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Appunti di medicina interna, Appunti di Medicina Interna

Appunti completi (comprendenti anche le slide del docente) e ordinati di medicina interna per le professioni sanitarie della riabilitazione (classe II) dell'Università degli studi di Pavia

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 04/04/2020

asiagrigis
asiagrigis 🇮🇹

4.6

(38)

46 documenti

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Scarica Appunti di medicina interna e più Appunti in PDF di Medicina Interna solo su Docsity! MEDICINA INTERNA 11 marzo 2019 - lezione 1 INTRODUZIONE L’anamnesi rappresenta il primo passo per affrontare quello che viene definito un caso clinico: è di importanza fondamentale in quanto consiste nella raccolta delle informazioni cliniche del paziente. Deve essere condotta in un ambiente idoneo al colloquio che deve essere portato avanti in modo calmo e sereno (senza fretta) e durante il quale è molto importante tenere un atteggiamento che dimostri disponibilità all’ascolto e partecipazione attiva; dimostrare l’interesse non solo verso le sue malattie ma anche e soprattutto verso la persona e ricordarsi di usare un linguaggio facilmente comprensibile e adatto alla condizione psico-sociale del paziente. Si passa poi all’esame obiettivo, vale a dire la visita (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) che il medico fa al paziente per individuare i segni-sintomi basilari (epicrisi) sulla base dei quali formulare delle ipotesi diagnostiche. Se queste ipotesi vengono confermate da esami di laboratorio si arriva ad una diagnosi definitiva per la quale si stabilisce infine una terapia specifica da seguire. SEMEIOTICA La semeiotica è l’arte di rilevare i sintomi (ogni sensazione soggettiva avvertita e riferita dal paziente), i segni (ogni alterazione obiettiva manifestata dal paziente) e tutti i dati riguardanti un paziente. La raccolta di queste informazioni permette di iniziare l’iter che conduce alla formulazione della diagnosi clinica della malattia. Si parla di semeiotica fisica quando il medico utilizza, per il rilevamento dei dati, soltanto i suoi sensi; di semeiotica laboratoristica o strumentale se il medico utilizza anche esami di laboratorio o strumentali. PATOLOGIA La patologia è la classificazione delle malattie basata su: ❑ le cause (eziologia); ❑ i meccanismi fisiopatologici con cui la malattia si instaura (patogenesi); ❑ il quadro anatomopatologico; ❑ la descrizione dei sintomi e segni; CLINICA La clinica è l'utilizzazione di semeiotica e patologia per inquadrare e poter curare in modo adeguato la malattia che colpisce il paziente. Questi due gruppi di conoscenze portano ad una diagnosi sulla base della quale viene stabilita la prognosi e decisa la terapia. 1 ANAMNESI Quando si parla di anamnesi si fa riferimento alla raccolta dei dati storici del paziente attraverso un colloquio con il paziente stesso o con i suoi familiari. Serve innanzitutto a instaurare un rapporto con il paziente e a raccogliere tutte le informazioni utili per aprire un ventaglio di ipotesi diagnostiche. Si compone di: ● anamnesi familiare : è riferita ai familiari del paziente (esempio: chiedere se i genitori siano ancora vivi o in caso contrario informarsi su quale sia stata la causa di morte; se in famiglia sono presenti casi di malattie particolari ecc..). Serve infatti ad evidenziare possibili patologie ereditarie, accertare fonti familiari di contagio (chiedere se i familiari hanno avuto gli stessi sintomi), riconoscere situazioni anomale in ambiente familiare. Le malattie che vengono osservate dall’analisi familiare sono tutte malattie ereditarie di tipo autosomico dominante (sferocitosi, ellissocitosi, talassemia, corea di Huntington ecc..); autosomico recessivo (fenilchetonuria, glicogenosi ecc..); multifattoriale (ipertensione arteriosa, diabete mellito, gotta, obesità ecc..); legata al cromosoma X quindi trasmessa dalla madre (emofilia che è una coagulopatia, favismo, distrofia muscolare ecc…); ● anamnesi personale fisiologica : riguarda gli aspetti fisiologici della vita del paziente. Nel reparto pediatrico è molto importante avere informazioni sulla nascita e sui primi atti dell’infanzia, sullo sviluppo psicofisico (quando ha iniziato a parlare o camminare, a quanti anni ha iniziato la scuola ecc…) e sulla pubertà (quando sono comparsi i primi peli ecc…). Per quanto riguarda le donne è sempre opportuno conoscere gli aspetti riguardanti il menarca, il flusso mestruale (durata, intensità ecc..), le gravidanze (quante portate a termine, quante e quali complicanze, quante interruzioni spontanee ecc..) e la menopausa con disturbi annessi (vampate di calore, ipertensione arteriosa, aumento di peso ecc..). Un altro aspetto molto importante a cui far fronte sono le abitudini di vita quindi l’alimentazione, l’attività lavorativa (NB: SONO MOLTISSIME LE PATOLOGIE LEGATE AL LAVORO: polveri, sostanze tossiche ecc.…) ed extralavorativa, fumo alcool ecc. Così come è molto importante tutto ciò che riguarda le principali funzioni fisiologiche: ➔ la sete: i recettori che informano della sensazione di sete sono osmocettori che trasmettono gli impulsi al diencefalo. Nel caso in cui si ha un aumento della sete senza alcuna spiegazione specifica, si parla di POLIDIPSIA PRIMITIVA quindi l’individuo percepisce una forte necessità di bere legata a cause psichiche. Anche un forte aumento delle perdite di acqua per cui si ha emorragia, vomito, diarrea, poliuria o sudorazione eccessiva, provoca una grande sete. Si può avere invece una riduzione dell’ingestione di acqua dovuta ad ostacoli alla canalizzazione del tubo gastroenterico o all’impossibilità di bere; ➔ la fame: la sensazione di fame o di sazietà è determinata dalla attività di centri ipotalamici sensibili al livello di glucosio nel sangue. 2 La via del dolore è ben definita e scaglionata: - I neurone: dalla periferia al corno posteriore della sostanza grigia del midollo spinale; - II neurone: dal corno posteriore al talamo, dopo decussazione; - III neurone: dal nucleo posterolaterale del talamo alla corteccia sensoriale. Si distinguono due tipi di dolore: 1. dolore somatico : gli impulsi sono veicolati da nervi somatici o cerebrospinali. le terminazioni nervose sono sensibili a stimoli quali: pressione, trazione, taglio, frizione, puntura, ustione, variazioni di pH e necrosi. È di solito ben localizzato (punto, linea, superficie); 2. dolore viscerale : gli impulsi sono veicolati da fibre che decorrono nei nervi simpatici e parasimpatici. Gli stimoli che evocano il dolore viscerale sono: distensione, spasmo o contrazioni e irritanti chimici. È di solito mal localizzabile, diffuso e tridimensionale. Quando si percepisce una sensazione di dolore è generalmente necessario localizzarne la sede, indicarne la qualità e intensità, la durata (decorso), quali siano i fattori scatenanti, aggravanti o allevianti, l’irradiazione e i sintomi associati. I DOLORI TORACICI I dolori toracici si distinguono in: - viscerali: sono generalmente dolori di origine cardiaca, ma possono originare anche da problemi legati ai grossi vasi del torace (esempio: aorta), da embolie polmonari o problemi a livello dell’esofago. Tra questi dolori è importante ricordare l’ANGINA PECTORIS: il dolore anginoso è causato da una ischemia miocardica acuta e transitoria (breve) che può avere importanti ripercussioni tanto sulla prognosi tanto sulla terapia del paziente. Può essere scatenato da uno sforzo fisico, un pasto abbondante o uno stress emozionale, ma anche a riposo e viene percepito come un dolore oppressivo, schiacciante. Viene localizzato a livello retrosternale ma si irradia alla spalla e braccio sinistro, collo, mandibola, epigastrio. 5 La localizzazione e la percezione dell’INFARTO MIOCARDICO sono gli stessi appena visti, ma questo dolore che porta ad una sensazione di morte imminente, è causato da una necrosi del miocardio che non ha evidenti fattori scatenanti; - somatici: sono dolori che originano dalla parete toracico. I DOLORI ADDOMINALI I dolori addominali comprendono: ● ulcera peptica : ➢ epigastrico; ➢ crampiforme, urente, trafittivo; ➢ stagionale ed in particolari ore del giorno; ➢ alleviato dalla assunzione di cibo e dagli antiacidi; ➢ irradiato al dorso; ➢ accompagnato da nausea, vomito, eruttazioni; ● neoplasia dello stomaco : ➢ epigastrico; ➢ crampiforme, urente, opprimente; ➢ persistente; ➢ accentuato dai pasti; ➢ non alleviato né da cibo né da antiacidi; ➢ irradiato al dorso; ➢ accompagnato da anoressia, dimagramento. TOSSE La tosse è una violenta espirazione a glottide chiusa, preceduta da veloce e profonda inspirazione. Ha lo scopo di proteggere l’albero respiratorio dall’ingresso di sostanze estranee e dall’accumulo di secreti e può essere: ➔ tosse secca (senza espettorazione): inalazione di polveri o sostanze irritanti; corpi estranei; flogosi o neoplasie di laringe, trachea o bronchi; ➔ tosse produttiva (con espettorazione): flogosi dei bronchi o parenchima polmonare con essudato; ➔ emottisi o emoftoe: emissione di sangue con la tosse ➔ esempi sono: le infezioni polmonari, la tubercolosi, le micosi, le infezioni batteriche, le neoplasie bronchiali, le bronchiectasie e le malattie cardiovascolari come l’infarto polmonare o la stenosi mitralica. VOMITO Il vomito è una rapida e forzata espulsione di cibo, o altro materiale, dallo stomaco attraverso la 6 bocca; di solito preceduto da nausea. Si distinguono diversi tipi di vomito: alimentare, acquoso, biliare, emorragico, caffeano (colore scuro) e fecaloide. Anche le cause sono varie e si distinguono in cerebrali (psicosi, eventi emotivi acuti, aumento della pressione); intracranica (contusioni, tumori, ascessi, meningiti, emorragie), tossiche (farmaci, tabacco, radiazioni, tossici endogeni); viscerali (ostruzione al transito, malattie dello stomaco, logosi pelviche e addominali) e otovestibolari (cinetosi, s. di Ménière). DISPNEA La dispnea è la abnorme sensazione spiacevole del proprio respiro; è un sintomo per cui viene descritta dal paziente come fame d’aria, fiato pesante, sopraffiato. Da un punto di vista patogenetico si verifica quando il lavoro respiratorio è eccessivo Da un punto di vista clinico poi si distingue la dispnea da sforzo da quella a riposo, dall’ortopnea e dalla dispnea parossistica notturna. ASTENIA L’astenia è la sensazione di stanchezza sproporzionata rispetto all’attività svolta, che condiziona una miastenia grave, una paralisi periodica familiare o malattie endocrine (iperaldosteronismo primario, Morbo di Addison e distiroidismi), infettive, neoplastiche, diabete mellito, anemie gravi e scompenso cardiaco. 18 marzo 2019 - lezione 2 IPERTENSIONE ARTERIOSA La pressione arteriosa è data dalla portata cardiaca x resistenze periferiche totali (RP) ed è classificata in varie categorie: ❏ normale ➔ sistolica < 120 e diastolica < 80; ❏ pre-ipertensione ➔ sistolica 120-139 e diastolica 80-89; ❏ ipertensione stadio 1 ➔ sistolica 140-159 e diastolica 90-99; ❏ ipertensione stadio 2 ➔ sistolica ≥ 160 e diastolica ≥ 100; ❏ ipertensione sistolica isolata ➔ sistolica ≥140 e diastolica < 90. L’aumento della gittata cardiaca e/o l’aumento della RP determina l’ipertensione arteriosa: la pressione sistolica è stabilmente superiore a 140 mmHg e la pressione diastolica stabilmente superiore a 90 mmHg. Dal punto di vista eziologico si distingue la forma primitiva (essenziale o idiopatica) dalle forme secondarie a eziologia nota. L’ipertensione arteriosa secondaria è distinta poi in: a) renale: - reno-vascolare; 7 bersaglio; efficacia in tutti i sottogruppi di pazienti; assenza di interazioni negative con altri farmaci; assenza di effetti indesiderati su altri organi e apparati; tollerabilità ottimale e assenza di tossicità. Tra questi ricordiamo dunque: - farmaci diuretici: riducono il riassorbimento renale di Na+, la volemia, il precarico (iniziale) e le resistenze periferiche (trattamento cronico); - β-bloccanti: inibiscono l’attività adrenergica β-mediata, riducono la frequenza cardiaca, la portata cardiaca e la secrezione di renina; - α1-bloccanti: bloccano l'attività adrenergica periferica α-mediata portando alla vasodilatazione; - calcio-antagonisti: marcano la riduzione dell’entrata del calcio nelle cellule della muscolatura cardiaca (riduzione della contrattilità miocardica e dell’eccitabilità delle cellule cardiaca; blocco dei recettori sul sistema di conduzione cardiaco) e liscia (rilassamento della muscolatura liscia; vasodilatazione e riduzione delle resistenze periferiche); - ACE-inibitori: inibiscono l’enzima di conversione dell’angiotensina I (ACE), la degradazione della bradichinina (aumento permeabilità vascolare vasodilatazione) e la produzione di aldosterone. Inoltre, riducono i livelli di A-II, l’attività simpatica e prevengono la ritenzione idrico-salina; - antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II (AT1 antagonisti): bloccano i recettori AT1 dell’angio-II (vasocostrizione, inibizione della liberazione di aldosterone ecc..); rilasciano bradichinina a livello endoteliale vascolare (aumento permeabilità vascolare, vasodilatazione) e stimolano i recettori AT2 (antagonizzano i recettori AT1). MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA La pressione arteriosa viene classicamente misurata mediante sfigmomanometro aneroide. Se vengono utilizzati altri strumenti non invasivi (oscillometrici), essi devono essere validati secondo protocolli standardizzati e controllati periodicamente tramite confronto con dati provenienti da sfigmomanometri. Quando si valutano i valori pressori è necessario: ➢ lasciare il paziente seduto per alcuni minuti in una stanza tranquilla prima di iniziare la procedura di rilevazione pressoria; ➢ eseguire almeno due misurazioni intervallate da 1-2 minuti e una misurazione aggiuntiva se le prime due sono molto diverse tra loro; ➢ usare un bracciale di dimensione standard (12-13 cm di altezza e 35 di lunghezza), ma disporre anche di bracciali più grandi nel caso di soggetti obesi e più piccoli nel caso di soggetti magri e pediatrici come i bambini. L’impiego di bracciali di dimensioni inappropriate costituisce una delle più comuni cause di errore nelle misurazioni indirette della pressione arteriosa. 10 I giusti parametri da rispettare sono: - lunghezza della camera d’aria del bracciale = 80% della circonferenza del braccio; - larghezza del bracciale = 40% della circonferenza del braccio; - il bracciale deve avere una circonferenza superiore a quella del braccio; ➢ posizionare il bracciale a livello del cuore, qualunque sia la posizione del paziente; ➢ in occasione della prima visita, misurare la pressione arteriosa ad entrambi gli arti superiori per evidenziare eventuali disparità pressorie legate alla presenza di vasculopatia periferica. In tale evenienza, considerare il valore pressorio più alto come quello di riferimento; ➢ nei pazienti anziani, nei diabetici e in altre condizioni in cui può essere sospettata una ipotensione ortostatica, misurare la pressione dopo 1 e 5 minuti dall'assunzione della posizione eretta. PRESSIONE CLINICA O SFIGMOMANOMETRICA La misurazione prevede diversi passaggi: 1. misurazione palpatoria della pressione sistolica prima di iniziare la misurazione auscultatoria. Si avvertono i cosiddetti suoni di korotkoff in divisi in fasi: FASE I: la prima comparsa di suoni deboli, ripetitivi, chiari che aumentano gradualmente di intensità per almeno due battiti consecutivi. ➔ pressione arteriosa sistolica; FASE II: per un breve periodo successivo i suoni si possono affievolire. ➔ gap ascoltatorio: in alcuni pazienti il suono può scomparire del tutto per un breve periodo; FASE III: ritorno di suoni più netti; FASE IV: improvvisa attenuazione dei suoni che diventano ovattati; FASE V: punto in cui tutti i suoni spariscono completamente. ➔ pressione arteriosa diastolica; 2. posizionamento dello stetoscopio sull’arteria brachiale (usare preferibilmente la campana); 3. gonfiaggio del bracciale fino a 30 mmHg al di sopra del valore di pressione sistolica in precedenza determinato con metodo palpatorio; 4. sgonfiaggio del bracciale alla velocità di 2-3 mmHg/sec; 5. impiego della I fase di Korotkoff (comparsa dei suoni) per la determinazione della pressione sistolica; 6. impiego della V fase di Korotkoff (scomparsa dei suoni) per la determinazione della pressione diastolica; 7. dopo la scomparsa dei toni il bracciale va sgonfiato rapidamente. METODO OSCILLOMETRICO Il metodo oscillometrico è basato sul principio della pletismografia e fornisce una misura indiretta della pressione pulsatile di una arteria misurando le variazioni periodiche di pressione 11 del bracciale (oscillazioni). MONITORAGGIO AMBULATORIO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA DELLE 24 ORE ➔ ABPM (AMBULATORY BLOOD PRESSURE MONITORING) L’ABPM è una tecnica incruenta che utilizza metodi di misurazione pressoria oscillometrica e fornisce informazioni utili ed aggiuntive per la valutazione del paziente iperteso rispetto all’approccio clinico tradizionale della misurazione isolata. È una tecnica vantaggiosa perché permette un numero di misurazioni maggiore (diurne e notturne), per cui una maggiore riproducibilità, senza alterare (nella maggioranza dei casi) il profilo giorno-notte della pressione, scatenare reazioni d’allarme e subire l’effetto placebo. Inoltre, dà indicazioni circa la considerevole variabilità tra i valori pressori ambulatoriali, gli elevati valori pressori in pazienti con rischio cardiovascolare basso, la marcata discrepanza tra valori pressori ambulatoriali e domiciliari. Il monitoraggio ambulatorio della pressione arteriosa delle 24 ore offre quindi un monitoraggio completo della terapia (efficacia antipertensiva – copertura 24 ore ecc.) e riveste un ruolo importante nella valutazione diagnostica e prognostica del paziente iperteso. L’unico effetto svantaggioso è che non consente una corretta misurazione della variabilità pressoria in quanto, utilizzando misurazioni ad intervalli di 15-30 minuti, viene persa la variabilità a breve termine. 25 marzo 2019 - lezione 3 INSUFFICIENZA CARDIACA L’insufficienza cardiaca è la sindrome clinica nella quale un’anomalia della struttura o della funzione cardiaca è responsabile dell’incapacità, da parte del cuore, di pompare il sangue o di riempirsi, ad una velocità adeguata alle esigenze metaboliche dei tessuti. È classificata secondo la New York Heart Association (NYHA) in: ● classe I ➔ nessuna limitazione; l’attività fisica abituale non provoca astenia, dispnea o palpitazioni; ● classe II ➔ lieve limitazione dell’attività fisica. Si ha una sensazione di benessere a riposo ma l’attività fisica abituale provoca affaticamento, dispnea, palpitazioni o angina; ● classe III ➔ grave limitazione dell’attività fisica. Si ha una sensazione di benessere a ● riposo, ma attività fisiche di entità inferiore a quelle abituali provocano sintomi; ● classe IV ➔ incapacità a svolgere qualsiasi attività senza disturbi. Sintomi di scompenso anche a riposo. Le cause di base di questa insufficienza sono la cardiopatia ischemica, le miocardiopatie e le cardiopatie congenite, valvolari o ipertensive. Sono poi da prendere in considerazione quelle che vengono definite cause scatenanti, quali: ■ infezioni (febbre con aumento gittata cardiaca; tachicardia; ipossiemia; aumentate esigenze metaboliche); 12 1. turbe respiratorie come: - dispnea da sforzo; - dispnea a riposo; - ortopnea (dispnea in posizione supina); - dispnea parossistica (notturna); - edema polmonare acuto; - respiro periodico di Cheyne-Stokes; 2. astenia da riduzione della perfusione della muscolatura scheletrica; 3. anoressia, nausea, dolore addominale causate dalla congestione del circolo addominale; 4. confusione mentale, cefalea, insonnia causata da ipoperfusione cerebrale. I reperti obiettivi dell’insufficienza cardiaca comprendono: pressione arteriosa aumentata o ridotta, pressione venosa sistemica aumentata, turgore delle vene giugulari, ittero e cute fredda e sudata con anche la contrazione della diuresi. Si può fare riferimento ai cosiddetti Criteri di Framingham per la diagnosi di insufficienza cardiaca (1 maggiore + 2 minori), i quali comprendono: 1. criteri maggiori come: - dispnea parossistica notturna; - distensione delle vene del collo; - rantoli; - cardiomegalia; - edema polmonare acuto; - ritmo di galoppo T3; - aumento della pressione venosa; - reflusso epato-giugulare; 2. criteri minori come: - edema delle estremità̀; - tosse notturna; - dispnea da sforzo; - epatomegalia; - versamento pleurico; - capacità vitale ridotta; - tachicardia. Criteri maggiori / minori - perdita di peso ≥ 4,5 Kg dopo 5 giorni di terapia. BNP ➔ (B-type natriuretic peptide o Brain Natriuretic Peptide) è un ormone prodotto dai ventricoli cardiaci a seguito dell’espansione di volume e/o sovraccarico pressorio e stretch della parete ventricolare. 15 Ha azione natriuretica, diuretica, rilassante le cellule muscolari lisce della parete dei vasi e inibisce il sistema renina- angiotensina-aldosterone. Associazione tra biomarcatori di scompenso cardiaco e morte: TRATTAMENTO DELLO SCOMPENSO CARDIACO Obiettivo del trattamento dello scompenso cardiaco acuto è stabilizzare le condizioni emodinamiche del paziente identificando e trattando i fattori reversibili che hanno scatenato lo scompenso (infezioni, aritmie, embolia polmonare...). L’approccio farmacologico si basa sull’utilizzo di farmaci somministrati e.v. quali diuretici dell’ansa, nitrati e agenti inotropi (dobutamina, dopamina, milrinone). Invece, l’obiettivo del trattamento dello scompenso cardiaco cronico è quello di trattare la causa che ne sta alla base, ridurre i sintomi e arrestarne la progressione Il trattamento dello scompenso cardiaco include cambiamenti dello stile di vita, terapia farmacologica e in taluni casi utilizzo di device impiantabili e di strumenti di supporto meccanico al circolo ematico. Il trattamento non farmacologico, invece, prevede: - riduzione apporto giornaliero di sodio; - riduzione apporto giornaliero di alcol (massimo 1-2 bicchieri di vino\die); - riduzione peso corporeo nei pazienti obesi; - abolizione fumo di sigaretta; - vaccinazione annuali contro l’influenza stagionale; - programmi di riabilitazione cardiaca. EDEMA POLMONARE ACUTO 16 Nel caso di edema polmonare acuto, l’approccio al paziente deve essere immediato e aggressivo e prevede di: a. mantenere il paziente in posizione seduta per ridurre il ritorno venoso; b. O2 terapia al 100% con una maschera per raggiungere una PaO2 di almeno 60 mmHg quasi simultaneamente; c. somministrare un diuretico dell’ansa e.v; d. somministrare vasodilatatori (nitroglicerina sublinguale o e.v.); e. controllare l’agitazione con morfina cloridrato (no benzodiazepine responsabili dell’eventuale depressione respiratoria). DIABETE MELLITO Per diabete mellito si intende un disordine cronico dovuto ad una alterazione del metabolismo glucidico conseguente ad una diminuzione dell’attività̀ dell’insulina conseguente alla ridotta disponibilità̀ di questo ormone, all’impedimento alla sua normale funzione oppure ad una combinazione di entrambi i fattori. I malati di diabete nel mondo sono circa 194 milioni (nel 2030 saranno circa 366 milioni) e la prevalenza di questa malattia negli individui oltre i 65 anni è del 20,1% (nel 2000), percentuale simile negli uomini e nelle donne in tutte le fasce di età̀. In Italia i diabetici noti sono circa 3 milioni (dato che sottostima la reale incidenza della patologia poiché́ molti soggetti non sanno di esserne affetti). Il diabete mellito è tra le prime dieci cause di morte nei paesi europei. Il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età̀, l’obesità̀ e la scarsa attività̀ fisica. Il trattamento prevede l’utilizzo dell’insulina, un ormone proteico composto da 51 aminoacidi e prodotto dalle cellule delle isole di Langerhans; deriva da una molecola complessa, la proinsulina, che nel fegato viene scissa in insulina e in un frammento più̀ piccolo il peptide C. La secrezione comprende due fasi distinte: - la secrezione basale: avviene in assenza di stimoli esogeni e rappresenta la quantità̀ di insulina secreta durante il digiuno; - la secrezione stimolata: avviene in risposta a stimoli esogeni di cui il più importante è l’aumento della glicemia. L’insulina agisce: A. a livello del fegato ove promuove la sintesi del glicogeno a partire dal glucosio (glicogenesi) ed ove impedisce la glicogenolisi e la sintesi di glicogeno a partire dagli aminoacidi (gliconeogenesi); B. a livello del tessuto muscolare ove favorisce la glicogenesi e la sintesi delle proteine a partire dagli aminoacidi; C. a livello del tessuto adiposo ove promuove l’accumulo di trigliceridi negli adipociti ed impedisce la scissione dei trigliceridi in acidi grassi (lipolisi) e quindi in corpi chetonici (chetogenesi). Una carenza di insulina causa: - iperglicemia per attivazione della glicogenolisi; - tendenza alla chetogenesi per scissione dei trigliceridi. I recettori dell’insulina sono presenti sulla superficie della maggior parte delle cellule dell’organismo ed in particolare del tessuto epatico, muscolare e adiposo dove legano l’ormone 17 Invece la nefropatia diabetica è diventata nell’ultimo decennio la più̀ frequente causa di insufficienza renale cronica nei paesi industrializzati ed è associata ad un’elevata mortalità̀ e morbilità̀ cardiovascolare. Esiste uno SCREENING della nefropatia diabetica (Linee guida della Società̀ Italiana di Diabetologia), secondo il quale è necessario eseguire un dosaggio annuale della microalbuminuria (aumento subclinico della escrezione urinaria di albumina compreso tra 30 e 299 mg/24 ore) su 3 campioni di urine nell’arco di sei mesi: - a partire da 5 anni dopo la diagnosi del diabete di tipo 1; - dalla diagnosi nel diabete di tipo 2; 2. macrovascolari come la coronaropatia, vasculopatia periferica e quella cerebrale. PIEDE DIABETICO Il piede diabetico è una patologia che si può sviluppare a carico del piede del paziente diabetico con alterazioni anatomo-funzionali determinate dall’arteriopatia occlusiva periferica e/o dalla neuropatia diabetica. Circa il 40-60% di tutte le amputazioni non traumatiche degli arti inferiori sono eseguite in pazienti diabetici, mentre l’85% delle amputazioni delle estremità̀ inferiori associate al diabete sono precedute da ulcere del piede. Ipoglicemizzanti orali: Classe Nome Meccanismo d’azione Sulfaniluree Tolbutamide, Glibenclamide Stimolano cronicamente la produzione di insulina RISCHIO DI IPOGLICEMIA Meglitinidi Repaglinide Stimola acutamente la produzione di insulina Biguanidi Metformina Riducono la produzione epatica di glucosio e la resistenza all’insulina Inibitori dell’alfa glicosilasi Acarbosio Riducono l’assorbimento intestinale del glucosio Tiazolinedioni Rosiglitazone Riducono la resistenza e sensibilizzano i tessuti all’insulina 20 Insulina ed analoghi: ❏ rappresentano il trattamento di prima scelta nel diabete mellito di tipo 1 e nel diabete gestazionale; ❏ sono necessari nel diabete mellito di tipo 2 quando la terapia con ipoglicemizzanti orali non è più̀ sufficiente ad assicurare un buon controllo metabolico; ❏ rispetto all’inizio e alla durata d’azione si distinguono le insuline ad assorbimento pronto (ad azione rapida) e le insuline ad assorbimento lento (ad azione intermedia o lunga); ❏ rispetto alle caratteristiche si distingue l’insulina umana, prodotta con una tecnica ricombinante, dagli analoghi dell’insulina che differiscono dalla prima per sostituzione o diversa posizione di alcuni aminoacidi. Le sedi di iniezione dell’insulina sono: - addome ➔ è la sede da preferire; - parte anteriore delle cosce e glutei (quadrante laterale esterno); - parte laterale delle braccia. CRISI IPOGLICEMICA/COMA IPOGLICEMICO (GLICEMIA < 50 mg/dL) La crisi ipoglicemica si può avere a causa di una scorretta assunzione della terapia o di una scorretta alimentazione e si manifesta tramite: - astenia, sensazione di fame, confusione mentale, cefalea ➔ causate da ridotto apporto di glucosio alle cellule cerebrali; - sudorazione, tremore, pallore, tachicardia, midriasi; Questi segni devono essere poi confermati dalla misurazione della glicemia capillare. La terapia cambia in base al fatto che il paziente sia cosciente oppure no: nel primo caso di prevede la somministrazione di acqua zuccherata o alimenti contenenti carboidrati, mentre se il paziente non è cosciente si procede con la somministrazione di glucosata al 33% (10 ml). ALTERAZIONI DELLO STATO DI COSCIENZA La coscienza è intesa come la consapevolezza di sé e dell’ambiente e le sue alterazioni possono essere: a. transitorie ➔ come l’epilessia o la sincope. L’epilessia è la sindrome caratterizzata da manifestazioni motorie, sensitive, psichiche, neuro-vegetative che si presentano improvvisamente e tendono a ripetersi nel tempo. Le cause di questo disturbo possono essere: ipossia, traumi (cicatrici), malformazioni congenite (es: M.A.V.), disordini metabolici o l’astinenza da alcool; l’epilessia è caratterizzata da una scarica elettrica incontrollata, parossistica e abnorme del SNC, seguita da una fase post-critica. La sincope invece è una transitoria e reversibile perdita di coscienza con perdita del tono posturale causata, nel giovane, momenti funzionali (vasodilatazione con ipotensione e ipoafflusso cerebrale), mentre nell’anziano è riconducibile ad aritmie e attacchi ischemici transitori (TIA); b. prolungate ➔ comprende la confusione mentale che si divide in: 21 - sopore : condizione che simula un sonno leggero caratterizzato da facile risvegliabilità con persistenza dello stato di veglia per brevi periodi; - stupore : grado lieve di non risvegliabilità nel quale il paziente risponde solo a stimoli vigorosi, con un comportamento che tende ad evitare le sollecitazioni fastidiose o irritanti. Rientrano in questa categoria anche la demenza senile, i disturbi psichiatrici, gli stati tossici e infettivi e i disturbi metabolici ed idro-elettrolitici. Nelle alterazioni di coscienza prolungate si può considerare anche il coma: esso è una condizione comportamentale patologica caratterizzata da una degradazione dello stato di coscienza persistente, potenzialmente non irreversibile, nel corso della quale il paziente giace ad occhi chiusi e non è in grado di rispondere volontariamente a qualsiasi stimolo esterno. Per misurarlo si usa la scala di Glasgow, la quale considera tre parametri, ovvero l’apertura degli occhi, la risposta verbale e la risposta motoria, dando un punteggio: - punti 15: nella norma; - punti da 12 a 14: lieve alterazione; - punti da 9 a 11: alterazione importante; - punti da 4 a 8: alterazione grave; - punti 3: coma profondo. Il coma è diverso dallo stato vegetativo che comunque a volte può̀ susseguire ad esso: un paziente in stato vegetativo ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell'ambiente intorno a sé, ma mantiene quelle non-cognitive e il ciclo sonno/veglia; può̀ avere movimenti spontanei e apre gli occhi se stimolato, ma non parla e non obbedisce ai comandi. Il coma non è nemmeno indice di morte cerebrale, cioè̀ di cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello: può̀ accadere infatti che un paziente in coma sia in grado di respirare da solo, mentre uno decerebrato non può̀ farlo mai. È inoltre diverso anche dal sonno, perché́ il sonno è sempre interrompibile, mentre non è possibile "svegliare" a piacere una persona in stato di coma. Le malattie che possono portare al coma comprendono le patologie che compromettono direttamente il SNC (cause organiche, intracerebrali), le cause infettive (meningiti, encefaliti), i processi espansivi (tumori, ematomi, ascessi) e i traumi. Le patologie che invece riducono le funzioni del SNC (cause metaboliche) sono: carenza di ossigeno, carenza di substrati metabolici (↓Hb, ↓glucosio) o il loro eccesso, presenza di sostanze tossiche (farmaci, droghe, alcool). Il coma può essere: 1. coma traumatico: comprende la commozione cerebrale, l’ematoma epidurale e l’ematoma subdurale acuto o cronico; 2. coma infettivo: comprende la meningite e la meningoencefalite, l’ascesso cerebrale e la encefalopatia da stati settici; 3. coma vascolare: comprende l’emorragia subaracnoidea, l’emorragia cerebrale l’infarto cerebrale, l’encefalopatia ipertensiva e la tromboflebite cerebrale; 4. coma epilettico; 22
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