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Appunti di psicologia sociale- Prof.ssa Rollero e Prof. Tartaglia, Appunti di Psicologia Sociale

Appunti completi delle lezioni

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 08/05/2023

giulia.favale3
giulia.favale3 🇮🇹

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Scarica Appunti di psicologia sociale- Prof.ssa Rollero e Prof. Tartaglia e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! Psicologia sociale 15/02/22 Lez.1 Slide su moodle, 3 testi obbligatori (ballo identità da stampare) Esame: scritto 45 min 3 domande aperte ( 1 facciata), max 27 se vuoi orale per alzare voto 7 punti in più  Cos’è la psicologia sociale Individuo e società sono considerati due entità separate, gli individui si uniscono in aggregati sociali e cambia il loro comportamento in base a quando stanno da soli e quando sono in gruppo. Ci sono vari punti di vista su come studiare gli individui, i gruppi, le società e le organizzazioni perché essi non sono tutti uguali. Una delle questioni su cui si hanno pareri discordanti è “La cultura determina il comportamento individuale oppure la cultura è un prodotto dell’individuo?” (es. chi è nato prima tra uovo e gallina). Non si può rispondere a questo quesito ed è proprio su questo che si basa lo studio della psico sociale.  Un po’ di storia Nel 1800, in Europa, con l’avvento del Positivismo nasce la Psicologia. In questo periodo l’uomo ha fiducia nel progresso e nella scienza, che si occupa di tutto il mondo umano e animale. Uno dei maggiori esponenti di questa corrente è Comte, fondatore della sociologia, intesa come fisica sociale. Egli fa una distinzione tra psicologia e sociologia. La psicologia sociale nasce alla fine dell’800, essa cerca di porsi tra individuo e società. Studia come l’individuo si comporta nella società. Essa si pone tra come funzionano i processi di pensiero degli individui e come funzionano le società, osservando come queste influenzino l’agire dei singoli. La psicologia sociale sta tra società e individuo, di conseguenza alcune teorie prediligono di più lo studio dell’individuo come entità singola, altre lo studio della società che lo influenza.  Cosa studia? Studia gli ambienti sociali. I comportamenti che attuiamo quando siamo da soli sono il prodotto delle nostre relazioni sociali (es. siamo razzisti anche se siamo consapevoli che è brutto. Da solo lo sono, nel gruppo non mi espongo perché non socialmente accettato. Mi espongo solo con chi ha la mia stessa idea). Molti modi di pensare li sviluppiamo nelle relazioni sociali. Il fatto che noi sappiamo che siamo circondati da altre persone ci fa comportare in un certo modo (l’eremita che si vuole isolare lo fa perché sa che c’è un mondo sociale e si vuole isolare da esso). Siamo influenzati anche solo dal pensiero che esista una società. La psicologia sociale studia tre macroaree: 1. PERCEZIONE SOCIALE: come il nostro modo di vedere il mondo influenza le nostre relazioni sociali. Il mio comportamento cambia in base alla persona con cui mi relaziono (il gruppo è diverso dal singolo, in gruppo si agisce in base al ruolo che una persona assume al suo interno). Suddivisa in:  Percezione di sè: come vediamo noi stessi. L’idea che abbiamo di noi stessi è rappresentata in parte da come immaginiamo che gli altri ci vedano. Il contesto sociale influenza come ci vediamo e come ci comportiamo con gli altri.  Attribuzione causale: perché facciamo qualcosa? Vogliamo capire il mondo in cui viviamo perché ci tranquillizza, infatti un mondo sconosciuto è potenzialmente pericoloso. Abbiamo una naturale spinta a capire come funziona il mondo attorno a noi per essere in grado di autoconservarci. 2. INFLUENZA SOCIALE: come i nostri pensieri influenzino il nostro comportamento. Vengono presi in considerazione conformismo, persuasione, psicologia dei gruppi (cosa succede all’interno dei gruppi). 3. RELAZIONI SOCIALI: cosa succede quando interagiamo con altre persone. o Pregiudizi o Aggressività e conflitto: si prendono in esame situazioni che favoriscono comportamenti aggressivi o li inibiscono. Conflitto tra gruppi e riconciliazioni. o Relazioni positive: affettive, amicizia, amore. o Altruismo  Nascita della psicologia sociale WUNDT. La psicologia scientifica nasce a Lipsia nel 1879 grazie a Wundt, considerato il padre della psicologia sperimentale, ritenuta scientifica perché studia i soggetti isolati dagli stimoli esterni per capire i funzionamenti di base della percezione, memoria…. Il suo metodo di indagine si basava sull’introspezione. Egli viene citato nella storia della psicologia sociale perché aveva citato la psicologia dei popoli nei suoi studi. Egli pensava che la psicologia dei popoli non poteva essere studiata in laboratorio, dato che non si possono studiare le relazioni sociali in contesti artificiali. Quindi egli sosteneva una specificità di questa materia; al contrario delle scienze naturali che vogliono trovare una generalizzazione per i fenomeni, la psico sociale deve studiare i soggetti singolarmente, non può generalizzare perché ogni individuo è diverso, così come le società, i gruppi… Secondo Wundt gli assunti base della psico dei popoli devono essere: 1. L’essere umano non è separabile dalla società in cui vive. Per studiarlo dobbiamo studiare anche il contesto in cui vive (così come dice Lewin con la teoria del campo). Dobbiamo studiarlo in contesti naturali, di vita reale. 2. Deve adottare una prospettiva storica: Il comportamento degli esseri umani deve essere contestualizzato in base al momento storico in cui vivono. Riassunto: o Considera il mondo sociale come precedente all’individuo e quest’ultimo è un prodotto della società; o Studia 1)i sistemi di ruoli, ovvero modelli di comportamento presenti nella cultura che l’individuo può imitare, quindi osservando i modelli sociali capisco come comportarmi; 2)i significati simbolici condivisi, ovvero i valori presenti in una cultura che spiegano come comportarmi in det contesti; o Predilige uno studio in situa naturali (di vita reale, es. studio sul campo) e di tipo osservativo e non sperimentale, perché il contesto è fondamentale per spiegare det comportamenti. 2. McDougall: fondatore di psicologia sociale a orientamento psicologico. Egli era un medico. Fonda la sua psicologia sociale sul concetto di ISTINTO. Utilizza la teoria dell’evoluzione di Darwin per spiegare aspetti della vita sociale, infatti ritiene che alla base dei comportamenti degli esseri umani ci siano gli istinti. Per capire come funziona la soc dobbiamo studiare la psicologia individuale, ricercando gli istinti che spieghino i nostri comportamenti sociali. Questa teoria evidenzia la visione estremamente individuale della società. A seconda della composizione del gruppo avremo dei risultati differenti, ma le cause di un comportamento sono da ricercare nella dimensione individuale. Il concetto di istinto è stato rapidamente abbandonato, preferendo il concetto di ATTEGGIAMENTO, ovvero una spinta appresa, poiché si è stabilito che non nasciamo con atteggiamenti innati nei confronti delle persone, ma li apprendiamo con lo sviluppo. È un concetto che nasce negli anni 30 col comportamentismo, dove l’apprendimento è alla base degli schemi mentali. In base ai rinforzi che riceviamo apprendiamo determinati comportamenti. La logica di questa psicologia è comunque individualista: il comportamento sociale è la somma dei comportamenti individuali. Riassunto: o Individuo pre-esistente al mondo sociale. o Studia processi psicologici individuali e come questi siano modificati dalle situa sociali. o Predilige studi di tipo sperimentale. o Psico individualista e sperimentalista.  Sviluppo psicologia sociale Nasce in Europa e si sviluppa negli USA ad inizio 900 Principali paradigmi: a. Comportamentismo (anni 10-50) b. Cognitivismo (anni 50 in avanti) c. Costruzionismo sociale (anni 80) In Europa si sviluppano filoni teorici originali dagli anni 60: 1. Moscovici 2. Tajfel  COMPORTAMENTISMO Psicologia obiettiva basata sull’osservazione del comportamento, per essere oggettivi e scientifici. Critica l’introspezione (=faccio vedere uno stimolo e chiedo cosa succede nella loro testa) di Wundt, poiché era considerato un metodo non scientifico. All’introspezione contrappongono il metodo stimolo-risposta, i mattoncini del comportamento. Trovando i singoli mattoncini posso spiegare comportamenti più complessi, ovvero le abitudini e i complessi di abitudini. Riassunto: o Impostazione periferalista (guardo quello che succede fuori dalla testa), atomistica (spiego il tutto partendo dalle singole parti), evoluzionista (ciò che premia viene mantenuto nel comportamento, ciò che non premia no. I comportamenti che mettiamo in atto sono quelli associati a rinforzi positivi, ma a livello individuale, non collettivo) Pavlov (cani che salivano) e Skinner (gabbia con i topi) non studiano comportamenti complessi degli esseri umani, quindi la psico comportamentista parte in difficoltà nell’ambito della psico sociale. Perciò negli anni 30 la psico sociale infrange alcuni dogmi del comportamentismo:  Tenta di allargare il concetto di stimolo : teoria della frustrazione-aggressività, che presuppone che l’aggressività si la risposta alla frustrazione, che però è uno stimolo intrapsichico, ovvero non posso osservarlo al di fuori dell’individuo.  Modifica il concetto di apprendimento : teoria apprendimento sociale. Secondo il comportamentismo la nostra testa si riempie di associazioni stimolo-risposta tramite l’apprendimento. Le apprendiamo tramite il rinforzo (campanello-cibo). La psico sociale invece dice che l’apprendimento avviene non solo tramite il rinforzo diretto, ma può avvenire anche grazie ad un rinforzo vicario, imparo osservando cosa fanno gli altri, utilizzo gli altri come fonte di apprendimento.  Si afferma il concetto di atteggiamento come stimolo che innesca il comportamento : costruito sulla base dell’esperienza mia o di altri. Logica meccanicistica= pregiudizio negativo scatena un atteggiamento negativo. Però non posso vedere né misurare l’atteggiamento, quindi il comportamentismo non dovrebbe proprio considerarlo come unità di misura. Limiti comportamentismo: o Studia unità di comportamento troppo piccole, le associazioni stimolo-risposta non riescono a spiegare comportamenti complessi. o Considera gli essere umani come animali qualunque, quando questi sono molto diversi dagli altri animali ( linguaggio, modo di pensare differente). o Concezione dell’essere umano eccessivamente passiva ( stimolo-risposta). Gli esseri umani sono in grado di agire anche senza uno stimolo. o Non riconosce che l’essere umano è consapevole di buona parte delle sue risposte comportamentali (voglio picchiare qualcuno ma non lo faccio perché conosco le conseguenze sociali di questa azione). Il comportamentismo, quindi, va in crisi.  KURT LEWIN E CRITICA COMPORTAMENTISMO Kurt è tedesco, si forma a Berlino con la Gestalt, che utilizza come metodo di indagine l’introspezione e la sua logica dice che cerchiamo delle conformazioni nella realtà che sono già presenti nella nostra testa. Egli è ebreo e socialista, quindi va negli USA, dove ci sono tanti soldi e pochi studiosi. Qui svolge vari studi fondando un centro di studio per le dinamiche di gruppo. Muore giovane, ma molti studiosi negli anni 60 si sono schierati dalla sua parte a livello ideologico. Critica al metodo del comportamentismo: non coglie la realtà degli esseri umani. Critica la sua concezione meccanicistica che deriva dal mondo della scienza (causa-effetto). È una logica riduzionistica. Il meccanicismo si porta dietro la logica della visione del mondo comportamentista, che dice che si possono trovare leggi universali che possano spiegare tutti i fenomeni della realtà. Il meccanicismo in psicologia si osserva bene nel comportamentismo: fatti osservabili, causa-effetto. Inoltre l’esclusione di questo metodo della soggettività vuol dire snaturare l’essere umano. Lewin sostiene un punto di vista fenomenologico e presuppone che l’essere umano sia attivo nei confronti del mondo. La Gestal si concentra invece sullo studio della percezione, sull’attività dell’essere umano della ricerca di stimoli. Lewin tiene conto anche delle attività pratiche delle persone, vado a cercare qualcosa che per me ha già un significato. Oltre ad attività percettive ci sono anche quelle comportamentali, non siamo passivi (stimolo- risposta), ma interagiamo con l’ambiente concretamente per cercare di modificarlo e per adattarci socialmente. L’essere umano non può essere quindi separato dal contesto in cui si trova. Siamo il prodotto di tutto quello che succede attorno a noi. Quindi per studiare l’essere umano non posso studiarlo in laboratorio, ma devo farlo in un ambiente naturale. La persona è quindi attiva, immagazzina stimoli, ma è anche spinta da motivazioni (importanza dei fattori motivazionali) ed è situata in un contesto che la influenza. La psicologia deve stare nel mezzo tra ambiente sociale e individuo. L’azione è un modo per interagire con l’ambiente. L’individuo è il relazione dinamica con l’ambiente, i cambiamenti che egli opera sull’ambiente modificano l’ambiente e di conseguenza l’ambiente cambia l’individuo. La psicologia deve occuparsi di cose reali: problemi concreti per le persone, quindi applicata; Teorie di campo: metafora per ricordarci la complessità degli esseri umani. Fa riferimento alla fisica (Maxwell) e ai campi elettromagnetici. Con la teoria del campo ci vuole far capire che la cosa importante sono le relazioni che si instaurano fra gli elementi e sull’interazionismo simbolico. Nasce ufficialmente negli anni 60 con la pubblicazione di un libro, La realtà come costruzione sociale di Berger e Luckmann. Gli danno questo titolo perché possiamo sintetizzare la base del costruzionismo come: la realtà rilevante in cui si muovono gli esseri umani non è oggettiva, fisica, uguale per tutti, ma è un prodotto di una costruzione linguistica che negli scambi comunicativi si rinegozia costantemente. È una costruzione sociale condivisa e in continuo mutamento. La nostra realtà è diversa dalla realtà di un altro popolo o di un’altra epoca. Questa teoria nasce in ambito sociologico e si diffonde all’interno della psicologia negli anni 80 (Gergen, Burr). Riassunto in psicologia : o Anti-essenzialismo: rifiuto dell’idea che nelle persone esista qualche essenza stabile, che sia innata o appresa. Dobbiamo trovare le spiegazione del comportamento umano in base alle situa in cui si trovano volta per volta. o Anti-realismo: la nostra conoscenza del mondo non può essere considerata oggettiva, dobbiamo studiare come la realtà viene percepita in modo soggettivo da ognuno di noi. Sviluppiamo una conoscenza del mondo relativa al contesto in cui ci troviamo a prescindere dal suo significato oggettivo ( so che mi devo sedere al banco e non alla cattedra per esperienza, anche se la cattedra è oggettivante più comoda). La conoscenza rilevante è soggettiva e condivisa. o Specificità culturale e storica: le forme di sapere sono relative a una determinata cultura e a un determinato momento storico, non esistono conoscenze vere e valide per sempre e ovunque. o Linguaggio precede il pensiero: alla base della psicologia discorsiva, forma di psico sociale che si sviluppa in Gran Bretagna. Solitamente il linguaggio è visto come un output, prima penso poi comunico. In questo caso invece, il linguaggio viene inteso come la base del pensiero stesso. Il linguaggio è sia qualcosa che produco per comunicare, ma anche il modo in cui costruiamo le nostre convinzioni sul mondo. o Linguaggio è considerato una forma di azione sociale: non è neutro, non lo uso solo per dare un’informazione, ma anche per trasmettere qualcosa, ha una valenza pragmatica , di azione. o Focus sull’interazione sociale o Focus sui processi: spiega i fenomeni come processi piuttosto che in base alla presenza o assenza di caratteristiche o condizioni. Il linguaggio diventa oggetto di studio privilegiato del costruzionismo, studia il linguaggio prodotto in situazioni reali, quindi interessanti per la psico per capire come funzionano le situazioni di vita reale. Se nel cognitivismo si tende alla generalizzazione delle leggi, il costruzionismo tende alla specificità, a considerare ogni situa come un caso a sè stante. Quella cosa ha senso solo in quella situa lì.  Cronologia riassuntiva Orientamento psicologico Orientamento sociologico 1908 Introduction to social psychology McDougall 1908 Social psychology Ross 1913 comportamentismo 1934 interazionismo simbolico Mead Lewin anni 40 Lewin anni 40 Cognitivismo anni 60 1961 Teorie delle rappresentazioni sociali Moscovici Anni 60 Costruzionismo sociale Social cognition anni 80 GLI ATTEGGIAMENTI I sociologi Thomas e Znaniecky 1918, primi autori a parlare di atteggiamento con un esperimento sui contadini polacchi s’che si trasferivano negli USA, studiando come cambiava il loro atteggiamento. Il concetto di atteggiamento si può accostare a quello di stereotipo e pregiudizio, perché il fatto che alcune teorie parlino di uno o degli latri termini sopra citati dipende in quella momento storico e contesto sono stati utilizzati e anche dalla connotazione negativa o non deliberatamente negativo. L’atteggiamento non presuppone che sia negativo a priori, può essere anche positivo. L’atteggiamento è un processo di conoscenza sociale che determinano l’azione. Comportamentismo: Allport (1935) dice che l’atteggiamento è uno stato mentale neurologico di prontezza, organizzato attraverso l’esperienza, cioè frutto di apprendimento, non innato, e che esercita un’influenza diretta o dinamica sulla risposta dell’individuo nei confronti di ogni oggetto o situa con cui entra in contatto. Utilizzano delle scale di misura per studiare l’atteggiamento. Non è direttamente osservabile, ma inferibile sulla base della risposta. Cognitivismo: Rosenber e Hovland (1960). Modello tripartito: gli atteggiamenti sono un costrutto psicologico formato da 3 componenti: 1. Cognitiva: info e credenze verso un oggetto, rappresentazione che ho dell’oggetto 2. Affettiva: reazione emotiva verso l’oggetto, non è neutra. 3. Comportamentale: azioni di avvicinamento o allontanamento dall’oggetto Social cognition (anni 80): definisce l’atteggiamento come struttura cognitiva costituita dall’associazione in memoria tra la rappresentazione e la valutazione di un oggetto. Atteggiamento forte= nella nostra testa c’è uno schema dell’oggetto a cui associo quell’oggetto, un reticolo. Le cose più vicine fra loro nel reticolo sono collegate e vengono subito alla mente. Avere un atteggiamento vuol dire che la distanza tra l’oggetto e la valutazione che gli diamo è molto breve. Se fossero distanti non avrei quell’atteggiamento. Esso è caratterizzato da:  Disponibilità: associazione immagazzinata nella MLT. Ho un atteggiamento solo se ad un oggetto ho associato un det giudizio  Accessibilità: tempo e sforzo richiesti per il recupero di tale strutturo. Un atteggiamento è forte nel momento in cui quando ripesco nella memoria la struttura associata all’oggetto mi porto dietro anche il giudizio. (studi del priming semantico= velocità di associazione tra parole di senso compiuto e giudizio negativo)  A cosa servono gli atteggiamenti Essi si formano per soddisfare bisogni psicologici diversi. I processi mentali che facciamo hanno sempre un’utilità specifica, non sono casuali. Perchè abbiamo dei giudizi a priori? 1. Funzione conoscitiva: avere dei giudizi sulla realtà ci permette di prevedere il nostro mondo sociale. Abbiamo atteggiamenti solo sulle cose importanti e li sviluppiamo tramite le esperienze che facciamo di det cose. Sviluppiamo conoscenze più stabili in memoria di oggetti di cui facciamo esperienza più soventemente ( più facile avere atteggiamenti riguardo ai francesi, perché più vicini, che atteggiamenti sugli indiani, più lontani. Abbiamo un’idea degli indiani e la associamo ad un comportamento da attuare, ma ne facciamo meno esperienza) 2. Funzione ego-difensiva: proietto sugli altri parti di me che non mi piacciono. Ho un atteggiamento negativo su altri gruppi sociali per giustificare parti del mio gruppo che non mi piacciono. Bisogno legato all’immagine di se stessi e non legato alla necessità di conoscere il mondo. 3. Funzione di espressione dei valori: sopra agli atteggiamenti ci sono delle prese di posizione ideologiche. Se per identificare me stesso mi identifico come ambientalista, per esprimere il mio valor meta, devo essere coerente attraverso i miei atteggiamenti verso l’ambiente, per non entrare in conflitto con il mio sistema valoriale al di sopra dei miei atteggiamenti. 4. Adattamento sociale: voglio entrare in un gruppo sociale, quindi devo adattarmi ai loro atteggiamenti per essere accetti, facendo mio questo atteggiamento, che non ho costruito sulla base delle mie esperienze perché pensavo che fosse giusto pensarla così, ma il gruppo sociale in cui voglio entrare esprime degli atteggiamenti e io li accolgo come miei per farmi accettare. L’atteggiamento si apprende socialmente, il mio mondo sociale mi dice che è giusto o sbagliato avere questo atteggiamento sociale nei confronti di qualcuno qualcosa.  Relazione tra atteggiamento e comportamento I comportamentisti studiano il comportamento per prevedere il comportamento umano, pensando che questo sia sempre uguale nel tempo. Questa relazione tra atteggiamento e comportamento non viene riscontrata a livello empirico. La ricerca di La Piere (1934) lo dimostra: fa un viaggio negli USA in compagnia di una coppia di cinesi volendo osservare se ci fosse discriminazione nei loro confronti. A livello comportamentale riscontra pochissima discriminazione nei confronti dei cinesi. Sei mesi dopo spedisce un questionario a tutti gli esercenti da cui era andato con i cinesi scoprendo che i questionari compilati mostravano atteggiamenti negativi nei loro 3. Sottolinea il ruolo dell’azione: fa vedere come i comportamenti possano essere la base dei pensieri. Mi comporto in un certo modo ragionando su cosa ho fatto sviluppando delle idee. Alcuni comportamenti che metto in atto vanno ad influenzare la mia visione del mondo.  Teoria dell’auto-percezione Parte dal presupposto che egli esseri umani tendono ad osservare loro stessi, a ragionare sulle loro azioni. Noi impariamo come siamo fatti ragionando su come ci comportiamo e costruiamo l’idea di come siamo fatti sulla base dei nostri comportamenti. Accade soprattutto quando i nostri atteggiamenti sono deboli. Se ho un’idea chiara e solida di me stesso, sarà difficile smentire quest’idea che ho di me. Questo meccanismo viene messo in atto anche per scoprire quali emozioni proviamo in base a come ci comportiamo in determinata situa. Legata a questa teoria c’è una tecnica di marketing molto utilizzata: “piede nella porta”. Faccio una richiesta poco impegnativa per poi chiedere qualcosa di collegato alla prima richiesta ma più impegnativo in modo che il cliente si senta obbligato ad accettare anche la secondo richiesta per non risultare incoerente. Teoria dell’auto-percezione e dissonanza cognitiva non sono la stessa cosa ma sono strettamente collegate.  Rappresentazioni sociali Definite da Moscovici nel 1961 collegandosi alle rappresentazioni collettive di cui parla Durkheim alla fine del 19 secolo. Lui studi come la psicoanalisi viene raccontata dai media e definisce al concetto di rappresentazioni sociali. Rappresentazione collettiva= prodotti culturali come la religione, la morale, scienza. Prodotti macro-culturali condivisi in una società. Devono essere distinte dalle rappr individuali che sono invece l’oggetto della psicologia. Essa hanno una funzione stabilizzatrice, sono dei riferimenti comuni che permetto he una società sia stabile. Rappresentazioni sociali= sono teorie condivise che cercano di rappresentare concretamente delle idee astratte. Sono conoscenze che si collegano alla vita concreta, quindi alle mie relazioni sociali e al mio comportamento. A differenza delle rappresentazioni collettive, le rappresentazioni sociali non hanno funzione unificatrice, non sono stabili, ma sono qualcosa di dinamico, cambiano in continuazione e possono formarsi con facilità in base a cos’ha rilevanza nella nostra vita in quel momento. Esse sono il prodotto di un gruppo sociale, ovvero un insieme di persone che condivide un canale di comunicazione. All’interno di un ambiente soc ci si scambia info rilevanti per la vita collettiva e costruiamo rappresentazioni sociali. Lez.3 22/02 PERCEZIONE SOCIALE Percezione sociale: processo per cui noi cerchiamo di elaborare info che troviamo nel nostro contesto soc per capire comportamento degli altri e prevederlo. Serve per formare una rappresentazione cognitiva, che non è oggettiva, ma la realtà è legata a come noi la percepiamo e interpretiamo. Uno dei processi principali è la formazione delle impressioni, di cui si fa esperienza direttamente= processo con cui si integrano le info una persona per fare un giudizio globale su di essa. È un processo automatico, che ci fa risparmiare energia cognitiva, ma allo stesso tempo ci fa cadere in errore alle volte. C’è un ruolo chiave nel contesto in cui ci troviamo. Ci sono aspetti più salienti:  Linguaggio non verbale  Emozioni che si manifestano (emozioni primarie vengono riconosciute in contesti diversi perché comuni a tutti gli esseri imani)  Attraenza  aspetto fisico Due modelli teorici su come si formino le impressioni: 1. Asch: modello configurazionale, dice che ci creiamo delle impressioni in base alle caratteristiche più importanti di una persona. Ci sono caratteristiche predominanti. Es. una persona calorosa è ritenuta anche socievole. Non conta solo l’importanza dei tratti ma anche l’ordine con cui li riceviamo= effetto primacy e recency, notiamo di più le prime e le ultime caratteristiche che notiamo in una persona. 2. Anderson: modello algebrico, l’impressione che formiamo su una persona è una somma di tratti positivi e negativi. Es. conosco qualcuno che è intelligente , ma anche freddo. Avrò un’impressione più negativa di una meno intelligente ma più calorosa. È comunque una valutazione soggettiva, diversa per ognuno di noi.  Teoria implicita di personalità Tendiamo a pensare che i tratti positivi siano legati fra loro, così come quelli negativi. Quindi tendiamo a formarci delle impressioni generali su una persona a partire da un singolo tratto. Es. persona generosa ritenuta anche socievole e aperta/ persona chiusa ritenuta non generosa. Formiamo sugli latri delle teorie implicite di personalità basandoci sul fatto che i tratti positivi siano tra loro correlati così come quelli negativi.  Meccanismo cognitivi automatici 1. Schemi: strutture di dati mediante i quali rappresentiamo concetti nella nostra memoria. Viene attivato in rel ad un certo oggetto e ha delle caratteristiche associate. Es. dico che vado al ristorante e ti viene in mente ante cose collegate. Gli schemi hanno una parte fissa ed una variabile. La parte fissa è sempre collegata a quel det oggetto. La parte variabile cambia in base alla situazione in cui ci troviamo. Tutti noi condividiamo gli stessi schemi. Essi hanno struttura piramidale, passiamo dalla massima astrazione alla massima concretezza (dall’alto al basso). Es. da ristorante come idea a ristorante sotto casa mia a me familiare. Tutto ciò vale per tutti i tipi di schemi, anche quelli persone, di ruolo. Es. infermiere come ruolo a infermiere che conosco. Abbiamo anche degli schemi del sé, anche le info su noi stessi sono organizzati in questo modo. A cosa servono? Sono processi automatici, ci aiutano ad elaborare uno stimolo, aiutano a rappresentare la nostra conoscenza, hanno funzione inferenziale (aiutano a recuperare info), hanno funzione performativa (seleziono l’oggetto giusto in base a cosa mi serve). In quanto processi automatici ci semplificano il lavoro, a volte ci inducono in errore però. 2. Euristiche: sono strategie cognitive o scorciatoie di pensiero per emettere giudizi risparmiando energia cognitiva. Ce ne sono 4: a. Della rappresentatività: assegnare determinate caratteristiche a qualcuno in base al prototipo di una categoria. Non ci si affida a criteri azionali di probabilità, ma a elementi rappresentativi dell’elemento o della persona. b. Della disponibilità: facilità con cui ci vengono in mente certe info, più ci vengono in mente facilmente, più le usiamo come metro di giudizio. I nostri giudizi non si basano su un criterio razionale, ma su quali info ci sono di più nella nostra memoria. I dati riportati dai media sono più convincenti delle informazioni statistiche. es. vaccini covid. Questa euristica viene applicata anche noi stessi, perchè le info su sé stessi sono facilmente accessibili. c. Dell’ancoraggio e dall’accomodamento: in situa di incertezza ci si basa su un riferimento stabile, sulla base del quale compiamo degli aggiustamenti. Ci ancoriamo ad un riferimento e accomodiamo il nostro giudizio. I punti di ancoraggio sono i nostri standard personali. d. Della simulazione: ragionamento controfattuale. Utile per individuare ciò che non ha funzionato nelle proprie azioni. Implicazioni per ripercussioni emotive in caso di eventi drammatici. Es. costa concordia, le persone ripensandoci dicono che se non avessero avuto la febbre sarebbero partite a sarebbero potute morire.  La correzione illusoria Percezione di una relazione tra due elementi, in realtà inesistente «Nicholas Cage prima causa di annegamento negli USA»  L’attribuzione casuale Come ci si spiega il proprio comportamento e quello altrui? Attribuzione causale = processo psicologico utilizzato per cogliere le cause all’origine di particolari eventi, azioni, sentimenti. Ci sono 3 Modelli di Errori di attribuzione: 1. Prospettiva della psicologia ingenua (Heider): Fritz Heider (1958)prende in considerazione la necessità di studiare il senso comune. Studia l’analisi ingenua dell’azione: ogni azione conduce ad un risultato che può essere determinato da: Fattori personali (causa interna), transitori o permanenti, o fattori ambientali (causa esterna), anche questi transitori o permanenti. del sé. Più ci identifichiamo in un maggior numero di ruoli, più si ha una sensazione di benessere in termini identitari. È difficile rinunciare ad una dimensione del nostro essere se occupiamo pochi ruoli. Es. è difficile smettere di essere un prof. se nella vita faccio solo questo. 5. Identità sociale : i gruppi e le nostre appartenenze categoriali contribuiscono a descrivere la nostra identità. L’identità sociale deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo. 6. Confronto sociale : facciamo riferimento alla “Teoria del confronto sociale” di Festinger (1954). Da un lato abbiamo la necessità di poterci auto valutare, ma nella maggior parte dei casi non possiamo avere una valutazione oggettiva di noi stessi, quindi ci paragoniamo agli latri. Es. se non ho mai dato un esame e voglio vedere se sono preparato mi confronto con i miei compagni di corso per capire la mia preparazione. Il confronto deve essere informativo, devo confrontarmi con chi è simile a me per avere info utili su me stesso. In alcuni casi scelgo apposta di confrontarmi con persone meno preparate per ottenere una buona autostima= confronto verso il basso . 7. Cultura di appartenenza . Due tipologie: 1. Individualista: centrata sul sé indipendente, contano le caratteristiche personali. Conta la morale individuale, affermazione personale. 2. Collettivista: centrata sul sé interdipendente, contano le caratteristiche collettive. La morale è collettiva, affermazione come gruppo per uniformarsi alle regole del gruppo. Kim e Markus fanno un esperimento (scegli tra 5 matite di cui 4 verdi e una arancione). Negli USA 75% sceglie quella arancione, perché diversa (cultura individualista), mentre in Cina scelgono quasi tutti una di quelle verdi (cultura collettivista). La nostra cultura influenza anche la nostra percezione della realtà. Sempre più persone devono gestire identità culturali multiple ( persone che vivono in paesi di cui non sono originari). Pluriculturalismo: capacità di gestire appartenenze culturali diverse. Più le culture sono vicine, più è facile gestirle. Avere appartenenze culturali multiple è una ricchezza a livello del sé.  Autostima È un giudizio complessivo che abbiamo su noi stessi. Essa è in parte stabile e in parte mutevole, suscettibile da influenze esterne, soprattutto da persone con cui abbiamo forti legami affettivi. Legata alla teoria della discrepanza del sé, può risentire dello scarto che c’è fra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere o dovremmo essere.  Autoefficacia Legata alla competenza in un ambito specifico. Autostima e autoefficacia possono anche non essere correlate. Se ho poca autoefficacia in un ambito che per me non è importanza, questo non tocca la mia autostima. L’autoefficacia, quindi, contribuisce ad accrescere l amia autostima solo se va ad intaccare un ambito che per me è importante.  Consapevolezza di sé Stato psicologico caratterizzato dall’aver coscienza delle proprie caratteristiche, sentimenti. Di solito emerge tra i 18 e 24v mesi di vita. Per capire se i bambini hanno raggiunto la consapevolezza di sé si mettono a allo specchio e gli si disegna un puntino in fronte, se ha consapevolezza di sé si toccherà la fronte, altrimenti toccherà lo specchio. Suddivisa in privata: aspetti più intimi del sé, riferita alle caratteristiche più personali, pubblica: modo in cui pensiamo di apparire agli altri. In certi casi pubblica e privata non coincidono ai nostri occhi.  Locus of control Caratteristica identitaria. Tendenza che abbiamo ad attribuire le cause di ciò che ci succede a cause esterne o interne. Chi ha un LOC interno sono persone che pensano di poter avere il controllo sulla propria vita. Chi ce l’ha esterna pensa che ci sia un fattore esterno che governa la vita ( dio, fortuna, caso). Non abbiamo un LOC solo interno o solo esterno, ma è una tendenza abbastanza stabile. Anche qui incide la cultura di appartenenza. Nella culture individualiste è più diffuso il LOF interno. Si può modificare nel corso della vita in seguito ad eventi drammatici che accadono nella nostra vita.  La sindrome da impotenza appresa Studiata da Selgam su dei cani. Chiude la gabbia a metà. Il pavimento è elettrificato quindi il cane prende le scosse. Il cane cerca di scappare ma la gabbia è chiusa. Dopo che il cane subiva passivamente le scosse, apriva la gabbia ma gli animali non uscivano, continuavano a subire. Da qui conia la sindrome di impotenza appresa, ovvero una sensazione di impotenza che le persone interiorizzano che sussegue una serie di eventi negativi. Ha effetti anche sul LOC. Il processo inverso è l’empowerment: cercare di attivare il LOC interno per migliorare le proprie condizioni di vita. LEZ. 6 04/03/2022  Self-serving bias Errori sistematici che compiamo quando dobbiamo attribuire le cause di un determinato comportamento. Questi bias sono però applicati a noi stessi. Questo errore è funzionale a noi stessi e consiste nella percezione di noi eccessivamente positiva. Diversi tipi: 1. stile attributivo a favore del sé: tendenza ad attribuire a se stessi i propri successi e all’esterno i propri fallimenti. È una tendenza sistematica, ma non sempre lo facciamo e non tutti lo mettiamo in atti. 2. Essere migliori della media: chiunque ritiene di essere un po’ più degli altri. È un bias tipico per innalzare la propria autostima. 3. Ottimismo irrealistico: le persone tendono a pensare che avranno più successo rispetto agli altri. È stato osservato anche il pessimismo difensivo, ovvero anticipare una serie di problemi che potrebbero insorgere in una determinata situa. È più legato a certe caratteristiche di personalità, per esempio le persone più ansiose. 4. Falso consenso: tendenza che ci induce a ritenere che le nostre opinioni siano più condivisi di quanto in realtà non siano. Lo stesso vale per i propri fallimenti, per proteggere l’opinione positiva su noi stessi e perché fare parte di una maggioranza ci rassicura. 5. Falsa unicità: tendiamo a pensare che non sono in molti ad essere bravi come noi in quello che abbiamo ottenuto. Si verifica in caso di successo. Funzionale a mantenere un’immagine positiva di noi.  Strategie di presentazioni di sé Cerchiamo di presentarci agli altri in modo positivo, ma ciò che è positivo può variare in base al contesto. (Es. adolescente che si presenta al gruppo di coetanei usa un certo tipo di linguaggio, vestiario….se l’adolescente si presenta alla cena di famiglia non usa lo stesso linguaggio o vestiario). Inoltre dobbiamo anche evitare il rischio di fallimento nel presentarci. La strategia di presentazione deve tenere conto di presentarci in modo positivo, ma anche del rischio. Le persone che hanno maggiori capacità di orientare il proprio comportamento in modo adeguato in base al contesto in cui si trovano vengono chiamati camaleonti sociali e hanno una alto livello di automonitoraggio.  AUTOSABOTAGGIO: utilizzo dei comportamento controproducente che hanno la funzione di crearci un alibi che ci spieghi un eventuale nostro insuccesso. (Es. offro un vantaggio all’avversario in uno sport per poi dire che hanno vinto per il vantaggio e non perché io sono scarso.) LA PERSUASIONE Processo che comporta la formazione o la modifica di atteggiamento mediante atti comunicativi. ci sono 2 correnti di pensiero per quanto riguarda il processo persuasivo: 1. Scuola di Yale : vede il ricevente della comunicazione come un soggetto passivo. Essa ha creato il paradigma dell’elaborazione dell’info (1970). 2. Modello della probabilità dell’info  Scuola di Yale (guarda schema su slide) Non ci sono azioni da parte del soggetto  Modello di probabilità di info: il soggetto è attivo Ci sono due vie per processare un messaggio persuasivo: 1. Via centrale: elaborano il messaggio in modo approfondito, se il messaggio viene ritenuto un buon messaggio avviene un cambiamento di atteggiamento stabile, duraturo. 2. Via periferica: le persone si basano sugli aspetti superficiali del messaggio, senza approfondire. Avviene un cambiamento di atteggiamento temporaneo. Lo usano quando hanno bisogno di risparmiare energie cognitive e quando non siamo motivati ad analizzare un det messaggio. o Interdipendenza del compito: hanno in comune un compito da svolgere. I risultati di una persona del gruppo hanno conseguenze sui risultati degli altri (squadra di calcio). Può essere positiva o negativa: positiva, successo di una persona=successo di tutto il gruppo. Negativa, in caso di competizione all’interno del gruppo, successo di una persona= insuccesso del resto del gruppo (promozione di lavoro in un’azienda). o Interdipendenza del destino: si riferisce alla condivisione di un’esperienza, “essere sulla stessa barca”. (gruppo di passeggeri di un aereo dirottato). Esempio principale è la Sindrome di Stoccolma (1973), perché si riferisce al processo per cui le vittime hanno un atteggiamento positivo dei confronti del loro carnefice.  Facilitazione, inibizione ed inerzia sociale Non è sempre necessario essere parte di un gruppo, ma basta essere in presenza di altre persone per farci cambiare comportamento provocando: facilitazione, inibizione ed inerzia.  Facilitazione: quando dobbiamo svolgere un compito facile in presenza di altre persone, la nostra prestazione migliora.  Inibizione: quando dobbiamo svolgere un compito difficile davanti ad altri la nostra prestazione peggiora. Perché? La semplice presenza degli altri induce in noi un’attivazione fisiologia. Quando un compito è facile ci piace fare una buona impressione davanti agli altri. Se è difficile subentra la paura della valutazione degli altri, ho paura di non essere in grado.  Inerzia sociale: si verifica quando i risultati del singolo non sono visibili, il contributo che il singolo apporta al gruppo non è visibile. Le persone quindi riducono il proprio impegno nello svolgere il compito. È legato alla diffusione di responsabilità, perché la responsabilità del compito si diffonde in tutto il gruppo, quindi il singolo si sente meno responsabile.  Aspetti strutturali dei gruppi SISTEMA DI STATUS. Status= posizione che una persona occupa nel gruppo, valutata secondo una scala di prestigio. Gli indicatori dello status sono: 1. Tendenza a promuovere iniziative: Più proposte= più alto status. 2. Valutazione consensuale del prestigio connesso ad un certo status 3. Comportamento verbale: chi ha alto status parla di più nel gruppo, può interrompere gli altri quando parlano, gli altri si rivolgono a lui. 4. Comportamento non verbale: sguardo verso l’alto, postura eretta, voce bassa e ferma. È possibile un cambiamento di status, ma si segue una logica posizionale (chi è appena entrato nel gruppo non sostituirà subito l’ex leader). Che funzioni assume la differenza di status in un gruppo? o Soddisfa il bisogno di ordine e prevedibilità all’interno del gruppo, rendendo più facile il raggiungimento degli obbiettivi. o Contribuisce all’autovalutazione. Lo status è correlato all’autostima. Quando le persone di basso status non si riconoscono in quella valutazione, possono decidere di lasciare il gruppo perché non coincide con la loro autovalutazione.  Come si forma un sistema di status 1. Corrente etologica. Fin dalle prime interazioni gli esseri umani si studiano cun una serie di dati percettivi per stabilire una categorizzazione preliminare. 2. Teoria dell’aspettativa di status. Sulla base di alcune caratteristiche delle persone sviluppiamo alcune aspettative sulle specifiche abilità degli altri membri in vista dell’obbiettivo comune. Prendiamo in considerazione anche caratteristiche sociodemografiche, che portano con sé una serie di stereotipi.  Ruoli nel gruppo Ruolo è un insieme di aspettative condivise sul modo in cui dovrebbe comportarsi un individuo che occupa una determinata posizione nel gruppo. Si hanno sia aspettative di tipo comportamentale, ma anche aspettative in relazione ai partners di ruolo (relazione docente allievo). Si ha una differenza fra ruoli formali ed informali. Formali: caratterizzati da aspetti prettamente formali (lavoro, scuola). possono cambiare gli stili di ruolo, esempio non tutti docenti esercitano la propria professione allo stesso modo. Informali: non definiti formalmente, tipici dei gruppi informali. Per esempio il leader, nuovo arrivato, capro espiatorio, clown, leader d’opposizione (tendenza al dissenso).  Le norme di gruppo Regole che stabiliscono cosa è accettabile e cosa non lo è all’interno del gruppo. Abbiamo a che fare anche qui con delle aspettative, ci spettiamo che i membri si comportino in un certo modo. Queste norme sono il prodotto collettivo che investe diversi ambiti: abbigliamento, gergo, comportamento al di fuori del gruppo. Diversi tipi di norme:  Esplicite: norme dette esplicitamente, tipiche di gruppi formali. Es. codici deontologici.  Implicite: norme non espresse direttamente, ma ugualmente importanti per il gruppo. Tipiche dei gruppi informali.  Centrali: riferite a questioni fondamentali per il gruppo.  Periferiche: questioni marginali su cui non si ha nessuna posizione di gruppo (zone grigie). C’è una relazione tra status e rispetto delle norme. Ci si aspetta che il leader rispetti strettamente le norme centrali, ma ha più possibilità di modificare quelle periferiche. Che funzioni hanno? o Avanzamento del gruppo: consentono al gruppo di raggiungere i propri obbiettivi. o Mantenimento del gruppo: preservano l’identità del gruppo con le sue caratteristiche. o Costruzione realtà sociale: visione della realtà costruita attraverso il confronto e il consenso. Le norme sono un punto di riferimento per gli individui. o Definizione delle relazioni con l’ambiente sociale: come ci si comporta con gli latri gruppi e con il contesto più in generale.  Modello temporale e di sviluppo dell’appartenenza a un gruppo di Moreland e Levine (1988) Con questo modello provano a teorizzare cosa succede quando le persone entrano a far parte di un gruppo, qual è la successione temporale degli eventi. 1. Fase di esplorazione : fase esplorativa sia per il soggetto che per il gruppo. Qui la persona cerca di capire se quel gruppo è giusto per lui e contemporaneamente il gruppo fa lo stesso con il singolo. 2. Entrata nel gruppo 3. Periodo di socializzazione: il nuovo arrivato cerca di imparare come funziona il gruppo. Ha uno status basso, ma ha più possibilità di sbagliare. Qui si imparano le norme esplicite, ma soprattutto quelle implicite. Questa fase può anche non andare bene e il singolo può uscire. 4. Fase di mantenimento: il nuovo arrivato diventa membro del gruppo a pieno titolo che assumerà un nuovo ruolo. Questa fase può essere molto lunga, finchè tutto funziona, sia per il singolo che per il gruppo, questa fase continua. Se invece c’è una divergenza fra gruppo e singolo si riprova una fase di socializzazione e l’esito può essere positivo o negativo. Se è positivo l’individuo ritorna ad essere membro a pieno titolo, se invece la risocializzazione non funziona si esce del gruppo. 5. Fase del ricordo: la persona esce dal gruppo e sia il singolo che il gruppo devono elaborare questa novità. LEZ. 9 15/03/2022  La leadership Il leader ricopre una posizione di alto status ed è un vero e proprio ruolo all’interno del gruppo. A chi si pensa quando si parla di leader? Che caratteristiche particolari deve avere? Il leader è la persona che può influenzare gli altri molto più di quanto egli possa essere influenzato. Il leader è colui che mostra più iniziativa nel dirigere e ha la posizione più elevata per quanto riguarda lo status. Non dobbiamo considerare il leader come persona e basta, ma bisognerebbe parlare di leadership come processo, in cui è sono coinvolti sia la situazione in cui ci si trova sia le caratteristiche del gruppo di appartenenza. Nel corso della storia però ci sono stati vari approcci teorici riguardo la leadership: 1. Teoria del grande uomo 2. Studio dei comportamento del leader 3. Modelli della contingenza 4. Modelli transazionali campo isolato, quindi non hanno contatti con l’esterno e non possono ricevere visite, inoltre il personale del campo viene sostituito dai ricercatori. L’esperimento dello studio è di 3 settimane e il metodo di osservazione è quello dell’osservazione partecipante e interviste. Fase1: proposte attività che coinvolgono tutti i ragazzi e dura una settimana. Incominciano a svilupparsi delle amicizie fra i ragazzi. Fase2: dividono i ragazzi in 2 gruppi separando le amicizie che si erano create nella prima fase. Non vengono proposte attività comuni, ma ogni gruppo svolge attività diverse. Si osserva che si creano delle gerarchie all’interno dei gruppi (processi intragruppi). Fase3: si introduce la competizione fra i due gruppi attraverso una serie di attività, come i giochi sportivi. Si osservano 3 cose: 1)aumenta la coesione all’interno del gruppo. 2)Peggiora la relazione intergruppi, aumenta l’ostilità nei confronti dell’altro gruppo. 3)Le ostilità si mantengono anche al termine delle competizioni. Fase4: introduce uno scopo sovraordinato, comune ad entrambi i gruppi, legato all’arrivo di un camioncino all’interno del campo e solo se tutti i ragazzi spingono il camioncino si potranno avere i rifornimenti. Si osserva una diminuzione delle ostilità e un aumento della cooperazione.  Teoria del conflitto realistico Sulla base del suo esperimento Sherif elabora questa teoria enunciando i seguenti punti: -I rapporti dei gruppi riflettono gli interessi dei gruppi in competizione. -Quando gli interessi dei gruppi coincidono il conflitto si riduce e la cooperazione con l’outgroup è più funzionale del conflitto. -Quando gli interessi entrano in conflitto e le risorse sono limitate i gruppi tendono a promuovere la propria causa sviluppando atteggiamenti positivi tra i membri dell’ingroup e entrando in competizione con l’outgroup.  Paradigma dei gruppi minimi “Quali sono le condizioni minime sufficienti per generare la discriminazione tra gruppi?” Esperimento di Rabie e Horwitz: è sufficiente la sola classificazione in gruppi o è necessaria l’interdipendenza del destino? Vengono reclutati 8 studenti di scuola elementare e divisi in due gruppi. Solo un gruppo riceverà in palio delle radio. Queste radio in premio creano l’esperienza di destino comune. Il compito dei bambini consiste nel valutare gli altri partecipanti. Nella condizione di interdipendenza del destino i bambini valutavano in modo migliore i membri del loro stesso gruppo rispetto agli altri. Nella condizione in cui non c’era niente in palio i bambini valutavano nello stesso modo sia i bambini del loro stesso gruppo che gli latri. Quindi la condizioni necessarie e sufficienti per generare discriminazione è l’interdipendenza del destino.  Ricerca sui gruppi minimi Tajfel si chiede se sia necessario l’interdipendenza del destino per raggiungere la discriminazione fra gruppi. Esperimento: -divisione delle persone in 2 gruppi su base arbitraria, quasi casuale. -nessuna interazione faccia a faccia tra i partecipanti -partecipanti protetti da anonimato -no legame strumentale fra i criteri di categorizzazione in gruppi e le risposte chieste ai soggetti -non c’era interesse personale nelle risposte dei soggetti, non c’è interdipendenza del destino (non avevano un premio). Procedura: si chiede ai partecipanti se preferiscono il quadro di Klee o Kandinskij e in base a questo si dividono le persone in 2 gruppi. Si chiede loro di distribuire delle risorse o alle persone del loro gruppo o alle persone dell’altro, seguendo però una matrice (per matrice guarda slide). Le strategie possibili sono: massimo profitto comune, equa distribuzione, massimo favoritismo per l’ingroup, massima differenza dell’ingroup. Tendenzialmente sono state scelte maggiormente le ultime due strategie. Egli conclude che è sufficiente classificare le persone in gruppi diversi per determinare la discriminazione intergruppi= condizioni minime. Perché le persone mettono in atto la discriminazione tra gruppi? Perché parte della nostra identità si definisce anche in base ai gruppi a cui apparteniamo, quindi abbiamo bisogno di valutare positivamente i gruppi di cui facciamo parte per avere una buona immagine di noi stessi. È un bisogno psicologico. 29/03/2022 ROLLERO  Teoria dell’identità sociale L’identità sociale è parte del concetto di sé che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale, unita la valore ed al significato emotivo associati a tale appartenenza. Questa conduce al favoritismo verso l’ingroup, perché da un lato l’appartenenza ad un gruppo definisce la nostra identità, dall’altri ciascuno di noi cerca di mantenere una visione di sé positiva e i gruppi a cui apparteniamo devono aiutarci a mantenere questa immagine positiva. Quindi per mantenere una visione positiva cerchiamo di favorire il gruppo a cui apparteniamo. Per Tajfel e Turner anche la valutazione dei gruppi è relativa poiché stabiliamo il prestigio dei gruppi a cui apparteniamo confrontando i nostri gruppi con quelli degli altri, ma distorcendo la realtà in modo da favorire il nostro gruppo, in questo modo l’ingroup è favorito rispetto all’outgroup. Tre assunti principali di questa teoria: 1. Valorizzazione dell’ingroup, trovare una specificità positiva 2. Favoritismo verso l’ingropu e discriminazione per l’outgroup 3. Percezione di omogeneità dell’outgruop, ovvero il gruppo a cui non si appartiene viene visto in modo molto più generalizzato rispetto al proprio ingroup (es. visione molto omogenea degli atri gruppi etnici)  Quando una persona si comporta come membro di un gruppo? Secondo Tajfel dobbiamo pensare che ci sia un continuum teorico in cui ad un estremo troviamo il comportamento interpersonale (legato alla nostra persona), all’altro quello intergruppi. Quando siamo sul polo interpersonale il nostro comportamento è basato sulle caratteristiche individuali degli attori in interazione. Al polo intergruppi il comportamento si basa principalmente sulle appartenenze a gruppi e a categorie sociali degli attori in interazione. Come li distinguiamo? Ci sono delle caratteristiche di contesto per distinguerli: 1. Presenza o assenza di due caratteristiche sociali chiaramente identificabili (uomini e donne, lavoratore e datore..). se l’appartenenza a uno dei due gruppi è particolarmente saliente ci si posta verso il comportamento intergruppi. 2. Grado di uniformità degli atteggiamenti e nel comportamento delle persone all’interno del gruppo. Comportamento interpersonale è vario, quello intergruppi omogeneo 3. Grado di variabilità negli atteggiamenti.  Cosa succede se un’appartenenza non garantisce un’identità sociale positiva Cosa fanno le persone in questo caso?  Mobilità sociale: le persone cambiamo gruppo se è possibile e non è un fatto socialmente biasimabile, altrimenti si distanziano da esso.  Cambiamento sociale: 1) Tentativo di cambiare il rapporto dei gruppi (movimenti per i diritti civili). 2) Cambio dei termini di confronto tra i gruppi (accantono dimensioni su cui si è perdenti e uso altri gruppi come termini di paragone). 3) Ricategorizzazione ( pensare a sé enfatizzando l’appartenenza ad altri gruppi che ci arrecano qualità più positive). PREGIUDIZIO È un atteggiamento percettivo, generalmente negativo, su un gruppo e su i suoi membri. La componente cognitiva del pregiudizio è lo stereotipo, ovvero una credenza fissa e stabile sugli attributi di un gruppo di individui. La componente comportamentale è la discriminazione, ovvero un comportamento ostile non giustificato verso un gruppo e i suoi membri.  Le forme del pregiudizio Il pregiudizio può essere diretto verso molteplici gruppi e categorie sociali, quelli più frequenti sono: pregiudizio etnico, sessismo. Il pregiudizio può variare un po’ nel corso del tempo col cambiare della mentalità della società in cui viviamo. Es. pregiudizio verso le persone siero 1. Cooperazione: (esperimento di Robbers Cave). Lavorare insieme per uno scopo comune riduce il pregiudizio e quindi il conflitto tra gruppi. Se, però, lo scopo comune non viene raggiunto il fallimento verrò attribuito all’outgroup. Inoltre la cooperazione verrà meno una volta raggiunto lo scopo. 2. Ipotesi del contatto ( Gordon Alport): il modo migliore di ridurre il pregiudizio è mettere a contatto persone di gruppi diversi, secondo alcune condizioni: o Contatto deve essere piacevole o Contatto deve essere sufficientemente prolungato, non basta un contatto spot o Il contatto deve avvenire in un ambiente favorevole alla riduzione del pregiudizio o Il contatto deve avvenire tra individui simili per status e potere L’AGGRESSIVITÀ Comportamento sociale che si riferisce a quei comportamenti volti ad infliggere sofferenze fisiche o morali a qualcuno. Si distinguo 2/3 tipi di aggressività: 1. Emozionale/Ostile: casi in cui c’è un’intensa attivazione emotiva della persona che la subisce. Avviene perché c’è una percezione di minaccia verso il proprio essere. 2. Strumentale: l’aggressività è in questo caso un mezzo per raggiungere un obbiettivo. Non c’è quindi attivazione emotiva nei confronti della vittima. 3. Ludica: tipica dei giochi e dello sport  Modelli interpretativi dell’aggressività 1. Fenomeno biologico : è un approccio etologico. I comportamenti aggressivi sono funzionali alla sopravvivenza individuale e della specie. L’aggressività è quindi innata, di conseguenza è inevitabile. “Istinti e ipotesi catartica” di Freud: all’interno di un essere umano ci sono due pulsioni Eros= pulsione di vita che mira all’autoconservazione e Thanatos=pulsione di morte, distruttiva. L’individuo deve cercare di non auto- distruggersi, quindi Freud propone il modello idraulico secondo il quale la pulsione di morte deve essere scaricata verso l’esterno. L’aggressività, anche per Freud, è innata, ma deve essere scaricata in modi consoni al nostro contesto e alla nostra sopravvivenza. 2. Risposta alle frustrazioni . Due modelli principali: 1) ipotesi frustrazione-aggressività (Dollard): la frustrazione porta sempre all’aggressività e l’aggressività è sempre conseguenza di una frustrazione. È un modello ambivalente (frustrazione ↔ aggressività). Limiti dell’ipotesi: non sempre l’aggressività si manifesta in seguito a frustrazione, come nell’aggressività strumentale. La frustrazione, inoltre, non porta sempre a comportamenti aggressivi, ma può essere accompagnata da altri tipi di reazione (pianto, fuga, apatia). Es. sindrome dell’impotenza appresa, in cui dopo una serie di eventi frustranti le persone iniziano a sentirsi impotenti, sentono di non avere più il controllo sulla situa. 2) deprivazione relativa: gli individui diventano ribelli e scontenti quando percepiscono una discrepanza tra lo standard di vita du cui godono e quello di cui credono di dover godere. 3. Processo di apprendimento sociale : l’aggressività è concepita come un comportamento appreso. 1) Teoria dell’apprendimento sociale (Bandura): partendo dall’idea di Skinner secondo la quale se un comportamento viene premiato, riceve quindi un rinforzo positivo, quell’associazione stimolo-risposta viene rafforzata, Bandura dice che se un comportamento riceve un rinforzo positivo allora viene appreso (se usare la violenza mi porta ad un det scopo, allora la userò per raggiungere il mio obbiettivo). La persona imparerà non solo attraverso l’esperienza diretta ma anche osservando gli altri. Questo avviene anche con il comportamento aggressivo. Bandura osserva il fenomeno del modellamento secondo il quale si imparano e si imitano comportamenti altrui seguiti da conseguenze positive.  Fattori influenti negli atteggiamenti aggressivi Alcuni fattori possono influenzare l’aggressività. 1. Genere: differenze ormonali tra uomini e donne, quindi gli uomini hanno maggiori quantità di testosterone che fa sì che manifestino più aggressività, soprattutto fisica. Ci sono anche differenze nella socializzazione di genere, perché fin da piccoli vengono scoraggiati atteggiamenti aggressivi molto più nelle bambine che nei bambini. 2. Uso di sostanze: c’è una correlazione tra sostanze e aggressività. Secondo la Teoria delle aspettative sull’alcol, poiché si crede che l’alcol riduca i freni inibitori, risulta più facile giustificare comportamenti inusuali se attuati sotto effetto dell’alcol. 3. Ambiente fisico: calore, affollamento 4. Influenze culturali: esempio cultura dell’onore, se qualcuno mi fa un torto davanti alla mia comunità devo farmi valere. 5. Svantaggio sociale 6. Dolore fisico 7. Mezzi di comunicazione: se si è esposti alla violenza sui media avviene una sorta di desensibilizzazione in cui se lo stimolo viene ripetuto molte volte la risposta emotiva finisce per estinguersi. Un’altra ipotesi è quella catartica, ovvero si scarica la violenza attraverso i media e i videogiochi.  Disimpegno morale (guardare slides) Bandura studia come le persone giustifichino comportamenti aggressivi che normalmente non sono ritenuti accettabili. Giustificare questi comportamenti è un meccanismo psicologico volto a mantenere una buona immagine di sé. Ci sono vari meccanismi di disimpegno morale: 1. Giustificazione morale 2. Etichettamento eufemistico 3. Confronto vantaggioso Riduzione della responsabilità individuale: se anche altri si comportano così non è così grave 1. Diffusione della responsabilità 2. Dislocamento della responsabilità 3. 12/04/2022 ROLLERO  Processo di deindividualizzazione (Zimbardo) Zimbardo studia questo processo, definendolo come un processo che consiste in un ridotto controllo del proprio comportamento e della consapevolezza di sé. È come se le persone si concepissero meno come persone. Ci sono alcuni fattori che influenzano questo processo, come l’anonimato. Es. le forze dell’ordine che attuano violenza perché non identificate. Inoltre anche la presenza di un gruppo aumenta questo processo e di conseguenza anche la diffusione di responsabilità. Esperimento della prigione di Stanford (1971): Zimbardo lo crea per vedere se un determinato contesto e l’assegnazione delle persone a quel contesto potesse favorire la deindividulizz. Le guardie non potevano in alcun modo colpire i prigionieri, ma potevano creare il setting di paura e controllo che avrebbero avuto in una situazione reale. Soggetti: sono 24 studenti universitari, maschi, di ceto medio, testati prima dell’esperimento per verificare che non avessero patologie o disturbi, testati per droga o abuso di alcol, reclutati attraverso annunci e pagati 15 euro al giorno per la durata di 15 giorni. Procedura: assegna casualmente i soggetti al ruolo di guardia o carcerato e poi osserva il comportamento di entrambi nel contesto del carcere simulato. Zimbardo adotta una serie di misure per rendere l’esperimento il più veritiero possibili, per esempio utilizza macchine della polizia vere per andare ad arrestare i carcerati a casa loro. L’abbigliamento delle guardie era esattamente come nella realtà. L’interpretazione risultati: deindividuazione dei soggetti. Dislocazione della responsabilità nei confronti dell’autorità (guardie verso lo sperimentatore), ma anche in base al contesto (giustificano il loro comportamento per il ruolo che interpretano). ALTRUISMO Azione che si compie a vantaggio di qualcun altro ma senza aspettarsi nulla in cambio. Però un’azione tesa a produrre il benessere dell’altro non è sempre chiara e univoca rispetto a come viene interpretata dai soggetti coinvolti. Per questo la psicologia divivde l’altruismo in:  Altruismo egoistico: parte da un’azione egoista che poi porta a conseguenza favorevoli agli latri  Altruismo altruistico: l’azione nasce con lo scopo di favorire solo gli altri e non se stessi  Prospettiva evoluzionistica 1. SOMIGLIANZA: più la persona in cerca d’aiuto ci somiglia, più siamo disposti ad aiutare. 2. Appartenenza al proprio gruppo: intervengono dinamiche outgroup/ingroup 3. Attraenza: le persone sono più portate ad aiutare le persone che sono più attraenti. 4. Responsabilità percepita: intra in gioco l’ipotesi del mondo giusto. Valuto quanto quella persona si meriti il mio aiuto o no in base a quanta responsabilità abbia per essere in quella det situazione 25/03/2022 LORIGINE SOCIALE DEL SÈ (libro il ballo delle identità) JAMES. Fin dalle origini della psicologia ci sono autori, come James che mette in relazione il sé con il mondo sociale sostengono che l’idea che abbiamo di noi stessi esiste sia nel nostro intimo sia quando vogliamo mostrarci agli altri. Quest’idea è però frutto anche del contesto in cui l’individuo si trova. James distingue l’io= soggetto di cognizione e percezione, caratterizzato da continuità(ci riconosciamo come le stesse persone sia nel passato che nel futuro), distinzione(ci distinguiamo dal mondo esterno) e volontà(siamo esseri con libero arbitrio); il me= sguardo del soggetto su se stesso considerato come un oggetto, è lo sguardo che noi abbiamo su noi stessi e ci costruiamo un’idea su noi stessi. Il me si divide in:  Materiale: insieme di conoscenze relative al corpo, agli oggetti che appartengono all’individuo e alle relazioni che lo riguardano.  Sociale: concezione di come gli latri ci considerano. COOLEY. L’idea del me sociale viene portata avanti da Cooley con la teoria dello specchio. Noi ci poniamo delle domande sul mondo, ma come facciamo a guardare noi stessi? Usiamo uno specchio, abbiamo quindi bisogno di uno “specchio”, abbiamo bisogno di un parere esterno. Egli trasferisce questa metafora anche sul nostro carattere, usiamo le persone come se fossero degli specchi (per capire se sono simpatico vedo come si comportano gli latri con me). MEAD. Negli anni venti del 900 elabora una concezione dello sviluppo del sé, quindi della fase infantile. Secondo lui la percezione di sé si sviluppa quando impariamo a manipolare i simboli (linguaggio) e dalle interazioni con il mondo sociale. Questo avviene principalmente attraverso il gioco simbolico ( il bambino imita delle figure che ha attorno). Egli suddivide il gioco simbolico in 2 fasi: 1. Gioco semplice: il bambino riconosce che intorno a sé ci sono ruoli differenti, distingue dei ruoli sociali, e li mette in atto attraverso il gioco. 2. Gioco organizzato: il bambino mette in atto scene più complesse combinando ruoli diversi, imparandone le connessioni. In questa fase avviene l’interiorizzazione dell’altro generalizzato, cioè l’insieme delle regole e dei ruoli tipici della società in cui vive. L’idea che Mead inserisce nella riflessione del sé è che alla base dell’idea del sé ci sia l’osservazione, il riconoscimento e la distinzione degli latri ruoli sociali.  Teoria dell’apprendimento sociale Nasce nel periodo del comportamentismo negli anni 40 per sostenere che l’apprendimento non avviene solo tramite l’esperienza diretta (stimolo-risposta). Bandura (anni 70-80) sostiene che gli esseri umani imparino anche tramite l’apprendimento vicario: osservo qualcuno e imparo attraverso i suoi errori, ma anche dalla comunicazione. Egli collega questa teoria con il concetto di self efficacy (autoefficacia)=idea di sé stessi riguardo la capacità di fare qualcosa in un determinato ambito. L’autoefficacia è frutto di apprendimento continuo sulla base di:  Esperienza diretta (successi/insuccessi).  Esperienza vicaria, ovvero osservazione e confronto con le prestazione degli altri.  Persuasione verbale: gli latri forniscono info che contribuiscono a strutturare la nostra capacità di fare o meno qualcosa (prendo 23, però i miei amici dicono che sono stato sfortunato quindi è un buon voto) I risultati successivi sono influenzati dalle profezie che si auto-avverano, se mi convinco che non sono bravo a fare qualcosa, avrò scarsi risultati perché non ho a motivazione per affrontare quella determinata cosa. Una parte delle idee che abbiamo di noi stessi deriva dalle osservazioni sugli latri e l’altra parte deriva da quello che ci dicono gli latri. Non tutte le idee derivano dalla società e crescendo le nostre idee su noi stessi diventano sempre più solide.  Teoria del confronto sociale Festinger ricorda come tante idee che abbiamo di noi stessi le costruiamo col confronto con gli latri. In assenza di un metro di misura, per valutare noi stessi, confrontiamo le nostre abilità con quelle degli altri. Tajfel definisce l’identità sociale=parte dell’identità che deriva dalla consapevolezza di appartenere a determinati gruppi sociali che hanno un significato emotivo per gli individui.  Il sé come rappresentazione Il sé può essere definito come rappresentazione che può cambiare in base ai contesti sociali in cui ci troviamo; è quindi mutevole. Le situa in cui ci troviamo ci suggeriscono quali scelte compiere e queste scelte possono essere strategiche, cioè finalizzate a raggiungere un determinato obbiettivo. Goffman (1959) parla della metafora della rappresentazione teatrale, l’identità e messa in scena. Per lui noi siamo come un attore che in scena su palcoscenici differenti, corrispondenti alle varie situa sociali. Noi impariamo a comportarci un determinato modo in base alla situa sociale in cui ci troviamo. Come impariamo a fare ciò? Lo impariamo grazie alla cultura in cui viviamo, che ci offre delle possibilità all’interno delle quali in cui noi agiamo in modo quasi predefinito. Le scelte che attuiamo sono per la maggior parte strategiche per suscitare una determinata impressione nelle persone che abbiamo intorno a noi.  Teoria del sé dialogico Hermans utilizza la metafora della narrazione letteraria per descrivere l’identità di sé collegandosi alle teorie della scuola russa di Bachtin. Egli definisce polifonia lo stile letterario attraverso il quale l’autore, utilizzando vari personaggi, organizza l’interno del romanzo con più voci per far emergere un disegno comune generale. Allo stesso modo il sé emerge in una data situazione tramite una serie di dialoghi che avvengono idealmente nella nostra testa. Il sé, detto polifonico, è quindi il frutto di un’auto narrazione che avviene dentro di noi i cui protagonisti sono le varie possibilità di sé che derivano dalla realtà esterna. Il sé necessita di un riconoscimento da parte dell’altro per poter affermare la propria esistenza e solo con il dialogo con l’altro che delucida la sua posizione. Almeno in parte, però, la rappresentazione di sé è consapevole e motivata. L’impression management è il processo per il quale gli individui provano a controllare l’impressione che hanno sugli altri. È motivato da alcuni fattori: o Narcisistici: per mantenere un’immagine positiva di se stessi o Per cercare di promuovere una determinata impressione di sé negli latri e suscitare un determinato comportamento.  Relazione tra identità e mondo sociale Il mondo sociale ci dà info e modelli che servono per definire noi stessi. Gli altri sono dei modelli che noi imitiamo e impariamo da loro, perché ci piacciono, o ci distanziamo da loro, perché non ci piacciono. Gli altri sono anche metri di paragone, ovvero per valutare noi stessi ci paragoniamo agli altri. La definizione di identità si muove tra due coppie di tendenza contrapposte: 1. Definire sé stessi in termini individuali piuttosto che sociali (in alcuni ambienti ci descriviamo con termini più individuali, in altri con termini più sociali). 2. Definire sé stessi come unici e differenti da tutti oppure simili ad altri individui, cioè ci definiamo distanziandoci o assimilandoci ad altre persone. Dove ci collochiamo tra questi due assi dipende in parte da fattori di cui non siamo consapevoli, in parte da scelte strategiche per raggiungere i nostri obbiettivi. Il mondo sociale, così come quello culturale, influiscono sulle dinamiche identitarie, pertanto, i cambiamenti che avvengono in esso, hanno dei riflessi sulla costruzione dell’immagine di noi stessi.  Età moderna Con epoca moderna si intende il periodo che inizia con l’umanesimo e si protrae fino al ventesimo secolo. È un periodo in cui l’Europa conosce uno sviluppo impressionante dal punto di vista culturale, politico ed economico diventando egemone a livello planetario. Perché si tende ad raggruppare questi 500 anni? Ci sono caratteristiche che accomunano questi anni:  La scienza si dà un metodo e produce un avanzamento tecnologico sempre più rapido  Gli stati si consolidano e acquistano possedimenti oltremare sempre più vasti  L’economia, tramite il commercio e poi con l’industria, assume un ruolo importante  È un periodo di grande ottimismo, il pensiero moderno si caratterizza per la fiducia nelle possibilità dell’uomo e della ragione, che nel campo della scienza si è tradotta nel positivismo. 1. Accettazione: ci si uniforma per un genuino convincimento. Mi convinco che effettivamente se tutti pensano in un modo allora hanno ragione, sono realmente convinto di cambiare idea. 2. Accondiscendenza: ci si uniforma pubblicamente, ma non si cambia realmente idea. È solo apparente per uniformarmi alla massa. 3. Obbedienza: ci si uniforma perché si riconosce un sistema gerarchico dove a capo c’è l’autorità che ci dà un comando. È possibile che comunque non si cambi la propria opinione. Nell’atto pratico il risultato di questi tre è lo stesso, ma solo all’apparenza, perché solo nel primo caso si cambia realmente idea.  Forza della maggioranza Gli studi sul conformismo e sulla forza della maggioranza vengono attribuiti principalmente a Sherif e Asch. Pensano che tendenzialmente la maggioranza sia più forte dell’individuo nell’ambito dell’influenza sociale. Ci soo due studi orincipali sull’influenza sociale, uno di Sherif e uno di Asch. Sherif. (1935). Egli si chiede quali siano i meccanismi che in situa ambigue portano alla formazione di norme che orientino il comportamento dei membri di un gruppo. Un feomeno classico dei gruppi è che i gruppi si danno delle norme su come agire per uniformare il comportamento dei menìbri del gruppo. Sherif vuole studiare come si formano queste norme. Per studiare questo fenomeno viene creato l’esperimento sull’effetto autocinetico, dove l’effetto autocinetico in realtà non c’entra niente con quello che voleva dimostrare: o i partecipanti si trovano in una sala oscura senza alcun punto di riferimento e viene detto loro che stanno partecipando ad uno studio sulla percezione o devono valutare il movimento apparente di un punto luminoso proiettato su uno schermo bianco. Ad ogni prova devono stimare di quanti cm si muove il punto luminoso. In realtà il punto non si muove, l’effetto autocinetico è in realtà un’illusione ottica, perché quando si fissa un punto luminoso al buio questo sembra muoversi. Sherif vuole osservare come le persone si creino una norma riguardo all’osservazione del punto. o Sono presenti 3 condizioni sperimentali: 1. L’individuo è da solo, cioè gli individui fanno l’esperimento da soli 2. L’individuo è prima da solo poi si sposta in un gruppo di 3 persone 3. L’individuo è prima in gruppo poi si trova da solo Risultati: Condizione 1: l’individuo di fronte a uno stimolo instabile e non strutturato (l’individuo non l’ha mai fatto prima e non ha nessun riferimento) fissa un campo di variazione e una norma specifica. Dopo un po’ decide di quanto si sia messo il punto, si costruisce una norma e mantiene quella tutte le volte che l’esperimento si ripete. Condizione 2: gli individui prima fissano delle norme individuali. Quando sono in gruppo i campi di variazione che gli individui hanno fissato individualmente tendono a convergere. C’è una spinta verso il conformismo, anche senza dirselo esplicitamente le persone tendono a convergere ad una posizione intermedia, verso una norma comune che è un punto centrale tra le 3 norme individuali. Condizione 3: gli individui stabiliscono un campo di variazione del giudizio e una norma specifici per il proprio gruppo. L’effetto della norma di gruppo persiste anche nella situazione individuale. Sherif osserva quindi che nei gruppi ci sia una tendenza al conformismo, siamo influenzati dalle opinioni altrui e tendiamo a seguire la massa. Di conseguenza egli conclude che le norme di gruppo siano più forti delle norme individuali. Le norme che costruisco da solo, quando sono in gruppo, e rinegozio perché sotto la pressione della massa, mentre le norme costruite in gruppo non vengono rinegoziate quando siamo da soli, ma sono mantenute. Nei gruppi c’è quindi una pressione verso il conformismo, che può essere interpretata come una condizione per rimanere unito. La tendenza al conformismo viene considerata naturale per l’essere umano, nella visione di Sherif. Limiti: Sherif dimostra la tendenza a convergere verso un punto medio riguardo un argomento che non mette in gioco nostre credenze già presenti in noi, inoltre le norme si sviluppano in un gruppo in un lungo periodo di tempo. Quindi la tendenza la conformismo c’ nei gruppi, ma non è così automatica e scontata come pensava Sherif. Asch. Egli si chiede quanto sia forte l’influenza della maggioranza sul singolo. Asch tiene l’esperimento sull’influenza della maggioranza, nel quale gli individui devono valutare stimoli percettivi non ambigui, in cui 8 individui giudicano quale di 3 linee verticali di diversa lunghezza è uguale a una linea campione. Il giudizio viene lasciato in ordine prestabilito dagli sperimentatori. Condizione sperimentale: 7 complici dello sperimentatore danno risposte deliberatamente non corrette in modo unanime. L’unico soggetto ingenuo è sempre il penultimo a esprimere il giudizio. Il compito da svolgere è deliberatamente ovvio, ma 7 persone danno risposte sbagliate per evidenziare quanto la maggioranza influenzi l’opinione diversa del singolo individuo. Condizione di controllo: crea dei gruppi in cui sono tutti soggetti ingenui per vedere che giudizi danno, ciascun soggetto dà risposte non concordate. Risultati: Nella condizione sperimentale (sogg ingenui sono da soli nel gruppo di 6 persone) 1/3 dei soggetti sposta il proprio giudizio verso la maggioranza. Interpretazione di Asch: un giudizio viene espresso in base all’evidenza oggettiva posta davanti al soggetto, è frutto di un pensiero logico e razionale, ma questa verrà influenzata dalla realtà sociale in cui egli si trova (consenso maggioritario). Se gli latri sono tanti e il loro pensiero è diverso dal mio, il loro pensiero diventa più rilevante del mio. Nelle situa sociali, quando c’è una magg di persone che la pensa in un modo, l’individuo che la pensa in un altro modo, cambia opinione. La spinta a conformare il proprio giudizio a quello degli altri è:  Un processo di ragionamento e non di suggestione  Determinato da informazioni sulla realtà sociale  Finalizzato a ottenere una visione oggettiva del mondo Detusch e Gerard danno una loro interpretazione dell’esperimento di Asch facendo una distinzione tra due processi plausibili quando ci si trova sotto la pressione della massa:  Influenza normativa: la forza che spinge un soggetto, in quanto membro di un gruppo, a rispondere alle attese positive di uno o più membri del proprio gruppo. Non sono d’accordo con la maggioranza, ma pubblicamente accondiscendo, perché sento la pressione a rispondere positivamente a quelle che immagino siano le aspettative degli altri e per non subirne le ripercussioni in caso di opinione contraria (mi escludono, non mi parlano, mi giudicano). Non cambio opinione, ma pubblicamente non vado contro all’opinione della massa. (accondiscendenza)  Influenza informativa (interpretazione di Asch): la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le informazioni degli altri come prova circa la realtà. Se ci accorgiamo che tante persone hanno opinioni diverse da noi, cambiamo opinione (accettazione), ci convinciamo che hanno ragione loro. L’influenza normativa risulta essere più forte di quella informativa.  Fattori moderatori del conformismo Ci sono fattori che ci spingono o no al conformismo:  Coesione del gruppo  aumenta il conformismo se il gruppo è più unito ed è importante per me.  Supporto sociale  qualsiasi rottura anche minima del consenso sociale (supporto alla posizione del soggetto ingenuo) diminuisce il conformismo. Basta una persona che esprima la mia stessa opinione, diversa dalla maggioranza, per diminuire la pressione verso il conformismo.  Fiducia in sé stessi  diminuisce l’influenza informativa, perché sono molto sicuro di quello che penso, quindi subisco meno l’influenza degli altri.  Difficoltà del compito  aumenta l’influenza informativa se è più difficile valutare il compito che sto svolgendo, se invece è più difficile tendo a basarmi di più so quello che dicono gli altri. (influenza informativa perché è complicato formarmi un giudizio)  Fattori culturali  nelle società collettiviste il conformismo è più alto, perché l’influenza normativa è più rilevante.  Obbedienza all’autorità L’esperimento più famoso e controverso relativo a questo tipo di influenza sociale è quello ideato e condotto da Stanley Milgram (1963) per studiare i meccanismi dell’obbedienza influenzare una maggioranza. In questo caso è importante lo stile di comportamento adottato dalla minoranza nell’interazione e nei negoziati con la maggioranza. o Stile di comportamento della minoranza efficace nell’influenzare: 1) Consistenza sincronica del comportamento: unanimità totale nell’espressione delle posizioni della minoranza. 2) Consistenza diacronica del comportamento: ripetizione ferma e sistematica di una risposta in occasioni successive e ripetizione non contraddittoria della risposta. La consistenza diacronica fornisce informazioni:  Sul modo di vedere la realtà della minoranza  Sulla minoranza stessa: fermezza e sicurezza di sé attraverso sacrifici personali (rappresaglie, incomprensioni, scherzi) o Stile di negoziato efficace per influenzare la maggioranza: lo stile flessibile è più efficace dello stile rigido e intransigente, poiché lo stile rigido può spingere la maggioranza a risolvere il conflitto screditando la minoranza. Le minoranze vengono screditate attraverso:  l’attribuzione di un errore sistematico (es. dogmatismo)  La naturalizzazione (Doise, Deschamps e Mugny, 1980), cioè attribuendo la causa dei comportamenti a proprietà idiosincratiche della minoranza:  Biologizzazione (perché è una donna)  Psicologizzazione (per il carattere, per intelligenza limitata)  Riduzione al sociologico (è un complottista)  Condiscendenza e conversione L’influenza maggioritaria e l’influenza minoritaria hanno effetti diversi? Influenza maggioritaria porta a condiscendenza: Un cambiamento a livello manifesto (sociale), dove raramente si ha un cambiamento a livello profondo. Influenza minoritaria porta a conversione: Un cambiamento a livello latente (influenza indiretta). Qualche volta un cambiamento a livello manifesto.  Influenza come processo duale Nemeth (1986) fa una fondamentale distinzione tra l’influenza maggioritaria e quella minoritaria: c’è un differente processo di pensiero alla base dell’influenza e gli effetti sono differenti. Le minoranze hanno generalmente un effetto diretto ridotto ma spesso possono influenzare un numero maggiore di persone a riguardo di argomenti affini al tema in questione. Si parla in questo caso di influenza indiretta. Influenza maggioritaria:  È un processo di adeguamento piuttosto passivo, porta a elaborazione convergente  L’individuo considera il messaggio legittimato dal prestigio, dalla numerosità o dal potere della fonte  L’individuo, se non è d’accordo, si sente deviante e si adegua per non essere diverso Influenza minoritaria:  Richiede un’elaborazione prolungata  Elaborazione di tipo divergente  Confronto fra sé e fonte di influenza  Validazione della posizione innovativa  Nei gruppi aumenta la creatività e favorisce la soluzione dei problemi IDENTITÀ NEL MONDO CONTEMPORANEO Per globalizzazione si intende il processo che ha portato l’economia e la cultura delle differenti regioni del mondo a essere sempre maggiormente interconnesse, al punto che cambiamenti locali si ripercuotono a livello globale. Non è un fenomeno nuovo. Lo sviluppo di interconnessioni a livello planetario è iniziato ben prima della nostra epoca (ad. es. Impero Britannico). Nell’ultimo secolo le trasformazioni tecnologiche e sociali hanno portato a un aumento impressionante della velocità e dell’estensione del fenomeno: Evoluzione dei mezzi di trasporto, nuovi mezzi di comunicazione (telegrafo, radio, TV, internet), diffusione del sistema economico liberista, superamento della politica dei blocchi contrapposti, sviluppo della società di massa e diffusione del benessere.  Conseguenze psicologiche della globalizzazione Dal punto di vista culturale la globalizzazione produce due conseguenze opposte: 1. Sviluppo di una cultura condivisa globalmente 2. Aumento della complessità del mondo tramite la mescolanza di differenti sistemi culturali La cultura globale semplifica le culture locali rendendole più simili tra loro ma allo stesso tempo complica la percezione del mondo rendendo accessibili nuovi stimoli non presenti nella cultura locale. Riguardo l’identità la globalizzazione aumenta il numero di possibili ingroup e outgroup con cui identificarsi o differenziarsi (Teorie dell’Identità Sociale) o di Altri ai quali Ego può far riferimento per definirsi (Teoria del Sé Dialogico). L’eccessiva complessità del mondo globalizzato può generare una frammentazione e instabilità del Sé e dell’Identità provocando il bisogno di identificazioni forti.  Avvento di internet Accompagna la globalizzazione. Il world wide web nasce ufficialmente nel 1991, ma la diffusione di massa del suo utilizzo è avvenuta a partire dal decennio successivo a seguito di due fenomeni: 1. Diffusione dei Social Media (avvento del Web 2.0):  Trasformazione della maggior parte degli utenti, anche privi di competenze tecniche, in produttori di informazione e non semplici fruitori passivi.  Facilitazione della diffusione di internet presso ampi strati di popolazione non particolarmente avvezzi alle tecnologie informatiche 2. Sviluppo e diffusione degli Smartphone e delle reti wireless  Forniscono applicazioni di utilizzo estremamente semplificato  Permettono di essere connessi alla rete potenzialmente sempre e in qualsiasi luogo  Identità online Nella realtà virtuale possiamo manipolare la nostra identità in maniera molto facile scegliendo quali informazioni presentare e quali no oppure presentando informazioni false difficilmente verificabili. Il web 2.0 ha amplificato queste possibilità con la diffusione degli online social networks, in cui gli utenti operano una vera e proprie presentazione di sé (impression management). Nelle relazioni faccia a faccia la presentazione di sé avviene tramite il modo di porsi, i comportamenti, i discorsi che facciamo, gli abiti che indossiamo e le possibilità di controllare tutte queste cose sono limitate. Nella realtà virtuale, invece, i gradi di libertà nella presentazione di sé sono molti di più: il controllo sulle informazioni presentate è molto alto (ad es. selezionare e manipolare foto) ed è più facile simulare una falsa identità basata su informazioni non veritiere. Internet è particolarmente adatto a esprimere le identità liquide poco definite, mutevoli e precarie, perché nel mondo virtuale è facile cambiare identità come si cambia di abito. Allo stesso tempo i confini sociali sono sfumati, per cui le identità diventano confuse anch’esse. L’identità è sempre più pubblica e quindi comune ai vari ambienti sociali (ad es. amici e colleghi). Qui sorge il problema della mancanza di privacy, che riguarda oggi anche la gente comune, dato che i dati personali altrui sono facilmente reperibili. Però la facilità di reperimento di informazioni personali di altri individui favorisce il confronto sociale: le persone  Sarason (1974): introduce il senso di comunità come qualcosa che si è perso nella società contemporanea  Wellman (1979): parla di comunità perduta proponendo di sostituire questo concetto non più attuale con quello di reti sociali  Bauman (2001): intitola un libro Voglia di comunità facendo riferimento in questo caso alle trasformazioni della società postindustriale globalizzata Il senso, nonché il bisogno, di comunità emerge quando la comunità manca o la si percepisce come minacciata. Secondo Benedict Anderson (1991), i nazionalismi sono emersi al seguito dell’intensificarsi dei contatti tra gli stati europei e il resto del mondo come reazione alle prime manifestazioni significative di globalizzazione. Successivamente la comunicazione di massa e le migrazioni di massa hanno ulteriormente rafforzato il nazionalismo, reazione a un mondo che si fa sempre più complesso. Oggi possiamo notare come anche le identità locali possono seguire una dinamica simile a quella descritta per le identità nazionali. Come il nazionalismo può essere strumentalizzato per motivi politici ed economici anche la dimensione locale può essere cavalcata da chi ha interessi politici ed economici non in contraddizione con essa.  Movimenti regionalisti  Enfasi sui prodotti locali (chilometro zero)  Gentrification Il fatto che la dimensione territoriale sia molto utilizzata a livello politico e commerciale è un segnale del fatto che, nell’epoca della globalizzazione, per la gente comune, cioè i potenziali elettori e consumatori, essa costituisce un argomento che funziona, cioè ha un valore simbolico. Come l’identità, anche l’appartenenza comunitaria può essere messa in crisi dai processi di globalizzazione.  Le identità immaginate L’identità una volta era principalmente una conseguenza dell’ambiente sociale in cui l’individuo si trovava a vivere, mentre oggi è soprattutto una scelta che non è mai definitiva. Le caratteristiche che usiamo per definire chi siamo non devono per forza essere collegate a situazioni reali. Possiamo identificarci con gruppi di persone con cui non abbiamo rapporti, descriverci tramite l’interesse per attività che non faremo mai o il legame con luoghi in cui non viviamo. L’enorme possibilità di riferimenti tra cui scegliere gli attributi della nostra identità e la precarietà di qualsiasi scelta implica una sensazione di frammentazione e instabilità. Si verifica una spinta a identificarsi fortemente in qualche cosa. Identità immaginate e a distanza: Il mondo sociale con cui dialogare per definirci lo possiamo scegliere molto più liberamente dei nostri predecessori anche a grande distanza da dove fisicamente e culturalmente ci troviamo. Siamo molto più liberi di modificare continuamente la nostra identità, ma al tempo stesso abbiamo bisogno di credere che non sia così (ricerca di identificazioni forti). IL CONFLITTO  I dilemmi sociali Molti dei problemi che minacciano il nostro futuro nascono quando le diverse parti perseguono i propri interessi a danno della collettività. Scelte che individualmente individualmente sono remunerative diventato un danno per la società. Come conciliare l’interesse individuale con il benessere comune? Per studiare tale dilemma gli psicologi hanno usato esperimenti di laboratorio che mettono in evidenza il nucleo di conflitti sociali reali. Prendiamo in esempio due esperimenti che sono entrambi esempio di trappola sociale, ovvero una situa in cui le parti di un conflitto, in cui ciascuno persegue razionalmente i propri interessi, vengono intrappolate in un comportamento reciprocamente distruttivo. Questi sono il “dilemma del prigioniero” e la “tragedia delle risorse comuni”. 1. DILEMMA DEL PRIGIONIERO: questo dilemma deriva da un aneddoto che riguarda due sospettati interrogati separatamente da un procuratore, il quale sa che entrambi sono colpevoli, ma ha le prove per incriminarli solo per una condanna minore, quindi escogita un modo per far confessare uno dei due e dare una pena maggiore ad entrambi:  Se A confessa e B no, il procuratore garantisce ad A l’immunità e usa la confessione di A per incriminare B con la massima pena.  Se entrambi confessano ricevano una pena moderata.  Se nessuno confessa, ognuno è accusato di un crimine minore e riceve una condanna moderata. Tra tutte le decisioni quella del tradimento rappresenta la decisione migliore, perché sfrutta la cooperazione degli latri e protegge dal loro possibile sfruttamento. Non cooperando, però, entrambe le parti finiscono decisamente peggio che se avessero avuto fiducia reciproca ottenendo un vantaggio comune. Questo dilemma intrappola i due sospettati in una difficile situa in cui entrambi capiscono che potrebbero avere dei benefici, ma l’assenza di comunicazione e a poca fiducia li porta ad un’assenza di collaborazione. 2. TRAGEDIA DELLE RISORSE COMUNI. 1 e 2 hanno 3 caratteristiche comuni: 1. Entrambe inducono le persone a spiegare il loro comportamento su una base situazionale e quello degli latri su base disposizionale, non accorgendosi che le altre persone incorrono nello stesso errore di attribuzione in cui incorrono loro. 2. Le ragioni spesso cambiano. La gente è ansiosa di massimizzare le proprie risorse con facilità, poi di minimizzare le perdite, infine di salvare la reputazione ed evitare sconfitte. 3. La maggior parte dei conflitti nella vita reale sono giochi a somma diversa da zero. I benefici e le perdite delle due parti non danno necessariamente un tot d zero: entrambi possono vincere, come perdere. Ogni gioco contrappone gli interessi immediati delle persone con quelli del benessere del gruppo. Anche quando ogni persona si comporta razionalmente può esserci un danno.  Come risolvere i dilemmi sociali Come si possono indurre le persone a cooperare al fine di ottenere risultati migliore? 1. Dare regole 2. Piccolo è bello: in gruppo piccolo ogni persona si sente più responsabile ed efficace, mentre in un gruppo più ampio avviene lo scarico di responsabilità e si ha la scusa per non cooperare perché si pensa che comunque no si avrebbe fatto differenza. Nei gruppi più piccoli le persone si identificano maggiormente con il successo del gruppo e tutto ciò che aumenta l’identità di gruppo aumenta anche la cooperazione. Inoltre in un gruppo piccolo è meno probabile che le persone si appropino di più risorse a disposizione di quelle che spettano loro. 3. Comunicare: la comunicazione può portare alla cooperazione. Discutere su un dilemma ha come esito la formazione dell’identità di gruppo. Questa a sua volta accresce la preoccupazione per il benessere di ognuno. 4. Variare i profitti 5. Richiamare norme altruistiche  La competizione Le ostilità nascono quando i gruppi entrano in competizione per risorse materiali ambite ma scarse. Per osservare questo fenomeno Sherif crea un esperimento con ragazzi di 11 e 12 anni (esperimento del campeggio). Si osserva che la competizione alimenta il conflitto soprattutto quando:  Le persone percepiscono chele risorse a disposizione scarseggiano e il guadagno degli altri equivale alla loro perdita.  Le persone percepiscono che l’outgroup come competitore.  Percezione di ingiustizia Teoria dell’equità: Le persone percepiscono la giustizia come equità: la distribuzione di ricompense in proporzione ai contributi individuali. Se in una rel sociale una persona contribuisce di più rispetto all’altra e ha meno benefici si sentirà sfrutta e l’altra persona uno sfruttatore. Teoria della deprivazione relativa  Il confronto con un gruppo esterno ritenuto in condizioni migliori favorisce il conflitto tra i gruppi. La deprivazione relativa si manifesta in certe condizioni: La psicologia si è posta due domande principali riguardo l’attrazione: Perché nascono le relazioni significative con delle persone e non con altre? Perché verso alcune persone il bisogno di affiliazione è maggiore? Sono stati presi in considerazione differenti fattori che facilitano lo sviluppo di relazioni: 1. Vicinanza: crea occasioni di contatto che aumentano la familiarità tra le persone. Festinger, Schachter, & Back (1950): Ricerca in un complesso residenziale:  le persone tendevano a sviluppare relazioni amicali con i vicini di casa  le persone che vivevano vicino ai luoghi più frequentati avevano più amici Anche i rapporti conflittuali sono più probabili tra i vicini. 2. Familiarità: siamo attratti da persone che ci sono familiari. Secondo l’ipotesi della mera esposizione di Zajonc (1968) la familiarità favorisce lo sviluppo di atteggiamenti positivi 3. Aspetto fisico: la bellezza è un predittore del successo nelle relazioni. Secondo l’approccio evoluzionistico alcune caratteristiche fisiche sono apprezzate perché inconsapevolmente segnalano una maggiore fertilità o una maggiore sanità del patrimonio genetico. Però non si spiega come mai i canoni di bellezza cambiano in base alle culture e alle epoche storiche. Per le donne l’attrazione fisica è una dimensione più rilevante nella maggior parte delle culture. Questo evidenzia il ruolo degli stereotipi di genere che riflettono società maschiliste. Alle donne è richiesta la bellezza e l’immagine giovanile (oggettivazione e dipendenza), mentre agli uomini un’immagine matura e associata a dominio e potere.  Lo stereotipo della bellezza: καλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs)=Bello e buono. Alle persone attraenti si attribuiscono caratteristiche più socialmente desiderabili (Dion, Berscheid e Walster, 1972). Le persone attraenti sono trattate con più indulgenza dalle altre persone (Dion, 1972). Un esempio lo abbiamo in ambito lavorativo, dove l’attraenza è legata a un trattamento migliore e stipendi più alti (Frieze et al., 1991). Feingold (1992) ha fatto una meta-analisi su numerosi studi dimostrando che le persone attraenti non avevano caratteristiche di personalità, intelligenza e autostima differenti rispetto a quelle meno attraenti. Le persone più attraenti tuttavia avevano meno ansia e più competenza sociali, dimostrazione della teoria della profezia che si autoavvera: le persone trattano con indulgenza chi è attraente che sviluppa le caratteristiche che gli vengono attribuite. Quali effetti ha il differente trattamento che un individuo riceve in base alla sua bellezza? Spiegazione socioculturale degli effetti della bellezza: se la bellezza è culturalmente considerata un valore, legarsi a persone belle equivale ad acquisire tale valore a livello sociale.  Matching: tendenza a essere attratti da persone del nostro stesso livello di attraenza fisica. Le coppie simili per attraenza hanno relazioni più felici. Pensiamo che persone simili a noi pensino di noi quello che noi pensiamo di loro. Per questo motivo le persone di bassa attraenza possono ricercare persone del loro stesso livello per non incorrere in rifiuti. 4. Somiglianza: siamo attratti da persone simili a noi sia dal punto di vista delle caratteristiche sociodemografiche (Kandel, 1978), sia dal punto di vista degli atteggiamenti (Newcomb, 1961; Byrne, 1971). La somiglianza potrebbe essere un effetto inverso, poiché col tempo si diventa simili alle persone che si frequentano. La ricerca non ha trovato sostegno al fatto che la complementarietà influisca sullo sviluppo di relazioni, quindi non è vero che gli opposti si attraggono, ma, al contrario chi si somiglia si piglia. Perché siamo attratti da persone simili a noi?  Teoria dell’equilibrio cognitivo di Heider (1958): Siamo motivati a mantenere l’equilibrio tra cognizioni, relazioni e comportamenti e le relazioni con persone simili a noi ci permettono di mantenere questo equilibrio.  Teoria del confronto sociale di Festinger: Il confronto con persone che hanno convinzioni simili a noi rafforza le nostre opinioni e atteggiamenti, mentre il confronto con persone superiori a noi può danneggiare la nostra autostima. Intraprendiamo relazioni con persone simili a noi per proteggere il sé interiore. 5. Reciprocità: il fatto che qualcuno sia attratto da noi lo rende attraente. Berscheid e Walster (1978) hanno dimostrato che facendo credere a dei soggetti che qualcuno provava ammirazione per loro questi ricambiavano il sentimento. 6. Self-disclosure: per apertura di sé si intende l’aprirsi agli altri confidando i propri sentimenti o particolari privati di sé. Varie ricerche hanno riscontrato che, se quest’apertura non è troppo rapida, facilita lo sviluppo di relazioni. Secondo la teoria della penetrazione sociale (Altman & Taylor, 1973) lo sviluppo delle relazioni profonde procede da una condivisione iniziale di pochi argomenti superficiali alla condivisione di un numero maggiore di argomenti sempre più profondi. La self-disclosure si associa anche a una maggiore soddisfazione nelle relazioni.  Differenze di genere nelle relazioni interpersonali Nelle amicizie le donne sviluppano più intimità, parlano di più, e hanno più contatto fisico. Questi sono effetti degli stereotipi di genere, per esempio nelle donne la manifestazione delle emozioni è approvata al contrario degli uomini che vengono considerati deboli se manifestano le proprie emozioni. Infatti la mascolinità eterosessuale prevede che nei rapporti tra maschi non vi sia affettuosità e vulnerabilità. Vi è anche una differenza di genere nel valutare Bellezza e Status di una persona:  Gli uomini ricercano donne attraenti (più giovani) e sono meno interessati all’alto status.  Le donne ricercano uomini di alto status (meno giovani) e sono meno interessate alla bellezza. Gli psicologi hanno dato due interpretazioni principali riguardo questa differenza di genere: 1. Interpretazione evoluzionistica: l’alto status garantisce la protezione della prole e la bellezza è indicatore di salute e quindi riproduttività 2. Interpretazione socioculturale: nelle società maschiliste la donna è oggetto e merce di scambio quindi è importante la sua bellezza, mentre gli uomini detengono il potere e per le donne l’accesso a esso passa attraverso il legarsi a un uomo di alto status.  Relazioni interpersonali significative Sternberg e Barnes (1988) formulano la teoria del “Il Triangolo dell’Amore” dicendo che l’amore ha tre componenti: 1. Componente emotiva: intimità (comprensione, complicità) 2. Componente motivazionale: passione (attrazione, desiderio sessuale, sensazione di essere innamorati) 3. Componente cognitiva: livello di impegno/decisione verso il partner Le tre componenti entrano in gioco in diversa misura nei diversi tipi di relazione e nelle diverse fasi della relazione. La presenza in maniera differente delle varie componenti determina sette tipi ideali di relazioni significative:  Simpatia: caratterizzata dalla sola intimità, tipica delle amicizie nelle fasi iniziali.  Infatuazione: presenza della sola passione, amore a prima vista, idealizzazione.  Amore vuoto: basato solo su impegno e decisione, spesso evoluzione sul lungo periodo delle relazioni.  Amore romantico: predominanza di intimità e passione, ad esempio avventure estive.  Amore fatuo: presenza di passione e impegno/decisione, amori travolgenti.  Amore solidale: presenza di intimità e impegno/decisione, caratteristica delle amicizie profonde.  Amore completo: elevata presenza di tutte e tre le componenti.  Lee (1973). La teoria dei “Colori dell’amore”: esistono differenti concezioni di amore che si mescolano tra loro come i colori. I colori principali sono rappresentati da:  Eros : amore romantico  Storge : amore come amicizia  Ludus : amore come gioco I colori secondari: Eros + Ludus  Mania : amore possessivo/dipendente Storge + Ludus  Pragma : amore pragmatico
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