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Aspetti interni della Lingua: Suoni, Struttura, Sintassi e Variazione Linguistica - Prof. , Appunti di Linguistica

L'influenza della lingua sul nostro comportamento e la struttura interna delle lingue, inclusi suoni linguistici, struttura di parole e frasi, e variazioni linguistiche. Viene anche discusso l'influenza del linguaggio sulla nostra capacità di pensare e descrivere il mondo, con esempi di lingue con futuro forte e debole. Il documento include anche informazioni sulla variazione linguistica, lingua e dialetto, prestigio linguistico, e apprendimento della lingua.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 14/02/2024

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Scarica Aspetti interni della Lingua: Suoni, Struttura, Sintassi e Variazione Linguistica - Prof. e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! Linguaggio e Comunicazione - lezione 1 con G. Mazzaggio - 11/10/2023 Semantica e pragmatica. In passato la pragmatica veniva considerata il ‘cestino dei rifiuti’ della linguistica. Il termine ‘Pragmatics Wastebasket’ venne usato per la prima volta nel 1970 da Bar-Hillel, per criticare coloro che avrebbero usato la pragmatica come un cestino dove buttare fenomeni linguistici che non riuscivano a spiegare. Ad oggi la pragmatica è una disciplina che spiega i fenomeni linguistici e che in particolare studia il linguaggio all’interno del contesto comunicativo. Per sapere cosa intende qualcuno con ciò che ha detto, non è sufficiente sapere il significato della sua frase, ma dobbiamo anche sapere chi l’ha detta e in quale contesto. La pragmatica ha a che fare con tutto ciò che è non letterale, con la dipendenza dal contesto, con l’inferenza e con il non vero-condizionale. Ad esempio la frase ‘è rimasto un pezzo di pizza’ è semanticamente vera se è rimasto almeno un pezzo di pizza, ma pragmaticamente può avere anche altri significati (offerta, avvertimento). La pragmatica è la disciplina che studia l’interazione linguistica tra ‘io’ e ‘tu’. Sembra una definizione ovvia e banale, ma riconoscere l’interlocutore non è sempre scontato quando parliamo. Aspetti interni ed esterni del linguaggio. Aspetti interni: - Suoni linguistici (fonetica e fonologia) - Struttura delle parole (morfologia) - Struttura delle frasi (sintassi) Aspetti esterni del linguaggio: si riferiscono al mondo e ci permettono di comunicare la nostra visione del mondo. La semantica studia il significato di un’espressione linguistica, mentre la pragmatica studia il suo uso. Semantica = disciplina della linguistica dedicata all’indagine del significato di parole e frasi. I semanticisti usano spesso strumenti propri della logica e della matematica e per questo tendono a trasporre le loro idee utilizzando i tipici simboli. Chiamiamo formale questo approccio alla lingua. Se chiedo il significato di una parola, spesso si ottiene in risposta un’altra parola, così si rischia di incorrerere nella circolarità di significati. Significato vs rappresentazione: il significato è oggettivo, esprimibile in un linguaggio e condivisibile da tutti; la rappresentazione è invece un’immagine mentale soggettiva che si associa ad una espressione linguistica. Secondo molti filosofi del linguaggio, per comprendere il significato di una frase bisognava comprendere le condizioni di verità di essa, mentre per comprendere il significato di una parola si doveva comprendere il suo contributo alle condizioni di verità di una frase. La semantica ha spesso a che fare con il vero- condizionale, cioè col valutare la verità o la falsità di qualcosa. Esistono la semantica lessicale (studio del significato delle parole) e la semantica frasale (studio del significato delle frasi). Semantica lessicale. Vediamo una proprietà della semantica. Essa è convenzionale: questo significa che ogni lingua assegna per convenzione un significato alle diverse espressioni e tale significato convenzionale determina le condizioni di applicazione delle singole parole e frasi. Dal punto di vista semantico, una frase ben formata è detta sensata, mentre una frase mal formata è insensata. Il senso di una frase è dato dalle relazioni lessicali all’interno di essa: le parole possono avere delle relazioni tra di loro, che sono i rapporti di significato tra esse. Ad esempio, la sinonimia è la relazione lessicale tra due o più parole dai significati molto simili. L’antonimia è invece una relazione lessicale tra due parole che hanno significati opposti. Si parla di antonimi graduabili, quando le parole di significato opposto possono essere viste come su una scala di valore (più grande/più piccolo, più caldo/più freddo), e ci sono invece antonimi non graduabili, ovvero quelli che hanno significato opposto diretto (vivo/morto, maschio/femmina). Si hanno poi gli antonimi reversibili (il significato di uno è il rovescio dell’altro, come vestirsi/svestirsi). E poi ci sono gli iponimi e gli iperonimi: l’iponimia è la relazione lessicale per cui il significato di una parola è incluso in quello di un’altra. Ad esempio, essere vivente è iperonimo di animale e animale è iponimo di essere vivente. Altre relazioni di significato sono l’omofonia (due parole con la stessa pronuncia, ma non significato) e l’omografia (due parole hanno la stessa forma, ma non significato). Polisemia: una parola con due o più significati connessi tra loro. Linguaggio figurato: metonimia (contenitore-contenuto/ tutto-parte), metafora, ecc… 1 Anafore: sono espressioni che fanno riferimento a un referente discorsivo precedentemente nominato nel testo (o successivamente nel caso della catafora). Il linguaggio anaforico/cataforico permette di ‘economizzare’ nel linguaggio ma può portare a problemi e fraintendimenti. Ci possono anche essere catene anaforiche (più anafore in una frase). Incapsulatori analogici: insieme di nomi che rinviano Semantica componenziale: metodo utilizzato in semantica per descrivere il significato in maniera più precisa scomponendolo in componenti o tratti minimi, detti semi o ‘primitive features’. I tratti semantici sono concetti: se il tratto è presente si mette +, se è assente -. Esempio: ragazzo è [+ animato, è un essere animato] e panino è [- animato, non è un essere animato]. I tratti semantici fondamentali spiegano le concordanze semantiche tra soggetto e verbo. I tratti semantici hanno però dei problemi: ad esempio, come si fa a definire il papa? (Può essere scambiato con altri, la logica binaria è troppo limitante). La fuzzy logic evolve il concetto di logica binaria e cerca di analizzare il significato di una parola come un insieme sfocato i cui confini sono indistinti. L’insieme contiene un membro centrale (prototipo) che è la rappresentazione media o tipica di una categoria (esprime il concetto prototipico). Semantica frasale: termini singolari, predicati e enunciati (somma di termine singolare e predicato). Termini singolari (o nomi propri) = parole o espressioni che si riferiscono direttamente a oggetti specifici nel mondo, sono parole che identificano qualcosa in modo univoco e denotano specifici individui, luoghi o cose nel mondo. Senso vs riferimento: il riferimento è l’oggetto o individuo a cui un termine singolare si riferisce nel mondo esterno, mentre il senso è il modo di presentazione del riferimento, ovvero la formulazione del riferimento. Il dibattito tra riferimento e senso è importante quando si considerano dei termini singolari con lo stesso riferimento ma dal significato concettuale diverso. Ad es: gattino e gatto, hanno lo stesso riferimento, ma il senso è diverso: gattino evoca l’immagine di un piccolo gatto peloso, affettuoso, giocoso, gatto evoca l’immagine più generale di un gatto. Predicati: sono espressioni che, se combinate con un termine singolare, producono un enunciato. Si distingue tra intensione (proprietà o caratteristiche condivise dagli oggetti che cadono sotto un concetto) ed estensione (oggetti stessi che cadono sotto a un concetto). Termini singolari + predicati = enunciati: questa addizione il motivo per cui la semantica è detta composizionale (principio della composizionalità o principio di Frege). Questo principio afferma che il significato di un’espressione linguistica è determinato dal significato delle sue espressioni costitutive e dai modi in cui sono combinate. Secondo Frege, questo principio permette di capire come è possibile che noi produciamo un numero infinito di enunciati sensati a partire da un repertorio ristretto di espressioni linguistiche e di regole sintattiche di composizione (es: il lessico italiano e le regole della sintassi italiana). Quando parliamo di enunciati, dobbiamo parlare di condizioni di verità: capire il significato di un enunciato significa capire quale stato di cose deve sussistere nel mondo affinché l’enunciato sia vero. I ‘valori di verità’ sono i due possibili stati che una proposizione può avere in termini di verità: vero o falso. Per attribuire un valore di verità abbiamo bisogno delle condizioni di verità, ovvero le condizioni che rendono valutabile una proposizione. In alcuni casi per attribuire valori di verità ci si può rifare alla logica deduttiva (regole per trarre conclusioni necessariamente valide da un insieme di premesse) [c’è anche la logica induttiva, che tratta di probabilità, la semantica si occupa solo di logica deduttiva]. Questa teoria della semantica composizionale e delle condizioni di verità si basa sul concetto dei Mondi Possibili (Kripke). Idea secondo la quale il significato di un enunciato corrisponda all sue condizioni di verità. Le condizioni di verità di un enunciato si possono definire come una funzione dai mondi possibili ai valori di verità. Per valutare enunciati non attualmente reali possiamo immaginarci dei mondi possibili in cui quella frase è vera. I mondi possibili sono quindi dei mondi che possiamo considerare per attribuire dei valori di verità agli enunciati. Il giudizio analitico è una frase la cui verità è indipendente dal mondo (o è per forza vera o è per forza falsa), mentre la verità di un giudizio sintetico dipende dal mondo possibile. Una tautologia è una proposizione che è sempre vera, indipendentemente dai mondi possibili. Una tautologia ha il valore di verità ‘vero’ in qualsiasi situazione. Una contraddizione è una proposizione che è sempre falsa indipendentemente dalla situazione e dal contesto: ha il valore di verità ‘falso’ in ogni situazione. Un enunciato quantificato è una proposizione che contiene dei quantificatori, ossia delle espressioni che indicano la quantità o la portata degli oggetti o degli individui a cui si applica il predicato. Un enunciato quantificato introduce un concetto di quantità o estensione nel linguaggio, consentendo fare affermazioni su una serie di oggetti in modo più generale. I quantificatori sono espressioni come: uno, qualcuno, nessuno, qualche, ogni, ecc… I quantificatori principali sono due: - Quantificatore universale (per ogni, per ciascun): si usa per affermare che un enunciato è vero per tutti gli oggetti di un certo tipo. Es: ‘tutti gli esseri umani sono mortali’. 2 Etnosemantica. L’etnosemantica si concentra sull’analisi dei significati delle parole (ma anche gesti e altre espressioni) all’interno di un contesto culturale specifico e come questi significati possano differire tra le varie culture. L’etnosemantica offre un approccio cognitivo-sperimentale allo studio della semantica. [Ipotesi del determinismo linguistico: la lingua determina il nostro modo di pensare; altri ipotizzano invece che la lingua influenzi in modo più moderato la nostra visione del mondo (ipotesi del relativismo linguistico).] L’ipotesi Sapir-Whorf sostiene che la struttura della lingua di un individuo influisce sulla sua visione del mondo e sulla sua capacità di pensare e descrivere ciò che lo circonda. Gli scienziati hanno confermato che a volte le nostre lingue sono associate a diversi livelli di abilità in determinati compiti (es. scena del Diavolo veste Prada riguardante i colori: l’anziana possiede molti più termini per nominare le sfumature dell’azzurro rispetto alla giovane stagista: questo le permette di percepire (?, o forse solo di descrivere?) il colore in modo diverso rispetto alla ragazza che ha solo pochi termini per descriverlo). Esistono a riguardo le cosiddette ‘prove ERP’ (potenziali evocati o evento-correlati): sono delle variazioni del campo elettrico cerebrale registrate sullo scalpo, a seguito di una simulazione sensoriale. Si ha bisogno di un caschetto da elettroencefalogramma con un numero variabile di elettrodi che registrano l’attività del cervello. Queste prove hanno registrato i potenziali cerebrali in madrelingua greci e inglesi: il greco differenzia il colore blu in una tonalità più scura e in una più chiara (possiedono due parole diverse, invece gli inglesi ne hanno solo una). Si è concluso che effettivamente i greci percepiscono la differenza tra le due tonalità di blu, mentre gli inglesi no (percepiscono un unico blu). Dai bilingui che parlano entrambe queste lingue (greci che si sono trasferiti in Inghilterra) è stato possibile rilevare che da tanto più a lungo un greco si è trasferito in Inghilterra (e quindi parla quotidianamente l’inglese) quanto meno riesce a distinguere le due tonalità di blu (il greco trasferitosi da poco in Inghilterra discrimina ancora i due blu, il greco che vive in Inghilterra da molto (6 mesi - 1 anno) e non parla da molto tempo il greco comincia a non distinguere più i due toni di blu). Keith Chen, professore di economia a Yale, pensa che l’influenza del linguaggio potrebbe essere ancora più vasta nei suoi effetti sul nostro comportamento: per lui, alcune caratteristiche della lingua potrebbero anche plasmare il modo in cui noi pensiamo e pianifichiamo il futuro: ad es. esistono lingue con futuro forte (inglese, italiano, che richiedono di specificare se il futuro è certo o incerto: oggi fa freddo/domani farà freddo) o lingue con futuro debole (tedesco, giapponese, finlandese, che non specificano la certezza dell’evento futuro: oggi fa freddo/domani fa freddo). Secondo Chen, se una lingua tratta il presente e il futuro come la stessa cosa, il futuro non è diverso dal presente e viene considerato importante quanto il presente e questo rende più facile mettere da parte del denaro e risparmiare di più. I paesi i cui residenti parlano lingue con il futuro debole risparmiano in media il 5% in più rispetto a quelli con lingue con il futuro forte. Questa teoria può essere applicata a comportamenti che vanno oltre la capacità di risparmiare, ad esempio il fumo e l’obesità (comportamenti malsani). Secondo Chen, il fumo è un mancato risparmio, oltre che essere nocivo per la salute (non ci occupiamo della nostra salute nel presente). Chen ha scoperto che chi parla una lingua senza futuro forte ha meno probabilità di fumare rispetto a chi usa un futuro forte. Una critica comune è che la ricerca di Chen sia una forma di determinismo linguistico, che semplificherebbe eccessivamente il complesso processo di formazione delle decisioni umane, che è influenzato da fattori culturali, sociali ed economici (e non solo da fattori linguistici). Infatti le differenze linguistiche possono essere associate a differenze culturali, le quali potrebbero avere un impatto maggiore sul comportamento finanziario rispetto alle differenze linguistiche stesse. Un’altra critica a Chen è quella di aver confuso causalità e correlazione: la ricerca di Chen ha dimostrato una correlazione tra la lingua e il comportamento finanziario, ma stabilire un rapporto di causalità è qualcosa di più complesso. È possibile infatti che altri fattori oltre al linguaggio possano spiegare questi risultati. 5 Linguaggio e Comunicazione - lezione 3 con G. Mazzaggio - 9/11/2023 Variazione linguistica I La variazione linguistica: si deve innanzitutto distinguere tra il parlante nativo idealizzato e il parlante reale. Le dimensioni per analizzare la variazione linguistica: si ha la variazione diacronica (la cui differenziazione si situa lungo l’asse del tempo, ad es: l’italiano medioevale, contemporaneo…); la variazione diatopica (in base ai luoghi); variazione diastratica (o sociale, in base ai diversi strati sociali); la variazione diafasica (o situazionale, in base alla situazione di impiego della lingua); la variazione diamesica (a seconda del mezzo adottato, ad es. scritto o orale). Lingua e variazione regionale: in un corso di linguistica si parla spesso di lingue come se esistesse una sola variante di ogni lingua e quindi spesso si ignora il fatto che ogni lingua presenta un’ampia variazione, soprattutto nel parlato (ad es: inglese australiano, britannico, americano…). Noi ci occuperemo della variazione linguistica in funzione dello spazio, ovvero della geografia linguistica. Lingua standard: varietà idealizzata, adottata come modello a livello istituzionale, amministrativo e commerciale. Ad es. si tratta di ciò che ci aspettiamo di trovare nella lingua scritta stampata nei giornali. È la varietà della lingua insegnata a scuola, utilizzata nella narrativa e nella trasmissione radiofonica e televisiva: è una lingua scritta piuttosto che parlata. Accento vs dialetto: ogni parlante nativo parla la sua lingua standard con un certo accento (chi più chi meno, ma tutti lo fanno). Il termine ‘accento’ è usato per indicare gli aspetti della pronuncia che rivelano la provenienza geografica e sociale dell’individuo. Il dialetto si riferisce invece sia a caratteristiche grammaticali e lessicali, sia alla pronuncia (parametro diastratico). Le differenze di pronuncia sono differenze fonologiche. Mentre le differenze lessicali sono facilmente riconosciute, le variazioni nel significato delle costruzioni grammaticali sono attestate meno spesso (ad es: l’uso del passato prossimo e del passato remoto diverso al nord e al sud Italia). Per misurare visivamente il peso di questa contrapposizione si può ricorrere a degli atlanti linguistici, come l’ALIQUOT (Atlante della Lingua Italiana QUOTidiana). Distinguere un dialetto da una lingua diversa: quando inizia l’uno e finisce l’altro? Nonostante possibili difficoltà di comprensione del dialetto, in genere i parlanti della stessa lingua si comprendono; se invece i due parlanti parlano proprio due lingue diverse, allora non si capiscono. Questo è uno dei criteri usati nello studio dei dialetti (dialettologia) per distinguere tra due dialetti della stessa lingua e due lingua diverse. Non è però l’unico modo, né il più affidabile, ma è degno di essere studiato. Prestigio linguistico: alcuni dialetti regionali hanno una differenza di prestigio (secondo gli stereotipi) rispetto ad altri (es. il dialetto toscano ha più prestigio di altri, si avvicina molto alla lingua standard). Spesso sulla distinzione sociale tra lingua e dialetto e sul prestigio linguistico hanno molta influenza i media. Perché è importante la ricerca dialettologica? Queste ricerche spesso comportano una scrupolosa attenzione ai particolari e adottano dei criteri specifici nella scelta dei loro informanti (soprattutto in passato). Dopotutto è importante sapere se la persona di cui raccogliamo il parlato sia un rappresentante tipico del dialetto di una certa regione. Un dialetto si distingue da una lingua: in senso linguistico per: … (vedi slide); in senso per: ; in senso sociolinguistico per: diffusione geografica limitata, assenza di uno standard, scarso prestigio, uso informale, corpus letterario limitato, mancanza di un lessico tecnico-scientifico, assenza di uso istituzionale. Tuttavia questi criteri non sono sempre efficaci, non danno sempre soluzioni univoche ed è facile aggiungere altri criteri. Ad esempio, in Italia, il dialetto friulano e quello sardo hanno sempre aspirato a diventare lingue a sé stanti rispetto all’italiano. Sardo e friulano però non superano alcuni test per essere definiti lingue (ad es: non sono parlati dal ceto medio-alto, non hanno un corpus letterario riconosciuto e non sono sovraregionali). Se si cambia il criterio però è possibile definirli come lingue diverse dall’italiano. L’italiano standard viene spesso definito come un dialetto che ce l’ha fatta: deriverebbe infatti dal toscano, che a sua volta deriva dal latino. Per quanto riguarda la situazione linguistica italiana, l’espressione ‘l’italiano e i suoi dialetti’ non è corretta: i dialetti italiani sono in realtà varietà sorelle tra loro e sorelle del toscano, discendendo tutte dall’unica lingua madre, che è il latino. Abbiamo visto qualche esempio di variazione regionale tratto da indagini svolte dagli atlanti linguistici dell’Italia. Uno degli obiettivi degli atlanti è quello di rilevare i confini geografici di ogni dialetto. Isoglosse = linee che su una carta geografica segnano i confini di un’area linguisticamente uniforme rispetto a uno o più fenomeni dati. Le isoglosse servono quindi per stabilire i confini e le aree dialettali. Già Dante nel De vulgari eloquentia provò a creare delle isoglosse, per valorizzare la bellezza della lingua italiana (il volgare). Dante classificò 14 dialetti e adottò come tratti divisori il Po e la catena degli Appennini. Oggi invece si parla di: dialetti settentrionali (dialetti gallo-italici e dialetti veneti); dialetto toscano; dialetti centro-meridionali. Di fondamentale importanza è la linea La Spezia-Rimini, che divide i dialetti settentrionali 6 da quelli centro-meridionali. [La cosiddetta gorgia toscana = passaggio delle occlusive sorde a fricative in posizione intervocalica.] Nelle aree di confine, tuttavia, un dialetto passa gradualmente e non bruscamente all’altro (continuum dialettale). Aree bidialettali: attraversando la frontiera tra Olanda e Germania si trovano…vedi slide… La maggior parte delle persone cresce col bidialettismo. Tuttavia, in alcuni luoghi si parlano addirittura due diverse lingue. Bilinguismo e diglossia: in una stessa area possono esistere due varietà linguistiche: a seconda del loro rapporto si parla di bilinguismo o di diglossia. - Bilinguismo: si ha se tutti i parlanti padroneggiano le due varietà (due lingue standard) . Es: il Canada che ha due lingue ufficiali (inglese e francese). Spesso il riconoscimento di due lingue ufficiali si raggiunge dopo non pochi scontri politico-sociali. - Bilinguismo individuale: un membro di una minoranza cresce in una comunità linguistica che parla una certa lingua, ma lui ne impara un’altra, per far parte di una comunità più vasta. - Diglossia: una varietà ha uno statuto più alto e l’altra più basso. Ad es: lingua standard e dialetto. Si può avere: bilinguismo con diglossia ( si parlano due lingue standard + un dialetto), diglossia senza bilinguismo (es: bambino napoletano che parla solo italiano e dialetto), bilinguismo senza diglossia (es: bambino che parla inglese e italiano), o anche (però è più raro, avviene solo in comunità molto piccole e isolate in cui le differenziazioni sociali sono quasi nulle) né bilinguismo né diglossia. Lingue pidgin e lingue creole. Immaginiamo questa situazione: una ditta petrolifera americana si stabilisce in una zona dell’Asia e assume manovali del posto. Per comunicare o si adotta una lingua franca (es: inglese), oppure un plurilinguismo passivo, oppure nasce una lingua pidgin. Una lingua pidgin è una lingua occasionale che nasce per far comunicare due gruppi che non hanno una lingua in comune. Il lessico della suddetta è ridotto, la sintassi è più semplice, l’ordine delle parole è fisso, non ci sono parole funzionali e la morfologia è ridotta. Molti dei pidgin si estinguono con la fine dei rapporti di lavoro, però a volte il pidgin si evolve col tempo e diventa lingua madre di generazioni successive, diventando una lingua creola (e diventando più complesse). Le lingue creole sono parlate da circa 20 milioni di parlanti (soprattutto quelle a base francese). Il ciclo pidgin-creolo può avere una continuazione in quello che è chiamato continuum post-creolo, cioè quando il creolo va verso la fusione con una lingua standard. Un caso estremo di questo continuum è la parlata degli afro-americani in USA, che si è avvicinato nelle sue varietà urbane all’inglese standard. Il cervello bilingue e i benefici cognitivi del bilinguismo. Bilinguismo bilanciato: nei bambini, l’acquisizione simultanea di due lingue porta a un ritardo nello sviluppo linguistico. Nella maggioranza dei casi questi bambini sviluppano le competenze in entrambe di lingue ma con un certo ritardo rispetto a chi impara una lingua sola. I due sistemi linguistici entrano infatti in competizione tra loro per le risorse mentali del bambino —> sovraccarico cognitivo e apparente confusione. Nel 1978, dei ricercatori formularono l’ipotesi del sistema linguistico unitario: ipotizzarono cioè che in uno stadio iniziale le due lingue sono mescolate tra loro in un unico macrosistema, per poi differenziarsi in due sistemi distinti a partire dai due anni di età. Fino ai due anni quindi le due lingue costituiscono un solo sistema linguistico; dopo i due anni il lessico si separa, ma il sistema grammaticale resta unitario; dai tre anni in poi i due sistemi linguistici si differenziano completamente. Dual Language System: oggi sappiamo che i due sistemi linguistici sono distinti fin dal principio dell’acquisizione bilingue e l’apparente confusione nei bambini è dovuta alla crescente plasticità e flessibilità del cervello bilingue (il cervello deve imparare a saltare da una lingua all’altra e ad usarne una alla volta). Anche in età adulta sembra che le due lingue siano sempre attive contemporaneamente nel cervello bilingue. Ne sono buone testimonianze un certo ritardo nella selezione lessicale e anche il fenomeno del code-switching (iniziare una frase in una lingua e finirla nell’altra). Il code-switching (commutazione di codice) rispetta sempre le regole di entrambe le lingue, mentre il code- mixing porta invece ad un mix più confusionario ed incoerente delle due lingue. Il code-blending invece è 7 Sembra che negli anni in cui si sviluppa la teoria della mente si sviluppi anche il linguaggio e la correlazione tra loro è forte (ma non si sa ancora se c’è causazione): la teoria della mente di primo ordine richiede l’accesso agli stati mentali di un’altra persona, mentre la teoria della mente di secondo ordine richiede l’accesso agli stati mentali di un’altra persona su una terza persona (vedi Compito di John e Mary: John thinks that Mary thinks that…): si ha quindi la falsa credenza di primo/secondo ordine. La teoria della mente negli adulti viene testata in modo diverso, ovvero attraverso un esperimento che richiede all’adulto di capire i sentimenti di qualcuno attraverso l’analisi del suo sguardo (Reading the mind in the eyes task). Questo esperimento viene però molto criticato, poiché alcuni sostengono che non riguardi strettamente la teoria della mente, ma piuttosto l’abilità di riconoscere le emozioni degli altri e i termini relativi agli stati mentali. Si suppone che sia la teoria della mente che permette di sviluppare il linguaggio (si impara nei primi anni di vita che quello che ci viene detto è riferito a qualcosa, quindi si adotta il punto di vista di chi ci parla per imparare il linguaggio). Nei bilingui la ToM è più sviluppata, grazie al fatto che devono considerare i referenti nella scelta della lingua da usare (scelgono la lingua da utilizzare a seconda della persona con cui parlano). Linguaggio e Comunicazione - lezione 4 con G. Mazzaggio - 23/11/2023 Lingua ed identità sociale. La lingua non è solo un mezzo per comunicare ma è sicuramente anche espressione di identità sociale. La scelta di utilizzare una lingua o un dialetto può segnalare appartenenza a un certo gruppo sociale (gruppo etnico/religioso/gruppo di amici). Inoltre la lingua usata o il dialetto può anche portare a discriminazione (ad es. avere pregiudizi su una persona sulla base del suo accento). La sociolinguistica: è diversa dalla linguistica teorica (che studia le strutture del linguaggio); la sociolinguistica studia come queste strutture variano a seconda dei parlanti. Nello studio sociale dei dialetti, ad esempio, il parametro più usato non è la provenienza geografica, ma la classe sociale di appartenenza. Per la sociolinguistica sono molto interessanti le variazioni libere (non quelle combinatorie studiate dalla linguistica teorica): la variazione libera, secondo la sociolinguistica, non è veramente ‘libera’/casuale, perché la scelta di pronunciare una cosa in un certo modo è collegata a fattori sociali e può quindi essere modificata per adattarsi agli interlocutori. Nella ricerca di esempi di uso linguistico tipici di un determinato socioletto, consideriamo variabile sociale l’identità sociale dei parlanti, e variabile linguistica la forma fonetica o lessicale. Il socioletto, in linguistica, è la varietà di un dialetto/lingua usata da una particolare categoria sociale (es: il socioletto fiorentino della classe colta). Per determinare un socioletto uno dei criteri utilizzati è analizzare la frequenza di un fenomeno in una variante linguistica (se un gruppo do persone utilizza molto buna variante, può trattarsi di un socioletto). Idioletto = sistema linguistico individuale di ciascun parlante, rispetto alla lingua standard… Le indagini di William Labov. W. Labov è considerato uno dei pionieri e padri fondatori della sociolinguistica moderna. È conosciuto per l’esperimento del Fourth floor: sono stati testati 3 commessi di grandi magazzini di New York (uno che lavora vendendo oggetti molto costosi e di lusso; uno che vende oggetti da classe media; l’ultimo che vende prodotti economici da classe operaia). Labov andava nel grande magazzino e si fingeva un cliente, il suo obiettivo era elicitare (far dire/far produrre) una struttura linguistica, in questo caso l’espressione Fourth floor. Le due r postvocaliche, prodotte più o meno forte, rispecchiavano lo status sociale della persona che parlava: più alto lo stato sociale, più r prodotte, e viceversa. I risultati confermarono questa sua ipotesi (la produzione di R è legato allo status sociale), poi però questo studio fu replicato a Reading e fu trovato un comportamento contrario (la classe operaia produce più R, la classe alta invece non le pronuncia quasi mai). Comportamento opposto tra inglese americano e inglese. La R è definita come una variabile sociale: può infatti essere usata come diametralmente opposta in luoghi distinti, ma in entrambi i luoghi è un marcatore di stato sociale. Inoltre Labov notò che alcuni cambiano il loro stile linguistico a seconda della situazione, come per sembrare di appartenere ad un’altra classe sociale: quando ai commessi veniva chiesto di ripetere Fourth floor, la frequenza delle R aumentava in tutti (i parlanti di classe media/bassa cambiavano lo stile di pronuncia per assomigliare alla classe alta). Ci sono varie forme linguistiche infatti che fungono da marcatori di status sociale e che conferiscono prestigio: si hanno casi di prestigio nascosto (forme linguistiche che marcano un basso status ma che godono di prestigio nascosto in alcuni gruppi sociali, es: il 10 turpiloquio o il dialetto, che vengono valorizzati in alcuni gruppi); casi di convergenza e adattamento (quando ci si adatta al nostro interlocutore nello stile linguistico) e divergenza (per distanziarci dal nostro interlocutore); registro (uso convenzionale della lingua a seconda del contesto); gergo (lessico tecnico specifico formato da sostantivi di una particolare area di lavoro o interessi); slang (parlato colloquiale usato da giovani o gruppi con interessi specifici—> rispetto alla parlata normale ha una durata minore e tende ad invecchiare velocemente). Lo slang può variare e sfociare nelle parole tabù (es: la N word). Ecco come la lingua ci identifica come soggetti all’interno della comunità linguistica. Linguaggio e Comunicazione - lezione 5 con G. Mazzaggio - 29/11/2023 Pragmatica I Paul Grice: è il padre fondatore della pragmatica moderna. Inizieremo ad analizzare il contenuto implicito del linguaggio. Significato ed intenzioni comunicative. Un’espressione può avere due significati: quello letterale/ convenzionale (analizzato tramite sintassi e semantica), e quello pragmatico/occasionale (analizzato con la pragmatica). Comunicare è usare il linguaggio con l’intenzione di produrre la credenza P usando l’enunciato E, con l’intenzione che P venga riconosciuta dall’interlocutore. Modello del codice: Aristotele per primo definiva il codice come un sistema socialmente determinato di corrispondenze tra messaggi e segnali che consente di comunicare. Secondo questo tradizionale modello, la comunicazione equivale a un processo di codifica/decodifica. Si ha un mittente (che codifica), un messaggio e un destinatario (che decodifica il messaggio). I parlanti secondo questa teoria hanno accesso diretto ai pensieri dei propri interlocutori: la comunicazione può quindi fallire solo se la codifica o la decodifica avvengono in modo sbagliato o se i parlanti non hanno lo stesso codice. Modello semplificato di Saussure. Saussure iniziò a capire che c’era qualcosa di più: l’atto individuale della comunicazione presuppone l’esistenza di due individui, A e B. Il punto di partenza del circuito è nel cervello di uno dei due, in cui i concetti si trovano associati a suoni (lettere) o ad una definizione. Il cervello dell’individuo A trasmette agli organi fonatori un impulso relativo ad una certa immagine e poi il processo avviene in B in modo inverso. Nel modello di Saussure subentra la componente cognitiva, assente in Aristotele: succede qualcosa nella mente che dobbiamo considerare. Modello matematico della comunicazione di Shannon e Weaver. Schema ispirato alle telecomunicazioni: un messaggio prodotto da una sorgente può essere simmetricamente duplicato a destinazione tramite un processo di codifica/decodifica. Es: comunicazione via Fax: impiegato trasmittente che invia il fax, e impiegato ricevente che lo riceve. Essi codificano e decodificano il messaggio. Se nella trasmissione del messaggio non ci sono interferenze, allora il ricevente duplica il segnale ricevuto dal trasmittente e la comunicazione avviene con successo. Secondo questo modello, quindi, la comunicazione linguistica consiste in una codifica/decodifica di messaggi. Non si parla ancora di ciò che sottosta nel messaggio. Modello inferenziale di Grice. La semantica e la sintassi non sono sufficienti: alla codifica/decodifica del messaggio si deve aggiungere un lavoro inferenziale, ovvero riconoscere le intenzioni comunicative del nostro interlocutore. Da questo punto di vista, la decodifica del messaggio è solo un passaggio: un ascoltatore deve anche svolgere un’inferenza basata su tanti fattori: il contesto, informazioni sul mondo, il proprio interlocutore. Il principio di cooperazione e le Massime di Grice. La comunicazione è guidata da aspettative sul comportamento dei parlanti: ci aspettiamo infatti che le persone con cui parliamo siano cooperative. Queste aspettative non sono sempre rispettate e questo ha conseguenze sul piano comunicativo. Conversare è infatti un comportamento cooperativo, razionale (il messaggio è razionale) e orientato ad uno scopo (trasmettere info). Grice è il primo a definire il principio di cooperazione: ‘…conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato…’ Quindi il non detto è più importante di ciò che effettivamente diciamo. 11 Massime di Grice (importanti per esame), da rispettare affinché la comunicazione non fallisca e sia quindi efficiente: - Massima della quantità: a. Dai un contributo tanto informativo quanto richiesto; b. Non dare un contributo informativo più di quanto richiesto. In pratica significa non dire né più né meno di ciò che è necessario. - Massima della qualità: supermassima: cerca di dare un contributo che sia vero; a. Non dire ciò che ritieni falso; b. Non dire ciò per cui non hai prove adeguate. - Massima della relazione: supermassima: sii pertinente. - Massima del modo: supermassima: sii perspicuo (chiaro); a. Evita oscurità di espressione; b. Evita ambiguità; c. Sii conciso; d. Sii ordinato. Queste massime non sono né descrittive né prescrittive (non sono regole da seguire): Grice descrive come analizzare se una comunicazione è efficiente (caratteristiche della situazione comunicativa ideale). L’obiettivo di Grice è tracciare i principi della razionalità umana che entrano in gioco nel corso di scambi verbali ordinari. Molto spesso queste massime non vengono rispettate. Significato: esplicito (dell’espressione) ed implicito (del parlante). Distinzione tra ciò che è detto (significato dell’espressione) e ciò che è implicato (significato del parlante). Implicatura: proposizione comunicata implicitamente sulla base di ciò che è detto esplicitamente. Si parla di implicature conversazionali, esempio: ‘vieni al cinema?’—> ‘oggi sono stanco’. La risposta viola la massima della relazione (la domanda richiedeva una risposta si/no), tuttavia ne deriviamo un’implicatura conversazionale (dato che è stanco, non verrà al cinema) e otteniamo la risposta alla nostra domanda. Tipi di violazioni delle massime di Grice: - Violazione apparente: non è una violazione reale, il proferimento trova il suo senso se fatto rientrare in una massima. Es: ‘ho finito la benzina’—> ‘dietro l’angolo c’è un distributore’. Sarebbe una violazione apparente della massima della relazione. - Violazione per conflitto: spiegata per conflitto con un’altra massima. Es: ‘dove abita Luca?’—> ‘da qualche parte nel sud Italia’ (implicito: ‘non so dove esattamente’. Si viola la massima della quantità ma non quella della qualità (non è sicuro di ciò che dice ma vuole comunque dare una informazione). - Violazione esplicita: si viola una massima e si sfrutta per generare un’implicatura. Es. si viola la massima della quantità (dando ad es. info non richieste), ma per implicare altro. Es: violazione massima qualità (ad es. dico una cosa falsa): ‘Luca è una volpe’. Metafore e ironia sono tutte violazioni esplicite usate per far arrivare all’interlocutore il significato implicito dell’implicatura (una frase che è falsa deve per forza voler dire qualcos’altro). Proprietà delle implicature: - Cancellabilità : possono essere cancellate da una affermazione successiva. - Calcolabilità: computate attraverso una inferenza, (computare significa derivare). - Non distaccabilità: legate a quel tipo di produzione, a quel contesto. Tipi di implicature: - Implicature conversazionali generalizzate: sono generate dall’uso di un’espressione di una certa forma, ad es: ‘mi sono fidanzato con una ragazza’—> l’implicatura è che in quel contesto comunicativo la ragazza non è conosciuta dagli interlocutori. Sono implicature che dipendono solo dal fatto che il parlante ha detto una certa cosa e dagli assunti riguardanti la cooperatività conversazionale; si presentano regolarmente in molte diverse circostanze, tanto da sembrare effetto di una convenzione. - Implicature scalari: fanno parte di quelle conversazionali generalizzate; sono generate dell’uso di un’espressione scalare (alcuni, molti…), es: ‘alcuni studenti hanno preso 30 e lode —> implicatura: non tutti hanno preso 30 e lode, se utilizzo alcuni sto pragmaticamente negando tutti. - Implicature particolarizzate: implicature ad hoc, non basate sul lessico. Sono le implicature che richiedono, fra le loro premesse, assunti relativi allo specifico contesto di proferimento; si presentano per così dire una tantum, non sono trasferibili da una circostanza all’altra. - Implicature convenzionali: dipendono dal significato convenzionale delle espressioni linguistiche utilizzate, es: ‘Greta è veneta ma astemia’—> la frase è vera solo se entrambe le espressioni sono vere, il ma non è rilevante per questa analisi. Tuttavia questo ma implica che solitamente i veneti bevono molto 12 bambino da questo linguaggio così povero riesca ad apprendere unicamente per imitazione un linguaggio complesso. Non si può nemmeno dire che i genitori insegnino ai figli a parlare: i loro feedback si concentrano sul contenuto dell’enunciato piuttosto che sulla sua forma. In generale i genitori correggono poco i bambini in queste prime fasi dell’acquisizione del linguaggio e i bambini ascoltano poco. Inoltre, il bambino non sembra procedere per tentativi ed errori, provvedendo a correggersi dopo esser stato corretto, ma sembra invece seguire un percorso predefinito, autonomo da quello che gli viene detto. L’innatismo di Chomsky: - Il linguaggio è costituito da un insieme di regole attraverso le quali combiniamo un insieme finito di elementi per generare un insieme infinito di significati. - Il linguaggio è una abilità specie specifica esclusiva dell’uomo, che lo differenzia dalle altre specie, le qual invece condividono con l’uomo la comunicazione non verbale. - Lo sviluppo del linguaggio è reso possibile dalla presenza nel bambino di una conoscenza innata della struttura di base comune a tutti i linguaggi umani, la Grammatica Universale. Grammatica universale: insieme delle conoscenze sulle proprietà universali comuni che regolano il funzionamento di tutte le lingue. La grammatica è una competenza mentale. Language acquisition device (LAD): struttura cognitiva che tende il bambino sensibile ai principi ne alle regole di tutte le lingue. La competenza, secondo Chomsky, precede l’esecuzione (il bambino conosce le regole prima di saperle usare). Esiste quindi una predisposizione umana per lo sviluppo del linguaggio, tuttavia anche il contesto (un po’ trascurato da Chomsky) deve essere considerato. Nascono quindi le teorie interazioniste: il linguaggio deriva sì da una predisposizione innata, ma è il contesto ad attivarlo. Bruner suggerisce che il contesto è fondamentale nella comprensione dello sviluppo linguistico del bambino. Questo sistema di supporto è costituito dai genitori, che supportano lo sviluppo del linguaggio del bambino. Lo sviluppo del linguaggio è quindi un processo a basi neurobiologiche, dinamico e mediato da interazioni sociali e comunicative di routine (format di attenzione e azione condivisa). Importanza dell’interazione sociale nell’acquisizione del linguaggio: - Ill linguaggio si sviluppa grazie alle nostre capacità cognitive e sociali, quindi dipende da esse. - Al centro dello sviluppo del linguaggio c’è la sua funziona comunicativa (è la necessità di comunicare che porta a sviluppare il linguaggio). - Profonda continuità tra la comunicazione prelinguistica e la comparsa del linguaggio. Le prime interazioni bambino/caregiver forniscono formati di attenzione/azione condivisa in cui il bambino impara a capire ed esprimere intenzioni e significati (discorso rivolto al bambino = baby talk o motherese). Alcune strategie spontanee del babytalk: - Rimodellamento: l’adulto riformula la frase detta dal bambino in modo più complesso. - Espansione: l’adulto imita ed espande aggiungendo info alla frase del bambino. - Denominazione: gli adulti incoraggiano i bambini a nominare tutto ciò che gli circonda. Un’altra prova che il linguaggio necessita del contatto con gli altri (oltre che delle capacità innate) per svilupparsi è il fatto che i bambini in isolamento non sviluppano mai il linguaggio (es: enfants sauvages). Il LAD innato non è sufficiente, deve essere attivato dalle interazioni con gli altri: se questa attivazione non avviene in tempo utile, poi non sarà più possibile sviluppare il linguaggio in seguito. (Tra l’altro il linguaggio è legato alle capacità cognitive, le due capacità si devono sviluppare e influenzare a vicenda, difficoltà cognitive e difficoltà linguistiche sono collegate). Fasi dello sviluppo linguistico. L’apprendimento del linguaggio viene suddiviso in: - Sviluppo fonologico: produzione di suoni linguistici e non. - Sviluppo lessicale: produzione delle parole (dalle protoparole) - Sviluppo morfo-sintattico: produzione delle frasi; combinazione di parole secondo la sintassi - Primo anno di vita: comunicazione prelinguistica (pianto, vocalizzi, ecc…) 15 - Secondo anno: prime parole, si sviluppa il lessico - Dal terzo al quinto anno: prime frasi, si sviluppa la competenza sintattica - In età scolare: si sviluppa la competenza metalinguistica e quella pragmatica. La competenza linguistica (abilità di veicolare un messaggio, si sviluppa a 3-4 anni) si sviluppa prima della competenza comunicativa (capacità di comunicare con gli altri in un contesto, sviluppata in età scolare). Non si può parlare di sviluppo del linguaggio senza inserirlo all’interno della più ampia capacità comunicativa. Lo sviluppo comunicativo pre-linguistico precede e prepara la comparsa del linguaggio, attraverso l’evoluzione di espressioni e gesti comunicativi e l’evoluzione delle vocalizzazioni che il bambino produce spontaneamente e che man mano si trasformano in suoni dotati di significato (parole). Fasi dell’acquisizione del linguaggio: - Prima comunicazione pre-verbale: l’interazione bambino-genitore aiuta in seguito a sviluppare il linguaggio. Si tratta di suoni non comunicativi (pianto e vocalizzazioni), gesti ed espressioni facciali. Il sorriso stesso ha una evoluzione: alla nascita viene definito endogeno (automatico, non stimolato) e a partire dai due mesi inizia quello esogeno (stimolato); poi a partire dai tre mesi si ha il sorriso selettivo o strumentale (per comunicare) - Sviluppo della percezione dei suoni: nella prima infanzia la percezioni dei suoni del linguaggio è superiore a quella degli adulti, perché si estende oltre la lingua madre, poi a partire dai 6 mesi declina. I bambini già nella pancia recepiscono i suoni delle varie lingue. - Sviluppo della produzione dei suoni. Nel primo mese: pianti, sbadigli, ruttini; 2-6 mesi: vocalizzazioni; 6-7 mesi: lallazione canonica (si ripetono le stesse sillabe: papapa, dadada); 10-12 mesi: lallazione variata (si cominciano ad accostare sillabe differenti), prime protoparole. - Sguardo, attenzione condivisa e gesti: dalla nascita gli occhi sono la parte del corpo che attrae maggiormente l’attenzione dei bambini. Interazioni diadiche: il bambino e il caregiver si osservano —> interazioni tragiche: bambino-caregiver-oggetto (attenzione condivisa verso un oggetto). Seguire lo sguardo altrui è una abilità che anticipa la comunicazione linguistica: se manca la relazione diadica è difficile passare ad una triassica e quindi alle prime parole (si prevede che sarà difficile sviluppare il linguaggio, infatti la mancanza di contatto visivo è uno dei primi allarmi per diagnosticare l’autismo). Evoluzione comunicativa dello sguardo: a 6 mesi lo sguardo altrui è utilizzato per orientare l’attenzione verso un oggetto; a 12 mesi si può utilizzare lo sguardo altrui per orientare l’attenzione verso qualcosa che non si vede. Dagli 8-9 mesi i gesti (come indicare) vengono usati insieme allo sguardo per l’attenzione condivisa. I gesti sono sempre accompagnati dallo sguardo: gesti+sguardo rappresentano una intenzionalità comunicativa. Ad es. le scimmie riescono a capire la direzione dello sguardo, ma non comprendono i gesti. Si hanno gesti deittici (o performativi) che si sviluppano intorno agli 8-9 mesi e consistono nel pointing (indicare): esiste pointing richiestivo (richiedere un oggetto all’adulto), pointing dichiarativo (voler condividere qualcosa con l’adulto, più avanzato). Si hanno poi gesti referenziali (o rappresentativi), che si sviluppano verso gli 11-12 mesi insieme alle protoparole, indicano un intento interattivo del bimbo con l’adulto. Sono i gesti che per la prima volta hanno origine sociale e hanno natura convenzionale (es: il gesto del telefono) - Sviluppo comunicazione verbale: dai 12 mesi si inizia a parlare di intenzione linguistica (prime parole). Questa intenzionalità comunicativa è resa possibile da abilità cognitive e abilità sociali. I gesti vengono progressivamente sostituiti dalle parole: più aumentano le parole, meno si utilizzano i gesti. Lallazione: primo controllo dei movimenti articolari, produzione dei primi suoni. Lallazione canonica non comunicativa (mero esercizio di stile, rendersi conto che si possono produrre suoni) —> lallazione variata e comunicativa (prime protoparole). Le ricerche più recenti evidenziano come il bambino utilizzi per le prime parole le sequenze fonetiche già usate nella lallazione (se nella lallazione il bimbo dice mamama—> la prima parola sarà mamma). Le prime parole compaiono tra gli 11 e i 13 mesi. Tra i 12 e i 16 mesi il vocabolario del bambino si attesta sulle 50 parole (fase del lessico emergente); dai 18 ai 24 mesi invece il bambino comincia ad acquisire dalle 5 alle 40 nuove parole alla settimana (fase dell’esplosione del vocabolario o boom linguistico). - Sviluppo lessicale. 12-16 mesi, fase del lessico emergente: prime 50 parole, sono parole quotidiane e azioni abituali, sono nomi concreti e parole utili a comunicare. Vengono apprese in contesti interattivi e in modo indiretto (attraverso la semplice esposizione). Le prime parole denotano un livello di categorizzazione di base: sono parole molto generiche che ne includono altre. 3 tipi comuni di errori che i bambini commettono nell’apprendere le parole: sottoestensione (il bambino chiama ‘bambola’ solo la sua); sovraestensione (il bambino chiama ‘cane’ qualsiasi animale a 4 zampe); sovrapposizione (il bambino dice ‘aprire’ non solo per la porta ma anche per accendere la luce. Dopo un anno, nella fase dell’esplosione del vocabolario, il bambino comincia a capire che tutte le cose hanno un nome, e questo fa sì che il suo vocabolario si ampli in modo repentino. Compare l’uso referenziale delle parole 16 (spontaneamente estese a esemplari diversi della stessa categoria), il linguaggio si decontestualizza (si sgancia dal contesto in cui ha avuto origine), si inizia a pensare in modo astratto (immaginare altre situazioni diverse da quella in cui i bambini sono). Inizia (sempre dai 18 ai 24 mesi) anche l’acquisizione della morfologia (acquisizione di prefissi, suffissi) e della sintassi [si hanno le prime piccole frasi: olofrasi (una parola usata come frase), frasi telegrafiche (due parole)]. - Late talkers: i bambini che a 2 anni producono meno di 50 parole o che a 30 mesi non sono in grado di formare piccole frasi sono definiti late talkers. I parlatori tardivi possono evolvere in due modi: o sviluppano entro i 36 mesi le competenze e diventano come i loro coetanei (late bloomers), oppure portano avanti queste difficoltà linguistiche e dopo i 36 mesi sviluppano disturbi specifici del linguaggio. - Sviluppo morfosintattico. Morfologia verbale: inizia a svilupparsi a 3 anni, fino ai 7 (accordo tra soggetto e verbo); morfologia nominale, sviluppata a 3 anni (genere e numero); morfologico pronominale (pronomi personali), si sviluppa intorno ai 3-4 anni. In età prescolare il linguaggio comincia ad essere usato a scopo narrativo, cominciando a considerare gli stati mentali, però è ancora un linguaggio soggettivistico ed egocentrico. - Sviluppo pragmatico: i bambini sviluppano la componente pragmatica per comunicare in modo efficace nei vari contesti comunicativi. Lo sviluppo della pragmatica termina intorno agli 8-9 anni. Piaget sosteneva che fino ai 7 anni il linguaggio rimanesse egocentrico, ma in realtà studi recenti indicano che già a 3 anni i bambini adattano lo stile conversazionale all’interlocutore. Fino a circa 8 anni i bambini falliscono nel comunicare in situazioni più complesse (che richiederebbero ad es. teoria della mente). Incolla slide sulle medie delle tappe di sviluppo: Differenze nello stile di acquisizione. Esistono diversi stili individuali con cui i bambini imparano a parlare: - Stile referenziale: vocabolario composto in maggioranza da nomi—> maggior sviluppo lessicale. - Stile espressivo: vocabolario composto in maggioranza da pronomi, nomi propri—> maggior sviluppo sintattico. 17 della mano (la forma che assume la mano mentre esegue il segno), luogo di esecuzione del segno (spazio segnico, che ha un’estensione ben definita), movimento della mano (moto che compie la mano per eseguire il segno) e orientamento della mano (direzione della mano durante l’esecuzione del segno). Vengono solitamente usate entrambe le mani per segnare (una è quella dominante). Ci sono anche componenti non manuali per segnare (quinto parametro): capo, sopracciglia/fronte, occhi, guance, naso, labbra, spalla. I bambini sordi attraversano le stesse fasi di acquisizione dei bambini a sviluppo tipico: imparano prima i singoli segni e poi la composizione delle frasi. Questo dimostra che il loro deficit non è cognitivo ma solo sensoriale (non sentono i suoni). Ci sono studi sui danni dei cervelli dei sordi che dimostrano che le lingue dei segni attivano l’emisfero sinistro (come le lingue parlate), ma utilizzano anche il destro per elaborare la percezione dello spazio. Se l’area di Broca di un sordo è danneggiata, i parlanti avranno difficoltà a produrre segni, ma non nella comprensione dei segni altrui. Se è danneggiata l’area di Wernicke, essi avranno invece difficoltà a comprendere i segni degli altri. Le afasie si manifestano nello stesso modo quindi nelle lingue segniche come in quelle parlate. Questo significa che il linguaggio è amodale, non si basa cioè unicamente sulla modalità in cui viene prodotto (verbale segnico, scritto), ma sul cervello. I disturbi del linguaggio Il DSM-5 è un manuale diagnostico americano che è la base presa di riferimento per definire i disturbi del linguaggio. Esistono vari tipi di disturbi della comunicazione: - Disturbo fonetico-fonologico - Disturbo della fluenza - Disturbo del linguaggio - Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) A seconda di che tipo di problema present il paziente, quale aspetto linguistico è colpito (forma, contenuto, funzione) possiamo capire che disturbo ha. Disturbo fonetico-fonologico: persistente difficoltà nella produzione dei suoni dell’eloquio che interferisce con l’intelligibilità dell’eloquio o impedisce la comunicazione verbale di messaggi. Causa limitazioni dell’efficacia della comunicazione in ambito sociale, scolastico o lavorativo. Queste difficoltà non sono attribuiti a condizioni congenite acquisite. In un bambino con questo disturbo, si può avere: difficoltà nell’articolazione (dislalia), ritardo linguistico, buona comprensione. A volte è necessaria la logo-terapia, altre volte il disturbo passa con l’inserimento in asilo. Errori più frequenti che fanno i bambini: omissione, sostituzione, aggiunta di suoni extra e distorsione. Disturbo della fluenza (prima chiamato balbuzie): è un disturbo della comunicazione verbale caratterizzato da alterazioni del ritmo della parola, dette disfluenze. Il linguaggio diventa meno fluente e difficoltoso a causa di arresti, ripetizioni e prolungamenti involontari di un suono. Le cause della balbuzie includono fattori genetici e neurofisiologici. In base alla causa il problema può essere o meno risolto (attraverso la logopedia). 20 Cluttering: altro disturbo della fluenza in cui una persona non è in grado di regolare la propria velocità del flusso alle esigenze linguistiche o motorie del momento (è il parlare troppo velocemente mangiandosi le parole successive, volendo dire troppe cose). Altre difficoltà con i suoni causati da deficit neurologici: - Aprassia: alterata capacità del cervello di generare i programmi motori per i movimenti vocali. - Disartria: i muscoli che servono per articolare suoni possono essere deboli o avere difficoltà di movimento a causa di un deficit neurologici. È difficile distinguere questi due disturbi. Disturbo del linguaggio: difficoltà persistenti nell’acquisizione e nell’uso di diverse modalità del linguaggio (parlato, scritto, gestuale) dovute a deficit della comprensione o della produzione, che comprendono i seguenti elementi: lessico ridotto, limitata strutturazione delle frasi. Compromissione delle capacità discorsive (capacità di mettere insieme le parole per strutturare un discorso, raccontare qualcosa). Questo disturbo porta a limitazioni funzionali dell’efficacia della comunicazione in ambito sociale, scolastico o lavorativo. Le difficoltà non sono attribuibili a compromissione dell’udito o ad altre compromissioni sensoriali, o a disfunzioni motorie. Tra le cause c’è solitamente uno scarso input linguistico (i genitori hanno parlato poco ai bambini nella fase dello sviluppo del linguaggio). Comorbidità: alcuni disturbi tendono ad apparire insieme ad altri, ad es: autismo + ADHD; disturbo del linguaggio + disturbo dell’apprendimento. Disturbi specifici dell’apprendimento: - Dislessia: difficoltà a leggere veloce e correttamente, comprendere ed elaborare il testo. La dislessia è collegata ad alcuni geni che causano delle differenze nella struttura del cervello (nella connettività tra i neuroni). È quindi presente un modello anomalo di funzionamento del cervello durante la lettura che spiega la difficoltà di estrarre il significato della parola stampata. Sintomi della dislessia: lettura lenta o discontinua, confusione tra grafemi simili, omissione di grafemi, aggiunta di lettere, confusione tra parole simili. - Discalculia: difficoltà a fare calcolo mentale, imparare le tabelline, mettere in colonna. Incapacità di attribuire ai numeri il valore corretto. Sintomi della discalculia: difficoltà nel conteggio, nell’usare le dita per contare, nel posizionare le cifre o ricordare sequenze di cifre. Sembra che la discalculia si possa diagnosticare prima ancora che il bambino vada a scuola, i bimbi discalculici hanno da subito difficoltà a discriminare la numerosità. - Disortografia: difficoltà a scrivere senza errori ortografici. È il disturbo specifico che coinvolge la correttezza della scrittura (ortografia). Fino a pochi anni fa non era diagnosticata e veniva unita alla dislessia. - Disgrafia: difficoltà nello scrivere in modo ordinato e leggibile, a causa di problemi di coordinazione motoria fine. Sintomi della disgrafia: calligrafia appena leggibile, scorretta e distorta, si hanno particolari difficoltà a seguire una linea retta o a rispettare i margini. Spesso per i discografici è anche doloroso scrivere a mano. Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica): è un disturbo molto interessante e di difficilissima diagnosi. Sintomi: persistente difficoltà nell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale, come: deficit nell’uso della comunicazione per scopi sociali, come salutarsi e scambiarsi informazioni, con modi appropriati al contesto sociale; compromissione della capacità di modificare la propria comunicazione al fine di renderla adeguata al contesto o alle esigenze di chi ascolta; difficoltà nel fornire precise informazioni riguardo a richieste specifiche; difficoltà nel rispettare i turni di una conversazione; difficoltà nel capire ciò che non viene detto esplicitamente (inferenze, ironia, sarcasmo, metafore…). I deficit causano limitazioni funzionali dell’efficacia della comunicazione in ambito sociale, scolastico o lavorativo. I sintomi non sono attribuibili ad un’altra condizione neurologica o a disturbi dello spettro autistico (per diagnosticare questo disturbo si devono presentare quindi solo difficoltà pragmatiche, alcuni ritengono che questo disturbo non esista nemmeno). In questo caso sembra esserci una componente genetica. 21 Linguaggio nei disturbi dello spettro autistico. Il disturbo dello spettro autistico (ASD) rappresenta un termine ombrello sotto cui vengono raggruppate molte manifestazioni della condizione clinica, tra cui disturbo autistico, sindrome di asperger, ecc… Teoria della madre frigorifero: negli anni ’90 si pensava che l’autismo avesse origini familiari, la colpa dell’autismo veniva data alla madre, che era troppo fredda e distaccata. Per parecchi anni (a partire dal libro di Bettelheim The empty fortress) questa teoria ebbe successo. Questa teoria nasceva dalla confusione tra causa ed effetto: è possibile che la mancanza di attaccamento tra la madre e il figlio sia dovuta alla reciprocità sociale dei bambini stessi. Ad oggi, ciò che resta di questi primi studi sull’autismo sono le descrizioni di aspetti apparsi sin da subito come caratteristici del disturbo. Kanner, nel 1943, parlando di un bambino da lui studiato, descrisse la peculiarità nelle relazioni sociali (distacco, indifferenza) e alcuni disturbi del linguaggio nei bambini autistici che si riscontrano ancora oggi. Le abilità comunicative delle persone nello spettro autistico: mentre le difficoltà linguistiche dei disturbi specifici del linguaggio sono più nell’area fonetica e morfologica, quelle delle persone autistiche sono maggiormente nell’ambito della semantica e della pragmatica. Esempi di cosa è stato individuato a livello pragmatico nei bimbi autistici: - Stile ‘Little professor’: difficoltà a parlare coi coetanei e preferenza per comunicare con gli adulti. - Difficoltà a riparare la conversazione (risolvere difficoltà comunicative). - Tendenza ad un discorso pedante e prolisso. - Cambi di argomenti inappropriati. - Difficoltà ad adattare il registro linguistico alla situazione. - Difficoltà a comprendere il linguaggio non letterale. Video del bambino autistico: prosodia non funzionale, ecolalia, inversione pronominale. La prosodia (intonazione) disfunzionale è una delle prime caratteristiche evidenti dell’autismo. La prosodia comprende varie caratteristiche del parlante o dell’enunciato: lo stato emotivo del parlante, l’enfasi, la presenza di ironia o sarcasmo… Molti hanno studiato la prosodia nell’autismo: lo stile prosodico degli autistici è definito bizzarro (intonazione esagerata o monotona, volume eccessivo, velocità troppo veloce o troppo lenta, difficoltà nella prosodia emotiva). Le difficoltà prosodiche rimandano a difficoltà di teoria della mente (non si considera l’interlocutore). Si sa invece molto poco sulla prosodia ricettiva (quanto gli autistici fanno difficoltà a comprendere la prosodia altrui). L’idea è che i bambini autistici non siano in grado di adattarsi al contesto della comunicazione e alla distanza fisica dell’interlocutore: la distanza fisica con le persone porta a modulare la voce (non serve urlare se siamo accanto ad una persona) e questa modulazione prosodica è molto difficile per i bambini autistici (che hanno una mancata percezione della distanza sociale). Alcuni esperimenti sui pronomi e sull’ironia che mostrano le difficoltà dei bambini autistici. I pronomi sono una parte complessa ed importante della pragmatica (i pronomi sono complessi per i bambini perché variano in base a ciò a cui ci si riferisce). Kanner nel 1943 osservò che i bambini autistici ripetevano i pronomi personali esattamente come percepiti, senza adattarli alla situazione e mantenendo la stessa prosodia che hanno sentito. Errori coi pronomi: inversione pronominale ed evitamento pronominale [quando si parla di sè in terza persona: ma questo succede per ecolalia (si ripete ciò che si sente) o per difficoltà di teoria della mente?]. Esperimento fatto dalla Mazzaggio: ma se i bambini autistici invertono i pronomi personali, allora invertono anche gli accordi verbali riferiti ai pronomi? Risultati: i bambini autistici parlano di sè in terza persona o usando il loro nome proprio, tendono quindi ad omettere i pronomi (evitamento pronominale) oppure quando li producono usano quelli sbagliati (inversione pronominale). Anche parlando di altri ne parlano in terza persona ma non usando i pronomi (evitamento). I bambini autistici conoscono quindi i pronomi ma faticano a capire quando devono impiegarli, hanno difficoltà pragmatiche (i pattern osservati rappresentano casi in cui vengono date più informazioni del necessario, quindi violazione di una massima di Grice (‘non dare contributi più informativi del necessario’). I bambini autistici hanno anche difficoltà nel capire l’ironia (prendono tutto alla lettera), anche se con variazioni individuali (alcuni a volte l’ironia la capiscono, altri invece mai). La comprensione dell’ironia è un compito complesso, che richiede il riconoscimento del significato e dell’atteggiamento del parlante. Normalmente i bambini imparano a comprendere l’ironia a 6 anni. La mancata comprensione dell’ironia nei bambini autistici è legata alle loro competenze linguistiche, alle abilità di ToM o ad altri fattori? 22
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