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APPUNTI DI PROCEDURA CIVILE 2018, Dispense di Diritto Processuale Civile

SUPERAMENTO DELL'ESAME GARANTITO

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 05/10/2018

ciccina22
ciccina22 🇮🇹

4.4

(53)

58 documenti

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Scarica APPUNTI DI PROCEDURA CIVILE 2018 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE PRIMO CAPITOLO: L’AZIONE CIVILE In diritto l'azione civile è l'azione spettante ad un soggetto giuridico per la realizzazione di un diritto soggettivo di cui è titolare. L'azione civile è soggetta a 2 requisiti: • i presupposti processuali sono requisiti che devono esistere "prima" della proposizione dell’azione civile. Nell'ambito dei presupposti processuali si opera un'ulteriore distinzione tra presupposti di esistenza del processo, che devono sussister prima della proposizione della domanda affinché venga in esser il processo;e presupposti di validità o procedibilità del processo, che devono sussistere prima della proposizione della domanda affinché il processo possa proseguire sino alla pronuncia sul merito. Ad esempio sono presupposti di validità processuale:la competenza cioè il potere del giudice di decidere sulla controversia; e la capacità processuale cioè il potere della parti di compiere gli atti processuali. • le condizioni dell'azione rappresentano i requisiti indispensabili affinché l'azione civile raggiunga la propria finalità. Sono requisiti intrinseci alla domanda. Tali requisiti sono: • interesse ad agire ovvero il bisogno di tutela giurisdizionale. Elementi caratterizzanti sono la concretezza cioè il rischio concreto di subire un danno e l'attualità cioè la sussistenza dell'interesse ad agire anche al momento della pronuncia del giudice. • legittimazione ad agire ovvero occorre che vi sia identità tra l'attore e la persona a cui la legge riconosce il potere di agire (cd. legittimazione attiva), e tra il convenuto e la persona contro cui si rivolge l'azione (cd. legittimazione passiva) • possibilità giuridica ovvero l'esistenza di una norma che preveda il diritto che il soggetto vuole tutelare in giudizio. ELEMENTI DISTINTIVI DELL’AZIONE CIVILE Gli elementi distintivi dell’azione civile sono: • i soggetti: tutti coloro che rivestono la qualità di parte del procedimento ovvero attore (colui che propone la domanda giudiziale) e convenuto (colui contro cui è rivolta la domanda). • l'oggetto o il petitum: ciò che viene richiesto con la domanda giudiziale.Si distingue il petitum immediato cioè il provvedimento che viene richiesto al giudice e il petitum mediato cioè il bene o la prestazione effettivamente dovuta dal convenuto. • il titolo o la causa petendi: la ragione sulla quale si basa la domanda giudiziale. L’art.24 della Costituzione afferma che “tutti posso agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Il Diritto di difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo. Lo Stato deve garantir ai non abbienti l’accesso alla giustizia”. La Corte Costituzionale ha chiarito che il diritto d’azione costituzionalmente garantito, non è solo il diritto di iniziare un processo, ma è anche il diritto alla tutela esecutiva e alla tutela cautelare. Infatti in merito alla tutela esecutiva deve essere garantito non solo il diritto ad un processo a cognizione piena, in cui venga accertato il diritto che vanta l’attore, ma anche che colui il quale abbia ragione possa ottenere praticamente la realizzazione del suo diritto in via coattiva attraverso il processo di esecuzione forzata. In merito alla tutela cautelare, si parla di quella tutela provvisoria e urgente che il ricorrente può ottenere se ricorrono il periculum in mora (pericolo di un pregiudizio) e il fumus boni iuris (fondato timore); molto spesso infatti, il tempo occorrente per far valere il proprio diritto,in un ordinario processo è troppo lungo e ciò comporta il rischio che nel frattempo la situazione sul piano sostanziale si pregiudichi, ecco perché si richiede la necessità della tutela cautelare. La Corte Costituzionale, inoltre, ha concretizzato il diritto di difesa in 4 sottodiritti: • il diritto al contraddittorio, inteso in una doppia accezione: ovvero come possibilità di partecipare al processo e come potere di replicare alle attività difensive della controparte; • Il diritto alla difesa tecnica, nel senso che a nessun soggetto deve essere impedita la possibilità di munirsi di un difensore; • Il diritto alla prova nel senso che un soggetto può vedere effettivamente tutelato il proprio diritto di difesa solo se può provare le proprie affermazioni; • Il diritto ad evitare decadenze incolpevoli. DIRITTO D’AZIONE Per lungo tempo la dottrina ha cercato di definire il diritto d’azione. Una prima parte della dottrina affermava che il diritto d’azione era l’aspirazione ad un provvedimento di accoglimento della domanda. Una seconda parte affermava che il diritto d’azione era l’aspirazione ad un provvedimento di merito. Una terza parte affermava che il diritto d’azione era l’aspirazione ad un provvedimento giurisdizionale di qualunque tipo. La Corte di Cassazione ha determinato che l’azione è tendenzialmente l’aspirazione ad un provvedimento di merito. Oltre all’art.24 di fondamentale importanza è l’art. 111 della Costituzione. Tale articolo sancisce che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo. Un giusto processo è quello regolato dalla legge davanti ad un giudice terzo ed imparziale, retto dal contraddittorio e dalla parità delle parti e soprattutto con una durata ragionevole. Contro tutte le sentenze è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge”. Per quanto riguarda la parità delle parti è previsto che nessuna delle parti può giovarsi di una situazione di vantaggio rispetto all’altra. Per quanto riguarda il ricorso per Cassazione quest’ultimo viene costituzionalizzato e inoltre la Corte di Cassazione ha applicato l’articolo 111 a tutta una serie di ipotesi nelle quali la legge prevede provvedimenti diversi dalla sentenza ma che abbiano due caratteristiche: abbiano natura decisoria e si tratta di provvedimenti che non siano altrimenti impugnabili. In presenza di questi due caratteri il processo per Cassazione è sempre ammesso. COMPETENZA E GIURISDIZIONE Per competenza si intende la quantità di potere giurisdizionale che spetta a giudici appartenenti allo stesso ordine. Per giurisdizione si intende sempre lo stesso potere ma tra giudici di ordine diverso.L’art.25 della Costituzione afferma che «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Ciò significa che la competenza del giudice deve esser predeterminata direttamente dalla legge, in base a criteri oggettivi che la affermino preventivamente. Dunque non è ammissibile che il giudice competente venga scelto al momento in cui si presenta la necessità di giudicar perché ciò non garantirebbe l’imparzialità dell’esercizio della giurisdizione. Una fra le principali ripartizioni è quella tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale. La giurisdizione ordinaria è attribuita ai magistrati ordinari ed ha carattere di generalità ovvero riguarda tutte quelle materie che la legge non riserva espressamente a giudici speciali. La giurisdizione speciale, invece, è attribuita ad organi che non appartengono alla magistratura ordinaria, i cd. giudici speciali, ed ha ad oggetto specifiche determinate materie. Diverse sono le cd. “sezioni specializzate”, organismi appartenenti ad uffici giudiziari ordinari caratterizzati da particolari ed elevate competenze tecniche (es: il Tribunale per i Minorenni). Ulteriore distinzione effettuata nell'ambito della funzione giurisdizionale è quella operata tra: giurisdizione costituzionale: avente ad oggetto la legittimità costituzionale delle leggi e la disciplina dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato; giurisdizione penale: avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità penale; giurisdizione amministrativa: avente ad oggetto la tutela degli interessi legittimi; giurisdizione civile: avente ad oggetto la tutela dei diritti soggettivi dei privati e enti pubblici. Tale ultima forma giurisdizionale è a sua volta distinta in diverse tipologie giurisdizionali: • giurisdizione contenziosa (o di cognizione): volta all'accertamento dell'esistenza di una situazione giuridica e della sua eventuale violazione; • giurisdizione esecutiva: volta ad ottenere l'esecuzione forzata di un diritto o di un obbligo; territorialmente competente è quello in cui l’ente svolge la sua attività in modo continuativo. Vi sono poi dei fori speciali, in considerazione dei diritti oggetto di controversia. Fra questi: • il foro speciale facoltativo (riguardante le cause relative a diritti di obbligazione) che è quello del luogo dove è sorta o deve eseguirsi una obbligazione. • il foro speciale esecutivo in quanto esclude il foro generale. Si ha in materia di diritti reali, azioni possessorie, cause ereditarie,cause fra soci e condomini,gestioni tutelari e patrimoniali. • foro esecutivo delle cause relative ai diritti reali:quello del luogo in cui è ubicato l’immobile • foro esclusivo delle cause relative alle azioni possessorie: quello del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato • foro esclusivo delle cause ereditarie:quello del luogo in cui si ha l’apertura della successione • foro esclusivo delle cause tra soci e condomini:quello del luogo dove ha sede la società o dove si trova la maggior parte dei beni condominiali • foro esclusivo delle gestioni tutelari e patrimoniali:quello del luogo dove è esercitata la tutela o l’amministrazione patrimoniale L’art. 38 c.p.c è rubricato "Incompetenza". Il 1°comma dell’art.38 afferma che “l’incompetenza per materia, per valore e per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata (cioè almeno 20 giorni prima della prima udienza). L’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente”. Il 2° comma determina che in caso di indicazione concorde del giudice competente, la causa deve essere cancellata dal ruolo con ordinanza. In conseguenza, risaltano due aspetti peculiari: 1)la condivisione della scelta fisserà definitivamente la competenza territoriale del giudice scelto 2)il procedimento proseguirà validamente innanzi a detto secondo giudice solo se le parti riassumeranno il giudizio innanzi ad esso nel termine PERENTORIO di tre mesi. Il 3°comma afferma che in mancanza di eccezione tempestiva, il giudice può rilevare d’ufficio l’incompetenza per materia, per valore e per territorio inderogabile. Il rilievo non può comunque avvenire oltre la prima udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa. Il 4°comma afferma che le questioni espresse nei commi precedenti sono decise, ai fini della competenza,in base a quello che risulta dagli atti e,se necessario,assunte sommarie informazioni. IL REGOLAMENTO DI COMPETENZA Il regolamento di competenza si ha quando sorge un conflitto tra due o più giudici in ordine alla competenza. Tale conflitto può essere positivo, se i giudici si ritengono tutti competenti, o negativo, qualora nessuno di loro si reputi competente. Il nostro legislatore distingue due casi differenti di regolamento di competenza: quello su istanza di parte e quello d'ufficio. Il regolamento di competenza su istanza di parte, presuppone la sussistenza di una sentenza con la quale un giudice si sia pronunciato sulla propria competenza, riconoscendola o negandola. Tale regolamento può essere di due differenti tipologie: • necessario: si ha nel caso in cui la sentenza emessa abbia deciso soltanto sulla competenza e non sul merito della causa. E’ necessario nel senso che è l’unico mezzo con il quale i provvedimenti che pronunciano solo sulla competenza possono essere impugnati. • facoltativo: si ha nel caso in cui la sentenza emessa abbia deciso anche sul merito. E’ facoltativo nel senso che non è l’unico mezzo di impugnazione proponibile ma concorre con quelli ordinari (l’appello per lo più). Tuttavia se viene proposto subito il regolamento, l’impugnazione ordinaria potrà investire solo il merito; se invece viene proposta prima l’impugnazione ordinaria, ciò non impedisce alle parti di chiedere il regolamento rimanendo sospeso il giudizio sull’impugnazione ordinaria. Il regolamento di competenza d’ufficio si verifica quando due giudici sostengono ciascuno la competenza dell'altro o di altro diverso giudice. Il giudice innanzi al quale la causa è stata riassunta e che si ritiene incompetente può chiedere d'ufficio il regolamento di competenza. Il compito di statuire sulla competenza spetta alla Corte di cassazione. Il rimedio evidenziato può aversi però soltanto per i casi di incompetenza per materia e funzionale; negli altri casi il giudice indicato come competente non può a sua volta dichiarare la propria incompetenza. Il procedimento col quale si esplica il regolamento di competenza è identico per tutte le specie di regolamento. L'istanza di regolamento di competenza viene promossa innanzi alla Corte di Cassazione con ricorso sottoscritto dal difensore o dalla parte stessa, qualora si sia costituita personalmente. Il ricorso deve essere notificato alle parti che non vi hanno aderito. Nei cinque giorni successivi alla notifica alle parti, colui che propone il ricorso dovrà richiedere alla cancelleria degli uffici ove pendono i processi, di trasmettere i relativi fascicoli alla cancelleria della Corte di Cassazione. Entro venti giorni, il ricorrente dovrà poi depositare in cancelleria il proprio ricorso con allegati i necessari documenti. Il regolamento è pronunciato con sentenza in camera di consiglio.La conseguente riassunzione della causa è onere del giudice che la pronuncia della Cassazione ha dichiarato competente. Il termine per la riassunzione è stabilito nella sentenza. Se la riassunzione avviene nel termine previsto, il processo continua davanti al nuovo giudice (è lo stesso processo che continua con la traslatio judicii); se la riassunzione non avviene nel termine previsto, il processo si estingue. Tuttavia la competenza, così come statuita dalla Cassazione, resta ferma anche in un eventuale nuovo processo sulla stessa azione. COMPETENZA DEL GIUDICE DI PACE Il giudice di pace è un giudice onorario che ha competenza per le materie minori. Sul giudice di pace è intervenuta la riforma del 2009 introducendo un’accelerazione dei tempi del processo. L’art. 320 c.p.c prevede una forma semplificata di Trattazione della Causa: “Nella prima udienza il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione. Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese e eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere”. Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità. Tuttavia le cause davanti al giudice di pace possono essere decise secondo equità quando il valore di esse non ecceda i 1.100 euro, salvo però quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a determinati contratti previsti dalla legge. Tali contratti sono, di regola, quelli posti in essere con moduli prestampati tipici delle banche o compagnie assicuratrici per evitare che una pronuncia del giudice di pace secondo equità sia per loro troppo pregiudizievole. Occorre specificare che cosa sia l’equità. L’equità è la possibilità del giudice di stabilire chi ha ragione o torto, non applicando rigorosamente il diritto, ma secondo il senso comune di giustizia del caso concreto. Il giudice che decide secondo equità deve rispettare ovviamente sempre le regole del processo. Contro le sentenze del giudice di pace oggi si può fare appello. Precedentemente, invece, vi era un sistema in base al quale se il giudice di pace si pronunciava secondo diritto la sentenza era appellabile; se si pronunciava secondo equità la sentenza non era appellabile. Il non fare appello però non pregiudicava il ricorso in Cassazione e così la Corte di Cassazione finì col ritrovarsi troppe cause, per di più di esiguo valore e contenuto. Così fu creato il 3°comma dell’art 339 c.p.c. che stabilisce l’appellabilità delle sentenze pronunciate secondo equità ma esclusivamente “per violazione di norme sul procedimento, comunitarie o costituzionali”. In tal modo si è reso il giudizio d’appello delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, una sorta di giudizio per Cassazione. L’appello delle sentenze del Giudice di Pace si fa innanzi al tribunale (non innanzi alla Corte d’Appello) ed è un appello limitato a un controllo di legalità processuale. I PRINCIPI DEL PROCESSO CIVILE Il processo civile italiano è retto da una serie di principi fondamentali che fanno riferimento diretto ai principi sanciti dalla Carta Costituzionale. Tali principi fondamentali sono contenuti in parte nel codice di procedura civile ed in parte nel codice civile. Fra questi troviamo: • principio della domanda: i singoli individui sono liberi di chiedere o meno tutela giurisdizionale come anche di rinunciarvi una volta chiesta.Il diritto alla tutela giurisdizionale trova esplicito riconoscimento nel primo comma dell'art. 24 della Cost., il quale stabilisce che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. Il Legislatore ha, però, previsto delle eccezioni al principio della domanda, stabilendo delle ipotesi tassativamente specifiche in cui il procedimento può essere incardinato d'ufficio ovvero per mezzo di altri soggetti differenti rispetto al quello legittimato ad agire in giudizio (es: l'ipotesi prevista dall'art. 6 della legge fallimentare che prevede la possibilità che venga azionato d’ufficio un procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento di un soggetto). • principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato: conseguenza naturale del principio della domanda è il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Tale principio prevede che il giudice deve decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. Infatti si ha extrapetizione quando il Giudice attribuisce un bene o una tutela diversi da quelli richiesti dalla parte istante; si ha,invece,ultrapetizione quando il Giudice attribuisce un bene o una tutela maggior o minore rispetto a quella richiesta.In entrambe le ipotesi il provvedimento è contrario alla legge e, quindi, viziato in quanto eccede le richieste delle parti. Tali vizi sono rilevabili con le impugnazioni preposte, altrimenti la sentenza passa in giudicato. • principio del contraddittorio: tale principio prevede che il Giudice non possa emettere alcun provvedimento se la parte contro la quale è stata proposta la domanda non è stata regolarmente citata e non è comparsa. Il principio del contraddittorio è la proiezione sul piano processuale di alcuni principi sanciti dalla Costituzione fra i quali: il principio di uguaglianza art. 3 Cost. e il principio del giusto processo art. 111 Cost. che afferma implicitamente che la dialettica fra le parti sia lo strumento più opportuno per porre in essere tale principio. E’ però prevista la possibilità, in casi eccezionali, che il Giudice emani un provvedimento “inaudita altera parte” cioè senza aver sentito l'altra parte. Tale deroga è ammessa a condizione che si instauri il contraddittorio in un momento successivo all'emanazione del provvedimento provvisorio. Possiamo distinguere 3 ipotesi di integrazione del contraddittorio successivo: • la prima ipotesi si ha quando è lo stesso giudice che ha emanato il provvedimento provvisorio a disporre la convocazione delle parti in contraddittorio; • la seconda ipotesi si ha quando il legislatore pone l’onere sulla parte istante in favore della quale è stato emanato il provvedimento provvisorio, di dare inizio ad un procedimento a contraddittorio pieno al fine di giudicare sulla fondatezza della pretesa vantata, pena l’inefficacia del provvedimento sommario ottenuto; • la terza ipotesi, invece, si ha quando è onere della parte contro cui è stato emanato il provvedimento di promuovere opposizione aprendo così un giudizio di cognizione a contraddittorio pieno, pena l’efficacia del provvedimento emanato inaudita altera parte. Questo è il caso del procedimento monitorio per decreto ingiuntivo. • principio dell'applicazione del diritto e il giudizio di equità: tale principio prevede che il Giudice deve seguire le norme di diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità.La necessità di vincolar il giudice a norme predeterminate nasce dall'esigenza di garantire la certezza del diritto. Si può decidere in via equitativa: • per le cause innanzi al giudice di pace quando il valore di esse non ecceda i 1.100 €, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a determinati contratti previsti dalla legge. ▲ se ha un interesse nella causa ▲ se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado di una delle parti o dei difensori; ▲ se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori ▲ se ha dato consiglio nella causa, o ha deposto in essa come testimone ▲ se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti ▲ in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza. • la ricusazione che è un istituto che coinvolge direttamente le parti del giudizio le quali, con ricorso,nei casi in cui è obbligatoria l'astensione del giudice, possono proporne la ricusazione. Sulla ricusazione decide il Presidente del Tribunale se è ricusato un giudice di pace; il collegio se è ricusato uno dei componenti del tribunale o della corte. La decisione sul ricorso viene presa con ordinanza non impugnabile, udito il giudice ricusato e, quando occorre, assunte le prove offerte. Tale ordinanza designerà anche il nuovo giudicante che andrà a sostituire quello ricusato. Invece l'ordinanza con la quale viene rigettata l'istanza di ricusazione o con la quale viene dichiarata l'inammissibilità di tale ricusazione “potrà” sancire la condanna della parte che l'ha proposta al pagamento di una pena pecuniaria. Differenza fra giudice ordinario e speciale Esiste una differenza tra giudice straordinario e giudice speciale: il giudice straordinario è un giudice che viene nominato dopo che è avvenuto un fatto sul quale si vuole il giudizio. il giudice speciale, a differenza di quello straordinario, è precostituito ossia l'organo esiste già prima del verificarsi del fatto sul quale si vuole il giudizio. Si distingue dalla giurisdizione ordinaria perché mentre la giurisdizione ordinaria ha competenza generica; la giurisdizione speciale ha competenza sulle materie che non rientrano nelle competenze di quella ordinaria. E’ speciale nel senso che è istituita apposta per alcuni casi o materie. Il giudice straordinario è in contrasto con il principio del giudice precostituito per legge. In base a tale principio è impensabile che un ordinamento preveda la nomina del giudice dopo che il processo è già iniziato. Infatti esiste un sistema di tabelle organizzate secondo criteri dettati dal Consiglio superiore della magistratura che stabiliscono in base a quali criteri oggettivi si debba nominare il giudice, in relazione a una singola controversia. Il Presidente del Tribunale, nel rispetto di tali tabelle, nomina il giudice per ogni singolo caso. Per quanto attiene ai giudici speciali, invece, i padri costituenti giunsero a un compromesso vietando la costituzione di nuovi giudici speciali ma lasciando in vigore quelli già esistenti al momento dell’approvazione della Costituzione.Attualmente i giudici speciali:Consiglio di Stato,Corte dei Conti,Tribunale Militare. La responsabilità del giudice Per quanto attiene alla responsabilità del giudice è stata introdotta la legge 117 del 1998 in base alla quale la responsabilità del giudice e l'azione risarcitoria ad essa connessa è prevista nei casi di provvedimenti o atti commessi con dolo o colpa grave e diniego di giustizia. Il dolo è la volontà di tenere un comportamento dannoso, con la coscienza della sua idoneità a recare danno. La colpa grave viene riconosciuta nei casi in cui vi sia violazione di legge determinata da negligenza inescusabile. Il diniego di giustizia, invece, si configura in caso di rifiuto, omissione o ritardo del giudice nel compimento di atti del suo ufficio. Chi ha subito il danno ingiusto per effetto del comportamento di un giudice non può agire direttamente nei confronti di quest'ultimo, ma deve rivolgersi contro lo Stato, nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri. L'azione per il risarcimento può essere avanzata soltanto dopo l'esperimento dei mezzi ordinari di impugnazione o al termine del grado di procedimento nel quale è stato emesso il provvedimento. Nel caso di condanna del giudice lo Stato, a seguito del risarcimento del danno, può rivalersi sul giudice entro un anno. Il risarcimento previsto però ha ad oggetto soltanto il danno patrimoniale; il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi di provvedimenti che implicano la restrizione della libertà personale, e dunque resta escluso nei giudizi civili. Qualora il comportamento del giudice costituisca anche reato, lo stesso è soggetto anche alle norme ordinarie in materia penale (ad esempio nelle ipotesi di corruzione). La nuova normativa prevede anche la responsabilità disciplinare del magistrato sia in caso di inosservanza dei suoi doveri sia in caso di condotta che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario. L'azione disciplinare è obbligatoria nei casi che hanno portato alla richiesta di risarcimento. Le competenze e i poteri del giudice Il Giudice può essere un organo monocratico o collegiale: monocratico quando è formato da una sola persona;collegiale quando è formato da più persone.Nell'area civile son giudici monocratici: il Giudice di Pace e il Tribunale in composizione monocratica. Giudici collegiali, invece, sono: il Tribunale (formato da 3giudici)la Corte di Appello(formata da 3giudici) e la Corte di Cassazione (formata da 5giudici se giudica a sezioni semplici;7 a sezioni unite).In base alle competenze vi è: 1. il Giudice di pace: è competente a giudicare le cause di modico valore. Contro le sentenze emesse dal giudice di Pace si può fare appello al Tribunale. 2. il Tribunale: è competente a giudicare tutte le altre questioni non attribuite alla competenza del giudice di pace. Svolge sia funzioni di giudice di primo grado che di secondo. 3. la Corte di appello: è competente per le impugnazioni contro le sentenze pronunciate in primo grado dal tribunale. 4. la Corte di Cassazione: è competente a garantire l'osservanza e l'uniforme interpretazione delle norme di legge. Inoltre regola i conflitti di competenza, giurisdizione e attribuzione. In base ai poteri si distingue fra: • potere di direzione e governo del processo che è necessario per garantire un rapido e corretto svolgimento del giudizio; • potere conciliativo, a mezzo del quale il giudicante, su richiesta congiunta delle parti, può fissare altra udienza nella quale esperire il tentativo di conciliazione; • poteri ordinatori ed istruttori che sono necessari per la raccolta di prove ed elementi di fatto da porre alla base della decisione finale; • potere decisorio, ovvero di decidere la causa. Giudice unico e collegio Dal 1998, con l’abolizione delle preture, è stato previsto che in tribunale le cause siano decise da un giudice monocratico. Infatti fuori dai casi previsti dall’art.50bis, il tribunale giudica in composizione monocratica. Tale scelta si fonda sul fatto che il legislatore, sapendo che ci sono delle cause più complesse, preferisce affidarle ad un collegio perché può dare un prodotto migliore. Le norme che regolano il processo in tribunale valgono tanto per le decisioni emesse dal collegio quanto per le decisioni emesse dal giudice monocratico solo che quest’ultimo ha più poteri istruttori. Qualora una causa collegiale venga data al giudice monocratico, se questi se ne accorge prima di scrivere la sentenza, la rimette al collegio. Qualora una causa monocratica venga data al giudice collegiale, se questi se ne accorge prima di scrivere la sentenza, la rimette al giudice monocratico. Qualora la sentenza venga emessa dal giudice sbagliato è nulla. Tuttavia il riparto della giurisdizione tra giudice collegiale e monocratico, ove errato, non deve essere considerato come un vizio attinente alla costituzione del giudice e dunque insanabile, ma è un vizio rilevabile. Tale nullità va fatta valere col mezzo d’impugnazione; se la sentenza non è impugnata e passa in giudicato, tale passaggio in giudicato della sentenza sana il vizio di nullità. Inoltre anche se si fa impugnazione se il giudice d’appello è d’accordo con quanto deciso dal giudice di primo grado, benché sbagliato, tale giudice d’appello rileva la nullità e conferma la sentenza (con ciò si sottolinea che il legislatore dà poca importanza a queste mere irregolarità procedurali: certo si rilevano ma se la sentenza è corretta nel merito viene riconfermata). Il pubblico ministero Il Pubblico Ministero è un soggetto che ha poteri analoghi a quelli delle parti di un giudizio, ma che li esercita nell'esclusivo interesse pubblico. La sua azione, infatti, è volta alla promozione della tutela giurisdizionale laddove vengono in evidenza interessi pubblici. In base al codice di procedura civile “il pubblico ministero esercita l'azione civile nei casi stabiliti dalla legge”. In alcuni casi l'intervento del p.m è obbligatorio a pena di nullità rilevabile di ufficio e dunque: nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; nella cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi; nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone; per le cause innanzi alla Corte di Cassazione; in ogni altra causa in cui ravvisi un pubblico interesse; negli altri casi previsti dalla legge. Il giudice innanzi al quale è proposta una di tali cause ordina la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire. Qualora il pubblico ministero intervenga nelle cause che avrebbe potuto proporre, ha gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita nella forme stabilite dalla legge. Qualora intervenga negli altri casi, tranne che nelle cause innanzi alla corte di cassazione, egli può produrre documenti, dedurre prove e prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti.Il pubblico ministero può poi proporre impugnazioni contro le sentenze relative a cause matrimoniali, salvo quelle di separazione personale dei coniugi. Inoltre può proporre impugnazioni anche contro le sentenze che dichiarano l'efficacia o l'inefficacia di sentenze straniere relative a cause matrimoniali salvo quelle di separazione personale dei coniugi. Gli ausiliari del giudice Il giudice nell'esercizio delle proprie funzioni è coadiuvato dall'operato di diversi organi ai quali la legge riconosce funzioni specifiche. Il collaboratore principale del giudice è il cancelliere. Egli assolve compiti prettamente burocratici e amministrativi. Infatti: • documenta le attività proprie, quelle degli organi giudiziari e delle parti; • assiste il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale; • stende la scrittura e vi appone la sua sottoscrizione dopo quella del giudice; • pone in essere tutte le altre funzioni attribuite dalla legge. Il cancelliere è responsabile civilmente di quanto svolto nell'esercizio delle proprie funzioni: 1. quando senza giusto motivo rifiuta di compiere atti che gli sono legalmente richiesti, oppure ometta di compierli nel termine che è stato fissato dal giudice; 2. nel caso di compimento di atto nullo per dolo o colpa grave. Altro importante organo ausiliare del giudice è l'ufficiale giudiziario, i cui principali compiti sono di carattere esecutivo. Egli può assistere il giudice in udienza, provvede all'esecuzione dei suoi ordini,esegue la notificazione degli atti e pone in essere tutte le altre funzioni attribuite dalla legge.La responsabilità civile dell'ufficiale giudiziario è uguale a quella sancita per il cancelliere. Altro importante organo ausiliare del giudice è il consulente tecnico del quale si serve il giudice laddove necessita di particolari competenze tecniche. Di norma, la scelta dei consulenti dovrebbe essere operata tra le persone iscritte negli albi speciali. Ricevuto l'incarico, il consulente compie le indagini e gli accertamenti commissionati e fornisce i chiarimenti che il giudice eventualmente richiede. Il consulente può essere ricusato dalle parti per gli stessi motivi previsti per la ricusazione del giudice. Su tale ricusazione decide il giudice che ha provveduto alla sua nomina. Per quanto attiene alle responsabilità penali, il consulente tecnico che incorra in colpa grave di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con apposita autorizzazione, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche. IL LITISCONSORZIO Il litisconsorzio si verifica quando in un processo sussistono più parti. Quando vi sono più attori si parla di litisconsorzio attivo. Quando vi sono più convenuti si parla di litisconsorzio passivo. Quando vi sono più attori e più convenuti si parla di litisconsorzio misto. Il litisconsorzio può essere originario qualora le parti in giudizio sono molteplici fin dall'inizio; successivo se le parti iniziali del processo sono inizialmente due alle quali successivamente se ne aggiungono altre. L’istituto risponde ad una logica di economia dei giudizi e a una logica di non contraddittorietà di giudicati. Il nostro legislatore disciplina due forme di litisconsorzio: necessario: qualora la decisione deve essere presa nei confronti di più parti che devono agire nello stesso processo (es: la domanda di divisione deve proporsi nei confronti di tutti gli eredi). Se il processo è promosso solo da alcune parti o solo contro alcune parti il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio. Qualora l'onere dell'integrazione non venga adempiuto il processo si estingue. Tuttavia non è pregiudicata la possibilità di riproporre la domanda, in quanto l'estinzione del procedimento non estingue l'azione. Il difetto di integrità del contraddittorio è rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del procedimento. Qualora sia la parte ad eccepire la carenza di integrità, la stessa ha l'onere di indicare le persone che devono partecipare al giudizio nella qualità di litisconsorti necessari, inoltre deve anche dare prova dei presupposti di fatto che configurano la necessità del litisconsorzio e l’integrazione del contraddittorio. La sentenza emessa senza la presenza di un litisconsorte necessario non avrà alcun effetto, né nei confronti della parte assente, né nei confronti delle parti presenti. facoltativo: qualora in uno stesso processo vi siano più attori o convenuti perché tra le cause vi è connessione per titolo od oggetto (litisconsorzio facoltativo proprio), oppure perché la decisione della causa dipende dalla risoluzione di identiche questioni (litisconsorzio facoltativo improprio). Inoltre è bene sottolineare che il procedimento è unico, ma solo formalmente, in quanto alla pluralità di parti presenti nel procedimento corrispondono una pluralità di rapporti tra loro indipendenti. Dunque qualora dovesse sopraggiungere una causa di estinzione per uno dei rapporti processuali, l'estinzione del processo colpirebbe solo quel rapporto,senza compromettere l'intero procedimento. Il litisconsorzio può terminare prima della fine del processo in caso di: estromissione,quando una parte vien espressamente estromessa;separazione delle cause,quando le parti, in accordo, ritengono la riunione troppo gravosa per lo svolgimento del procedimento. unitario: che si pone a metà strada tra l'obbligatorio e il facoltativo. L’intervento (o litisconsorzio successivo) L'intervento si verifica quando in un processo già iniziato subentra una nuova parte; di fatto ci si trova dinanzi ad una forma di litisconsorzio successivo. Il terzo che subentra successivamente acquista la qualità di parte e promuove una domanda, connessa a quella principale, ma diversa e autonoma determinando un ampliamento dell'oggetto del processo. Tale intervento è detto volontario in quanto è determinato dall’iniziativa spontanea del terzo e può essere: - principale, quando colui che interviene afferma l'esistenza di un diritto proprio in contrasto sia con l'attore che con il convenuto; - adesivo autonomo quando il terzo fa valere il suo diritto solo in confronto di una delle parti. Praticamente il terzo assume una posizione uguale ad una delle parti seppur distinta; - adesivo dipendente quando il terzo non interviene per far valere un proprio diritto, ma si limita ad appoggiare quello di una delle parti. In tal caso i suoi poteri sono limitati e condizionati dalle attività poste in essere dalla parte che decide di appoggiare. Diversamente dall’intervento volontario vi è l’intervento coatto che si verifica quando un terzo subentra successivamente in un giudizio non volontariamente, ma per effetto della citazione attuata da una delle parti originarie del processo. Nell’intervento coatto si distingue: • intervento coatto su istanza di parte in senso proprio quando una delle parti reputi la sua causa in comune con un terzo; • chiamata in garanzia quando il terzo chiama in causa il proprio garante per poter esercitare l'azione di regresso nei suoi confronti in caso di soccombenza. Altra forma di intervento è l’intervento coatto del giudice che prevede che il giudice, qualora ritenga opportuno che la causa sia comune al terzo, ne ordina l'intervento. Se la parte onerata non dovesse provvedere alla chiamata, la causa sarà cancellata dal ruolo e il giudizio estinto. L’estromissione L'estromissione non è altro che l'uscita dal processo di una parte. Fra le varie tipologie vi è: • estromissione del garantito: se il garante accetta di assumere la causa al posto del garantito, questi può chiedere, qualora le altre parti non si oppongano, la propria estromissione. L’estromissione è disposta dal giudice con ordinanza; ma la futura sentenza produrrà i suoi effetti anche contro l'estromesso”. • estromissione dell’obbligato: si tratta del caso in cui al processo più soggetti pretendono di essere titolari dello stesso diritto nei confronti dell’obbligato. Qualora l’obbligato sia pronto a eseguire la prestazione a favore di chi abbia diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta ed estrometterlo. Anche in questo caso l'estromissione non sottrae l'obbligato dall'efficacia della sentenza. La successione L'art. 110 del codice di procedura civile è intitolato "successione nel processo" e sancisce che "qualora la parte venga meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto". Ad esempio nel caso in cui viene proposta una domanda di pagamento di una somma di denaro e il soggetto muore,la domanda sarà proseguita nei confronti dei suoi eredi. Ovviamente deve trattarsi di un diritto trasmissibile. Se si tratta di un diritto intrasmissibile il processo si chiuderà con una pronuncia di cd. cessazione della materia del contendere (ad esempio, nel caso di procedimento di separazione personale di coniugi, la morte di un coniuge comporta la cessazione della materia del contendere). L'art. 111 è intitolato "successione a titolo particolare nel diritto controverso" e sancisce che “qualora nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie. Se il trasferimento avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”. Tale articolo chiarisce come la pendenza di un procedimento giudiziario civile non determina un divieto di alienazione o di trasferimento della res controversa; quindi, durante il procedimento è possibile acquistar il bene oggetto della causa e il procedimento continuerà tra le parti originarie. Qualora invece il trasferimento avviene a causa di morte, il legislatore prevede che il processo è proseguito dal successore a titolo universale (l’erede). La responsabilità aggravata L'art.96 del c.p.c. inerente la responsabilità aggravata è stato oggetto di numerosi interventi legislativi. Tale articolo prevede al riguardo 2 autonome fattispecie di responsabilità per illecito processuale. La prima ipotesi prevista nel 1°comma dell’art.96 presuppone che il soggetto abbia agito o resistito nel giudizio con dolo o colpa grave. La seconda ipotesi prevista nel 2°comma dell’art.96 presuppone invece una colpa lieve e cioè che il soggetto abbia agito senza la normale prudenza nell’esecuzione di un provvedimento cautelare o esecutivo o in taluni atti processuali. Con la riforma del 2009 è stato aggiunto un 3°comma all’art.96 che ha introdotto una terza forma di responsabilità aggravata. Tale terzo comma sancisce che “il giudice, quando pronuncia sulle spese di lite, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento a favore dell’altra di una somma equitativamente determinata”.Tal disposizione si mostra molto lacunosa in quanto non fornisce criteri per la quantificazione del danno e per la quantificazione del grado di colpa grave o malafede del soccombente. Per tale motivo è intervenuta la giurisprudenza che ha stabilito che l’istituto ha natura sanzionatoria e non risarcitoria della condanna come previsto invece nelle ipotesi dei due commi precedenti soggette quindi ad allegazione e prova del danno. Infatti tale istituto avendo natura sanzionatoria non è soggetto né alla prova del nesso causale e né a quella del danno effettivamente subito dall’altra parte. La ratio legis di tale disposizione è quella di scoraggiare utilizzi abusivi del processo e impedire la reiterazione di simile condotta volendo salvaguardare il principio costituzionalmente garantito del giusto processo. Requisiti per l’applicazione della norma dunque sono: la soccombenza totale di una delle parti; l’elemento soggettivo della malafede o colpa grave; il fatto che non occorre una specifica richiesta avanzata dalla parte che si ritiene danneggiata potendo esserci una pronuncia del giudice d’ufficio. Per la dottrina il 3°comma si porrebbe in una situazione di continuità rispetto ai primi due commi della disposizione e la sua diversa finalità rende possibile il cumulo tra le condanna previste. TERZO CAPITOLO: LE NOTIFICAZIONI La notificazione è un istituto giuridico attraverso il quale si porta a conoscenza un determinato documento o atto processuale ad uno o più soggetti individuati. Anche se nel codice di procedura civile è indicata quale figura competente soltanto quella dell'ufficiale giudiziario, nella pratica l'attività di notifica è svolta anche dagli aiutanti ufficiali giudiziari e dai messi del giudice di pace. L'ufficiale giudiziario, ricevuta l'istanza, provvede a consegnare al destinatario una copia conforme all'atto originale. La relata di notifica è la relazione che redige l’ufficiale giudiziario tutte le volte in cui deve effettuare una notifica. La relata si compone di due parti: • nella prima è indicato il soggetto che chiede la notificazione e i dati anagrafici del destinatario • nella seconda l’ufficiale giudiziario descrive le modalità della notificazione, la data di effettuazione, le qualità del soggetto che ha ricevuto o rifiutato di ricevere l’atto oppure le ragioni della mancata consegna. Le indicazioni riportate nella relata di notifica valgono come prova, fino a querela di falso. La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data. La nullità però non può essere pronunciata se l'atto ha comunque raggiunto lo scopo (ad es. la costituzione in giudizio del destinatario) e non può essere rilevata d'ufficio ma solo su istanza di parte. Potrebbe esserci un caso di difformità tra i dati risultanti dalla copia di relata allegata all'originale e i dati risultanti dalla copia consegnata al destinatario. In tal ipotesi occorre far riferimento alle risultanze ricavabili dalla copia in possesso del destinatario. Se in questa copia, poi, dovessero mancare elementi essenziali, la loro presenza nell'originale dell'atto può determinare la nullità completa della notifica. Nel caso in cui si deve stabilire un'eventuale decadenza a carico del richiedente la notifica, si ha riguardo all'originale a lui restituito; invece, nel caso in cui si deve stabilire un'eventuale decadenza a carico del destinatario della notifica, si ha riguardo alla copia a lui consegnata. Qualora vi sia difformità fra la copia consegnata e l’originale dell’atto, la parte che ha subito delle decadenze può proporre querela di falso nei confronti del soggetto che ha notificato l’atto.Infine le notificazioni non posson effettuarsi prima delle ore7:00 e dopo le 21:00. Diverse modalità di notifica Esistono diverse modalità di notifica effettuate dall'ufficiale giudiziario. Più precisamente: • la notificazione in mani proprie: tale notificazione avviene quando l'ufficiale giudiziario esegue la notifica consegnando la copia dell'atto nelle mani proprie del destinatario. Se il destinatario rifiuta la consegna, l'ufficiale ne da atto nella relazione e la notifica si considera come avvenuta in mani proprie. La notificazione si perfeziona per il notificante al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario; per il destinatario al momento della consegna. QUARTO CAPITOLO: GLI ATTI PROCESSUALI Gli atti processuali sono atti che influiscono, sulla formazione, sullo svolgimento e sul termine del processo. Elementi essenziali degli atti processuali sono la forma, la causa e la volontà. La forma dell'atto coincide sia con la modalità di esternazione dell’atto stesso sia con il suo contenuto e si parla, infatti, di c.d. forma-contenuto. Gli atti processuali possono essere a forma vincolata imposta dal legislatore o a forma libera. Il c.p.c prevede che “gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”. Diverse e varie sono le regole relative alla forma dell'atto: • Un importante regola è quella che prevede durante il processo l'uso della lingua italiana. Qualora sia necessario ascoltare una persona che non conosce la lingua italiana o sordomuta, il giudice può disporre la nomina di un interprete; qualora sia necessario esaminar documenti scritti in lingua diversa dall'italiano, il giudice può disporre la nomina di un traduttore. Fa eccezione la regione del Trentino Alto Adige ove la lingua tedesca è parificata alla italiana. • Altra importante regola è quella che prevede che tutti gli atti orali devono trovare una documentazione per iscritto nel verbale di udienza. Dal 2001 il processo verbale può essere redatto anche come documento informatico, con apposita sottoscrizione con firma digitale da chi presiede l'udienza e dal cancelliere. L'insieme degli atti processuali formerà il fascicolo di ufficio informatico, consultabile per via telematica o con appositi videoterminali situati nelle cancellerie. Rimane inalterata la possibilità di continuare a redigere gli atti in forma cartacea. • Altra importante regola è quella relativa alla pubblicità degli atti processuali. Più precisamente, agli atti processuali possono partecipare tutti coloro che sono parti in causa (c.d.pubblicità tra le parti)e le attività processuali devono esser svolte in presenza di eventuali terzi che vogliono assistervi(c.d.pubblicità di fronte a terzi).Sussistono però eccezioni al principio di pubblicità con la possibilità per il giudice di disporre lo svolgimento dell'udienza a porte chiuse qualora ricorrano ragioni di sicurezza, ordine pubblico o buon costume. La causa dell’atto è la finalità predeterminata dalla legge che l'atto intende raggiungere. La volontà relativa al compimento degli atti processuali attiene unicamente alla coscienza ed alla volontà di porli in essere. Termine, preclusioni e decadenza Molto importante da considerare e inerente gli atti processuali è il termine. Il termine è il periodo di tempo entro il quale deve essere compiuto un atto. Diversi e vari sono i tipi di termini: 1. termini legali, fissati dalla legge; termini giudiziali, fissati dal giudice; 2. termini dilatori, che indicano il momento prima del quale non è possibile compire un atto; termini acceleratori, che indicano il momento entro il quale un atto deve esser compiuto. 3. termini perentori quando il loro decorso comporta la decadenza del potere di compiere l'atto; termini ordinatori quando il decorso non comporta alcuna decadenza. Nel nostro ordinamento processuale vige la presunzione dell'ordinatorietà dei termini, nel senso che senza alcuna specifica previsione normativa un termine non può considerarsi perentorio. 4. termini iniziali, che indicano il momento a partire dal quale l'atto può essere compiuto, e termini finali che indicano il momento oltre il quale l'atto non può essere più compiuto. Nel computo dei termini a giorni o ore si escludono il giorno e l'ora iniziali. I giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza però è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo.I termini processuali subiscono una sospensione nel periodo che va dal 1° agosto al 15 settembre per poi riprendere il proprio decorso. Naturalmente gli atti caratterizzati da particolare rilevanza ed urgenza non subiscono tale sospensione come ad esempio le cause di alimenti, i procedimenti cautelari o i giudizi di sfratto. Oltre ai termini occorre considerare le preclusioni. Il verificarsi di una preclusione determina la perdita o la c.d. consumazione della facoltà processuale. Esse sono fissate per un'esigenza di coordinazione degli atti. Possiamo trovare diverse ipotesi di preclusione: • la prima ipotesi si ha quando un determinato atto è incompatibile con un atto già compiuto; • la seconda ipotesi si ha quando un atto non può essere compito poiché il soggetto ha già esercitato la relativa facoltà; • la terza ipotesi si ha quando per il compimento dell'atto non sia stata rispettata la sequenza prevista dalla legge. Oltre ai termini e alle preclusioni occorre considerare, infine, la decadenza. La decadenza comporta la perdita del potere di compiere un determinato atto processuale. Essa si verifica per il mancato compimento degli atti nell'ambito temporale previsto dalla legge o dal giudice. GLI ATTI PROCESSUALI TIPICI Gli atti processuali si distinguono anche in relazione ai soggetti che li compiono.Infatti troviamo: • gli atti di parte che sono quelli posti in essere direttamente dalla parti o dai loro difensori. Il c.p.c prevede che “salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, devono esser sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore”. Inoltre è bene sottolineare l’importanza della legge 183 del 1993 che riguarda specificamente la trasmissione di atti del processo da parte di un avvocato ad altro avvocato. Tale legge ha attribuito al difensore munito di procura la facoltà di trasmissione di atti o provvedimenti del processo ad altro difensore munito di procura a mezzo di telefax. Infatti il telefax è equiparato dalla legge alla copia fotoriprodotta dell’originale di un documento. • gli atti del pubblico ministero che non differiscono molto da quelli di parte, essendo il P.M. una vera e propria “parte” processuale volta alla tutela di pubblici interessi. L'unica distinzione che è possibile compiere in merito, è tra atti del P.M. agente, ad esempio domande introduttive o atti di mero impulso, e atti del P.M. interveniente, ad esempio pareri o richieste. • gli atti del giudice che vengono definiti provvedimenti. I provvedimenti del giudice sono: 1. la sentenza ovvero il provvedimento con cui viene adempiuta la funzione giurisdizionale decisoria. E’pronunciata in nome del popolo italiano con l'intestazione Repubblica Italiana. Essa deve contenere: l'indicazione del giudice che l'ha pronunciata; l'indicazione della parti e dei loro difensori; le conclusioni del p.m e delle parti; l’esposizione dello svolgimento del processo;i motivi di fatto e di diritto della decisione;il dispositivo,la data e la sottoscrizione del giudice. La sentenza acquista esistenza giuridica con la sua pubblicazione che avviene col deposito nella cancelleria del giudice che l'ha emessa. Le sentenze si dividono in: • sentenze di merito, quando decidono accogliendo o respingendo una domanda; sentenze di rito, quando rilevano il difetto di un presupposto processuale o di una condizione dell'azione con conseguente impossibilità di pronuncia nel merito; • sentenze di accoglimento, quando la domanda viene accolta perché fondata; sentenze di rigetto, quando la domanda viene respinta e non accolta; • sentenze definitive, che determinano la chiusura del processo poiché il giudice decide sulla domanda o rileva il difetto di un presupposto processuale o dell'azione; sentenze non definitive, che non chiudono il giudizio in quanto il giudicante o decide il merito solo parzialmente, o risolve una questione pregiudiziale per permettere la prosecuzione della causa. 2. l'ordinanza ovvero il provvedimento che il giudice emana durante il processo per regolarne lo svolgimento e per risolvere eventuali questioni procedurali fra le parti. In genere presuppone il contraddittorio delle parti e viene emessa dal giudice istruttore. Le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparire; le ordinanze pronunciate fuori dall’udienza son comunicate dal cancelliere entro 3 giorni successivi. Sulle ordinanze emesse dal giudice istruttore la legge prevede un controllo esercitato dal collegio. Infatti le parti, senza aver bisogno dei mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio tutte le questioni decise dal giudice istruttore con ordinanza revocabile. L'ordinanza del giudice istruttore quando dichiara l'estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di 10giorni e può essere presentato con semplice dichiarazione nel verbale di udienza o con ricorso al giudice istruttore. Se il reclamo è presentato in udienza, il giudice assegna, ove le parti lo richiedano, il termine per la comunicazione di una memoria, e quello successivo per la comunicazione di una replica. Se il reclamo è presentato mediante ricorso, questo è comunicato dalla cancelleria alle altre parti e il giudice istruttore assegna un termine per la comunicazione dell’eventuale memoria di risposta. Scaduti tali termini, il collegio provvede entro i 15giorni successivi. Le ordinanze motivate non possono mai pregiudicare la decisione della causa e in genere le ordinanze sono modificabili e revocabili da parte dell'autorità giudicante che le ha emesse. Tuttavia il nostro legislatore stabilisce espressamente i casi di loro irrevocabilità e sono: • le ordinanze pronunciate sull'accordo delle parti. Tuttavia, possono essere revocate quando vi sia l'accordo di tutte le parti; • le ordinanze dichiarate non impugnabili dalla legge; • le ordinanze per le quali è previsto uno specifico mezzo di reclamo. 3. il decreto ovvero la forma più semplice dei provvedimenti del giudice. In genere il decreto non necessita di motivazioni e può esser emesso senza contraddittorio delle parti. Il decreto è pronunciato d'ufficio o su istanza anche verbale della parte; se è pronunciato su ricorso è scritto in calce al medesimo.Dev esser sottoscritto dal giudice o,se collegiale,dal presidente. • gli atti del cancelliere che sono molti e differenti. Egli redige il verbale d’udienza sotto la direzione del giudice.Il verbale d’udienza è la documentazione scritta degli atti e delle attività che si compiono in modo orale dinanzi all'autorità giudiziaria. Fa fede fino a querela di falso. Inerente agli atti del cancelliere è poi la comunicazione che è l'atto con il quale il cancelliere, nei casi previsti dalla legge o dal giudice, porta a conoscenza delle parti e degli altri soggetti processuali, fatti rilevanti per il processo. La comunicazione avviene a mezzo di biglietto di cancelleria che si compone di due parti delle quali una è consegnata al destinatario e l’altra è conservata nel fascicolo di ufficio.La consegna può avvenir in una delle 2forme previste dalla legge: direttamente a mani del destinatario, che firma per ricevuta, o per mezzo dell’ufficiale giudiziario. In quest’ultimo caso, sia mediante consegna diretta sia mediante servizio postale. REDAZIONE DEGLI ATTI PROCESSUALI La redazione degli atti processuali è soggetta a numerose difficoltà per le parti. Frequenti sono stati i rimproveri dalle più alte cariche giudiziarie ai difensori affinché non eccedano nella lunghezza degli atti. L'eccessiva lunghezza è stata qualificata come violazione al principio del giusto processo ed è preciso compito del giudice quello di far rispettare, invece, tale principio. • Per quanto riguarda il primo grado numerose ammonizioni sono giunte in merito all’utilizzo dello strumento processuale delle memorie che se non ben ponderato, rischia di esser un’arma a doppio taglio: da un lato è prevista l’inutilizzabilità delle difese in esse contenute; dall’altro, la possibilità che il giudice sanzioni come abusiva la condotta della parte che le ha utilizzate. amministrato mentre la legittimazione passiva è quando il condominio è convenuto in un’azione processuale a suo carico. L’azione processuale, in quest’ultimo caso, può essere promossa sia da terzi estranei al condominio oppure anche da un solo condomino. Per quanto riguarda la legittimazione attiva, l'amministratore potrà promuovere qualsiasi lite senza necessità di apposita autorizzazione assembleare che è invece necessaria quando debba dar corso a liti che riguardano materie esorbitanti da quelle a lui attribuite. Tuttavia qualora egli si sia costituito in giudizio o abbia proposto l'impugnazione senza la detta autorizzazione, il suo operato può essere ratificato dall'assemblea. In mancanza di tale ratifica è prevista la inammissibilità della sua costituzione in giudizio o della sua impugnazione. Per quanto riguarda la legittimazione passiva, fino a poco tempo fa si riteneva che essa non incontrasse limiti. Ciò stava a significare che l’amministratore non necessitava di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni per lui necessarie. Nel 2010 però le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute su tale tema ed hanno ritenuto che (così come dal lato attivo) la norma abilita l’amministratore del condominio, relativamente alle liti passive, a costituirsi in giudizio e ad impugnare la sentenza eventualmente sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, solo se l’oggetto della controversia è compreso nei limiti delle sue attribuzioni. QUINTO CAPITOLO: IL PROCESSO Il processo di cognizione indica l'insieme delle attività per mezzo delle quali si accertano condizioni e presupposti di fatto e di diritto per giunger all'accoglimento o rigetto della domanda. Il nostro legislatore individua nel processo innanzi al tribunale il cd. processo tipo e lo disciplina minuziosamente in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue fasi. La normativa riguardante tale processo viene, poi, adattata per lo svolgimento dei giudizi innanzi al giudice di pace e innanzi alla corte d’appello. Invece viene dettata una normativa autonoma e speciale per i giudizi innanzi alla corte di cassazione, per il processo di lavoro e per i procedimenti speciali. Il giudizio di cognizione innanzi al tribunale prevede 3 fasi principali: a) fase introduttiva, rappresentata dalla domanda della parte; b) fase istruttoria, a sua volta distinta in fase di trattazione, relativa all'attività di discussione delle domande e delle eccezioni, e fase probatoria, relativa all'attività di valutazione delle prove; c) fase decisoria, rappresentata dall'emissione della sentenza da parte dell'autorità giudicante. FASE INTRODUTTIVA Nella fase introduttiva il processo ha inizio con la proposizione della domanda giudiziale, ossia l'atto con il quale una parte (l'attore) chiede la tutela giurisdizionale. La domanda giudiziale per dare inizio al processo deve essere notificata al convenuto; dopo tale adempimento il procedimento si intende iniziato.Gli elementi della domanda giudiziale (atto di citazione) sono 3: • i soggetti: tutti coloro che rivestono la qualità di parte del procedimento ovvero attore (colui che propone la domanda giudiziale) e convenuto (colui contro cui è rivolta la domanda). • l'oggetto o il petitum: ciò che viene richiesto con la domanda giudiziale.Si distingue il petitum immediato cioè il provvedimento che viene richiesto al giudice e il petitum mediato cioè il bene o la prestazione effettivamente dovuta dal convenuto. • il titolo o la causa petendi: la ragione sulla quale si basa la domanda giudiziale. Atto di citazione Il processo civile, a differenza di quello penale, si svolge essenzialmente con atti scritti. Nel nostro ordinamento non esiste un unico modello di atto introduttivo del giudizio, infatti un processo può iniziare con atto di citazione(che è il tipico atto di introduzione del processo di cognizione) o con ricorso(tipico atto attraverso il quale si introduce ad esempio il processo del lavoro). La citazione è un atto scritto che si rivolge a 2 distinti destinatari: il convenuto ovvero colui contro il quale è proposta la domanda e il giudice ovvero il soggetto al quale l'attore rivolge la domanda. Così come i destinatari, anche la funzione dell'atto di citazione è duplice: da un lato, la chiamata in giudizio della controparte (cd.vocatio in ius) e dall'altro, l’esercizio dell’azione ovvero la domanda di tutela giurisdizionale mediante cognizione (cd.editio actionis). Gli elementi che devono esser contenuti nell’atto di citazione sono: 1. l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2. il nome, cognome e residenza dell'attore così come nome,cognome e residenza del convenuto. Se son persone giuridiche,associazioni non riconosciute o comitati,la citazione deve contener la denominazione o ditta con l'indicazione dell'organo che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3. l'esposizione dei fatti e elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda e conclusioni; 4. l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi; 5. il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura; 6. l’oggetto della domanda e l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione. Allo scopo di assicurare il diritto di difesa della controparte la legge impone che fra la data della notificazione della citazione e la data della prima udienza di comparizione trascorra un termine minimo. Tale termine di comparizione è di 90giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia;150giorni se si trova all'estero.Ai fini del computo, non si calcolano né il dies a quo (giorno della notificazione della citazione), né il dies ad quem (giorno della comparizione). In caso di urgenza il Presidente del Tribunale con decreto motivato può, su richiesta dell'attore, abbreviare i termini di comparizione sino alla metà. Con la notificazione il procedimento si intende iniziato con conseguente produzione di effetti giuridici processuali e sostanziali. Per quanto riguarda gli effetti di natura processuale, la notifica dell'atto di citazione comporta la pendenza della lite, comporta i limiti del potere del giudice(ovvero il divieto di giudicare oltre la domanda),comporta la constatazione che chi è parte al momento della domanda rimane tale per tutta la lite.Per quanto riguarda gli effetti di natura sostanziale,la notifica dell’atto di citazione comporta l'interruzione della prescrizione, comporta la constatazione che il contraente inadempiente non possa più adempiere alla propria obbligazione dopo che la domanda di risoluzione sia stata proposta. Nullità dell’atto di citazione Il legislatore con l'art. 164 cpc determina quando l'atto di citazione è nullo. Occorre distinguere i vizi della vocatio in ius (atto con il quale viene chiamato il convenuto), da quelli dell'edictio actionis (esercizio dell'azione). I vizi relativi alla vocatio in ius sono quelli previsti dai primi 3 commi ovvero la citazione è nulla se mancano o son incerti l'indicazione delle parti,del tribunale, dei mezzi di prova, la data dell'udienza di comparizione oppure è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello previsto dalla legge. Tali disposizioni sono poste a difesa della parte convenuta e, se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice,rilevata la nullità, dispone la rinnovazione dell'atto di citazione entro un termine perentorio. Tale rinnovazione sana i vizi e ha carattere retroattivo con la conseguenza che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue. Qualora invece vi sia la costituzione in giudizio del convenuto,la costituzione in giudizio sana i vizi della citazione. Dal 4° comma si passa ai vizi relativi all’edictio actionis ovvero la citazione è nulla se mancano o son incerti la determinazione della cosa oggetto della domanda, l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda e conclusioni. In queste ipotesi il giudice, rilevata la nullità,fissa all'attore un termine perentorio per rinnovare la citazione o,se il convenuto si è costituito, per integrare la domanda. Se la rinnovazione o l'integrazione non avvengono,si avrà estinzione del procedimento nel primo caso, e dichiarazione di nullità dell'atto nel secondo. Ricorso Altro atto che può introdurre il processo è il ricorso. Ci sono dei processi che si introducono con ricorso e non citazione e sono:- Processi speciali;- Processo del lavoro;- Ricorso per Cassazione. Vi sono caratteristiche e differenze fra citazione e ricorso.Per quanto riguarda le caratteristiche: • La citazione è un atto predisposto dall’attore con il quale nel redigerlo tiene conto almeno di due elementi:il primo è quello di consentire al convenuto di sapere che c’è una domanda che è stata proposta nei suoi confronti; il secondo è quello di consentire al convenuto e al giudice di conoscere qual’ è la pretesa vantata in giudizio e quindi deve essere indicata la cosa oggetto della domanda ovvero il cosiddetto petitum e devono essere indicate le ragioni di fatto e di diritto su cui la domanda si fonda la cosiddetta causa petendi. • Il ricorso invece ha una caratteristica molto differente, perché a parte avere in comune con l’atto di citazione gli elementi essenziali dell’azione(petitum e causa petendi) si differenzia per il fatto che tale atto è indirizzato esclusivamente al giudice al quale l’attore chiede di fissare un’udienza cosa mentre l’atto di citazione è indirizzato al convenuto e al giudice. Per quanto riguarda le differenze: • nella citazione l’udienza è fissata dall’attore mentre nel ricorso è fissata dal giudice; • nella citazione il primo contatto tra i soggetti che partecipano al processo avviene tra attore e convenuto mentre nel ricorso avviene tra attore e giudice; • nella citazione inizia il processo dal momento della notifica attraverso la quale il convenuto viene a conoscenza del processo mentre nel ricorso abbiamo un doppio momento in quanto l’attore deve depositare il ricorso e successivamente notificare tale ricorso al convenuto. Iscrizione della causa a ruolo L'iscrizione della causa a ruolo (cioè nei registri di cancelleria)è lo strumento tecnico attraverso cui la controversia viene incardinata presso l'ufficio giudiziario che dovrà poi trattarla e deciderla. L’iscrizione della causa al ruolo è un atto che può essere compiuto sia dall’attore che dal convenuto, nel caso in cui l’attore non si sia costituito, e deve contenere: l’indicazione delle parti, del procuratore che si costituisce, l’oggetto della domanda, la data di notificazione della citazione e la data dell’udienza di trattazione. Si può fare iscrizione a ruolo se: si costituisce una delle due parti; viene presentata la nota d’iscrizione; non vi è una precedente iscrizione per la stessa causa. Il cancelliere provvederà all'iscrizione a ruolo sulla base della presentazione della nota di iscrizione a ruolo proveniente dalla parte per prima costituitasi. La parte, assieme alla
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