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Appunti di Procedura Civile II - PROCESSO ESECUTIVO, Appunti di Diritto Processuale Civile

Processo esecutiv - Luiso

Tipologia: Appunti

2011/2012

Caricato il 04/08/2012

ilblasco87
ilblasco87 🇮🇹

4.3

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Scarica Appunti di Procedura Civile II - PROCESSO ESECUTIVO e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCEDURA CIVILE 2 Libro 1 LUISO - IL PROCESSO ESECUTIVO CAP. 1 – L’ESECUZIONE FORZATA NEL QUADRO DELL’ORDINAMENTO Essa è disciplinata nel 3° libro del c.p.c. , qualunque sistema normativo opera prendendo in considerazione i comportamenti umani e qualificandoli alternativamente come leciti o doverosi. Alcune situazioni sostanziali protette si “attuano” fornendo al titolare poteri di comportamento in relazione ad un determinato bene e facendo obbligo a tutti gli altri soggetti dell’ ordinamento di non intromettersi tra il titolare e il bene garantito (es. diritto di proprietà). Altre volte invece è richiesto il comportamento attivo di un altro soggetto (es. Rapporto di lavoro). La prima si dice situazione finale la seconda situazione strumentale. Si può poi distinguere tra doveri di comportamento primari e secondari, PRIMARI nel senso che attuano lo svolgimento fisiologico della situazione sostanziale(nei casi in cui si deve tenere un comportamento attivo), SECONDARI (nascono da un comportamento illecito),vi era un dovere a monte che non è stato rispettato (nasce un dovere di contenuto diverso detto secondario). Cosa accade quando il soggetto che doveva tenere quel dato comportamento poi nella realtà dei fatti non lo tiene? (ai fini della tutela esecutiva è sufficiente che non sia tenuto quel comportamento che dava l’utilità all’ altro soggetto). Qui evidentemente non serve una tutela DICHIARATIVA (che serve per statuire i diritti delle parti), qui è invece necessario che l’ avente diritto riceva quell’ utilità, a fronte dell’ inadempimento di obblighi a volte è proprio l’avente diritto che può sostituirsi all’ obbligato per ottenere quel risultato utile; non sempre sul piano sostanziale è possibile quest’ attività sostitutiva (in quest’ ultimo caso il diritto sostanziale è impotente), è quindi necessario uno strumento giurisdizionale; questo strumento è l’ ESECUZIONE FORZATA. Va precisato comunque che la tutela dichiarativa non costituisce un prius logico e cronologico rispetto alla tutela esecutiva. Per l’ esecuzione forzata civile presupposto possono essere anche atti che non hanno la caratteristica di impartire tutela dichiarativa. CAP. 2 – L’ESECUZIONE DIRETTA E L’ESECUZIONE INDIRETTA I diritti di azione e di difesa previsti dall’ art.24 della Cost. comprendono anche la tutela esecutiva (l’art. garantisce una tutela giurisdizionale efficace che si esplica in tutte le forme necessarie). All’ inadempimento dell’ obbligato si può reagire con: Esecuzione DIRETTA – (espropriazione forzata, esecuzione per consegna o rilascio, esecuzione per obblighi di fare) tutte le volte che l’ inerzia dell’ obbligato è sostituita dall’ attività dell’ ufficio esecutivo (fa conseguire l’ utilità), è evidente che il titolare non otterrà di più di quello che avrebbe ottenuto se l’ obbligato avesse adempiuto, il tipo d attività che terrà l’ufficio esecutivo è strettamente legato all’ attività che avrebbe dovuto tenere l’ obbligato. / il limite di questo tipo di prestazione è che per il titolare del diritto debba essere indifferente che l’ adempimento sia svolto da persona diversa dall’ obbligato; l’ obbligo deve quindi essere FUNGIBILE, questa tecnica non è evidentemente utilizzabile quando l’ obbligo è INFUNGIBILE (sono infungibili quegli obblighi in cui l’ adempimento personale dell’ obbligato è determinante o a causa del contenuto della prestazione o perché si tratta di obblighi di astensione). Quando si è in presenza di obblighi infungibili si ha Esecuzione INDIRETTA, qui occorre indurre l’obbligato ad adempiere( si può raggiungere qst risultato prevedendo conseguenze peggiori rispetto all’ adempimento). -> Esecuzione INDIRETTA con misure coercitive civili quando sia previsto che ha carico dell’ inadempiente sorge l’ obbligo di pagare una certa somma di denaro (somma determinata con riferimento ad una unità temporale che quantifichi il ritardo). Esecuzione indiretta con misure coercitive penali quando sa previsto che gli ulteriori inadempimenti dell’ obbligato integrino un ipotesi di reato. Evidentemente dal punto di vista dell’ efficienza l’ esecuzione diretta garantisce maggiormente il raggiungimento del risultato voluto. In astratto l’ esecuzione indiretta potrebbe essere usata sia per gli obblighi fungibili che per quelli infungibili, si utilizza però solo per i secondi; anche perché gli 1 1 strumenti coattivi operano sulla volontà dell’ obbligato e possono essere inefficaci se egli è determinato a non adempiere, inoltre lo strumento coattivo di natura penale costituisce un ulteriore appesantimento per una giurisdizione già sovraccarica. Per lo stesso motivo l’ esecuzione indiretta non serve se l’ obbligato ha un patrimonio talmente ingente da essere insensibile al pagamento. Ci si deve poi chiedere cosa accade nel caso in cui l’ esecuzione indiretta sia utilizzata per un diritto poi accertato inesistente. Da un lato si potrebbe pensare che, ai fini della sussistenza dell’ illecito, è sufficiente, il mero dato dell’ inottemperanza. O si pensa che accertata la liceità del comportamento l’ illecito non sussiste più(conforme ai principi costituzionali). CAP.3 – I PRESUPPOSTI E IL CONTENUTO DELLE MISURE GIURISDIZIONALI ESECUTIVE Prima di vedere singolarmente le forme di tutela esecutiva si devono premettere delle notazioni generali. Esiste una differenza fondamentale fra la tutela DICHIARATIVA e quella ESECUTIVA; il presupposto della tutela DICHIARATIVA è costituito dalla semplice affermazione, del richiedente, che esiste una situazione sostanziale che ha bisogno di quella tutela (l’ unico limite è quello dell’ interesse ad agire) è evidente che la sentenza che emetterà il giudice può essere di contenuto sia positivo che negativo – il giudice può dichiarare che non esistono le condizioni processuali per decidere(sentenza di rito), superato questo step il contenuto della sentenza di merito si bipartisce ovvero può accogliere o rigettare la domanda dell’ attore. Nel processo ESECUTIVO la situazione è diversa, qui non è sufficiente che l’ attore si affermi titolare di un diritto; qui sono necessarie ulteriori condizioni, inoltre la risposta dell’ ufficio esecutivo non è tripartita come in precedenza quest’ultimo può rifiutare o concedere. L’ ufficio esecutivo o non opera o lo fa con una misura giurisdizionale che ha contenuto favorevole all’ istante (in quanto la funzione dell’ esecuzione forzata non è stabilire i comportamenti leciti e doverosi delle parti ma è quella di tutelare un diritto, quindi qui si presuppone che il diritto esista). CAP.4 – IL TITOLO ESECUTIVO Secondo l’ art.474 c.p.c. l’ esecuzione forzata non può aver luogo se non in forza di un titolo esecutivo (esso è la fattispecie da cui nasce un effetto giuridico). Per far quindi nascere la tutela esecutiva è necessario che il soggetto abbia a suo favore un titolo esecutivo). L’ ordinamento però non fornisce tutela esecutiva a tutti i diritti per il solo fatto che si trovino nella condizione di essere soddisfatti mediante l’ adempimento di un altro soggetto. Si deve quindi distinguere il DIRITTO ALLA TUTELA ESECUTIVA dal DIRITTO OGGETTO DELL’ ESECUZIONE; il diritto oggetto dell’ esecuzione è il diritto sostanziale, il dritto alla tutela esecutiva è il diritto processuale; la pretesa DA eseguire è il diritto SOSTANZIALE , la pretesa AD eseguire è il diritto PROCESSUALE, in presenza del quale l’ ufficio esecutivo è obbligato a fornire la sua opera. Il titolo esecutivo non può sopravvenire nel corso del processo esecutivo esso deve permanere per tutta la sua durata. L’ art.474 c.p.c. stabilisce che l’ esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo “per un diritto certo liquido ed esigibile” ; per diritto CERTO ci si riferisce all’ esecuzione per consegna o rilascio e all’ esecuzione per obblighi di fare (certezza nell‘individuazione del bene oggetto dell’ intervento); l’espressione diritto LIQUIDO si riferisce ai crediti relativi a somme di denaro; il diritto ESIGIBILE significa non sottoposto a un termine o condizione (naturalmente sospensiva; il dato dell’ esigibilità è riferito al momento dell’ esecuzione forzata). Tutte le sentenze di condanna in qualunque sede emesse hanno efficacia esecutiva; ai titoli esecutivi giudiziali si possono ricondurre anche le ordinanze, con la riforma del 2006 si è aggiunta l’ espressione “e gli altri atti” con queste parole si è voluta risolvere la diatriba rispetto all’ efficacia esecutiva del verbale di conciliazione giudiziale(risoluzione consensuale di una controversia). La seconda categoria di titoli esecutivi previsti dall’ at.474 c.p.c. è costituita dalle scritture private autenticate e dai titoli di credito (cambiali, assegni). Le scritture private autenticate costituiscono titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute. Per quanto riguarda i titoli di credito la legge sulla cambiale e sull’assegno prevedono che questi siano titoli esecutivi solo se in regola con il bollo fin dal momento della loro emissione(se non lo sono valgono come titoli di credito ma non hanno efficacia esecutiva). 1 1 esecuzione non deve avvenire perché non esiste il diritto da tutelare, per capirlo si deve aprire un processo dichiarativo. Si è detto quindi che il processo di cognizione ha funzione dichiarativa e struttura decisoria, nel processo esecutivo le cose cambiano (non si deve accertare il modo di essere della realtà sostanziale) se esso da risposta negativa non si può distinguere come nell’ altro processo tra risposta negativa di rito o di merito, ma è un unitario rifiuto di tutela giurisdizionale. Anche dal punto di vista della FORMA vi è una differenza, nel processo esecutivo la forma può essere diversa a seconda che la risposta dell’ ufficio sia positiva o negativa (risp. Positiva= misura esecutiva/ risp. Negativa=rifiuto di compiere l’atto). Il processo esecutivo non essendo strutturato per poter risolvere le controversie relative al modo di essere della realtà sostanziale, non ha neanche la struttura idonea per risolvere le controversie che possono sorgere in ordine alle questioni processuali; vi è comunque cognizione ma essa è strumentale ad un provvedimento che non ha funzione decisoria. Regola generale è che in mancanza di diversa disposizione normativa i vizi dei presupposti processuali sono rilevabili anche d’ufficio senza preclusione alcuna. Le norme generali sul processo dichiarativo devono essere trasferite in quello esecutivo; (talvolta il legislatore prevede la prima udienza come termine ultimo per la rilevazione dei vizi di certi presupposti processuali, secondo l’opinione più convincente alla prima udienza del processo dichiarativo corrisponde nel processo esecutivo la prima udienza di fronte al giudice dell’ esecuzione). Altra questione che deve essere esaminata dall’ ufficio esecutivo è quella delle nullità dei singoli atti del processo, per la nullità dei singoli atti del processo occorre applicare l’ art.156 e ss. C.p.c., queste norme non essendo espresse con terminologia tipica del processo dichiarativo possono essere estese anche al processo esecutivo; secondo l’art.157 la nullità è rilevabile dall’ ufficio solo se lo prevede la legge. Nel processo dichiarativo le questioni di rito sono decise; nel processo esecutivo sono DELIBATE per orientare l’azione dell’ ufficio esecutivo, l’ ordinamento allora offre come strumento l’ opposizione agli atti del processo esecutivo. Un soggetto non può mai sollevare all’ interno del processo esecutivo contestazioni circa l’esistenza del diritto. Inoltre la dottrina maggioritaria sostiene che l’ ufficio esecutivo non abbia il potere di rilevare d’ufficio l’ inesistenza del titolo esecutivo in senso sostanziale. Uno dei possibili oggetti dell’ opposizione all’ esecuzione ex art.615 c.p.c. è costituito anche dall’ inesistenza del titolo esecutivo in senso sostanziale, l’ esecutato può quindi aprire un incidente di cognizione. Se si pensa che questa carenza può essere rilevata d’ufficio l’ ufficio esecutivo qualora ritenesse inesistente il titolo esecutivo dovrebbe rifiutare di procedere oltre e il creditore potrebbe contestare la decisione con l’opposizione agli atti esecutivi ; se si ritiene chela carenza del titolo esecutivo in senso sostanziale non è rilevabile d’ufficio, di fronte alla richiesta del procedete l’ufficio deve comunque procedere , ma l’esecutato può proporre l’ opposizione all’ esecuzione, instaurando un processo di cognizione. Se l’ ufficio svolge entrambe le attività si crea una contraddizione perché la carenza di titolo esecutivo o è oggetto di opposizione all’ esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi(p.62-63). Si è visto come nel processo esecutivo non ci si chieda se esista la situazione sostanziale oggetto della tutela, questo non significa che nel processo esecutivo non sia attuato il contraddittorio, e che non sia rispettato il diritto di difesa art.24 e 111 Cost.; questi due articoli si ricollegano a tutti gli interventi giurisdizionali non solo a quelli che hanno funzione dichiarativa (il principio del contradditorio è rispettato quando le parti hanno la possibilità di partecipare, in condizioni di parità, all’ attività con la quale l’ organo giurisdizionale raccoglie il materiale per decidere sul da farsi. Anche nel processo esecutivo l’ufficio esecutivo deve raccogliere tutto quello che serve per decidere, quindi nel processo esecutivo il contraddittorio si esplica consentendo alle parti di contribuire, su un piede di parità alla raccolta di ciò che è rilevante. L’ ufficio esecutivo deve sentire le parti prima di emettere la misura, l’ audizione delle parti avviene avvertendole della fissazione della relativa udienza da parte del giudice. L’ art. 486 dispone che le domande delle parti si propongono con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente, nel verbale di udienza. Nel discutere di ciò che è rilevante le parti sono in posizione di equilibrio (anche se in caso di risposta positiva dell’ ufficio essa è sempre a favore del creditore). Gli uffici giudiziari competenti per l’ esecuzione forzata sono indicati dagli art. 9 – 26 c.p.c. , in senso verticale è sempre competente il tribunale, in senso orizzontale è competente territorialmente il giudice del luogo dove si trova il bene (per l’espropriazione), per l’ espropriazione verso terzi il giudice del luogo dove risiede il terzo. Ex art. 28 la competenza territoriale è inderogabile dalla volontà delle parti. L’ ufficio esecutivo non è composto dal tribunale nel suo complesso ma da uno o 1 1 più giudici, ai quali vengono attribuite le mansioni di giudici dell’ esecuzione. Importante è il ruolo dell’ UFFICIALE GIUDIZIARIO. CAP.9 – L’ ESPROPRIAZIONE FORZATA Il processo con cui si tutelano esecutivamente i crediti relativi a somme di denaro è l’ espropriazione forzata. Il fondamento della espropriazione forzata sta nel c.c. nell’art 2740(responsabilità patrimoniale), letto insieme al 2910(il creditore può FAR ESPROPRIARE i beni del debitore, non si dice può espropriare quindi autonomamente). Il creditore non ha un diritto sostanziale sui beni del debitore, ma ha un diritto processuale verso lo stato. Il processo di espropriazione forzata è il più complesso di tutti perché passa necessariamente attraverso tre momenti indispensabili e (di solito) non sostituibili. Il PRIMO momento è costituito dall’ individuazione e conservazione dell’ elemento attivo del patrimonio del debitore (non si guarda al bene in sé per sé ma al diritto che il debitore ha su quel bene), questa funzione è posta in essere con il PIGNORAMENTO. Il SECONDO momento è costituito dalla TRASFORMAZIONE DEL DIRITTO PIGNORATO l’ elemento attivo deve essere trasformato in una forma di denaro. Il TERZO momento è costituito dalla DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO (qst ultima fase non è possibile quando non si realizza una liquidità). Questa forma si differenzia dall’ esecuzione specifica perché nell’ esecuzione si opera solo sul diritto che deve essere tutelato, nell’ espropriazione si opera su due situazioni sostanziali il trasferimento di un elemento patrimoniale e l’ estinzione del diritto di credito. Se oggetto dell’ esecuzione è la contitolarità di un bene si parla di ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI, quando il terzo risponde con beni propri di un debito altrui si parla di ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO. CAP. 10 – IL PIGNORAMENTO Ex art. 491 c.p.c. il pignoramento è l’ atto iniziale dell’ espropriazione forzata. Il PIGNORAMENTO è l’atto con cui si individuano e si conservano i diritti del debitore. Esistono tre forme di pignoramento (mobiliare, immobiliare, di crediti). L’art. 492 c.1° c.p.c. indica quello che è l’elemento comune a tutti i pignoramenti, che è costituito dall’ INGIUNZIONE, che l’ ufficiale giudiziario fa all’ esecutato nelle forme volta per volta previste dalle singole forme di pignoramento. Il 2° comma prevede che con l’ atto di pignoramento, l’ufficiale giudiziario debba invitare il debitore ad effettuare presso la cancelleria del tribunale, la dichiarazione di residenza o l’ elezione di domicilio (in un comune del circondario del tribunale stesso). L’ onere per il creditore sorge dall’ avviso effettuato all’ atto del pignoramento. La dichiarazione del debitore equivale lato sensu ad una costituzione in giudizio, la mancata dichiarazione ad una contumacia. Le dichiarazioni del debitore devono essere veritiere se egli afferma di aver domicilio in un dato luogo e si scopre che così non è, la dichiarazione non ha effetti. Il 4° e il 5° comma introducono nel nostro sistema il dovere del debitore di manifestare il proprio patrimonio(il presupposto perché tale dovere divenga attuale è costituito dall’ insufficienza dei beni pignorati). L’omessa o falsa dichiarazione da parte del debitore equivale ad un illecito penale(ex art.388 c.p.). Per il perfezionamento del pignoramento, e quindi per la sua opponibilità ai terzi, è tuttavia necessario procedere al compimento delle attività volta per volta previste dalle varie forme di pignoramento. L’art. 492 7°c. prevede che il creditore può chiedere all’ ufficiale giudiziario di fare ricerche all’ anagrafe tributaria e le altre banche dati pubbliche circa i beni del debitore. Sulla stessa linea il 9° comma prevede per gli imprenditori commerciali la nomina di un professionista che esamini le scritture contabili. PIGNORAMENTO MOBILIARE Art. 513 c.p.c., la richiesta di effettuare il pignoramento mobiliare è fatta dal creditore procedente all’ ufficiale giudiziario in forma libera che di solito è orale. L’ oggetto del pignoramento sono i diritti che sul bene appartengono al debitore esecutato(perchè dovranno essere trasformati in somme di denaro). Ai fini del pignoramento ciò che conta è l’ APPARTENENZA, con qst termine si intende la dislocazione spaziale dei beni mobili, del fatto che essi si trovino collocati in beni immobili di cui il debitore esecutato abbia la disponibilità. L’ appartenenza costituisce un criterio d semplificazione che 1 1 evita di esperire, prima del pignoramento, indagini incerte e difficoltose circa la titolarità dei beni da sottoporre al pignoramento. Quindi oggetto dell’ esecuzione(in base all’art.2740c.c. e 2919cc.) è la titolarità di un diritto sostanziale trasferibile, oggetto del processo esecutivo è invece l’ appartenenza del bene. Art. 513 stabilisce in ambito di appartenenza che possono essere pignorati i beni mobili che si trovano in un bene immobile del debitore, tuttavia (c.3°) su richiesta del creditore il giudice può autorizzare il pignoramento mobiliare anche in relazione ai beni che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore; la terza possibilità è che l’ufficiale giudiziario sottoponga a pignoramento le cose del debitore che il terzo possessore consente d’ esibirgli. Gli art.514-516 indicano una serie di cose mobili in relazione alle quali la pignorabilità è assolutamente o parzialmente esclusa, o consentita in condizioni particolari. Ex art.517 c.p.c. l’ ufficiale giudiziario deve preferire i beni di maggior valore e di piu sicura realizzazione o le cose che possono essere liquidate più facilmente. L’ ufficiale giudiziario mano a mano che individua i beni li descrive mediante rappresentazione fotografica o altro strumento simile, con l’assistenza di uno STIMATORE(può avvenire in due momenti differenti). L’ ufficiale giudiziario trasmette copia del verbale di pignoramento al debitore e al creditore che lo richiedono. Ex art. 540bis se la somma ricavata non è sufficiente il giudice dell’ esecuzione su istanza di uno dei creditori, ordina l’integrazione del pignoramento. Dopo il verbale di pignoramento si effettua l’ asportazione dei beni per evitare che il bene mobile sia sottratto all’ esecuzione(non può essere nominato custode il creditore o suoi familiari senza il consenso del debitore, ex art 521). PIGNORAMENTO IMMOBILIARE È disciplinato dagli art. 555 e ss. anche qui l’ oggetto è il diritto che il debitore esecutato ha sull’ immobile, naturalmente il diritto dal punto di vista sostanziale deve essere suscettibile di trasferimento. La situazione di titolarità sull’immobile è di piu facile accertamento rispetto ai beni mobili (esistono i pubblici registri e l’usucapione). L’ atto di pignoramento ex art. 125 deve essere sottoscritto dal creditore pignorante e quindi il creditore si assume la resp. della sua affermazione. L’ art.555 c.p.c. definisce l’ individuazione del diritto sul bene; il creditore chiede dunque all’ ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento dell’ immobile ipotecato, individuato e descritto dal creditore stesso, in un atto da lui sottoscritto, l’ ufficiale giudiziario via aggiunge la sua ingiunzione (art.492) e notifica il tutto al debitore esecutato. Dopodichè si trascrive l’ atto di pignoramento nel registro immobiliare, gli effetti verso il debitore decorrono dalla notifica e l’ opponibilità verso terzi dalla trascrizione. La disciplina del bene pignorato è stata profondamente innovata dalla riforma del 2006(è possibile pignorare beni di cui il debitore è proprietario ma non li possiede. Fin dal momento della notificazione quindi a prescindere dalla trascrizione l’ esecutato diviene ipso iure custode del bene (559,1°c.), il giudice deve sostituire l’esecutato dalla custodia del bene se questo non ne è da lui occupato(559,2°c.). La ratio della necessaria sostituzione consiste nell’ opportunità che i rapporti con il terzo che occupa il bene siano tenuti non dall’ esecutato ma da un soggetto che dia maggiori garanzie. La custodia dell’ esecutato cessa comunque nel momento in cui viene disposta la vendita ai sensi degli art. 569 o 591bis; in luogo dell’ esecutato è nominato custode il soggetto incaricato della vendita o l’istituto vendite giudiziarie. L’art.559 4°c, stabilisce che i provvedimenti di nomina e sostituzione del custode sono dati dal giudice con ordinanza non impugnabile(questo provvedimento è controllabile con l’opposizione agli atti esecutivi). L’ art.560 5°c. prevede che spetta al giudice stabilire come i potenziali acquirenti possano esaminare l’immobile. Infine ex art.560 3° e 4°c. il provvedimento di aggiudicazione o assegnazione dell’ immobile costituisce necessariamente motivo di revoca dell’ autorizzazione ad abitare l’ immobile. PIGNORAMENTO DEI CREDITI Qui l’ ordinamento non si accontenta della semplice affermazione del creditore, e neppure è possibile quell’ indice di appartenenza che forma il presupposto del pignoramento mobiliare. Il legislatore in questo caso richiede un pieno accertamento dell’ esistenza, in capo al debitore o del credito o della proprietà del bene mobile. Il pignoramento si effettua notificando al debitore esecutato e al terzo debitore un atto che deve contenere l’ indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto e l’indicazione, almeno generica delle somme o cose dovuto dal terzo debitore al debitore esecutato. 1 1 riuniti, pur mantenendo la loro autonomia, ed il creditore che ha pignorato successivamente rivestirà, nella esecuzione, la veste di creditore intervenuto. La riforma non ha modificato la figura del pignoramento successivo, come disciplinata dall’art. 493 c.p.c., ma è intervenuta sui suoi effetti, con la modifica dell’art. 564 c.p.c., fissando il limite temporale per valutare se il pignoramento successivo sia da considerarsi alla stregua di un intervento tempestivo o tardivo, con le relative conseguenze in sede di distribuzione delle somma. Il creditore per decidere se intervenire puramente e semplicemente oppure effettuare un pignoramento successivo, deve valutare la situazione. Se si fida del pignoramento del primo creditore e dei suoi effetti, e crede che le eventuali opposizioni non saranno accolte , può semplicemente intervenire. Ma se non si fida del pignoramento , per sicurezza compie un secondo pignoramento, ancorché ciò comporti un dispendio di energie e di spese. Resta fermo il presupposto per cui non possono aversi più processi esecutivi sullo stesso bene pignorato; il processo esecutivo è unico anche se gli effetti di ciascun pignoramento sono autonomi(se ciò dovesse accadere, opinione maggioritaria ritiene che debba prevalere la vendita effettuata per prima, ciò è vero solo per i beni mobili perché la consegna impedisce le vendite successive). Il principio che impedisce che due processi esecutivi abbiano luogo, quando pignorato è lo stesso diritto nei confronti dello stesso debitore, è il NE BIS N IDEM; si può invece avere una pluralità di crediti tutelati con lo stesso processo esecutivo, e si possono avere più processi esecutivi diversi a tutela dello stesso credito. La ratio di tale norma è quella di evitare che il creditore, che ha una garanzia su un bene, pignori un altro bene per soddisfarsi su quest’ultimo continuando a mantenere la prelazione sull’ altro. Un altro istituto è quello del PAGAMENTO NELLE MANI DELL’ UFFICIALE GIUDIZIARIO, ex art. 494, il primo comma consente al debitore esecutato di adempiere nelle mani dell’ ufficiale giudiziario, di conseguenza l’ esecuzione forzata non ha luogo perché il debito si estingue. L’ art. 494 2°c. si riferisce alla ripetizione dell’ indebito(colui che ha pagato un debito inesistente può ripetere il pagamento da colui che lo ha ricevuto). Questo istituto è interessante anche perché a differenza del solito in questa fattispecie eccezionalmente il pagamento ha un effetto sostanziale rilevante anche sul piano processuale, perché rende legittima l’omissione del pignoramento. Il terzo comma prevede l’ipotesi per cui il debitore paga una somma superiore a quella del debito, ma tale somma è percepita dall’ ufficiale giudiziario come oggetto del pignoramento; l’ufficiale giudiziario non consegna la somma al creditore ma è disposta nelle casse dell’ esecuzione, e poi distribuita dal giudice, con l’ opposizione del debitore si consente al giudice di sospendere l’ esecuzione, in questo caso se l’ opposizione sarà fondata il debitore recupererà la somma di denaro, nell’ ipotesi del primo comma invece il rischio era rappresentato dal fatto che il debitore dopo aver ricevuto la somma potesse successivamente risultare insolvibile. Lo stesso fenomeno di cui all’ art. 494,3°c. è previsto anche nell’ art.495 c.p.c. sotto il nome di CONVERRSIONE DEL PIGNORAMENTO, qui abbiamo una sostituzione dell’ oggetto del pignoramento, originariamente sono stati pignorati i beni dl debitore e successivamente il debitore sostituisce a questi beni una somma di denaro, cioè il tutto si realizza ex post. Il procedimento si svolge in due fasi, all’ istanza di conversione del debitore segue una prima ordinanza del giudice che determina la somma definitiva da versare, e da al debitore un termine per il versamento del saldo, viene poi fissata un udienza successiva al termine in questione, per verificare se la somma è stata effettivamente versata. Passiamo a vedere ora il caso della RIDUZIONE DEL PIGNORAMENTO, ex art.496 c.p.c. stabilisce che su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati supera l’ importo delle spese e dei crediti, di cui all’ art. 495 c.p.c. il giudice sentiti il creditore pignorante e i debitori intervenuti può disporre la riduzione del pignoramento(naturalmente si deve parlare di più beni non di un singolo bene). Un istituto analogo è previsto dall’ art. 546 c.p.c. nel caso di pignoramento di una pluralità di crediti nei confronti di più terzi debitori, il debitore può chiedere la riduzione del pignoramento o la dichiarazione di inefficacia di taluno dei crediti, qualora la somma dei crediti pignorati ecceda l’ entità del credito precettato, aumentata del 50%. Un ultimo istituto è la CESSAZIONE DELL’ EFFICACIA DEL PIGNORAMENTO, ex art. 497 c.p.c., si intende che all’ avvenuto pignoramento (come si era visto per il precetto) deve seguire un termine minimo di dieci e massimo di novanta giorni la richiesta di liquidazione del bene, cioè la richiesta del creditore di passare alla fase successiva dell’ espropriazione. Ex art. 562 avviene in 1 1 materia di espropriazione immobiliare la cancellazione della trascrizione del pignoramento, se il pignoramento immobiliare perde efficacia ai sensi dell’ art.497 c.p.c., tuttavia rimane sempre nei registri immobiliari la sua trascrizione, anche se ormai solo apparente, perché il pignoramento ha perso efficacia. Occorre procedere alla cancellazione della trascrizione e lo si fa effettuando una nuova trascrizione nella quale si dichiara la cancellazione. L’ art.2668 c.c. prevede (trattando la successione nel diritto controverso) che la trascrizione delle domande giudiziali ha efficacia 20 anni, questa disciplina è estesa alla trascrizione del pignoramento, se l’ esecuzione forzata dura più di 20 anni si deve rinnovare la trascrizione del pignoramento. CAP.13 – L’ INTERVENTO DEI CREDITORI L’ intervento dei creditori nell’ espropriazione trova il suo fondamento nell’ art. 2741 c.c., che va letto congiuntamente con l’ art. 2740 c.c.; l’ art.2741 stabilisce che i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. I privilegi si caratterizzano dal fatto che sono previsti dalla legge in ragione della natura del credito(non hanno però dritto di sequela essi hanno effetto finche il bene resta nel patrimonio del debitore). Pegno e ipoteca al contrario dei privilegi sono DIRITTI REALI DI GARANZIA, cioè hanno sequela anche nei confronti del patrimonio di un soggetto diverso dal debitore. Dalla lettura congiunta dei due articoli si ricava che le ragioni di prelazione sono l’unico meccanismo che incide sul principio della par condicio dei creditori. La vera portata del principio di par condicio va cercata sul terreno de diritto processuale. La riforma del 2006 ha introdotto una nuova disciplina riguardo l’intervento dei creditori(forse una fra le più infelici innovazioni della riforma, presenta profili di incostituzionalità). Ora l’ art. 499, 1°c. c.p.c. limita l’ intervento a chi ha titolo esecutivo , a chi al momento del pignoramento ha un credito garantito da pegno, da prelazione iscritta o da sequestro; nonché a chi è titolare di un credito risultante dalle scritture contabili. Il creditore che non sia munito di titolo esecutivo, e che purtuttavia abbia il potere di intervenire nell’ esecuzione in quanto appartenente ad una delle categorie previste al primo comma, deve notificare al debitore l’ atto di intervento e copia autentica delle scritture contabili se l’ intervento ha luogo in virtù di esse. Ex art. 499 5° e 6° c. il giudice fissa un udienza dinanzi a se per la comparizione del debitore e dei creditori non muniti di titolo esecutivo. All’ udienza fissata, se il debitore non compare o, comparendo riconosce l’ esistenza di tutti o in parte dei crediti, questi acquisiscono il diritto di essere soddisfatti. La profonda ristrutturazione dell’ intervento dei creditori nell’ esecuzione va sicuramente in controtendenza rispetto all’ ispirazione della riforma del 2006, che ha teso ad eliminare tutti i processi di cognizione strumentali unicamente alla tutela esecutiva, qui al contrario si rende necessario instaurare un processo di cognizione al solo fine di ottenere la soddisfazione del proprio credito in un espropriazione già in corso, è criticabile anche la scelta di consentire l’ intervento ai soli creditori muniti di titolo esecutivo, i creditori che non rientrano in questa categoria non avranno alcuna possibilità di soddisfarsi a meno che non ricorrano alla tutela di urgenza ex. Art.700 c.p.c., allegando appunto il pregiudizio imminente e irreparabile, questa scelta va a tradire il principio della par condicio, che è l’ attuazione di un principio costituzionale(e non può quindi essere rimesso alla scelta del legislatore) quello per cui il processo deve essere strumento di attuazione e non di distorsione del diritto sostanziale. Va specificato che niente impedisce al legislatore di restringere l’intervento nell’ espropriazione ad alcune categorie di creditori, a condizione però che consenta, a chi non appartiene a queste categorie, di munirsi di un titolo di legittimazione a partecipare alla distribuzione del ricavato (in assenza di questa previsione c’è violazione del diritto costituzionale). Per quanto riguarda gli effetti dell’ intervento questi sono previsti dall’ art.500( più il 526 per i beni mobili e il 564 per gli immobili). L’ art. 500 fa riferimento a due conseguenze dell’ intervento: il diritto a prendere parte alla distribuzione del ricavato e il diritto di partecipare attivamente al processo. Solo ai creditori che intervengono con titolo esecutivo queste due conseguenze sono assicurate in modo incondizionato. Invece chi interviene senza titolo esecutivo può prendere parte alla distribuzione del ricavato solo se si verificano le condizioni previste dall’ art. 499 6°c.. Gli art. 526 e 564 stabiliscono che i creditori intervenuti partecipano all’ espropriazione e se muniti di titolo esecutivo possono provarne i singoli atti. L’ atto più importante che il creditore intervenuto può compiere è l’ istanza di vendita, che deve essere effettuata in un termine non inferiore a 10 gg e non 1 1 superiore a 90 gg. In mancanza di tale istanza il processo esecutivo si estingue. In sostanza tutta la fase (dal pignoramento alla avvenuta vendita) richiede il compimento di atti di impulso, che possono essere compiuti oltre che dal creditore procedente da qualunque altro creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo. Se questi non coordinano la loro attività, ci possono essere più istanze di vendita, piu depositi della documentazione necessaria, una di queste attività è utile le altre superflue. Ex art. 631 c.p.c. la mancata comparizione da parte del creditore a due udienze consecutive porta all’ estinzione del processo. La distinzione tra creditori con o senza titolo esecutivo vale finchè non sia effettuata la vendita, dal momento in cui il bene è trasformato in una somma di denaro, si perde la distinzione tra creditori muniti e creditori non muniti di titolo esecutivo; quindi una volta effettuata la vendita, il diritto di procedere ad esecuzione forzata spetta a tutti i creditori. Una particolare disciplina riguarda i creditori muniti di prelazione; alcuni creditori muniti di ragioni di prelazione hanno una posizione particolare, l’ art.498 stabilisce che essi devono essere necessariamente avvertiti della pendenza del processo esecutivo, devono essere cioè avvertiti che è stato pignorato il bene sul quale avevano un diritto di prelazione, solo quei creditori le cui ragioni di prelazione risultano dai pubblici registri. Si devono distinguere creditori muniti di un semplice privilegio, essi hanno prelazione finchè il bene rimane nel patrimonio del debitore ( non c’è diritto di sequela). Al contrario il diritto reale di garanzia ha sempre ad oggetto beni individuati, tutti i diritti reali di garanzia devono essere resi pubblici mediante i modi che l’ ordinamento prevede. Perché c’ è questa distinzione nell’ avvertimento dei creditori? Perché il creditore procedente dovrebbe sopportare un onere troppo eccessivo se dovesse avvertire tutti i creditori. Però abbiamo visto che anche i creditori che non risultano dai pubblici registri perdono la prelazione con la vendita forzata, eppure non è necessario che vengano avvertiti. La diversità di trattamento si giustifica a seconda che si tratti di privilegio o di diritto reale di garanzia. Nel caso del privilegio il problema non si pone, il privilegio sussiste fintanto che il bene rimane nel patrimonio del debitore, la vendita forzata non ha un effetto diverso dalla vendita comune per il creditore. L’ effetto purgativo della vendita forzata vale solo per i diritti reali di garanzia. Nel caso dei diritti reali di garanzia non iscritti la vendita forzata ha un effetto estintivo della prelazione che la vendita di diritto comune non ha (naturalmente se il creditore pignoratizio è nel possesso del bene l’ esecuzione forzata è compiuta nei suoi confronti, quindi viene necessariamente a conoscenza del pignoramento). Se l’ esecuzione avviene nei confronti di un terzo, questo è tenuto ad avvertire il creditore pignoratizio. Per i diritti reali di garanzia iscritti nei pubblici registri scatta l’ obbligo dell’ art. 498 c.p.c. il creditore procedente deve notificare a costoro un avviso contenente l’ indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede e del titolo. In mancanza di questi requisiti il giudice deve rifiutarsi di emettere l’ ordinanza di vendita. L’ intervento dei creditori può essere tempestivo o tardivo, gli art. 528/551/565 distinguono i creditori intervenuti tempestivamente o tardivamente con riferimento ai creditori chirografari, cioè ai creditori che non sono muniti di un diritto di prelazione( i creditori con prelazione in qualunque momento intervengano saranno soddisfatti secondo l’ ordine delle prelazioni previste dal codice, naturalmente il termine ultimo di intervento è quello del momento in cui si effettua la distribuzione del ricavato). Ora mentre i creditori chirografari tempestivi sono soddisfatti in ragione percentuale del loro credito, i creditori tardivi sono soddisfatti sul residuo che eventualmente avanza, dopo che siano soddisfatti per intero i chirografari tempestivi. Il momento che determina la tempestività dell’ intervento normalmente è dato dalla prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione o di vendita, cioè l’ udienza che apre la fase di liquidazione. Infine per quanto riguarda l’ espropriazione dei crediti rilevante è la prima udienza di comparizione delle parti, fissata dal creditore pignorante con il ricorso ex art. 543 c.p.c. ; in tale udienza qualora il terzo renda o abbia reso una dichiarazione conforme, ha luogo anche l’ assegnazione. Sicchè un intervento tardivo è possibile solo se la dichiarazione è omessa o contestata. La ragione per cui si distingue tra creditori tempestivi o tardivi è che attraverso tutta una serie di istituti l’ ordinamento consente al creditore di muoversi liberamente nella scelta delle varie forme di espropriazione e alla individuazione dei beni da espropriare. Tuttavia se il creditore esagera nella sua attività di espropriazione è possibile ricondurre il valore dei beni pignorati all’ entità del credito. Ci deve essere un momento in cui il processo si ferma, il processo esecutivo non arriverebbe mai al 1 1 che rimane sconosciuta fino a che non vengono aperte le buste. Una particolare forma di offerta è quella fatta per persona da nominare, ad opera di un avvocato(entro 3 gg dall’ offerta deve essere fatto il nome del vero offerente, altrimenti l’ aggiudicazione avviene a nome dell’ avvocato). Quando il giudice ritiene di accogliere l’offerta deve emettere due decreti, con il primo stabilisce le modalità di versamento del prezzo ( se il prezzo non è versato si rivende il bene all’ incanto). Ed un decreto di trasferimento, che è l’ atto terminale del procedimento di liquidazione. L’ altra modalità di liquidazione è la vendita all’ incanto. Essa inizia con l bando di vendita(art.576), il bando stabilisce il giorno e l’ ora in cui si procederà alla vendita; qui l’ offerta viene fatta oralmente, trascorsi 3 minuti dall’ ultima offerta senza che ne siano fatte di maggiori il bene viene aggiudicato all’ ultimo offerente. L’ offerente all’ incanto deve versare la somma nel modo stabilito nel bando di vendita; se non versa la somma nel termine stabilito, si producono le stesse conseguenze per la vendita senza incanto. Se il versamento viene effettuato il giudice emana il decreto di trasferimento. Con il decreto di trasferimento si dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni ipotecarie. Con la riforma del 2006 è prevista la possibilità che l’ aggiudicatario finanzi il proprio acquisto mediante mutuo ipotecario. In questo caso mutuante e mutuatario possono stabilire, a garanzia del mutuante, che le somme siano versate all’ esecuzione contestualmente all’ iscrizione dell’ ipoteca. Ex art. 588 ciascun creditore può chiedere l’ assegnazione del bene immobile, per la somma maggiore tra il valore del bene secondo stima da un lato, e dall’ altro i crediti, aventi prelazione anteriore al richiedente. L’ istanza di assegnazione deve essere avanzata dal creditore almeno 10 gg prima della vendita all’ incanto, per l’ ipotesi in cui essa vada fallita. Se non si provvede all’ assegnazione il giudice può provvedere in due modi o dispone l’ amministrazione giudiziaria(utile ad esempio se il bene da dei frutti che possono essere divisi tra i creditori, oppure se è un momento in cui le offerte sono scarse il giudice può aspettare che il mercato immobiliare si risvegli) del bene immobile, o dispone una nuova vendita all’ incanto (il giudice può stabilire nuove condizioni di vendita). In questi casi comunque non si procede direttamente alla vendita all’ incanto ma si ripercorre nuovamente tutto l’iter : vendita senza incanto, poi eventualmente vendita con incanto. CAP.16 – GLI EFFETTI SOSTANZIALI DELLA VENDITA E DELL’ ASSEGNAZIONE La natura della vendita forzata è stata molto discussa in dottrina, c’era chi ne affermava la natura privatistica, chi ne affermava la natura pubblicistica, chi univa profili processuali a profili di diritto sostanziale. Attualmente il problema si può dire sopito perché si ritiene che sia un fenomeno essenzialmente processuale. L’ art. 2919 c.c. afferma che la vendita forzata trasferisce all’ acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’ espropriazione. L’ art. 2919 si nota come non parli di debitore ma di chi “ha subito l’ espropriazione”, ciò perché vi sono anche ipotesi in cui l’ espropriazione è subita da chi non è debitore. Dunque a vendita forzata da luogo ad un acquisto a titolo derivativo. Quindi il diritto acquistato è dipendente, sul piano sostanziale , dal diritto di colui che ha subito l’ espropriazione. L’ art. 2919 nell’ ultima parte prevede che non sono opponibili all’ acquirente in vendita forzata i diritti dei terzi, che non sono opponibili al creditore pignorante ( ciò che acquista l’ aggiudicatario è il diritto che sussisteva non al momento della vendita ma al moment del pignoramento, il pignoramento ha l’ effetto di conservare il diritto in vista della vendita forzata). Esiste un diverso meccanismo di protezione previsto a favore del credito ipotecario all’ art. 2812 c.c. il quale distingue due categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: i titolari di servitù usufrutto uso , abitazione e i titolari di superfice, nuda o piena proprietà. Il fenomeno ipotizzato è il seguente: dopo l’ iscrizione dell’ ipoteca sul bene, un terzo viene investito di un diritto appartenente alternativamente o alla prima o alla seconda categoria. Nell’ ipotesi in cui il terzo viene investito di un diritto appartenente alla seconda categoria, l’ art. 2812 stabilisce che si osservano le disposizioni relative ai terzi acquirenti. L’ art. 2812 stabilisce invece che i diritti appartenenti alla prima categoria, non sono opponibili al creditore ipotecario, che può far vendere la cosa come libera. Pertanto se dopo l’ iscrizione dell’ ipoteca, il proprietario ha costituito sul bene ipotecato, a favore di terzi, un diritto di superfice il creditorie ipotecario può espropriare il bene, ma deve notificare il titolo 1 1 esecutivo e il precetto al terzo acquirente, deve effettuare il pignoramento contro il terzo che assume il ruolo di esecutato. Il passaggio del bene ipotecato in varie mani non pregiudica quindi il creditore ipotecario. I titolari dei diritti che s estinguono con l ‘espropriazione diventano quindi CREDITORI PRIVILEGIATI ISCRITTI: PRIVILEGIATI, perché hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori chirografari; ISCRITTI perché il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto. Essi possono pertanto intervenire nel processo esecutivo come creditori potenziali per effetto della vendita, e quindi far valere le loro ragioni sul ricavato. L’ inciso contenuto nell’ art.2919, salvi gli effetti del possesso di buona fede lo abbiamo trovato anche nell’ art. 2913, il quale, disciplinando gli effetti conservativi del pignoramento, stabilisce che gli atti di disposizione del diritto pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. La buona fede riguardo l’ art. 2919 consiste nel non sapere che il bene non appartiene all’ esecutato. La buona fede infatti va vista volta per volta con riferimento all’ elemento carente che non consente l’ acquisto a domino. Nell’ ipotesi in cui l’ esecutato non fosse titolare del diritto pignorato e trasferito, il conflitto fra il terzo, proprietario del bene e l’ acquirente in vendita forzata si risolve normalmente a favore del terzo ed eccezionalmente a favore del aggiudicatario. C’ è da vedere la tutela di colui che nel conflitto ipotizzato rimane soccombente. L’ art. 2920, se oggetto della vendita forzata è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’ espropriazione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente di buona fede né possono ripetere dai creditori la somma loro distribuita. È poi ovvio che il terzo ex proprietario non può far valere le proprie ragioni nei confronti dell’ aggiudicatario di buona fede, il cui acquisto, proprio perché a titolo originario, è inattaccabile quantunque il bene non appartenesse a colui che ha subito l’ espropriazione. Oltre al diritto sulla somma ricavata, rimangono al terzo(che ha perso il proprio diritto) altre due possibilità; una prevista dall’ art.2920c.c.che appunto presuppone la prova della malafede del creditore procedente, il quale ha perseguito l’esecuzione nonostante sapesse che il bene pignorato non apparteneva all’esecutato. Una seconda possibilità non scritta nell’ art.2920c.c., ma derivante dai principi, è l’arricchimento senza causa nei confronti del debitore esecutato. L’ arricchimento senza causa si fonda sulla seguente considerazione: il debitore ha pagato debiti suoi con beni di altri. Il terzo proprietario non può ripetere dai creditori la somma distribuita e:pertanto i creditori si tengono la somma, con la quale viene estinto il credito che avevano nei confronti dell’esecutato per la parte corrispondente alla somma ricevuta. L’ art. 2926 stabilisce che il terzo ex proprietario può rivolgersi all’ assegnatario e dire “il bene ormai è tuo perché l’ hai acquistato ex art. 1153 ma devi versare nelle casse dell’ esecuzione la somma che ti sei trattenuto a soddisfazione del tuo credito. L’ ultimo comma del 2926 stabilisce che, versando la somma n questione, l’ assegnatario torna creditore del debitore perchè il suo credito non è più soddisfatto. Ora bisogna vedere se e in quale limite la nullità degli atti del processo esecutivo può essere fatta valere dall’ esecutato come motivo per chiedere la caducazione degli effetti della vendita forzata. L’ art.2929 c.c. stabilisce che se e quando colui che ha subito l’espropriazione possa chiedere all’ aggiudicatario la restituzione del bene, allegando la nullità del processo esecutivo. C’è quindi conflitto tra l’ esecutato e l’ acquirente. L’ esecutato deve fondare la ripetizione dell’ indebito sull’ inesistenza del credito, quindi su ragioni sostanziali non processuali. Per quanto riguarda i rapporti tra l’ esecutato e l’aggiudicatario-acquirente in vendita forzata la regola fondamentale stabilisce che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto nei confronti dell’ aggiudicatario. Le nullità del processo esecutivo anteriori al procedimento di vendita sono inopponibili all’ acquirente o all’ assegnatario(non erano parte degli atti anteriori al processo di vendita). Nell’ udienza fissata per determinare le modalità di vendita devono essere fatte valere tutte le nullità degli atti esecutivi fino a quel momento verificatesi, se vengono fatte valere il giudice non può disporre la vendita fino a che la controversia non sia risolta; quindi la fase del processo di vendita è 1 1 sicuramente ripulita da tutte le nullità formali. Per quanto riguarda le nullità extraformali rilevabili in ogni stato e grado del processo , esse, hanno la caratteristica di inficiare ogni singolo atto del processo, e quindi si riproducono anche in relazione agli atti compiuti posteriormente all’ udienza di vendita. Le nullità del procedimento di vendita hanno un'altra disciplina proprio perché l’ aggiudicatario e parte di tale fase. Le nullità devono essere fatte valere all’ interno del processo esecutivo con lo speciale mezzo che è l’ opposizione agli atti esecutivi. CAP. 17 – LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO Il terzo momento dell’ espropriazione forzata è la fase distributiva, essa non ha luogo quando non sia stato possibile procedere alla realizzazione del diritto pignorato o quando questo è stato assegnato a un creditore senza che colui abbia versato un conguaglio. La distribuzione è disciplinata dagli artt. 509-512 e piu specificamente dagli art. 541-542(per l’ espropriazione mobiliare) e 596-598 (per l’ espropriazione immobiliare). L’ art. 509 stabilisce che la somma oggetto della distribuzione è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, rendita o provento di cose pignorate. Il primo e piu rilevante problema è quello della graduazione o l’ ordine dei crediti, che è il seguente: • senza possibilità di deroga, anche in presenza di diritti di prelazione, al primo posto sono collocate le spese della procedura. • al secondo posto sono collocati i creditori con diritto di prelazione: l’ordine delle prelazioni è stabilito dall’ art. 2777 c.c. se due crediti hanno lo stesso grado di prelazione, concorrono proporzionalmente. • al terzo posto vi sono i creditori chirografari tempestivi, ove la somma non sia sufficiente per tutti si opera una ripartizione proporzionale. • al quarto posto vi sono i creditori chirografari tardivi, cioè quelli intervenuti dopo l’udienza in cui si determinano le modalità di vendita o di assegnazione. • al quinto posto è collocato l’ esecutato per l’ eventuale residuo. Se vi sono piu creditori occorre procedere alla formazione del PIANO DI RIPARTO; nel espropriazione mobiliare i creditori possono presentare al giudice un piano di riparto concordato tra loro, nella espropriazione immobiliare le modalità di riparto sono diverse perché il giudice procede d’ufficio, senza bisogno dell’ istanza di parte o di un piano concordato. La questione più delicata riguarda il creditore il cui credito sia stato “contestato” dal debitore ex art. 499 6°c. e che abbia in corso il processo di cognizione volto ad ottenere la formazione del titolo esecutivo; la posizione degli altri creditori non pone problemi, essi partecipano immediatamente alla distribuzione del ricavato. Se il loro credito è stato contestato e non hanno tempestivamente instaurato il processo di cognizione per ottenere il titolo esecutivo il loro intervento ha perso gli effetti. A favore dei creditori contestati l’ art.510c.p.c. prevede che il giudice proceda all’ accantonamento delle somme ad essi eventualmente spettanti; decorsi massimo tre anni la somma accantonata è distribuita, se il creditore non si è munito di titolo esecutivo, la somma accantonata è assegnata al creditore successivo. Questa disposizione presenta dei profili di incostituzionalità visto che la durata del processo non deve essere fonte di pregiudizio per la parte che ha ragione (art.24 Cost.). L’ art. 511 c.p.c. disciplina la SOSTITUZIONE nel processo esecutivo. I creditori di un creditore, avente diritto alla distribuzione, possono chiedere di essere a lui sostituiti proponendo domanda a norma dell’ art. 499 2°c. c.p.c. , la domanda di sostituzione si effettua nelle forme della domanda di intervento ex art. 499 2°c., ma evidentemente non è una domanda di intervento. In questo caso al momento della distribuzione il giudice provvede ad assegnare al sostituente le somme che spetterebbero al sostituto(le eventuali contestazioni sorte tra i due non possono ritardare la distribuzione agli altri concorrenti). Il provvedimento con cui il giudice distribuisce il ricavato è un atto del processo esecutivo e come tale ha la stabilità degli atti del processo esecutivo, la nullità di tali atti deve essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi, da utilizzare nei modi e nei termini previsti dalle norme processuali. Ora, ritiene parte della dottrina, che, dare alla distribuzione del ricavato una stabilità sostanziale preclusiva, che non ha il pagamento spontaneo, significa dare all’ esecuzione forzata un effetto eccedente la sua funzione. Quindi concludendo la distribuzione del ricavato non può avere una efficacia stabilizzante della distribuzione stessa, perché tale efficacia costituirebbe un effetto 1 1 quale nel secondo comma stabilisce che possono essere espropriati anche i beni di un terzo. Entrambi gli articoli prevedono i presupposti per i quali è possibile l’ espropriazione di beni che non rientrano nel patrimonio del debitore. Quest’ ipotesi può verificarsi per due fattispecie diverse previste dall’ art.2808 1° e 2°c. al 1° è previsto che l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriazione anche nei confronti del terzo che acquista i beni vincolati a garanzia del suo credito, qui si parla dell’ipotesi in cui il bene è sottoposto a ipoteca e successivamente venduto ad un terzo. Lo stesso fenomeno si può avere anche nell’ ipotesi del terzo datore di pegno o ipoteca(art.2808 2°c.);l’ ipoteca può essere concessa da un terzo a garanzia di un debito altrui. La scissione tra debito e responsabilità ha senso soltanto quando il terzo non debitore risponde dell’ adempimento dell’ altrui obbligazione non con tutti i suoi beni , ma con alcuni beni individuati. Il terzo quindi non è personalmente obbligato, non è tenuto ad adempiere, ma semplicemente a sopportare che l’espropriazione avvenga sul suo bene. La necessità di far partecipare al processo il titolare del diritto sul bene, di fargli assumere la qualità di soggetto esecutato, discende dagli effetti della vendita forzata ex art.2919 c.c.; la vendita fa nascere un titolo a favore dell’acquirente in vendita forzata contro colui che ha subito l’ espropriazione. (202-203) L’ art. 603 stabilisce che titolo esecutivo e precetto debbono essere notificati al terzo, ma ovviamente al terzo non è fatto precetto di pagare, perché egli non è debitore. Ex art. 2858 c.c. il terzo acquirente di beni ipotecati che ha trascritto il titolo di acquisto e che non è personalmente obbligato, se non vuole pagare i creditori iscritti può rilasciare i beni assegnati o liberarli dalle ipoteche, in mancanza l’ esecuzione segue contro di lui secondo le forme prescritte dal c.p.c. . il terzo può a sua scelta : • pagare, adempiendo l’ obbligo altrui. Pagando estingue il debito; • chiedere la liberazione dei beni dalle ipoteche(art.2889 c.c., art. 792 c.p.c.); • rilasciare il bene ai creditori: in pratica abbandona il bene ai creditori e l’ espropriazione ha luogo nei confronti di un curatore. Se non fa niente di tutto questo il terzo proprietario assume la posizione di esecutato. Il pignoramento e in genere gli atti di espropriazione si svolgono nei suoi confronti. Un'altra particolarità riguarda la distribuzione del ricavato: l’ ordine di distribuzione è diverso rispetto a quello ordinario. Infatti, i creditori che possono intervenire nell’ espropriazione sono i creditori del terzo proprietario, e non i creditori del debitore, perché per questi ultimi il bene è efficacemente uscito dal patrimonio del debitore. Se avanza un residuo questo deve essere consegnato al terzo e non al debitore. Il terzo può con l’opposizione all’ esecuzione contestare il diritto del creditore istante a procedere all’ esecuzione forzata. Il terzo può ovviamente contestare che non sussistano i presupposti particolari ad es. che l’ ipoteca non è stata rinnovata, oppure che è nullo l’atto di iscrizione dell’ ipoteca. Altra necessaria condizione perché il terzo sia legittimamente espropriato è che sussista il credito che l’ ipoteca vuole garantire; l’ art. 2859 distingue la situazione per cui la condanna del debitore sia anteriore o posteriore alla trascrizione dell’ atto d’acquisto del terzo proprietario. Se è anteriore alla trascrizione dell’atto d’acquisto, il terzo proprietario può opporre al creditore solo le difese che ancora spettano al creditore dopo la condanna. Viceversa il terzo non è vincolato al contenuto della pronuncia e può fondare la sua opposizione all’ esecuzione anche su difese che la sentenza preclude al debitore. Per evitare tale inconveniente il creditore nella sentenza di condanna, può proporre domanda nei confronti del terzo proprietario, chiedendo l’ accertamento della sua soggezione alla sentenza esecutiva; il terzo deve cosi spendere in quella sede tutte le sue difese. Per procedere all’ esecuzione nei confronti del terzo è sufficiente il titolo esecutivo diretto al debitore, la sentenza accerta dunque l’ assoggettabilità del terzo all’ esecuzione. Ricapitolando il terzo acquirente, non divenuto parte del processo, è in ogni caso soggetto all’ efficacia di un titolo esecutivo che non lo vede indicato come esecutato, e può con l’ opposizione all’ esecuzione, far valere sempre le difese personali, e quelle ex causa debitoris fondate su fatti successivi all’ udienza di precisazione delle conclusioni, se poi egli ha trascritto il suo atto d’acquisto prima della proposizione della domanda del creditore verso il debitore, può proporre anche le difese ex causa debitoris fondate su fatti antecedenti all’ udienza di precisazione delle conclusioni. 1 1 Ex art. 2870 il TERZO DATORE DI IPOTECA non è mai vincolato dalla sentenza, se non è chiamato a partecipare al processo di condanna del debitore(egli è già nella proprietà del ben quindi equiparato al terzo proprietario che ha trascritto il suo acquisto prima della proposizione della domanda di condanna). CAP. 20 – L’ ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA Terminato l’ esame dell’ espropriazione forzata ora dobbiamo analizzare l’ esecuzione correlata agli obblighi di consegna di una cosa determinata, e ad ogni altro tipo di attività che l’ obbligato omette di tenere. Queste due tecniche di tutela sono denominate come esecuzione forzata in forma specifica. Non bisogna confondere l’ esecuzione con la tutela in forma specifica. La tutela in forma specifica si contrappone alla tutela per equivalente e pone un problema di esclusivo rilievo di diritto sostanziale. Ora la scelta tra la tutela in forma specifica e la tutela per equivalente spetta al legislatore sostanziale. Talvolta si tratta di scelta obbligata: ciò accade tutte le volte in cui il bene della vita, garantito dalla situazione sostanziale protetta, è definitivamente distrutto o compresso. In questi casi la tutela in forma specifica evidentemente non è utilizzabile(perché non c’è più l’ interesse sostanziale da tutelare). Altre volte il legislatore sceglie o l’ una o l’altra in base alle sue valutazioni di opportunità. La distinzione tra tutela per equivalente e tutela in forma specifica appartiene quindi puramente al diritto sostanziale, ed è puramente e semplicemente percepita all’ interno del processo. Dobbiamo ora vedere che differenza c’è fra l’ espropriazione e l’ esecuzione in forma specifica. Nell’esecuzione per espropriazione i diritti in gioco sono due: il diritto di credito, di cui si chiede la tutela, e il diritto patrimoniale del debitore, che è oggetto del pignoramento e poi della vendita. Nell’ esecuzione in forma specifica il diritto è uno soltanto: quello individuato nel titolo esecutivo, e del quale si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva. La differenza sta dunque nell’ unicità o duplicità delle situazioni sostanziali coinvolte nell’ esecuzione. Altro problema riguarda l’ individuazione dei diritti sostanziali tutelabili, secondo parte della dottrina, attraverso l’ esecuzione in forma specifica, non tutti gli obblighi sono tutelabili, ma solo gli obblighi correlati a diritti assoluti; le obbligazioni in senso tecnico restano escluse per esse vale l’ art.1218 c.c. che prevede che il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno. La dottrina in esame opera una contrapposizione tra situazioni strumentali e situazioni finali: situazione finale è il diritto il cui titolare è soddisfatto attraverso dei poteri che l’ordinamento gli attribuisce (la situazione finale è utile fintanto che esiste, quando essa si estingue, viene meno l’utilità concreta che l’ ordinamento garantisce). Al contrario la situazione strumentale è il diritto che viene soddisfatto quando li obblighi correlati a tale situazione vengono adempiuti dal soggetto obbligato. Il problema si pone non in relazione ai diritti che hanno per oggetto il pagamento di una somma di denaro, ma in relazione ai diritti, relativi a un bene determinato, che non hanno natura reale, ma obbligatoria. Determinante per stabilire il tipo di tutela esecutiva è la struttura dell’ obbligo che rimane inadempiuto e non la struttura del diritto a tale obbligo contrapposto. Per sostenere che solo i diritti finali hanno l’ accesso alla tutela esecutiva in forma specifica bisognerebbe pensare che gia sul piano del diritto sostanziale, l’art.1218 c.c. risolva tutti gli inadempimenti delle obbligazioni e che escluda la tutela in forma specifica per tutte le situazioni sostanziali che abbiano natura obbligatoria. Inoltre l’ art. 1218 c.c., nel prevedere il risarcimento del danno per l’ inadempimento, non stabilisce affatto che la tutela delle situazioni strumentali sia solo risarcitoria. L’ inadempimento quindi non trasforma affatto tutte le situazioni strumentali in crediti pecuniari. Pertanto tutti gli obblighi aventi ad oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui tali obblighi fanno parte. Altro problema da affrontare è quello degli obblighi relativi a quantità di cose determinate. Una quantità di cose può diventare oggetto di un contratto in due modi diversi. Se oggetto del contratto è una quantità di cose fungibili individuate, si applica l’ art.1377c.c. non rileva che queste cose debbano essere misurate, il trasferimento della proprietà avviene comunque al momento del consenso. Se invece il contratto ha ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, si applica l’ art.1378 c.c. 1 1 L’ esecuzione in forma specifica è giuridicamente possibile in relazione all’ obbligo di consegna che nasce da un contratto inquadrabile nella previsione all’ art.1377 c.c. I beni di cui l’ acquirente ottiene la consegna sono gia di sua proprietà, appartengono gia al suo patrimonio e l’ obbligatone ha solo la detenzione materiale, quindi con la consegna non subisce alcun depauperamento del suo patrimonio. Se invece si tratta di fattispecie alla quale si applica l’ art. 1378 c.c. attraverso l’ esecuzione in forma specifica si ottiene il trasferimento della proprietà del bene e , con tale individuazione, il trasferimento della proprietà. L’ ostacolo che impedisce l’ esecuzione in forma specifica relativa ad obblighi di genere è l’ art. 2741 c.c., cioè il principio della par condicio creditorum. È l’ art. 2741 che impedisce a un creditore di soddisfarsi in natura, per intero, senza tener conto che il bene fa parte della garanzia patrimoniale che spetta a tutti i creditori. Un altro problema, relativo all’ esecuzione in forma specifica, riguarda la necessità di ricorrere alla tutela esecutiva per la soddisfazione del diritto. L’ obbligo inadempiuto può essere ovviato talvolta con l’ utilizzo da parte dell’ avente diritto di poteri che fanno arrivare al conseguimento dell’ obbiettivo, o altrimenti l’ avente diritto può sostituire l’ attività dell’ obbligato inadempiente con l’attività di un altro soggetto, senza incontrare difficoltà in quanto tale sostituzione avviene attraverso l’ esercizio di poteri di natura sostanziale. Da ciò consegue che l’ ambito di applicazione dell’ esecuzione per obblighi di fare viene notevolmente ridotto, perché di solito è possibile fare a meno dell’ ufficio esecutivo sostituendo l’ intervento dell’ obbligato inadempiente con l’ intervento di un altro soggetto. L’ esecuzione forzata diventa necessaria solo quando il titolare del diritto non può autonomamente procurarsi, l’ utilità che doveva procurargli l’ obbligato. Accanto all’ esecuzione diretta esiste la figura dell’ esecuzione indiretta, in cui si cerca di ottenere l’ adempimento dall’ obbligato stesso, attraverso l’ irrogazione di sanzioni (l’ esecuzione diretta invece ha natura sostitutiva). La infungibilità può derivare da due cause: perché l’ obbligo è assunto intuitu personae, cioè l’ avente diritto voleva proprio la prestazione da quel certo soggetto, oppure perché l’ obbligato si trova in una situazione di monopolio, di fatto o di diritto, e quindi la prestazione potrebbe essere fornita in astratto da chiunque, ma, in concreto la soddisfazione può essere data solo da un certo soggetto(es. fornitura energia elettrica). L’ obbligo di astensione è sempre infungibile, poiché il comportamento consiste nel non fare. Nel diritto sostanziale è previsto talora l’ obbligo di sopportare che l’ avente diritto compia una certa attività nella sfera giuridica dell’ obbligato, si tratta di un comportamento di tolleranza, o come si dice, di PATI. L’ obbligo di pati è correlato ad un diritto altrui di invadere la sfera giuridica dell’ obbligato, il quale deve appunto sopportare tale invasione. È distinta la situazione nel senso che nell’ obbligo di pati, l’ invasione della sfera giuridica altrui è fisiologica, nell’ obbligo di non fare, tale invasione è patologica, perché consegue alla violazione dell’ obbligo di non fare. CAP.21 – L’ ESECUZIONE PER CONSEGNA E RILASCIO Ex art. 2930 c.c., l’esecuzione per consegna o rilascio ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che esercita attualmente tale potere di fatto a colui che ha diritto ad esercitarlo. Anche la situazione possessoria che acquisisce l’ avente diritto non dipende dalle modalità esecutive ma dal titolo. L’avente diritto acquista il possesso se sul bene gli è stata riconosciuta l’ esistenza di un diritto reale; acquista la detenzione, se sul bene gli è stata riconosciuta l’ esistenza di un diritto personale di godimento. Il possesso sarà uti dominus se è riconosciuta la proprietà, uti usufructus se è riconosciuto l’ usufrutto. Quindi anche la situazione possessoria che si viene a formare in capo all’ avente diritto, che riceve il bene, si differenzia in base al tipo diritto a tutela del quale si è avuta l’ esecuzione, e non con riferimento alle modalità dell’ esecuzione. L’obbligo di consegna o rilascio viene attuato con le forme degli artt. 605 e ss. c.p.c. in modo sempre uguale. I titoli esecutivi che fondano l’esecuzione sono, ex art. 474 3°c. c.p.c. quelli previsti dai numeri 1 e 3 dell’ art.474 2°c. Le scritture private e i titoli di credito che abbiano per oggetto beni individuati non 1 1 La determinazione della somma avviene per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’ esecuzione del provvedimento ; bisogna distinguere gli obblighi di fare da quelli di non fare. In relazione agli obblighi di fare, la sanzione è parametrata ad ogni frazione di tempo in cui si verifica il ritardo nell’ adempimento. In relazione agli obblighi di non fare la sanzione è parametrata ad ogni successivo episodio di violazione dell’ obbligo di astensione. Per quanto riguarda l’ entità della sanzione l’art.614 bis, contiene una disposizione estremamente elastica, viene in sostanza rimesso alla discrezionalità del giudice determinare la somma dovuta; e poichè la determinazione avviene in sede dichiarativa, le contestazioni circa la congruità della somma determinata sono rimesse al giudice dell’ impugnazione. La determinazione della sanzione pecuniaria è determinata su richiesta di parte. La previsione aldilà della sua portata ovvia, lascia però molti dubbi sull’ esatto inquadramento di tale richiesta. Si potrebbe pensare che tale richiesta costituisca una domanda in senso proprio, pertanto essa dovrebbe essere proposta contestualmente alla domanda di condanna. Sembra tuttavia, che le caratteristiche della stessa, consentano di dire che, non trattandosi di una domanda e quindi di una pronuncia di merito(si tratta pur sempre di una misura esecutiva), la richiesta può essere proposta fino all’ udienza di precisazione delle conclusioni. Il giudice deve naturalmente verificare che la condanna abbia ad oggetto un astensione o un facere infungibile. La decisione del giudice della cognizione, se è negativa in quanto qualifica il facere come fungibile, è evidentemente vincolante per il giudice dell’ esecuzione, al quale sia presentato ricorso ex art. 612 c.p.c. egli non potrà rifiutare la determinazione delle modalità di esecuzione, allegando che il facere è infungibile. Le ipotesi in cui l’ esecuzione indiretta è esclusa, pur trattandosi di un fare infungibile o di un non fare sono due: la prima prevista dall’ art. 614bis (si esclude in materia di lavoro subordinato o parasubordinato), la seconda sempre all’ art. 614bis 1°c. (si esclude ove ciò sia manifestamente iniquo. Nel caso in cui si verifichino i presupposti per l’ applicazione cioè vi sia un ritardo di facere, o la violazione di un obbligo di astensione, il titolo di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute. CAP. 24 – L’ OPPOSIZIONE ALL’ ESECUZIONE Essa è disciplinata dagli artt. 615-616 c.p.c. ed ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata. Questa situazione processuale presenta due profili: quello della sussistenza della situazione sostanziale di cui si chiede tutela in via esecutiva, e quello del titolo esecutivo in senso sostanziale, cioè della tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale. Quindi il diritto a procedere ad esecuzione forzata può essere contestato vuoi per la carenza di ciò che si vuole tutelare, vuoi per la carenza del diritto alla tutela esecutiva. Primo profilo: mancanza del diritto alla tutela esecutiva, cioè del titolo esecutivo in senso sostanziale, l’ opponente può appunto contestare che il titolo esecutivo in senso sostanziale non sia mai esistito o è venuto meno. Dal punto di vista processuale l’esecuzione forzata è legittima se è fondata su un valido ed efficace titolo esecutivo(l’ efficacia del titolo esecutivo deve sussistere per tutto il tempo dell’ esecuzione). Problemi particolari sorgono quando si nega l’esistenza del titolo esecutivo facendo leva sulla nullità dell’ atto, in cui il titolo esecutivo consiste. Si contesta l’efficacia esecutiva del titolo, perché la nullità dell’atto incide su tutti gli effetti dell’ atto stesso, fra cui anche quelli esecutivi. Per i titoli esecutivi stragiudiziali non ci sono particolari problemi, nel senso che ogni nullità rilevante dell’ atto può essere fatta valere in sede di opposizione dell’ esecuzione. Ai titoli esecutivi giudiziali, invece ex art. 161 1°c c.p.c. si applica il principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione. La nullità di una sentenza dev’essere fatta valere con i mezzi di controllo previsti e non con strumenti diversi. Il principio della conversione delle nullità dell’ atto processuale in motivi di impugnazione, ricavabile dall’ art.161, impedisce di far valere le nullità del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione all’ esecuzione. Lo stesso articolo al secondo comma prevede però che questa previsione non si applica in caso di mancata sottoscrizione del giudice(in quanto si parla di inesistenza dell’atto). 1 1 L’ utilizzo dei mezzi d’impugnazione è solo uno dei modi per far valere i vizi dell’ atto inesistente, uno dei modi con cui si può far valere l’ inesistenza dell’ atto è l’opposizione all’ esecuzione, quando il provvedimento è utilizzato come titolo esecutivo. Bisogna approfondire un ulteriore punto, l’efficacia esecutiva di un provvedimento giurisdizionale dipende, volta per volta, da due diversi meccanismi: talvolta è disposta dalla legge, altre volte nasce in virtù del provvedimento del giudice. Nell’ efficacia ex lege la fattispecie che costituisce tale effetto giuridico è immediatamente rilevante e non è mediata da una valutazione del giudice. Nell’ ipotesi di esecutività ope iudicis essendo rilevante la valutazione del giudice, che ha accertato l’esistenza dei presupposti previsti dalla legge, sono precluse tutte le contestazioni relative alla effettiva sussistenza dei presupposti in questione. Nell’ ipotesi di esecutività ex lege, dato che l’ efficacia esecutiva discende immediatamente dalla esistenza dei presupposti previsti dalla legge, in sede di opposizione all’ esecuzione si può affermare che tali presupposti non esistono. Analizziamo invece il caso in cui si fonda l’ opposizione per inesistenza del diritto sostanziale che si vuole tutelare con l’esecuzione. Si contesta nel caso, non il diritto processuale alla tutela esecutiva, ma il diritto sostanziale oggetto della tutela esecutiva. In sede di opposizione all’ esecuzione possono essere fatte valere le stesse contestazioni che sarebbero ammissibili nel caso in cui l’ atto-titolo esecutivo fosse utilizzato dal creditore come prova dell’ esistenza del suo diritto in un ordinario processo di cognizione. Per i titoli giudiziali il discorso è analogo, si debbono applicare i limiti temporali di efficacia della sentenza. È spendibile in sede di opposizione all’ esecuzione, ciò che non è precluso dai detti limiti temporali che hanno come referente l’udienza di precisazioni delle conclusioni per le sopravvenienze di fatto, e la pubblicazione della sentenza per le sopravvenienze di diritto. Con l’ opposizione all’ esecuzione si fa valere, per espressa previsione dell’ art.615, 2° anche l’impignorabilità dei beni. Se la parte esecutata contesta che sussiste il presupposto della impignorabilità dei beni, deve proporre opposizione all’ esecuzione(opposizione all’ esecuzione e non opposizione agli atti). Nell’ opposizione all’ esecuzione si discute il se, l’ an dell’ esecuzione. Ciò vale a distinguerla dall’ altro strumento, che è l’ opposizione agli atti esecutivi, con la quale si contesta la conformità del processo esecutivo alle norme processuali, e che quindi riguarda il come, il quomodo dell’ esecuzione. Mentre l’ opposizione agli atti è uno strumento che spetta a tutte le parti del processo esecutivo, l’ opposizione all’ esecuzione spetta solo a colui o coloro che subiscono l’ esecuzione, perché solo questi soggetti hanno la legittimazione a fare accertare se l’ esecuzione deve o non deve essere compiuta. Si dice allora che l’ opposizione agli atti esecutivi è di rito, mentre l’ opposizione all’esecuzione è di merito. Con l’opposizione all’ esecuzione si contesta il diritto a procedere ad esecuzione, con l’ opposizione agli atti si contesta che quel processo sia viziato. Guardiamo ora lo svolgimento, c’è da vedere innanzitutto se l’ esecuzione forzata è iniziata oppure no. Ex art.491 c.p.c. l’espropriazione inizia con il pignoramento; ex art. 608, 1°c. c.p.c. l’ esecuzione per rilascio inizia con la notifica del preavviso di rilascio. Non vi sono norme che individuano l’ inizio dell’ esecuzione per consegna o rilascio e per obbligo di fare. Si deve quindi applicare in via analogica l’ art.491. L’ opposizione proposta prima dell’ inizio dell’ esecuzione si propone con un ordinario atto di citazione(cd. opposizione a precetto), di fronte al giudice competente per materia o valore con riferimento al diritto sostanziale del quale si richiede la tutela esecutiva. L’ art.615 rinvia per la determinazione della competenza per territorio, all’ art.27 c.p.c. quindi è competente il giudice del luogo dove si svolge l’esecuzione. Se l’ esecuzione ha gia avuto inizio, ex art.615 2°c., l’opposizione è proposta con ricorso che si deposita nella cancelleria del giudice dell’ esecuzione, e che successivamente è portato a conoscenza delle altre parti interessate. Il ricorso in opposizione contiene un atto di un processo dichiarativo(la domanda) che trova provvisoria ospitalità nel processo esecutivo. Le due attività principali che deve svolgere il giudice dell’ esecuzione in questa sede, sono costituite dalla risposta all’ eventuale domanda di sospensione, che l’ opponente abbia avanzato, e dalla individuazione del giudice competente a decidere nel merito della domanda di opposizione. 1 1 La competenza territoriale ex art.27 c.p.c. spetta al giudice del luogo in cui si svolge l’ esecuzione. Lo spostamento di competenza, pertanto avviene solo in senso verticale e non anche in senso orizzontale. Se dunque l’ ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell’ esecuzione non è competente, il giudice dell’ esecuzione assegna un termine perentorio per la riassunzione della causa. Se invece l’ ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice è competente, il giudice dell’ esecuzione assegna un termine perentorio per la introduzione del giudizio di merito. Per capire come avviene il distacco della causa di opposizione dal processo esecutivo, per capire cioè ciò che dispone l’ art.616c.p.c. occorre tener conto di qual era la situazione antecedente la riforma del 2006. In precedenza l’ art.616 si limitava a stabilire che, se la causa di opposizione era di competenza dell’ ufficio giudiziario al quale apparteneva il giudice del’ esecuzione, questi “provvede all’ istruzione a norma degli art.175 e seguenti”, era il giudice dell’ esecuzione in quanto tale a svolgere il ruolo di giudice istruttore della causa di opposizione. Ora la competenza funzionale del giudice è venuta meno, il presidente del tribunale nomina un magistrato, che non necessariamente è il giudice dell’ esecuzione; inoltre il passaggio dalla fase introduttiva alla fase di trattazione avviene attraverso la fissazione di un termine perentorio, entro il quale la parte interessata deve iscrivere la causa a ruolo e poi compiere un atto ”secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito”. L’ atto introduttivo del giudizio non dovrà necessariamente contenere una domanda, ma potrà contenerne di ulteriori. E, analogamente, l’ atto difensivo della controparte potrà avere il contenuto e sarà soggetto alle preclusioni previste per il rito applicabile. La legittimazione a proporre l’ opposizione all’ esecuzione spetta sempre all’ esecutato, e cioè al debitore e al terzo proprietario. L’ opposizione può essere, secondo opinione pacifica, proposta anche in via surrogatoria ex art.2900 c.c. da un creditore all’ esecutato nell’ inerzia di quest’ ultimo. Il creditore procedente è senz’ altro la controparte dell’ opposizione all’ esecuzione: infatti, l’ opponente contesta il diritto a procedere ad esecuzione forzata del creditore procedente. I creditori, gia intervenuti quando viene proposta l’ opposizione, sono litisconsorti necessari solo se muniti di titolo esecutivo. Il creditore procedente non può, con un proprio atto di volontà(rinunciando), pregiudicare la posizione dell’ intervenuto munito di titolo esecutivo, in quanto è necessaria l’ accettazione di costui per far venire meno il processo esecutivo. Al contrario il creditore che interviene senza titolo esecutivo, finchè non c’è distribuzione del ricavato, non ha poteri da spendere. Il creditore senza titolo esecutivo in pratica fa solo una prenotazione sulla distribuzione del ricavato. I creditori intervenuti senza titolo esecutivo possono partecipare al processo di opposizione in via d’ intervento volontario, ma non c’ è ragione perchè debbano essere chiamati necessariamente a partecipare al processo d’opposizione, in quanto dall’ accoglimento dell’opposizione ricevono un pregiudizio non diverso da quello che loro deriva da un atto di volontà del creditore procedente. Il processo di opposizione all’ esecuzione è un normale processo di cognizione in cui si realizza un’ inversione dell’ iniziativa processuale. Mentre, di solito, l’iniziativa processuale parte da chi afferma l’ esistenza del diritto e ne chiede la tutela, nell’ opposizione l’ iniziativa processuale è di colui che nega l’esistenza del diritto (quindi ex art. 2697 c.c. l’ onere della prova ricade sul creditore procedente). In questi casi l’ opposizione costituisce una provocatio ad probandum: l’ esecutato nega, ed il procedente deve provare i fatti negati Il creditore può proporre una domanda riconvenzionale avente ad oggetto lo stesso diritto, oppure un diritto connesso con quello di cui era stata chiesta la tutela esecutiva. Ciò accade spesso con i titoli esecutivi stragiudiziali. Il creditore procedente, soccombente nella domanda di opposizione, e vittorioso nella domanda riconvenzionale, può tutelarsi esecutivamente, ma deve iniziare da capo l’ esecuzione, perché il titolo esecutivo deve sussistere dall’ inizio alla fine dell’ esecuzione. L’ accoglimento dell’ esecuzione ha un effetto costante: impedisce la prosecuzione del processo esecutivo e caduca gli effetti degli atti già compiuti. Essa equivale sotto questo profilo ad una rinuncia agli atti. Se l’ opposizione è accolta prima della vendita tutti gli atti compiuti perdono effetti, se avviene dopo la vendita resta valida, ed il ricavato viene consegnato all’ esecutato vittorioso. CAP.25 – L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI 1 1 accade per regole di incompatibilità la proprietà del bene mobile in capo al terzo si estingue. In tal caso l’ interesse a proporre l’ opposizione di terzo è radicale, perché o il terzo impedisce la vendita, oppure perde definitivamente la proprietà del bene(se riesce a dimostrare la malafede dell’ acquirente ad esempio resta aperta la possibilità di recuperare il bene). Con l’ opposizione ex art. 619 c.p.c. il terzo sicuramente non contesta il diritto a precedere ad esecuzione forzata: al terzo non interessa contestare la sussistenza delle condizioni per procedere ad esecuzione, al terzo interessa l’ altro diritto coinvolto nell’ espropriazione, cioè la sussistenza nel patrimonio dell’ esecutato del diritto che è oggetto di esecuzione( egli non vuole impedire l’ esecuzione, ma sottrarre ad essa i beni sui quali vanta un diritto incompatibile con l’esecuzione stessa). Ben difficilmente questa situazione può verificarsi nell’ esecuzione in forma specifica, perché li non ci sono due diritti in gioco, ma ce n’è uno solo, quello da tutelare esecutivamente; quindi il terzo non può portarsi via il suo bene, e far continuare l’ esecuzione, perché senza di esso l’ esecuzione non è possibile. Nell’ esecuzione in forma specifica, il terzo che avanza pretese sul bene oggetto dell’ esecuzione in realtà contesta il diritto del creditore istante a procedere ad esecuzione forzata(situazione quindi differente a quella vista prima nell’ espropriazione). L’ opposizione si propone con ricorso al giudice dell’ esecuzione. Infatti essa è necessariamente successiva al pignoramento, in quanto prima del pignoramento il terzo non può lamentare alcun pregiudizio, visto che non sono ancora stati individuati, come appartenenti alla responsabilità patrimoniale del debitore beni che invece non ne fanno parte. Presentato il ricorso, il giudice dell’ esecuzione fissa con decreto l’ udienza di comparizione delle parti e il termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto. Dal punto di vista soggettivo le parti necessarie sono il creditore procedente ed i creditori intervenuti con titolo esecutivo. All’ udienza le parti possono raggiungere un accordo che può prevedere la prosecuzione dell’ espropriazione o la cessazione della stessa. Come in sede di opposizione all’ esecuzione il giudice dell’ esecuzione deve porsi i problemi di competenza. Se l’ ufficio è competente in senso verticale con riferimento al valore dei beni controversi(art.17 c.p.c.), il giudice dell’ esecuzione istruisce la causa, altrimenti rimette la causa al giudice di pace competente. Territorialmente è sempre competente il giudice del luogo dell’ esecuzione. Il processo di opposizione è un ordinario processo di cognizione. Il momento finale per proporre l’ opposizione normalmente è rappresentato dalla vendita forzata. L’art. 620 c.p.c. contiene una disposizione particolare per i beni mobili, e prevede che l’ opposizione può essere proposta anche dopo la vendita, ex art.2920c.c. il diritto che vanta il terzo è quello alla restituzione del ricavato. Leggendo i due articoli sembrano dire cose diverse, ma le norme si coordinano così: una volta effettuata la vendita il terzo ha due strade: se intende recuperare il bene presso l’ acquirente, in quanto pensa di poter dimostrare la malafede di questo, deve proporre la domanda direttamente nei confronti dell’ acquirente in un ordinario processo di cognizione. Se invece il terzo ritiene di non aver possibilità di recuperare il bene e quindi di doversi accontentare del ricavato della vendita, deve proporre l’ opposizione di terzo, cioè deve inserirsi all’ interno del processo esecutivo. E cosi pure se il terzo propone opposizione tempestiva, ma il giudice non sospende il processo esecutivo e procede alla vendita, il terzo può comunque scegliere una delle due strade viste prima. Negli altri casi, diversi dall’ espropriazione mobiliare, come si è detto l’ opposizione non può essere proposta dopo la vendita forzata. Per quanto riguarda l’onere della prova, per i beni immobili, ove l’ opponente faccia valere un diritto reale sugli stessi, si applicano le regole ordinarie delle azioni di rivendicazione e di mero accertamento della proprietà. Se possessore del bene immobile pignorato è l’ esecutato, l’ onere del terzo è quello della rivendicazione(art.948 c.c.) egli deve dimostrare di essere proprietario del bene, secondo la PROBATIO DIABOLICA della rivendicazione. Se invece possessore del bene immobile è l’ opponente, diviene sufficiente dimostrare di possedere secondo un titolo valido, come nel mero accertamento della proprietà. Nel caso invece che l’ opponente fondi la sua domanda su un diritto personale di restituzione, e l’ esecutato sia appunto la controparte contrattuale obbligata alla restituzione, l’ opponente deve dimostrare che il bene pignorato è stato trasferito all’ esecutato in virtù di un titolo inefficace fin dall’ origine. 1 1 Per i beni mobili, se il bene è stato pignorato, in base all’ art. 513 c.p.c., nei luoghi appartenenti al debitore, l’onere di dimostrare la proprietà spetta all’ opponente, che infatti non ne è possessore. Riassumendo in linea generale l’ opposizione di terzo(appunti presi dal Simone): L’ opposizione del terzo può essere proposta dal terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati [Pignoramento]. Dunque, il diritto che il terzo vanta può consistere nel diritto di proprietà sul bene, in un diritto reale di godimento su cosa altrui, nel diritto di pegno, in un diritto su cose incorporabili come ad esempio il diritto all'immagine o anche nel possesso. Tale opposizione ha natura di azione di accertamento negativo [Azione (civile)], in quanto è volta ad affermare l'illegittimità dell'esecuzione, in rapporto al suo oggetto, di fronte al diritto del terzo. L'opposizione può essere proposta dal momento in cui il bene viene colpito dall'azione esecutiva (es.: dal momento del pignoramento oppure dall'emissione del precetto) e si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione. L'opposizione si definisce: tempestiva, se proposta prima della vendita o dell'assegnazione del bene; tardiva, se proposta successivamente. In quest'ultima ipotesi, i diritti del terzo potranno farsi valere solo sulla somma ricavata, fino a che la medesima non sia stata distribuita tra i creditori. Legittimati passivamente (quali litisconsorti necessari) a tale opposizione sono: — il creditore pignorante o procedente; — il debitore o il terzo assoggettato all'esecuzione. L’ opposizione di terzo: È un mezzo di impugnazione straordinario, in quanto proponibile nonostante il passaggio in giudicato della sentenza [Cosa giudicata], concesso al terzo per rimuovere gli effetti pregiudizievoli che una sentenza, pronunciata tra altre persone, può avere sulla sua sfera giuridica. L'opposizione presenta alcune caratteristiche eccezionali: — è proponibile da chi non fu parte nel giudizio sfociato nella sentenza impugnata; — è un rimedio facoltativo, in quanto la sua mancata proposizione non determina preclusioni. Infatti, le ragioni non fatte valere con l'opposizione potrebbero essere tutelate con altri strumenti giuridici, quali l'eccezione di inopponibilità della sentenza, pronunciata inter alios, o un'autonoma azione di accertamento [Azione (civile)], finalizzata alle dichiarazioni della inopponibilità della sentenza al terzo e della sussistenza del diritto di quest'ultimo, anche se incompatibile con la sentenza stessa. L'opposizione può essere: — semplice, è quella concessa ai terzi che siano titolari di un diritto assolutamente incompatibile col diritto dichiarato nella sentenza pronunciata inter alios , ovvero di un diritto dipendente dal titolo in base al quale il diritto dichiarato nella sentenza fu fatto valere. Si pensi all'ipotesi di un terzo che vanti un diritto di locazione verso una delle parti processuali, nei cui confronti viene emessa una sentenza di condanna al rilascio dell'immobile in favore della controparte processuale. In questa, come in altre ipotesi, il rimedio dell'opposizione consente al terzo di escludere l'efficacia della sentenza nei suoi confronti; — revocatoria, è quella concessa ai terzi, creditori o aventi causa di una delle parti, che soffrirebbero un pregiudizio di fatto quando la sentenza, sfavorevole al loro debitore o dante causa, sia stata pronunciata a loro danno per effetto di dolo o collusione tra le parti. La domanda si propone allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui, con citazione che deve contenere, oltre agli elementi di cui all'art. 163 c.p.c., anche l'indicazione della sentenza impugnata e, in caso di opposizione revocatoria, l'indicazione del giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo o della collusione e della relativa prova. 1 1 Nel caso di opposizione di terzo revocatoria, il termine per impugnare è di 30 giorni dalla scoperta del dolo o della collusione. Nessun termine è invece previsto per proporre opposizione di terzo semplice. CAP.27 – LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO Con il termine sospensione si indica, in senso generico, un periodo in cui non si compiono atti, e quindi il processo si trova in una situazione di stasi. La sospensione costituisce una stasi caratterizzata dall' interferenza fra un processo di cognizione e il processo esecutivo. Ex art. 623 c.p.c. la sospensione può essere disposta dalla legge, oppure da un provvedimento del giudice davanti a cui è impugnato il titolo esecutivo, o infine da un procedimento del giudice dell' esecuzione. Si ha sospensione disposta dalla legge quando il processo di cognizione incidentale riguarda l'oggetto del processo esecutivo (art. 548-601 c.p.c.). il giudice può sospendere il processo se ad esempio ritiene alienare la quota spettante all'esecutato sul bene indiviso, o per l' espropriazione dei crediti. Quando il processo di cognizione incide sulla determinazione dell' oggetto del processo esecutivo la sospensione è necessaria e automatica. L' altra ipotesi di sospensione, prevista dall' art. 623 c.p.c., è quella che è disposta dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo; questi è il giudice che sospende l'efficacia esecutiva della pronuncia-titolo esecutivo, che sia impugnata. La sospensione può essere proposta anche dal giudice dell' opposizione a precetto, si tratta di una novità introdotta dalla riforma del 2006. Vi sono poi le ipotesi di sospensione disposta dal giudice dell' esecuzione, a seguito della proposizione di un opposizione all' esecuzione o di un opposizione di terzo. Qui la sospensione va contro l' interesse del creditore procedente(il processo esecutivo ha tutti i requisiti per produrre i suoi effetti, ma vi è una tutela per il debitore esecutato o per il terzo). La sospensione risponde a esigenze analoghe a quelle dei provvedimenti cautelari. Abbiamo detto che la sospensione può esserci anche in caso di opposizione agli atti esecutivi, anche in questo caso vi è un processo incidentale al processo esecutivo. Sull' istanza di sospensione il giudice provvede con ordinanza. L' art.624 2°c. c.p.c. introduce il reclamo ex art.669-terdecies come un rimedio generalizzato per tutti i provvedimenti, con i quali il giudice decide su istanza di sospensione del processo esecutivo. L' art.624 3 e 4°c. c.p.c. introduce un raccordo fra la sospensione del processo esecutivo ed il processo di merito instaurato con le opposizioni. Una volta ottenuta la sospensione del processo esecutivo, l'opponente può “accontentarsi” dell' arresto del processo e non coltivare il giudizio di merito. L' art.624-bis introduce anche nel processo esecutivo la sospensione concordata, che prima era prevista solo per il processo di cognizione. La sospensione deve essere richiesta da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, il debitore deve essere sentito ma il suo consenso non rileva. 1 1
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