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appunti di sociologia, Appunti di Sociologia

appunti delle lezioni di sociologia

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 05/10/2023

raiavaleria
raiavaleria 🇮🇹

7 documenti

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Scarica appunti di sociologia e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! Corso di Sociologia Introduzione Che cos’è la sociologia? Il senso comune sociologico Ognuno ha un’idea personale di che cosa sia la società, quindi ognuno di noi è un sociologo in quanto dispone di una conoscenza sui rapporti sociali. Questa conoscenza ha dei limiti che sono l’esperienza personale (legata al presente) e il “sentito dire”. La sociologia come scienza sociale supera i limiti del senso comune e può aiutarci a comprendere meglio il mondo in cui viviamo, non può tuttavia dare certezze assolute. Qual è l’oggetto della sociologia? La sociologia è lo studio scientifico della società. Tuttavia questa definizione non è sufficiente, in quanto occorre spiegare il concetto di scienza e di società. Di società si occupano anche altre scienze sociali, quindi sul ruolo della sociologia vi sono 3 soluzioni: 1. Soluzione gerarchica (Comte): sociologia in posizione privilegiata, destinata a completare il processo evolutivo; oggi la sociologia non ambisce più a diventare la regina delle scienze, si accontenta di essere una di esse. 2. Soluzione residuale (Runciman): rientra nel campo della sociologia tutto ciò che non è ancora studiato dalle altre scienze sociali. 3. Soluzione analitica o formale (Simmel): sociologia come grammatica e geometria della società, studia le forme pure di relazione. (Distinzione chiara tra forma e contenuto, ma inapplicabile nelconcreto). Una definizione rigorosa di sociologia è un’impresa disperata, occorre accontentarsi di una definizione tautologica, e cioè dell’insieme delle ricerche di coloro che vengono riconosciuti comesociologi. Le origini Le origini della Sociologia vanno ricondotte a tre rivoluzioni: 1. La Rivoluzione Scientifica: introduce a partire dal XVII secolo il metodo sperimentale fondata sull’osservazione dei fatti, questo metodo applicato a ambiti sempre più vasti ha influito anche sull’osservazione degli esseri umani e dei loro rapporti. 2. La Rivoluzione Industriale: la prima scienza sociale ad acquistare valore è infatti l’economia politica (Adam Smith), essa rifletteva sul mutamento sociale dal punto di vista economico. Smith era consapevole che la società non poteva essere letta soltanto in termini di mercato, tuttavia la sua opera è stata interpretata soltanto dal punto di vista dei rapporti di scambio. Qui la sociologia inizia a farsi strada in quanto l’avvento della società industriale era stato interpretato come un passaggio dai rapporti che sono “naturali”, “autentici” a rapporti “artificiali”, “meccanici”. 3. La Rivoluzione Francese: con il passaggio del potere legittimo dalla monarchia al popolo cambiano gli ordinamenti, i rapporti tra i gruppi sociali e gli individui e i fondamenti stessi Infine sono fondamentali per la sociologia come scienza i decenni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando i “padri fondatori” della sociologia (Spencer, Durkheim, Tönnies, Weber, Simmel e Pareto) pubblicano le loro opere. Temi e dilemmi teorici: ordine, mutamento, conflitto, azione e struttura Sono detti “paradigmi scientifici” (T. Kuhn) quegli assunti di natura teorica sui quali una comunità di scienziati sviluppa un consenso accettato da tutti i membri. Se emerge un nuovo paradigma ci troviamo in una fase di rivoluzione scientifica, che se ha successo sostituirà il precedente. In sociologia questo modello è difficilmente applicabile, non c’è mai un solo paradigma in atto, vi è sempre una molteplicità di paradigmi, la sociologia è per questo definita multi-paradigmatica. Il paradigma dell’ordine Interrogativo: che cosa fonda l’ordine o il disordine sociale? - Hobbes: l’uomo sottoponendosi allo stato è riuscito a controllare la sua natura egoistica e violenta. - Smith: il mercato può tenere insieme individui e gruppi che perseguono interessi diversi. Stato e mercato appaiono come due risposte al problema dell’ordine sociale, ma per i primi sociologi queste sono risposte insufficienti. Iniziano perciò a utilizzare modelli organicistici per dare una risposta a questo problema - Comte e Spencer: modello di stampo evoluzionistico (sulla scia delle teorie evoluzionistiche di Lamarck e Darwin). Società come organismo il cui equilibrio dinamico è in continua evoluzione. Il motore del processo di evoluzione è la competizione tra le specie (chi si adatta meglio a un determinato ambiente e a una determinata condizione sociale…) - Simmel: nella modernità l’ordine sociale non è imposto dall’esterno ma dall’interno, in quanto la divisione del lavoro crea differenziazione sociale, e proprio per questo gli individui devono fare sempre più affidamento gli uni sugli altri per rispondere alle proprie esigenze. - Durkheim: l’ordine sociale deriva dall’esterno, precisamente dalla “solidarietà meccanica”. In una società dove la divisione del lavoro è scarsa e gli individui sono poco differenti tra loro ciò che tiene ordine e unità nella società è appunto la solidarietà meccanica, un vincolo fondato sulla credenza di una comune origine e identità (una credenza di natura sacrale e religiosa). - Tönnies: la modernità è vista con nostalgia e apprensione. “Organico” e “meccanico” per Tönnies hanno significati opposti a quelli attribuiti da Durkheim. I vincoli di sangue, di luogo e di spirito sono “unità organiche”, nei quali gli individui si sentono uniti in modo permanente. Questo non avviene però nella società, in essa infatti gli individui vivono isolati o in tensione gli uni contro gli altri. Il paradigma del conflitto Interrogativo: occorre spiegare il mutamento sociale e le sue cause. - Marx: I rapporti sociali fondamentali sono i rapporti di produzione e distribuzione di beni e servizi, che sono necessari alla società stessa per riprodursi. Dato che questi rapporti si basano su meccanismi di dominio e di sfruttamento l’unica via è la lotta di classe; e ciò è dimostrato in tutta la storia (per Marx infatti la storia è storia della lotta di classe, “Manifesto del partito comunista”). Il conflitto di classe è la grande forza della storia, il motore del mutamento sociale. - Weber: Il conflitto non è una condizione patologica della società, ma la sua condizione normale, non conduce alla disgregazione della società ma crea strutture istituzionali. Il conflitto non si riduce a lotta di classe. Vi sono varie sfere dove esso si sviluppa, ogni sfera ha una sua autonomia, ma un conflitto che si sviluppa in una determinata sfera (es religione) può avere conseguenze anche sulle altre. Il paradigma della struttura Interrogativo: L’individuo è libero oppure la sua libertà è confinata nella struttura sociale? In questo paradigma è la struttura sociale che si impone sull’individuo. - Marx: la struttura sociale si impone sull’individuo; lo sfruttamento dei lavoratori salariati da parte dei capitalisti non potrebbe andare in modo diverso (il mercato impone questo meccanismo). - Durkheim: la società viene prima degli individui, i fatti sociali si spiegano solo tramite altri fatti sociali, è impossibile partire dall’individuo per spiegarli (Durkheim mostra come nel suicidio operino cause sociali). Vi sono forze che agiscono alle spalle degli individui spingendoli a determinati comportamenti. - Teorie funzionalistiche: parti spiegate in base alle funzioni che svolgono (percorso dal TUTTO alle PARTI). - Teoria dei ruoli: il comportamento degli individui è spiegato attraverso la posizione che occupano nel sistema sociale. Ruoli = diritti e doveri. - La società spiega gli individui. - Concezione olistica del sociale: società come unità prioritaria, individui come veicoli del sistema sociale. Paradigma dell’azione Interrogativo: L’individuo è libero oppure la sua libertà è confinata nella struttura sociale? In questo paradigma Weber sostiene come tutti i fenomeni sociali devono essere ricondotti a comportamenti individuali. Due principi fondamentali: 1. Individualismo metodologico: i fenomeni macroscopici (fatti sociali) vanno ricondotti a cause microscopiche (azioni individuali). 2. Per spiegare un’azione sociale occorre tener conto dei motivi dell’attore: l’uomo è dotato della capacità di compiere scelte, come un attore però si muove in situazioni che comportano vincoli e condizionamenti; perseguendo mete egli dà un senso alla sua azione. - Weber – Azioni razionali: razionalità rispetto allo scopo o rispetto al valore. Entrambe azioni con un principio utilitaristico. - Weber: l’uomo non è un essere razionale ma un uomo capace di agire razionalmente. Compatibilità tra paradigmi Il paradigma della struttura e quello dell’azione possono essere compatibili? Essi sono incompatibili se si adotta una visione unilaterale (è solo la società ad influenzare l’individuo e non viceversa), al di fuori di questa visione unilaterale è probabile che i due paradigmi portino a risultati convergenti. Infatti nella ricerca sociale questi paradigmi sono spesso utilizzati contemporaneamente. La sociologia è una scienza multiparadigmatica. trasferire informazioni di generazione in generazione superando l’inaffidabile labilità della cultura orale. Nacque allora la professione dello scriba, una categoria di specialisti addetti alla produzione simbolica. Così il tempio non è soltanto un luogo di culto della divinità ma anche il quartiere generale di un’organizzazione economica e politica assai complessa. Intorno al tempio (III e II millennio a.C.) si formano delle vere e proprie città. Da un lato i contadini, la grande massa della popolazione rurale che vive nei villaggi; dall’altro lato la popolazione urbana, accomunata dal fatto di dipendere dalla campagna per il soddisfacimento deipropri bisogni alimentari. La città può esistere se si è in grado di esigere il prelievo del surplus agricolo prodotto dalle campagne. Forti disuguaglianze e grandi imperi Così si assiste alla creazione di forti disuguaglianze, in particolare tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Più una società diventa differenziata e complessa e più si rafforza l’esigenza di ordinamenti che ne regolino le attività. (Codice di Hammurabi, II millennio a.C.). Ora le società non sono più composte di poche migliaia di individui, ma un regno può comprendere centinaia di villaggi ed estendere il suo potere su territori molto vasti. Le società agrarie dell’antichità greco-romana La nascita della riflessione sistematica sulla società Mediterraneo, 800 a.C. In questa parte del mondo si era sviluppata una particolare forma di scrittura, quella fonetico-alfabetica, che, rispetto a quella ideografica, si dimostrò particolarmente adatta alla composizione e alla trasmissione di testi. La base agraria di una civiltà urbana Nell’antica Grecia, come anche a Roma, esisteva la figura del contadino indipendente. Si trattava spesso di coloni che avevano conquistato un territorio e vi si erano insediati: molto spesso costoro erano ex soldati che avevano ricevuto la terra in compenso del servizio militare prestato. Accanto ad esso vi erano degli affittuari che, pur privi della proprietà della terra, la coltivavano pagando dei tributi al proprietario del fondo e, infine, vi erano gli schiavi che coltivavano dietro la mera sussistenza le grandi proprietà fondiarie dello stato o dei privati cittadini, i cosiddetti latifondi. La popolazione schiavistica non è in grado di riprodursi biologicamente; allo schiavo non è normalmente concesso di avere moglie e figli nell’ambito di un’istituzione stabile come la famiglia, così la guerra era la vera fabbrica degli schiavi. La schiavitù non è concepibile senza una politica di continua espansione territoriale capace di sottomettere militarmente interi popoli. Il rapporto tra città e campagna è essenzialmente politico: la città consuma il surplus che preleva fiscalmente dalla campagna. Le forme di governo La proprietà della terra è il fondamento primo del diritto di cittadinanza. La città antica è prima di tutto una città di proprietari terrieri. Mentre le forme di governo delle città-stato greche oscillano tra la monarchia e la tirannide e la democrazia passando attraverso varie forme di oligarchia, i romani adottarono un’altra strategia di espansione che, su scala enormemente maggiore, richiama il modello imperiale. A Roma era l’esercito la struttura portante dello stato e la lotta politica tra le varie fazioni era sempre una lotta, da un lato per il suo controllo, dall’altro per ottenere il suo appoggio. La società feudale La rottura dell’unità del mondo antico La caduta dell’impero romano ha rappresentato di fatto la rottura di un sistema di interdipendenze che bene o male aveva tenuto unita gran parte del mondo antico. Questa rottura è responsabile della nascita del feudalesimo in Europa, un tipo di configurazione in cui viene meno un polo politico ed economico di aggregazione centrale e si rafforzano invece i poli localistici e periferici. Vi è un indicatore molto evidente della rottura di un sistema di interdipendenze: l’interruzione delle linee di comunicazione. Il feudalesimo rappresenta in un certo senso un ripiegamento della società sulla dimensione localistica. Il feudo come unità (quasi) autosufficiente Il feudo è un’unità territoriale sulla quale governa un signore feudale, ossia un feudatario, in virtù di un’investitura ricevuta da un signore di rango più elevato. Vi è tutta una catena gerarchica di obblighi reciproci che lega il signore territoriale locale fino all’imperatore o al re. Il feudatario è generalmente un guerriero tenuto a prestare aiuto militare in caso di necessità al signore dal quale ha ricevuto il feudo in concessione e a proteggere con le armi le sue terre da eventuali invasori e dalle pretese di altri signori territoriali: le guerre locali sono un elemento permanente delle società feudali. Il feudatario ha il potere di amministrare la giustizia e di richiedere prestazioni alla popolazione servile che vive sul suo territorio. La popolazione servile si divide in due categorie: i servi della gleba e i servi domestici. A differenza degli schiavi che appartenevano al loro padrone sono legati alla terra, i servi della gleba appartengono alla terra: se questa viene ceduta ad un altro signore, essi passano con la stessa al suo servizio. Essi sono soggetti a prestazioni che possono assumere forme molte diverse: corvées in natura, in lavoro, o tributi in denaro. Quale che sia la forma specifica che assume il feudatario è tenuto a ricevere una rendita fondiaria, cioè ad appropriarsi del surplus di produzione agricola.L’economia curtense è un’economia chiusa, nel senso che riesce a mantenersi in modo autosufficiente, riducendo al minimo gli scambi con l’esterno, eccettuate le materie prime (il sale le spezie) e quelle per fondere i metalli. La città medievale Intorno all’anno 1000 d.C. si assiste alla rinascita della vita cittadina ad opera dei mercanti. Si organizzano in corporazioni e in gilde per non farsi concorrenza tra loro, stipulano patti per difendere anche con le armi la loro libertà dai soprusi dei poteri feudali e per governare autonomamente la città. Capitolo 2 Le origini della società moderna in Occidente L’idea di mutamento Nessuna società è in sé statica o dinamica, ciò che cambia è la velocità del mutamento, che può essere molto lento e quindi quasi impercettibile nell’arco della vita media di un uomo, oppure molto accelerato. Ora, in un periodo che varia a seconda delle diverse aree geografiche tra il XVI e il XIX secolo, le società europee entrano in un’epoca di mutamento sociale accelerato: il corso della storia che prima aveva preceduto lentamente, subisce un’intensa accelerazione. La caratteristica fondamentale di questo processo è la sua globalità: esso investe, infatti, la sfera economica, politica, giuridica, culturale delle varie società e coinvolge la vita quotidiana di milioni di uomini edonne di tutti i ceti e le classi sociali. Le trasformazioni nella sfera economica Il concetto di capitalismo Marx: concezione materialistica e dinamica della società. Per capire una società bisogna considerare come in essa gli uomini soddisfano i loro bisogni e che rapporti si instaurano tra di essinella sfera di produzione. Nella storia si sono succeduti diversi sistemi economici: - Comunismo primitivo - Modo di produzione antico - Modo di produzione feudale - Modo di produzione capitalistico Ognuno di essi è caratterizzato da una combinazione tra forme di divisione del lavoro e competenze tecniche (forze produttive) e forme di proprietà e rapporti tra le classi (rapportisociali di produzione). Il modo di produzione capitalistico si distingue da quelli che lo hanno preceduto per il fatto che in esso dominano i detentori del capitale che pongono al loro servizio il lavoro salariato. Il capitalismo è nato dalle contraddizioni interne al modo di produzione feudale. C’è una teoria generale del corso della storia. Sulla scia di Marx, Sombart definisce il capitalismo come un determinato sistema economico con le seguenti caratteristiche: è un’organizzazione economica di scambio (economia monetaria) in cui collaborano, uniti dal mercato (non solo merci, ma anche prestazioni lavorative e proletariato), due diversi gruppi di popolazione, i proprietari dei mezzi di produzione (il cui scopo è l’accumulazione del profitto come fine in sé), che contemporaneamente hanno la direzione (in base a criteri di razionalità economica), e i lavoratori nullatenenti e che è dominata dal principio del profitto e del razionalismo economico Le trasformazioni dell’agricoltura In generale si può dire che l’agricoltura feudale è un’agricoltura estensiva, a basso livello di produttività e dove sono scarse le innovazioni produttive. La spinta che mette in moto il processo di trasformazione dell’agricoltura proviene dalla crescente domanda di manufatti e derrate che si genera su un mercato in formazione di dimensioni internazionali. Questo comporta un’accresciuta polarizzazione delle condizioni di vita nelle campagne e una maggiore disuguaglianza all’interno delle classi rurali. I capitalisti agrari, cioè coloro che riescono a rispondere alle nuove esigenze del mercato, a differenza dei signori feudali, hanno tutto l’interesse ad introdurre innovazioni nella coltivazione e nell’allevamento per aumentare la produttività e quindi per accrescere i profitti: si migliorano i metodi di irrigazione, si selezionano le colture a seconda della natura dei suoli si introducono nuove coltivazioni, si perfezionano le tecniche e si crea una rete di comunicazioni per fare affluire iprodotti sui mercati. Il ruolo delle attività mercantili Viene a formarsi un nuovo sistema di lavoro, il lavoro a domicilio, commissionato dai mercanti a i contadini nei mesi di stasi delle attività agricole, dietro compenso in denaro. La trasformazione dell’artigianato Dalle corporazioni, cioè organizzazioni monopolistiche il cui scopo era in primo luogo quello di assicurare l’esercizio esclusivo di un mestiere o di un’arte ai soli associati nell’interno territorio della città e del suo contado e che era regolata in modo che tutti i suoi associati avessero un tenore di vita minimo, evitando così la concorrenza e dove era necessario che una domanda di singoli beni fosse limitata, prevedibile e senza forti oscillazioni, si passa a quello che è lo spirito del capitalismo. Esso richiede intraprendenza e propensione all’innovazione in opposizione alla tradizione che premia la concorrenza in opposizione al monopolio. La formazione dell’imprenditorialità La nascita del capitalismo è anzitutto l’opera di uomini nuovi che provengono da strati e ceti diversi e che sono accomunati da un particolare orientamento delle loro mete: non si accontentano di fare le solite cose, nel solito modo al fine di raccogliere poi il frutto della propria fatica e vivere dignitosamente, ma vogliono fare cose nuove in modi nuovi per allargare continuamente il giro di affari ed espandere le dimensioni della propria impresa. Gli imprenditori sono essenzialmente degli innovatori (Schumpeter); innovano nei prodotti, nelle tecniche di lavorazione e di gestione, nella raccolta di capitali, nei metodi di commercializzazione, nella ricerca di nuove materie prime e di nuovi mercati di sbocco. Il capitalismo si identifica con l’aspirazione al guadagno nell’impresa capitalistica razionale continuativa, e ad un guadagno sempre rinnovato, ossia alla redditività.L’imprenditore è il campione delle virtù borghesi del risparmio e persegue con dedizione assidua e sistematica un fine astratto e illimitato, l’accumulazione del capitale. La tesi dell’origine religiosa dello spirito del capitalismo Weber ritiene vi sia un atteggiamento di tipo ascetico, diverso dall’ascesi extramondana di monaci ed eremiti, quanto più un’ascesa attraverso il lavoro quotidiano e nell’agire economico. Questo veniva giustificato attraverso le dottrine protestanti (in particolare il calvinismo) dove a fronte di un dio totalmente altro e che ha già definito i salvati ed i dannati, l’uomo impotente davanti a questa volontà cerca i segni del suo destino trovandoli nella riuscita economica dell’accumulazione di capitale. Nasce così una nuova classe sociale, la cui ricchezza dipende dal lavoro e dalle capacità di sfruttare le opportunità di mercato, il cui stile di vita sottolinea le virtù borghesi dell’operosità e del risparmio. Le trasformazioni nella sfera politica: la nascita dello stato moderno Lo stato moderno nell’epoca dell’assolutismo Nello stato feudale dominava la dimensione localistica. La guerra era l’occupazione principale dei signori feudali. Questo sistema di rapporti di potere durò in Europa per secoli fino a quando emerse come vincitore un potere capace di sottomettere, nell’ambito di territori abbastanza vasti, i poteri concorrenti. Si venne così ad instaurare un monopolio della violenza legittima, vale a dire il diritto esclusivo di usare la forza (cioè le armi) da parte del potere sovrano. L’instaurazione di tale monopolio è il presupposto della formazione dello stato moderno e gli stati moderni nacquero quasi sempre come regni, vale a dire come stati dove l’accesso al potere supremo era regolato dalle leggi dinastiche della successione. Lo stato moderno non si affermò nelle zone ricche di centri urbani, ma laddove prevalgono l’agricoltura e la servitù della gleba. Queste sembrano essere state condizioni favorevoli alla concentrazione precoce del potere di coercizione Questo processo di unificazione fu accompagnato da una serie di momenti decisivi: - La creazione di grandi eserciti per la difesa del territorio e per le politiche espansionistiche formati da soldati di professione stipendiati dallo stato. - L’instaurazione di un monopolio monetario e fiscale. Lo stato avocò a sé il diritto di battere moneta e il monopolio del conio della moneta. - Il monopolio dell’amministrazione giuridica. Il fondamento di legittimità del potere riposa sulla tradizione. Il concetto di cittadinanza e la nascita del moderno stato di diritto Nell’antichità la cittadinanza era una condizione goduta dagli individui in quanto membri di una famiglia; nel Medioevo era legata all’appartenenza ad uno stato o corporazione, ora invece diventa prerogativa degli individui in quanto membri del un precetto religioso, da una causa che reputa giusta, senza preoccuparsi delle conseguenze: anche questo è un caso di agire razionale, perché implica una scelta consapevole e una valutazione se il comportamento sia effettivamente congruente con il valore che si intende testimoniare. 3. Azioni determinate affettivamente: se si tratta di pure manifestazioni di gioia, gratitudine, vendetta, affetto, o di altro stato del sentire. Anche questo tipo di azioni hanno senso per se stesse, senza riferimento alle conseguenze prevedibili; si distinguono perché non c’è riferimento consapevole all’affermazione di un valore trattandosi piuttosto dell’espressione di un bisogno interno. 4. Azioni tradizionali: se sono semplice espressione di abitudini acquisite, reazioni abitudinarie a stimoli ricorrenti, comportamenti che si ripetono senza interrogarsi su possibilità alternative e sul loro vero valore, o senza porsi il problema se non ci sarebbero altri modi per raggiungere gli stessirisultati. Due o più individui che orientano reciprocamente le loro azioni stabiliscono una relazione sociale. Una relazione sociale può essere cooperativa oppure di conflitto. L’interazione sociale è il processo secondo il quale due o più persone in relazione fra loro agiscono reagendo alle azioni degli altri. I gruppi sociali e le loro proprietà Un gruppo sociale è un insieme di persone fra loro in interazione con comunità secondo schemi relativamente stabili, le quali si definiscono membri del gruppo e sono definite come tali da altri. Una categoria sociale o una classe sociale non sono gruppi. Proprietà relative alla dimensione I caratteri dei gruppi cambiano con la loro dimensione. La base della differenza si trova nel fatto che l’interazione può essere diretta o indiretta. La diade è un gruppo di due persone; è caratterizzato da fragilità strutturale e forte personalizzazione: se un membro decide di uscire dalla relazione, il gruppo scompare. La triade è un gruppo di tre persone. Produce le seguenti forme di integrazione: - Mediatore: un terzo non direttamente coinvolto in una disputa convince gli altri ad un accordo, dialogando separatamente e in condizioni meno cariche di emotività. - Tertius gaudiens: il terzo approfitta di una situazione di divergenza fra gli altri due per i propriscopi. - Divide et impera: un terzo fa sorgere o alimenta intenzionalmente una discordia a propriovantaggio. Per quanto riguarda i gruppi di dimensione superiore a tre, quelli composti da un numero pari di componenti mostrano maggiori tassi di disaccordo e antagonismo rispetto ai gruppi con componenti dispari. Il numero migliore è cinque, al di sopra del quale il gruppo è troppo grande per un’intensa partecipazione diretta. Proprietà relative ai confini La definizione dei confini di un gruppo è sempre relativa alla situazione. Un carattere importante del gruppo è il suo grado di completezza: questa si riferisce al rapporto fra membri che hanno fatto effettivamente parte del gruppo e persone che hanno i requisiti richiesti di appartenenza. Un grado crescente di completezza tende ad aumentare la capacità di influenza sociale del gruppo. Per i candidati all’appartenenza (che possiedono i requisiti necessari per l’appartenenza) e per l’uomo marginale (che non li possiede), il gruppo è il gruppo di riferimento, ed essi aspirano a farne parte. I membri potenziali sono coloro ai quali il gruppo deve rivolgere la sua attenzione e la sua propaganda se desidera aumentare la propria completezza. I non membri neutrali sono l’insieme di chi è semplicemente sullo sfondo sociale del gruppo. Entrambi mostrano indifferenza nei confronti del gruppo. Il non membro autonomo è pericoloso per il gruppo perché è per questo segno di debolezza, impedendo la completezza: pur potendo, rifiutano di partecipare al gruppo. Per lui e per il non membro antagonista il gruppo rappresenta norme e valori contrari. La non appartenenza al gruppo può assumere una prospettiva temporale, quindi i non membri si dividono in coloro che sono sempre stati tale e gli ex membri: il gruppo assume un atteggiamento più ostile nei confronti dei secondi rispetto ai primi, e tale atteggiamento è reciproco. Proprietà strutturali Forme durevoli di interazione che permettono di definire un gruppo sono possibili quando il comportamento delle persone è in certa misura reciprocamente prevedibile e atteso. Il termine ruolo è usato per indicare l’insieme dei comportamenti che in un gruppo tipicamente ci si aspetta da una persona che del gruppo fa parte. Le norme di comportamento valgono per i membri del gruppo e regolano i loro rapporti. In un gruppo sociale i ruoli possono essere più o meno differenziati. La differenziazione dipende anche dalla densità sociale, vale a dire dalla concentrazione spaziale delle persone e dal volume delle loro interazioni: quanto più aumentano le dimensioni e la densità sociale tanto più è probabile riscontrare una differenziazione di ruoli. Durkheim definisce società segmentali quelle nelle quali gli individui hanno ruoli simili, mentre sono società a divisione del lavoro quelle nelle quali avviene il contrario, quali le moderne societàindustriali. I ruoli possono essere di due tipi formali: si definisce specifico un ruolo che riguarda un insieme di comportamenti limitato e precisato; si definisce diffuso un ruolo in cui i comportamenti attesi sono un insieme più ampio e meno definito. Un individuo ha diversi ruoli. I gruppi dove vengono assorbiti la stragrande maggioranza dei ruoli di un individuo vengono detti gruppi totalitari (o istituzioni totali); i gruppi che impegnano alcuni o uno solo dei suoi ruoli sono chiamati gruppi segmentali. Si definiscono gruppi primari quelli di piccole dimensioni con ruoli diffusi, contenuti affettivi e molto personalizzati. Si definiscono gruppi secondari quelli di più grandi dimensioni con ruoli specifici, relazioni più fredde e personalizzate. Un gruppo è formale se è basato su uno specifico ed esplicito statuto o regolamento in vista di determinati scopi; un gruppo è informale se si forma spontaneamente e senza che siano state fissate regole precise per il suo funzionamento. Potere e conflitto Si può definire il potere come la possibilità di trovare obbedienza a un comando che abbia un determinato contenuto. Un tipo di potere particolare è quello che Weber chiama potere legittimo o autorità. L’autorità riguarda relazioni nelle quali sono previsti diritti di dare ordini e doveri di ubbidire, considerati legittimi da entrambi gli attori. La legittimazione del potere è un modo di incanalare l’energia per i bisogni del funzionamento della società. La mancanza di autorità genera conflitto. Il conflitto riguarda azioni orientate ad affermare la propria volontà contro la volontà o la resistenza di altri. All’interno di un gruppo o di una relazione sociale il conflitto è normale, ma può portare alla suadistruzione. Il conflitto contribuisce a stabilire e mantenere i confini del gruppo: attraverso il conflitto, i soggetti di un gruppo acquistano o conservano facilmente la consapevolezza della loro identità e particolarità, cosa che non accade o accade debolmente quando il conflitto è assente. I gruppi che richiedono un impegno totale della personalità sono capaci di limitare i conflitti, ma se questi esplodono, tendono ad essere di particolare intensità e distruttivi: accade soprattutto in gruppi dove vi è un forte investimento emotivo, come le diadi o i gruppi primari, attraverso il quale si può controllare la possibilità di conflitto, il quale tocca una pluralità di contenuti, una voltainnescato. Il conflitto con altri gruppi normalmente aumenta la coesione interna: accade solo se inizialmente c’è una forte solidarietà sociale. Per mantenere l’unità, può capitare che all’interno del gruppo si abbia bisogno di un nemico inventato: il capro espiatorio è un membro al quale si dà la colpa se qualcosa non funziona, in modo da evitare litigi seri tra gli altri membri. Il conflitto può generare nuovi tipi di interazione fra gli antagonisti: generalmente il conflitto è il modo in cui due gruppi o persone entrano in contatto, conoscendosi e mettendosi alla prova. Questo può essere una prima base per lo sviluppo di regole e di rapporti più cooperativi: un gruppo che riesce ad adattarsi tollerando e accettando i conflitti all’interno (prevedendo regole e procedure per la loro espressione) ha maggiori possibilità di persistere nel tempo rispetto ad un gruppo a struttura rigida. Il comportamento collettivo Diverso dal comportamento di gruppo, questo termine si riferisce a un insieme di individui sottoposti a uno stesso stimolo che agiscono e interagiscono fra loro in situazioni senza sicuro riferimento a ruoli definiti e stabilizzati. - Il panico è una reazione collettiva spontanea che si manifesta in genere con una fuga, ma anche all’opposto con l’immobilità di fronte al rischio di subire gravi danni da un evento in corso o annunciato come immediato. Esprime orientamenti individualistici. - La folla è un insieme di persone riunite in un luogo che reagiscono a uno stimolo sviluppando umori e atteggiamenti comuni ai quali possono seguire forme di azione collettiva. Carattere irrazionale. Esprime atteggiamenti e comportamenti comuni a tutti i partecipanti. Si distingue tra folla espressiva (sfogo di tensioni sociali e psicologiche attraverso comportamenti inconsueti) e folla attiva (attenzione e sentimenti degli individui orientati verso l’esterno). Reazione circolare: le persone si rafforzano in un atteggiamento ricevendo da altri lo stesso stimolo che avevano manifestato. - Un pubblico è un insieme di persone che si confrontano con uno stesso problema, hanno opinioni diverse su come affrontarlo e discutono fra loro a questo riguardo. Esprime più opinioni e atteggiamenti. Interazione interpretativa: un messaggio riceve una risposta con un contenuto diverso, attivando un interazione che può modificare atteggiamenti e posizioni di partenza. Il numero di posizioni è inversamente proporzionale all’intensità e all’urgenza con le quali il problema è sentito. La microsociologia Le reti La network analysis è un campo di ricerca che considera con apposite tecniche e in riferimento a proprietà via via messe in luce le reti di relazioni fra le persone. Un carattere importante delle reti è se sono a maglia larga o a maglia stretta. Una rete è a maglia tanto più stretta quanto più le persone che un individuo conosce si conosconoanche fra di loro. La network analysis può essere uno strumento flessibile che ci permette di vedere l’individuo mentre reagisce alla situazione in cui si trova e combina le sue relazioni in funzione di propriestrategie. Le carriere morali Le carriere morali sono tipiche successioni di esperienze vissute da categorie di persone. Studiare le carriere morali significa osservare i tentativi e le successive mosse delle persone nell’adattarsi a un ambiente che in gran parte non può essere da loro influenzato, per cercare di mantenere o conquistare una propria immagine e possibilità di vita, una ragionevole stima da parte degli altri e l’autostima personale. Rappresentazioni del sé e relazioni in pubblico Goffman studia l’interazione diretta faccia a faccia, dove per “faccia” si intende l’immagine di sé declinata in termini sociali positivi, utilizzando la metafora del teatro. Gli attori (la compagnia) cercano di controllare le idee che gli altri (il pubblico) si fanno di loro, con il fine di presentarsi nella migliore luce possibile e in modo che sia credibile. Essi recitano nella ribalta, dove ci si deve vestire e comportare in una certa maniera, e nel retroscena, dove ci si può rilassare: scambiare il ruolo che sia nella ribalta con quello del retroscena e viceversa può avere conseguenze disastrose per una relazione sociale. Gli attori recitano ruoli che possono essere tra loro incongruenti: Delatore: finge presso gli attori di essere un membro della compagnia, avendo accesso al retroscena e riportando informazioni riservate al pubblico; Compare: segretamente in accordo con gli attori, si mescola fra il pubblico per orientarlo: Spettatore puro: professionista riconosciuto come spettatore qualificato; Intermediario: appartiene a due compagnie che sono l’una il pubblico dell’altra, può mettere in atto giochi di triade; Non persona: pur essendo presente, non fa parte della rappresentazione e viene ignorata. Esistono regole di etichetta e rituali con i quali si sperimenta l’accesso agli altri e si misurano la possibilità e i limiti di un Attori e decisioni Le organizzazioni sono composte da persone che cooperano tra loro e che interagiscono tenendo conto di loro obiettivi, con il fine di influire sulle decisioni e sugli obiettivi dell’organizzazione. Le persone partecipano strumentalmente per i vantaggi che ne ricavano, più o meno indifferenti ai fini dell’organizzazione in quanto tali. Gli obiettivi dell’organizzazione sono definiti da coalizioni, vale a dire da gruppi di persone con interessi comuni che si alleano con altri gruppi di persone con interessi comuni che si alleano con altri gruppi con interessi diversi dai loro contrattando decisioni cruciali. La razionalità organizzativa e i suoi limiti Il concetto di razionalità limitata La razionalità è sempre una razionalità limitata che mira a ottenere non i massimi risultati possibili in astratto, ma risultati soddisfacenti, e lo fa semplificando la realtà in modelli che trascurano la catena delle cause e degli effetti oltre un certo orizzonte, limitandosi cioè ad alcuni aspetti che un attore considera più rilevanti ed essenziali. Così si comportano tanto le persone quanto le organizzazioni come attori collettivi. Uno sviluppo del concetto di razionalità limitata può essere considerata la distinzione tra razionalità sinottica e razionalità incrementale o strategica. La prima consiste nel poter fare inizialmente delle scelte che tengano conto di tutti i dati rilevanti, in relazione a obiettivi condivisi e chiari, predisponendo i mezzi necessari ai fini, i quali possono essere poi realizzati senza cambiare programmi e senza più intoppi. La razionalità incrementale sconta il caso normale dell’incertezza ambientale e si riferisce ad attori che non hanno all’inizio idee assolutamente chiare e esattamente coincidenti. Razionalità individuale e razionalità collettiva Un’organizzazione non può essere razionale se non si comportano razionalmente le persone che ci lavorano. Anche gli obiettivi dell’organizzazione e delle persone devono armonizzarsi. Mannheim distingue tra razionalità sostanziale e razionalità funzionale. La razionalità funzionale è quella di chi si adatta a ordini ricevuti eseguendoli senza errori o a procedure e obiettivi stabiliti, senza discuterli. La razionalità sostanziale è quella di chi cerca di comprendere come diversi aspetti di una situazione siano collegati fra loro, interrogandosi sul loro significato e valutandoli in base ai propri criteri di giudizio, anche rispetto ad altre possibilità. Capitolo 5 Valori, norme e istituzioni Che cosa sono i valori? I valori appaiono come orientamenti dai quali discendono i fini delle azioni umane. Valori e fini sono legati tra loro come in una catena: i valori sono i fini ultimi dell’azione per realizzare i quali gli esseri umani devono perseguire dei fini di ordine inferiore che quindi a loro volta sono nello stessotempo fini e mezzi. Se non riguardano qualcosa che si ha e si teme di perdere, i valori sono sempre in qualche misura trascendenti rispetto all’esistente, indicano cioè un dover essere che va al di là dell’essere, una tensione verso uno stato di cose ritenuto ideale e desiderabile, ma che non è o non è ancora realizzato. Per lo scienziato sociale i valori esistono anche come fatti sociali in quanto, e solo in quanto, vengono fatti propri da individui o gruppi sociali, i quali orientano in base ad essi il loro agire. In questo senso i valori diventano forze operanti, poiché forniscono le motivazioni dei comportamenti. I valori vengono fatti propri, adottati, da individui e gruppi mediante processi, più o meno consapevoli, di scelta. Valori universali e valori particolari Si possono considerare i valori come un’ulteriore dominio culturale da parte della classe dominante, i quali vengono fatti propri anche dalle classi dominate, a meno che non intervenga un movimento di rottura rivoluzionario. Oppure si possono considerare i valori come universali, non semplicemente riconducibili ai rapporti di dominio tra le classi: i valori universalmente condivisi sono quelli nei quali una società si riconosce; chi non li accetta, si ritrova di fatto al di fuori di quella civiltà. Sono il risultato di lottecondotte nel lungo periodo. Integrazione e disintegrazione nella sfera dei valori Secondo Parsons, le società stanno insieme perché sono tenute insieme da sistemi di valori sufficientemente integrati e coerenti. Quando sistemi di valori o singoli valori sono in conflitto tra loro, i gruppi che ne sono portatori entrano essi stessi in conflitto, che sarà tanto più aspro quanto minore sarà il numero e l’importanza dei valori condivisi comuni a tutte le parti in lotta. Orizzonte temporale e mutamento nella sfera dei valori Nella nostra società, fortemente influenzata dalla tradizione ebraico-cristiana, l’orizzonte dei valori è sempre stato collocato in un remoto futuro. Ciò ha profondamente influenzato tutte quelle forme di pensiero che si fondano su una filosofia della storia, cioè sull’idea che la storia abbia non solo una fine, ma anche un fine. Per quanto riguarda lo studio del mutamento dei valori nella società contemporanea si può dire che: - Nelle società avanzate e moderne rispetto al passato anche recente si sta allargando il grappolo dei valori universali, vale a dire dei valori che sono condivisi dalla grande maggioranza della popolazione - I sistemi di valori si frammentano, perdono il riferimento a valori ultimi, ma al posto si creano intorno a nuovi valori aree di micro - solidarietà a livello di vita quotidiana e di macro - solidarietà a livello planetario. - Si assiste ad un processo di presentificazione dell’orizzonte di realizzazione dei valori in cui ogni individuo cerca di realizzare il proprio ideale di vita buona nel qui ed ora o almeno nell’arco della propria stessa esistenza. Dai valori alle norme Le norme sono dei mezzi che prescrivono o vietano dei comportamenti in vista di qualche fine o valore, e si presentano essenzialmente come dei vincoli che prescrivono o vietano (obbligazioni) certi comportamenti e che ne consentono altri (permissioni). Possiamo quindi intendere le norme come delle obbligazioni e i valori come delle guide capaci e di orientare i comportamenti nell’ambito consentito dalle norme. Perché si seguono le norme? A differenza delle abitudini, del conformismo o delle norme tecniche, le norme sociali sono tali in quanto i comportamenti che da esse si scostano incontrano invariabilmente qualche forma di sanzione. Le sanzioni possono essere sanzioni esterne o interne. Le sanzioni esterne sono punizioni vere e proprie, mentre le sanzioni interne sono date dal nostro “tribunale interno”, che giudica le nostre azioni e ci fa sentire in colpa quando deviamo da una norma sociale. In generale si può dire che più basso è il grado di interiorizzazione di una norma e quindi il livello delle sanzioni interne, e più affidamento si deve fare sulle sanzioni esterne per fare in modo che la norma venga rispettata. Però si possono seguire le norme per abitudine, conformismo, perché sono un mezzo per raggiungere le nostre mete, perché ci conviene farlo, ma anche perché abbiamo interiorizzato una norma del tutto generale che ci dice che è bene rispettare le norme. Quando qualcuno sa bene che cosa non deve fare ma lo fa ugualmente, si parla di debolezza dellavolontà. Tipi di norme Secondo Rawls, si possono distinguere regole costitutive e regole regolative. Le prime pongono in essere delle attività che non esisterebbero all’infuori delle regole stesse, non ammettono eccezioni e la loro applicazione non richiede in genere un apparato preposto alla loro interpretazione, mentre le seconde indicano ciò che è prescritto o ciò che è vietato nell’ambito di un’attività già costituita e non solo sono più frequentemente violate, ma ammettono eccezioni e consentono in genere ampio spazio all’interpretazione. Un’ulteriore distinzione che è importante fare è quella tra norme implicite e norme esplicite. I codici deontologici stabiliscono i principi e le modalità ai quali si devono attenere gli appartenenti nell’esercizio delle loro attività professionali, sulla base di specifiche etiche professionali. Coerenza e incoerenza dei sistemi normativi Si nota che nei sistemi moderni vi sono situazioni in cui: - Vi è un eccesso di norme, quindi il laico ricorre ad esperti per districarsi nei meandri della legislazione. - Vi sono norme contraddittorie per cui la stessa azione è nello stesso tempo prescritta da una norma e vietata da un’altra (dilemma etico). - Vi è una carenza di norme, l’azione non trova chiari punti di riferimento normativi (Durkheim parla di anomia, cioè una condizione oggettiva della società in situazioni di crisi e di mutamenti rapidi e convulsi dove gli ordinamenti normativi non sono più in grado di incanalare i comportamenti individuali). Il concetto di istituzione Nelle scienze sociali per istituzioni si intendono modelli di comportamento che in una determinata società sono dotati di cogenza normativa. È un significato che riguarda in generale tutti i modelli di comportamento e non solo quelli che si manifestano in apparati e organizzazioni, e inoltre sottolinea come affinché un modello di comportamento possa essere considerato un’istituzione, sia necessaria la presenza di un elemento normativo in qualche misura vincolante. Per organizzazione intendiamo un insieme coordinato di risorse umane e materiali, mentre per istituzione ci riferiamo all’impianto di regole che rendono possibile tale coordinazione. Il processo di istituzionalizzazione Il grado di istituzionalizzazione di un sistema di regole dipende da diversi fattori: dalle forme flessibili o rigide del controllo sociale che ne garantiscono l’osservanza, dal grado di informazione in merito alla loro esistenza che ne hanno gli attori coinvolti, dal grado di accettazione di tali regole da parte della società nel suo complesso, dal tipo e dall’intensità delle sanzioni che premiano la conformità o puniscono la trasgressione, dal grado di interiorizzazione nei codici morali individuali, dal grado in cui le norme vengono fatte osservare oppure no. La fase decisiva del processo di istituzionalizzazione è comunque senz’altro quella delle prime fasi della loro esistenza. Altre istituzioni, invece, sono il prodotto dell’azione di movimenti sociali che si pongono degli obiettivi e mobilitano delle risorse per conseguirli. I tipi di istituzioni Criteri possibili di classificazione delle istituzioni possono essere: a. Il grado di istituzionalizzazione. b. Le forme organizzative nelle quali un’istituzione può esprimersi, il grado di articolazione emdifferenziazione delle stesse e la definizione dei ruoli al proprio interno in relazione agli scambi con l'ambiente c. La frequenza con la quale certe istituzioni compaiono in società diverse. d. I bisogni che un’istituzione soddisfa. Modello AGIL (Parsons) Ogni sistema sociale per esistere deve soddisfare quattro requisiti fondamentali: formulare dei fini (goal attaintment). Funzione politica: garantire la sicurezza esterna e interna, regolare i conflitti d’interesse, definire gli interessi generali. 1. Adattare i mezzi ai fini (adaptation). Funzione economica: assicurare l’approvvigionamento di beni e servizi. 2. Regolare le transizioni tra le sue parti (integration). Funzione normativa: definizione dei diritti e doveri dei singoli, formulazione, interpretazione e applicazione delle norme. 3. Mantenere nel tempo i propri orientamenti di fondo (latency). Funzione di riproduzione biologica e culturale: mantenimento dell’identità, dei valori e degli orientamenti di fondo. Il ciclo di vita delle istituzioni Una caratteristica importante delle istituzioni da un punto di vista sociologico è la loro durata temporale. Simmel mette in evidenza come gli individui e le istituzioni si muovano su orizzonti temporali diversi: i primi vivono in un mondo popolato da istituzioni che preesistono alla loro nascita e sono destinate a sopravvivere alla loro morte; questo spiega come mai gli individui debbano adattarsi alle istituzioni della società nella quale sono nati. Nella dinamica delle istituzioni si possono distinguere due tipi fondamentali di processo: da un lato c’è un approccio istituzionalista, secondo il quale le istituzioni nascono, si sviluppano e muoiono per effetto di processi spontanei (effetto non intenzionale dell’agire, effetto di composizione); dall’altro c’è l’approccio individualista, secondo il quale tali eventi e processi sono imputabili alla volontà specifica di qualche attore. Il mutamento delle istituzioni Ogni istituzione viene vista come un sistema di regole in rapporto con altre istituzioni e quindi con altri sistemi di regole ognuno dei quali mantiene rispetto ad altri un determinato grado di apertura-chiusura. I fattori di mutamento possono essere sia esogeni che endogeni. Le strategie di risposta possono essere rigide, cioè tendenti a conservare l’identità e l’integrità dell’istituzione di fronte alla turbolenza interna o esterna, oppure flessibili, cioè le istituzioni sono in grado di modificare la propria struttura interna e di ridefinire i confini con l’ambiente e quindi l’identità stessa dell’istituzione. Nel lungo periodo l’incapacità di dare risposte flessibili ai mutamenti interni o esterni riduce le possibilità di adattamento e di sopravvivenza di un’istituzione. scolastica trasmette in base al modo in cui viene attuata e al tipo di rapporti sociali nei quali si esplica una serie di modelli di comportamento che si rifanno ai principi di autorità di prestazione di competizione e di cooperazione. Tali principi si ripresentano anche nell’organizzazione del lavoro. Grande importanza nei processi di socializzazione secondaria ha il gruppo dei pari, cioè tra individui che sono formalmente sullo stesso piano e tra i quali non esiste un rapporto sanzionato di autorità o di subordinazione. L’effetto di socializzazione del gruppo sui membri che lo compongono si manifesta in termini di apprendimento dei modelli di azione solidaristica e di azione competitiva. L’agire solidaristico si fonda sul sentimento di appartenenza in virtù del quale i membri di un gruppo sottolineano ciò che li accomuna e quindi li rende uguali; l’agire competitivo si fonda sul sentimento di individualità e tende a differenziare tra di loro i membri del gruppo. La caratteristica che definisce l’esistenza di un gruppo di qualsiasi natura è la presenza di qualche forma di solidarietà che nei casi limite annulla, ma nella maggior parte dei casi controlla e regola la competitività al suo interno, oppure la indirizza verso altri gruppi esterni. L’importanza del gruppo nel processo di socializzazione consiste nel fatto che, mediante l’esperienza di gruppo, l’individuo interiorizzi le norme che regolano la competitività e rendonopossibile la cooperazione. Tra gli agenti di socializzazione secondaria bisogna oggi annoverare anche i mezzi di comunicazione di massa in quanto la loro influenza interferisce e si sovrappone a quella degli altriagenti di socializzazione. I conflitti di socializzazione nelle società differenziate Il processo di socializzazione appare nel complesso come tutt’altro che lineare. Non è possibile dare per scontata la presenza di un’interna coerenza tra le varie agenzie di socializzazione. Tra i vari agenti non c’è coerenza e l’azione di ogni singolo agente non è coerente: questo può portare al conflitto. Non esiste un programma prestabilito che modella i comportamenti umani in modo unitario e coerente al fine di produrre la gamma di tipi sociali richiesta in una società data in un determinato momento storico. Lo spazio di scelta non si riduce mai a zero. È l’individuo stesso a dover gestire l’inevitabile conflitto che in una società si produce tra le varie agenzie di socializzazione, ma è proprio questa possibilità che garantisce l’esistenza di uno spazio di libertà per l’individuo e definisce i confini della sua facoltà di indirizzare il processo della propria socializzazione e di costruire la propria identità. Capitolo 7 Linguaggio e comunicazione Il problema delle origini del linguaggio Origine del linguaggio: Ipotesi monogenetica: le lingue attuali sono prodotte per differenziazione da un’unica lingua. Ipotesi poligenetica: pluralità dei ceppi linguistici originari. Secondo Chomsky, le analogie strutturali che si riscontrano in tutte le lingue fanno ritenere che vi sia una grammatica universale innata, fatta di regole che permettono di collegare il numero limitato di fonemi che gli organi vocali della specie umana sono in grado di produrre. È possibile affermare che vi sia una base biologica del linguaggio nel patrimonio genetico della specie umana. Le funzioni del linguaggio: pensare e comunicare Il linguaggio nasce insieme al pensiero. Le prime parole usate dagli uomini sono costruite imitando i suoni naturali. Nei bambini possiamo rintracciare i modi di esprimersi di un’umanità ad uno stadio primitivo. Non possiamo pensare senza linguaggio e quindi attraverso il linguaggio possiamo accedere al funzionamento della mente. Pensare qualcosa vuol dire nominarla, cioè stabilire un rapporto tra un significante e un significato. Il linguaggio non serve solo a pensare il mondo, ma anche a comunicare ad altri il nostro pensiero e a ricevere dagli altri i messaggi nei quali è formulato il loro pensiero. Accanto alla funzione cognitiva c’è la funzione comunicativa del linguaggio. Affinché abbia luogo un atto comunicativo devono essere presenti: - Un emittente: traduce quello che deve comunicare in una serie di segni o suoni seguendo le prescrizioni del codice del canale usato. - Un ricevente: utilizzare un linguaggio analogo per decifrare il messaggio. - Un canale: voce, scritto, gesto, immagine. - Un messaggio. - Un codice: condiviso da emittente e destinatario. La variabile dei linguaggi umani nello spazio e nel tempo Scuola strutturalista Gli appartenenti a questa scuola studiano la lingua in sé e per sé come un sistema strutturato di parti interdipendenti che rispondono a una serie di regole astratte. Essi sostengo la presenza in ogni lingua di elementi stabili, i tratti fondamentali della grammatica e della sintassi, detti anche universali linguistici, e di elementi di natura convenzionale e fondamentalmente arbitrari, ossia gli elementi lessicali e semantici Scuola romantica Essi vedevano nella lingua l’espressione più genuina dello spirito di un popolo, il fondamento della sua identità collettiva e quindi erano portati a mettere in evidenza ciò che differenzia una lingua dalle altre piuttosto che ciò che le rende simili. La semantica prende il sopravvento sulla sintassi. La lingua è vista come un fattore di differenziazione culturale che stabilisce dove sono i confini della nazione intesa come la comunità dei parlanti ha la stessa lingua e sul quale si fonda quindi il senso di appartenenza alla collettività del “noi”, distinta dal “loro”, cioè coloro che parlano un altro idioma. Ogni lingua è costantemente sottoposta a pressione, sia per effetto dell’influenza esercitata dalle culture delle popolazioni con le quali una popolazione entra in contatto sia per effetto della costante necessità di modificarsi per poter esprimere in modo adeguato le trasformazioni subite dalla comunità dei parlanti. La variabilità sociale della lingua Tra le varie informazioni che trasmettiamo al nostro interlocutore vi è anche la nostra collocazione nello spazio socio culturale, vale a dire nella stratificazione sociale. Vi sono differenze significative nei modi di esprimersi degli appartenenti alle diverse classi sociali. Labov si occupò degli aspetti fonetici, analizzando la stratificazione sociale dell’inglese parlato a New York. Bernstein si dedicò alla forte discrepanza tra le forme di comunicazione richieste dalla scuola e le pratiche linguistiche spontaneamente adottate dagli alunni appartenenti alla classe operaia e alla classe media: mentre i primi venivano penalizzati, i secondi erano favoriti per via della congruenza tra codice comunicativo acquisito spontaneamente e codice comunicativo trasmesso dall’istituzione scolastica. Solitamente gli appartenenti alla classe media utilizzano un linguaggio molto rigoroso e corretto per differenziarsi dai ceti popolari e per essere accettati dai ceti superiori ai quali si aspira di appartenere. Per quanto riguarda il rapporto tra linguaggio e genere, vi è diversità tra linguaggio maschile e linguaggio femminile. Soprattutto nei tempi passati si differenzia anche tra linguaggio urbano e linguaggio contadino. L’acquisizione di un sapere specialistico comporta inevitabilmente l’acquisizione di un linguaggio specialistico, il quale richiede un lungo periodo di addestramento e serve alla comunicazione all’interno della cerchia ristretta degli esperti. Il linguaggio specialistico garantisce la comunicazione tra gli addetti ai lavori e funge da barriera d’accesso ai saperi che vengono veicolatiper loro tramite. Tipi di linguaggio: privato, pubblico, orale e scritto Il linguaggio presenta forme differenti (per esempio nel registro usato) tra linguaggio privato e linguaggio pubblico. Il primo è molto più calato nella dimensione del “qui” e “ora”, si presta maggiore attenzione ai segnali di approvazione o disapprovazione degli interlocutori e lo scopo è quello di farsi capire dalle persone con le quali si sta parlando; il secondo, formale e impersonale, è rivolto ad un pubblico e chi lo adopera presta un maggiore controllo formale nella formulazionedel messaggio. Differenze maggiori sono ancor più macroscopiche a seconda che la comunicazione avvenga in forma orale oppure in forma scritta. La differenza fondamentale consiste nel fatto che, nella comunicazione orale, al di là del contenuto e della forma del messaggio, si aggiungono una serie di elementi metacomunicativi (il tono della voce, le pause, i gesti) che sono assenti nella comunicazione scritta. Linguaggio e interazione sociale La comunicazione verbale segue sempre determinate regole che dipendono dal contesto nel quale avviene l’interazione e dalla posizione sociale relativa degli interlocutori. La distanza sociale tra gli interlocutori è una variabile importante per cogliere i fatti di comunicazione. In contesti altamente formalizzati vi sono regole molto precise su chi ha il diritto di iniziare, interrompere e concludere l’interazione. Quando ci si ritrova in situazioni asimmetriche, nel rivolgersi a superiori si utilizzano espressioni di rispetto e di deferenza, le quali vengono evitate nel momento in cui si rivendica uno status paritario o meno asimmetrico. Nell’interazione tra pari che si riconoscono come tali, l’interazione non è deformata dalle differenze di status e c’è maggiore reciprocità Le comunicazioni di massa Storicamente il concetto di massa veniva associato ad attributi negativi: la massa è amorfa (priva di forma), anonima e atomizzata (composta da individui privi di individualità), fondamentalmente passiva e manipolabile da influenze esterne. Essa diventa protagonista nel momento in cui è guidata da qualcuno in grado di influenzarle: due esempi fondamentali sono i grandi totalitarismi del XX secolo e il “mercato di massa” di beni standardizzati di largo consumo. La teoria critica della società è una tradizione di pensiero orientata in modo critico nei confronti della cultura di massa e dei mezzi di comunicazione che la veicolano: questi ultimi vengono considerati strumenti di manipolazione che possono avere sia fini di profitto (creazione di “falsi bisogni”) sia fini di controllo politico. I maggiori esponenti di questa teoria appartengono alla Scuola di Francoforte (Marcuse, Horkheimer, Adorno). Queste interpretazioni sono state ampiamente criticate per la loro unilateralità. “Massa” è stato sostituito con il termine “audience”, e le comunicazioni di massa esercitano effetti differenti nei confronti dell’audience per via dei rigorosi passaggi di selezione che le notizie attraversano per diventare dei messaggi e per via delle ulteriori selezioni da parte dei destinatari a cui vengono sottoposti i messaggi confezionati. Secondo Lasswell, per descrivere e spiegare un atto comunicativo è necessario rispondere alle domande: - Chi? Emittente: organizzazione complessa che opera in un contesto determinato, con una propria gerarchia e proprie forme di divisione dei compiti; al suo interno si sviluppa un processo decisionale su che cosa, quando e come trasmettere. - Dice che cosa? Contenuto dei messaggi trasmessi. - Attraverso quale canale? Tipo di mezzo e tipo di linguaggio utilizzato. - A chi? Definizione dei destinatari e delle loro caratteristiche. - Con quale effetto? Risposte comportamentali dei destinatari. L’effetto varia a seconda della segmentazione del pubblico lungo le consuete dimensioni sociodemografiche e delle reti di relazioni nelle quali gli individui sono inseriti. Il pubblico è composto da individui che vivono in contesti di relazione, e la comunicazione circola attraverso le reti sociali: i contenuti dei messaggi possono essere rafforzati o indeboliti a seconda del tipo di rapporti tra le persone. Katz e Lazarsfield parlano di flusso di comunicazione a due stadi, dal momento in cui le relazioni di gruppo sono l’elemento intermedio tra emittente e ricevente. Lazarsfield ha analizzato gli effetti sul comportamento di voto nella propaganda elettorale da parte di opinion leader, ossia delle persone che influenzano i modi di selezione, ricezione e interpretazione dei messaggi. Per quanto riguarda l’influenza dei media sui comportamenti politici, il ruolo crescente assunto dalla televisione sulle campagne elettorali ha posto il problema delle regole per garantire a tutte le forze politiche la parità di accesso all’uso della comunicazione televisiva e il problema relativo all’efficacia effettiva dei messaggi propagandistici nell’influenzare il comportamento elettorale: a proposito di questo ultimo punto, tale efficacia è quasi nulla nei confronti di elettori che hanno già sviluppato un orientamento definito, mentre è più consistente nei confronti degli incerti e di coloro che hanno uno scarso interesse per le questioni politiche. Anche nelle decisioni d’acquisto la pubblicità ha un’influenza importante, ma questi sono processi complessi e l’esposizione ai messaggi dei media è uno dei fattori che le condizionano. Infine, diversi studi sul rapporto media-violenza hanno dimostrato come l’esposizione prolungata e ripetuta a scene di violenza nell’infanzia possa veicolare modelli culturali che inducono all’uso della violenza reale. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il terzo millennio è caratterizzato dal dominio della comunicazione digitale e delle ICT (Information and Communication Technologies). Attraverso la telematica e il world wide web l’utente è libero di scegliere a piacimento tra un’infinita gamma di informazioni contenute in banche dati. Le caratteristiche dei nuovi media sono: La teoria della subcultura La devianza, come la conformità, si apprende dall’ambiente in cui si vive. Si impara dagli altri: una persona commette un reato perché si è formata in una subcultura criminale. Shaw e McKay condussero uno studio sulla città di Chicago; in alcuni quartieri vi erano norme e valori favorevoli a certe forme di devianza, e questo patrimonio culturale veniva trasmesso anche ai nuovi arrivati nell’interazione che aveva luogo nei piccoli gruppi e nelle bande di ragazzi. Secondo Sutherland, il comportamento deviante non è né ereditario né inventato dall’attore, ma appreso attraverso la comunicazione con altre persone. Il processo di apprendimento avviene di solito all’interno di piccoli gruppi, e riguarda sia le motivazioni per commettere un reato sia le tecniche per farlo. Chi commette un reato lo fa perché si conforma alle aspettative del suo ambiente: ad essere deviante non è l’individuo, ma il gruppo a cui egli appartiene. Gli individui non violano le norme del proprio gruppo, ma solo quelle della società generale. La teoria dell’etichettamento Per capire la devianza è necessario tenere conto anche della creazione e dell’applicazione delle norme, del sistema giudiziario e delle altre forme di controllo sociale. Lemert afferma che sia il controllo sociale a dare luogo alla devianza; Becker sostiene che la devianza sia una conseguenza dell’applicazione di norme e di sanzioni da parte di altri nei confronti di un “colpevole”, al quale l’etichetta di deviante è stata applicata con successo, quindi un comportamento deviante è un comportamento che la gente etichetta come tale. Lemert distingue tra devianza primaria e secondaria: con la prima espressione ci si riferisce a quelle violazioni delle norme che hanno agli occhi di colui che le compie un rilievo marginale e che vengono di conseguenza presto dimenticate; si ha devianza secondaria quando l’atto di una persona suscita una reazione di condanna da parte degli altri, che lo considerano un deviante, e questa persona riorganizza la sua identità ed i suoi comportamento sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto. La teoria della scelta razionale I sostenitori della teoria della scelta razionale considerano invece i reati come il risultato di un’azione intenzionale adottata attivamente dagli individui. Secondo questa teoria, coloro che si dedicano ad un’attività illecita non sono sostanzialmente diversi dagli altri: chi compie un reato lo fa perché si attende benefici maggiori rispetto a quelli che avrebbe se investisse il suo tempo in attività lecite. Chi trasgredisce la legge va incontro a vari tipi di costo: - Costi esterni pubblici: sono dati dalle sanzioni legali inflitte dallo stato e dalle conseguenze negative che queste hanno sulla reputazione sociale. - Costi esterni privati: sono i cosiddetti costi di attaccamento che derivano dalle sanzioni informali degli altri significativi dalle loro critiche, dalla loro condanna. - Costi interni: nascono dalla coscienza che fa provare al trasgressore sensi di colpa e di vergogna. Forme di criminalità L’attività predatoria comune Con questa espressione ci si riferisce a quell’insieme di azioni illecite condotte con la forza o con l’inganno per impadronirsi dei beni mobili altrui che comperano un contatto fisico diretto fra almeno uno di coloro che compiono l’azione e una persona o un oggetto. Tra questi reati troviamo quelli compiuti di nascosto con il raggiro e quelli commessi con la violenza. Questi sono diversi tra loro per la gravità e per la severità delle sanzioni che la legge commina a chi li commette, per la loro redditività, per il tipo di forma associativa che incoraggiano fra i soggetti attivi e per il grado di complessità della divisione del lavoro fra loro. Gli omicidi La più importante distinzione da fare è fra omicidio colposo e doloso. Il primo è quello non voluto dall’agente e che si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Doloso viene chiamato l’omicidio di chi agisce con la volontà di uccidere. Quest’ultimo viene a sua volta distinto in premeditato e occasionale. Mutamenti nel tempo degli omicidi Elias parla di processo di civilizzazione: durante periodi di profonda insicurezza e confusione, come il Medioevo, il tasso di omicidi era alto, poiché vi era una pluralità di poteri sovrani in concorrenza e in lotta fra loro. Il tasso di omicidi inizia a calare con l’instaurazione del monopolio della violenza legittima da parte dello Stato. L’aumento di omicidi nei periodi post-bellici è stato individuato in base a tre teorie: - Fattori di disorganizzazione sociale, cioè la perdita della casa, rapidi e imponenti spostamenti migratori, rottura dei matrimoni, disgregazione delle famiglie. - Fattori di natura economica, in virtù della scarsità di beni e disoccupazione. - Legittimazione della violenza fornita dal governo durante la guerra. L’ultima spiegazione ha trovato maggiore sostegno nei risultati delle ricerche condotte. I reati dei colletti bianchi Sono i reati commessi da una persona rispettabile e di elevata condizione sociale nel corso della sua occupazione. Ci sono due gruppi di tali delitti: 1. Reati nell’occupazione, commessi da individui nello svolgimento del loro lavoro per ricavarne un vantaggio personale, essi sono: - Insider trading: speculazione sui titoli di una società attuata da chi dispone di informazioni riservate, in quanto socio di tale società o per ragioni di ufficio. - Concussione: abusando dei suoi poteri, un pubblico ufficiale induce qualcuno a dare del denaro a lui o ad un’altra persona. - Corruzione: abuso di potere di un agente pubblico al fine di trarne vantaggi personali, siano essi di natura monetaria o riguardanti il potere o lo status. - Tangente: comportamento illecito fornito in cambio di un pagamento monetario. - Appropriazione indebita: furto di risorse da parte di coloro che hanno la responsabilità di amministrarle. - Frode: reato economico implicante truffa, inganno, falsificazione deliberata, manipolazione o appropriazione dell’informazione. - Estorsione: denaro, favori o risorse ottenuti utilizzando la violenza, la coercizione o il ricatto. - Favoritismo: abuso di potere implicante una distribuzione delle risorse corrotta, quindi una violazione dell’efficienza allocativa. - Nepotismo: forme speciali di favoritismo dove le decisioni sono distorte in favore dei membri della propria famiglia o del proprio clan. 2. Reati di organizzazione, compiuti in nome e per conto di un’organizzazione, essi sono: Frodi di vario tipo commesse da aziende private o pubbliche. Quelli che mettono a repentaglio la salute e la vita di milioni di cittadini. La criminalità organizzata La criminalità organizzata è un insieme di imprese che forniscono beni e servizi illeciti e che si infiltrano nelle attività economiche lecite. Il tipo di beni e servizi illeciti forniti varia a seconda dei Paesi, mentre l’infiltrazione nelle attività legittime avviene costringendo con la forza le imprese ad azioni che non compirebbero. Le varie organizzazioni criminali che operano nel mondo hanno strutture interne diverse: la Yakuza giapponese si avvicina al modello organizzativo formale, mentre in Cosa Nostra le relazioni di parentela conservano una notevole importanza. Il reclutamento dei membri dell’organizzazione è basato spesso su criteri molto selettivi e avviene attraverso un rito di iniziazione. Gli autori dei reati e le loro caratteristiche La classe sociale Tra classe sociale e criminalità non vi è alcuna relazione o ve ne è una assai debole; la relazione tra classe sociale e tendenza a violare una norma è tanto più forte quanto più è grave il reato. Il genere In tutti i Paesi è molto più probabile che sia un maschio piuttosto che una femmina a violare una norma penale. Quanto più il reato è grave, tanto più è facile che a compierlo sia un uomo. A partire dagli Anni settanta la criminalità femminile è aumentata molto più di quella maschile: secondo alcuni, e questa è la tesi che trova maggior conforto nei dati, questo è avvenuto solo nell’ambito dei reati contro il patrimonio ed è dovuto alle grandi trasformazioni che vi sono state nell’economia e nella società, le quali hanno creato nuove occasioni di illeciti penali. L’età Quételet riuscì a ricavare dai suoi dati una vera e propria legge di sviluppo della tendenza al crimine, che valeva per tutti i Paesi europei: questa tendenza cresce molto rapidamente verso l’età adulta, raggiunge un massimo e in seguito decresce lentamente fino agli ultimi anni di vita. La tendenza a violare le norme penali varia molto a seconda della fase del ciclo di vita. Inoltre, i dati di cui disponiamo fanno pensare che nei Paesi in via di sviluppo l’età a cui si rubo o si uccide sia un po’ più elevata che in quelli industrializzati. Devianza e sanzioni In ogni società la conformità alle norme viene mantenuta attraverso l’uso o la minaccia di sanzioni. Oltre che negative o positive le sanzioni possono essere formali o informali, severe o lievi. Vengono dette formali quelle comminate da gruppi o organi specializzati (polizia, magistratura) ai quali è stato affidato il compito di assicurare il rispetto delle norme. Informali sono invece quelle spontanee o poco organizzate provenienti dai familiari, gli amici, i colleghi di lavoro, i vicini, i conoscenti. La severità delle sanzioni dipende fra l’altro dalla gravità dell’infrazione commessa: se una persona viola il diritto penale, si dice che commette un reato. Se invece non rispetta le altre leggi, si parla di illecito civile o amministrativo. Per il reato è prevista una pena, cioè una sanzione che può limitare la libertà personale dell’individuo. Nel caso invece degli altri illeciti giuridici, la sanzione incide prevalentemente sul patrimonio di chi li ha commessi. Sistemi di punizione Fra le varie società vi sono state grandi differenze per quanto riguarda il tipo di sanzioni usate contro i trasgressori delle norme. In alcune comunità vigeva il sistema della faida, ossia la vendetta da parte della vittima del reato o della sua famiglia nei confronti del reo; nel diritto romano si seguiva il principio del taglione. I trasgressori della legge sono stati puniti con sanzioni pecuniarie, l’espulsione dalla comunità, pene corporali, tortura o con la pena capitale. In passato l’esecuzione della pena di morte avveniva di solito in pubblico, con un cerimoniale preparato con grande sapienza, e richiamava enormi masse di persone. Nel Settecento gli Stati europei hanno iniziato ad abolire la tortura, fino ad allora molto diffusa (primi Paesi: Inghilterra e Scozia). Il numero dei mezzi impiegati per uccidere un condannato si è ridotto: negli ultimi due secoli i più usati sono stati la ghigliottina, l’impiccagione, la fucilazione, la sedia elettrica e la camera a gas. In molti Paesi la pena di morte è stata abolita (1826: Finlandia; Italia: 1889 dal codice Zanardelli, reintrodotta nel 1926, abolita nel 1948), ma è ancora in vigore in 57 Paesi, tra cui Stati Uniti, Giappone, India e Cina (dove le esecuzioni sono ancora pubbliche). Il carcere come strumento per colpire i trasgressori è stato introdotto in Europa nella seconda metà del Settecento e si è affermato pienamente nel XIX secolo Capitolo 11 Stratificazione e classi sociali La stratificazione sociale è il sistema delle disuguaglianze strutturali della società. Definiamo uno strato come un insieme di individui che gode della stessa quantità di risorse o occupa la stessa posizione nei rapporti di potere. Anche nelle società più semplici ci sono disuguaglianze strutturate sul genere o sull’età, gli uomini hanno più prestigio e potere delle donne, le persone anziane più dei giovani. Ci sono società sostanzialmente egualitarie dal punto di vista delle risorse materiali e simboliche di cui dispongono le famiglie: sono quelle di caccia e di raccolta e le orticole. Soprattutto nelle prime, questo è dovuto: 1. Al nomadismo (= ostacola l’accumulazione di risorse) 2. L’applicazione del principio di reciprocità (= porta a condividere con gli altri le proprie risorse nella speranza che loro facciano lo stesso) Il sociologo Lenski : - Ha osservato che le società industriali hanno un grado di disuguaglianza maggiore di caccia e di raccolta, ma minore di quella agricola che le ha precedute - La forma a campana della disuguaglianza dipende dalle dimensioni del surplus economico e dalla concentrazione del potere politico (le disuguaglianze crescono all’aumentare del surplus economico) Perché vi siano famiglie che hanno più di altre basta superare la fase dell’economia di sussistenza, ma la disuguaglianza cresce all’aumentare della concentrazione del potere politico, la cui curva è anch’essa a campana e raggiunge il massimo nelle società agricole, per diminuire in quelle industriali in cui si verifica una rivoluzione politica che attribuisce maggior potere ad una parte consistente della popolazione. Le classi nelle società moderne Nascono dalla rivoluzione francese e sono basate sull’ uguaglianza di diritto , ma non di fatto dei membri. Possiamo distinguere due schemi di classificazione. Categorie di reddito : proposta dall’economista Labini in cui si distinguono : a. Rendita (proprietari fondiari) b. Profitto (capitalisti) c. Salari (operai) Sulla base delle categorie di reddito ha poi distinto 5 classi sociali: - Borghesia (rendite di proprietari di fondi rustici e urbani, redditi misti : cioè di lavoratori autonomi \ imprenditori) - Piccola borghesia relativamente autonoma (redditi misti : coltivatori diretti, artigiani e commercianti) - Classe media impiegatizia ( impiegati pubblici e privati) - Classe operaia ( braccianti e operai in industria) - Sottoproletariato ( disoccupati) Situazione di lavoro e situazione di mercato: proposta dal sociologo Goldthorpe. Situazione di lavoro: la posizione nella gerarchia organizzativa e relazioni sociali degli individui in una data posizione occupazionale. Distingue tra: - imprenditori : usano il lavoro altrui - lavoratori autonomi: usano il loro lavoro - lavoratori dipendenti: vendono il loro lavoro Situazione di mercato: vantaggi e svantaggi di cui godono i titolari di vari ruoli lavorativi (reddito, stabilità del posto ecc.) - Classe I: persone che svolgono un’occupazione ad alto reddito . - Classe II : professionisti di livello inferiore - Classe III: impiegati di livello superiore e inferiore - Classe IV: piccola borghesia urbana e agricola( autonomia di lavoro) - Classe V : tecnici di livello più basso e supervisori del lavoro manuale. - Classe VI : operai specializzati - Classe VII : operai non qualificati (Goldthorpe non prevede il sottoproletariato). Alcuni grandi mutamenti All’inizio del XIX secolo, in Europa, la maggior parte della popolazione faceva parte di due classi principali: quella dei braccianti e quella dei coltivatori proprietari. Il declino di queste classi si è avuto con il processo di industrializzazione che ha fatto nascere la classe operaia di fabbrica. Questi processi sono avvenuti in tutti i paesi occidentali, ma in tempi diversi. Il declino delle classi agricole, l’espansione e la contrazione della classe operaia di fabbrica sono iniziati prima in Inghilterra e in altri paesi dell’Europa settentrionale. Essi hanno avuto luogo più tardi in quella meridionale. Diverso è stato l’andamento della classe media impiegatizia. Dimensioni minuscole alla fine dell’Ottocento, essa ha avuto fino ad oggi in tutti i paesi occidentali un rapido e continuo sviluppo, tanto da diventare in alcuni di essi la classe più numerosa. L’espansione di questa classe è riconducibile a molti fattori: la crescente divisione del lavoro nell’impresa capitalistica, l’estendersi delle funzioni dello stato, lo sviluppo del sistema scolastico e più in generale del welfare state. Cambiati sono anche i confini e le relazioni fra la classe media impiegatizia e quella operaia industriale. Vi sono somiglianze e differenze fra di esse. Nessuna delle due possiede i mezzi di produzione e per vivere devono vendere la loro forza lavoro sul mercato. Ma la loro condizione di lavoro è diversa, gli operai svolgono mansioni “sporche” (colletti blu), per i quali non serve un lungo periodo di addestramento; gli impiegati svolgono funzioni di direzione, pianificazione, controllo e amministrazione che richiedono una buona qualificazione (colletti bianchi). Ultimamente queste differenze nelle condizioni di lavoro sono diminuite grazie ai mutamenti tecnologici, che hanno reso il lavoro degli operai meno gravoso. Altri mutamenti nella stratificazione sociale hanno a che fare con i processi di proletarizzazione. Questa espressione viene usata per indicare il passaggio di una o più persone dalla piccola borghesia al proletariato, cioè dalla condizione di lavoratore autonomo, proprietario dei mezzi di produzione, a quella di lavoratore salariato, dipendente da un imprenditore pubblico o privato. Non sono mancati anche i processi di deproletarizzazione, di passaggio cioè dalla condizione di bracciante o di operaio di fabbrica a quella di lavoratore autonomo. In Italia è avvenuto questo durante il periodo fascista, con la promozione della piccola proprietà contadina. Ma processi analoghi sono avvenuti negli ultimi trent’anni in molti paesi occidentali. Secondo alcuni studiosi, questa tendenza è stata più forte nei paesi con alti tassi di disoccupazione (Italia, Irlanda, Spagna,Gran Bretagna e Belgio). Borghesia e proletariato nei servizi Si è riscontrata un’ampia divaricazione sociale: in alto espansione continua di dirigenti e professionisti, in basso c’è una nuova classe di persone che svolge lavori a basso livello di qualificazione nei servizi del consumatore (soprattutto giovani e donne): i macjobs (McDonald’s). La sottoclasse è costituita da persone che sono in perenne stato di povertà e dipendono dalla pubblica assistenza. Ci sono due concezioni prevalenti : quella culturalista per la quale la sottoclasse è divisa in ragazze madri, persone espulse dal mercato del lavoro, delinquenti : che vivono tutti in un atteggiamento di rassegnazione e quella strutturalista che sostiene vi sia una debolezza di fondo dell’ economia che causa la mancanza di posti di lavoro. Riguardo al concetto di classi i sociologi sono divisi : ci sono quelli convinti che ormai sia superato, mentre altri che ritengono che sia un criterio significativo di strutturazione delle disuguaglianze e che influisca sulla vita di un individuo. La distribuzione dei redditi Se la divisione in classi sociali avesse perso gran parte della sua importanza, non vi sarebbe più una forte disuguaglianza nella distribuzione delle risorse economiche fra gli individui e le famiglie. Affrontando questa questione, bisogna tenere distinto il reddito e il patrimonio. Il primo è quello che gli individui e le famiglie ricavano dalle più varie fonti (salari, profitti, rendite). Il patrimonio invece è costituito da tutti i beni mobili e immobili posseduti dagli individui o dalle famiglie. Le ricerche che sono state condotte riguardano più il primo che il secondo aspetto. Uno dei metodi che esse hanno più frequentemente usato per misurare la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse economiche consiste nel calcolo del cosiddetto coefficiente di Gini (demografo italiano che l’ha proposto), che viene espresso in una scala che va da 0 (perfetta uguaglianza) a 1 (massima disuguaglianza) e si è riscontrato che è maggiore nei paesi più poveri e più contenuta nei paesi nordici. Ciò è riconducibile a: - diminuzione della domanda di operai poco qualificati (e maggiore di quella di impiegati) aumento del tasso di attività delle donne (passaggio dalla fascia media a quella alta) - crescita del numero di divorzi (madri e figli dallo stato medio a quello basso) Durata della vita: Una ricerca in Gran Bretagna condotta negli anni ’20 ha mostrato che la quota di persone che moriva era tanto più alta, per ogni età, quanto più bassa la classe sociale. Ma dei mutamenti hanno fatto pensare che ciò fosse scomparso: - miglioramento delle condizioni abitative e alimentari di tutte le classi sociali - malattie infettive non letali come un tempo - assistenza sanitaria estesa a tutti. Altre ricerche invece mostrano che questo legame tra classe e durata della vita è ancora molto forte per condizioni di lavoro, di vita, sovraffollamento, malnutrizione , ecc. Ma bisogna notare che le persone delle classi inferiori lavorano in ambienti pericolosi, inquinanti e hanno spesso abitudini dannose ( anche nell’alimentazione : poca carne e poco pesce, tanti amidi e zuccheri) e hanno un accesso minore ai servizi sanitari di quali Capitolo 12 La mobilità sociale La mobilità sociale consiste in ogni passaggio di un individuo da un ceto, strato o classe sociale ad un altro. Si distingue per quanto riguarda la mobilità individuale in: - Mobilità orizzontale: passaggio da una posizione sociale ad un’altra dello stesso livello Mobilità verticale: spostamento da una posizione più alta ad una più bassa o viceversa Mobilità di lungo raggio: tra strati o classi lontani - Mobilità di breve raggio: tra strati o classi contigue - Mobilità intergenerazionale: confronto la posizione della famiglia di un individuo con quella dell’individuo - Mobilità intragenerazionale: posizione che l’individuo aveva entrato nel mercato del lavoro e 10 anni dopo - Mobilità assoluta: n complessivo di persone che si spostano da una classe all’altra - Mobilità relativa : grado di uguaglianza delle possibilità di mobilità dei membri delle varie classi. Del tutto diversa è la mobilità collettiva ovvero i movimenti in alto o in basso di un gruppo. Si parla di: - Fluidità sociale: l’apertura della società, le opportunità che le persone hanno di raggiungere le varie posizioni nel sistema di stratificazione - Formazione e azione delle classi: una classe diventa una formazione stabile quando coloro che ne fanno parte condividono valori, idee , stili di vita e hanno interessi comuni. Secondo Sorokin (colui che negli anni ’20 svolgerà il primo studio sulla mobilità sociale, è però un’indagine d’élite) in ogni classe c’è una componente fluida e una permanente. La mobilità nelle società non contemporanee - L’India e le caste: per Weber la casta è un ceto chiuso nel quale non è possibile alcuna forma di mobilità né intra ne intergenerazionale, la religione indù ammette tuttavia una forma di mobilità: quella da una vita all’altra( l’anima trasmigra dopo la morte in un vegetale, uomo o animale a seconda della condotta). Sorokin sostiene che in nessuna società la mobilità è del tutto assente. La mobilità ascendente collettiva era accompagnata da pratiche di giustificazione simbolica, questa è la "sanscritizzazione" processo con cui gli appartenenti ad una casta inferiore cambiano costumi, rituali e ideologia in favore di quelli della casta superiore - La Cina e il sistema degli esami: per molti secoli insieme al culto degli antenati aveva spiccata importanza il sistema degli esami dal quale dipendeva il rango sociale. L’accesso al rango più elevato era agevole rispetto alle società europee pre-industriali, ma richiedevano comunque tante risorse per la loro preparazione che le persone provenienti dai ceti più bassi non avevano quasi alcuna possibilità di superarli - Le società di antico regime:La mobilità relativa in passato era minore di oggi: l’eredità paterna andava unicamente al primogenito (maschio) che quindi era l’unico a restare nello stesso ceto del padre, per non rischiare il declassamento alcuni non si sposavano , mentre altri sceglievano la carriera religiosa. Grazie al fenomeno di circolazione dei giovani tra le famiglie e quello dell’emigrazione (che prevedevano un ritorno alle origini) era notevole la mobilità individuale assoluta e intragenerazionale, ma non mancava anche la mobilità intergenerazionale : nell’aristocrazia non si entrava solo con la nascita e non si usciva solo con la morte ( declassamento li faceva diventare “ poveri vergognosi “ ovvero non potevano elemosinare, né lavorare senza perdere l’onore). Mobilità intra e intergenerazionale non dipendono dalla chiusura nei ceti elevati, ma dalle lorodimensioni. L’industrializzazione e lo sviluppo economico Le più importanti teorie sulla mobilità sono 5: la prima, la seconda e la quinta si riferiscono sia alla mobilità assoluta che a quella relativa, le restanti solo a quella assoluta. - Teoria liberale dell’industria: il passaggio dalla società preindustriale a quella industriale è stato accompagnato da un aumento di mobilità(assoluta e relativa) e continua tuttora man mano che prosegue lo sviluppo economico. - I sostenitori di questa teoria sono in disaccordo con quelli della prima: i livelli di mobilità sociale eccezionalmente elevati nei paesi sviluppati sono dovuti a fattori culturali (usa) o politici ( Urss e paesi sovietici). - Teoria di Sorokin: risalendo indietro nel tempo non si scorge una tendenza costante, ma continue fluttuazioni, un alternarsi di ondate di maggiore mobilità e cicli di immobilità ciò a causa di fattori esogeni (rivoluzioni, guerre, invasioni) che provocano un aumento del tasso di mobilità e fattori endogeni che spingono in senso inverso. - Teoria di Lipset e Zettemberg: a. l’andamento della mobilità sociale è simile nelle società industriali occidentali b. la forte mobilità assoluta presente è una caratteristica dell’industrializzazione. Secondo i due studiosi la mobilità cresce con lo sviluppo economico, ma parlano di un effetto sogli : la mobilità diventa elevata quando l’espansione economica di alcune società raggiunge un determinato livello. - La teoria di Featherman, Jones, Hauser: per quanto riguarda la mobilità assoluta ci sono sostanziali differenze tra i paesi sviluppati, ciò dipende da fattori esogeni(di carattere economico, tecnologico, demografico). Per quanto riguarda la mobilità relativa essa è la stessa in tutti i paesi sviluppati e non cresce parallelamente al loro sviluppo economico. Mobilità sociale assoluta in Italia: Negli anni ’80 in seguito ad una ricerca sul tasso di mobilità intergenerazionale si è arrivati alla conclusione che possibili itinerari sociali sono: - Immobili : coloro che restano nella stessa classe del padre ( né mobilità intra, né inter) - Mobili con ritorno alle origini : quando entrano nel mercato del lavoro hanno una posizione diversa da quella del padre, ma dopo alcuni anni si ritrovano al punto di partenza ( mobilità intra) - Mobili all’entrata nella vita attiva: posizione diversa da quella del padre e vi restano (mobilitàinter) Il cervello Recentemente, le differenze fra gli uomini e le donne sono state ricondotte non alle dimensioni, ma alla cosiddetta lateralizzazione del cervello o alla asimmetria emisferica. Nel cervello vi sono due diversi emisferi, uno destro e l’altro sinistro, connessi da una fascia di fibre nervose detta corpo calloso e ciascuno di questi si specializza in certi compiti. L’emisfero sinistro, che controlla la parte destra del corpo, è più importante per il linguaggio e per le attività motorie. L’emisfero destro, da cui dipende la parte sinistra del corpo, è responsabile di alcune funzioni spaziali come la capacità di visualizzare oggetti, di distinguere una persona dall’altra, di percorrere mentalmente un labirinto, di capire e utilizzare carte topografiche. Ora, secondo alcuni studiosi, nella donna prevale l’emisfero sinistro (punteggi elevati nei test di scioltezza verbale), negli uomini invece quello destro (si riesce meglio in matematica e si può soffrire di balbuzie). Nessuno è riuscito finora a dimostrare che l’emisfero sinistro è più sviluppato nel cervello della donna e il destro in quello dell’uomo. Gli ovuli e gli spermatozoi A causa delle loro differenze biologiche, le donne e gli uomini hanno strategie riproduttive distinte. La femmina è specializzata nella produzione di uova, il maschio invece in quella di spermatozoi. Ma fra questi due tipi di cellule sessuali vi sono grandi differenze (la donna può produrre al massimo quattrocento uova, l’uomo milioni di spermatozoi, la donna può essere fecondata una volta e non più durante la gravidanza, mentre l’uomo può fecondare centinaia dipartner contemporaneamente). Da questa diversa capacità riproduttiva derivano le principali diversità esistenti fra gli uomini e le donne negli atteggiamenti e nei comportamenti nei confronti degli appartenenti allo stesso e all’altro sesso e nella tendenza a quello che viene definito l’investimento parentale. Con questa espressione i sociobiologi intendono ogni investimento di un genitore in un discendente tale da accrescere le probabilità di sopravvivenza di quest’ultimo (e quindi il successo riproduttivo) a spese della possibilità da parte del genitore di investire in un altro discendente. Uomini e donne hanno un atteggiamento molto diverso nei confronti di questo investimento: gli uomini passano da una donna all’altra proprio per aver la possibilità di fecondare più partner; la donna invece sceglie con più accuratezza i partner per trovare i maschi con i geni migliori. L’essenzialismo femminista Per l’essenzialismo femminista, uomini e donne hanno tratti completamente diversi. I primi tendono alla separazione, all’isolamento, al dominio, alla gerarchizzazione. Le seconde invece all’associazione, all’unione, alla cooperazione, alla cura e all’assistenza degli altri. Secondo alcune studiose, queste differenze dipendono da fattori biologici (ormoni, organizzazione del cervello). Secondo altre invece esse devono essere ricondotte all’esperienza della maternità e al diverso rapporto che con la madre hanno le figlie e i figli. Genere e cultura Numerose prove a favore della tesi che il genere è una costruzione sociale e che le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti degli uomini e delle donne variano culturalmente sono venute per la prima volta dai risultati di una ricerca antropologica condotta da Margaret Mead su tre tribù della Nuova Guinea: gli Arapesch, i Mundugumor, i Tschambuli. Gli Arapesch vivevano in una zona montana e non conoscevano quasi le guerre. uomini e donne erano miti, tranquilli, passivi e affettuosi. Piuttosto che entrare in conflitto e battersi contro qualcuno, i maschi preferivano subire. Educati con affetto e tolleranza, i giovani crescevano con una forte fiducia negli adulti, una grande sicurezza di sé, un assoluta mancanza di egoismo. Gli atti aggressivi li rivolgevano verso gli oggetti. I Mundugumor erano una tribù di cannibali e cacciatori di testa. In questa popolazione, la competitività e la violenza erano valutate positivamente, sia per gli uomini che per le donne. Le donne provavano nei riguardi della gravidanza paura e ostilità. Sentivano inoltre una forte rivalità e gelosia verso le figlie. I bambini venivano allevati con durezza, con rimproveri e botte. Fra i Tschambuli, le donne erano dispotiche, pratiche, efficienti (pescavano, commerciavano); gli uomini erano passivi, sensibili e delicati (attività artistiche, acconciarsi i capelli, spettegolare). Questi ultimi erano sensibili verso i bambini, ai quali dedicavano tempo e cure. Dunque, sia tra gli Arapesch che tra i Mundugumor, gli uomini (femminilizzati) e le donne (mascolinizzate) erano assai simili. Nelle tribù Tschambuli uomini e donne avevano, rispetto ai nostri, ruoli invertiti. La divisione sessuale del lavoro nelle società preindustriali e industriali Basandosi sui dati raccolti in quasi duecento società primitive gli antropologi hanno da un lato dimostrato che la divisione sessuale del lavoro è un universale culturale, cioè che esiste in tutte le società. Ma, dall’altro, essi hanno reso evidente che certi compiti che in alcune società sono considerati propri degli uomini, in altre vengono invece ritenuti come più appropriati per le donne. Per spiegare la divisione sessuale del lavoro sono state formulate varie ipotesi. La prima considera cruciale la maggiore forza fisica degli uomini. La seconda, chiamata l’ipotesi della compatibilità con l’allevamento dei bambini, sostiene che le donne svolgono quei compiti che permettono loro di allattare e curare i figli, cioè quelli che possono interrompere e riprendere facilmente, che non le costringono a fare lunghi viaggi lontano da casa e che non sono pericolosi per i bambini (ecco perché gli uomini si dedicano alla caccia e alla pesca). La terza è l’ipotesi della spendibilità e afferma che gli uomini svolgono di solito i compiti più pericolosi, perché, dal punto di vista della riproduzione, possono essere più facilmente sacrificabili delle donne. Per quanto non prive di valore, queste ipotesi non bastano da sole a spiegare la divisione sessuale del lavoro Lo status delle donne Oggi sappiamo che il concetto di status delle donne è multidimensionale e che comprende aspetti diversi, quali il controllo sulle risorse economiche, il potere politico, l’autonomia personale, il grado di deferenza dovuto agli uomini e altri ancora. Sappiamo anche che, nonostante le relazioni di genere variano nello spazio e nel tempo, non è mai esistita una società nella quale il potere politico fosse nelle mani delle donne. Sono invece esistite società nelle quali le donne avevano un potere non trascurabile. In molti paesi sviluppati, nel corso del Novecento. Nel corso degli ultimi decenni sono diminuite le disuguaglianze di genere nel lavoro, nel controllo delle risorse economiche, nella distribuzione del potere politico. L’uso del tempo nella società contemporanea Secondo un’indagine dell’Istat, in Italia gli uomini adulti impiegano in media più tempo nel lavoro retribuito. Tuttavia le donne occupano un maggior numero di ore nelle varie forme di lavoro non retribuito: nelle attività domestiche, nella cura dei figli, nella produzione per l’autoconsumo e nella gestione della contabilità per gli affari del marito. Di conseguenza le donne lavorano più ore al giorno degli uomini e minore è il tempo che dedicano alle cure personali e al tempo libero. La nascita dei figli ha conseguenze diverse sull’uso del tempo dei due genitori. Per ogni figlio che mette al mondo, la madre dedica un’ora di tempo più di prima alla famiglia, mentre il padre aumenta di tre quarti d’ora il tempo di lavoro retribuito. Negli ultimi trent’anni, nei paesi sviluppati, vi sono stati rilevanti mutamenti nell’uso del tempo. Diminuito è quello che gli uomini dedicano al lavoro retribuito. Diminuito è anche il numero delle ore che ogni giorno le donne investono nelle attività domestiche, in parte perché si è avuta una netta flessione della fecondità, in parte perché in tutti gli strati sociali si è diffuso l’impiego degli elettrodomestici. Aumentato è invece il numero delle donne che svolgono un lavoro retribuito e diconseguenza il tempo che esse vi dedicano. In molti paesi occidentali, le disuguaglianze di genere nella distribuzione del lavoro domestico si sono leggermente ridotte (diminuito il tempo delle donne, aumentato quello degli uomini). Differenze nei tassi di attività In molte parti del mondo vi è stata una significativa diminuzione delle differenze di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, a causa soprattutto del forte aumento del tasso di attività della popolazione femminile. Dal 1970 al 1990, la percentuale delle donne economicamente attive è cresciuta considerevolmente nei paesi industrializzati. Il tasso di attività della popolazione femminile di un paese dipende non solo dal suo livello di sviluppo economico, ma anche dalle norme culturali in esso prevalenti e dalla politica sociale dei suoi governi. La segregazione occupazionale In tutti i paesi sui quali abbiamo dati vi è una segregazione occupazionale per sesso, le donne fanno un lavoro diverso da quello degli uomini. In certi casi, questa segregazione è fisica, nel senso che gli uomini e le donne sono separati da edifici. Di solito però essi sono divisi da classificazioni sociali, che definiscono femminili alcune occupazioni e maschili altre. Si usa l’espressione segregazione occupazionale (orizzontale) secondo il sesso per indicare la concentrazione di uomini e donne in lavori diversi. Lo sviluppo economico, la modernizzazione e le politiche sociali egualitarie provocano una riduzione della segregazione; altri importanti processi in corso spingono in senso opposto. Il primo è quello della “dequalificazione” delle occupazioni impiegatizie (nuovi posti da impiegato che richiedono un basso livello di qualificazione in cui vengono occupate le donne). Il secondo processo è quello dello sviluppo del settore dei servizi sociali e personali (crescente domanda dei servizi di questo tipo e sono occupati da donne perché sono posti più flessibili degli altri, e perché queste sono più disposte e capaci di svolgere queste funzioni). Differenze retributive Il salario della popolazione femminile occupata nell’industria, in Italia, è passato dal 51 % di quello degli uomini nel 1938 al 64 % nel 1961 e all’86 % nel 1983. Vi sono paesi (Giappone, Cipro, Corea del Sud) in cui il divario retributivo fra le donne e gli uomini è ancora più forte, perché le prime guadagnano oggi solo la metà dei secondi. Ma ve ne sono altri (Francia, Danimarca, Islanda, Australia) in cui i salari femminili vanno dall’80 % al 90 % di quelli maschili. Questa differenza è in parte dovuta alla segregazione occupazionale e al fatto che di solito la popolazione femminile svolge occupazioni meno qualificate di quella maschile. Ma in molti casi, anche quando fanno lo stesso lavoro degli uomini, le donne sono pagate meno di loro. Gli svantaggi delle donne nell’economia: alcune spiegazioni Ecco alcune teorie che affrontano il perché le donne abbiano tassi di attività più bassi, svolgono occupazioni meno qualificate e guadagnino meno degli uomini. La teoria del capitale umano e quella della socializzazione di genere affrontano la questione dal lato dell’offerta di lavoro. Invece quelle della discriminazione statistica e delle barriere la esaminano partendo dalla domanda. La teoria del capitale umano sostiene che gli individui compiono scelte razionali dal punto di vista economico (quanti anni andare a scuola, scegliere il tipo di occupazione). Poiché le donne hanno un forte orientamento verso la famiglia e si aspettano di lasciare il lavoro quando diventano madri esse scelgono occupazioni che consentono una certa flessibilità, possono essere svolte in maniera intermittente, non richiedono lavori straordinari o imprevisti, lunghi viaggi e una forte mobilità geografica. La teoria della socializzazione di genere cerca di spiegare il perché le donne siano orientate più verso la famiglia che verso la carriera professionale. Essa sostiene che questo si verifica perché, dalla nascita in poi, la famiglia, la scuola, i mezzi di comunicazione insegnano agli appartenenti ai due generi qual è il modo appropriato di parlare, di vestirsi, di passare il tempo libero, quali sono le aspirazioni più adatte. Questi messaggi vengono interiorizzati da ragazzi e ragazze, che formano così orientamenti, preferenze e competenze per alcune occupazioni invece che per altre. La politica Nell’ultimo secolo, le disuguaglianze di genere sono diminuite anche in questo campo. Le donne hanno ottenuto il diritto di voto in quasi tutte le parti del mondo. Le differenze di genere sono diminuite anche nelle altre forme di partecipazione politica (iscrizione a un partito). Tuttavia, le donne sono fortemente sottorappresentate ai vertici delle organizzazioni e delle istituzioni politiche Genere e salute Oggi, in tutti i paesi sviluppati, la vita media degli uomini dura sette anni meno di quella delle donne. Solitamente si riconduce questo a fattori biologici, fattori ambientali e sociali. Se tutto fosse spiegabile solo in termini genetici e biologici, la differenza di mortalità fra la popolazione maschile e quella femminile sarebbe costante nello spazio e nel tempo. Invece non è così. Se gli uomini muoiono prima delle donne è anche perché hanno uno stile di vita diverso e si comportano nei modi che tradizionalmente ci si aspetta da loro (bevono, fumano, mangiano molta carne, sono sprezzanti dei pericoli). Proprio per questo, si può prevedere che la differenza di mortalità fra i sessi diminuirà man mano che lo stile di vita delle donne diventerà sempre più simile a quello degli uomini. Questa tendenza, del resto, è già iniziata. Mentre in alcuni paesi del Terzo mondo le donne ricevono minori cure nelle regioni nelle quali non svolgono un lavoro retribuito e quindi non dispongono di un reddito esterno alla famiglia. In questi paesi, i genitori sono convinti che sia meglio avere un figlio maschio. I paesi nei quali la preferenza per i maschi è forte raggiungono alti tassi di mortalità femminile attraverso varie strade. In primo luogo, i genitori fanno talvolta ricorso all’infanticidio femminile,( in Cina a causa della politica demografica, un solo figlio, adottata dal governo nel 1979). Talvolta ricorrono all’aborto selettivo, cioè appena saputo qual è il sesso del nascituro, non permettono alle figlie di vedere la luce. Capitolo 15 Razze, etnie e nazioni Il concetto di “razza” Si può dire che ogni forma di “sapere” parte dalla classificazione. Apparentemente l’operazione di classificazione può sembrare semplice, ma non è così. Le complicazioni derivano dalla particolare struttura ad albero della maggior parte delle classificazioni per cui ogni “classe” comprende una pluralità di sottoclassi, ma, soprattutto, dal fatto che per classificare qualsiasi insieme di oggetti bisogna sapere bene in base a quali proprietà si intende classificarli. Anche gli esseri che appartengono alla specie umana possono venire classificati seguendo questa logica. Possiamo decidere di classificare gli esseri umani in base ad un certo numero di caratteristiche somatiche che in genere compaiono associate (pelle, labbra, forma del cranio). Compiendo questa operazione classifichiamo in razze la specie umana. Possiamo infatti definire la razza come un insieme di esseri umani che condividono alcune caratteristiche somatiche. Per certi studiosi le razze umane fondamentali sono quattro (bianchi, neri, gialli e amerindi), poiché assumono come criterio discriminante il solo colore della pelle, per altri il numero sarebbe più elevato. Già Darwin aveva notato come il numero delle razze, a seconda degli studiosi, potesse oscillare da due a 63. Resta comunque il fatto che le popolazioni umane differiscono per alcuni tratti somatici e che una classificazione serve come primo strumento per orientarsi nella diversità umana. Le razze esistono come prodotto di un’operazione di classificazione, e opposizione della popolazione nera. Le reazioni esterne culminarono nel crescente isolamento internazionale del governo di Pretoria e nelle sanzioni contro il Sudafrica deliberate dell’Assemblea delle Nazioni Unite (non intaccavano il commercio di oro e diamanti). Le reazioni interne portarono a rivolte nei ghetti neri (represse in una serie di massacri) e, soprattutto, alla diffusione e al rafforzamento di un grande movimento nero, l’African National Congress, che divenne il portavoce della maggioranza nera sia a livello internazionale, sia nei confronti delle correnti liberali che all’interno della minoranza bianca spingevano per porre fine all’apartheid. Con il repentino e largamente inatteso cambiamento di rotta dal presidente De Klerk, con la liberazione del leader dell’African National Congress Nelson Mandela (1990) con le prime elezioni libere fondate sul suffragio universale e con la successiva elezione dello stesso, il Sudafrica ha posto fine ad uno dei regimi più totalitari e repressivi che la storia moderna ricordi. L’immigrazione verso i paesi europei e l’Italia in particolare L’Europa ha cessato di essere area di emigrazione e si è trasformata in area di immigrazione. In un primo tempo i flussi migratori si sono diretti dalle ex colonie verso le ex potenze coloniali, in seguito, dalla metà degli anni ottanta, i flussi si sono rivolti verso la Germania e l’Italia, senza connessione con il loro passato coloniale. Due fattori di ordine strutturale sono all’origine di questa più recente corrente migratoria verso l’Europa: l’esplosione demografica in molti paesi del Terzo mondo, e lo straordinario periodo di sviluppo delle economie dei paesi dell’Europa occidentale, la cui opulenza esercita una forte attrazione per tutti coloro che sono afflitti dalla miseria e dalla fame. I paesi dell’Europa occidentale stanno diventando società multietniche e multirazziali, poiché è possibile prevedere che si manterranno nel prossimo futuro forti differenziali, soprattutto nei confronti dei paesi africani, sia di sviluppo economico sia di sviluppo demografico. Dovremo quindi imparare a convivere con persone che hanno alle spalle una storia diversa, che parlano lingue diverse, che hanno stili di vita e abitudini che non ci risultano familiari. Non dobbiamo farci illusioni, i fenomeni migratori tendono invariabilmente a produrre tensioni e conflitti. Di fronte a queste tensioni, i paesi dell’Unione Europea hanno adottato negli ultimi anni politiche di contenimento e di controllo tendenti a porre un freno all’immigrazione. In Italia il fenomeno dell’immigrazione è stato per lo più inatteso e ha colto di sorpresa sia le autorità sia l’opinione pubblica. Per quasi un secolo, l’Italia era stato un paese di emigrazione. Il numero degli immigrati in Italia suscita allarme. La forza lavoro immigrata è solo marginalmente concorrenziale con la forza lavoro disoccupata locale. Nella maggior parte dei casi, gli immigrati occupano posti di lavoro per i quali l’offerta di lavoro locale è inesistente o carente. Questo fatto, tuttavia, stenta a penetrare nelle opinioni della gente e molti ritengono che gli immigrati tolgono posti di lavoro ai disoccupati locali. Il fatto poi che i tassi di criminalità delle popolazioni immigrate siano di norma più elevati che non per la popolazione locale contribuisce a creare allarme tra gli autoctoni e a sollevare la richiesta di più efficaci misure di sicurezza. Gli immigrati incontrano frequentemente atteggiamenti ostili in una quota non trascurabile della popolazione. L’aver fornito al resto del mondo una massa considerevole di immigrati, non è un vaccino efficace contro i sentimenti xenofobi. Etnie e nazioni Il concetto di etnia rimanda a differenze di ordine culturale che si trasmettono di generazione in generazione, attraverso i meccanismi della trasmissione culturale. Al centro del concetto di etnia vi sono i miti, le memorie, i valori e i simboli che identificano una popolazione e la differenziano dalle altre. Vi sono alcuni elementi che ricorrono sempre nelle varie definizioni di etnia. Quindi, possiamo dire che vi è un gruppo etnico quando: i membri di un gruppo designano se stessi, e sono designati da altri, mediante un nome che li contraddistingue; si è prodotto il mito di una comune origine o discendenza; si è creata una comunità che condivide certe memorie comuni (tradizioni) e vi è chi si preoccupa di trasmettere alle generazioni future; vi è una cultura condivisa che presenta caratteri distintivi rispetto alle popolazioni geograficamente vicine; vi è un territorio (o luogo simbolico) che i membri del gruppo considerano proprio per diritto storico anche quando vivono dispersi o separati; si sviluppa un sentimento di solidarietà particolaristico tra i membri del gruppo che non si estende ai membri di altri gruppi. Nel lessico delle scienze sociali vi è spesso confusione tra il concetto di etnia, e i concetti di nazionalità e nazione. La nazione nasce attraverso la mobilitazione dei sentimenti di appartenenza etnica in vista della fondazione di uno stato. Ma il concetto di nazione può anche designare una collettività di cittadini che hanno comuni diritti e doveri nell’ambito di uno stato territoriale. In questo caso lo stato precede la formazione della nazione e questa può essere composta anche da etnie differenti. La Germania e l’Italia, rappresentano dei casi particolari di formazione dello stato nazionale, il quale risulta dall’unificazione di una pluralità di stati regionali sotto la spinta egemonica di uno di essi (Piemonte e Prussia). Anche in questi casi la nazione preesiste lo stato, ma si tratta di una formazione debole, in quanto risulta frammentata in una pluralità di culture regionali, che possono essere considerate come delle micro nazionalità e delle microetnie. La formazione di una coscienza nazionale capace di superare i particolarismi regionali ha richiesto un'intensa opera di indottrinamento da parte dello stato, realizzata prevalentemente attraverso le istituzioni della scuola pubblica e della leva militare. Capitolo 17 Educazione e istruzione Ogni società educa gli individui che entrano a farvi parte, trasmettendo loro le proprie idee e il loro patrimonio culturale. L’educazione è l’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle che non sono ancora mature per la vita sociale. L’educazione è infatti una e molteplice. Molteplice perché ve ne sono tanti tipi quanti sono gli strati in cui si articola una società. E’ anche una, perché tutti questi diversi tipi di formazione poggiano sempre su una base comune. Ogni società, ogni paese, ha un patrimonio di idee, di valori, di conoscenze, che cerca di trasmettere a tutti coloro che vi entrano, qualunque sia la casta,il ceto, o la classe a cui appartengono. IL concetto di educazione si identifica con quello di socializzazione. Cultura orale e cultura scritta Nella trasmissione del patrimonio culturale si possono distinguere tre elementi: - Ogni generazione lascia alla successiva la cultura materiale della società in cui è vissuta, l’insieme di strumenti e oggetti che ha a sua volta ereditato o che ha prodotto; - Ogni generazione trasmette alle seguenti i modi di agire standardizzati, che possono essere comunicati anche senza mezzi verbali; - Da una generazione all’altra passano le conoscenze e i valori che possono essere trasmessi solo attraverso le parole, per via orale o scritta. Per più del 99% della loro storia, gli esseri umani hanno vissuto in culture solo orali, nelle quali l’educazione ha avuto luogo in famiglia o sul lavoro. Solo nelle città-stato della Grecia nel 650 a.C., venne creato il primo sistema completo di scrittura alfabetica, anche se un’alta quota della popolazione è rimasta per molti secoli analfabeta. Il processo di alfabetizzazione fece grandi passi avanti ad Atene e Roma. Ma la quota di persone che sapevano leggere e scrivere diminuì nei secoli successivi. L’invenzione della stampa a caratteri mobili nel 400, fece diminuire drasticamente il costo di produzione dei libri, rendendo il loro acquisto accessibile ad un numero sempre maggiore di persone. Secondo molti studiosi il passaggio dalla cultura orale a quella scritta ha avuto conseguenze di grande portata. Ha dato maggior importanza all’occhio e minore all’orecchio. Ha rafforzato la sfera privata, l’introspezione, il distacco. Ha fatto nascere l’individualismo. Ha favorito lo sviluppo del pensiero logico empirico della scienza. Nasce e si sviluppa così anche la scuola. Quando si è cominciato a servirsi della scrittura come mezzo di comunicazione, una parte crescente dell’educazione ha avuto luogo nella scuola. Nel V secolo in Grecia nacque la scuola elementare. La scuola però ha anche creato nuove disuguaglianze e divisioni tra i vari gradi di alfabetizzazione. Teorie sull’istruzione Le principali teorie riguardo all’educazione e ai sistemi scolastici sono le stesse inerenti alle stratificazioni sociali. - Funzionalista; - Marxista; - Weberiana. La teoria funzionalista Secondo i funzionalisti l’espansione dell’istruzione sarebbe conseguenza della modernizzazione e della crescente differenziazione istituzionale. Secondo questa teoria, man mano che il livello di qualificazione richiesto dalle occupazioni nella società industriale cresce, aumenta la percentuale della popolazione che deve passare attraverso le istituzioni scolastiche. La teoria marxista Del tutto diversa è la spiegazione fornita dagli studiosi che richiamano al marxismo. Anche se Karl Marx, si era occupato ben poco dei problemi della scuola. Secondo il filosofo francese Louis Althusser, nella società capitalistica la perpetuazione dei rapporti di produzione viene assicurata dall’esercizio del potere negli apparati di stato. Questiapparati sono due: - Apparati repressivi: governo, amministrazione, esercito, polizia, tribunali. Appartengono alla sfera pubblica. Funzionano con la violenza. - Apparati ideologici: Chiesa, famiglia , scuola e mezzi di comunicazione di massa. Appartengono alla sfera privata. E funzionano con l’ideologia. L’apparato ideologico dominante era la Chiesa, che svolgeva non solo le funzioni religiose, ma anche quelle educative. Oggi l’apparato ideologico più importante è diventato la scuola. Secondo alcuni economisti neo marxisti la scuola premia la docilità, la passività e l’obbedienza, e scoraggia la spontaneità e la creatività. Il sistema scolastico opera in questo modo non perché lo vogliono consapevolmente insegnanti o i presidi, ma perché esiste una stretta corrispondenza fra i rapporti sociali che vi sono a scuola e quelli che vigono nel mondo della produzione. In genere ,infatti, fra gli studenti, e gli insegnanti e fra questi e i loro superiori vi è la stessa divisione gerarchica del lavoro esistente nelle aziende. La teoria Weberiana Per Weber i tipi fondamentali di potere sono tre: carismatico, tradizionale, legale-razionale. - Al potere carismatico corrisponde l’ideale dell’iniziato, della persona cioè che ha accesso ad un sapere segreto tramite prove e cerimonie. Il carisma non può essere insegnato. Può solo essere risvegliato, con una rinascita della personalità. - Al potere tradizionale corrisponde l’ideale dell’uomo colto. Il fine dell’educazione è in questo caso il raffinamento della persona, la definizione di uomo colto varia tuttavia a seconda delle condizionisociali. - Al potere legale-razionale corrisponde l’ideale dello specialista. L’istruzione che viene fornita ai giovani ha un'immediata utilità pratica, nelle officine e negli uffici, nei laboratori scientifici e negli eserciti. La preparazione specialistica è promossa dallo sviluppo dell’amministrazione burocratica, che esercita un potere in virtù del sapere. Fatti e teorie Le teorie che abbiamo citato sono sicuramente molto utili per capire cosa è avvenuto e sta avvenendo in questo settore. Però molti altri fattori hanno influito sull’andamento dell’istruzione. Ne esamineremo tre: La religione, le concezioni che della scuola hanno avuto i gruppi dominanti, lo sviluppo dello statonazionale. La religione Le differenze esistenti all’inizio del XX secolo nel grado di istruzione fra le varie regioni europee erano in gran parte riconducibili al peso delle varie confessioni religiose e al diverso atteggiamento che cattolici e protestanti hanno a lungo avuto nei riguardi dell’alfabetizzazione e dei libri. La spinta all’alfabetizzazione è venuta dal protestantesimo più precisamente dalla Riforma Protestante, che diede un contributo straordinario alla diffusione della scolarizzazione. Le dottrine protestanti sostennero che per diventare consapevole della fede e della vita cristiana, per raggiungere la salvezza, ciascun individuo doveva vedere con i propri occhi le Sacre Scritture, leggerle da solo nella propria madrelingua. Si impadronirono dell’invenzione della stampa a caratteri mobili e promossero la pubblicazione di Bibbie in volgare, libri di preghiera e di catechismo. La chiesa cattolica reagì negativamente. Vietò ai fedeli l’accesso alle Bibbie, allontanandoli così dalle scritture e dalla scrittura. Divenne sempre più diffidente nei confronti degli individui che leggevano da soli, che vennero considerati potenziali eretici. Intensificò il culto dei santi e si trasformò in una cultura dell’immagine. La concezione dei gruppi dominanti E’ cosa vantaggiosa o è cosa dannosa per lo stato avere contadini che sappiano leggere e scrivere? Per secoli questo problema è stato discusso infinite volte in Europa. Alcuni hanno visto nell’istruzione di massa un grave pericolo. “se un cavallo ne sapesse quanto un uomo non mi piacerebbe essere il suo cavaliere” ( Bernard de Mandeville). In altri gruppi dirigenti e in altri momenti ritroviamo invece l’idea, che ha finito per affermarsi in tutti i paese occidentali, che la diffusione dell’istruzione fra tutta la popolazione fosse la politicamigliore da seguire. L’argomentazione più importante a favore della diffusione dell’istruzione era che questa fosse il miglior mezzo di controllo sociale. Ad esempio nello Stato Pontificio dominava il modello del controllo sociale attraverso l’ignoranza del popolo, mentre nel Granducato di Toscana si fece a poco a poco il modello opposto, del controllo sociale attraverso la diffusione dell’istruzione. Lo sviluppo dello stato nazionale La nascita e lo sviluppo degli stati nazionali sono stati accompagnati dal riconoscimento di numerosi diritti di cittadinanza. Essi possono essere distinti in : 1. Diritti civili, come la libertà di pensiero e di parola; 2. Diritti politici, come quello di voto e di accesso agli uffici pubblici; 3. Diritti sociali, quali quelli ad un minimo di benessere economico e di sicurezza. Il riconoscimento del diritto all’istruzione elementare ha preceduto il processo di industrializzazione, contrariamente a quanto ci si possa aspettare seguendo la teoria funzionalista. Somiglianze e differenze Fra i vari paesi vi sono oggi significative differenze riguardo all’istruzione, ma alcune di esse si sono ridotte nel corso degli ultimi decenni. E’ questa la conclusione a cui si giunge mettendo a confronto questi paesi riguardo a quattro aspetti dell’istruzione. clan quando il capostipite di questo gruppo è mitico o fittizio, di lignaggio quando è genealogicamente dimostrabile e non preso posto miticamente. Un gruppo di discendenza è detto patrilineare quando l'anello di congiunzione è solo maschile. Si parla invece di rapporti di discendenza matrilineare quando l'anello di congiunzione è esclusivamente femminile. Dall'appartenenza ad un gruppo di parentela unilineare derivano numerosi doveri, e privilegi. Il clan è un'entità collettiva, i cui membri possiedono terre e altri beni in comune. Il parentado delle società occidentali è un gruppo stabile, una rete di relazioni che si attiva in particolari situazioni. E’ un insieme di persone dai confini non definiti una volta per sempre (perché alcuni parenti possono farne parte in certe occasioni e non in altre) alle quali ci si rivolge per avere aiuti di tipo psicologico e finanziario. 2. Esogamia ed endogamia Vi è un'altra importante distinzione: quella fra endogamia ed esogamia. Si usa endogamia per indicare le norme sociali che prescrivono la scelta del coniuge all'interno di un gruppo, con esogamia si intende alle norme che vietano di sposarsi con una persona dello stesso gruppo. La norma che i membri dello stesso nucleo familiare devono sposarsi all'esterno, cioè esomicamente, è ampiamente diffusa. Due sono i casi più famosi di società nelle quali si pratica l'endogamia. Il primo è l'India, dove le norme impongono di sposarsi con una persona della stessa casta. Il secondo sono i paesi arabi, nei quali le norme prescrivono di sposarsi con un parente prossimo. 3. Monogamia e poligamia Si parla di monogamia quando non è permesso avere più di una moglie o di un marito per volta e di poligamia quando invece si può essere sposati contemporaneamente con due o più persone. Quando una donna ha due o più mariti si parla di poliandria, quando invece è un uomo ad avere due o più mogli si parla di poliginia. Poche sono le società che hanno conosciuto la poliandria. Perché un uomo abbia più mogli sono necessarie due condizioni demografiche: - che vi sia una forte differenza (circa 10 anni) fra l'età al matrimonio degli uomini è quella delle donne. Ciò significa che queste ultime si sposano giovanissime (in media a 15 anni), mentre i primi lo fanno ad un'età più avanzata (verso i 25). Nella classe di età tra 10 e 20 anni quasi la metà delle donne sono coniugate è quasi tutti gli uomini sono celibi. Nella classe di età successiva sono sposati tutte le donne e la metà degli uomini; - a causa del tasso di mortalità all'interno di queste società, le mogli restano vedove molto presto. Tutte le donne si risposano e lo fanno quasi subito, cioè dopo quattro o cinque mesi dalla fine del primo matrimonio. Queste due condizioni hanno tre conseguenze importanti: - il numero di donne coniugate è molto maggiore di quello degli uomini nella stessa condizione; - nella popolazione maschile, al crescere dell'età aumenta la quota di coloro che hanno due o tre mogli; - Nella popolazione femminile, al crescere dell'età sale la quota delle spose di seconde nozze. 4. Tipi di famiglia monogamica Uno schema di classificazione che prevede tre tipi ideali di famiglia: - famiglia patriarcale, nella quale tutti i figli sposati convivono sotto lo stesso tetto con i genitori, sottoposti all'autorità del padre; - famiglia instabile, caratterizzata dalla piena libertà di decisione dei figli, i quali, indipendentemente dal sesso e dall'ordine di nascita, appena raggiunta una certa età, lasciano la casa dei genitori e vanno ad abitare in una nuova, autonoma residenza; - famiglia ceppo, che si forma quando un solo figlio maschio, scelto dal padre, porta la moglie a casa dei genitori, mentre tutti gli altri ne escono se e quando si sposano. Questa tipologia si basa su vari criteri di classificazione: - il primo è dato dalla autorità del pater familias, che è molto forte nella famiglia patriarcale, debole in quella instabile, intermedia in quella a ceppo; - il secondo criterio è dato dalla regola di residenza dopo le nozze, cioè dalle norme che stabiliscono con quali persone devono andare a vivere gli sposi dopo le nozze. La regola di residenza matrilocale è quando il marito va ad abitare con i genitori della moglie e patrilocale quando invece è la seconda che si trasferisce nella famiglia del primo. La regola di residenza è bilocale quando i due coniugi possono scegliere se andare ad abitare con i genitori di lui o quelli di lei. Una classifica della famiglia in cinque tipi: - nucleare è detta la famiglia formata da una sola unità coniugale, sia questa completa (marito, moglie, con o senza figli) oppure incompleta detta anche monoparentale; - senza struttura è definita la famiglia priva di un’unità coniugale, formata cioè da persone con altri rapporti di parentela; - la famiglia del solitario è costituita da un'unica persona; - estesa è chiamata la famiglia con una sola unità coniugale e uno o più parenti conviventi. A seconda del rapporto di questo con il capofamiglia si parla di estensione verticale o orizzontale; - multiple sono le famiglie con due o più unità coniugali. Anche qui, a seconda del legame esistente tra queste unità, si parla di multiple verticali o orizzontali; - per famiglie complesse si parla quando si considerano insieme le estese e le multiple. La famiglia instabile è nucleare, quella a ceppo è multipla verticale, la patrilineare è multipla orizzontale e verticale. Le famiglie possono essere distinte anche a seconda dei rapporti di autorità e di affetto esistenti fra coloro che ne fanno parte, dei modi con cui essi interagiscono e si trattano, dei sentimenti che provano l'uno per l’altro.Si può contrapporre la famiglia patriarcale a quella coniugale intima. Per partriarcale si intende un tipo di famiglia che, quale che sia la sua struttura è caratterizzata da una rigida separazione dei ruoli fra i suoi membri, sulla base del sesso e dell'età, e da relazioni di autorità fra marito e moglie. In questo tipo di famiglia i genitori influiscono considerevolmente sulla scelta del coniuge e, anche dopo il matrimonio, il legame fra lo sposo e i genitori conserva una straordinaria importanza. Coniugale intima è invece definita quella famiglia che, quale che sia la sua struttura, presenta un sistema di ruoli più flessibile, meno legato al sesso e all'età, e in cui le relazioni di autorità sono più simmetriche. In questa famiglia la scelta del coniuge è più libera e il legame coniugale assume un'importanza maggiore di quello fra lo sposo e i suoi genitori. 5. Sistemi di formazione della famiglia Nelle società preindustriali, vi erano due diversi modi di formazione della famiglia: - tipico di molti paesi dell'Europa nord-occidentale, il primo, si basava su tre regole: 1. sia gli uomini che le donne si sposavano abbastanza tardi: i primi dopo i 26 anni, le seconde dopo i 23. Dal 10 al 15% di loro non si sposava mai; 2. gli sposi mettevano su casa da soli creando una famiglia nucleare. Oppure essi potevano anche andare ad abitare nella casa dei genitori del marito (in una famiglia multipla verticale) ma solo se questi si ritiravano. Il marito, appena sposato, diventava capo della nuova famiglia; 3. prima delle nozze, l'alta quota di giovani passava alcuni anni fuori casa, a servizio di un'altra famiglia. - iI secondo sistema di formazione della famiglia, tipico di tutti gli altri paesi (asiatici), si basava su tre regole del tutto diverse: 1. gli uomini, ma soprattutto le donne, si sposavano abbastanza presto (i primi al di sotto dei 26 anni, le seconde sotto i 22); 2. la nuova coppia andava a far parte di una famiglia multipla; 3. non vi era l'uso di andare a servizio alcuni anni prima di sposarsi. In Cina e in India dominava la famiglia multipla al tempo stesso orizzontale e verticale; in Giappone era molto diffusa la famiglia multipla verticale o a ceppo. Per quanto riguarda l'Italia, se andiamo indietro nel tempo troviamo entrambi i sistemi di formazione della famiglia. Il primo era seguito nei centri urbani, ma soprattutto in Sardegna; il secondo sistema di formazione della famiglia era assai diffuso nelle campagne fiorentine del 400. Insieme a questi vi sono stati nel nostro paese altri due sistemi di formazione della famiglia. Il primo ha dominato per lungo tempo nell'Italia meridionale. In Sicilia l'età al matrimonio preferita per l'uomo era 28 anni, per la donna 18. E in effetti la popolazione femminile si sposava in giovanissima età. I due sposi seguivano la regola di residenza neolocale e mettevano su casa per proprio conto. Il secondo sistema di formazione della famiglia era seguito, nel corso del sette-ottocento, nelle campagne delle regioni classiche della mezzadria. Dopo le nozze si seguiva la regola di residenza patrilocale e si andava a vivere in famiglie multiple orizzontali o orizzontali e verticali. 7. Il declino della famiglia coniugale nei paesi occidentali A partire dalla metà degli anni 60, nei paesi occidentali si sono avuti contemporaneamente una diminuzione del numero delle prime nozze, un forte aumento delle separazioni legali e dei divorzi e una netta flessione della fecondità. E questi cambiamenti hanno favorito la nascita di nuovi tipi di famiglia. La diminuzione della nuzialità La diminuzione del numero dei matrimoni è iniziata in tutti i paesi occidentali nel corso degli anni sessanta e settanta. Ovunque la flessione della nuzialità è stata accompagnata da tre diverse tendenze: - un forte aumento del numero di giovani che vivono da soli; - è aumentata la propensione dei giovani a restare sempre più a lungo nella casa dei genitori - a diminuzione della nuzialità è stata accompagnata dalla diffusione delle convivenze more uxorio o famiglie di fatto, cioè di quelle che si formano quando due persone di sesso diverso abitano insieme come coniugi senza tuttavia essere unite dal matrimonio. Le famiglie di fatto sono diventate una sorta di istituzione sociale. Questi mutamenti nel costume hanno provocato dei cambiamenti anche nelle norme giuridiche. L'adulterio non è più considerato un reato. I figli naturali, nati fuori dal matrimonio (un tempo chiamati "illegittimi”), hanno ormai gli stessi diritti di quelli legittimi riguardo sia al mantenimento e all'educazione sia all'eredità dei genitori. La convivenza prenuziale si presenta non come un'alternativa, ma come una fase di preparazione alla famiglia legittima.Chi sceglie quella strada non rifiuta il matrimonio: si limita a rimandare. La convivenza prenuziale sta dunque prendendo il posto che aveva, nel vecchio sistema di formazione della famiglia, il fidanzamento. Ma al tempo stesso è uno dei segni della perdita di importanza del matrimonio. Il matrimonio infatti serve sempre meno a consacrare l'inizio di un'unione è sempre più a sanzionare la sua esistenza. La convivenza prenuziale ha due caratteristiche di fondo: - dura un breve periodo di tempo, in genere da un anno a un anno e mezzo; - di solito infeconda, perché la nascita di un figlio ridurrebbe considerevolmente le possibilità di scelta dei due partner, rendendo in particolare più difficile la rottura della loro unione informale. Sta crescendo tuttavia l'importanza delle unioni libere, cioè delle famiglie di fatto che si pongono in alternativa a quelle legittime fondate sul matrimonio.Esse durano più a lungo, sono feconde e non sfociano nelle nozze. L'aumento dell'instabilità coniugale A partire dal 1965 vi è stato un forte aumento del numero delle separazioni legali e dei divorzi. Tale aumento è continuato ininterrottamente fino ad oggi in alcuni di questi paesi, in altri invece si è fermato all'inizio degli anni 80. Gli Stati Uniti sono il paese sviluppato in cui l'instabilità coniugale è maggiore. Si calcola che oltre il 50% dei matrimoni che si stanno celebrando in questi anni finirà con una sentenza di tribunale. Subito dopo gli Stati Uniti vi sono la Gran Bretagna, la Svezia e la Danimarca. Al terzo posto di questa classifica dell'instabilità coniugale vi è un gruppo numeroso di paesi come il Belgio, i Paesi Bassi, la Francia e la Germania. All'ultimo posto vi sono la Spagna, il Portogallo e l'Italia, nei quali invece i matrimoni che finiscono in questo modo sono di meno. Nel nostro paese, in quasi 40 anni, il numero delle separazioni legali è cresciuto enormemente. L’aumento dell'instabilità coniugale è stato accompagnato da grandi mutamenti del diritto di famiglia. Nel 1970 il divorzio è stato introdotto per la prima volta in Italia, nel 1981 in Spagna, nel 1977 è stato esteso ai matrimoni cattolici in Portogallo. Nel corso degli anni 70 il sistema del divorzio sanzione è stato abbandonato e sostituito da quello del divorzio fallimento o rimedio. In Italia, nell'Ottocento, il codice di famiglia non prevedeva la possibilità di divorzio, ma solo quella della separazione legale, raggiungibile in due diversi modi: per mutuo consenso o per via giudiziale, per colpa. Nel 1970 è stato introdotto il divorzio e nel 1975 la riforma del diritto di famiglia ha cambiato la natura della separazione giudiziale, prevedendo che essa sia concessa non per colpa, ma quando "la prosecuzione della convivenza" sia divenuta "intollerabile". In Italia il divorzio non si è affiancato alla separazione legale, ma si è aggiunto ad essa. Vi sono infatti numerose barriere che possono impedire lo scioglimento di un matrimonio. Con la diversa importanza di queste barriere si possono spiegare le variazioni nello spazio e nel tempo dell'instabilità coniugale. Due in particolare sono le variabili più utili per spiegare queste variazioni: - la religione, quanto più forte è stata in un paese l'influenza della chiesa cattolica, tanto minore sarà il numero dei divorzi; - il tasso di attività della popolazione femminile, quanto più alto è il numero delle donne che svolge un'attività extradomestica, tanto più spesso i matrimoni termineranno con una sentenza di tribunale. Una tipologia del lavoro immigrato ha individuato quattro modelli funzionali/regionali: - il modello a economia diffusa di piccola impresa delle regioni centro e nord orientali, dove la presenza maschile nell'industria e nei servizi collegati è molto importante, affiancata da una crescente presenza femminile soprattutto nel lavoro di cura; - il modello metropolitano, il lavoro è diffuso nel basso terziario; - il modello delle attività stagionali, diffuso nel mezzogiorno, specie in agricoltura ma anche nell'industria alberghiera, si tratta di un lavoro in prevalenza irregolare e precario; - il modello delle attività temporanee in alcune aree centro-settentrionali, a volte più istituzionalizzate, a volte meno. In epoca di globalizzazione delle economie si sviluppa anche una domanda di figure qualificate per settori avanzati del mercato del lavoro. Più che attirarne, l'Italia esporta lavoratori per attività di questo tipo. Come funziona il mercato Esistono più mercati dove si offrono e sono richiesti insiemi diversi della popolazione attiva. Il modello dualistico del mercato del lavoro cerca dal lato della domanda di lavoro delle imprese le radici economiche dei lavoratori precari. Attira l'attenzione sulle caratteristiche dei soggetti e sui meccanismi di socializzazione e controllo sociale per spiegare le motivazioni ad accettare lavori precari. Un modello dualistico si basa sulla distinzione tra mercati interni e mercati esterni del lavoro. Il mercato esterno è il vero e proprio mercato sul quale si offrono, in concorrenza fra loro, persone non ancora occupate o in cerca di un posto per loro migliore. Con l'espressione mercato interno si intendono invece procedure all'interno di un'organizzazione per spostare gli occupati da un posto a un altro, e per stabilire dei percorsi di carriera. La disoccupazione La disoccupazione non solo è un serio problema delle società contemporanee, ma è anche un fenomeno difficile da studiare. E’ difficile da definire, da rilevare, da interpretare. Gli economisti distinguono tre tipi di disoccupazione: - la disoccupazione frizionale è dovuta dal fatto che continuamente ci sono persone che cercano un lavoro perché ad esempio si spostano da una città a un'altra. Anche nel caso ci fosse la piena occupazione ci sarebbero sempre casi di questo genere; - la disoccupazione strutturale deriva da una cattiva corrispondenza fra domanda e offerta: certe professionalità non sono più richieste, mentre per altre richieste non è sufficiente offerta non c'è sufficiente offerta. Riguarda dunque tipicamente certi settori o aree; - la disoccupazione ciclica riguarda una domanda di lavoro più bassa in tutta l'economia, in corrispondenza di una fase ciclica recessiva quando la spesa e la produzione diminuiscono. La disoccupazione di lunga durata è un fenomeno studiato in particolare dai sociologi: Le misure di sostegno pubblico sono un incentivo a non cercare un nuovo lavoro in quanto la situazione complessiva non peggiora per i disoccupati.In alcuni casi, le condizioni di lavoro sono così precarie che emerge un paradosso della disoccupazione: l'immigrazione da paesi poveri in presenza di forte disoccupazione nazionale. Ciò si verifica perché le condizioni di lavoro scendono al di sotto della soglia accettata da una popolazione garantita dalla legislazione del lavoro. 4. L’organizzazione del lavoro L’evoluzione del lavoro industriale I sistemi industriali avanzati hanno al centro grandi imprese. A seconda delle dimensioni, dei settori e dei tipi di produzione, ma anche a seconda dei reparti di una stessa azienda, esistono differenze significative nel modo di dividere e organizzare il lavoro. Taylorismo e fordismo L'organizzazione di fabbrica, come organizzazione della produzione per il mercato, nasce nel XVIII secolo. Le prime concentrazioni di manodopera in uno stesso luogo fecero cominciare una trasformazione che, attraverso maggiori investimenti in macchinari, l'evoluzione di questi, la crescente concentrazione di mezzi e persone conduce anche a rivoluzionare l'organizzazione del lavoro. Nacque l'idea di introdurre un metodo nell'organizzazione del lavoro. La proposta più compiuta fu la cosiddetta "organizzazione scientifica del lavoro", ideata in America da Taylor. I metodi a lui ispirati costituiscono il taylorismo. Taylor partì l'idea che per acquistare efficienza era necessario progettare un'organizzazione centralizzata, nella quale fossero rigidamente divisi i compiti di divisione e pianificazione del lavoro da quelli di esecuzione. Il processo complessivo di lavorazione doveva essere smontato in una serie di operazioni, ognuna delle quali definisce un posto di lavoro. Le singole operazioni dovevano poi essere standardizzati, fissando nei tempi e metodi, tenuto conto dello sforzo necessario e di un corretto modo di esecuzione; così esse diventavano esattamente prevedibili. Faceva parte della proposta di Taylor che i lavoratori fossero spinti ad accettare le nuove condizioni da un salario maggiore che deriva da una produzione più efficiente. Questo non bastò però a evitare vivaci reazioni, perché il nuovo metodo sottrae ai lavoratori potere e autonomia. In certi casi il taylorismo eliminò anche professionalità artigiana e di mestiere. Merito di Taylor fu in ogni caso quello di porre per la prima volta il problema dell'organizzazione del lavoro in azienda. Una nuova fase si apre con l'avvio della grande produzione di serie, basata sull'introduzione estesa di un nuovo tipo di macchine: le macchine speciali. Queste compiono poche o una sola operazione, non richiedono importanti interventi di regolazione e funzionano con continuità: sono dunque veloci e non flessibili. In questa nuova fase aumentano infatti gli operai non poco qualificati. La nuova divisione tecnica del lavoro è organizzata come lavorazione a catena: "un tipo di organizzazione del lavoro per cui le diverse operazioni, o ridotte alla medesima durata o ad un multiplo o sottomultiplo semplice di tale durata, vengono eseguite senza interruzione tra loro e in un ordine costante nel tempo e nello spazio”. La catena di montaggio fu applicata da Ford alla produzione di auto in grande scala, a partire dal 1913. Da qui anche l'uso dell'espressione fordismo. Il fordismo accentuò la segmentazione del lavoro è finito per cancellare il mestiere. Si tratta di lavoro in briciole, senza senso e ripetitivo. Il sistema Toyota Il sistema Toyota, meno sprecone è più capace di adattarsi al mercato, richiede un attento gioco di squadra da parte di tutti. Macchine automatiche, robot e macchine a controllo numerico sono utilizzate per che permettono elasticità, ma fattori di elasticità sono anche uomini addestrati a più compiti, in grado di percepire e realizzare direttamente i continui aggiustamenti necessari ai processi di produzione, e le squadre che gestiscono autonomamente singole aree di produzione, coordinandosi fra loro secondo i principi della just in time. Il sistema Toyota richiede molta responsabilizzazione e partecipazione da parte di tutti. Lavoro specializzato e lavoro dequalificato nei servizi A seconda dei paesi i diversi settori dei servizi si distribuiscono in modi differenti. L'economia dei servizi staccati dalla produzione è analizzata in riferimento a tre categorie: - servizi al consumatore, che comprendono ristoranti, bar, lavanderie, parrucchieri, ecc.; - servizi sociali, salute, istruzione, ecc.; - servizi alle imprese, consulenze, programmazione di sistemi, servizi legali, commerciali, finanziari, ecc. Possiamo chiamare postindustriali questi settori che sono in espansione. Con "occupati non specializzati" si intendono persone che svolgono lavori che chiunque sarebbe in grado di svolgere senza precedenti qualificazioni. Il peso degli addetti alla produzione e distribuzione di beni fisici e ovunque in diminuzione, pendenza che è accompagnata dal calo dei lavoratori non specializzati. I servizi alle imprese aumentano il loro peso; molti lavori richiedono una professionalità elevata ma con il tempo è aumentata la quota dei non specializzati, che rimane molto più bassa che nel settore dell'industria e della distribuzione, in complesso si tratta dunque di un settore dove si trovano molti lavori buoni o a medie condizioni di professionalità e remunerazione. I servizi sociali hanno fatto in venticinque anni un balzo in avanti e raggiungono oltre un quarto dell'occupazione complessiva. I servizi al consumatore si espandono con il lavoro fuori casa delle donne e l'aumento del tempo libero, tanto più quanto meno sono costosi. 5. Le relazioni industriali I sindacati I sindacati sono associazioni di lavoratori che si uniscono per tutelare i propri interessi professionali. Queste danno vita a organizzazioni che agiscono stabilmente nei confronti dei datori di lavoro, a loro volta in genere rappresentati da organizzazioni. I sindacati sono associazioni piuttosto particolari, che possono modificare in diverse direzioni i caratteri generali di questi. Un sindacato rappresenta gli interessi degli iscritti, ma può di fatto rappresentare anche quelli dei lavoratori non iscritti appartenenti a una stessa categoria se i contratti collettivi che stipula hanno per legge valore per tutti. I sindacati possono creare organizzazioni nazionali che si propongono per rappresentare gli interessi dell'insieme dei lavoratori di un paese, occupati e anche disoccupati o pensionati. Si delineano due tipi polari: - sindacati associativi, di iscritti e per categorie ristrette; - sindacati di classe, a rappresentanza estesa. Le possibili forme organizzative di affiliazione e rappresentanza sono in realtà molte. In origine il sindacato nasce come organizzazione di operai che hanno uno stesso mestiere, ovvero una particolare professionalità da difendere. In Europa si rilevano alcune differenze: - l'esistenza di più sindacati formati su base ideologica o di vicinanza politica - le parti sociali sollecitano l'intervento dello stato in quanto regolatore dell'economia attraverso la spesa pubblica e la legislazione sociale, industriale, del lavoro; - i sindacati stanno fra economia e politica. Le trasformazioni dell'organizzazione economica e altre modificazioni del tessuto sociale hanno avuto conseguenze anche sull'organizzazione sindacale.Si sono diffusi i cosiddetti "sindacati autonomi" che tutelano grandi gruppi di lavoratori o anche piccoli, spesso molto aggressivi e con scarsa attenzione a problemi di compensazione. In questo senso si parla di tendenze alla tutela di interessi corporativi. Contrattazione, conflittualità, regolazione I processi di contrattazione collettiva tra organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, per stipulare accordi relativi a salari e condizioni di lavoro costituiscono le relazioni industriali. La nascita del sindacato e della contrattazione collettiva all'interno dell'industria lascia ancora traccia nell'uso del termine: in Francia si parla di relations professionelles e in Spagna di relaciones laborales. Le relazioni industriali permettono di esprimere le divergenze di interessi tra imprenditore e diverse categorie di dipendenti, e attraverso la contrattazione collettiva di ricomporre in contratti che diventano obbligatori tra le parti, valevoli per un certo periodo. La contrattazione riguarda i salari e la cosiddetta "parte normativa": orari, condizioni del Lavoro, permessi e così via. La minaccia dell'una e dell'altra parte di rompere la trattativa sposta la contrattazione verso rapporti più conflittuali, che possono sfociare nella dichiarazione di uno sciopero. Lo sciopero, riconosciuto come un diritto dalla Costituzione, è un’astensione dell'attività di lavoro da parte di un gruppo di lavoratori dipendenti; l'astensione è in genere dichiarata da un'organizzazione sindacale, ma può esserlo anche da un'assemblea spontanea di lavoratori sul luogo di lavoro. Speculare allo sciopero è la serrata da parte dell'imprenditore, che consiste nella chiusura dell'azienda per un certo periodo. L'ordinamento italiano non prevede la serrata come un diritto, Ma in casi particolari questa è stata considerata legittima in sede di giudizio. Due interpretazioni principali hanno cercato di comprendere le determinanti principali del fenomeno, le ragioni che spiegano quando diventa probabile che uno sciopero si manifesti: - secondo il modello economico, la probabilità degli scioperi aumenterebbe e diminuirebbe in relazione all'andamento del ciclo economico. Questo perché in una fase di espansione aumentano le aspettative salariali, ma aumenta la forza dei lavoratori sul mercato del lavoro in quanto molti sono occupati, con difficoltà dunque le imprese a reperire nuova manodopera; il contrario si verifica invece nelle fasi depressive; - secondo il modello politico-organizzativo, la conflittualità aumenta se il sindacato ha un'organizzazione con elevata capacità di mobilitare i suoi iscritti e i lavoratori in genere. Questa capacità può dipendere a sua volta da diversi fattori, come l'alta sindacalizzazione dei lavoratori, o un forte cemento ideologico che li unisce. L'andamento degli scioperi è autonomo nei confronti del ciclo economico. Solo in alcuni casi il puro modello economico riesce a spiegare l'andamento della conflittualità, mentre più spesso le variabili economiche relative al ciclo sono una componente importante della spiegazione, collegate però all'influenza più o meno marcata di variabili del secondo modello. Il modello politico organizzativo spiega a sua volta solo casi eccezionali. Capitolo 21 Lo stato e l’interazione politica 1. Lo spazio della politica Nel linguaggio corrente il termine politica è usato anche in un senso ampio. Si dice che è politica della tale azienda espandersi sui mercati mondiali, oppure che è politica della tale associazione ricreativa non discriminare gli immigrati. Il termine si riferisce a fini, obiettivi, scelte di un'organizzazione o associazione. allo stato centrale funzioni come la politica estera e quella militare. Un'inedita forma di coordinamento fra stati nazionali, che avvicina per passi progressivi i caratteri di uno stato federale senza pienamente raggiungerli, è l'Unione Europea. Nazionalità e cittadinanza Il popolo è qualcosa di più di un semplice aggregato di persone (la popolazione). Questo di più ha una dimensione politica e una culturale. - La dimensione politica riguarda il fatto che le persone sono cittadini di uno stesso stato, sono sottomessi al suo potere regolativo, come titolari di doveri e diritti. La cittadinanza è l'insieme di diritti e di doveri che definiscono la condizione di appartenenza a uno stato. La trasformazione dei sudditi in cittadini è un passo fondamentale verso lo Stato moderno come stato di diritto. Marshall ha individuato tre fasi di sviluppo della cittadinanza. 1. Prima si è affermata la cittadinanza civile, che riguarda i diritti necessari alla libertà individuale, affermati in Inghilterra nel XVIII secolo; 2. nel secolo successivo prende forma la cittadinanza politica, che riguarda il diritto di eleggere ed essere eletti, e dunque di partecipare all'esercizio del potere politico; 3. nel Novecento, compare la cittadinanza sociale, che stabilisce diritti ad accedere a certi standard di consumi, salute, istruzione, in modo, come diceva Marshall, da vivere la vita di persona civile, secondo i canoni vigenti nella società. - La dimensione culturale di un popolo riguarda comuni radici storiche, religiose, di costumi, di lingua. Con una sola parola queste radici sono definite etniche. Una nazione è una comunità di appartenenza alla quale si sente legato un popolo che ha comuni radici etniche e che continua a costituire la sua storia come comunità politica dei cittadini che esercitano liberamente i loro diritti e che si riconoscono doveri reciproci. Lo Stato moderno è dunque uno stato di cittadini che appartengono a una stessa nazione. Legittimazione democratica Non esiste Stato nazionale moderno che non affermi solennemente di essere democratico. Né il governo, né nessun altro organo costituzionale può dirsi sovrano. Come recita la nostra Costituzione, "la sovranità appartiene al popolo", che la esercita sulla base dei delitti politici riconosciuti a ogni cittadino e nelle forme previste dalla Costituzione stessa. Democrazia è un regime politico basato sul consenso popolare e sul controllo dei governanti da parte dei governati. Consenso e controllo possono essere diversi, e la democrazia è il risultato più o meno raggiunto dagli Stati che si dichiarano tali. Il punto importante è che oggi tutti gli stati sentono il bisogno di dichiararsi democratici e di costituire istituzioni che consentano partecipazione e controllo politico dei governati. Questo carattere può essere definito legittimazione democratica. Si può parlare di democrazia se le istituzioni politiche sono congegnate in modo da garantire: - libertà di associazione - libertà di espressione; - diritto di voto; - eleggibilità alle cariche pubbliche; - diritto di competere per il sostegno elettorale; - fonti alternative di informazione; - elezioni libere e corrette; - esistenza di istituzioni che rendano le scelte del governo dipendenti dal voto e da altre espressioni di preferenza. L'opposto della democrazia è l'autocrazia, un regime in cui un dittatore o un gruppo ristretto detengono il potere assoluto, e governano con pugno di ferro controllando o sopprimendo la formazione e l'espressione del dissenso. La forma più tipica di autocrazia in epoca contemporanea è il totalitarismo. 4. Identità e interessi: i dilemmi dell'azione collettiva Perché si obbedisce? il problema della legittimazione Perché si obbedisce a leggi e comandi politici? Perché si mettono temono le conseguenze della disobbedienza. Qualsiasi potere per stabilizzarsi ha bisogno di giustificarsi, deve cioè indicare delle ragioni per le quali chi è destinatario dei comandi ritenga che chi comanda ha il diritto di farlo e che è giusto per lui obbedire. In questo senso si dice che il potere deve essere legittimato. In quanto legittimato, il potere si trasforma in autorità. Si possono distinguere tre tipi di potere legittimato, o autorità, a seconda della tipica pretesa di legittimità: - il potere tradizionale si basa sulla credenza che il carattere sacro delle tradizioni che valgono da tempo immemorabile e che sanciscono anche il diritto a esercitare il potere da parte di un signore, egli pure destinato in base alla tradizione; - il potere carismatico si basa sulla credenza del carattere straordinario di un capo, considerato un eroe o comunque dotato di virtù o capacità esemplari, carisma significa in origine "dono della grazia", e chi ha carisma ottiene disponibilità a obbedire sulla base della fiducia che ispira come persona; - il potere razionale si basa sulla credenza che un certo sistema di norme statuite è valido: si obbedisce all'ordinamento impersonali, riconoscendo che chi occupa una posizione di potere ne ha il diritto perché correttamente nominato o eletto secondo criteri previsti dalle norme, e perché i suoi comandi sono emessi nei limiti e nelle forme previste dalle norme. La tipologia di Weber individua tre tipi puri di potere legittimo. Nella realtà bisogna immaginare delle combinazioni di essi. Perché si prende parte a un'azione collettiva? Exit e voice non sono solo due opzioni di comportamento personali, ma anche due meccanismi di regolazione dei sistemi di relazioni. In quanto opzioni di azione e meccanismi regolatori, exit e voice sono due ingredienti fondamentali e complementari delle libertà democratiche. Sono due possibilità di reazione attiva: interrompere la relazione oppure farsi sentire, far valere il proprio punto di vista. Hirschman chiama queste due opzioni possibili exit e voice. La voice ha almeno tre caratteristiche importanti: - trasmette un maggiore contenuto di informazione su cosa va e non va nella relazione; - l'effetto aggregato di un insieme di decisioni di exit risente spesso del fatto che si tratta di decisioni che le singole persone prendono separatamente, solo a base di un calcolo di interesse a breve termine; - perché la voce sia efficace deve essere espressa da un certo numero di persone che si uniscono, concordano i loro comportamenti, l'efficacia dipende dalla possibilità di azione collettiva. 5. La partecipazione politica La scala della partecipazione La partecipazione politica è il coinvolgimento dell'individuo nel sistema politico a vari livelli di attività, dal disinteresse totale alla titolarità di una carica politica. La scala di partecipazione parte dal basso, per seguire verso l’alto, con: - il disinteresse alla politica; - Votare, è la forma di partecipazione politica più diffusa, influenzata però da molte condizioni; - l'interesse generico alla politica; - la partecipazione a discussioni di politiche informali; - partecipazione passiva di un'organizzazione semi-politica; - partecipazione passiva di un'organizzazione politica; - partecipazioni a riunioni pubbliche e dimostrazioni; - partecipazione attiva in un'organizzazione semi-politica; - partecipazione attiva in un'organizzazione politica; - aspirare ad una certa carica politica o amministrativa; - ricoprire una carica politica o amministrativa. Comportamento di voto: una tipologia Un primo tipo è il voto di opinione. Nella retorica politica tutti i voti sono di opinione, nel senso che tutti i partiti e candidati chiedono agli elettori un voto ragionato, sulla base di un programma. In realtà pochi elettori conoscono bene un programma. Opposto al precedente è il voto di appartenenza. Esso testimonia e ribadisce un’identità. Si vota per un partito in quanto questo è considerato il partito degli appartenenti e lo si vota perché a prescindere da una valutazione specifica degli obiettivi proposti nel programma. Si tratta di un voto altamente stabile. Il voto di scambio è una specie di transazione, nella quale sia un votante, che avanza una richiesta personale da soddisfare e per la quale è pronto a barattare il voto, e un candidato, che ha la risorsa per e la possibilità, una volta eletto, di soddisfare la richiesta. Si tratta di un voto specializzato in due sensi: - perché chi lo offre pensa il suo interesse come parte di un interesse collettivo; - perché il candidato che offre il favore non è genericamente un partito, ma un candidato ben visibile al quale si può accedere attraverso reti di conoscenza diretta, del quale ci si può perciò fidare, si parla anche di voto clientelare. Si tratta di un voto pronto a cambiare da un'elezione all'altra, da un candidato all'altro, a seconda delle convenienze. Possono darsi combinazioni di tipo di voto, ma uno di questi deve considerarsi prevalente. È probabile che una maggiore volatilità del voto che si è effettivamente manifestata nel corso del tempo sia da attribuire a una crescita del voto di opinione. Questo indica una minore presa del voto di appartenenza. “Cleavages” sociali e partiti politici Possiamo riconoscere due principali attività dei partiti e la trasmissione della domanda politica: - i partiti raccolgono e definiscono in modi diversi i problemi di una società, ne rappresentano i valori, proteggono interessi e i bisogni che possono essere soddisfatti da leggi o altri provvedimenti pubblici vincolanti per tutti; - l'organizzazione della delega politica: si tratta del processo per cui i membri di una società si identificano con determinati partiti, considerandoli loro rappresentanti sulla scena politica, e dunque anche del processo di formazione e selezione dei candidati a cariche pubbliche. I partiti svolgono un ruolo attivo nella formazione della domanda politica. La domanda può essere anche sollecitata o provocata. Essa ha comunque le sue radici nella società. Aggregando e rappresentando in modo ordinato nelle istituzioni i valori e gli interessi di differenti gruppi sociali, i partiti svolgono una funzione di integrazione in società attraversate da molte "linee di frattura". L'espressione linee di frattura, cleavage, è ripresa dalla mineralogia, dove è usata per indicare la proprietà che certi minerali cristallini hanno di rompersi in modi tipici e netti. Quattro linee di frattura, presenti nelle società al momento della costituzione degli stati nazionali, sono state importanti nella formazione dei partiti moderni, con effetti di lunga durata: - centro-periferia, relativa all'esistenza di diverse etnie e culture con basi locali diverse; - stato-chiesa, che assume importanza a partire dalla rivoluzione francese, in riferimento a problemi come il controllo dell'educazione di massa; - città-campagna, ovvero interessi industriali e interessi agricoli, in relazione a questioni come le tariffe per i prezzi dei prodotti dell'agricoltura; - capitale-lavoro, ovvero il conflitto socio-economico con l’affermarsi del capitalismo industriale. Queste linee di frattura sono state più o meno importanti, a seconda dei paesi, per la formazione e l'azione di partiti differenziati e contrapposti. I partiti sono nati a volte per trasmettere la domanda politica che si formava su una delle due sponde di un cleavage particolare: i partiti socialisti come partiti dal lavoro, oppure i partiti agrari nei paesi scandinavi in anni passati, la Democrazia Cristiana in Italia o altri partiti confessionali altrove. In genere i partiti fanno riferimento a più cleavages, combinati tra loro, rappresentando interessi di un fronte o dell'altro. Il conflitto socio-economico è la linea di frattura più importante, che costituisce il tradizionale asse sinistra-destra. Su questo asse si possono collegare due o più partiti. I partiti compaiono nella prima metà dell'Ottocento in Inghilterra, con l'allargamento del suffragio che estende la partecipazione attiva ai ceti commerciali e industriali. Prende forma il cosiddetto partito di notabili. Costituiti su base locale, senza un'organizzazione stabile e coordinamenti superiori, si trattava in pratica di comitati per l'elezione di un rappresentante che poteva permettersi, per le sue condizioni economiche, di svolgere attività politica senza vivere di politica. A cavallo del secolo e sotto la spinta di un crescente movimento operaio, compare il partito massa: le prime organizzazioni di questo tipo sono i partiti socialisti. Il partito di massa è legato alla possibilità di mobilitare la popolazione secondo netti cleavages sociali, che toccano in modi simili grandi masse, caratterizzate da forti identità. Ciò comporta adesione associativa allargata, militanza volontaria, l'accento su ideologie che sintetizzano in modo sistematico e rigido in aggettivi di lungo termine. Il partito costituisce un vasto apparato burocratico, tramite il quale mantiene il coordinamento con gli iscritti e i potenziali votanti, che esprimeranno spesso voti di appartenenza. Il partito elettorale si contrappone a quello precedente perché non ha grandi strutture burocratiche, ma ricorre a professionisti di vari campi e problemi, e si mobilita in particolare a scopi elettorali; fa appello a un voto di opinione, cercando di rappresentare valori e interessi di un elettorato variegato, senza riferimento esplicito a una classe specifica. 6. I movimenti sociali Definizione e tipi
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