopravvisse fino a 21 anni, quando morì per una polmonite stafilococcica (complicanza grave di diabete mal controllato) con ateromasia diffusa a livello coronarico e cerebrale. Nel 1930 vennero introdotte le formulazioni protratte, ossia si ovvia alla necessità di iniezioni continue. Bastava un'iniezione al giorno per evitare la cheto-acidosi. Tra il 1950 e il 1960 venne scoperta la struttura molecolare dell’insulina. Nel 1970 inizia a comparire la prima insulina umana ottenuta da DNA ricombinante e da questo momento viene sintetizzata in quantità smoderata. Tra 1980 e 1990 prendono corpo gli analoghi dell’insulina, un grosso passo in avanti per la terapia, ossia insuline ad azione rapida. Sintesi dell’insulina L’insulina origina dalla pro-insulina, presente nella } cellula. Prima della secrezione avviene il taglio a opera di enzimi proteolitici che staccano una catena A e una catena B che si legano tramite ponte disolfuro. Permane un peptide C, che coniuga le catene A e B. La molecola di peptide C viene secreta in modo equi-molecolare con una molecola di insulina, in un rapporto 1:1. Per sapere qual è la secrezione insulinica si dosa il peptide C, perché: e È piùstabile. e È indipendente dalla somministrazione esogena dell’insulina. È possibile utilizzarla per valutare se una condizione di crisi ipoglicemica sia clinicamente rilevante o tendenzialmente psicologica (abuso personale di insulina motivi psichiatrici). La terapia deve seguire il normale andamento insulinico, con spikes dopo ogni assunzione glucidica. Tipi di insuline disponibili e Insulina umana da DNA ricombinante: ha come principale difetto il fatto che una volta iniettata sottocute si complessa in esamero cristallino, questo deve diventare dimero e poi monomero per essere assorbito nel sangue; il processo dura circa un’ora, dunque rende complicata la somministrazione pre- pasto. Nei soggetti normali l’insulina ha uno spike rapido e una discreta discesa. Lo spike indotto dall’insulina umana è ridotto e possiede una lenta discesa. Quindi ha un lento inizio dell’attività e una lunga durata d’azione, con rischio di crisi ipoglicemica. L'unico uso che trova è in ospedale per la sua rapidità d’azione attraverso endovena. * Analoghi ricombinanti dell’insulina: o Insulina Lys-Pro (Humalog): si è visto che invertendo l’amminoacido 28 (prolina) e l’amminoacido 29 (lisina), ossia gli aminoacidi della catena B che tendono a formare esametri, si ottiene un’insulina che mantiene le funzioni ma evita la formazione di esameri, rendendo quest’insulina un analogo rapido somministrabile anche 5 minuti prima del pasto glucidico, con uno spike simile all’insulina endogena e con una durata di circa 3 h. o Insulina Aspart (Novorapid): altra sostituzione dell’amminoacido 28 (prolina) con acido aspartico, determina un picco molto simile a quello di Lys-Pro, con una durata leggermente maggiore. e Insulina basale: una volta veniva utilizzata l’insulina intermedia NPH che dava il picco a 4 h dalla somministrazione; se veniva assunta dal paziente prima di coricarsi (per contrastare l’effetto alba, ossia il picco glicemico per effetto coitisolico tra le 6 e le 9 di mattina), egli si svegliava nel cuore della notte in preda a ipoglicemia ed inoltre rischiava di avere iperglicemia al risveglio per insufficiente insulinemia. Presto vennero utilizzati gli analoghi basali con una durata di 24 h, controllando in modo ottimale l’ipoglicemia notturna e l’iperglicemia mattutina. Esistono: o Glargine (Lantus): profilo piatto, non dando il problema delle ipoglicemie nottume. o Detemir. o Degludec: introdotta recentemente, ha la capacità di formare gli esametri e di scinderli molto lentamente; risulta essere ancora più basale delle precedenti, con emivita plasmatica di 25 h, contro le 12 delle precedenti. Minore variabilità e maggiore durata d’azione rendono Degludec la migliore insulina per efficienza basale nel diabetico, ma è ancora proposta ad un prezzo troppo elevato per essere accessibile a tutti. Per fare questa terapia bisogna fare l’auto-misurazione della glicemia con un metodo riflettometrico: prima di colazione, un’ora dopo la colazione, prima di pranzo e dopo il pranzo, prima di cena e dopo cena e prima di coricarsi. Vengono fatte almeno 5-6 determinazioni di glicemia/die per verificare quanta insulina va fatta prima del pasto e adattarla a ciò che si mangerà. È fondamentale formare nel paziente diabetico un insulinizzazione basale e successivamente utilizzare gli analoghi ad ogni pasto. L'obiettivo è mantenere: Hb glicata <7%: riduce l'insorgenza di microangiopatia. Glicemia pre prandiale: 80-120 mg/dl. Glicemia post prandiale 100-160 mg/dl. Glicemia al coricarsi: 100-140 mg/dl. Tutto ciò si può ottenere in modo efficiente attraverso addestramento paziente ad autosomministrarsi insulina eda gestirla anche teoricamente, e controlli frequenti. Diabete di tipo 2 La prevalenza del tipo 2 a Trieste è di circa il 5% nei soggetti sotto i 60 anni, ma sale oltre il 12 % nei soggetti over 60, ciò vuol dire che un pazienti 1 su 10 avrà il diabete. Per questo si parla di epidemia del diabete in Italia, quindi pandemia nel mondo e ciò è legato all'aumento dell'obesità, cioè ad una alimentazione caratterizzata da cibi più raffinati che ha portato a alimenti più calorici affiancati dalla diminuzione dell’attività fisica che favorisce lo sviluppo di insulino-resistenza. Il diabete di tipo 2 è dovuto a resistenza all’insulina cui si associa un’incapacità delle cellule B nel produrre un surplus di insulina per vincere la resistenza; rappresenta il 90% dei casi di diabete e si presenta solitamente oltre ai 30 anni (fatta eccezione del LADA, diabete autoimmune latente). Putroppo negli ultimi anni la quota di bambini con diabete di tipo 2 è aumentata, correlata all’obesità giovanile e infantile. È un diabete resistente alla chetosi e non ha bisogno dell’insulina per essere controllato almeno per molti anni; è caratterizzato da sovrappeso e obesità. Il diabete di tipo 2 non è genetico, ma ha una predisposizione trasmessa con un trait autosomico dominante che indebolisce la cellula B; ma senza la presenza di fattori ambientali questa predisposizione resta in una fase latente di intolleranza ai glucidi. I fattori ambientali principali sono: ® Nutrizione: un’eventuale cattiva alimentazione può quindi influire sul manifestarsi della patologia. * Sedentarietà. e Sovrappeso e obesità: questi ultimi 2 fattori sono una conseguenza dei precedenti. La terapia si inizia con particolare attenzione alla dieta e all’attività fisica, se poi non basta si aggiungono gli ipoglicemizzanti orali; può richiedere il bisogno di insulina solo in casi particolari. Patogenesi del diabete di tipo 2 Quando si sviluppa la resistenza all’insulina prevale la lipolisi sulla lipogenesi favorendo la liberazione dal parte degli adipociti viscerali di acidi grassi non esterificati che arrivano al pancreas attraverso la via portale causando apoptosi delle cellule B diminuendo la capacità escretiva della cellula p. I grassi raggiungono anche il fegato dove favoriscono la produzione di lipoproteina apoB-100 favorendo la formazione di VLDL; non sono soltanto la causa dell’apoptosi delle cellule B pancreatiche ma anche della dislipidemia aterogena correlata al diabete. Il diabete di tipo 2 è legato a uno squilibrio nelle insule pancreatiche fra le cellule a. e cellula B; nel soggetto nonmale prevale l’attività della cellula B con regolare produzione di insulina, nel soggetto diabetico prevale la cellula a con la produzione di glucagone. L’intolleranza ai glucidi determina un peggioramento del compenso delle cellule B che vanno in apoptosi; contemporaneamente c’è un aumento di volume delle cellule o. con iperplasia e diminuzione delle cellule è producenti somatostatina che regola l’equilibrio fra a e B. Confrontando pazienti con diabete tipo 2 e LADA quelli con diabete LADA sono più giovani, hanno un BMI più basso, hanno una glicemia a digiuno più alta al momento della diagnosi, hanno un peptide C più basso rispetto al diabete di tipo 2 mostrando così il danno a livello delle cellule B. Se stimolato con un carico di glucosio, la risposta del peptide C sarà più bassa nel LADA rispetto al tipo 2. Quando si fa diagnosi è già stato perso il 50% della funzionalità delle cellule B, ma questa funzione tende a scendere progressivamente nel tempo. La pendenza di questa cura può variare in base alla bontà della terapia, ima sarà una curva tendente verso il basso e ciò vuol dire che il tipo 2, negli anni, diventa insulino-dipendente. Nel diabetico, pur essendoci tanta insulina inizialmente, caricandolo di un carico di glucosio manca lo spike insulinemico, caratteristica del diabete di tipo 2. Nel diabete di tipo 2 vi è una diminuzione della massa p cellulare. Alla manifestazione del diabete di tipo 2 si avrà quindi la mancanza degli spike insulinici dopo i pasti. Come conseguenze si avrà la diminuzione della soppressione della produzione epatica di glucosio dovuta all’insulina, ci sarà iperglicemia postprandiale associata a iperlipemia. Rischio cardio-metabolico del diabete tipo 2 Alla base del rischio cardio-metabolico vi è la sindrome da resistenza all’insulina (sindrome metabolica) in cui, oltre all’iperglicemia, c’è ipertensione ed alterazione lipidica. Oltre, a questa sindrome partecipano: ® Alterazione del metabolismo lipidico, in particolare aumento di LDL e di apo-B. ® Fattori non modificabili: storia familiare, età, sesso (donna più protetta), razza. e Infiammazione e iper-coagulazione, caratteristica della sindrome infiammatoria a basso livello legata all’obesità. * Fattori ambientali: sedentarietà e fumo. glicemia nel diabetico di tipo 2 senza dare ipoglicemia. Inoltre, controllano il volume extracellulare e di conseguenza riducono la pressione ateriosa. Riducono del 50% il rischio di scompenso cardiaco nel soggetto diabetico. L'unico effetto collaterale è che aumentano il rischio di infezioni a livello urinario. La neuropatia diabetica è un danno periferico dell’assone neuronico: si tratta di un'alterazione correlata all’iperglicemia del rivestimento della guaina mielinica che va incontro a degenerazione. Il danno è maggiore a carico dei lunghi assoni, per cui il danno compare precocemente dove ci sono i nervi più lunghi. La condizione di piede diabetico ha 2 fondamentali cause: la neuropatia e un aspetto vascolare periferico Qui interviene anche l'aspetto ateromasico, che nel diabete tende ad essere distale. Progressione del diabete di tipo 2 Ciò che è importante nel diabete di tipo 2 sono le alterazioni associate: ipertensione arteriosa e alterazioni lipidiche (dislipidemia diabetica), determinanti della causa principale di moite: l’arteriosclerosi. Le complicanze sono direttamente correlate all’iperglicemia (sia acuta post-prandiale che cronica inter- prandiale). Le complicanze sono il risultato del danno nel tempo associato a valori glicemici elevati. Le complicanze micro-angiopatiche sono strettamente correlate all’iperglicemia, mala macro-angiopatia (quindi l’ateriosclerosi) è correlata a dislipidemia diabetica e ipertensione anteriosa. Prima dell’exitus finale della patologia (e quindi la morte) c’è infine una fase di disabilità. Nel diabete di tipo 2 gioca un ruolo importante la resistenza all’insulina, correlata all’iperinsulinemia. Resistenza all’insulina significa avere una secrezione aumentata di insulina legata all'aumento della glicemia che tende a superare la resistenza. Quando viene meno questo evento di secrezione compaiono l’iperglicemia e il diabete. L’insulino-resistenza è correlata a 4 fattori importanti: ipertensione aiteriosa, iperglicemia, dislipidemia e alterazioni della coagulazione (in particolare l’alterata fibrinolisi, l’infiammazione cronica di piccolo livello e la disfunzione endoteliale sono le premesse del danno cardiovascolare). L’ipertensione, iperglicemia, dislipidemia e sovrappeso formano la sindrome metabolica. Il danno vascolare nella sindrome metabolica non è correlato alla somma dei fattori di rischio ma a una loro moltiplicazione. C'è ‘un fattore importante di danno vascolare soprattutto a livello coronarico e di arterie cerebrali. Un metodo per misurare l’insulino-resistenza dal punto di vista pratico è ’HOMA, basato sull’equazione di Matthews la quale prevede di poter calcolare la resistenza all’insulina attraverso la formula: insulinemia basale x glicemia basale HOMA1-IR= 225 AI diminuire della sensibilità all’insulina, aumenta la produzione di insulina che compensa la diminuzione della sensibilità. Quando questa viene meno e c’è una diminuzione della funzionalità f cellulare, aumenta la glicemia. C’è una relazione inversa tra sensibilità all’insulina e funzionalità f-cellulare. L’HOMA?2 considera le variazioni della resistenza epatica e periferica al glucosio e la riduzione dell’ output di glucosio epatico (gluconeogenesi). Essa può essere determinata con l’insulinemia basale (o in alternativa il peptide C) e la glicemia a digiuno. L’HOMA 2 consente di identificare meglio la relazione tra resistenza all’insulina e sensibilità periferica all’insulina. Permette di definire quanto un soggetto sia resistente all’insulina facendo una previsione sulla difficoltà a controllare il diabete e l’eventuale necessità di intensificare la terapia per evitare le complicanze. Chi è molto resistente ha un’alta probabilità di avere un danno micro-angiopatico ma soprattutto macro-angiopatico ateromasico al diabete. Viene proposta una classificazione del diabete sulla base di 5 fattori: età, BMI, GADA, emoglobina glicata, l’HOMA2-B (stima la funzione f-cellulare) e l’HOMA2-IR (stima l’insulino-resistenza). Questa classificazione permette di determinare 5 gruppi: ® Diabete severo autoimmune: corrisponde al diabete di tipo 1. Interessa il 6% della popolazione diabetica, inizia alle prime età della vita (<30 anni), non c’è sovrappeso (BMI normale) e c’è positività per anticorpi anti B-cellula. ® Diabetesevero con grave insufficienza insulinica: interessa circa il 18-20% dei pazienti diabetici: i GADA sono negativi e c'è un basso HOMA-B. Questa secrezione precocemente bassa di insulina determina un diabete molto instabile. È un diabete di tipo 2 in cui il difetto di secrezione insulinica prevale sulla resistenza. ® Diabetesevero con elevata insulino-resistenza: è un diabetico (15% della popolazione diabetica) in cui HOMA= non è basso, ma c’è un elevato HOMA-IR. È un diabete instabile. Gli ultimi 2 tipi sono diabeti meno importante. ® Diabete moderato correlato a una moderata obesità: interessa il 20% dei pazienti. Non c’è molta insulino-resistenza, quindi è facilmente controllabile, anche cono stile di vita. ® Diabete moderato correlato all’età: compare dopo gli 80 anni e interessa una grossa fetta di popolazione (40%). I pazienti hanno poca insulino-resistenza e poco difetto di secrezione, quindi HOMA-B e HOMA-IR sono bassi. Il vantaggio di questa classificazione quindi è il fatto che essa differenzia, nella grande famiglia del diabete di tipo 2, soggetti a basso rischio di evento ed ad alto rischio di evento. Verso i soggetti appartenenti ai gruppi 2 e 3 bisogna indirizzare una maggiore attenzione e controllare la terapia. Terapia del diabete Alla base della terapia c’è il lo stile di vita: il primo approccio al diabete riguarda l’attività fisica e l'alimentazione in cui si prediligono vegetali e frutta, riducendo gli zuccheri semplici e i grassi saturi. ® Pancreas: sulla f-cellula intervengono 2 classi di farmaci: le sulfaniluree e le meglitinidi. Stimolano la p-cellula a produrre insulina. La secrezione insulinica perdura quanto l’emivita plasmatica del farmaco. Danno potente secrezione insulinica, quindi tendono a dare ipoglicemia, quindi è meglio evitarli. Le incretine, gli agonisti del GLPI1 e gli inibitori di DPP4. Queste incretine agiscono a livello di B-cellula incrementando la secrezione insulinica in modo glucosio dipendente, quindi non danno ipoglicemia e agiscono anche sull’o-cellula inibendo la secrezione di glucagone. e Intestino: alivello intestinale ci sono 3 farmaci che agiscono: l’inibitore dell’a-glucosidasi che ha effetto diretto nel bloccare l’enzima che digerisce gli amidi (digerendo l’amido aumenta la glicemia), riducendo la glicemia post prandiale. A livello intestinale agiscono la metformina e le incretine. e Cervello: le incretine agiscono anche a livello cerebrale bloccando il senso della fame. ® Rene: sono fondamentali gli SGL T2 inibitori che bloccano l’SGLT2. e Cellule adipose: il pioglitazone agisce riducendo la lipolisi a livello di tessuto adiposo soprattutto addominale e quindi riduce il flusso di NEFA dall’adipocita viscerale al pancreas e al fegato. ® Muscolo: la metformina aumenta la sensibilità muscolare all’insulina. Quindi è un farmaco che, insieme al pioglitazone viene usato nell’insulino-resistenza. Il farmaco che viene usato come ultimo step è l’insulina: interviene quando gli altri farmaci hanno fallito. La metformina è il farmaco più importante per il trattamento del diabete tipo 2. Dopo lo stile di vita è il primo farmaco che deve essere utilizzato. Contrasta l’iperglicemia, agendo su 3 punti d’attacco: e Intestino: attiva il metabolismo anaerobico del glucosio e produce lattato che viene assorbito e metabolizzato dal fegato. Aumenta inoltre il turnover di glucosio e la sensibilità dell’enterocita al momento del pasto nella secrezione di GLP1. ® Fegato: riduce la resistenza epatica all’insulina riducendo gluconeogenesi e glicogenolisi. ® Muscolo: aumenta l’uptake muscolare di glucosio. Nell’IR grave perché può causare moite per acidosi lattica. L'unico effetto collaterale molto fastidioso di questo farmaco può essere la diarrea senza preavviso, quindi senza mal di pancia. Questa intolleranza intestinale alla metformina si può ridurre introducendo il farmaco in dosi crescenti. Ipoglicemia Quando si presenta ipoglicemia va sempre individuata la causa per riuscire ad eliminarla. Ipoglicemia significa aver attivato per almeno 7 giorni neutrofili, piastrine e fattore VII, quindi aver attivato un complesso di iper- coagulabilità potenzialmente pericoloso. L’ipoglicemia si accompagna a infiammazione con aumento dei livelli di PCR, IL6, VEGF e può dare disfunzione endoteliale. Può causare secrezione acuta di adrenalina con rischio di aritmia, modificazioni emodinamiche e consumo di O; con rischio di sindrome coronarica acuta. Specialmente nell’anziano l’ipoglicemia va evitata, quindi vanno evitati farmaci che danno ipoglicemia. I farmaci antidiabetici da preferire nel trattamento di diabete tipo 2 sono: metformina, inibitori di DPP4, GLP1- agonisti, pioglitazone, l’inibitore delle a-glucosidasi e inibitori di SGLT2. Vanno evitate sulfaniluree e l’insulina che viene necessariamente usata nel tipo 1. Il primo farmaco da scegliere è la metformina. Se essa è incapace di mantenere la glicata <7% si può aggiungere ad esempio il pioglitazone. Se il paziente è obeso si associa preferibilmente un analogo del GLP1. Un’alternativa è l’inibitore del trasportatore SGLT2 e questo viene usato nel paziente con cardiopatia. La metformina può essere associata anche con un inibitore di DPP4. Se anche in questo modo si verifica un fallimento si passa allo step 3 con metformina associata ad altri farmaci, cercando di evitare le sulfaniluree. In caso di insufficienza renale non si usa la metformina, ma il pioglitazione, un inibitore DPP4, analogo di GLP1 o uninibitore SGLT2 (solo quando la funzione renale non è troppo compromessa). Terapia del diabete di tipo 2 Dopo la diagnosi, l’obiettivo della terapia è duplice: e Controllare la glicemia: dieta, attività fisica, farmaci dell’iperglicemia, che riducono i sintomi del diabete, diminuiscono il rischio microvascolare. e Controllare il rischio cardiovascolare: controllare la pressione arteriosa ed il controllo dell’assetto lipidico. La pressione deve essere almeno <120/80, ma idealmente deve essere il più bassa possibile senza sintomi di ipotensione; e l’assetto lipidico deve essere normalizzato. Infine, quando compaiono, va eseguito il controllo delle comorbidità: IR, nefropatia diabetica, neuropatia diabetica, retinopatia diabetica; su cui si può intervenire come stadio estremo del trattamento. Dislipidemia diabetica Confrontando i pazienti con diabete di tipo 2 con dei controlli, le differenze non sono nel colesterolo LDL (che è uguale), ma è nei trigliceridi più alti e l’HDL più basso. Se si considera la relazione tra colesterolemia e mortalità cardiovascolare, esso è diverso nei pazienti diabetici e nella popolazione generale, in cui la colesterolemia alta aumenta il rischio. Nei diabetici a parità di colesterolemia, il rischio vascolare è più alto, come se il diabetico avesse un colesterolo più aterogeno del non diabetico. Nel modello in cui si relaziona il diabete con la cardiopatia ischemica, i fattori di danno sono: ® AI1° posto del modello matematico vi è l'’LDLc come elemento che maggiormente influenza il danno coronarico nel diabete. ® A12° posto vi è ’HDLc, che gioca un ruolo importante nel danno coronarico nel diabete. ® A13° posto vi è l’emoglobina glicata. ® A14° posto la pressione arteriosa. Classifi cazione della trigliceridemia Nei soggetti diabetici, c'è un livello di LDL correlato al grado di rischio coronarico: il livello di LDL è tanto più basso quanto maggiore è il rischio coronarico. Nella trigliceridemia il livello di normalità è <150mg/dl. Per valori superiori a 150-160mg/dl fino a 800 mg/dl, si parla di iper-trigliceridemia poligenica, cioè l’iper- trigliceridemia legata ad un cluster genico che tende ad aumentare la trigliceridemia. È una forma poligenica che può essere controllata dall’attività fisica e dallo stile di vita. Sopra a questo livello ci sono le forme monogeniche, cioè le forme di iper-trigliceridemia in cui c'è un difetto genetico monogenico mendeliano autosomico recessivo in cui la trigliceridemia è legata al difetto di un gene che può essere l’LPL, l’apoC2 (attivatore di LPL), l’apoAS (coadiuva LPL), ecc... Nella forma eterozigote si ha trigliceridemia >800 mg/dl che arriva fino a 10.000 mg/dl. Queste forme monogeniche di iper-trigliceridemia sono iper-chilomicroniemie (aumento dei chilomicroni). Queste forme sono aggravate non tanto dal rischio coronarico, bensì dal rischio di pancreatite: sono soggetti che muoiono per pancreatiti recidivanti (anche 8-10 all’anno). Dislipidemia Si è in presenza di un’iper-LDL, un’iper-VLDL o una forma combinata. Il secondo passo è individuare la natura, ovvero stabilire se si tratta di una forma primitiva o secondaria ad altre malattie. La prima cosa da fare è quella di escludere le forme secondarie, come quella da diabete o l’ipotiroidismo, che per definizione dà un’ipercolesterolemia. Se c’è un paziente con ipercolesterolemia, la prima cosa da escludere è l’ipotiroidismo. Frequentemente l’ipotiroidismo è asintomatico, cioè è molto difficile fare diagnosi. E quindi talvolta si individua l’ipotiroidismo attraverso l’ipercolesterolemia. L’iper-lipidemia combinata fa parte del quadro della sindrome nefrosica. Forme primitive di dislipidemia Una volta escluse le forme secondarie la diagnosi ricadrà su una forma primitiva, è importante però definire il genotipo. Studiando l’assetto familiare si può scoprire se si tratta di una dislipidemia poligenica- ambientale o di un genotipo familiare, in quest’ultimo caso si tratta di una malattia genetica. La forma più comune è la forma poligenica-ambientale in cui più cluster genici contribuiscono all’ipercolesterolemia. È l’ambiente a prevalere sulla genetica, infatti si tratta di forme controllabili con l’attività fisica e l'alimentazione che deve essere povera in grassi saturi e ricca in grassi polinsaturi. Esistono le forme monogeniche a trasmissione autosomica dominante (ipercolesterolemie dominanti) di cui ci sono 3 tipologie note: * ADHI. * ADH2. * ADH3. Tutte queste forme possono essere causa di danno coronarico. ADHI1 La forma monogenica più frequente è ADHI in cui è mutato il gene che codifica per il recettore delle LDL. Nella forma omozigote entrambi gli alleli dei genitori sono mutati e questo comporta una mancanza del recettore, di conseguenza queste lipoproteine aumentano drasticamente nel sangue dove potranno raggiungere valori >800 mg/dl. La forma eterozigote è più frequente (1:200) e l’ alterazione riguarderà il 50% dei recettori. Per fare diagnosi si dovranno constatare livelli di LDL >190mg/dl. In particolare la forma eterozigote raramente supera i 400mg/dl di LDL e perciò valori superiori a questa soglia saranno attribuibili a una forma omozigote. Se si sospetta una forma genetica è opportuno cercare la presenza di xantomi tendinei (nodosità in genere presenti sui tendini estensori delle dita oppure sul tendine d’ Achille) e di un arco corneale che appare come una semiluna biancastra al margine della cornea. La loro presenza è una condizione sufficiente a fare diagnosi anche se non necessaria. Questa forma di dislipidemia provoca facilmente xantomatosi a livello arterioso. Si può avere stenosi all’origine dell’ aorta (soffio aortico) oppure a livello dell’aoita addominale o delle arterie femorali (soffio femorale). Esiste la possibilità che la placca sia situata all’ imbocco dell’arteria renale (con ipettensione reno-vascolare), in questo caso si potrebbe percepire un soffio periombeli cale. È possibile fare diagnosi tramite il Dutch score, per ipotizzare o diagnosticare una forma familiare senza fare un'analisi genetica. Si tratta di un test che prende in considerazione aspetti come la storia familiare, la storia clinica, l’esame obiettivo e il colesterolo ematico. Se il punteggio è >8 la diagnosi di ipercolesterolemia familiare è certa. ADH2 Questa forma prevede una mutazione a carico del gene che codifica per Apo B-100 ossia la proteina che lega il recettore per LDL. Sul piano clinico il risultato è lo stesso, ossia un aumento di LDL circolanti. ADH3 Si tratta di una forma grave di ipercolesterolemia che rappresenta 1’ 1-2% dei casi. In questo caso è mutato il gene che codifica per PCSK9, una proteasi prodotta nel reticolo endoplasmatico dell’epatocita, matura nell apparato di Golgi e viene secreta nel circolo sistemico dove incontra e lega il recettore per il colesterolo. In seguito all’anivo di LDL si forma il complesso PCSK9-LDL1-LDL che verrà intemalizzato e grazie alla presenza di PCSK' il recettore non verrà riciclato ma degradato dal lisosoma. È chiaro che una mutazione di tipo gain of function di PCSK9 causerà una maggior distruzione dei recettori per LDL che porterà ad un aumento di LDL circolanti. È possibile riscontrare forme etero e omozigoti. Esistono degli anticorpi umanizzati in grado di legare PC.SK9 impedendone il legame con.l recettore per LDL. In questo modo aumenta il riciclo dei recettori e l'assorbimento di LDL. Iperlipidemia familiare combinata È la variante più comune tra le forme familiari: si ha trasmissione verticale della malattia all’interno della famiglia con numerosi individui affetti. L’iper-lipidemia familiare combinata è caratterizzata da un eccesso di apo B-100 perciò si tenderà ad aumentare il numero di LDL prodotte riducendo la dimensione della paiticella. Il risultato sarà un eccesso di LDL1 maggiormente al rischio di evento coronarico. Si può avere un aumento isolato di LDL oppure un aumento combinato di LDL e VLDL. Farmaci contro le iper-lipidemie ® Intestino: viene bloccato l’assorbimento di colesterolo da farmaci come l’ezetimibe, che blocca il trasportatore a livello dell’enterocita. Esistono le resine (colestiramina in paiticolare) che legano i sali biliari impedendone il circolo enteroepatico. Si eliminano così con le feci grandi quantità di colesterolo. ® Fegato: agiscono gli inibitori di PCSK9 ma soprattutto le statine (sono i farmaci più usati in assoluto che riducono la colesterolemia fino al 60%, riducono il rischio di eventi coronarici e quindi la mortalità del paziente). Le statine inibiscono la sintesi di colesterolo endogeno bloccando l'enzima HMG CoA reduttasi. L’epatocita non avendo più sufficiente colesterolo per adempiere le proprie funzioni cercherà di aumentare la sintesi del recettore LDL per captarne il più possibile dal circolo ematico.
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