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Appunti di medicina interna, Appunti di Medicina Interna

Appunti di medicina interna su epatologia, cirrosi epatica, diabete, endocrinologia, sindrome metabolica, anemia, diatesi emorragiche, cardiologia ed ECG, nefrologia, pneumologia, sindromi paraneoplastiche, reumatologia, ematologia, gastroenterologia.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 05/02/2023

Met1097
Met1097 🇮🇹

5

(7)

35 documenti

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Scarica Appunti di medicina interna e più Appunti in PDF di Medicina Interna solo su Docsity! Medicina interna Ittero senza dolore L’ittero è un aumento dei valori di bilirubina circolante, i cui valori normali sono: • Bilirubina totale (0,3-1 mg/dl). • Bilirubina diretta (0,1-0,3 mg/dl). • Bilirubina indiretta (0,1-0,7 mg/dl). La maggior parte della bilirubina circolante è indiretta e deriva dal catabolismo dell’Hb nel sistema reticolo- endoteliale: i macrofagi eliminano la parte proteica, l’eme, da cui è poi eliminato il Fe. L’eme è una porfirina, che è riciclata e trasformata in bilirubina indiretta, che riesce a circolare grazie al legame con l’albumina. La bilirubina indiretta è captata a livello epatico dove è coniugata, tramite transferasi, all’acido glucuronico e rilasciata nella bile come bilirubina diretta. La bilirubina diretta non dovrebbe essere presente in circolo poiché dovrebbe essere rilasciata interamente nella bile (una piccola quota segue il circolo entero-epatico). Quindi, la maggior parte della bilirubina coniugata resta nell’intestino, dove è trasformata dai microrganismi intestinali in urobilinogeno e stercobilina. L’urobilinogeno può essere dosato nelle urine ed è utile quando il turn-over della bilirubina è aumentato a livello sistemico (es. emolisi), con aumento dell’urobilinogeno. Le manifestazioni cliniche, presenti se il livello di bilirubina è >3 mg/dl, sono l’ingiallimento di sclera e cute. In situazioni molto patologiche, soprattutto nell’ittero ostruttivo, vi possono essere valori di bilirubina molto elevati (12-15 mg/dl). Valori oltre un certo livello sono incompatibili con la vita, quindi bisogna intervenire per risolvere l’ittero ostruttivo, spesso alla base del problema (stent o drenaggio percutaneo). La mortalità in caso di bilirubinemia elevata è legata al deposito di bilirubina a livello di SNC. Gli itteri possono essere: • Ittero pre-epatico: da eccessiva produzione di bilirubina indiretta (emolisi) o ridotta captazione o coniugazione di bilirubina, ad caso di difetti di glucuronazione, come nella malattia di Gilbert, con aumento di bilirubina indiretta. • Ittero epatico: vi è rilascio del contenuto epatocitario, ossia transaminasi e bilirubina, a causa di una flogosi o una necrosi del parenchima epatico, come in caso di epatite (come per troponina in un IMA ed ormoni tiroidei in una tiroidite). È un ittero misto, con aumento di bilirubina diretta ed indiretta. • Ittero post-epatico: ad esempio, causato da cancro della testa del pancreas, ma vi sono forme più rare come colangiocarcinoma o calcolosi delle vie biliari (normalmente vi è colica biliare, senza ittero). Inoltre, può essere causato da alcune malattie rare, senza dilatazione delle vie biliari, come colangite biliare primitiva e colangite biliare sclerosante. È un ittero puro a bilirubina diretta, colestatico. I farmaci possono avere tossicità epatica, che può estrinsecarsi secondo 2 vie: • Tossicità intensa, con epatite: aumento delle transaminasi. • Tossicità in senso ostruttivo delle vie biliare: aumento di bilirubina diretta ed indici di colestasi. L’ittero colestatico è l’unico ittero associato ad iperbilirubinemia molto elevata, mentre le altre malattie danno aumento più moderato. Si associa a prurito generalizzato, legato a liberazione di sali biliari in circolo (anche linfoma di Hodgkin ed ipotiroidismo possono dare prurito). Vi sono feci acoliche ed urine ipercromiche perché ciò che colora le feci (stercobilina) non è presente nell’intestino e la bilirubina diretta, essendo idrosolubile, è filtrata dal glomerulo. Inoltre, vi possono essere lesioni da grattamento da prurito. Esami del sangue In caso di epatopatia, si valutano gli indici di funzionalità epatica, legati a 3 meccanismi fisiopatologici: • Flogosi/necrosi: bisogna valutare transaminasi (ALT = 7-55 U/l; AST = 8-48 U/l) e rapporto AST/ALT, che può dare informazioni sulla patologia. Ad esempio, in caso di alcolismo cronico, AST è più elevata di ALT, con rapporto di circa 2, mentre nelle epatiti ALT è più elevata di AST. • Colestasi: bilirubina diretta, gamma glutamil-transpeptidasi (g-GT) e fosfatasi alcalina (ALP, 45- 115 UI/l). Tra questi la bilirubina diretta è l’indice più importante. In caso di colestasi, c’è un aumento non proporzionato degli indici di colestasi rispetto agli indici di citolisi o flogosi. • Funzionalità epatica: valuta la capacità protido-sintetica: o Albumina: principale proteina circolante, responsabile della pressione oncotica. Le cause di ipoalbuminemia sono ridotta funzione epatica (es. cirrosi), flogosi sistemica o sindrome nefrosica (la malnutrizione è una causa debole). In particolare, la causa più frequente è la flogosi sistemica, soprattutto cronica, ma anche acuta, perché porta ad aumentata permeabilità endoteliale, con fuoriuscita passiva di albumina dal circolo verso l’interstizio. o Fattori di coagulazione vitamina K dipendenti: si riassumono in un unico esame, che indica la capacità epatica di produrre questi fattori, cioè l’INR, ossia un rapporto normalizzato, che equivale al tempo di protrombina. Imaging L’esame di 1ª scelta per le vie biliari è l'ecografia; in caso di ittero colestatico, il 1° segno da ricercare è una dilatazione delle vie biliari: • Assenza di dilatazione delle vie biliari: un ittero colestatico senza dilatazione delle vie biliari è definito come ittero medico. La forma più frequente è l’epatite virale, ma vi sono forme più rare come colangiti biliari primitive o epatiti autoimmuni. • Dilatazione completa delle vie biliari intra- ed extraepatiche: è segno di possibile ostruzione causata da cancro della testa del pancreas, ma anche da calcolo incuneato nel coledoco. • Dilatazione solo del coledoco: dovuto ad un calcolo incuneato nella parte inferiore della via biliare ma non è intercorso abbastanza tempo da determinare una dilatazione delle vie biliari intraepatiche. • Dilatazione solo delle vie biliari intraepatiche: forma poco comune, in caso di colangite sclerosante primitiva (dilatazione delle vie biliari di medio calibro, a volte visibile con RM) e colangite biliare primitiva (interessa i canalicoli biliari intraepatici, quindi le vie biliari microscopiche, perciò non visibile con ecografia e RM). L’ecografia non è in grado di vedere una neoplasia del pancreas con sufficiente definizione, poiché il pancreas è retroperitoneale e la sonda è posta sull’addome, quindi tra i 2 c’è molta aria che impedisce una buona visualizzazione degli organi retroperitoneali. Si esegue poi un colangio-RM, ossia l’esame principe per visualizzare in alta definizione vie biliari e pancreas, evidenziando sia calcolosi che neoplasie di pancreas e vie biliari. Si tratta di un esame non invasivo con uso di una piccola quantità di mdc. La TC evidenzia bene il pancreas ma non con elevata definizione le vie biliari; quindi, un ittero colestatico è studiato in 1ª battuta tramite ecografia e poi con colangio-RM. La ERCP è una colangio-pancreatografia retrograda in cui si incanulano dotto di Wirsung e coledoco e si inietta mdc nelle vie biliari, con visualizzazione di queste. Si esegue solo a scopo terapeutico a causa dell'elevato tasso di complicanze, come pancreatite acuta. Ad esempio, si può eseguire per sfinterectomia in caso di calcolo incuneato, inserimento di stent in caso di stenosi del coledoco, ecc… Carcinoma della testa del pancreas La terapia prevede antinfiammatori EV (indometacina, ecc…); risolta la fase acuta bisogna prevenire gli episodi successivi, programmando una colecistectomia in laparoscopia (eseguito solo per forma sintomatica). Se il paziente rifiuta l’intervento o non è operabile, si può usare acido ursodesossicolico, efficace in caso di calcoli piccoli colesterinici (se sono di bilirubina non ha effetto). Le possibili complicanze sono: • Colangite. • Colecistite. • Pancreatite acuta: può essere letale, dato che causa shock ipovolemico, anche in pochi minuti. Infatti, la flogosi del retroperitoneo porta i fluidi nel III spazio. Ittero nel paziente acuto Colangite È un’infezione delle vie biliari intraepatiche a monte di un’ostruzione, di solito nel coledoco. La maggior parte dei casi è dovuta a calcoli nella VBP, ma anche a tumori o altre condizioni. I fattori di rischio sono gli stessi fattori di rischio della calcolosi della colecisti Si presenta con febbre, ittero (assente nella colecistite) e dolore in ipocondrio destro. Si tratta di un ittero ostruttivo, con aumento degli indici di colestasi. Tuttavia, una colestasi acuta può causare danno epatocellulare, con aumento delle transaminasi. Inoltre, vi saranno PCR aumentata (normalmente <5 mg/l) e leucocitosi. L'ecografia può evidenziare calcoli nella colecisti e, a volte, nella VBP; in ogni caso, la VBP è dilatata. In caso di dubbio, si esegue una colangio-RM, accurata per lo studio dei calcoli ritenuti. Se la colangio-RM è dubbia, si esegue una ERCP, con eventuale valenza terapeutica. Se il paziente presenta questa sintomatologia e ha viaggiato in Africa equatoriale, bisogna fare DD con varie malattie (leptospirosi, dengue, tifo, paratifo, ecc…). Un quadro simile può essere presente in caso di cirrosi epatica con complicanza infettiva (es. peritonite batterica spontanea). Per fare DD tra i 2 quadri bisogna ricercare elementi obiettivi di malattia cronica di fegato (spider nevi, eritema palmare, circoli collaterali, ascite, ecc…). In caso di linfadenopatia, ci si orienta verso altre patologie. Bisogna controllare i parametri vitali, in particolare la frequenza respiratoria, indice prognostico importante, infatti una tachipnea è segno di compromissione del paziente. La presenza di leucocitosi, soprattutto neutrofila, tachicardia, tachipnea e iperpiressia, rappresenta un quadro di SIRS (sindrome da flogosi sistemica). La flogosi sistemica si può quantificare dosando la PCR, quasi sempre aumentata nella SIRS. In caso di colangite con infezione grave, si può sviluppare una sepsi, caratterizzata da complicanze d’organo che non riguardano la sede primaria d’infezione. Questo può portare a piastrinopenia (valore normale piastrine è 150.000-400.000/ mm3) ed IRA, con rialzo della creatinina. Una colangite, senza instabilità emodinamica, quindi senza shock settico, va trattata in modo con misure di supporto ed antibiotici. Inoltre, bisogna rimuovere in urgenza il calcolo, per via endoscopica o chirurgica. Se la bilirubina è elevata (>15 mg/dl), può essere necessario un drenaggio endoscopico biliare (con ERCP), previa esecuzione di ecografia e TC per evidenziare la dilatazione delle vie biliari extraepatiche. Inoltre, dopo il trattamento spesso bisogna esegue osservazione in terapia intensiva, perché queste condizioni possono rapidamente evolvere verso lo shock settico (anche in poche decine di minuti). Epatiti acute Vi è aumento delle transaminasi e, di solito, iperbilirubinemia mista. Sono tipicamente virali, ma possono essere dovute a meccanismi autoimmuni o tossicità da farmaci. Vi è dolore o discomfort ai quadranti addominali superiori, con possibili febbre, anoressia e nausea. In caso di epatopatia colestatica, vi possono essere urine ipercromiche. In presenza di questa clinica, bisogna indagare: • Storia di alcolismo cronico: nel sospetto di un’epatite alcolica, una delle 3 manifestazioni di alcolismo cronico, insieme a steatosi epatica e cirrosi. • Assunzione di farmaci: sia nelle forme di epatopatia colestatica (vi sono urine ipercromiche) che in quelle citolitiche (iper-transaminasemia). • Viaggi: nei tropici le epatiti virali sono endemiche (HAV e HBV), ad esempio in Africa centrale. • Uso di droghe: bisogna tramite ricercare segni di punture alle braccia. All’EO, vi sono ittero e fegato palpabile e teso. Si tratta di un ittero misto, prodotto da flogosi epatica acuta, confermabile dosando le transaminasi. Di solito, nelle epatiti virali, ALT >AST, ma non sempre. Se la funzione epatica è mantenuta, vi sono valori normali di albuminemia e INR; se vi è insufficienza epatocellulare, vi sono ipoalbuminemia ed aumento di INR (con diatesi emorragica da mancata sintesi dei fattori della coagulazione). In caso di epatite acute, bisogna fare DD eziologica tra: • Le principali epatiti acute virali sono epatite A (trasmissione oro-fecale, endemica in Africa centrale) ed epatite B (trasmissione parenterale, tramite sangue e via sessuale). Va considerata l’epatite E (analoga clinicamente all’epatite A) che riguarda quasi solo il Sud-Est asiatico, ma non sono rari i casi a Monfalcone, dove c’è una delle principali comunità cingalesi d’Italia. Si ricercano: o IgM anti-HAV. o IgM anti-HEV (se sospetto anamnestico). o HBsAg e IgM anti-HBc: in caso di epatite B, vi è sempre positività all’antigene di superficie, anche nelle forme croniche, per cui si ricercano anche IgM anti-core virale (se vi è epatite cronica diventano IgG). In fase acuta, si può dosare il genoma virale nel siero (se presente, è indice di infettività). Nelle fasi finali dell’epatite B vi è sieroconversione, con sviluppo di Ab anti-HBsAg. • Bisogna escludere l’epatite C, anche se di solito si presenta in forma cronica; quindi si ricercano Ab anti-HCV e, se positivi, si esegue una PCR per ricercare HCV-RNA. • Bisogna considerare le epatiti acute da farmaci e alcoliche, ricercandole in anamnesi. • Va valutata la mononucleosi, anche se l’epatite acuta è in genere subclinica. Si ricercano IgM e IgG anti-EBV. Se il paziente ha IgM anti-EBV, la sua epatite è probabilmente prodotta dalla mononucleosi (quasi tutti presentano IgG anti-EBV). • In pazienti immunodepressi va escluso il CMV, tramite ricerca di Ab anti-CMV. Se questi test non chiariscono l’eziologia dell’epatite, bisogna considerare cause più rare: • Epatopatie autoimmuni: se interessano il parenchima epatico, si parla di epatiti autoimmuni; se sono dirette contro le vie biliari si possono sviluppare colangite sclerosante primitiva o colangite biliare primitiva, con presenza di Ab anti-mitocondrio. Le epatiti autoimmuni hanno assetto anticorpale aspecifico: si valuta un pannello anticorpale generale, che comprende Ab anti-nucleo (ANA) e Ab anti-muscolo liscio (ASMA), abbastanza indicativi se accompagnati dal quadro clinico di epatite. • Epatopatie metaboliche ereditarie: ad esempio, morbo di Wilson, da accumulo di rame, ed emocromatosi ereditaria, che produce solo quadri cronici. Bisogna ricercare la ceruloplasmina, che sarà ridotta (patognomonici valori sierici <140 mg/l), anche se può essere alterata da quadri protido- disperdenti come sindrome nefrosica e MICI. Quasi tutte le epatopatie causano un moderato aumento delle transaminasi. In base ai valori di AST e ALT si possono sospettare, ma non determinare con certezza, alcune cause di epatopatia piuttosto che altre. La cirrosi può produrre un lieve aumento, ma anche una diminuzione, per atrofia epatica. Nelle forme croniche i valori sono 5-10 volte la soglia. Le situazioni con maggiore aumento sono le epatite acute virali e le epatiti in corso di ischemia (es. shock settico). L’inversione del rapporto AST:ALT (con AST:ALT > 2:1) è l’unica condizione veramente informativa e permette di sospettare un danno epatico correlato all’alcol. In caso di epatite A, si eseguono osservazione e terapia di supporto (non esiste una terapia specifica); inoltre, è indicato l’isolamento per alta contagiosità oro-fecale. Quando l’epatite B è molto grave, si possono tentare trattamenti con farmaci antivirali (tenofovir o entecavir). La terapia antivirale in tutte le fasi di epatite C, anche cirrosi avanzata, è efficace. Nelle forme B è parzialmente efficace, per questo si limita ai quadri più gravi, mentre è importante la prevenzione tramite vaccinazione. Epatopatia da farmaci Non si parla di epatite ma di “epatopatia” perché ci può essere impronta citolitica ma più spesso colestatica, con aumento prevalentemente di ALP. Sono frequenti, circa il 10% del totale, e di solito si manifestano con aumento inspiegato delle transaminasi durante una terapia antibiotica. Una forma tipica è l’insufficienza epatica acuta da paracetamolo, il cui danno è dose-dipendente, quindi sulla base della dose assunta è prevedibile il rischio di epatopatia acuta. In un adulto sano i livelli a rischio sono 150 mg/kg o 12 g; in condizioni particolari, come malnutrizione, sarcopenia o età avanzata, ne basta la metà. Le tipiche compresse di paracetamolo usate come antipiretico sono da 500 mg, mentre quelle usate come antidolorifico sono da 1000 mg. Il paracetamolo è la base di ogni terapia antidolorifica, grazie alla sua maneggevolezza e alla scarsa tossicità ai dosaggi indicati. La terapia antidolorifica tipica con paracetamolo è 1 g x3/die, a cui si possono aggiungere FANS ed oppiacei. Se questa dose è superata potrebbe dare tossicità acuta, con grave citolisi ed epatite acuta fulminante. Un tossico esogeno che causa quadro clinico simile è l’intossicazione da funghi (Amanita phalloides). La tossicità da paracetamolo è uno dei pochi casi in cui è disponibile un antidoto specifico. Il meccanismo di danno epatico è legato ad un metabolita, ossia il glutatione, che è il principale antiossidante intracellulare ed contenuto in elevata quantità in tutte le cellule, soprattutto in quelle epatiche. Il paracetamolo causa la sua deplezione e quando questa è grave si instaura la tossicità epatica. Per questo, l’antidoto è un amminoacido precursore del glutatione, con capacità di risintetizzarlo, ossia la N-acetil-cisteina. Si usa anche come mucolitico ma, in dosi endovenose massive, funge da antidoto nell’epatotossicità da paracetamolo. Di solito, il danno epatico da farmaci è imprevedibile ed è legato ad un meccanismo idiosincrasico, dipendente dalla predisposizione individuale (motivi genetici, enzimi che catabolizzano un certo farmaco, meccanismi autoimmuni). Uno dei farmaci che spesso causa tossicità epatica è l’amoxicillina, ma anche altri antibiotici. I farmaci epatotossici sono 100-200 ed alcuni causano danno epatitico, altri soprattutto colestatico e misto. La diagnosi si basa su anamnesi e criterio ex adiuvantibus (sospendendo il farmaco si osserva se la situazione si ristabilizza); non ci sono test specifici. Nella maggior parte dei casi il danno epatico è acuto e si risolve sospendendo il farmaco. Raramente alcuni farmaci possono causare epatopatia cronica ed eventuale evoluzione in cirrosi. Il farmaco che più spesso causa questo quadro è l’amiodarone, più raramente metotrexato ed a-metil-DOPA (farmaco antipertensivo non più usato). L’amiodarone si usa molto in cardiologia, in particolare nella cardioversione elettrica, ovvero per riportare a ritmo sinusale una FA e nel controllo cronico della risposta ventricolare nella FA e in altre aritmie. La terapia cronica con amiodarone può causare alcuni effetti collaterali, come epatopatia cronica e, come effetto avverso più frequente, ipertiroidismo. Insufficienza epatica acuta o Colangio-RM o ERCP. o Valutazione anamnestica (storia di droghe e farmaci). o Valutazione autoanticorpi anti-mitocondrio (per la CBP) e p-ANCA. NAFLD (non-alcoholic Fatty Liver Disease) La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) consiste nell’infiltrazione lipidica degli epatociti che può evolvere in flogosi, ossia steatoepatite non alcolica (NASH), fase preliminare alla fibrosi (monitorata con elastografia). La prevalenza della NAFLD è elevata, colpisce il 20-40% della popolazione generale e rappresenta la causa più frequente di transaminasi mosse in pazienti asintomatici. L’alta prevalenza è spiegata dalla correlazione con la sindrome metabolica, che colpisce una grande parte della popolazione generale in età media e avanzata. Infatti, i fattori di rischio per questa patologia sono inclusi nella definizione clinica di sindrome metabolica: • Iperglicemia. • Obesità centrale. • Livelli di HDL bassi. • Ipertensione arteriosa. • Livelli elevati di trigliceridi. Nella NAFLD l’infiltrazione lipidica dell’epatocita è visibile tramite biopsia, per cui si osservano gocciole lipidiche nella cellula, associate a scarse note flogistiche. L’evoluzione corrisponde alla steatoepatite, con infiltrazione linfo-monocitaria del fegato che provoca flogosi della membrana cellulare, necrosi epatocitaria e aumento delle transaminasi (manifestazione di flogosi epatocitaria). Successivamente, flogosi ed infiltrazione flogistica determinano la produzione di collagene e quindi fibrosi, che può evolvere verso la cirrosi. Per la diagnosi si considerano: • Anamnesi positive per BMI alto, iperlipidemia, dieta ricca di grassi, in assenza di abuso alcolico. • Test sierologici negativi per epatiti virali. • Evidenze ecografiche di steatosi: fegato iperecogeno. • Miglioramento dopo terapia metabolica. La NAFLD è frequente, ma solo nel 10% dei casi evolve in NASH, di cui solo il 35% evolve in fibrosi, di cui il 15% in cirrosi, fino ad arrivare ad insufficienza epatica terminale ed HCC. Quindi, si tratta di una condizione benigna, che regredisce con intervento comportamentale, ma può evolvere in cirrosi epatica, irreversibile. La biopsia permette di monitorare queste evoluzioni, ma è una manovra invasiva con complicanze concrete, quindi non è da fare ripetutamente, soprattutto in pazienti con potenziale diatesi emorragica. Per questo, l’evoluzione della NASH si monitora tramite fibroscan, un’ecografia che valuta la quantità di tessuto fibroso nel parenchima epatico (marker di evoluzione da steatoepatite a fibrosi/cirrosi visibile anche in ecografia). La NASH consiste in un eccessivo accumulo di lipidi negli epatociti che causa tossicità e danno infiammatorio agli epatociti stessi. Queste modificazioni possono stimolare le cellule stellate del fegato causando fibrosi. Quindi, in fase avanzata, la NASH può provocare cirrosi e ipertensione portale. Per la DD con epatite alcolica è necessario escludere il consumo eccessivo di alcol. La NASH è diventata la causa principale di trapianto di fegato (fino a qualche anno fa la causa principale di cirrosi e trapianto di fegato era un’epatite avanzata da HCV, ora curabile efficacemente). In caso di cirrosi da alcolismo non si esegue trapianto di fegato, a meno che non si tratti di una condizione stabile, in quanto l’alcolismo è una controindicazione al trapianto. Altra indicazione al trapianto è la colangite sclerosante primitiva che, a differenza della colangite biliare primitiva che ha terapia efficace, mantiene la malignità e la successiva evoluzione in cirrosi. Non c’è terapia specifica per la NASH: vi sono ipotesi che considerano meccanismi metabolici (flogosi, iperinsulinemia, stress ossidativo), per cui sono state provate terapie a base di antiossidanti, ma senza prove cliniche definitive. È stato testato un agonista del PPAR-γ, enzima che regola l’espressione genica di molti enzimi e fattori metabolici. Ha dato effetti positivi sulla steatosi, a prescindere dalla modificazione dello stile di vita. Quindi, si tratta di una possibile terapia del futuro. Alcol La quantità di alcol assunta si misura in unità alcoliche, dove 1 unità corrisponde a 12 g di alcol, quindi a un bicchiere di birra (5°) da 330 ml, di vino (12°) da 125 ml, di aperitivo (18°) da 80 ml e superalcolico (35°) da 40 ml. Il limite di sicurezza è ≤3 unità/die per l’uomo e ≤1,5 unità/die per la donna, quindi la donna è sensibile il doppio ai danni epatici da alcol. Se un uomo assume 6 U/die per 10-20 anni svilupperà una epatopatia alcolica, e lo stesso vale per la donna con un quantitativo pari alla metà di quello dell’uomo. Inoltre, vi sono fattori concomitanti che modificano l’effetto dell’alcol (solo il 15% degli alcolisti sviluppano un’epatopatia alcol-relata): • Sesso: le donne hanno aumentata suscettibilità allo sviluppo di epatopatia alcolica assumendo quantità di alcol >20 g/die (2 drink al giorno sono probabilmente sicuri). • Epatite C: l’infezione da HCV concomitante ad epatopatia alcolica si associa a maggior severità per età inferiori, istologia più avanzata e sopravvivenza diminuita. • Predisposizione genetica: associazione PNPLA3 e patologia alcol-relata. • Steatosi: un danno epatico non richiede malnutrizione, ma obesità e NAFLD sono fattori di rischio. Quindi, i pazienti dovrebbero ricevere un supporto nutrizionale adeguato. Manifestazioni cliniche del danno epatico Un soggetto che assume grandi quantità di alcol per molti anni sviluppa steatosi epatica alcolica, che può restare subclinica con transaminasi mosse. In 10-20% dei casi, evolve in steatoepatite alcolica, che può essere cronica (transaminasi cronicamente elevate e danno epatico progressivo) o acuta (transaminasi elevate, ittero e febbre), che può simulare un’epatite A o B e può essere dovuta ad assunzione elevata di alcol. La terza entità clinica è la cirrosi epatica: l’alcol è una delle cause principali di cirrosi epatica, insieme alla forma metabolica non alcolica di steatosi, virus ed emocromatosi. La cirrosi epatica può svilupparsi dalla steatosi epatica alcolica direttamente, ma più spesso si sviluppa dall’epatite alcolica. Infine, si può sviluppare un epatocarcinoma, a partire dalla cirrosi epatica o, direttamente, dalla steatoepatite alcolica. Sia steatosi epatica alcolica che steatoepatite alcolica sono reversibili; invece, la cirrosi epatica è irreversibile (unica eccezione è l’epatite C in cui, se curata con antivirali, vi può essere l’interruzione dell’evoluzione in cirrosi e la sua involuzione). L’astinenza dall’alcol è efficace nel rendere reversibile steatosi e steatoepatite. Il danno da alcol non si limita al fegato, ma ha effetti importanti su: • SNC e SNP: esiste una polineuropatia periferica simmetrica da alcol, con interessamento dei neuroni periferici soprattutto sensitivi ma anche motori, che si manifesta con parestesie, bruciori, dolori e, a volte, deficit motori degli arti inferiori. Le cause più frequenti di queste polineuropatie sono diabete e deficit di vitamina B12, per quanto riguarda quelle sensitive. Per quanto riguarda il SNC, si può avere un’encefalopatia acuta (encefalopatia di Wernicke) con disorientamento, atassia, diplopia, oppure un’encefalopatia cronica, caratterizzata da confabulazioni, amnesia e apatia (alcolista cronico). Si tratta di patologie relativamente frequenti. La causa principale delle alterazioni del SNC nell’alcolista cronico è la disvitaminosi B1: quando questa vitamina è carente, è frequente la precipitazione di queste sindromi neurologiche acute. quindi il trattamento consiste nella somministrazione IM/EV di tiamina (vitamina B1). • Sistema gastroenterico: tipica è la rottura dell’esofago in caso di vomito nel paziente alcolista (vomito a glottide chiusa, da sospettare se il paziente è in shock e c’è enfisema sottocutaneo, che caratterizza la sindrome di Boerhaave) e pancreatite acuta. Vi sono anche erosioni gastriche, ulcere peptiche e cancro dell’esofago. • Sangue e midollo osseo: spesso, in caso di alcolismo cronico, vi è anemia, a causa di una depressione aspecifica del midollo emopoietico. Un’altra caratteristica è l’aumento del MCV, per vari motivi, tra cui il deficit di folati; quindi, si può sospettare un abuso alcolico cronico per 2 elementi laboratoristici: aumento del MCV ed inversione del rapporto delle transaminasi ALT/AST, con prevalenza di AST. • Sistema cardiovascolare: i danni più tipici dell’alcolismo (anche occasionale acuto) sono aritmie soprattutto fibrillazione atriale. Le crisi di FA del sabato sera sono tipiche dell’intossicazione acuta da alcol. L’alcolismo cronico è causa di ipertensione arteriosa secondaria e CMP dilatativa cronica alcolica. È importante riconoscere la sindrome da astinenza, che inizia 10-72 h dopo l’ultima assunzione di alcol ed è caratterizzata da delirium tremens, con tremori, confusione, allucinazioni visive o tattili impressionanti (visione di animali, insetti che strisciano sul corpo). Inoltre, c’è aumento della FC e diminuzione della PA. Gli alcolisti assumono di solito poche calorie, spesso garantite solo dell’alcol, che è calorico, ma non fornisce glucosio. Quindi, è quasi invitabile che l’alcolista sia malnutrito, di conseguenza bisogna sempre sospettare un deficit di vitamina B1, cofattore essenziale per il metabolismo dei carboidrati. Se vi è deficit di B1 e si somministrano carboidrati, vi è rischio di sindrome da rialimentazione, con gravi conseguenze neurologiche, come la sindrome di Wernicke. Quindi, quando si vuole somministrare una soluzione glucosata in un alcolista che arriva in PS, per iniziare la rialimentazione, va somministrata prima vitamina B1. Un altro problema della sindrome da rialimentazione è la brusca stimolazione alla secrezione insulinica (inibita dal digiuno), che determina captazione intracellulare di K+ e fosfati, con brusca ipokaliemia ed ipofosfatemia, che possono portare alla morte per aritmie fatali. Un altro effetto della secrezione insulinica nella sindrome da rialimentazione, è la comparsa di edemi, legata all’effetto insulinico di ritenzione di sodio. L’alcolismo è la causa più frequente di sindrome da rialimentazione, ma vi sono anche altri casi a rischio, come pazienti neoplastici ed anoressici nervosi; in generale, questo rischio va considerato in quei soggetti che hanno digiunato nell’ultima settimana. In questi casi la tiamina può essere un farmaco salvavita. Inoltre, è importante la correzione degli elettroliti (potassio, fosforo e magnesio). Solo successivamente si può iniziare la rialimentazione con quantità di nutrienti basse (circa 5-10 kcal/kilo/die), aumentandole progressivamente. Se l’alcolista digiuna ed è malnutrito, vi saranno alterazioni metaboliche del ciclo di Krebs con sintesi di corpi chetonici e chetonuria. Questa condizione può essere distinta dal DMT1 perché, a differenza di quest’ultimo, non è presente glicosuria. Infatti, la chetonuria è data dal digiuno e dall’inibizione insulinica causata dall’alcol. Epatiti croniche Le epatiti croniche più frequenti sono epatite B ed epatite C. Esiste anche l'epatite D, che si associa sempre all'epatite B: se coesistono si ha un’epatite B con decorso più grave. Oltre alle epatiti virali, vi sono forme più rare di epatiti croniche: • Epatite da farmaci: raramente è cronica. • Malattia di Wilson: malattia rara da accumulo di rame, che può dare epatite cronica. • Epatiti autoimmuni: per confermare la diagnosi si verifica il pannello auto-anticorpale, piuttosto aspecifico; in particolare, si cercano ANA ed ASMA. Epatite C È un’infezione guaribile al 99% con la terapia antivirale. Si presenta quasi esclusivamente come epatite cronica, infatti cronicizza nell’85% dei casi. Inoltre, comporta lo sviluppo di cirrosi in 25% dei casi, se non trattata, e di HCC in 4% casi. Qualsiasi causa di cirrosi epatica può evolvere in HCC, che è una complicanza della cirrosi. La diagnostica dell'epatite C ha 3 pilastri: • Epatocita: vi è un’epatite autoimmune. • Vie biliari: in base al calibro vi sono colangite biliare primitiva e colangite sclerosante primitiva. Si somministra una terapia immunosoppressiva basata su glucocorticoidi e, eventualmente, altri farmaci come azatioprina. Inoltre, può essere indicato il trapianto. Epatiti da farmaci (DILI) Ci sono molti farmaci associati ad epatiti acute e il danno può essere ad impronta epatocellulare (rialzo delle transaminasi), colestatica (rialzo della ALP), soprattutto, o mista. L’unico farmaco che in modo significativo può portare ad epatite cronica e cirrosi è l’amiodarone. Addome globoso Si tratta di un aumento di volume addominale; bisogna fare DD tra diverse situazioni, distinguibili tramite EO: • Gravidanza. • Meteorismo addominale: vi è un addome iper-timpanico, senza ottusità mobile, può essere dolente e/o dolorabile a seconda della causa del meteorismo, che di solito è la subocclusione. All’auscultazione bisogna valutare la peristalsi, che sarà accentuata in fase iniziale, nel tentativo di superare l’ostacolo, mentre in fase avanzata vi sarà torbida o assente. Poi, per l’accumulo di liquido nell’intestino, acquista un timbro metallico. In seguito, va eseguito un’RX diretta addome che evidenzia i livelli idro-aerei. • Ascite: la manovra più sensibile e specifica per fare diagnosi è l’ottusità mobile: alla percussione dell’addome a paziente supino vi è un’ottusità ai fianchi; facendo spostare il paziente, se l’ottusità è mobile allora si tratta di ascite. Le altre manovre, come la manovra del fiotto o del ghiacciolo, sono meno sensibili e vi è positività solo in situazioni avanzate. La valutazione strumentale con la massima sensibilità e specificità è l’ecografia addominale. Nella cirrosi epatica, l’ascite si associa ad altri segni, come epatomegalia, ittero, spider nevi, eritema palmare e edemi improntabili alle caviglie. Emocromatosi Malattia genetica in cui vi è una mutazione che determina eccessivo e incontrollato riassorbimento intestinale di ferro, con accumulo in diversi organi, soprattutto nel sistema reticolo-endoteliale, quindi milza e fegato. Va considerata nella diagnosi di epatopatia di ndd (natura da determinare); spesso vi associazione di cirrosi epatica e diabete. In passato, si parlava di diabete bronzino, in quanto vi era un diabete mellito associato ad iperpigmentazione e deformazioni artrosiche alle articolazioni metatarso-falangee ed interfalangee prossimali. Clinica Il ferro si accumula in diversi tessuti portando ad una serie di effetti locali: • Fegato: cirrosi. • Cuore: cardiopatie. • Corticale surrenalica. • Ipofisi: ipogonadismo. • Cute: pigmentazione tipica. • Pancreas: diabete mellito bronzino. • Articolazioni: artrosi, artriti, artralgie. Il diabete nell’emocromatosi è simile ad un DMT1 perché, pur non essendoci autoimmunità, l’accumulo di ferro nel pancreas porta, in un lasso di tempo più lungo (qualche decennio), alla distruzione delle cellule b e alla completa deplezione della riserva insulinica. Metabolismo del ferro Vi sono vari parametri del metabolismo del ferro: • Sideremia: valore del ferro libero in circolo, in particolare ferro legato alla transferrina (il ferro non circola libero ma una parte è legata alla transferrina ed una parte è contenuta nell’Hb). È un valore che da solo dà poche indicazioni. • Transferrina: proteina che trasporta il ferro, quindi è indice della capacità di trasporto del plasma. È aumentata in caso di sideropenia, mentre è ridotta in caso di sovraccarico di ferro. • Ferritina (20-200 ng/ml): proteina circolante, marker dei depositi di ferro, soprattutto nel sistema reticolo-endoteliale. È molto informativa: è molto bassa in caso di sideropenia e molto alta in caso di sovraccarico di ferro. Tramite sideremia e transferrina si può calcolare la saturazione della transferrina che può essere: • Molto bassa: indice di sideropenia. Vi è anemia sideropenica, quasi sempre causata da stillicidio ematico e micro-sanguinamenti gastrointestinali, soprattutto da neoplasia, in particolare carcinoma del colon-retto, ma anche ulcera peptica o alterazioni dell’assorbimento di ferro, come nella celiachia. • Molto alta: indice di sovraccarico di ferro, come nell’emocromatosi o nell’emolisi cronica, quindi in caso di aumentato turnover di eritrociti, tipico della talassemia. Vi è il tratto talassemico che non si associa ad anemia grave ma a continuo turn over eritrocitario, con possibile accumulo di ferro. Il sistema si complica in caso di flogosi acuta o cronica; infatti, vi sono varie anomalie del metabolismo del ferro dovute soprattutto alla flogosi cronica, meccanismo frequente. Il marker di flogosi è la PCR (proteina C reattiva): se è aumentata è segno di flogosi di qualsiasi origine. Le proteine della fase acuta sono proteine che variano durante la flogosi: possono essere proteine positive, se aumentano, o proteine negative, se diminuiscono. La tipica proteina negativa della fase acuta è l’albumina, così come la transferrina; invece, la ferritina è una proteina positiva della fase acuta. Una situazione abbastanza frequente è l’anemia sideropenica in corso di malattia cronica flogistica: ad esempio, nello scompenso cardiaco vi è attivazione cronica della flogosi, con tendenza alla sideropenia. In condizioni di sideropenia e flogosi cronica, la ferritina non è attendibile quindi il cut-off non è di 15 ng/ml, ma 100 ng/ml (può esserci sideropenia con livelli normali di ferritina). Secondo alcune linee guida, la mortalità per scompenso cardiaco si riduce se si somministra ferro con supplementazione endovenosa, se vi sono livelli di ferritina <100 ng/ml. Quindi, la ferritina è un indice attendibile di sideropenia se non c’è flogosi; se c’è flogosi, non è attendibile ma il cut-off per definire la sideropenia si alza. Se è molto elevata è segno di sovraccarico di ferro come nell’emocromatosi, ma per valori intermedi si deve valutare in base alla presenza di flogosi cronica. Epcidina È una proteina della fase acuta prodotta dal fegato, la cui sintesi è stimolata dalla flogosi, ma è soprattutto una proteina che reagisce all’eccesso o alla deplezione di ferro. Esiste un gene, detto HFE, codificante per una proteina sensore dello stato di eccesso o deplezione di ferro, che regola la produzione dell’epcidina. L’epcidina inibisce l’assorbimento intestinale di ferro e stimola l’intrappolamento di ferro in macrofagi e cellule del sistema reticolo-endoteliale. Mutazioni di questo gene sono la causa dell’emocromatosi: • Eccesso di ferro: il gene HFE stimola la produzione di epcidina. • Carenza di ferro o emocromatosi: inibizione della produzione di epcidina. Nell’emocromatosi la diminuzione della sintesi dell’epcidina porta ad un continuo assorbimento intestinale di ferro, ad un suo mancato uso da parte del sistema reticolo-endoteliale, con accumulo patologico nei tessuti. In 60-90% dei casi la mutazione del gene HFE avviene a livello dell’allele C282Y e in Europa è abbastanza frequenza (1:10). Diagnosi L’esame ematochimico per confermare la diagnosi è la valutazione della ferritina: valori >500 ng/ml sono segno di emocromatosi; valori elevati ma non così tanto, si associano a flogosi cronica. Inoltre, si possono dosare sideremia e transferrina, e calcolare la saturazione della transferrina (molto alta). Per la conferma, esiste un test genetico che identifica la mutazione del gene C282Y. Trattamento Ci sono studi in fase avanzata basati sulla possibilità di supplementare l’epcidina; oggi, la terapia consiste in salassi: 1 unità di sangue ogni 3 settimane fino al raggiungimento di valori di ferritina <50 ng/l. Nelle donne, il salasso fisiologico legato al ciclo mestruale potrebbe costituire un fattore protettivo che ritarda lo sviluppo di una cirrosi da emocromatosi. È necessario qualche decennio perché la malattia si sviluppi, quindi non si vedono emocromatosi conclamate in pazienti giovani. Malattia di Wilson Malattia rara (3:100.000), caratterizzata da accumulo di rame, secondario ad anomalia genetica che porta a ridotta eliminazione di rame. La proteina chiave nel metabolismo del rame è la ceruloplasmina, trasportatore plasmatico del rame, che lega il rame a livello epatico e ne favorisce l’eliminazione per via biliare. La mancanza di ceruloplasmina porta ad una ridotta eliminazione di rame, favorendone l’accumulo in: • Libero nel plasma: emolisi. • Cornea: comparsa dell’anello di Kayser-Fleischer. • Fegato: epatomegalia, ittero, epatite acuta, insufficienza epatica fulminante e cirrosi. • SNC: in particolare nei gangli della base, portando ad una sindrome caratterizzata da atassia e psicosi, con cambiamenti del comportamento. Dal punto di vista ematochimico, la malattia di Wilson è caratterizzata da: • Bassa ceruloplasmina (elemento patognomonico). • Aumento del rame libero plasmatico. • Aumento dell’escrezione urinaria di rame libero. La terapia si basa sull’uso di un fattore chelante, detto penicillamina. Deficit di a1-antitripsina Causa più frequente di cirrosi nel paziente pediatrico; nell’adulto causa più spesso enfisema polmonare (DD con bronchite cronica ostruttiva). Tale epatopatia genetica si configura con un eccesso di attività proteolitica a causa di un’aumentata presenza di proteasi ed elastasi. La diagnosi si fa tramite indagine genetica. Cirrosi epatica In generale, le trombosi venose sono frequenti agli arti inferiori o alle vene iliache in presenza di diatesi trombofiliche o immobilizzazione prolungata. Tuttavia, si possono formare a livello di zone anomale, come arti superiori (sindrome della succlavia) o seni cavernosi (DD con le cefalee acute). • Varici gastro-esofagee: possono essere trattate in acuto, per bloccare il sanguinamento, o in cronico, per prevenire il sanguinamento. Si possono eseguire bending delle varici, che quindi sono legate, o sclerosi, iniettando alcune sostanze. Questi trattamenti possono essere eseguiti in urgenza, durante il sanguinamento, o in elezione. Il trattamento con b-bloccante può essere utile a detendere le varici; tuttavia, è controindicato nella cirrosi avanzata con ascite. • Carcinoma epatocellulare: a differenza delle altre complicanze, deriva dal rimaneggiamento dei noduli. L’insorgenza di HCC non si monitora più con l’a-fetoproteina, poco specifica e sensibile, ma con ecografia ed, eventualmente, TC. La diagnostica precoce è fondamentale in quanto l’HCC può essere curato se le focalità sono poco numerose e piccole. • Sindrome epato-polmonare (rara): vi è ipossia causata da vasodilatazione polmonare microvascolare in presenza di ipertensione portale. La vasodilatazione dell’albero arterioso polmonare può causare un’alterata redistribuzione del circolo polmonare, con mismatch tra ventilazione e perfusione, con insufficienza respiratoria. Vi sono dispnea ed ipossiemia, che peggiorano in ortostatismo. Per la diagnosi si eseguono pulsossimetria ed ecocardiografia; se i sintomi sono gravi (es. dispnea a riposo), va eseguita un'emogas analisi mentre il paziente respira aria ambiente e O2 al 100% per determinare la frazione di shunt. La terapia prevede ossigenoterapia. • Cardiomiopatia cirrotica (rara): è dovuta al circolo iperdinamico; vi è eccessiva vasodilatazione periferica, simile ad una cardiomiopatia da shunt artero-venosi. I principali sintomi sono aumento del flusso cardiaco basale, ridotti contrazione sistolica rilascio diastolico in risposta a stress ed anomalie della conduzione elettrica (allungamento QT). Nella maggior parte dei casi, la disfunzione diastolica precede quella sistolica, che tende a manifestarsi solo in condizioni di stress. • Varici emorroidarie. • Encefalopatia epatica. • Sindrome epato-renale. • Ipertensione porto-polmonare. • Idrotorace epatico: formazione di versamento pleurico trasudatizio concomitante all’ascite. Diagnosi di cirrosi epatica La diagnosi di IRC, BPCO e DM può essere posta sulla base di parametri numerici ben definiti, mentre per SC e cirrosi epatica non c’è questa possibilità e la diagnosi è clinica. Nella cirrosi l’unica modalità che consente la diagnosi di certezza è la biopsia, eseguita raramente, quando non si giunge alla diagnosi con altre metodiche. La storia naturale è lunga, per cui all’inizio è asintomatica; quindi, è importante sospettarne l’insorgenza in soggetti con malattie che possono evolvere in cirrosi, come NASH, epatiti o storia di abuso di alcol. La diagnosi si fa considerando dati derivanti da clinica, laboratorio ed imaging; quest’ultimo presenta discreti valori di sensibilità e specificità. In particolare, l’ecografia ad alta risoluzione presenta sensibilità del 91% e specificità del 94% (VPP 93% e VPN 92%). Segni clinici della cirrosi epatica • Splenomegalia: alterazione tipica; se non rilevata all’EO, va indagata all’ecografia. • Epatomegalia: segno non specifico in quanto le patologie che evolvono in cirrosi presentano una fase di epatomegalia, ma nella cirrosi conclamata, data la sostituzione del parenchima con fibrosi, vi è riduzione del volume epatico. • Spider nevi (angiomi stellati): segni tipici legati al circolo iperdinamico. Secondo le linee guida in un cirrotico se ne dovrebbero identificare ≥5 sulla parte superiore del corpo (torace, spalle e dorso), in numero minore si possono riscontrare anche in gravidanza. • Eritema palmare: segno relato al circolo iperdinamico. • Segni ungueali biancastri, con aumento della vascolarizzazione (teleangectasie) nella parte terminale del letto ungueale. • Ippocratismo digitale: segno non specifico, infatti si riscontra anche in patologie che implicano insufficienza respiratoria (es. TBC, cancro polmonare). • Ginecomastia e perdita dei caratteri sessuali secondari: per riduzione del testosterone, con aumento degli estrogeni. Nell’uomo, vi sono atrofia testicolare e perdita dei peli ascellari. • Caput medusa: a causa della creazione di circoli collaterali. • Contrattura di Dupuytren: per aumento del tessuto connettivo nella fascia palmare della mano, tipica di patologie croniche come DM e cirrosi. Vi è anchilosi delle ultime 2 dita della mano. • Ittero: in quadri avanzati. • Flapping tremor: in casi avanzati. • Ascite: spesso associata ad anasarca, quindi anche con edemi declivi; se abbondante, può associarsi ad estroflessione della cicatrice ombelicale. L'esame della cute è importante per ricercare spider nevi ed eritema palmare, che sono elementi obiettivi sensibili per la cirrosi. Sintomi della cirrosi epatica La cirrosi è una patologia che porta a malnutrizione. Si tratta soprattutto di sintomi aspecifici: • Astenia. • Anoressia. • Perdita di peso. • Crampi muscolari. • Prurito, dovuto alla colestasi. • Distensione addominale, da ascite. • Sintomi di ipogonadismo: o Donna: oligo-/amenorrea e metrorragia. o Uomo: impotenza, infertilità e calo della libido. • Sanguinamenti gastrointestinali: o Melena, da gastropatia erosiva per stasi ematica. o Ematemesi, da rottura delle varici (circostanza drammatica). o Ematochezia o rettoragia, quando interessa il circolo emorroidario. • Sintomi dell’encefalopatia epatica: confusione e disturbi del sonno. Esami di laboratorio • Aumento delle transaminasi: non è un dato molto utile in quanto le patologie esitanti in cirrosi hanno una fase di aumento delle transaminasi, ma fibrosi del parenchima porta ad una loro riduzione. • Aumento ALP e g-GT: per la componente colestatica. • Iperbilirubinemia. • Ipoalbuminemia, aumento INR e prolungato tempo di protrombina: per ridotta funzionalità epatica. • Piastrinopenia: importante anche per valutare la gravità della patologia in quanto contribuisce alla diatesi emorragica. • Anemia: ha base multifattoriale; può essere normocitica, microcitica, se vi sono micro-sanguinamenti per gastropatia erosiva da stasi (non varici esofagee in quando danno sanguinamento importante), o macrocitica, se prevale il deficit di folati, più spesso in soggetti con storia di abuso di alcol. • Leucopenia/neutropenia: non molto rilevanti. • Iponatriemia: a causa dell’aumento della vasopressina, vi è un aumento dello stimolo della sete con maggior introito di acqua ed instaurazione di iponatriemia da diluizione. • Aumento della creatinina: segno prognostico negativo, infatti testimonia l’insorgenza della sindrome epato-renale Nel tracciato elettroforetico delle proteine plasmatiche è importante controllare la regione g; infatti, a questo livello si possono riscontrare 2 tipiche anomalie: gammopatia monoclonale, tipica di mieloma e MGUS, in cui vi è uno spike a banda stretta, e gammopatia policlonale, tipica delle malattie da attivazione cronica del sistema immunitario, come infezioni croniche o cirrosi. Imaging L’esame più utile nella diagnosi è l’ecografia, usata anche per stadiazione e follow-up, per escludere un HCC, e come guida nell’esecuzione della paracentesi. Alcuni segni suggestivi di cirrosi sono: • Ascite. • Superficie nodulare. • Ecogenicità aumentata. • Riduzione del volume epatico. • Atrofia del lobo destro. • Ipertrofia del lobo caudato e sinistro. • Trombosi della vena porta, splenica o mesenterica superiori. • Circoli porto-sistemici. Un esame che può essere d’ausilio è l’elastografia, che evidenzia rigidità epatica notevole. La biopsia epatica si svolge in caso di dubbi su diagnosi o eziologia della cirrosi e per la stadiazione; infatti, è giustificata solo se può essere utile nell’impostazione della terapia. Date le complicanze emorragiche in cui si può incorrere è opportuno valutare prima della procedura il numero di piastrine e l’INR. Vi sono vari score per facilitare la diagnosi di cirrosi; uno dei più usati è il Bonacini cirrhosis discriminant score, basato su numero di piastrine, rapporto ALT/AST ed INR. Un punteggio >7 ha specificità del 96%, lievemente superiore a quella dell’ecografia. Candidati al trapianto di fegato • Insufficienza epatica fulminante: rara sindrome derivante dalla perdita di funzione epatica, associata ad encefalopatia e coma, in pazienti malattia epatica da <8 settimane. • Cirrosi scompensata: una cirrosi che avanza lentamente, soprattutto se associata a sindrome epato- renale, ha prognosi infausta. • Epatocarcinoma: candidabile se c’è un tumore <5 cm o <3 tumori <3 cm. • Cirrosi sclerosante primitiva. Ci sono controindicazioni assolute su cui discutere con l’epatologo: • Patologia che non guarisce con trapianto. • Cancro extra-epatico. • Alcolismo. Score prognostici Questi 3 meccanismi producono ascite ed edemi periferici, che hanno patogenesi e trattamento uguali. Per fare diagnosi si possono usare 2 metodiche: • Semeiotica: il metodo più attendibile e sensibile dal punto di vista semeiologico consiste nel rilevare l’ottusità mobile. Vi è ottusità nelle porzioni laterali dell’addome, poiché il liquido segue le forze di gravità, ma se si chiede al paziente di mettersi sul fianco, l’ottusità sarà mobile. Questo riscontro permette di escludere un meteorismo. Gli altri metodi, come la manovra del fiotto, sono meno sensibili, in quanto è necessario avere maggior ascite. • Ecografia: è la metodica più sensibile in quanto può rilevare quantità di liquido <0,5 l, mentre per la semeiotica sono necessari almeno 0,5 l. Una volta individuata un’ascite, bisogna capirne la natura, in quanto non è detto che sia esclusivamente dovuta a cirrosi epatica o ipertensione portale. Ad esempio, potrebbe essere dovuta ad una carcinosi peritoneale. • Ascite da ipertensione portale: tra le cause di ipertensione portale c’è la cirrosi epatica, ma anche trombosi portale da cause non cirrotiche e cirrosi cardiaca (un cuore destro cronico porta ad aumento della pressione portale ed ascite). • Ascite da carcinosi peritoneale: l’ascite, in caso di neoplasia che interessa il peritoneo, si forma per un meccanismo di flogosi, che aumenta la permeabilità capillare, con essudazione di liquido nella cavità peritoneale ed altri fenomeni, come la neo-vascolarizzazione. Per fare DD bisogna eseguire una paracentesi esplorativa, fare un’analisi del liquido e fare valutazioni citologiche. La citologia serve per valutare eventuali cellule neoplastiche o la presenza di neutrofili. Se la conta dei neutrofili è >250/mm3 c’è una peritonite che, in caso di cirrosi, è una peritonite batterica spontanea (es. TBC): in questo caso si deve fare un esame colturale per vedere di che batterio si tratta. Nella carcinosi peritoneale si parla di essudato (liquido ricco di cellule) mentre nella cirrosi e nell’ipertensione portale si parla di trasudato. La differenza tra essudato e trasudato non si basa più sulla quantità di proteine, ma sul gradiente sierico-ascite dell’albumina (si misura la quantità di albumina in siero ed ascite): • Gradiente >1,1 g/dl: bassa quantità di albumina nell’ascite, quindi si tratta di un trasudato. • Gradiente <1,1g/dl: simile quantità di albumina in siero ed ascite, quindi si tratta di un essudato. Paracentesi Si tratta del prelievo di liquido ascitico: • Paracentesi esplorativa: si preleva una piccola quantità di liquido per fare delle analisi; si esegue in caso di diagnosi recente di ascite, ad esempio per fare DD tra carcinosi peritoneale e cirrosi, o se vi sono variazioni, ad esempio se il paziente sviluppa febbre e si sospetta una peritonite spontanea batterica. Inoltre, permette di fare DD tra essudato e trasudato, in base al gradiente di albumina siero- ascitico, citologia, coltura ed esame chimico-fisico. • Paracentesi evacuativa: è il 3° step nel trattamento dell’ascite dopo terapia comportamentale e farmacologica. Il 4° step è la formazione meccanica di shunt (TIPS). Si esegue spesso nelle cirrosi avanzate, in cui non c’è altro modo per controllare l’ascite; si evacuano almeno 5 l, ma si può arrivare a 10-12 l. È importante reintegrare l’albumina tolta con tale procedura (una delle poche indicazioni all’integrazione di albumina EV). Di solito, si esegue una paracentesi eco-guidata, a livello del quadrante addominale inferiore sinistro, in modo da evitare le arterie del muscolo retto addominale e la milza (soprattutto se c’è splenomegalia). Il punto di repere è la SIAS: da lì ci si sposta 3 cm medialmente e 3 cm superiormente. Ascite ed iponatriemia In caso di cirrosi o insufficienza cardiaca, vi è iponatriemia ipervolemica perché c’è espansione del volume. Vi è percezione di un deficit di riempimento arteriolare, che porta ad attivazione del RAAS e della secrezione non osmotica di vasopressina, che provoca sete e quindi si forma un’iponatriemia da diluizione (c’è più acqua che sodio). Si tratta di un segno negativo dal punto di vista dello stadio della cirrosi, perché indica che questi sistemi ormonali sono piuttosto avanzati. L’iponatriemia può essere classificata in: • Iponatriemia da diluizione. • Iponatriemia da deplezione, a volume ridotto. Il trattamento farmacologico dell’ascite si basa sull’uso combinato di spironolattone e furosemide, con rapporto di 100:40. Se c’è un eccesso di furosemide, si può avere un’iponatriemia da deplezione. Quindi, è necessario fare DD tra le forme di iponatriemia in caso di cirrosi: potrebbe essere un’iponatriemia da deplezione, dovuta ad eccesso di diuretico, o un’iponatriemia da diluizione, che è la più frequente. Trattamento ascite Per il trattamento dell’ascite si procede per step: • Stile di vita (dieta iposodica): il meccanismo di formazione dell’ascite è legato alla ritenzione di sodio da parte del RAAS, per cui bisogna ridurre l’introito di sodio. • b-bloccanti non selettivi: sono usati in caso di varici esofagee senza ascite, quindi in fase di cirrosi compensata (se c’è ascite diventa scompensata). Hanno lo scopo di ridurre l’ipertensione portale e detendere le varici esofagee: si tratta di b-bloccanti non selettivi (quelli selettivi agiscono sul cuore), come il propranololo (usato anche nell’ipertiroidismo). Quando si attiva il RAAS e si forma l’ascite, vanno sospesi, perché compromettono l’emodinamica renale. • Spironolattone e furosemide: quando si è formata ascite, si sospendono i b-bloccanti e si cerca di agire sul RAAS. Quindi, oltre alla restrizione di sodio, si applica una terapia farmacologica combinata con spironolattone, che inibisce la funzione dell’aldosterone sul riassorbimento di sodio, e furosemide, che promuove l’eliminazione del sodio. Lo spironolattone è un risparmiatore di potassio, ma in questo ambito si usa come anti-aldosteronico, quindi ha come effetto collaterale l’iperkaliemia. Nella cirrosi, il dosaggio tipico è 300-400 mg/die, molto più alto di quello usato nello scompenso cardiaco (25 mg/die). Questo è dovuto al fatto che il rischio di iperkaliemia è molto più alto nello scompenso. A livello glomerulare vi sono un’arteriola afferente ed una efferente su cui agiscono vari farmaci, regolando l’emodinamica glomerulare. I farmaci ARBs (Angiotensine Receptor Blockers), ossia FANS, b-bloccanti, ACEi, sartani, modificano l’emodinamica renale, in particolare ACEi e sartani vasodilatano l’arteriola efferente, riducendo il filtrato. Sono vantaggiosi in scompenso ed insufficienza renale. I FANS vasocostringono l’arteriola afferente, perché inibiscono la sintesi di prostaglandina, mettendo il paziente a rischio di IRA. La modificazione dell’emodinamica renale tramite ARBs è ad alto rischio nel cirrotico scompensato con ascite, quindi questi farmaci vanno sospesi, mantenendo spironolattone e furosemide. • Ascite refrattaria: si tratta di un’ascite che non è sensibile ai trattamenti farmacologici e di restrizione sodica. Se un paziente con cirrosi scompensata sviluppa iponatriemia va imposta una restrizione idrica, perché si è innescata l’attivazione non osmotica della vasopressina. In caso di ascite refrattaria, si usano manovre meccaniche, che consistono in paracentesi per grande volume (5-12 l) o interventi di radiologia interventistica, con applicazione di TIPS (transjugular intrahepatic portosystemic stent-shunting): si applica uno stent che mette in comunicazione i rami intraepatici della vena porta con i rami intraepatici delle sovraepatiche; in questo modo si detende il circolo. È un intervento eseguito in cirrosi avanzate, tramite cui si creano artificialmente degli shunt. L’effetto collaterale di questi interventi è una maggior predisposizione all'encefalopatia epatica, perché gli ioni ammonio vanno direttamente nel circolo sistemico. • Trapianto di fegato: in caso di insufficienza renale, nella sindrome epato-renale. Quindi, nel processo di cirrosi scompensata, l’ascite è uno stato intermedio; lo stadio finale, che di solito porta alla morte, è la sindrome epato-renale. In questo caso, c’è incompetenza dell’emodinamica renale, con sviluppo di IRA, che di solito ha prognosi infausta; l’unico modo per trattare questa situazione è tramite vasocostrittori (terlipressina) e cercare di mantenere un volume circolante accettabile tramite l’albumina. Sindrome metabolica Interessa il 40% degli anziani ed è definita clinicamente (definizione ATP3) dalla presenza di ³3 alterazioni metaboliche tra: • Glicemia ≥100 mg/dl (pre-diabete) o trattamento per l’iperglicemia. • Trigliceridi alti, ≥150 mg/dl, o trattamento per elevati livelli di trigliceridi. • Ipertensione: ≥130/85 mmHg o farmaci per il trattamento dell’ipertensione. • Obesità addominale: circonferenza addominale ≥102 cm (uomini) o ≥88 cm (donne). • HDL basse, <40 mg/dl (uomini) o <50 mg/dl (donne), o trattamento per bassi livelli di HDL. Fisiopatologia La sindrome metabolica comporta insulino-resistenza. Quindi, per avere una glicemia normale servono livelli di insulina elevati, quindi iperinsulinemia, dato che i tessuti, ossia muscoli e fegato, sono resistenti all’azione insulinica. L’insulina è un ormone con varie azioni: legandosi e attivando il recettore di membrana attiva 2 vie con fosforilizzazione di numerose proteine che rappresentano i mediatori intracellulari dell’azione insulinica: • Via metabolica (IRS pathway): o Il 1° effetto nel tessuto muscolare è promuovere il trasporto del glucosio, quindi di abbassare la glicemia, e il metabolismo intracellulare del glucosio. o Promuove la sintesi di glicogeno. o Blocca la lipolisi: per questo, soggetti con DMT2 in sovrappeso o obesi trattati con insulina difficilmente dimagriscono; anche soggetti con insulinoma, tumore benigno secernente insulina, tendono ad essere in sovrappeso. o Promuove la sintesi proteica: questo effetto lo si vedeva bene in era pre-insulinica, quando i giovani con DMT1 morivano per cachessia, per mancanza dell’effetto anabolico dell’insulina. • Via cellulare (SHC pathway): l’insulina promuove la proliferazione cellulare, con 2 effetti clinici: o Effetto aterogeno diretto: l’insulina promuove l’aterosclerosi tramite agendo sulle cellule endoteliali, cellule muscolari lisce della parete, ecc… o Rischio neoplastico: nel diabete vi è incidenza di neoplasie più elevata, in particolare c’è associazione tra diabete e carcinoma mammario. o Effetto sui trasportatori ionici transmembrana: soprattutto su scambio Na+/K+ e riassorbimento di urati e altri ioni a livello di tubulo renale ed altre cellule. § Il rapporto tra sindrome metabolica ed ipertensione non è relato all’effetto metabolico, ma all’effetto dell’iperinsulinemia sulla promozione del riassorbimento tubulare di Na+, con espansione del volume circolante ed ipertensione arteriosa. • Reflusso gastro-esofageo. • Osteoartriti: dovute al peso. • Steatosi epatica non alcolica, con evoluzione in cirrosi. • Cancro: questa relazione è mediata dall’iperinsulinemia; le neoplasie più spesso coinvolte sono le neoplasie ormono-dipendenti: o Cancro dell’ovaio. o Cancro dell’endometrio. o Cancro della mammella. La relazione tra obesità, iperinsulinemia e cancro è dovuta a 3 meccanismi concomitanti: o Attività pro-proliferante dell’iperinsulinemia. o Flogosi di basso grado: dovuta all’obesità e all’iperinsulinemia. o Eccesso di estrogeni: è il meccanismo tipico della donna obesa. Nella donna fertile la fonte principale di estrogeni è l’ovaio, mentre nella donna in menopausa è la corticale del surrene, che secerne soprattutto androgeni. Il tessuto adiposo è ricco di aromatasi, quindi nella donna obesa c’è eccesso di attività aromatasica e gli androgeni (DHEA) sono convertiti in estrogeno. L’iperattività estrogenica nella donna in menopausa può portare a cancro ormono-dipendente. Quindi, non va somministra terapia sostitutiva con estrogeni in una donna obesa. Terapia La chirurgia bariatrica interviene se il BMI è >40 o >35, in presenza di complicanze (es. diabete). • Interventi restrittivi: viene escluso lo stomaco tramite resezione (sleeve gastrectomy) o formazione di una tasca gastrica (gastric bending), con cui si riduce lo stomaco. • Interventi malassorbitivi: bypass che escludono parte dell’intestino dall’attività assorbitiva. Si hanno effetti ottimali a breve termine dovuti a riduzione di introduzione di energia ed adattamento ormonale legato al miglioramento del sistema dell’incretina. Diabete Per parlare di diabete è necessario osservare un’iperglicemia (non esiste diabete senza iperglicemia). Criteri per la diagnosi di diabete • Glucosio plasmatico a digiuno ≥126 mg/dl. • Emoglobina glicata ≥6,5%: rappresenta la glicemia media riferita ai 2-3 mesi precedenti, che corrispondono alla vita media di un GR. La glicazione dell’Hb è una reazione chimica irreversibile. L’Hb glicata si degrada solo quando l’eritrocita muore dopo essere stato fagocitato dai macrofagi. È il principale indice a cui ci si riferisce per valutare il controllo metabolico (la rilevazione della glicemia post-prandiale corrisponde ad una rilevazione riferita al momento e non al periodo). • Test di tolleranza orale del glucosio (OGTT) ≥200 mg/dl: si somministra per OS in bolo 75 g di glucosio sciolto in acqua e si misura la glicemia alla 2ª ora. Si esegue questo test quando ci si aspetta di avere un paziente con DM ma questo ha una glicemia normale. • Glicemia ≥200 mg/dl in un qualsiasi momento della giornata. Questi sono i diversi criteri a cui si può ricorrere per fare diagnosi di diabete. L’indicazione resta quella di evitare di fare un OGTT inutilmente poiché quando la glicemia a digiuno è alterata la diagnosi è fatta. Prediabete Si tratta di una fase che sta tra una totale normalità del metabolismo glucidico ed un’iperglicemia diabetica. Il prediabete può essere definito per: • Iperglicemia a digiuno 100-125 mg/dl: il criterio per definire un’insulinoresistenza è una glicemia a digiuno >100 mg/dl, quindi il paziente in condizione di prediabete avrà un’insulinoresistenza. • Iperglicemia post-prandiale di 140-199 mg/dl a 2 h dal carico orale di glucosio: la vecchia definizione si rifaceva esclusivamente alla ridotta tolleranza ai carboidrati, definita come iperglicemia alla 2ª ora post-carico orale di glucosio. • Glicata di 5,7-6,4%. Un soggetto prediabetico è ha rischio di sviluppare diabete. Non si imposta una terapia per l’iperglicemia ma si suggerisce un cambiamento dello stile di vita (dieta e attività fisica). Diabete mellito Prevalenza DMT2 Ha prevalenza del 10% nella popolazione mondiale, anche se la distribuzione varia secondo l’etnia. Negli USA è frequente nelle popolazioni ispaniche ed afro-americane, mentre le popolazioni provenienti dall’Europa hanno prevalenza lievemente inferiori. Gli europei sono relativamente protetti dallo sviluppo di DMT2, quindi la prevalenza è del 10-15%. In paesi ex-via di sviluppo, oggi sviluppati, il miglioramento e il cambiamento dello stile di vita (aumento ponderale e sedentarietà) incontra una predisposizione genetica. Il risultato è un’epidemia di DMT2 in alcuni Paesi emergenti, come India, Cina ed alcune zone di Africa ed America latina. Eziologia DMT2 • Componente familiare: non è una malattia genetica, ma familiare; quindi, vi è aggregazione di casi di diabete nelle famiglie dei diabetici; questo perché si eredita: o Tendenza all’insulinoresistenza. o b cellule fragili. • Componente ambientale: ha influenza sull’insulinoresistenza. L’aumento di peso accentua il rischio di sviluppare l’insulino-resistenza. È frequente che un obeso sia resistente all’insulina, anche se questo però non significa automaticamente che si sviluppi il diabete. Fattori di rischio DMT2 • Etnia. • Sovrappeso. • Sedentarietà. • Età avanzata. • Storia di patologia vascolare. • Diabete mellito in un parente di 1° grado. • Storia di diabete gestazionale: per cui vi sono cut-off e indicazioni terapeutiche diverse. • Ipertensione e dislipidemia: non sono veri fattori di rischio, ma condizioni associate al pre-diabete. • Sindrome dell’ovaio policistico: è tra le maggiori cause di amenorrea secondaria ed è correlata ad insulinoresistenza e DMT2. È una condizione in cui la donna in età fertile presenta insulino-resistenza, amenorrea ed iperandrogenismo. La terapia si bassa sulla metformina, infatti migliorando la sensibilità insulinica migliora l’assetto ormonale, con miglioramento del ciclo mestruale. Fisiopatologia DMT2 In presenza di iperglicemia, bisogna pensare al bilancio tra produzione epatica glucidica e consumo glucidico, soprattutto muscolare. L’insulinoresistenza ha effetti su questi 2 organi: vi è resistenza all’effetto insulinico su fegato e muscolo. In tali organi l’insulina ha effetti opposti: a livello epatico rallenta o inibisce la produzione di glucosio, tramite gluconeogenesi e glicogenolisi; a livello muscolare promuove captazione e metabolismo di glucosio nella cellula. Quindi l’iperglicemia ha cause duplici: eccesso di produzione associato a difetto di utilizzazione del glucosio dovute all’insulinoresistenza. Sono importanti questi concetti perché vi sono farmaci con target molteplici: ad esempio, i 2 farmaci più usati, metformina e sulfaniluree, hanno effetti opposti: la metformina inibisce la gluconeogenesi epatica, mentre le sulfaniluree promuovono la captazione muscolare di glucosio tramite stimolazione della sintesi insulinica. Tuttavia, per avere un DMT2, l’insulinoresistenza non è sufficiente a sviluppare il diabete, infatti è necessaria la copresenza di un deficit di produzione insulinica pancreatica. Si tratta di un deficit insulinico relativo perché nel DMT2 c’è eccessiva secrezione insulinica, almeno in fase iniziale, che però ha minor efficacia. L’iperinsulinemia può essere dannosa, quindi i farmaci ipoglicemizzanti stimolanti la secrezione insulinica, come le sulfaniluree andrebbero evitati. Lo stesso avviene quando la secrezione insulinica è tanto bassa che bisogna somministrare insulina; questo avviene generalmente nelle fasi avanzate della malattia e si parla di diabete insulino-usufruente. Vi sono altri meccanismi, come l’effetto incretinico. Vi sono ormoni gastrointestinali, in particolare GLP-1 (Glucagone like peptide-1), prodotto da cellule dell’ileo prossimale, e GIP, prodotto dalle cellule del duodeno. Questi ormoni sono secreti in presenza di nutrienti a livello intestinale. GLP-1 ha vari effetti: • Stimola la secrezione insulinica: lo stimolo avviene poco prima che i nutrienti siano assorbiti, promuovendone l’utilizzo e prevenendo un’iperglicemia post-prandiale. • Rallenta la secrezione gastrica: in questo modo rallenta il passaggio di nutrienti all’intestino e l’assorbimento del glucosio. • Effetto lievemente anoressizzante, che riduce l’appetito. Quindi, GLP-1 determina la secrezione precoce di insulina e rallenta e controlla l’assorbimento di nutrienti a livello intestinale. GLP-1 è l’ormone verso cui sono diretti i farmaci agenti sull’effetto incretinico. Gli analoghi del GLP-1 sono somministrati per via sottocutanea, essendo farmaci peptidici. Il vantaggio è che sono somministrabili una volta alla settimana, a differenza delle 4 somministrazioni al giorno dell’insulina, con miglioramento della compliance. Hanno effetto sul controllo glicemico ma anche sull’ingestione dei nutrienti. Sono i farmaci più efficaci, non per il controllo glicemico, ma per il controllo dell’obesità. Infatti, l’obesità può essere trattata farmacologicamente soprattutto con questi farmaci. Si era notato che dando una quantità di glucosio per OS in bolo ed una per EV, in modo da ottenere la stessa glicemia (ma con quantità di glucosio diverse), nel secondo caso si otteneva un’insulinemia inferiore. Quindi, somministrando glucosio per OS, la stimolazione insulinica è più efficiente. Questa differenza di curva insulinemica, detta effetto incretinico, implica una secrezione intestinale ormonale in risposta all’ingestione di glucosio. Inoltre, l’effetto incretinico è ridotto o abolito nel DMT2. Quindi, il DMT2 è caratterizzato da aumentata produzione epatica di glucosio, insulinoresistenza, soprattutto muscolare, e riduzione relativa di secrezione insulinica. A questo si somma un ridotto effetto incretinico, che porta anche ad accelerato svuotamento gastrico. Sono stati sviluppati farmaci contro questi target: • Riduzione della produzione epatica di glucosio: metformina, parte della famiglia delle biguanidi. Terapia Il diabete va trattato monitorando la glicata periodicamente (ogni 3-5 mesi). Infatti, l’obiettivo glicemico coincide con un target di glicata personalizzato, secondo fattori psico-sociali (es. capacità di auto-gestione, motivazione) e clinici (es. età, comorbidità). Normalmente, l’obiettivo è una glicata del 7%, ma in soggetti selezionati può essere più ambizioso. • Giovani, senza complicanze evidenti e con buona compliance all’autogestione (specie DMT1 in giovani o DMT2, in molto giovani): il target deve essere il più ambizioso possibile, con obiettivo di una glicata del 6-6,5%, normalizzandola. Questo perché il rischio di complicanze micro-angiopatiche è proporzionale ai livelli di glicata ed anche uno 0,5% è rilevante per il loro sviluppo. Vi sono casi in cui si può eseguire un controllo meno intensivo, che sottende una glicata dell’8%: • Anziani o soggetti con cardiomiopatia ischemia: il controllo glicemico è meno intensivo perché vi è rischio aumentato di ipoglicemia (più bassa è la glicata, più alto è tale rischio). Infatti, in caso di ipoglicemia vi è una reazione endogena che si traduce nella sintesi di ormoni contro-regolatori, ossia catecolamine e glucagone, ad azione rapida, e cortisolo e GH, ad azione più lenta. In pazienti con cardiopatia ischemica o scompenso cardiaco, una secrezione importante di catecolamine e glucagone può tradursi in un rischio di aritmia e morte. Negli anziani vi è alta incidenza di malattie cardio- vascolari quindi il controllo della glicata è meno intensivo. Inoltre, lo sviluppo di complicanze micro-angiopatiche è lungo, ad esempio una nefropatia si sviluppa in una decina d'anni; per cui se il paziente ha un aspettativa di vita limitata, perché anziano o ha una neoplasia, è inutile un obiettivo di glicata del 7%, dato che l’aspettativa di vita è minore del tempo necessario per sviluppare la complicanza. Più anziani sono i pazienti e più aumenta la durata della malattia, maggiore sarà la gravita del processo aterosclerotico e delle complicanze micro-angiopatiche, con benefici minori di un controllo glicemico intensivo. • Soggetti con complicanze micro-angiopatiche già sviluppate: il controllo della glicemia ha l’obiettivo di prevenire tali complicanze, quindi in soggetti con complicanze già sviluppate può essere meno intensivo, infatti le complicanze non sono regredibili. • Soggetti incapaci di gestire in modo autonomo ed efficace la glicemia: dare indicazioni rigorose per il controllo glicemico può essere pericoloso. Infatti, l’autocontrollo glicemico, soprattutto se si esegue terapia insulinica, richiede elevata capacità di autogestione: il paziente deve avere funzioni cognitive integre perché deve decidere quanta insulina somministrarsi in base alla glicemia pre-prandiale. In caso di crisi ipoglicemica, l’intensità del controllo glucidico va allentata, in modo da avere una glicata di 1,5-2% più alta, per alcune settimane. Se vi sono 2 o più episodi di crisi ipoglicemia, il periodo di allentamento va aumentato. I parametri che vanno controllati nel follow-up ambulatoriale del paziente diabetico sono: • Emoglobina glicata. • Valutazione annuale del piede: per prevenire lo sviluppo di piede diabetico. • Controllo stretto della PA: diabete mellito ed ipertensione interagiscono negativamente. • Controllo annuale oculistico con esame del fondo oculare: per controllare un’eventuale retinopatia. • Assetto lipidico (rischio metabolico), soprattutto colesterolo LDL: nel diabetico è quasi sempre indicato l’uso di statine per il controllo del colesterolo. • Creatinina plasmatica: importante per il controllo della funzionalità renale derivando la GFR tramite delle formule (non si calcola più la clearance della creatinina). Di solito, la GFR è mantenuta nel diabetico per un lungo periodo. Quindi, per monitorare lo sviluppo di nefropatie è più importante dosare l’albuminuria, che si valuta facendo il rapporto tra albumina e creatinina in un campione spot di urine della mattina, considerando che la creatininuria è espressione della massa muscolare. Un tempo si faceva la raccolta delle urine delle 24 h, in cui si raccolgono le urine in un recipiente, le si mescola e si preleva un campione; dopo aver misurato la concentrazione di albumina la si moltiplica per il volume di urine totale, ottenendo l’albuminuria. È complesso da eseguire a domicilio, si riesce solo in ospedale. • Bisogna smettere di fumare: il fumo peggiora la prognosi. • Vaccinazioni adeguate, contro influenza, Pneumococco ed epatite B. Questo costituisce il follow up annuale o trimestrale a cui va sottoposto ogni paziente con DMT2. Complicanze Il diabete è una malattia che raramente dà complicanze acute, come coma cheto-acidosico, coma iper- osmolare e coma ipoglicemico. Il problema sono le complicanze a lungo termine: • Micro-angiopatiche (microangiopatia): strettamente legate e quasi proporzionali all’iperglicemia, quindi sono prevenibili con un buon controllo glicemico. o Nefropatia: causa più frequente di dialisi e trapianto di rene. o Retinopatia: causa più frequente di cecità acquisita. o Neuropatia. Sono complicanze impattanti sul SSN. Il DM causa un eccesso di mortalità e un'aspettativa di vita ridotta non per queste complicanze (eccetto la nefropatia), ma per le complicanze macro-angiopatiche. • Macro-angiopatiche (macroangiopatia): il DM è una causa di aterosclerosi accelerata. Vi è sviluppo frequente e rapido di tutte le manifestazioni cliniche di aterosclerosi: o Cardiopatia ischemica, angina stabile e infarto del miocardio. o Aterosclerosi dei tronchi sopraortici, con ictus ischemico. o Aterosclerosi degli arti inferiori, con claudicatio e necrosi dell’arto. o Raramente aterosclerosi delle arterie renali. Le complicanze micro-vascolari si manifestano dopo quelle macro-vascolari perché sono strettamente legate all’iperglicemia; infatti, non esistono senza iperglicemia. Invece, le complicanze macro-vascolari dipendono soprattutto da altri fattori di rischio, come insulinoresistenza, iperinsulinemia, ipercolesterolemia, ecc… Quindi, il controllo glicemico è fondamentale nelle complicanze micro-vascolari, mentre è meno importante nelle complicanze macro-vascolari perché la patogenesi dell’aterosclerosi accelerata avviene a prescindere dallo stretto controllo glicemico. Il DMT1 ha una storia naturale con inizio acuto, più o meno rapido, di mesi o al massimo 1 anno; il DMT2, ha una storia naturale lenta, che inizia presto e progredisce in 1-2 decenni, fino allo sviluppo di iperglicemia che necessità di terapia inizialmente orale e poi insulinica. Il rischio di macroangiopatia, in particolare di cardiopatia ischemica, inizia precocemente, in fase di pre-diabete. Infatti, manifestazioni cliniche gravi, come la cardiopatia ischemica, possono avvenire anche in pazienti non ancora diabetici. Nefropatia diabetica Consiste nella sclerosi e nella fibrosi glomerulare causate dalle alterazioni metaboliche ed emodinamiche del diabete mellito. La nefropatia diabetica è la causa più frequente di sindrome nefrosica negli adulti ed è la causa più frequente di IR terminale negli USA (fino all'80% dei casi). Poiché il DMT2 è spesso presente per molti anni prima di essere riconosciuto, spesso si sviluppa nefropatia <10 anni dopo la diagnosi di diabete. La nefropatia è asintomatica in fase precoce; la micro-albuminuria persistente è il 1° segno Da un punto di vista anatomopatologico, nella storia naturale della nefropatia si possono distinguere delle fasi in base alle lesioni. Vi sono anche fasi funzionali, ad esempio in fase 1 non vi sono alterazioni cliniche, ma solo iperfiltrazione; poi, il filtrato progressivamente si riduce. Dal punto di vista clinico, la differenza si basa su 2 parametri che vanno monitorati annualmente per seguire l’evoluzione verso una nefropatia diabetica: • Concentrazione di creatinina plasmatica: in fase iniziale è normale. • Rapporto fra albumina e creatinina urinaria, nelle urine spot del mattino. I pazienti possono essere classificati come: • Con GFR normale, quindi senza insufficienza renale. • Con GFR che inizia a ridursi, configurando Cronic Kidney Disease (CKD), che ha 2 cause principali: o Diabete: è la causa più frequente di dialisi. o Ipertensione arteriosa. La nefropatia diabetica può evolvere con una prima fase di iperfiltrazione, successiva riduzione del filtrato, fino alla sua estrema riduzione, detta End stage Renal Disease, con necessità di terapia dialitica. Quindi, il diabetico vive una lunga fase con un filtrato normale. Le classi dell’IRC sono: • Fase 1 e fase 2: filtrato >60 ml/min (normale). • Fase 3: filtrato di 30-60 ml/min. • Fase 4: filtrato 15-30 ml/min. • Fase 5: con filtrato <15 ml/min. Diversa è la situazione quando si dosa l’albuminuria, per cui si usa un marker surrogato, ossia il rapporto albumina/creatinina delle urine spot del mattino. L’albuminuria aumenta progressivamente, configurando 3 situazioni: • Normo-albuminuria. • Micro-albuminuria: 30-299 mg/24 h. • Macro-albuminuria: ≥300 mg/24 h. In fase iniziale, l’unico parametro utile è la micro-albuminuria, che progressivamente aumenta e poi, solo dopo un certo tempo, scende con la velocità di filtrazione. La differenza tra micro- e macro-albuminuria è solo numerica, non di qualità e dimensioni della proteina. Tuttavia, mentre in fase micro-albuminurica, la nefropatia è reversibile, in fase macro-albuminurica il quadro è irreversibile. Il paziente micro-albuminurico, quindi, va gestito con attenzione, dato che la situazione è reversibile: • Stretto controllo glicemico: mantenere una glicata <7%, possibilmente <6,5%. • Stretto controllo pressorio: possibilmente tramite ACEi o sartani, che agiscono su albuminuria e PA. In fase macro-albuminurica, la complicanza è irreversibile, per cui è verosimile che il paziente non abbia più bisogno di uno stretto controllo glicemico. Lo stato albuminurico si definisce con una raccolta delle urine delle 24 h, considerando come valore di normalità <30 mg/24 h. Tuttavia, è difficile raccogliere tutte le urine delle 24 h, quindi si usa un artifizio per valutare l’escrezione urinaria di una certa molecola, ione o ormone: dato che la creatininuria è espressione della massa muscolare, si normalizza l’escrezione di un metabolita per l’escrezione della creatinina. In questo modo, è sufficiente un campione spot delle urine della mattina in cui si dosa la concentrazione di albumina e creatinina, ed il loro rapporto è marker di escrezione nelle 24 h. Quindi, la micro-albuminuria è definibile anche come 30-299 mg/g, intesi come mg di albumina su g di creatinina. Retinopatia diabetica Di questo fabbisogno, una metà si somministra una volta al giorno, con insuline basali, l’altra metà, si somministra, con boli prima dei pasti, la cui quantità varia in base alla glicemia pre-prandiale. La novità del basal bolus è la basalizzazione, che permette un miglior controllo, quindi è raccomandata in tutte le situazioni, ad eccezione della somministrazione endovenosa (in UTI). Questa è la base della terapia del DMT1, del DMT2 insulino-trattato e di tutti i pazienti ospedalizzati perché a questi sono sospesi gli antidiabetici orali; se il paziente si alimenta, si usa il basal bolus; se è grave, si somministra insulina con pompa per via endovenosa. Un errore frequente è il ridotto uso dell’insulina basale: si tende a correggere la glicemia con boli di insulina rapida, senza implementare la basalizzazione. Questo approccio è definito sliding scale, ma non permette un adeguato controllo glicemico, quindi può causare oscillazioni insuliniche ampie, che vanno evitate perché causano molti danni, oltre al rischio di ipoglicemia. Inoltre, esiste il pancreas artificiale che funziona con un controllo costante della glicemia correlato ad infusione di insulina, ma non si è ancora arrivati ad un uso per motivi medico-legali, ovvero quello di lasciare ad un apparecchio la decisione della dose di insulina. Infine, esiste il trapianto di insule pancreatiche infuse dalla vena porta. Altri farmaci per il diabete Oltre all’insulina, ci sono altri farmaci: i primi ad essere stati usati nel trattamento del DMT2 non insulino- usufruente sono farmaci tradizionali, ovvero metformina, della famiglia dei biguanidi, e sulfaniluree; entrambi questi farmaci sono usati da decenni e hanno alta capacità di controllo glicemico. Vi sono alcuni farmaci nuovi; i primi 2 interagiscono con il sistema delle incretine: • Agonisti recettoriali di GLP-1, ad efficacia elevata. • Inibitori del DPP-4, ad efficacia intermedia, difficilmente usabili in mono-terapia. Gli altri farmaci sono gli inibitori di SGLT2, con efficacia limitata per quanto riguarda il controllo glicemico. Esistono anche i tiazolidinedioni (TZD), con elevata capacità di controllo glicemico ma quasi non più usati per un eccesso di effetti collaterali. Terapia farmacologica del DMT2 Il 1° step è la modificazione dello stile di vita, con controllo di dieta ed attività fisica; se non è sufficiente, indipendentemente dalle comorbidità, il 1° farmaco da usare è la metformina. Infatti, è un farmaco piuttosto efficace (elevata capacità di controllo glicemico), con effetti collaterali ridotti. Se il controllo glicemico non è soddisfacente, si aggiunge un altro farmaco. Bisogna considerare costi, effetti collaterali, sicurezza a lungo termine ed effetti sulle complicanze del diabete. Per misurare l’efficacia media nel ridurre la glicata dei vari farmaci bisogna dosare la glicata ogni 3 mesi. Per il controllo glicemico nel DMT2, i farmaci più efficaci sono: • Metformina: dopo 3 mesi il calo atteso della glicata è dell’1-1,5% del suo valore assoluto. • Sulfaniluree: ha la stessa capacità di controllo della metformina. • Tiazolidinedioni: si usano poco a causa dei numerosi effetti collaterali • Agonisti recettoriali del GLP-1 (GLP-1RAs): ha la stessa capacità di controllo della metformina. Un'efficacia intermedia la presentano: • Inibitori di DPP-4. • Inibitori del co-trasporto sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT-2 inhibitors). Questi farmaci sono prescritti considerando anche altri obiettivi oltre al controllo glicemico: se l’obiettivo fosse solo il controllo glicemico, allora si terrebbe conto solo della potenza di influenza sul metabolismo glucidico. Tuttavia, nel controllo glicemico va considerato il controllo delle complicanze: • Complicanze macro-angiopatiche (rischio di eventi cardiovascolari): la metformina le riduce in molto considerevole, mentre con le sulfaniluree tendono ad aumentarle. Infatti, le sulfaniluree sono dei secretagoghi, che aumentano la secrezione insulinica, aumentando l’iper-insulinemia. Invece, la metformina riduce l’insulino-resistenza, con riduzione secondaria della secrezione insulinica. Quindi, se l’obiettivo è prevenire la macroangiopatia è preferibile non dare secretagoghi. • Eventi cardiovascolari: i GLP-1RAs portano a netto miglioramento di questo aspetto. Il MACE (indice che unisce morte cardiovascolare ed IMA, usato negli studi per dimostrare un effetto sulla cardiopatia ischemica) si riduce, indice di effetto significativo per la riduzione della cardiopatia ischemica. • I SGLT-2 inhibitors sono farmaci recenti con sviluppo importante, non tanto nel DMT2, quanto in cardiologia. Questi farmaci hanno effetti positivi sulla morte per scompenso cardiaco e in parte anche sugli eventi cardiovascolari da cardiopatia ischemica, e agiscono nettamente sulla progressione della nefropatia diabetica. Quindi, sono ideali per il trattamento del diabetico con SC e nefropatia. Quindi, se oltre all’effetto ipoglicemizzante, l’obiettivo è la prevenzione della cardiopatia ischemica, bisogna: • Non prescrivere le sulfaniluree. • Proporre l’uso di agonisti recettoriali del GLP-1 Sulla base di queste evidenze, sono stati stabiliti percorsi per la scelta della terapia in base al paziente. I percorsi “ESTABLISHED ASCVD or CKD” sono da seguire in caso di diabete e vasculopatia arteriosclerotica periferica, scompenso cardiaco o IRC. Quindi, quando il paziente ha: • Cardiopatia ischemica o vasculopatia periferica: sono preferibili i GLP-1RAs. • Scompenso cardiaco o insufficienza renale cronica: sono preferibili i SGLT-2 inhibitors. Se la priorità è il calo ponderale, che migliora il controllo metabolico, il paziente potrebbe beneficiare di: • GLP-1RAs, dato che si associano a calo ponderale. • SGLT-2 inhibitors. • Bisogna evitare sulfaniluree ed insulina. Se vi è rischio di ipoglicemia vanno evitati farmaci secretagoghi (es. sulfaniluree). Le nuove linee guida, dunque, propongono di caratterizzare il paziente secondo alcune caratteristiche: • Necessità di calo ponderale. • Se deve essere assolutamente evitata l’ipoglicemia. • Rischio prevalente di cardiopatia ischemica o arteriosclerosi periferica. • Rischio prevalente di insufficienza cardiaca o insufficienza renale cronica. • Problemi di spesa sanitaria (GLP-1RAs e SGLT-2 inhibitors sono i farmaci più costosi). Quindi, per decidere il trattamento del DMT2 bisogna partire da alcune considerazioni: • Target glicata: ambizioso, se <7%, o mediocre, se è dell’8%. Il controllo glicemico è alla base della prevenzione delle complicanze micro-angiopatiche. • Presenza di comorbidità renale (nefropatia diabetica), per cui si usano i nuovi farmaci. • Presenza di comorbidità cardiovascolari, come cardiopatia ischemica o scompenso cardiaco. • Necessità di calo ponderale: i GLP-1RAs rallentano lo svuotamento gastrico e a livello centrale provocano anoressia; gli inibitori di SGLT-2 provocano glicosuria, inibendo il riassorbimento di glucosio, con perdita di calorie e peso. Invece, insulina e sulfaniluree favoriscono l’aumento ponderale perché determinano un aumento dell’insulina circolante, con blocco della lipolisi. Un’altra differenza tra gli antidiabetici orali è la capacità di indurre ipoglicemia. Il meccanismo dei farmaci secretagoghi, come sulfaniluree o glinidi, consiste nell’abbassamento glicemico per stimolazione della secrezione insulinica (la differenza sta nella durata d’azione: quella delle sulfaniluree è maggiore). Questi farmaci stimolano la secrezione insulinica in modo dose-dipendente, a prescindere dalla glicemia. Quindi, sono efficaci nel controllo glicemico, ma con elevato rischio di ipoglicemia, specie se il paziente non si alimenta o fa intensa attività fisica. Anche l’insulina ha un rischio di ipoglicemia, infatti la maggior parte dei casi le ipoglicemie che si vedono in reparto sono dovute a sulfaniluree o insulina. Altri effetti collaterali sono: • Aumento ponderale: per effetto dell’iperinsulinemia relativa, che inibisce la lipolisi. • Accelerazione della riduzione della riserva funzionale della b-cellula: avendo come meccanismo d’azione la loro stimolazione. Si tratta di un fenomeno che fa parte della storia naturale nel DMT2. Iperglicemia ed aumento degli acidi grassi liberi provocano tossicità alla cellula, con riduzione di picco insulinemico post-prandiale e massa della b-cellula, fino all’evoluzione in insulino-dipendenza. • Maggiore incidenza di cardiopatia ischemica, se confrontati con la metformina. La progressione della placca aterosclerotica è dovuta anche all’azione proliferante dell’insulina, che è ridotta nel trattamento con metformina, poiché migliora l’insulinoresistenza. Per questo, i secretagoghi non sono farmaci di 1ª linea. Invece, i farmaci con alto margine di sicurezza, che non possono indurre ipoglicemia direttamente, sono metformina, GLP-1RAs ed inibitori di SGLT2. Tali farmaci abbassano la glicemia solo quando i valori sono alti: se la glicemia è normale non hanno effetto, quindi non causano ipoglicemia (es. gli inibitori di SGLT2 hanno come meccanismo d’azione l’abbassamento della soglia renale di riassorbimento del glucosio, normalmente >180 mg/dl, inducendo glicosuria). Metformina È l’unico farmaco della famiglia delle biguanidi approvato per la terapia. Riduce l’insulinoresistenza a livello principalmente epatico (migliora l’insulino-sensibilità epatica), riducendo la produzione epatica di glucosio. L’iperglicemia nel diabete è dovuta principalmente a 2 meccanismi concomitanti: l’incapacità del muscolo a captare glucosio e l’eccessiva produzione di glucosio a livello epatico, fenomeni che si manifestano soprattutto a digiuno, in cui vi è una produzione di glucosio indipendente dai pasti. Oltre a questo effetto principale, vi sono altri effetti, come un aumento della sensibilità insulinica muscolare, un miglioramento dell’assetto lipidico e un miglioramento della NAFLD, a prescindere dall’iperglicemia. È importante individualizzare la terapia, considerando comorbidità cardiovascolari, rischio di ipoglicemia, necessità di calare di peso, ecc… In queste situazioni, la metformina è interessante, in quanto ha un vantaggio riguardo la cardiopatia ischemica, non determina ipoglicemia e tende a produrre un calo di peso. Il calo ponderale è legato all’effetto collaterale principale della metformina, ossia l’insorgenza di disturbi gastrointestinali, come anoressia, nausea, discomfort addominale, diarrea e aumento della frequenza dell’alvo; raramente tali effetti inducono la sospensione del farmaco e sono prevenibili somministrando il farmaco a dosaggi progressivamente maggiori, e non subito a dose piena; al contrario possono portare benefici nel paziente sovrappeso, con ridotta introduzione di cibo e calo ponderale. Per una riduzione della glicata a 3 mesi di 1-1,5%, si considera la dose piena di metformina (2-2,5 g/die). Tale farmaco esiste a dosaggi di 850 mg a 1000 mg, quindi è necessario aumentare progressivamente la dose fino ai valori pieni. Si tratta di inibitori dell’enzima che catabolizza GLP-1, somministrabili per OS. Sono meno potenti, associati a modesto miglioramento della glicata (<1%). Sono ben tollerati e non presentano effetti collaterali a parte un lieve aumento di infezioni alle vie respiratorie, ma si tratta di effetti non molto evidenti. Sono farmaci utili, ma da usare in terapia di associazione: si inizia con la metformina, e se non fosse sufficiente si possono aggiungere altri farmaci. Un’aggiunta tradizionale sono le sulfaniluree, ma nel caso in cui si decida di non usarle, si può pensare ad un inibitore di GPP-4. Tiazolidinedioni Fino a 20 anni fa erano considerati promettenti, capaci di abbassare la glicemia con meccanismo d’azione che presenta come target l’insulinoresistenza muscolare; inoltre non provocano ipoglicemia. Sono ideali in associazione alla metformina, in quanto complementari ad essa. Tuttavia, sono stati associati ad aumento dell’infarto del miocardio: peggiorano la cardiopatia ischemica, aumentano la ritenzione di fluidi, peggiorando lo SC, ed hanno effetto variabile sull’assetto lipidico. Quindi, sono stati quasi abbandonati. Inibitori del co-trasporto sodio-glucosio di tipo 2 Sono i farmaci più in espansione, con meccanismo d’azione interessante. Il co-trasporto sodio-glucosio avviene a livello di tubulo prossimale. Nel diabetico, quando c’è iperglicemia, c’è una maggior quantità di glucosio che viene assorbito e che entra nel filtrato, vi è superamento della soglia renale di filtrazione del glucosio e quindi sarà presente nelle urine. L’eccessiva concentrazione di glucosio causa iperattività di questi co-trasportatori che, soprattutto all’inizio della malattia, causano ridotto carico distale di sodio che raggiunge la macula densa causando riduzione della VGF e dilatazione dell’arteriola afferente per aumentare la pressione glomerulare; questo meccanismo di regolazione si chiama feedback tubulo-glomerulare. Questo attiva il RAAS, con elevata produzione di angiotensina II che ha l’effetto di costringere l’arteriola efferente. Quindi, l’iperglicemia modifica l’emodinamica glomerulare, attivando il feedback tubulo-glomerulare e il RAAS, con dilatazione dell’arteriola afferente e costrizione dell’efferente. L’effetto che ne deriva è un’elevata pressione intra-glomerulare, con iperfiltrazione glomerulare (prime fasi della nefropatia diabetica). Quindi, la velocità di filtrazione nel diabetico all’esordio è lievemente aumentata; per questo sono utili ACE-inibitori o sartani, che riducono l’attività dell’ATII, ossia la costrizione dell’arteriola efferente. I SGLT-2 inhibitors inibiscono il feedback tubulo-glomerulare, migliorando l’emodinamica glomerulare; questa inibizione, inoltre, ha effetto ipoglicemizzante perché abbassano la soglia del riassorbimento di glucosio con azione glicosurica. Tuttavia, non hanno effetto sulla riduzione della glicata perché hanno effetto ipoglicemizzante limitato. Gli altri effetti benefici di questi farmaci sono: • Favoriscono la natriuresi: con controllo dell’ipertensione (soprattutto se associati ad ACEi o sartani). • Calo di peso: per calo della glicemia grazie alla glicosuria e quindi perdita di energia. Gli effetti collaterali sono soprattutto infezioni delle vie urinarie, correlate alla glicosuria (sintomi d’esordio anche del diabete, candidiasi nella donna e balanite nell’uomo). I farmaci disponibili sono le glifozine: • Canagliflozin. • Dapagliflozin. • Empagliflozin. Questi farmaci migliorano in modo uniforme gli outcome in pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco, ecc… Inoltre, hanno effetto importante sulla prevenzione dell’IR. Alcuni studi, hanno dimostrato che questi farmaci sono efficaci nello scompenso cardiaco, anche senza diabete, quindi sono ottimi in pazienti con diabete e scompenso (molto frequente). Questi farmaci determinano tendenza alla chetosi, eliminando glucosio. La chetosi si presenta con bassi livelli di insulina o bassi livelli di glucosio intracellulare. Normalmente la chetosi si verifica in pazienti con DMT1 non trattato e pazienti in digiuno, frequente nei bambini. Questo rende difficile usare questi farmaci nel DMT1. La strategia inizia con metformina ed aggiustamento dello stile di vita. Se ciò non è sufficiente e la glicata supera il target previsto, alla metformina si associano: • In caso di malattia cardiovascolare aterosclerotica: GLP-1RAs, di elezione, o inibitori di SGLT2. • Insufficienza renale cronica o scompenso cardiaco: inibitori di SGLT2. Le altre traiettorie contemplano: • In caso di rischio di ipoglicemia: evitare insulina, sulfaniluree e glinidi; gli altri farmaci possono essere associati alla metformina. • In caso di necessità di ridurre il peso: si associano GLP-1RAs o inibitori di SGLT2, evitando insulina e sulfaniluree. Tuttavia, un problema è il costo dei farmaci, infatti i nuovi farmaci hanno costo elevato. Gestione dell’iperglicemia nel paziente ospedalizzato Il paziente ospedalizzato, per definizione, ha una malattia acuta o dev’essere sottoposto ad un intervento chirurgico e, in questi contesti, i farmaci domiciliari generalmente vanno sospesi. In 90% dei casi, nel paziente ricoverato in ospedale va usata l’insulina con il basal bolus. Ad esempio, la metformina può dare acidosi lattica, per cui una malattia acuta, un peri-operatorio, un esame radiologico con mdc o un rischio di IRA, sono i tipici esempi in cui va sospesa. Altro esempio è il rischio di ipoglicemia da sulfaniluree. Una malattia acuta o un intervento determinano iperglicemia; quindi, ci si può aspettare una glicemia più elevata di quella a domicilio. Inoltre, spesso il paziente ospedalizzato non si alimenta correttamente, per cui la terapia dev’essere diversa. È più corretto parlare di “gestione ospedaliera dell’iperglicemia” (non di “gestione ospedaliera del diabete”) perché ci può essere iperglicemia in caso di ospedalizzazione senza diabete. Infatti, l’iperglicemia in fase di ospedalizzazione potrebbe risolversi dopo la dimissione. Tuttavia, è importante da considerare per un possibile follow up metabolico. Cinetica del glucosio durante la fase acuta L’iperglicemia da malattia acuta (es. polmonite) è legata al fatto che essa determina l’attivazione di ormoni contro-regolatori, come cortisolo e catecolamine, che agiscono stimolando la produzione epatica di glucosio (tramite glicogenolisi e gluconeogenesi) o inducendo insulino-resistenza nel muscolo. Quindi, l’iperglicemia è causata da uno sbilanciamento tra eccesso di produzione di glucosio e difetto di consumo di glucosio. Il rialzo glicemico sarà molto più elevato nel diabetico, ma può raggiungere valori elevati anche in sua assenza. Per questo, bisogna considerare i valori glicemici assoluti in relazione al valore di glicata, che rispecchia l’andamento glicemico dei 3 mesi passati. Effetto dell’iperglicemia sui vari organi Fegato e muscolo sono gli organi che causano l’iperglicemia, mentre quelli che la subiscono sono gli organi in cui il glucosio entra passivamente. Il modo in cui il glucosio entra nelle cellule varia a seconda del tessuto: in alcuni entra grazie a trasportatori specifici attivati dall’insulina (es. GLUT4 a livello muscolare), mentre in altri ci sono trasportatori non insulino-sensibili e il glucosio entra passivamente secondo gradiente di concentrazione. Gli organi che subiscono maggiormente gli effetti dell’iperglicemia sono: • Rene. • Endotelio. • Sistema immunitario. • SNC: non è insulino-dipendente, infatti, se non fosse così in un paziente con DMT1, con assenza di insulina, dovrebbe esserci subito un deficit neurologico, ma ciò non avviene. I danni da iperglicemia nella fase acuta in un paziente iperglicemico: • Predisposizione alle infezioni. • Scarsa guarigione delle ferite. • Maggior prevalenza di eventi cardiovascolari. • Maggior predisposizione all’insufficienza renale acuta. • Squilibrio-idroelettrolitico: per glicemie >180 mg/dl il paziente inizia ad avere una diuresi osmotica e a perdere fluidi. Mantenere un paziente con polmonite con glicemie a 300 mg/dl significa avere una forte tendenza alla disidratazione, a causa di: diuresi osmotica, disidratazione ed ipernatriemia (si perde acqua libera, non sodio e potassio). Quindi, nel paziente ospedalizzato bisogna mantenere una glicemia <180 mg/dl, altrimenti vi sono problemi clinici, in primis disturbi idro-elettrolitici. Nel paziente ospedalizzato una glicemia vicina a 180 mg/dl non deve preoccupare, perché non si parla di complicanze a lungo termine del diabete. Studi clinici Uno studio monocentrico su pazienti nel peri-operatorio in UTI post-chirurgica ha dimostrato che mantenere la glicemia a 100 mg/dl dimezzava la mortalità (dal 14% al 7%), rispetto ad una glicemia di 170 mg/dl. Tuttavia, molti studi hanno cercato di riprodurlo ma non ci sono riusciti. In seguito, sono stati condotti vari studi dove è stata confrontata la glicemia ottimale a 100 mg/dl con una glicemia di 170-180 mg/dl, con cui si è dimostrato che 170-180 mg/dl erano sufficienti. Un altro studio multicentrico (su pazienti misti di UTI, non selezionati) ha confrontato controllo intensivo (100 mg/dl) e convenzionale (180 mg/dl). È emerso che non c’è differenza significativa tra i 2 gruppi in termini di mortalità, anzi quelli con controllo intensivo avevano una leggera minor tendenza alla sopravvivenza, dovuta al maggior rischio di ipoglicemie. Infatti, nel paziente acuto, rispetto alla glicemia media, è più importante la variabilità glicemica. L’ipoglicemia, in particolare, è temibile nel paziente acuto. Le linee guida definiscono il cut-off per iniziare la terapia insulinica a 180 mg/dl; se la glicemia è inferiore, non è necessaria. Ipoglicemia e variabilità glicemica Vanno evitate variabilità glicemica ed induzione di ipoglicemia, infatti la mortalità dipende dalla variabilità glicemica, più che dal valore assoluto di glicemia. Nel paziente acuto, l’ipoglicemia essere indotta da: • Terapia. • Insufficienza renale e dialisi: il rene è il tessuto che, oltre al fegato, catabolizza la maggior parte dell’insulina, quindi, in caso di IR l’insulina resta in circolo. • Shock, sepsi e insufficienza epatica: il fegato produce meno glucosio. Nel paziente acuto la presenza di ipoglicemia spontanea, non indotta da insulina, è un fattore prognostico negativo, segno che il fegato non produce abbastanza glucosio; esso è uno degli aspetti della MOF. Altri aspetti predisponenti l’ipoglicemia in terapia intensiva sono: severità della malattia, DM, ventilazione meccanica, cambi nell’alimentazione senza correzione del trattamento insulinico e supporto inotropico. L’HONK si osserva tipicamente in occasione di un peggioramento dell’insulinoresistenza, per cui la glicemia aumenta notevolmente, provocando diuresi osmotica e disidratazione. In media, la glicemia è maggiore di quella riscontrata in pazienti con DKA: mentre quest’ultima si può sviluppare con glicemie modestamente aumentate (300-400 mg/dl), HONK è conseguenza di iperglicemie estreme (800-1000 mg/dl). Il paziente tipico è un anziano con DMT2, affetto da patologia flogistica (es. IMA, polmonite, sepsi) che rende insufficiente la normale terapia antidiabetica. Il sintomo principale è uno stato di coscienza alterato, da uno stato di confusione e disorientamento fino al coma, in genere conseguenza della disidratazione estrema. La terapia è analoga a quella della DKA: idratazione, infusione insulinica, monitoraggio del potassio, con la differenza che si ha a che fare con individui che non tollerano volumi idrici importanti. È importante pensare a cosa può aver causato lo scompenso del DMT2 esitato in HONK: bisogna fare un’approfondita anamnesi ed esami coerenti, ad esempio troponina ed ECG, nel sospetto di IMA asintomatico. Acidosi lattica Rara, ma pericolosa complicanza del DMT2 in terapia con metformina o in corso di setticemia. Si diagnostica riscontrando lattati ematici >5 mmol/l. È necessario richiedere l’intervento specialistico (medico d’urgenza), trattare vigorosamente la sepsi e mantenere una PA sufficiente alla perfusione tissutale. Inoltre, bisogna sospendere la metformina. Attività fisica e cheto-acidosi non sono causa di acidosi lattica. Ipoglicemia e coma ipoglicemico L’ipoglicemia è abbastanza frequente, soprattutto in pazienti trattati con insulina. I 3 meccanismi possibili per la sua genesi sono eccesso di terapia, difetto di nutrizione o eccesso di attività fisica. Nel DMT2 non ancora insulino-dipendente l’ipoglicemia può essere prodotta solo da farmaci secretagoghi (sulfaniluree e glinidi). Generalmente ha esordio rapido, ma può essere preceduto da alterazioni del comportamento (es. aggressività), sudorazione, tachicardia, tremori e convulsioni. I primi sintomi, di tipo autonomico, compaiono con una glicemia di 70 mg/dl, ma si considera ipoglicemico un paziente con glicemia <55 mg/dl. In realtà, un diabetico abituato a 300 mg/dl di glicemia, quando raggiunge livelli di 150 mg/dl inizia già ad avvertire qualche alterazione. Inoltre, gli uomini tollerano meno l’ipoglicemia delle donne. I sintomi dell’ipoglicemia si presentano sequenzialmente in 2 gruppi: • Sintomi autonomici: per attivazione di ormoni contro-regolatori dell’insulina, come glucagone e catecolamine, con risposta adrenergica. Vi sono sudorazione fredda, ansietà, tremore, fame, vertigini e palpitazioni. In 90% dei casi il paziente avverte questi sintomi e mangia, risolvendo il quadro prima che esiti in una ipoglicemia conclamata, con alterazioni della coscienza. • Sintomi neuro-glicopenici: vi è importante deficit di glucosio, che compromette del SNC. Vi sono confusione, sonnolenza, disturbi visivi, convulsioni e coma. Di solito, questi sintomi non si presentano, perché il paziente li previene mangiando; il problema è l’ipoglicemia asintomatica, in cui non vi sono sintomi autonomici, ad esempio in caso di neuropatia autonomica. La neuropatia autonomica può essere una complicanza cronica microangiopatica del diabete. Una delle manifestazioni della neuropatia autonomica è il deficit di risposta autonomica all’ipoglicemia, in cui non ci si accorge di avere l’ipoglicemia. È una situazione difficile da gestire: l’esempio tipico è quello della moglie che trova il marito in coma durante la notte, perché non si è svegliato con l’ipoglicemia. Terapia dell’ipoglicemia Prevede la somministrazione di glucosio, con modalità diverse a seconda che il paziente sia in coma o meno. • Paziente vigile: somministrazione di glucosio per OS, da bere o mangiare. • Paziente in coma: o Somministrazione endovenosa: via preferenziale. Non può essere eseguita a domicilio; inoltre, il glucosio, ad alte concentrazioni, è irritante per le vene, quindi non si può superare il 20% di glucosio. o Somministrazione sottocutanea: un’alternativa può essere la fiala di glucagone (conservata in frigo); è un ormone che alza velocemente la glicemia, risvegliando il paziente in coma (a quel punto poi gli verrà dato da mangiare). Il trattamento prevede ricovero e somministrazione di 20-30 g di glucosio EV (es. 200-300 ml di una soluzione al 10% di destrosio, che andrebbe preferita a 50-100 ml di glucosata al 50%, che ha maggior rischio di produrre flebite). Inoltre, si può somministrare 1 mg EV/IM di glucagone (non funziona in pazienti con intossicazione alcolica). Quando vi è recupero della coscienza, bisogna nutrire e offrire bevande zuccherate. In un paziente in coma non si può somministrare glucosio per OS, per il rischio di inalazione. In caso di ipoglicemia, è fondamentale capire da cosa sia causata e quindi quali farmaci l’abbiano causata. In base al farmaco assunto, è possibile prevedere la durata dell’ipoglicemia: se è causata da insulina ultrarapida, l’effetto si esaurisce in 3-4 h, se è stata indotta da sulfaniluree a lunghissima durata d’azione, come la glibenclamide, sarà necessario infondere glucosio per 2 giorni. L’ipoglicemia nel diabetico può essere più o meno grave e prolungata, in presenza o meno di IRC. Infatti, il paziente con nefropatia diabetica in fase terminale ha un deficit di clearance e l’insulina dura di più. Ipoglicemia nel non diabetico L’ipoglicemia nel non diabetico è occasionale e si divide in: • Ipoglicemia post-prandiale: una delle complicanze della chirurgia bariatrica è un accelerato transito del glucosio attraverso il tratto gastro-intestinale, con brusca stimolazione insulinica ed ipoglicemia. Si definiscono ipoglicemie da accelerato transito e non sono gravi; possono essere considerate quasi come alterazioni funzionali. • Ipoglicemia a digiuno: è la più temibile. In caso di ipoglicemia a digiuno nel non diabetico bisogna iniziare un iter diagnostico preciso. Le cause possono essere ricondotte all’acronimo “EXPLAIN”: o Farmaci esogeni (EX): insulina o farmaci ipoglicemizzanti. o Ipopituitarismo (P). o Insufficienza epatica (L): può comprendere rare forme ereditarie di deficit enzimatici. o Malattia di Addison (A). o Insulinoma (tumore delle isole pancreatiche) ed ipoglicemia autoimmune (I). o Neoplasie non pancratiche, come fibrosarcoma ed emangio-sarcoma (N). L’insulinoma è una neoplasia benigna delle insule b-pancreatiche, che si manifesta con ipoglicemia, in soggetti in buona salute. Si presenta con la triade di Whipple: • Sintomi di ipoglicemia a digiuno. • Risoluzione dei sintomi con somministrazione di glucosio. • Conferma dell’ipoglicemia con valori di glicemia <55 mg/dl. Quando vi è sospetto clinico di insulinoma, bisogna fare diagnosi, che parte dal test da digiuno: è necessario tenere il paziente ospedalizzato a digiuno controllato e misurare frequentemente glicemia, insulina e C-peptide. La risposta fisiologica al digiuno dovrebbe essere una riduzione di glicemia ed insulinemia; in presenza di insulinoma, vi è riduzione progressiva di glucosio fino a raggiungere ipoglicemia, mentre l’insulinemia resta alta. Si misura anche il C-peptide perché esiste un quadro psichiatrico che consiste nella somministrazione autonoma di insulina a scopo di automedicazione o dimostrativo: in questi casi l’insulina è alta, mentre il C- peptide è basso. Infatti, il C-peptide permette di misurare il tasso di insulina endogena. Questa cosa non vale più perché gli analoghi dell’insulina non sono dosabili. Lo step diagnostico successivo prevede angio-TC, RM e, soprattutto per localizzare la massa, angiografia. L’ipoglicemia può essere osservata anche nell’insufficienza surrenalica (ipo-aldosteronismo). Si tratta di una situazione opposta alla sindrome di Cushing, infatti se il cortisolo alza la glicemia, l’assenza di cortisolo la tiene molto bassa. Un paziente in ipoglicemia, in 90% dei casi sarà un diabetico in terapia. Nel resto dei soggetti non diabetici, se in buone condizioni generali, la prima cosa a cui pensare è un insulinoma, ma si potrebbe trattare di un’ipoglicemia in un paziente acuto, come in caso di insufficienza epatica acuta o malattia di Addison. Anemia Si definisce come riduzione dei livelli di Hb o del numero di globuli rossi circolanti nel sangue. Nella donna i livelli di Hb sono più bassi rispetto all’uomo, per cui vi sono cut-off diversi in base al sesso: <11,5 g/dl, nella donna, e <13,5 g/dl, nell’uomo. I livelli di Hb sono più bassi in alcune situazioni, come la gravidanza, a causa dell’aumentata diluizione del sangue data dall'espansione del volume dei fluidi circolanti. Un patologia con emodiluizione importante è lo scompenso cardiaco, infatti un paziente con SC acuto non trattato presenta un’anemia apparente. Dopo il trattamento con diuretico l’anemia si risolve grazie alla diminuzione della volemia. Al contrario, in caso di disidratazione vi è emoconcentrazione, quindi in caso di anemia vi possono essere livelli di Hb apparentemente normali, ma dopo l’idratazione vi sarà anemia. Quindi, quando si valuta l’ematocrito vanno considerate queste varianti (emodiluizione se si interviene con idratazione ed emoconcentrazione se si interviene con diuretico). Classificazione Basata sul volume dei globuli rossi, ossia l’MCV (76-96 fl): • Anemia microcitica: da carenza di ferro. • Anemia normocitica: da insufficienza renale cronica. • Anemia macrocitica: da carenza di folati e B12 o insufficienza midollare. Basata sulla fisiopatologia: • Anemia da ridotta produzione di GR (ipo-rigenerativa): il marcatore principale è la reticolocitopenia o Carenza di ferro, folati e B12. o Ridotta funzione midollare (anemia aplastica). o Difetti genetici (talassemie, anemia falciforme). • Anemia da perdita o distruzione di GR: il marcatore principale è la reticolocitosi. o Emolisi: vi sono marcatori caratteristici, come aumento di eritropoietina e reticolocitosi. o Perdita di sangue (emorragia): è importante distinguere un’emorragia acuta da una cronica. Nell’emorragia acuta non ci sono né reticolocitosi né sideropenia in quanto, affinché queste si instaurino, è necessario che l’emorragia cronicizzi. Le emorragie acute, per definizione, sono normocitiche o tendenzialmente macrocitiche per aumento dei reticolociti. • Sanguinamento di origine gastrointestinale (più frequente). • Malassorbimento: ad esempio, la celiachia, in cui c’è atrofia di duodeno e soprattutto digiuno, dove è assorbito il ferro, spesso si manifesta con anemia sideropenica isolata. La differenza del trattamento rispetto all’anemia da sanguinamenti gastrointestinali è che il celiaco non va trattato con ferro per OS poiché non lo assorbe, ma per EV. • Dieta: raro, nei Paesi sviluppati. Le altre cause di sanguinamento, di solito, non portano ad anemia sideropenica, ad esempio l’emottisi, ovvero il sanguinamento delle vie respiratorie da cancro del polmone, TBC, ecc…; neanche i sanguinamenti delle vie urinarie portano ad anemia: la prima domanda da fare ad un paziente con ematuria è se ha sintomi, come disuria, stranguria e pollachiuria (LUTS: lower urinary tract symptoms). • Se vi sono sintomi, le diagnosi possibili sono infezione delle vie urinarie o calcolosi delle vie urinarie. • Se non vi sono sintomi, potrebbe essere un cancro della vescica. Screening cancro colon-rettale Dopo una certa età si propone la ricerca del sangue occulto fecale per lo screening del colon-retto. Se è presente sangue occulto, si invita il paziente a fare una colonscopia; se vi è anemia sideropenica non ha senso cercare il sangue occulto fecale in quanto ci possono essere falsi positivi o negativi, quindi è uno strumento pericoloso per fare DD di anemia sideropenica. Per questo, se vi è anemia sideropenica, si fa direttamente un’endoscopia. Sanguinamenti gastrointestinali • Ematemesi: emissione di sangue con il vomito; la causa tipica è la rottura delle varici esofagee. Di solito, quando c’è un sanguinamento delle vie alte il sangue ristagna nello stomaco e diventa nero, per cui si ha vomito caffeano. • Melena: emissione di feci nere, segno di sanguinamento alto, il sangue ristagna nello stomaco, transita nell’intestino ed è emesso come feci nere. • Ematochezia (rettorragia): feci miste a sangue rosso vivo, segno di sanguinamento basso. • Sanguinamento oscuro (termine usato raramente): sanguinamento a livello di duodeno, digiuno o ileo, dove l’endoscopia non arriva, quindi è la situazione più complessa. È detto “oscuro” poiché non ha causa evidente con l’endoscopia. Si può usare la video-capsula endoscopica, che però non va usata in caso subocclusione intestinale. Il confine tra sanguinamento alto e basso è dato dal legamento del Treitz. Le cause di sanguinamento alto sono: • Neoplasie. • Ulcera peptica. • Gastrite erosiva da farmaci (es. FANS). Le cause di sanguinamento basso sono: • Emorroidi. • Cancro del colon. § Diverticolosi, quando sanguina il sanguinamento è abbondante. § Cause meno frequenti, come rettocolite ulcerativa (il Crohn sanguina più raramente) e angio-displasie del tenue, che danno un sanguinamento oscuro. Sanguinamento uterino anomalo Sanguinamento che si osserva in età riproduttiva, non in gravidanza, caratterizzato per cicli prolungati per >8 giorni con volume >80 ml. È la causa più frequente di anemia sideropenica nella donna in età fertile. Questo termine ha sostituito in termine “metrorragia”. Marker di metabolismo del ferro Esiste una valutazione laboratoristica dell’anemia sideropenica che valuta: • Sideremia (59-158 µg/dl, nei maschi, 37-135 µg/dl, nelle femmine): livello di ferro libero nel sangue. • Transferrina (200-360 mg/dl): proteina che trasporta il ferro; è aumentata in caso di carenza di ferro e ridotta in caso di sovraccarico di ferro o anemia da malattia cronica. Quando non esistevano metodi ELISA per dosare la transferrina, si dosava la capacità totale legante il ferro (TIBC), passando da mg/dl a µg/dl, moltiplicando per 1.389. • Saturazione della transferrina (20-50%): indica quanto ferro è legato alla transferrina. Si calcola come rapporto tra sideremia e TIBC, moltiplicato per 100. È un parametro importante per le situazioni di sideropenia, dove è <20%, e sovraccarico di ferro, dove è >50%, come in caso di emocromatosi, talassemia, ripetute trasfusioni, cirrosi. • Ferritina (15-300 mg/dl, nell’uomo, 15-280 mg/dl, nella donna): forse il parametro più importante, è il marcatore dei depositi tissutali di ferro. Una volta il laboratorio includeva negli esami di routine sideremia, transferrina e ferritina per avere un quadro completo del metabolismo del ferro; in realtà, il 1° esame di screening, quello che dà più informazioni, è la ferritina. Per questo, è il 1° parametro da valutare e, solo se anomalo, si valutano gli altri parametri. Una ferritina bassa è patognomonica di sideropenia perché indica una deplezione non solo del ferro circolante ma anche dei depositi. Il suo valore deve guidare durante la terapia marziale perché bisogna somministrare una quantità di ferro tale da normalizzare la sideremia ma anche da ripristinare i depositi tissutali. • Recettore solubile della transferrina (sTfR) (0,83-1,76 mg/l): è un indice attendibile, direttamente proporzionale alla capacità eritropoietica e inversamente proporzionale alla disponibilità tissutale di ferro. È aumentato nella sideropenia e ridotto nel sovraccarico di ferro, quindi è utile per fare DD. Un recettore solubile è un recettore di membrana rilasciato in circolo e, quindi, dosabile; tuttavia, è poco usato dai medici (es. nella ricerca sulla flogosi si dosano i recettori solubili delle citochine). La valutazione del metabolismo del ferro è complicata dal fatto che la ferritina, oltre ad essere un marcatore di depositi tissutali di ferro, è una proteina della fase acuta. Quindi, in tutte le situazioni flogistiche, acute e croniche (soprattutto), tende ad aumentare diventando meno affidabile come indice di sideropenia. Le malattie croniche (es. BPCO ed IRC) con flogosi sono caratterizzate da un quadro abbastanza riproducibile: albumina bassa, PCR aumentata ed anemia da malattia cronica (mediata dalla flogosi), con ferritina normale o elevata. In situazioni di flogosi vi è sideropenia; ad esempio, nello SC cronico l’anemia è frequente e ha genesi mista, in parte sideropenica e in parte da flogosi cronica. In questo caso la ferritina è normale perché l’abbassamento dato dalla sideropenia e l’innalzamento dato dalla flogosi fanno sì che il valore sia nella norma. Quindi, per non avere sideropenia in caso di malattia cronica associata a flogosi, la ferritina dovrebbe essere >100 mg/dl, mentre in una situazione non flogistica dovrebbe essere >15 mg/dl. In caso di scompenso cardiaco, Hb <10 g/dl e ferritina <100 mg/dl c’è indicazione all’infusione endovenosa di ferro perché, tipicamente, la somministrazione di ferro per OS non sarebbe efficace. Anche i recettori solubili della transferrina sono utili per differenziare tra presenza o assenza di flogosi: sono aumentati nella sideropenia associata a flogosi, ridotti nella flogosi senza sideropenia. • Anemia sideropenica: sideremia, saturazione della transferrina e ferritina diminuite (diagnostico, se <15 µg/dl), con transferrina e sTfR aumentati. • Flogosi e sideropenia: sideremia diminuita, saturazione della transferrina e transferrina diminuite o normali, ferritina normale (di solito, <100 µg/l) e sTfR aumentato. • Anemia da malattia cronica: sideremia e saturazione della transferrina diminuite, transferrina diminuita o normale, ferritina normale o aumentata, e sTfR normale. • Sovraccarico di ferro: sideremia, saturazione della transferrina e ferritina aumentate, con transferrina e sTfR diminuiti. Terapia dell’anemia sideropenica La terapia marziale deve andare di pari passo con identificazione e trattamento della causa. Un’eccezione è rappresentata dalle donne in età fertile, con ciclo abbondante, sebbene una quantificazione oggettiva sia spesso difficile. In questi casi può essere giustificato soprassedere inizialmente ad approfondimenti diagnostici, da considerare in caso di risposta insufficiente o recidiva dopo terapia marziale. Consiste nel somministrare ferro per OS o EV. Anche se sul mercato vi sono molti farmaci contenenti ferro, quelli da usare sono pochi (1-2), perché l’efficacia della somministrazione di ferro dipende dalla quantità di ferro somministrata per OS. In farmacia, ci sono molte preparazioni contenenti ferro ma quasi tutte contengono quantità di ferro insufficienti. L’approccio iniziale prevede la somministrazione per OS di 100-200 mg/die di sali di ferro (ferro elementare). La terapia marziale standard dovrebbe basarsi sulla somministrazione di solfato ferroso (Ferrograd), in compresse da 330 mg contenenti 105 mg di ferro, con posologia di 1 compressa/die fino ad un massimo di 2 compresse/die; questo farmaco è l’unico rimborsabile dal SSN per una terapia marziale per OS. Un’alternativa è il ferro gluconato (Ferlixit), sempre per OS, che non è rimborsabile. Oltre che per correggere i livelli di Hb, bisognerebbe continuare la terapia per almeno 3-6 mesi per ripristinare i depositi tissutali di ferro. Infatti, un’interruzione precoce rappresenta l’errore più frequente nella pratica clinica, determinando recidive e/o false refrattarietà. Se la terapia si applica correttamente, in 1 o 2 mesi i livelli di Hb dovrebbero aumentare, altrimenti bisogna considerare altre ipotesi eziologiche. L’assorbimento è massimale nell’assunzione a digiuno, che però comporta una maggior frequenza di effetti collaterali. In 20-25% dei casi il paziente non sopporta la terapia marziale perché presenta effetti collaterali gastrointestinali fastidiosi (bruciore epigastrico, gastralgie); questi effetti possono limitare la compliance alla terapia. Quindi, in presenza di questi sintomi, si possono assumere le compresse con i pasti, riducendo solo lievemente l’effetto. Vi sono vari prodotti da banco con miglior tolleranza gastrointestinale ma contenenti dosi inferiori di ferro; quindi, l’efficacia di questi farmaci andrebbe verificata tramite trial clinici. Un incremento <1 g/dl di Hb, nonostante un’adeguata compliance del paziente e assunzione a dosi classiche, definisce una refrattarietà al ferro per OS. Se ciò accade bisogna passare ad una terapia EV. Le condizioni in cui è necessaria una terapia EV sono: • Celiachia. • Scompenso cardiaco. • Morbo di Crohn (il ferro irrita la mucosa). • Insuccesso della terapia orale dimostrato o prevedibile. • Perdite massive non altrimenti controllabili (es. teleangectasia emorragica ereditaria). • Intolleranza insormontabile alla via orale (persistente dopo assunzione a stomaco pieno). • Anemia sideropenica moderata-grave (Hb <8-9 g/dl), soprattutto in presenza di sintomi, come astenia intensa, in cui si può trarre vantaggio dalla maggior rapidità di risposta alla terapia parenterale. In caso di sintomi gravi (es. angina o dispnea in cardiopatici), è opportuno il supporto trasfusionale. Per normativa AIFA, la somministrazione EV può essere fatta solo in ambiente ospedaliero perché, con i preparati tradizionali, l’incidenza di reazioni anafilattiche era abbastanza elevata. La formulazione EV più Altre situazioni di anemia macrocitica sono legate all’alcol che ha effetto tossico midollare, rallentando la maturazione degli eritrociti, con aumento di volume delle cellule. Infatti, i marcatori biologici dell’assunzione di alcol sono g-GT e macrocitosi; una macrocitosi isolata, anche senza anemia, non spiegata da altre cause può essere segno di assunzione cronica di alcol. Anche la cirrosi epatica può interferire con il metabolismo dell’acido folico e comportare macrocitosi. Inoltre, bisogna indagare la presenza di ipotiroidismo e reticolocitosi. Una reticolocitosi può determinare un aumento dell’MCV perché i reticolociti sono più voluminosi degli eritrociti maturi e, quando sono numerosi, la macchina che misura l’MCV può essere tratta in inganno e indicare un MCV aumentato. Anemia del cirrotico L’anemia del cirrotico spesso è multifattoriale: • Sanguinamento cronico e acuto, quindi non solo acuto da rottura di varici, ma anche da stillicidio cronico dovuto a gastrite erosiva (causata dall’ipertensione portale) o sanguinamento da emorroidi, che possono provocare un’anemia microcitica iposideremica. • Carenza da folati: se presente può dare anemia macrocitica. • Iporigenerazione della linea eritrocitaria nel midollo, con anemia macrocitica, a causa dell’effetto tossico dell’alcol sul midollo. Deficit di folati e di B12 L’anemia da deficit di folati e B12 è definita anemia megaloblastica: il megaloblasto è un neutrofilo ipersegmentato, ovvero con >5 segmentazioni del nucleo. Questo è dato dal fatto che il deficit di folati e B12 interferisce con la sintesi degli acidi nucleici. Folati e B12 sono vitamine diverse, anche se spesso sono dosati insieme. La più grande differenza è l’origine: • Folati: contenuti in alimenti di origine vegetale (es. insalata verde). • B12: contenuta soprattutto in alimenti di origine animale, per cui il vegano stretto sviluppa deficit di questa vitamina dopo qualche anno. I depositi di B12 sono sufficienti per 5 anni, per cui il vegano può stare senza B12 per questo lasso di tempo. I depositi di acido folico sono sufficienti per 4-5 mesi, per cui la carenza si instaura più rapidamente rispetto a quello di B12. Effetti della carenza: • Deficit di folati: comporta anemia macrocitica megaloblastica, risolvibile con la supplementazione orale di acido folico per un certo numero di mesi. L’acido folico è assorbito nell’ileo prossimale, quindi spesso è carente nella celiachia. In gravidanza la carenza di acido folico si associa a mancata chiusura del tubo neurale, quindi tutte le donne in gravidanza sono supplementate con acido folico, a prescindere dai livelli ematici. Inoltre, l’acido folico è implicato nella cardiopatia ischemica perché è essenziale nella degradazione di omocisteina, fattore di rischio residuo (fattori diversi da quelli tipici, come fumo e diabete) per la cardiopatia ischemica; tuttavia, non serve la supplementare acido folico come prevenzione della cardiopatia ischemica. • Deficit di B12: comporta anemia macrocitica e manifestazioni neurologiche, come polineuropatia sensitiva (parestesie a piedi e mani, bruciore, sensazione di puntura di spillo, ecc…), e manifestazioni neuropsichiatriche, come la demenza. Bisogna fare DD tra polineuropatia da deficit di B12, diabetica e da alcolismo, anche se questa quest’ultima è mista. Tali effetti, a differenza dell’anemia, possono essere irreversibili. Cause principali di anemia da deficit di vitamina B12: • Vegani: a causa della mancata assunzione di cibi animali, si può sviluppare anemia macrocitica nell’arco di circa 5 anni (tempo necessario per esaurire i depositi di B12). • Anemia perniciosa: patologia autoimmune causata da Ab anti-cellule parietali della mucosa gastrica e Ab anti-fattore intrinseco, prodotto dalla mucosa gastrica per permettere l’assorbimento di B12 a livello di tenue distale. Questa malattia si caratterizza per atrofia gastrica (fattore di rischio per carcinoma gastrico), mancata produzione di FI ed anemia megaloblastica macrocitica La diagnosi può essere fatta tramite biopsia gastrica e dosaggio degli autoanticorpi (patognomonici). Si può associare, nella stessa persona in diversi momenti della vita, ad altre malattie come celiachia, ipotiroidismo (in genere nell’anziano, come l’anemia perniciosa) e DMTI (in genere nei giovani). La terapia consiste nella supplementazione di vitamina B12 IM. • Morbo di Chron: interessa spesso l’ileo terminale, dove viene assorbita la B12. • SIBO: sindrome da contaminazione batterica del tenue. SIBO (sindrome da contaminazione batterica del tenue) È una delle cause di carenza di B12; è data dalla colonizzazione batterica del tenue da parte di batteri tipici del colon come E. coli e Bacteroides, che usano preferenzialmente la vitamina B12, sintetizzando acido folico. Questa patologia si caratterizza per uno sbilanciamento tra B12 (ridotta) e acido folico (normale o aumentato). La patogenesi prevede cause organiche o funzionali: • Cause organiche: esiti chirurgici (es. resezione valvola ileocecale, digiunostomia, anastomosi, fistole). • Ipocloridria: l’abuso di IPP riduce l’acidità gastrica, fattore protettivo alla contaminazione dell’ileo. • Motilità funzionale: diabete mellito, sclerodermia, ecc… È abbastanza frequente e il sospetto nasce quando si riscontra uno sbilanciamento tra B12 e folati. Vi sono anemia macrocitica da deficit di B12 e vago quadro malassorbitivo, con steatorrea e diarrea (può simulare una sindrome da colon irritabile). Quando è possibile bisogna risolvere la causa e supplementare la carenza di B12, altrimenti si procede con antibioticoterapia, con rifaximina, per 1-2 settimane. A differenza del deficit di folati, che ha effetti lievi e reversibili, il deficit di B12 può avere manifestazioni più gravi, con conseguenze potenzialmente irreversibili. Emoglobinopatie La talassemia (anemia mediterranea) è frequente in Italia, in particolare la β-talassemia è molto diffusa nel bacino mediterraneo, ma anche in India ed Indocina. L’anemia a cellule falciformi è molto diffusa in Africa sub-sahariana ma, per i fenomeni migratori, anche in Nord America, Brasile ed Europa. Emoglobina È un tetramero formato da 4 catene polipeptidiche globulari. La normale HbA è formata da 2 catene α e 2 catene β. Il tetramero è legato a gruppi prostetici che contengono l’eme a cui è legato il ferro. La via catabolica dell’eme produce la bilirubina, quindi nelle sindromi emolitiche c’è iperbilirubinemia. Le patologie congenite legate alla sintesi dell’eme sono le porfirie. Il test diagnostico principale per confermare un’emoglobinopatia è un esame elettroforetico dell’Hb. In un adulto normale: • HbA (α2β2): 97%, è l’emoglobina fisiologica. • HbA2 (α2δ2): 2,5%. • HbF (α2γ2): 0,5%. Alla nascita vi è una situazione diversa, con prevalenza di HbF del 50-90%. Nell’anemia mediterranea il risultato dell’elettroforesi è alterato e dipende dalla gravità (minor, intermedia, major); nelle anemie falciformi si aggiunge un’emoglobina anomala (HbS). Anemia mediterranea Le talassemie sono malattie genetiche con sbilanciamento della sintesi di Hb, con assenza o ridotta produzione di una catena globinica. Le catene globiniche spaiate precipitano danneggiando la parete dei globuli rossi, con emolisi. Sono comuni nei Paesi mediterranei e in Estremo Oriente. Vi è riduzione dell’HbA, con aumentata prevalenza di HbF ed HbA2; c’è un problema di sintesi della catena β in cui il deficit può essere limitato, parziale o totale. Vi sono diversi gradi di β-talassemia: • β-talassemia minor. • β-talassemia intermedia. • β-talassemia major. Nel morbo di Cooley (β-talassemia major) vi è deficit totale di sintesi della catena β, quindi si tratta di una patologia pediatrica grave che non consente la sopravvivenza, se non con trasfusioni ripetute. È caratterizzata da epatosplenomegalia, per emolisi cronica, ed ematopoiesi extra-midollare in cui tutte le ossa sono interessate dal tentativo di compensare l’eritropoiesi. Nell’adulto vi è un deficit parziale di sintesi della catena β con diversa gravità: • β-talassemia intermedia: forma omozigote. • β-talassemia minor (tratto talassemico): forma eterozigote. Avere un tratto talassemico non vuol dire avere anemia, spesso vi è lieve riduzione dell’Hb (di solito, circa 10 g/dl, mai <9 g/dl), ma la caratteristica tipica è la microcitosi sproporzionata rispetto al numero di eritrociti. Quindi, le β-talassemie minor e intermedia vanno in DD con le microcitosi. In caso di microcitosi si pensa ad uno stillicidio ematico, quindi ad un problema di carenza marziale e sanguinamento gastro-intestinale. Invece, se c’è microcitosi senza anemia, con livelli normali o lievemente ridotti di Hb, vi sarà un tratto talassemico. In questo caso non si deve intervenire, solo rassicurare il paziente. Nella maggior parte dei casi, la β-talassemia nelle varie forme non richiede trasfusioni nell’adulto. Nella forma intermedia c’è una tendenza ad emolisi nel sistema reticolo-endoteliale che comporta una tendenza al sovraccarico di ferro. Quindi, non bisogna supplementare con ferro un paziente talassemico, peggiorando la situazione. Uno dei parenchimi più sensibili al sovraccarico di ferro è il miocardio, con miocardiopatia da depositi di ferro che si può monitorare con RM cardiaca. α-talassemia Non si osserva in Italia; tuttavia la WHO stima che circa il 5,2% della popolazione mondiale abbia problemi genetici a carico delle catene α o β, per cui è una situazione piuttosto diffusa. Ci sono 2 geni per l’α globina in ciascun cromosoma 16, quindi ci sono 4 geni (αα/αα). L’α-talassemia è causata soprattutto da delezione di questi geni. Se tutti è 4 i geni sono deleti (--/--), vi è morte intrauterina (idrope di Bart), con presenza di HbBart (γ4) non funzionante. La forma HbH è presente se 3 geni sono deleti (--/-α); in questo ci può essere anemia moderata e segni di emolisi, con epatosplenomegalia, ulcere agli arti inferiori ed ittero. Vi saranno tetrameri β4 (HbH), dovuti all’eccesso di catene β. Se c’è delezione di 2 geni (--/αα or -α /-α), il paziente sarà un portatore sano, asintomatico, con diminuzione dell’MCV. Se c’è la delezione di un solo gene, il paziente sarà clinicamente sano. Anemia falciforme Malattia autosomica recessiva causata dalla produzione anormale di catene β, legata ad una sostituzione amminoacidica (Glu→Val) nel gene codificante per la catena β. Questa situazione è compensata dalla produzione di HbS, un’emoglobina anomala che sostituisce quasi completamente l’HbA fisiologica. emolisi si dosano reticolociti, aptoglobina, bilirubina indiretta, urobilinogeno e si ricerca la splenomegalia. In seguito, l’autoimmunità si indaga con il test di Coombs, diretto o indiretto. Il test di Coombs diretto, il più usato, evidenzia le emazie che hanno sulla membrana autoanticorpi che legano i recettori di membrana degli eritrociti, che sono emolizzati. Il test di Coombs indiretto svela la presenza di autoanticorpi liberi nel siero. Di solito, nelle anemie autoimmuni è positivo il test di Coombs diretto, ma si chiedono entrambi per avere un quadro completo. o AIHA negative al test di Coombs: anemie emolitiche autoimmuni secondarie ad HBV ed HCV, che possono avere evoluzioni imprevedibili, in particolare l’epatite C. o Infezioni: l’emolisi può essere causata direttamente da infezioni, come la malaria, in cui gli eritrociti sono invasi dai plasmodi e si emolizzano, ma il meccanismo non è autoimmune. o Anemia emolitica microangiopatica: è un’anemia con emolisi intravascolare, in cui delle microtrombosi a livello capillare determinano difficoltà nel passaggio degli eritrociti che si deformano ed emolizzano. Questo meccanismo si può trovare in varie malattie, come CID, PTT, sindrome uremico-emolitica, pre-eclampsia ed eclampsia. La CID (coagulazione intravascolare disseminata) è una complicanza non rara di sepsi, neoplasie diffuse (parte della sindrome da lisi tumorale) e parto, in caso di distacco di placenta. Vi è attivazione intra-vasale inappropriata del sistema sia emo-coagulativo che fibrinolitico, con alto rischio di emorragie e trombosi a livello di microcircolo. Il meccanismo inizia da questi microtrombi che causano intasamento e difficoltà nel passaggio delle emazie, con emolisi meccanica. Le forme rare, come PTT (porpora trombotico trombocitopenica) o sindrome uremico- emolitica, sono simili e colpiscono sistema gastrointestinale, reni o SNC. Si sospettano quando, in un paziente grave e compromesso, in terapia intensiva, c’è un’anemia emolitica associata a piastrinopenia, secondaria all’aggregazione piastrinica nel microcircolo. Questo meccanismo fisiopatologico è l’unico a correlare anemia emolitica e piastrinopenia. Anemia aplastica Raro disordine delle cellule staminali che porta a pancitopenia ed ipoplasia midollare, con interruzione della formazione di nuove cellule. È una manifestazione di malattia autoimmune (ad esempio nel LES) e si fa diagnosi tramite biopsia midollare che sarà ipo-cellulare. L’anemia aplastica spesso si associa a pancitopenia, ovvero una riduzione di tutte le serie cellulari ematiche, che si manifesta con: • Anemia: per diminuzione dell’Hb. • Infezioni: per neutropenia o leucopenia. • Diatesi emorragica: per piastrinopenia. Il quadro clinico è determinato soprattutto da complicanze infettive legate a neutropenia. Se il numero di neutrofili è <500/mm3, il paziente è ad alto rischio di infezioni. L’anemia aplastica è abbastanza rara, mentre la pancitopenia non lo è. Questo perché è presente anche in caso di leucemia acuta per invasione midollare da parte di cellule leucemiche. Per la terapia, è possibile stimolare, selettivamente o insieme, le 3 serie (eritrociti, piastrine e leucociti). I farmaci, che non sono applicati tutti contemporaneamente, sono: • Eritropoietina: stimola produzione di eritrociti; è usata nell’IRC. • Granulochine: stimola i leucociti; è usata in caso di grave leucopenia, legata di solito a neoplasie. • Trombopoietina: stimola le piastrine; è un fattore usato in situazioni di trombocitopenia particolari. Un’altra causa di pancitopenia, non legata ad invasione midollare ma periferica, è l’aumento di funzionalità splenica, che si esprime maggiormente con piastrinopenia, ma può coinvolgere le altre serie dando anemia e leucopenia. Infatti, la milza è deputata a sequestrare e catabolizzare tutte le serie ematiche. Le situazioni di splenomegalia che aumentano la distruzione di cellule ematiche definiscono un ipersplenismo, caratterizzato da iperattività nell’emocateresi. Un esempio di piastrinopenia da splenomegalia è la cirrosi epatica. Disordini della coagulazione Si dividono in diatesi emorragiche (correlate all’assunzione di Warfarin e cirrosi epatica) e trombofilie. Tempo di protrombina (PT) e tempo di tromboplastina attivata parziale (aPTT) Si valutano quando si esegue lo screening emo-coagulativo; oggi sono normalizzati basandosi sull’INR, una trasformazione standardizzata del tempo di protrombina. • Tempo di protrombina (PT): valuta il sistema estrinseco. Un aumento è tipico delle malattie epatiche, caratterizzate da problemi vitamina K dipendenti. Il PT è usato per monitorare il dosaggio di Warfarin; tuttavia, è stato superato con l’introduzione di nuovi farmaci anticoagulanti che non necessitano del dosaggio di INR o PT. • Tempo di tromboplastina attivata parziale (aPTT): valuta il sistema intrinseco. L’aumento selettivo di aPTT si osserva in certe malattie rare come l’emofilia, in cui il PT è normale. Se aumentano sia PT che aPTT è probabile che si tratti di una CID, con consumo di tutti i fattori della coagulazione. L’aPTT è utile per la valutazione della velocità di somministrazione di eparina non frazionata. Esistono 2 tipi di eparina: • Eparina frazionata a basso peso molecolare (es. Clexane): somministrata sottocute. Oggi, è quasi sempre indicata l’eparina a basso peso molecolare, che non necessita del monitoraggio con aPTT. • Eparina non frazionata: il vecchio sistema (ancora oggi usato) prevede l’infusione di eparina non frazionata/sodica, la cui velocità di infusione è decisa in base ai valori di aPTT. Le sindromi emorragiche possono essere dovute a: • Piastrinopenie (difetti piastrinici): valutabili con emocromo. Possono essere causate da farmaci, come nel caso della trombocitopenia indotta da eparina (HIT) o del vaccino AstraZeneca, che causa una piastrinopenia simile alla forma autoimmune. • Alterazioni dei fattori della coagulazione (difetti della coagulazione): possono essere congenite, come emofilia e malattia di von Willebrand, o acquisite, dovute a deficit di vitamina K o malattie epatiche (es. cirrosi epatica). Si studia con PT e aPTT. • Difetti vascolari: abbastanza rari, sono congeniti (es. Rendu-Osler) o acquisiti (es. da steroidi o vasculiti). La cirrosi epatica è mista, vi sono difetti piastrinici e della coagulazione. Bisogna distinguere la diatesi emorragica da piastrinopenia grave e da disturbi della coagulazione: • Piastrinopenia: si manifesta con sanguinamento delle mucose, come epistassi ed emorragia gengivale o gastrointestinale (più temibile), e sanguinamento intradermico, come petecchie (elementi singoli) o porpora (rash cutaneo) che compaiono improvvisamente. • Disturbi della coagulazione: vi sono ematomi; nell’emofilia vi sono tipicamente emartri, da piccoli traumi, ed artrosi, da emartro. Raramente vi sono petecchie. Petecchie e porpora I disturbi di parete vasale e piastrine si possono estrinsecare soprattutto con sanguinamenti mucosi e petecchie, ovvero micro-emorragie a livello di derma e cute. I disturbi della coagulazione si manifestano con ematomi. Porpora e petecchie sono la stessa cosa, ma differiscono per la dimensione: la porpora è un esantema purpurico, le petecchie sono i singoli elementi da emorragia intradermica. La porpora è causata da piastrinopenia, in cui vi sono stravasi intradermici senza componente infiammatoria, e patologie che provocano fragilità dei vasi con flogosi, come la vasculite, in questo vi è porpora palpabile. Un esempio di vasculite con porpora è la crioglobulinemia. Altro esempio di porpora da lesione vascolare è la porpora di Schönlein-Henoch, in cui vi è associazione di glomerulonefrite da IgA, vasculite dei piccoli vasi con eruzione purpurea diffusa, localizzazione articolare e dolore addominale da micro-infarti. Può essere una patologia pediatrica, ma anche del giovane adulto. Altri esempi di porpore sono: • Porpora senile: tipica degli anziani, che hanno emorragie sub-dermiche dovuta a fragilità vascolare. • Porpora da steroidi: dovuta alla somministrazione di steroidi per lungo tempo. • Porpore da piastrinopenia. Una situazione drammatica di ematomi e petecchie è la CID da Meningococco, con insufficienza cortico- surrenalica acuta dovuta ad infarcimento emorragico dei surreni (sindrome di Waterhouse-Friderich). Piastrinopenie Il valore normale delle piastrine è circa 150.000 /mm3, un livello <20.000/mm3 determina grave rischio emorragico, <50.000/mm3 una situazione di allarme, mentre se >50.000/mm3 non vi sono grandi problemi di emorragia. L’insorgenza brusca di porpora indica spesso un abbassamento delle piastrine <20.000/mm3. La malattia tipicamente interessa donne giovani che improvvisamente sviluppano petecchie e sanguinamento gengivale, con abbassamento delle piastrine all’emocromo <20.000/mm3. È una situazione d’allarme perché l’emorragia potrebbe interessare il distretto cerebrale causando danni irreversibili. Tra 50-150.000/mm3 il problema è solo diagnostico: il cirrotico con 100.000/mm3 piastrine da informazioni sulla progressione della patologia ma non è un’indicazione alla trasfusione piastrinica, eseguita solo per valori piastrinici molto bassi. Le piastrinopenie sono dovute a: • Ridotta produzione: pancitopenia, anemia aplastica, infiltrazioni midollari da leucemia o mieloma e soppressione midollare da farmaci citotossici o radioterapia. • Eccessiva distruzione: le 2 entità cliniche più importanti sono porpora trombocitopenica autoimmune e trombocitopenia indotta dall’eparina. o Non a mediazione autoimmune: da sequestro, come ipersplenismo (es. cirrosi epatica), o da microtrombi, come CID, porpora trombotica trombocitopenica e sindrome emolitica-uremica. o A mediazione autoimmune: da porpora trombocitopenica autoimmune, LES, secondaria a eparina o da cause virali. Porpora trombocitopenica autoimmune Vi è piastrinopenia (<20.000/mm3), associata a brusco sviluppo di porpora ed emorragie delle mucose, senza altre manifestazioni. Vi possono essere epistassi, sanguinamenti gengivali, melena, causata dal sanguinamento mucoso delle vie digestive alte. La diagnosi può essere confermata con il dosaggio degli Ab anti-piastrine che evidenzia un quadro autoimmune. La terapia di 1ª scelta si basa sull’uso di glucocorticoidi a dosaggio pieno, ovvero 1 mg/kg/die, quindi 60-70 mg/die. Vi sono altre terapie come trombopoietina o farmaci antitumorali. La trasfusione piastrinica è inutile perché le piastrine verrebbero eliminate rapidamente. Vi sono forme acute, croniche o recidivanti, che di solito interessano giovani donne. La gestione non è semplice perché implica l’uso prolungato di prednisone. In situazioni più gravi si esegue la splenectomia, che è la È importante il sistema di autoregolazione dell’emodinamica glomerulare, che dipende da arteriola afferente ed arteriola efferente. La regolazione dei calibri arteriolari è uno dei fattori più importanti nella regolazione della VFG: • Riduzione VFG: tramite contrazione dell’arteriola afferente e dilatazione dell’arteriola efferente. • Aumento VFG: tramite contrazione dell’arteriola efferente e dilazione dell’arteriola afferente. Per quanto riguarda i fattori che regolano il calibro delle arteriole: • La regolazione dell’arteriola efferente è dovuta all’angiotensina II, che determina una contrazione dell’arteriola efferente con aumento del filtrato, per aumento della pressione intra-glomerulare. ACE- inibitori e sartani inibiscono la contrazione dell’arteriola efferente, riducendo il filtrato per riduzione della pressione intra-glomerulare; determinano nell’immediato un aumento dei livelli di creatinina del 10-20%, ma a distanza di mesi/anni consentono la nefro-protezione. • La regolazione dell’arteriola afferente è dovuta alle prostaglandine, che determinano vasodilatazione dell’arteriola afferente. I FANS, inibendo la sintesi delle prostaglandine, determinano la costrizione dell’arteriola afferente, con riduzione del filtrato glomerulare. I FANS sono controindicati in caso di nefropatia perché un brusco calo della VFG può causare IRA. Vanno somministrati con cautela a tutte le persone, soprattutto agli anziani diabetici, che possono presentare una compromissione renale. La combinazione FANS e ACEi o sartani va sempre evitata, anche nelle persone sane; nel paziente nefropatico, è assolutamente controindicata, in quanto determina un peggioramento dell’IRA. Esami di laboratorio La creatinina è un derivato del metabolismo muscolare, eliminato dal muscolo in modo costante nell’arco della giornata. I livelli ematici di creatinina possono variare in funzione della massa muscolare: un valore di 1,4 mg/dl, ha significato diverso in un anziano (indice di danno renale) e in un giovane culturista (valore normale, data la massa muscolare). A livello renale la creatinina è filtrata liberamente, ma non viene né riassorbita né secreta a livello tubulare, per cui è un metabolita quasi ideale per valutare la funzionalità renale. Queste caratteristiche sono sfruttate per calcolare la velocità di filtrazione glomerulare (VFG), stimata sulla clearance della creatinina. In passato, la clearance della creatinina si calcolava misurando la concentrazione della creatinina nelle urine delle 24 h e rapportandola con la creatinina sierica. Oggi non si fa più (solo di alcuni reparti, come in ARTA), in quanto è un’indagine complessa che richiede la raccolta delle urine nelle 24 h. Per calcolare la VFG si usano 2 formule: • MDRD. • Equazione di Cockroft-Gault. Queste formule integrano il valore della creatininemia con determinate caratteristiche del soggetto, come età, sesso ed etnia. L’equazione di Cockroft-Gault considera anche il peso corporeo. Usando queste formule si ottiene un valore di VFG adeguato per eseguire una corretta valutazione clinica. Ciò che si sfrutta tramite l’uso di tali formule è la massa muscolare, in quanto è direttamente correlata alle variabili considerate, ossia età, sesso e peso. Per cui, la VFG è direttamente correlata con la massa muscolare. La creatininemia è inversamente proporzionale alla GFR: per valori di VFG normali, i livelli di creatininemia sono stabili, mentre in caso di brusca riduzione di VFG, vi è un notevole incremento della creatininemia. Il calcolo della VFG fornisce un’indicazione più sensibile del grado di IR, rispetto alla creatinina sierica. Infatti, soggetti con minor massa muscolare (anziani, donne) possono avere valori normali di creatinina sierica, nonostante una riduzione significativa di VFG. Questo può essere importante quando si somministrano farmaci nefrotossici o che sono eliminati per via renale. A scopo di ricerca si possono usare altri metodi per valutare la GFR: • Cromo52-EDTA. • Clearance dell’inulina. Si tratta di metodi per stimare la GFR più accurati della clearance della creatinina perché queste sostanze sono riassorbite meno a livello tubulare. Proteinuria Una volta si misurava la proteinuria nelle 24 h raccogliendo tutta l’urina di una giornata, ma era un’indagine impegnativa. Oggi, si calcola il rapporto albumina/creatinina in un campione di urina spot del mattino; in questo modo si stima il valore di albumina nelle 24 h, assumendo che la creatinuria nelle 24 h sia costante e rappresenti la massa muscolare. Lo stesso meccanismo si può usare per misurare altri metaboliti urinari, come gli ormoni eliminati per via urinaria (es. aldosterone, cortisolo, catecolamine). La proteinuria è caratterizzata dal riscontro di materiale proteico all’esame urine; si tratta del segno principale di danno renale nella CKD. Nella maggior parte dei casi, ciò che si trova nelle urine è albumina, quindi si parla di albuminuria, che può essere: • Micro-albuminuria (30-300 mg/die proteine urinarie): tipicamente in caso di nefropatia diabetica in fase iniziale, ma anche ipertensione essenziale. • Macro-albuminuria (300-3.500 mg/die): in caso di nefropatia diabetica in evoluzione, mieloma, glomerulonefrite (associata a ematuria) in fase iniziale e, raramente, ipertensione essenziale. Inoltre, vi sono forme benigne, come febbre, esercizio fisico e proteinuria posturale. • Proteinuria in range nefrosico (>3.500 mg/die): in caso di nefropatia diabetica, glomerulonefriti ed amiloidosi. Macro-albuminuria e proteinuria in range nefrosico hanno una differenza clinica: • Nella macro-albuminuria, i valori di albuminemia sono più o meno conservati e non ci sono aumenti di volume nello spazio interstiziale. • Nel range nefrosico, i valori di albuminemia sono bassi, determinando edemi e stato anasarcatico, tipico della sindrome nefrosica. Ematuria Altro possibile segno precoce di danno renale nella CKD è l’ematuria glomerulare, caratterizzata da cilindri eritrocitari ed emazie dismorfiche nel sedimento urinario. La deformazione delle emazie deriva dal loro passaggio attraverso la membrana di filtrazione glomerulare. Questa si ritrova nelle glomerulonefriti, piuttosto rare, ad eccezione della glomerulopatia da deposito di IgA (malattia di Berger). La micro-ematuria raramente può essere segno di glomerulopatia; in questo caso c’è una situazione nefritica, con flogosi. La presenza di sangue nelle urine può derivare da un punto qualsiasi del tratto urinario: • Ematuria intra-renale (glomerulare): si evidenzia con cilindri eritrocitari ed emazie dismorfiche. In presenza di ematuria glomerulare e proteinuria il danno glomerulare è certo. Le cause possono essere: o Pielonefriti. o Litiasi renale. o Trauma renale. o Rene policistico. o Glomerulonefrite. o Nefrite tubulo-interstiziale. o Carcinoma delle cellule renali. o Causa vascolare: vasculite, trombosi renale, ecc… • Ematuria extra-renale: è più frequente e può essere causata da: o Litiasi nelle vie urinarie. o Infezioni delle vie urinarie: uretriti, prostatiti, cistiti. o Trauma: ad esempio, da posizionamento di catetere Foley. o Neoplasie di prostata o vescica (di solito, vi è ematuria isolata). o Ematurie glomerulari, che riguardano soprattutto IRA e sindrome nefritica. Si distinguono macro-ematuria, in cui vengono colorate le urine, e micro-ematuria, in cui il ritrovamento di materiale ematico avviene tramite stick o microscopio. Nel caso di ematuria macroscopica bisogna valutare se è associata a sintomi urinari, come pollachiuria, stranguria o disuria. La glomerulonefrite non è accompagnata da sintomatologia urinaria, presente in caso di infezione urinaria e calcolosi delle vie urinarie. Non esiste calcolosi delle vie urinarie se non c’è una minima traccia di sangue nelle urine. L’ematuria è divisa in: • Ematuria asintomatica: possibile neoplasia a livello di rene o vescica. • Ematuria sintomatica: causata da calcolosi delle vie urinarie o infezione delle vie urinarie. Nello studio del paziente bisogna: • Valutare VGF, creatinina e proteinuria. • Considerare la possibilità di tumore, se vi è ematuria isolata. • Escludere cause transitorie, come mestruazioni ed elevato esercizio fisico. • Analisi delle urine alla ricerca di cellule infiammatorie/tumorali, cilindri o cristalli. • In pazienti in terapia anticoagulante/antiaggregante, non attribuire l’evento ai farmaci in 1ª battuta, ma indagare il caso. • Interpellare il nefrologo se il quadro è in rapido peggioramento o se ci sono proteinuria, cilindri o cellule dismorfiche. Alcuni casi di ematuria richiedono indagini più approfondite, che saranno portate avanti: • Dall’urologo se: o Pazienti di qualsiasi età con macroematuria o microematuria sintomatica. o Pazienti >40 anni con microematuria asintomatica persistente. • Dal nefrologo se: o Pazienti <40 anni, con ematuria visibile, urine marroni e recente infezione. o Pazienti <40 anni, con microematuria asintomatica persistente, PA>140/90, GFR<60 ml/min, ACR >30 mg/g o PCR >50 mg/l. Gli altri casi vanno seguiti con un controllo annuale che prevede stick urine, valutazione di proteinuria, VGF e PA. La presenza di ematuria suggerisce una nefrolitiasi se inizialmente c’è un tipico dolore intenso al fianco irradiato all’inguine. Se questo dolore è assente il sospetto è quello di infezioni delle vie urinarie, quindi si eseguono urinocoltura o stick urine che, se positivo per leucociti o nitriti può indirizzare verso l’infezione urinaria; poi l’urinocoltura può avviare verso la terapia specifica. Stick urine se vi sono fattori di rischio per la CKD, allora si può sviluppare una malattia cardiovascolare. Quindi, va trattata anche l’ipertensione arteriosa. • Stadio 3: oltre agli accorgimenti degli stadi precedenti, bisogna trattare le complicanze presenti: o Anemia. o Aumento fosforo. o Aumento PTH, quindi osteopatia fibrocistica con alterazione del calcio-fosforo. o Acidosi con iperkaliemia: K+ e H+ sono cationi, quindi in presenza di iperkaliemia vi è acidosi e viceversa. • Stadio 4: vi è la sindrome uremica, che richiede terapia dialitica. Oggi, è rara, in quanto la gestione della CKD dovrebbe essere tale da impedire l’evoluzione fino a questa sindrome. Un paziente in stadio 4, dovrebbe essere preparato alla dialisi, evitando di incorrere in questa grave complicanza. • Stadio 5 (end-stage renal disease, ESRD): la malattia renale è terminale ed irreversibile; ci sono solo 3 opzioni d’azione: o Dialisi: emodialisi e dialisi peritoneale. o Trapianto di rene: molti pazienti intraprendono questa via. o Terapia palliativa: quando il paziente non è trapiantabile e quando la dialisi sarebbe una scelta sproporzionata rispetto ad un’aspettativa di vita bassa (settimane-mesi). In caso di CKD vi è flogosi cronica sistemica, i cui marcatori sono PCR ed ipoalbuminemia, che è un fattore prognostico negativo. Questa flogosi può portare a diverse conseguenze: • Cardiopatia ischemica: la flogosi cronica è uno dei principali fattori di rischio. • Anemia: nel paziente nefropatico è dovuta, oltre alla carenza di EPO, alla flogosi cronica. • Stato di malnutrizione grave, che peggiora la prognosi: il paziente con IRC dovrebbe ricevere una dieta normo-proteica (0,8 g/kg) per non fornire un quantitativo proteico troppo elevato (accelera la progressione) o ridotto (peggiora malnutrizione). Quindi, ci si appoggia ad un dietista, che deve gestire quantità di proteine, carico acido (poche proteine animali, meglio vegetali), carica energetica (evitare che il paziente dimagrisca troppo) e livelli di fosfato (per impedire l’insorgenza di iperparatiroidismo). Indicazioni alla dialisi • Iperkaliemia (con acidosi), non gestibile con altri trattamenti. • Edema polmonare acuto e scompenso cardiaco acuto, non gestibili con i farmaci (es. diuretici): vi è sovraccarico del volume. • Sindrome uremica: è rara; è più probabile che vi sia indicazione alla dialisi in una fase precedente. Sindrome uremica Condizione rara, caratterizzata da molte manifestazioni cliniche; le più pericolose sono quelle cardiovascolari e respiratorie. È una sindrome complessa che si instaura quando le scorie azotate trattenute, tra cui l’urea, proveniente dal metabolismo degli amminoacidi, raggiungono concentrazione elevati. • Prurito. • Nausea, vomito, anoressia e diarrea da gastrite. • Neuropatia periferica: presente in fasi meno avanzate. • Encefalopatia uremica: nelle fasi estreme esiste il coma uremico. • Irritazione sierose: pericardite e pleurite possono essere i primi segni di manifestazione. • Complicanze metaboliche: per il mancato smaltimento di acido urico, con precipitati di urati. • In fase terminale, il paziente non riesce a gestire i volumi di fluidi e il sodio, con insufficienza cardiaca ed edema polmonare acuto. • Ipertensione. • Ipotiroidismo. • Osteodistrofia renale. • Alterazioni dell’apparato riproduttivo. • Suscettibilità alle infezioni: causata da immunosoppressione. • Coagulopatia: compromissione della funzione piastrinica, con tendenza al sanguinamento. Ipertensione arteriosa L’ipertensione arteriosa è causa di IRC e viceversa. Il cut-off per iniziare la terapia dell’ipertensione nel nefropatico cronico è 130/80 mmHg, più basso rispetto al normale. Infatti, il controllo della PA è fondamentale nel paziente nefropatico cronico e va trattata con aggressività. I farmaci da usare sono: • ACE inibitori e sartani: vanno sempre usati, interferiscono con l’ATII, dilatando l’arteriola efferente, con riduzione della pressione di filtrazione e protezione del glomerulo, rallentando il peggioramento della GFR. Questi farmaci inducono una riduzione in acuto della pressione intra-glomerulare, con aumento dei valori della creatinina di circa 0,2-0,3 mg/dl dopo 2-3 giorni dall’inizio della terapia, con apparente peggioramento della funzione renale. Anche se l’aumento della creatinina nei primi giorni corrisponde ad una riduzione della VFG, la curva di decrescita si appiattisce nei mesi-anni successivi. Quindi, è normale un aumento del 30% dei valori della creatinina sierica nei primi giorni della terapia: questo aumento in un paziente con funzione renale normale è poco rilevante, mentre in un paziente con IR in stadio 3 e 4 può determinare peggioramento definitivo della funzione renale. Quindi, l’uso di ACEi e sartani in pazienti con IRC in stadio 3 e 4 va riservato al nefrologo. • Diuretici: si usano i diuretici dell’ansa (furosemide), che vanno usati obbligatoriamente se la VGF è <30 ml/min. In queste fasi di patologia il diuretico tiazidico non è efficace. • b-bloccanti e calcio antagonisti: se gli altri farmaci non sono sufficienti a raggiungere il target pressorio, si passa a questi farmaci che sono neutri sulla funzione renale. I b-bloccanti sono poco efficaci sulla PA, mentre i calcio antagonisti, come l’amlodipina, sono molto efficaci. Sindrome cardio-renale In un edema polmonare acuto, la creatinina tende ad aumentare. In caso di SC, il rene è uno degli organi più sensibili alla ridotta perfusione e reagisce modificando l’emodinamica renale, aumentando la creatinina e sviluppando un’IRA. Esiste una relazione biunivoca tra SC ed IR, sia in cronico che in acuto. • Sindrome cardiorenale di tipo I: consiste in un’IRA che deriva da uno scompenso cardiaco. • Sindrome cardiorenale di tipo II: consiste in un IRC che deriva da uno scompenso cardiaco. • Sindrome cardiorenale di tipo III: si ha prima un’IRA e secondariamente uno scompenso cardiaco. • Sindrome cardiorenale di tipo IV: si sviluppa uno scompenso cardiaco in corso di IRC. Si osserva in pazienti che sono in fase terminale: non riescono più a gestire fluidi e sodio, sviluppando uno SC, in cui il cuore non riesce ad assicurare una normale perfusione tissutale. Complicanze cardiovascolari In pazienti con IRC è importante la gestione dei fattori di rischio cardiovascolari, in quanto possono facilmente andare incontro a complicanze cardiovascolari. Nelle linee guida, il rischio cardiovascolare è stratificato in base anche alla presenza di IRC: avere un’IRC equivale ad aver già avuto un evento cardiovascolare. Quindi, è fondamentale fare prevenzione primaria e secondaria, abbassando il colesterolo, controllando la pressione, facendo attività fisica, ecc… I fattori da considerare sono: • Peso. • Fumo. • Anemia. • Attività fisica. • Ipertensione arteriosa. • Dieta: raccomandata una dieta iposodica (<2,4 g/die). • Dislipidemia: si usano statine ad alta intensità ed eventualmente gli inibitori di PCSK9. • Proteinuria: fattore di progressione della nefropatia; è una delle cause di riduzione della funzione renale. I farmaci da usare in caso di proteinuria sono ACEi e sartani. • Diabete mellito: in fase di micro-albuminuria, è fondamentale il controllo della glicata; in fase di macro-albuminuria, il controllo non è più così necessario, in quanto si è in una fase irreversibile. Con VFG <30 ml/min non si usa la metformina: si possono usare la repaglinide o, più spesso, l’insulina. Anemia Il controllo dell’anemia in caso di nefropatia si esegue somministrando eritropoietina (EPO), un ormone potente, quindi bisogna fare attenzione al suo utilizzo. In caso di nefropatia, si somministra quando i valori di Hb <10 g/dl ed i livelli di Hb vanno tenuti sotto i valori normali, circa 10-11 g/dl. Infatti, normalizzare i valori di Hb può aumentare il rischio di infarto miocardico e mortalità cardiovascolare. Quando si inizia una terapia con EPO in un paziente nefropatico, vi è brusca stimolazione dell’eritropoiesi, con rapida depauperazione dei depositi di ferro. Quindi, bisogna supplementare ferro, preferibilmente per EV. Iperparatiroidismo secondario Vi è produzione di PTH da parte delle paratiroidi, stimolate dalla presenza di ipocalcemia le cui cause sono trattabili e sono: • Iperfosfatemia: causata dalla mancata eliminazione nell’IRC. L’organismo tende a mantenere il prodotto calcio-fosforo: se il fosforo è trattenuto, il calcio è eliminato, con ipocalcemia. • Mancata attivazione vitamina D: è introdotta con la dieta sotto forma di precursore e si attiva con i raggi solari. In seguito si attiva ulteriormente tramite idrossilazione: o A livello epatico, in posizione 25: 25 idrossi-colecalciferolo. o A livello renale, in posizione 1: 1,25 diidrossi-colecalciferolo. La vitamina D attivata determina riassorbimento intestinale di calcio; quindi, la sua mancata attivazione porta a mancato assorbimento intestinale di calcio. In caso di nefropatia cronica non vi è ipocalcemia grave, anzi la calcemia può essere nella norma, in quanto il PTH è efficace nel normalizzare la calcemia. Il PTH favorisce il rilascio di calcio dalle ossa, portando però ad osteoporosi, che nelle forme gravi può diventare osteopatia fibrocistica: vi è importante rimaneggiamento osseo, con formazione di cisti ossee ripiene di tessuto fibroso. L’osteopatia fibrocistica non si vede quasi più data l’efficacia delle cure; è più frequente l’osteoporosi, con rischio di fratture patologiche e dolore al rachide. La terapia dell’ipocalcemia prevede: • Supplementazione di vitamina D attivata (vitamina D3): sotto forma di olio, una volta alla settimana o al mese, ad un dosaggio di 25.000-50.000 UI. • Tenere basso il fosforo: o Dieta con alimenti a basso contenuto di fosforo: bisogna evitare alimenti processati di origine industriale e animale (es. insaccati), cioccolato, bevande gassate, molluschi e crostaci, carni rosse, latte e derivati. La dieta del nefropatico grave si deve basare su proteine vegetali (cereali e legumi), frutta e verdura. Complicanze Le complicanze si sviluppano generalmente con questa sequenza: • Stadio 2 (o stadio 3 iniziale): ipertensione. • Stadio 3: iperparatiroidismo. • Stadio 3 finale: anemia. • Stadio 3 finale (o stadio 4): aumento del fosforo, che complica l’iperparatiroidismo. Una complicanza dell’IR che si sviluppa in parallelo all’iperkaliemia è l’acidosi metabolica; entrambe si manifestano in fase abbastanza avanzata, alla fine del III stadio. Dieta nel paziente nefropatico Dovrebbe avere un contenuto proteico normale, di 0,8 g/kg: se l’eccesso proteico accelera la nefropatia, una sua riduzione eccessiva accelera la perdita di massa muscolare e la malnutrizione. Infatti, l’IRC è una delle situazioni in cui il fabbisogno energetico è più elevato; quindi, il paziente va adeguatamente nutrito, preferendo la nutrizione enterale. Una dieta iperproteica accelera l’IRC per un meccanismo di autoregolazione di emodinamica glomerulare. Se si misura la VFG basale e dopo carico proteico, la liberazione di amminoacidemia causa un brusco aumento di VFG per aumento della pressione intra-glomerulare. Quindi, una dieta iperproteica protratta per mesi o anni espone il nefrone ad un aumento cronico della pressione di filtrazione, con progressione della malattia. È importante controllare i fosfati per il rischio di iperparatiroidismo primario e l’origine vegetale delle proteine. Prescrizione di farmaci in pazienti con IRC Alcuni farmaci, eliminati per via renale, vanno aggiustati in dosaggio. • Digossina (Lanoxin): vi sono varie formulazioni per offrire una dose adatta al paziente in IRC. • Molti antibiotici (cefalosporine, amminoglicosidici, b-lattamine). • Eparina. • DOAC. • Litio. Alcuni farmaci devono avere una riduzione del dosaggio per la clearance renale, altri possono provocare IRA, come FANS ed ACEi. Vi sono farmaci di cui si deve aumentare il dosaggio in caso di IRC, come la furosemide. Infatti, il nefrone diventa progressivamente insensibile alla furosemide, per cui è necessario aumentare le dosi (si arriva fino a 250-500 mg, rispetto ai 20-25 mg usati in caso di funzione renale normale). Se il paziente è dializzato, la furosemide non è necessaria. I diuretici tiazidici non sono efficaci in quanto non determinano perdita di sodio rilevante. In caso di DMT2, gli ipoglicemizzanti orali non possono essere somministrati nel IV stadio di IRC (talora fanno eccezione le glinidi); quindi bisogna somministrare insulina. In caso di ipertensione, gli ACE-inibitori sono utili ma richiedono un controllo specialistico a causa degli effetti sull’emodinamica renale; inoltre, possono contribuire all’iperkaliemia, complicanza della CKD. Le statine sono fondamentali e vanno ottimizzate in quanto la negatività della prognosi dei pazienti con CKD è correlata ad eventi cardiovascolari; l’IRC è probabilmente il fattore di rischio principale per lo sviluppo di cardiopatia ischemica. Insufficienza renale terminale Il numero di pazienti che va trapiantato è sempre più alto. Sarebbe opportuno non iniziare la dialisi se è programmato un trapianto di rene, poiché la prognosi in questo caso è migliore. La dialisi è una procedura poco salutare perché impone uno stato di flogosi cronica. Il fatto che il sangue passi tramite impianto dialitico e membrane di dialisi, causa attivazione delle cellule del sangue in senso pro- flogistico, aumentando il rischio cardiovascolare. Vi è un aumento di aterosclerosi con cardiopatia ischemica accelerata, immunodepressione, con infezioni, ecc… quindi la mortalità dei paziente in dialisi è elevata, soprattutto per queste 2 complicanze. La soluzione è ottenere un trapianto prima di dover iniziare la dialisi. Vi è una quota di pazienti che non riceve né trapianto né dialisi poiché la speranza di vita è di settimane o mesi; in questo caso il trattamento è conservativo, prevenendo un’eccessiva acidosi con una dieta adeguata. La dialisi è una procedura che depura il sangue dalle tossine uremiche; tuttavia il concetto di tossina uremica è vago. Ne esistono varie, tra cui la più importante è l’urea, ma nessuno ha mai associato un disturbo specifico ad una tossina specifica. Vi sono 3 tipi di dialisi: la dialisi peritoneale è il sistema preferito, anche se è eseguita solo nella metà dei pazienti, mentre l’altra metà è in emodialisi. Il vantaggio della dialisi peritoneale è che il paziente può stare a casa; nell’emodialisi invece deve venire 3 volte/sett in ospedale per fare la seduta dialitica. Invece, i pazienti con IRA, che necessitano di seduta dialitica urgente, eseguono l’emo-filtrazione. Per avere un’emodialisi, bisogna creare una fistola A-V (nel braccio o avambraccio), per arterializzare una vena. Questa vena con flusso ematico arterioso è incannulata e questa parte va alla macchina di dialisi. C’è una cannula che va nel versante venoso per restituire il sangue. Nei pazienti in terapia intensiva, che necessitano di emo-filtrazione non si apre una fistola ma si incannula una grossa vena, preferibilmente la giugulare, è lì c’è un sistema sia per aspirazione che re-infusione di sangue. L’emo-filtrazione è usata nel paziente critico e provoca meno instabilità emodinamica rispetto all’emodialisi (tipico effetto collaterale è un’ipotensione anche grave). Nell’emodialisi c’è il problema delle complicanze legate a fistola ed accesso venoso (trombosi, infezione). La dialisi peritoneale ha come effetto collaterale la peritonite, perché non usa membrane artificiali ma il peritoneo come membrana semipermeabile dialitica. Si posiziona un catetere a permanenza nel peritoneo e c’è un liquido che entra nel peritoneo che è aspirato. Le complicanze della dialisi sono gravi, infatti la mortalità annuale è del 20%. Le cause principali sono malattie cardio-vascolari, malnutrizione, infezioni, osteoporosi ed amiloidosi secondaria, da attivazione cronica della flogosi sistemica, con deposito di proteine della flogosi nei tessuti. Inoltre, vi è aumento di neoplasie maligne. Equilibrio acido-base Il pH arterioso sistemico è mantenuto 7,35-7,45 da tamponi chimici extra- ed intracellulari, e meccanismi respiratori e renali. Il pH è regolato da 3 sistemi: • Sistemi tampone chimici dei liquidi corporei: si combinano con un acido o una base evitando eccessive variazioni della concentrazione di ioni H+. Questo sistema si attiva per primo ma si esaurisce in modo rapido ed è inutile in caso di grave alcalosi e acidosi; infatti, non eliminano valenze acide o basiche ma tengono legato lo ione H+ finché l’equilibrio non si è ristabilito. Il sistema tampone più importante nel sangue è costituito dal bicarbonato di sodio (sale) e dall’acido carbonico (acido debole). • Centro del respiro: regola l’eliminazione di CO2, quindi dell’acido carbonico dai liquidi corporei. La risposta respiratoria richiede una decina di minuti. La regolazione della PaCO2 è a carico di SNC e sistema respiratorio. • Reni: tramite l’urina possono eliminare sia valenze acide che basiche. È il sistema che si instaura più lentamente (alcune ore) ma con azione più duratura nel tempo, più potente ed efficace. Il rene è il principale responsabile dell’assorbimento del bicarbonato (base). L’equazione di Henderson-Hasselbalch descrive le componenti metaboliche e respiratorie regolanti il pH. La CO2 è un acido perché a contatto con l’acqua forma acido carbonico, che a sua volta si separa formando bicarbonato (base debole) ed ione idrogeno. I bicarbonati sono delle basi e sono il principale sistema tampone. Normalmente, la produzione e l’escrezione di CO2 sono bilanciate e la PaCO2 è mantenuta a 40 mmHg. La ridotta escrezione di CO2 causa ipercapnia mentre l’eccessiva escrezione porta ad ipocapnia. La PaCO2 è regolata dal SNC e non dipende tanto dalla produzione di CO2; infatti le condizioni di ipercapnia sono di solito dovute ad ipoventilazione: variazioni della PaCO2 riflettono alterazioni del controllo nervoso della respirazione o sono dovuti a meccanismi compensatori in risposta a primitive variazioni di HCO3 - plasmatico. Il sistema respiratorio, modificando la frequenza respiratoria, influenza la regolazione del pH in caso di alterazioni metaboliche: valori di pH <7,35 stimolano un aumento della ventilazione, con eliminazione di CO2 e, quindi, di valenze acide. Una diminuzione della PaCO2, che comporta un aumento del pH, determina una diminuzione degli atti respiratori; questo meccanismo è limitato in quanto gli atti respiratori non possono diminuire sotto una certa soglia. I reni regolano il pH plasmatico eliminando urine acide o basiche. Se sono secreti nell’urina concentrazioni di H+ maggiori di quelle di HCO3 -, vi sarà eliminazione di valenze acide, con urine acide. Il rene, inoltre, riassorbe bicarbonato (il più importante tampone del sangue), garantendo il mantenimento di un pH costante, infatti, fisiologicamente, quasi tutto il bicarbonato filtrato è riassorbito. Inoltre, il rene elimina gli acidi non volatili prodotti del catabolismo, che non possono essere eliminati dai polmoni. I reni regolano la concentrazione di H+ nel liquido extracellulare tramite: • Secrezione H+. • Riassorbimento HCO3 -. • Produzione di nuovo HCO3 - (tramite escrezione di ammonio). I 2 meccanismi sono legati tra loro, per ogni molecola di HCO3 - riassorbita deve essere secreto un H+. In caso di alcalosi vi è riduzione dell’eliminazione di H+ ed aumento dell’eliminazione di HCO3 -; in caso di acidosi, aumenta l’eliminazione di H+ e l’assorbimento di HCO3 -. Un altro meccanismo che porta alla produzione di bicarbonato a livello renale è quello mediato dall’ammonio e dall’ammoniaca (derivanti dal metabolismo della glutammina): l’ammoniaca reagisce con H+ e forma lo ione ammonio, che è secreto nelle urine e per ogni ione ammonio secreto è prodotto un HCO3 -; in questo modo si eliminano valenze acide e si produce bicarbonato. Gli stimoli più importanti che determinano l’aumento della secrezione di H+ sono: • Aumento della PaCO2 nel liquido extracellulare nell’acidosi respiratoria. • Aumento della concentrazione di H+ nei liquidi extracellulari nell’acidosi metabolica. La secrezione di H+ è accoppiata al riassorbimento di Na+, quindi fattori che stimolano il riassorbimento di Na+ (ipovolemia), determinano un aumento della secrezione di H+ e un riassorbimento di HCO3 -. Acidosi Condizione caratterizzata da riduzione del pH plasmatico: • Acidosi respiratoria: aumento iniziale di PaCO2, con diminuzione del pH. La risposta compensatoria è un aumento del bicarbonato plasmatico, riassorbito e generato dal rene, che compensa l’aumento dell’equilibrio acido-base; nei disturbi misti ci sono più processi coesistenti. Se i compensi attesi calcolati secondo pCO2 e HCO3 - non sono rispettati, ci si trova di fronte ad un disturbo misto. Per l’EGA si usano siringhe eparinizzate, inoltre l’arteria ha una pressione tale che il sangue, una volta eseguita la puntura, fluisce spontaneamente senza bisogno di aspirare. Le arterie punte di solito sono arteria radiale, arteria omerale, mediale al tendine del bicipite, vicino alla piega del gomito, e arteria femorale, usata come ultima possibilità, in quanto passa vicino al nervo ed è più difficile da comprimere; inoltre, vi è rischio più alto di emorragia ed infezioni. L’arteria omerale non è la prima scelta perché non vi è un circolo collaterale che possa supplire ad essa in caso di lesione arteriosa importante. La siringa si impugna come se fosse una matita, con angolo di 45°: questo permette alla parete muscolare arteriosa di guarire prima. Gap anionico La concentrazione di anioni e cationi nel plasma dev’essere uguale per mantenere la neutralità elettrica. Il catione più importante è il sodio, mentre gli anioni più frequenti solo cloro, bicarbonati ed altri. Il gap anionico è la parte di anioni non misurabile nell’emogas e corrisponde alla differenza tra sodio (Na+) e la somma degli anioni (Cl- e HCO3 -). Normalmente, il gap anionico ha valore di 8-16 mmol/l; se vi è ipoalbuminemia bisogna sommare al risultato ottenuto 2,5 x (differenza tra albumina normale e misurata). Ad esempio, nella cheto-acidosi diabetica, i chetoacidi non sono misurabili, per cui il gap anionico aumenta. Lo spazio deriva soprattutto dalla riduzione dei bicarbonati, che sono consumati, che lascia la possibilità di aumentare la quota di anioni dovuta ai chetoacidi. Se c’è perdita di bicarbonati, senza valenze acide aggiunte, allora il cloro aumenta. Infatti, c’è un trasportatore a livello basolaterale che scambia HCO3 - e Cl-, quindi vi è contemporanea riduzione di HCO3 - ed incremento di Cl-. Le acidosi metaboliche possono essere: • Acidosi a gap anionico aumentato (consumo HCO3 -): aggiunta di valenze acide per produzione aumentata o escrezione ridotta. Le acidosi più frequenti sono: o Cheto-acidosi diabetica: aumento dei chetoni. o Insufficienza renale cronica: aumento degli urati. o Farmaci: salicilati, biguanidi, glicol etilene, metanolo. o Acidosi lattica: in tutte le situazioni di ipoperfusione periferica (sepsi, shock, ecc…). • Acidosi a gap anionico mantenuto (perdita HCO3 -) si eliminano bicarbonati ed aumenta il cloro. Per questo si definiscono acidosi metaboliche ipercloremiche. o Diarrea. o Acidosi tubulare renale (rara). Nell’insufficienza renale, vi può essere acidosi metabolica, a gap anionico aumentato o mantenuto. Questi meccanismi possono coesistere perché vi può essere un’incapacità ad eliminare le valenze acide (urati, fosfati) che porta a gap anionico aumentato e, contemporaneamente, un’incapacità dei tubuli renali a gestire i HCO3 -, con loro perdita (acidosi tubulare renale). Di solito, una delle 2 condizioni è prevalente. La maggior parte del K+ è intracellulare e quindi i livelli di potassio sierici sono un indicatore poco accurato del potassio totale. La concentrazione di K+ e H+ nei liquidi extra-cellulari tende a variare insieme. Questo perché questi ioni competono nello scambio con Na+ attraverso la membrana cellulare e a livello di tubulo renale distale, dove Na+ è riassorbito dalle urine. Quindi, se i livelli di H+ sono elevati, meno K+ sarà escreto nelle urine. Inoltre, vi sarà un accumulo di K+ extra-cellulare. Quindi, in caso di acidosi, vi sarà iperkaliemia e viceversa; in caso di alcalosi, vi sarà ipokaliemia e viceversa. Insufficienza renale acuta È definita come rapida riduzione della funzione renale, nell’arco di ore o giorni, con perdita della funzione di mantenimento di volume dei liquidi, elettroliti ed equilibrio acido-base. Si definisce con: • Aumento della creatinina di >1,5 volte il valore basale (una volta si usava solo questo criterio). • Output di urine <0,5 ml/kg/h (oliguria) per >6 h consecutive. • Aumento della creatinina >0,3 mg/dl in 48 h. Quindi, misurando una creatinina estemporanea, se risulta del 50% più elevata rispetto ad un valore precedente si fa diagnosi; se non ci sono riferimenti si considera l’aumento di almeno 0,3 mg/dl. L’altro criterio è l’oliguria a distanza di qualche ora; tuttavia, vi sono IRA con aumento della creatinina, ma diuresi mantenuta. A differenza dell’IRC, nell’IRA la VFG non è utile: se in un paziente si azzera all’improvviso la VFG (per un evento acuto), passerà qualche giorno prima che la creatinina aumenti; quindi quest’ultima non è un buon marcatore di VFG. Si sfrutta, quindi, la crescita della creatinina nel tempo o la contrazione della diuresi. Fattori di rischio per AKI Il rischio di AKI sopraggiunge in tutti i pazienti ricoverati in ospedale. Vista l’elevata incidenza e l’aumentata mortalità, tutte le ammissioni in ospedale dovrebbero prevedere una valutazione del rischio di AKI. I maggiori fattori di rischio sono: • Diabete. • Età >75 anni. • Scompenso cardiaco. • Storia di sintomi urinari. • Patologia epatica cronica. • Malattia vascolare periferica. • Farmaci, soprattutto se iniziati da poco. • Insufficienza renale cronica: si parla di IRA su IRC. • Sepsi: causa più frequente di AKI nel paziente ospedalizzato. • Disidratazione: per ridotto introito di fluidi o perdita di fluidi aumentata. È importante mantenere una diuresi adeguata nel paziente che deve sottoporsi alla diagnostica con mezzo di contrasto. Possibili meccanismi concorrenti all’IRA: • ACE-inibitori e sartani: nefrotossici. • Mezzo di contrasto (es. coronarografia): possono causare danno tubulare. • Antibiotici: ad esempio, amminoglicosidici, vancomicina e b-lattamici. • Ipotensione (es. da nitroglicerina): porta a riduzione della contrazione del volume efficace. • Aspirina: fa parte dei FANS, che sono nefrotossici, interferendo con l’emodinamica glomerulare. • Cateterizzazione arteriosa: l’arteriografia si esegue a partire dall’arteria femorale, quindi, potrebbe verificarsi un’embolia al passaggio a livello dell’arteria renale. L’ACEi è importante per prevenire la progressione dell’IRC, ma è controindicato nell’IRA, così come i FANS. Se bisogna normalizzare la PA in un individuo con IRA si possono usare nitroglicerina per EV, in emergenza, e calcio-antagonisti, in condizioni stabili. Per il mantenimento dei volumi circolanti, si può somministrare fisiologica in caso di deplezione di volume o furosemide in caso contrario (paziente pletorico). Fisiopatologia AKI Perché si possa instaurare un’IRA il danno deve colpire almeno il 50% del parenchima renale. • IRA pre-renale: sostenuta dai seguenti meccanismi: o Ipovolemia: ad esempio, per emorragia acuta o disidratazione grave, da vomito o diarrea. o Diminuzione del volume effettivo circolante: vi è ipervolemia (pletora). § Scompenso cardiaco: la non contrattilità miocardica causa ridotta perfusione renale. § Insufficienza epatica: vi può essere sindrome epato-renale, che si sviluppa quando, per motivi ormonali, splancnici ed emodinamici, il volume di perfusione efficace del glomerulo, ossia dell’arteriola afferente, si riduce. o Autoregolazione renale compromessa: ad esempio, da farmaci, come FANS, ACEi e sartani. Se si riduce il volume di perfusione glomerulare, per mantenere costante la VFG vi sono 2 meccanismi di compenso: vasodilatazione dell’arteriola afferente (mediata da prostaglandine) e vasocostrizione di quella efferente (mediata da ATII). In una situazione di ridotta pressione di perfusione glomerulare, i FANS riducono la produzione di prostaglandine, mentre ACEi e sartani inibiscono ATII. • IRA parenchimale (intrinseca): la microscopia del sedimento urinario è utile per differenziare i vari tipi di nefropatia parenchimale. o Glomerulare: in caso di glomerulonefrite acuta, ossia uno stato di flogosi del glomerulo, che è infiltrato da molte cellule infiammatorie, con riduzione del volume di filtrazione. o Tubulare ed interstiziale: tubuli ed interstizio sono un’unità sola e sono connessi. § Necrosi tubulare acuta: è la causa più frequente, vi è danno dell’endotelio tubulare. § Nefrite interstiziale acuta. Le cause possono essere: § Nefro-tossine endogene: • Emoglobina: nell’emolisi intravascolare (es. trasfusioni incompatibili). • Mioglobina: nella rabdomiolisi, ad esempio per grandi traumi o compressione muscolare nell’anziano che cade a terra e non riesce ad alzarsi (il peso corporeo comprime in modo sostenuto i distretti muscolari). Il marker della rabdomiolisi è la CPK (creatin-fosfochinasi), ma la complicanza principale della stessa è l’AKI, con iperkaliemia. • Catene leggere: in caso di mieloma multiplo (possono infarcire i tubuli). • Cristalli di acido urico: non nell’attacco di gotta, bensì in caso di rilascio massivo nella sindrome da lisi tumorale, con aumentata produzione di urati. § Nefro-tossine esogene: ad esempio, antibiotici (es. amminoglicosidici) e mdc iodati (se bisogna usare un mdc, bisogna idratare e sospendere la metformina). § Sepsi: causa più frequente di AKI nel paziente ospedalizzato, con meccanismo misto: • Meccanismo pre-renale: visto il calo pressorio presente nello shock settico. Infatti, tutte le cause di shock conducono ad IRA pre-renale. • Meccanismo intrinseco: se lo shock è grave, determina ischemia, con necrosi tubulare acuta. Inoltre, l’agente infettivo può danneggiare l’interstizio, dando nefrite interstiziale, che può essere causata anche da alcuni antibiotici. § Ischemia. o Vascolare: • Valutare lo stato di volume: turgore giugulare, PA, congestione polmonare, edemi periferici, ecc…. • Mantenere un adeguato bilancio di fluidi: la causa potrebbe essere una deplezione o un eccesso di volume, quindi bisogna mirare all’euvolemia. Se c’è ipervolemia, si somministrano diuretici; se c’è ipovolemia, si somministrano liquidi ed, eventualmente, inotropi (es. dobutamina). Anche nella necrosi tubulare acuta vanno somministrati liquidi per accelerare la guarigione del tubulo. • Interrompere i farmaci nefrotossici (es. FANS, ACEi, antibiotici e metformina): possono essere la causa dell’IRA o possono peggiorare il quadro. • Monitoraggio: vanno monitorati creatinina e bilancio idrico. Bisogna rivolgersi al nefrologo se: o Malattia sistemica. o Iperkaliemia ed oliguria. o Sospetta glomerulonefrite, con ematuria e proteinuria. o Urea >40 mmol/l, con o senza segni di uremia (pericardite). o Iperkaliemia e sovraccarico di fluidi non responsivo alla terapia medica. • Nutrizione: bisogna somministrare una dieta iperproteica (1,5-2,0 g/kg/die di proteine), intake calorico normale; si può considerare il sondino. L’IRA grave è una situazione di grande catabolismo, per cui il problema del carico proteico che peggiora la funzione renale che vale per l’IRC, non vale nell’IRA. Se è necessario un trattamento dialitico durante AKI si usa l’emo-filtrazione. I casi in cui è necessaria sono: • Iperkaliemia associata ad acidosi metabolica. • Acidosi metabolica non responsiva al trattamento. • Edema polmonare persistente nonostante il trattamento farmacologico. • Sindrome uremica (es. vomito, asterixis, encefalopatia, pericardite, convulsioni). • Gravi alterazioni elettrolitiche non possono essere altrimenti controllate (es. potassio >6 mmol/l). Glomerulonefrite Si tratta di una flogosi di glomeruli e nefroni, che può portare ad IRC terminale. La flogosi porta a: • Danno glomerulare: riduzione del flusso ematico ed aumento compensatorio della PA per mantenere la velocità di filtrazione glomerulare. • Danno al meccanismo di filtrazione glomerulare: comporta proteinuria e/o ematuria. • Perdita della capacità di filtrazione: implica insufficienza renale acuta. A seconda del grado di flogosi e danno, e della causa, i pazienti possono presentare uno spettro di condizioni: • Pressione arteriosa: da normale ad ipertensione maligna. • Funzionalità renale: da normale a compromissione severa. • Stick urine: può rilevare da proteinuria lieve a range nefrosico; da ematuria lieve a macroematuria. Meccanismi fisiopatologici • Deposizione di immunocomplessi: lungo la membrana basale glomerulare nello spazio subendoteliale o formazione in situ di immunocomplessi nello spazio subepiteliale. Le cause includono: o Nefropatia da IgA. o Glomerulonefrite membrano-proliferativa. o Glomerulonefrite post-infettiva (es. post-streptococcica). o Glomerulonefriti secondarie: crioglobulinemia (HCV), nefrite lupica e endocardite. Gli immunocomplessi attivano il complemento a richiamano macrofagi, neutrofili, e linfociti T nel glomerulo. La membrana basale è danneggiata con eventuale proliferazione endo- o extra-capillare. • Produzione di anticorpi anti-membrana basale glomerulare, limitati al rene o associati ad emorragia polmonare (sindrome di Goodpasture). Il danno è correlato all’azione degli auto-Ab contro il collagene tipo IV nella membrana basale glomerulare e nella membrana alveolare • Vasculiti dei piccoli vasi ANCA positive: il danno tissutale riflette un processo immunitario cellulo- mediato. Un esempio è la granulomatosi con poliangioite di Wegener, una vasculite necrotizzante sistemica dei piccoli vasi associata a formazione di granulomi peri-vascolari, in diverse sedi, tra cui rene e polmone (più frequenti). Si rilevano anticorpi c-ANCA. La poliangioite microscopica è un’altra vasculite pauci-immunitaria che causa glomerulonefrite acuta. In questo caso si rilevano anticorpi p-ANCA. • Ipertensione sistemica: può produrre stress pressorio ed ischemia che portano a glomerulosclerosi cronica. L’ipertensione maligna può complicare rapidamente glomerulosclerosi con necrosi fibrinoide di arteriole e glomeruli, microangiopatia trombotica ed IRA. • Microangiopatia trombotica: vi sono trombosi delle arteriole e dei capillari, con danno dell'endotelio. Vi è trombocitopenia, dovuta all’incorporazione di piastrine nei trombi nel microcircolo ed anemia emolitica, dovuta alla frammentazione degli eritrociti e all’aggregazione in maglie di fibrina nel microcircolo. È il caso di sindrome uremico-emolitica (danno alle cellule endoteliali causato da infezioni, farmaci, cellule neoplastiche, ecc…) e porpora trombotica trombocitopenica (Ab anti- ADAMTS-13, che è una proteasi di clivaggio del fattore di von Willebrand). • Nefropatia secondaria: portano ad una condizione di nefrosi, più che di nefrite. o Amiloidosi: causata da deposizione extracellulare di proteina amiloide. o Nefropatia diabetica: vi è danno sclerotico associato ad ispessimento della membrana basale glomerulare secondario agli effetti a lungo termine di iperglicemia, prodotti di avanzata glicosilazione (AGEs) e ROS (specie reattive dell’O2). Gli AGEs attivano la risposta infiammatoria, con deposizione di collagene IV, espansione mesangiale, ispessimento della membrana basale e sclerosi nodulare (lesioni di Kimmelstiel-Wilson). Classificazione Le glomerulonefriti si possono classificare in base a meccanismo fisiopatologico o morfologia (sclerosi focale, a lesioni minime, mesangio-capillare), tramite biopsia. Il meccanismo autoimmunitario è il più frequente, legato al deposito di immunocomplessi sulla membrana glomerulare, con danno infiammatorio e glomerulare. Tra le glomerulonefriti più significative vi sono: • Glomerulonefrite post-streptococcica: nei Paesi occidentali è rara, mentre è più frequente in Paesi in via di sviluppo. Si può verificare in seguito ad un episodio di faringite o infezione cutanea da Streptococco b-emolitico di gruppo A. L’antigene streptococcico si deposita nel glomerulo, inducendo formazione di immunocomplessi e risposta immune. Il trattamento è di supporto e la diagnostica è tanto peculiare che non si fa la biopsia. Alla sierologia si individuano Ab anti-streptolisina O e vi è riduzione del C3. Se c’è ancora l’infezione, si può fare un tampone faringeo o una coltura cutanea. In >95% dei casi c’è risoluzione spontanea senza terapia specifica. • Nefropatia da IgA (sindrome di Berger): è la glomerulonefrite più frequente nel mondo sviluppato (la glomerulopatia diabetica è la più frequente in assoluto). Di solito, è secondaria ad un’infezione delle alte vie respiratorie e si presenta con ematuria macro- o microscopica, a volte sindrome nefritica. Il paziente tipo è un giovane adulto maschio con macroematuria e recupero rapido. Vi sono IgA, probabilmente legate all’infezione, che formano immunocomplessi che si depositano a livello di cellule mesangiali. La terapia prevede glucocorticoidi e controllo rigoroso della PA con ACEi. Dal punto di vista clinico le 2 entità divergono solo per 2 caratteristiche: • Glomerulonefrite post-streptococcica: avviene 1-12 settimane dopo la faringite, quindi non bisogna aspettarsi la glomerulonefrite post-streptococcica subito dopo l’infezione. Inoltre, non recidiva. • Nefropatia da IgA: si osserva entro 5 giorni da un’infezione delle alte vie respiratorie. Spesso recidiva nel corso degli anni e ha prognosi più sfavorevole (il 20% dei casi va incontro ad IR terminale). Porpora di Schönlein-Henoch Malattia che interessa bambini e giovani maschi, con deposito di immunocomplessi IgA nei piccoli vasi, che porta a vasculite dei piccoli vasi. Vi è interessamento di vari distretti, con dolore addominale, glomerulonefrite, poliartrite transitoria ed esantemi purpurici sulle superfici estensorie (tipicamente gambe). Quindi, ha la stessa patogenesi della nefropatia da IgA, ma colpisce più distretti. Diagnosi Se vi è IRA, con ipertensione, edema, ematuria, con o senza proteinuria, si tratta di una glomerulonefrite acuta. Le malattie glomerulari si manifestano con 2 pattern: ematuria e/o proteinuria; nella maggioranza dei casi sono presenti entrambi con prevalenza di una delle due. In caso di stick urine positivo per ematuria, bisognerebbe eseguire l’esame microscopico del sedimento urinario (non si fa più): una volta si metteva un campione di urina in centrifuga e dopo 10 min si analizzava il materiale depositato. Si dovrebbero osservare cilindri eritrocitari ed emazie dismorfiche, che si sono deformate nel passaggio tramite le brecce glomerulari che si realizzano in corso di flogosi. Accertata la glomerulonefrite acuta, va fatta DD tra GN post-streptococcica e nefropatia da IgA perché hanno trattamento diverso. La nefropatia da IgA è immuno-mediata, per cui il trattamento è immunosoppressivo, mentre per la forma post-streptococcica non c’è terapia (l’antibiotico è inutile perché non c’è più l’infezione). Va sempre svolto un controllo stretto della PA, per prevenire una cronicizzazione della glomerulonefrite, infatti l’ipertensione arteriosa è la più grande nemica delle malattie glomerulari nonché dell’IR. Nella maggior parte dei casi, la diagnosi di GN, a meno che non si tratti della sindrome di Berger, è nascosta in una sindrome complessa come LES, crioglobulinemia o endocardite. Un tempo, quando il trattamento dell’epatite C era inefficace, la progressione della malattia portava a formazione e deposito di crioglobuline, con GN. Per fare diagnosi in quadri così complessi è necessario eseguire un esame urine. In caso di ematuria e proteinuria associate in una sindrome complessa bisogna sospettare una glomerulonefrite. Le glomerulopatie rientrano in una delle 2 forme paradigmatiche: sindrome nefritica, con prevalente ematuria ed ipertensione, e sindrome nefrosica, con prevalente proteinuria. Nello spettro nefritico vi sono forme intermedie: • Sindrome nefritica paucisintomatica, con ematuria microscopica. • Glomerulonefrite rapidamente progressiva, con evoluzione rapida in pochi giorni in IR terminale. • Sindrome nefritica (più frequente): ematuria, ipertensione, proteinuria 1-3 g/die e ritenzione di fluidi (edema); può risolversi spontaneamente. Nello spettro nefrosico vi sono: • Proteinuria asintomatica di grado modesto: non porta ad alterazioni del quadro clinico. • Sindrome nefrosica: ha prognosi infausta dovuta alla perdita di albumina e proteine >3 g/die, con ipoalbuminemia grave, iperlipidemia ed edema. Sono tutte situazioni in cui bisogna implementare una terapia anticoagulante. Terapia • Trattare edema: tramite restrizione di fluidi (1 l/die) e sale, e furosemide. Bisogna ambire ad una perdita di 0,5-1 kg/die per evitare la deplezione del volume intravascolare e un’IRA secondaria. Si possono aggiungere diuretici tiazidici se l'edema è resistente alla furosemide ad alte dosi. • Trattare la causa sottostante: gli adulti necessitano di una biopsia renale, più difficile in caso di edema, quindi può essere richiesta prima la diuresi. Bisogna individuare e trattare eventuali malattia sistemica, infezione o tumore maligno. Nei bambini, la malattia a lesioni minime è l'eziologia più comune e gli steroidi inducono la remissione nella maggior parte dei casi. Quindi, si evita la biopsia a meno che non vi sia risposta agli steroidi o se le caratteristiche cliniche suggeriscano un'altra causa. • Ridurre la proteinuria: tramite ACE inibitori e sartani. • Ridurre il rischio di complicanze: somministrare terapia anticoagulante, se la proteinuria è nel range nefrosico, statina per ridurre il colesterolo (spesso si auto-risolve quando la causa è trattata), trattare prontamente le infezioni e vaccinare. Eziologia Le cause di sindrome nefrosica possono essere primarie e secondarie; inoltre, esiste una sindrome nefrosica paraneoplastica che entra in DD con le cause primarie di sindrome nefrosica. Inoltre, va considerata l’età: • Nell’anziano le cause più frequenti sono: DMT2, tumori ed amiloidosi. • Nel bambino è più frequente la nefropatia a lesioni minime. Nefropatia a lesioni minime È la causa più comune di sindrome nefrosica nei bambini; negli adulti è nella maggior parte dei casi idiopatica, ma può essere associata a farmaci o essere paraneoplastica. È una condizione visibile solo al microscopio elettronico con alterazioni tipiche, ossia effacement dei podociti (fusione dei pedicelli, protrusioni dei podociti), che formano la membrana basale glomerulare, responsabili dell’alterata filtrazione glomerulare e quindi della proteinuria. La diagnosi è fondamentale per intervenire con la terapia adeguata e impedire la progressione all’IRC. La prognosi è buona: se trattata con glucocorticoidi, solo nell’1% vi è progressione verso un’IR terminale. Nefropatia diabetica È la causa più comune di IR terminale: circa il 30-40% dei pazienti necessitano di terapia renale sostitutiva. L’iperglicemia conduce a: • Attivazione del RAAS. • Aumento dei fattori crescita. • Produzione di specie reattive dell’O2. • Produzione di prodotti avanzati della glicosilazione. • Aumento della pressione capillare glomerulare, danno dei podociti e disfunzione endoteliale. Inizialmente, vi è ispessimento della membrana basale glomerulare dovuta alla deposizione di fattori intermedi della glicosilazione, glicazione delle proteine, ecc… e ai meccanismi che collegano l’iperglicemia con le micro-angiopatie. Poi vi è evoluzione verso la glomerulosclerosi nodulare con lesioni di Kimmelstiel-Wilson. I pazienti con DMT2 possono presentarsi nelle fasi successive avendo avuto una forma di iperglicemia non rilevata molti anni prima della diagnosi. Shock Condizione di insufficienza circolatoria che pone in pericolo di vita, portando ad ipoperfusione tissutale, che più spesso si presenta con ipotensione. Classificazione • Shock distributivo: dovuto a riduzione delle resistenze periferiche. o Shock settico (62%): è il più frequente. o Shock anafilattico (4%). o Shock neurogeno: da traumi cerebrali o spinali. • Shock ipovolemico (16%): determinato da perdita di volume ematico. o Shock emorragico: trauma, emorragie gastro-intestinali, ecc… o Shock non emorragico: perdite gastro intestinali (es. diarrea, vomito), cutanee (es. ustioni) o renali (es. ipoaldosteronismo), formazione di terzo spazio (es. cirrosi, occlusione, pancreatite). • Shock cardiogeno (16%): o Infarto miocardico: la causa più frequente perché il deficit di pompa (diminuzione della contrattilità miocardica) porta ad ipoperfusione periferica. o Aritmia: non aritmie mortali, come la FV, ma aritmie che causano riduzione drastica della portata cardiaca, come FA a rapida risposta ventricolare e tachicardia parossistica sopra- ventricolare: la frequenza ventricolare è tanto elevata (150-160 bpm) che rende parzialmente inefficace la contrazione ventricolare. Se il cuore è fermo, non si parla di shock, ma di morte e necessità di rianimazione. • Shock ostruttivo (2%): riguardano cuore o circolo polmonare. Ad esempio, un’embolia polmonare importante blocca il circolo polmonare, con dilatazione del ventricolo destro e ventricolo sinistro vuoto, con riduzione importante della GC. Una situazione simile si ha nel tamponamento cardiaco, che comprime entrambe le cavità cardiache, con riduzione drastica della GC. Un’altra situazione possibile è uno pneumotorace iperteso, che comprime il cuore, riducendo molto la GC. • Misto: ad esempio, a causa endocrina (es. insufficienza adrenergica, tireotossicosi) o metabolica (es. ipotermia, acidosi). Diagnosi differenziale Il quadro clinico è abbastanza univoco; lo strumento più efficace per fare DD di shock è l’ecocardiografia point of care, diversa dall’ecocardiografia usata dai cardiologi, che è accurata e fornisce molti parametri numerici. Questa ecocardiografia si fa in PS e dice poche cose: volume delle 2 camere cardiache, contrattilità miocardica e diametro della vena cava inferiore, per valutare la pressione venosa centrale. Le situazioni di acuzie in cui il paziente perde conoscenza sono sincope (da cui si sveglia in 30 sec), coma (che prosegue), shock (compromissione dello stato di coscienza) ed arresto cardiorespiratorio. Orientarsi tra queste situazioni è importante in quanto ci sono larghi margini di recupero. Lo shock è una situazione di emergenza che per un’insufficienza circolatoria (cardiaca o dovuta a calo delle resistenze) porta ad ipoperfusione periferica. Questa provoca un aumento delle catecolamine, che causano tachicardia, determinando cute sudata, fredda e marezzata (a carta geografica, con formazioni quasi circolari rosse e pallide al centro). Quindi, la cute è importante per valutare lo stato di perfusione. Anche nella crisi ipoglicemica la risposta adrenergica causa sudorazione ma nello shock la risposta è più intensa. Il segno principale è l’ipotensione arteriosa; tuttavia, ci sono soggetti che con 90 mmHg di sistolica fissa stanno bene. Quindi, il concetto della pressione è relativo. Gli organi più sensibili all’ipoperfusione sono i reni, che rispondono con IRA ed oliguria: ciò non è immediato, quindi la valutazione dell’oliguria non fa parte della diagnosi immediata di shock. Il SNC è compromesso per l’ipoperfusione del cervello: vi possono essere alterazione dello stato di coscienza e disorientamento spazio- temporale. Quando si fa diagnosi di shock, bisogna fare DD: • Shock ostruttivo: aumento della PVC. • Shock ipovolemico: non c’è aumento della PVC. • Shock cardiogeno: ridotta contrattilità ed aumento importante della PVC. • Shock distributivo: la contrattilità miocardica è mantenuta e non c’è aumento della PVC. L’aumento della PVC si può osservare guardando la giugulare: se è vuota allora lo shock sarà ipovolemico o distributivo, se è turgida sarà cardiogeno o ostruttivo. Più accurata è la diagnosi tramite ecocardiografia: • Shock distributivo: normale volume ed assenza di dilatazione ventricolare, con contrattilità preservata (es. nella sepsi c’è uno shock iperdinamico). • Shock ipovolemico: alta contrattilità cardiaca compensatoria, con camere vuote per il volume ridotto. • Shock cardiogeno: bassa contrattilità e camere dilatate. • Shock ostruttivo: la valutazione comparata delle camere destra e sinistra è importante; nell’embolia polmonare vi è un impegno del cuore di destra, che sarà dilatato, mentre il cuore di sinistra sarà depleto. Nello pneumotorace iperteso entrambe le camere sono ridotte. Sepsi È caratterizzata da un’infezione clinicamente riconosciuta (conditio sine qua), con presenza di insufficienza d’organo. Tutte le infezioni possono evolvere in sepsi, in cui manca il normale equilibrio immunitario; quindi, un’infezione può causare alterata risposta immunitaria sistemica, che può portare alla sepsi. È un’entità che va riconosciuta presto e va avviata una terapia specifica, che è considerata salvavita in quanto la sepsi è tempo-dipendente. Se non vi è trattamento adeguato entro le prime 3 h, c’è probabilità di prognosi infausta. La terapia riguarda (in ordine di importanza): • Antibioticoterapia empirica: un’ora di ritardo nell’inizio dell’antibioticoterapia si associa ad aumento apprezzabile della mortalità. Va somministrata antibioticoterapia a largo spettro entro le prime 3 h. • Idratazione adeguata: va somministrata rapidamente fisiologica (espansione volemica), ad una velocità adeguata (es. 30 ml/kg), per prevenire lo shock settico. Nella sepsi vi è sviluppo di una complicanza d’organo che non è diretta conseguenza locale dell’infezione ma deriva da una sregolazione del sistema immunitario conseguente l’infezione. Il sistema immunitario non riesce a tenere localizzata l’infezione. Queste complicanze riguardano determinati organi o apparati: • Insufficienza respiratoria: vi è alterazione dello scambio alveolo-capillare. • Encefalopatia settica: vi sono confusione e disorientamento, fino al coma. • Insufficienza epatica, da ipoperfusione: vi è aumento della bilirubina. • CID: complicanza grave legata a turbe di coagulazione. • Insufficienza renale: vi è aumento della creatinina.
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