Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

appunti di storia dell'arte, Appunti di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche

appunti su Caravaggio, Gentileschi e Bernini

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 07/09/2023

Unina-giurisprudenza
Unina-giurisprudenza 🇮🇹

3.7

(3)

58 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica appunti di storia dell'arte e più Appunti in PDF di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche solo su Docsity! Il Barocco Nel 1600 fu indetto il Giubileo, simbolo che la resistenza alla Riforma Protestante, non era riuscita a scalzare l’autorità papale. Le novità più importanti si devono a Caravaggio e ad Annibale Carracci i quali danno vita a due filoni artistici ben distinti: il realismo e il classicismo, le quali domineranno prima dell'affermarsi del Barocco. All'inizio del XVII sec. l'Italia non è indipendente e vive una grave crisi economica con carestie e pestilenze, pur restando un importante centro culturale e artistico. È il secolo della Controriforma e l'arte ne diviene lo strumento educativo: il suo scopo è di istruire e impressionare i fedeli suscitando stupore e meraviglia. Per le sue finalità didattiche l'arte deve essere comprensibile a tutti ed ogni illusione apparire "vera". È l'epoca del Barocco, un periodo che va dall'inizio del 600 alla metà del 700 che alla misura, al classicismo, all'ordine e all'equilibrio propri del Rinascimento sostituisce il senso del fantastico, il dinamismo, l'effetto scenografico e l'illusionismo. Caravaggio CORRENTE ARTISTICA Egli apparteneva alla corrente naturalista la quale cerca di avvicinarsi il più possibile alla realtà: infatti molte sue opere contengono personaggi a lui vicini o comunque umili, in accordo con i principi della Controriforma. La caratteristica principale delle sue opere è la luce la quale ci indica come leggere l’opera. Subisce l’influenza dell’arte fiamminga e veneta. LA VITA Michelangelo Merisi è detto Caravaggio dal nome del paese d'origine della famiglia, in provincia di Milano, dove nasce nel 1571. Lavora nella bottega del pittore Simone Peterzano, allievo di Tiziano, il quale era un colorista cioè significa che si concentrava maggiormente sui colori e sulle sfumature piuttosto che sul disegno e sulle linee di contorno. Dopo aver trascorso l'infanzia a Milano si sposta a Roma entrando, nel 1593, nella bottega dal pittore Giuseppe Cesari, noto come Cavalier D'Arpino. Nei suoi anni romani, infatti, il pittore entra ed esce di galera per i reati più vari che vanno dalla rissa alla diffamazione, dall'ingiuria al porto d'armi abusivo. Ma tutto questo è nulla rispetto al tragico episodio che sconvolge la sua vita, l'uccisione di tale Ranuccio Tomassoni la sera del 28 maggio 1606 per un banale litigio durante una partita a pallacorda. Il processo a suo carico si conclude con la condanna più pesante, la decapitazione, sentenza che poteva essere messa in atto da chiunque lo avesse riconosciuto. A questo punto resta solo la fuga. Una fuga che lo porta a disseminare le sue opere in ogni luogo che attraversa. Aiutato dal principe Filippo Colonna, per il quale aveva dipinto la seconda Cena in Emmaus, riesce a raggiungere Napoli. Da qui si sposta a Malta con l'intenzione di aderire all'ordine dei Cavalieri di Malta, status che gli garantirebbe l'immunità e la sospensione della condanna. A Malta, invece, dopo l'ennesima lite, viene carcerato. Riesce ad evadere e a rifugiarsi in Sicilia dove passa per Siracusa, Messina e Palermo. In queste città lascia opere spettacolari e suggestive tra le quali la famosa Natività dell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo, rubata per mano della mafia nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1969 e mai più ritrovata. Ritorna a Napoli con la speranza di ricevere la grazia. Per farne richiesta invia al cardinale Scipione Borghese una supplica perché interceda presso il papa e un dipinto raffigurante "David con la testa di Golia". È il terzo quadro che dedica al celebre episodio biblico avendone già realizzato uno in età giovanile e un secondo durante il primo soggiorno napoletano. Intanto arriva da Roma la notizia che papa Paolo V ha preso in considerazione la sua richiesta di grazia, motivo che spinge Caravaggio ad intraprendere l'ultimo viaggio della sua vita su una nave diretta a Porto Ercole. Ma qui, perso il prezioso bagaglio di tele che sarebbero servite come riscatto, malato di malaria e abbandonato a se stesso, a trentanove anni muore di stenti su una spiaggia. Il giorno prima che gli arrivi la notizia della grazia finalmente ottenuta. LA CANESTRA DI FRUTTA Risale al 1597. Si tratta di una natura morta realistica e carica di significati simbolici, motivo per cui venne acquistata dal cardinale Borromeo. Ad esempio la cesta indica la chiesa che accoglie tutti, l’uva simboleggia il vino ossia il sangue di Cristo, la pera la dolcezza della vergine, i fichi il peccato di Adamo ed Eva, la pesca indica la trinità in quanto formata da buccia, polpa e nocciolo. Il quadro mostra un cesto in vimini contenente alcuni grappoli d'uva con foglie di vite, una mela, una pera, alcuni fichi ed altri frutti. Lo sfondo è ampio e neutro di colore giallo chiaro. L'apparente perfezione fotografica degli oggetti nasconde una natura in decomposizione, un senso di bellezza sfiorita e di transitorietà delle cose terrene: la mela è bacata, l'uva troppo matura sta per marcire, le foglie di vite appassite si stanno già accartocciando. Si tratta di una "vanitas", una particolare natura morta con elementi simbolici allusivi al tema religioso della caducità della vita. Il cesto in vimini è osservato frontalmente, da un insolito punto di vista all'altezza del piano su cui poggia; non è possibile, dunque, percepire la profondità del tavolo o la distanza di questo dalla parete. Eppure Caravaggio riesce a creare la terza dimensione: lascia che il bordo del cesto sporga leggermente dalla superficie d'appoggio quanto basta perché proietti una minuscola ombra sul bordo verticale. Ed ecco che il cesto assume una precisa collocazione nello spazio e recupera tutto il suo volume. A tutto ciò si aggiunge l'uso virtuosistico del chiaroscuro creato dall'illuminazione della canestra da sinistra. IL SUONATORE DI LIUTO Esso è tra i primi dipinti, tutti improntati al culto edonistico della bellezza e della giovinezza, in bilico tra realismo di stampo lombardo ed un gusto, tutto romano, più classicista. Originariamente faceva parte della collezione romana del marchese Vincenzo Giustiniani. Caravaggio concepisce l' idea della caraffa di fiori e della frutta sul tavolo come illuminate da una luce che le rende realisticamente evidenti e al tempo stesso pure geometria. Il dipinto è una sorta di invito a godere delle gioie della vita e dell'amore: attraverso le arti e i piaceri terreni quali la musica, il canto, il cibo ed i profumi. Infatti sullo spartito è chiaramente leggibile l'inizio di un madrigale amoroso: poiché dolce è il canto così come lo sguardo del suonatore e della stessa materia pittorica. Si trova a San Pietroburgo, al Museo dell’Ermitage. sguardo corrucciato e quasi perplesso di Pietro: è proprio la luce a dare tensione drammatica alla raffigurazione. LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO Caravaggio ritrae il momento fondamentale della conversione di Paolo, così come è descritto negli Atti degli apostoli: a Paolo di Tarso, fino ad allora persecutore dei cristiani, sulla via di Damasco appare Gesù Cristo, che gli ordina di cessare le persecuzioni e di diventare suo "ministro e testimone". Caravaggio sceglie non tanto il momento della folgorante apparizione, ma quello, più dinamico, della caduta, con Paolo disarcionato dalla potenza della rivelazione. Riduce poi ai soli personaggi "reali'": Paolo, a terra, con le braccia spalancate in segno di umile obbedienza, un vecchio aiutante, il cui volto rugoso esce dalla penombra, e soprattutto il grosso cavallo fermo e come sospeso nel gesto per pestare il suo cavaliere disarcionato. Solo la luce che illumina Paolo e l'animale segnala la presenza divina: Cristo non è raffigurato nella scena come se tutto si svolgesse nel quotidiano, come notiamo dal fatto che Paolo è senza iridi. L’opera fu criticata in quanto viene dato troppo spazio al cavallo. LA MORTE DELLA VERGINE Datata 1605 e destinata alla Chiesa di Santa Maria della Scala a Trastevere. Un quadro scandaloso che la committenza rifiuta sdegnata preferendo quello di Carlo Saraceni. Qui, circondata dagli apostoli in lacrime, giace Maria appena defunta, riversa in modo scomposto su un lettino di fortuna. Il dolore è evidente anche nella gestualità quasi infantile con cui un apostolo asciuga gli occhi con i pugni chiusi. Anche quando dipinge soggetti religiosi Caravaggio rappresenta i personaggi utilizzando come modelli persone comuni: per rappresentare la Vergine egli ritrae addirittura il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere. Il ventre gonfio forse allude alla maternità di Cristo. Anche qui l’ispirazione è data da Anna Bianchini. Unico elemento che restituisce la sacralità del personaggio è una sottilissima aureola dietro la sua testa. È presente anche un altro elemento tipico del barocco: un ampio drappo rosso sollevato verso l'alto, quasi un sipario che ci permette di assistere allo spettacolo di una morte reale e di un dolore vero. Il quadro è chiuso dalla Maddalena col suo pianto solitario, testimonianza dell’interiorità del dolore. La luce arriva da sinistra, forse da una finestra alta, non visibile sulla tela. Lo stesso drappo rosso era già apparso in un'altra scena biblica: Giuditta che decapita Oloferne. Oggi si trova al Louvre, a Parigi. LA MADONNA DI LORETO O DEI PELLEGRINI Si trova in Sant'Agostino a Roma, commissionata dalla famiglia Cavalletti. In primo piano sono visibili i piedi sporchi di terra del pellegrino che ha affrontato un lungo viaggio e che si inginocchia con l’anziana compagna di fronte alla Vergine, che sembrerebbe più una popolana comparsa all'improvviso, come notiamo dal fatto che è in punta di piedi, sulla soglia di casa che non un'austera visione mistica, infatti il pittore fu accusato di aver involgarito l'arte. Anche qui la modella è una prostituta, Lisa Antonietti. LE SETTE OPERE DELLA MISERICORDIA Fino alla metà 1607 è a Napoli e riceve commissioni da illustri personaggi come il conte di Benavente, viceré della città. Qui esegue le Sette opere di misericordia per la Chiesa del Pio Monte della Misericordia, affrontando un tema che sarà centrale negli ultimi anni della sua produzione: la grazia e la pietà divina che intervengono nelle vicende del mondo sconvolto dal male e dalla violenza. Nella grande pala napoletana, consegnata nel gennaio 1607, Caravaggio illustra le sette opere praticate dalla confraternita committente, inscenando una specie di rappresentazione di strada dove i vari atti misericordiosi si intersecano l'un l'altro sotto lo sguardo protettivo della Vergine, con un effetto di compressione spaziale e di articolazione delle luci straordinario, destinato a influenzare a lungo l'arte napoletana. La confraternita fu creata da sette nobiluomini che decisero di donare una parte dei loro averi ai poveri napoletani lasciando una clausola: le tele non potevano essere né vendute né spostate. Caravaggio si ispira ai napoletani infatti gli angeli sono paragonati agli scugnizzi. Le sette opere di misericordia sono quelle richieste da Gesù per ottenere la misericordia ed entrare nel regno dei cieli, quelle corporali sono dare mangiare agli affamati (Cimone era il padre di una ragazza condannato a morire di fame in prigione), da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini (sulla testa ha un cappello con una conchiglia, simbolo del pellegrinaggio di Santiago di Compostela), curare gli infermi, visitare i carcerati e seppellire i defunti, mentre quelle spirituali sono consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare le persone moleste e pregare Dio per i vivi e per i morti. DECOLLAZIONE DEL BATTISTA Essa risale al periodo maltese: fu commissionata dal Gran Maestro dell'Ordine per l'oratorio annesso alla cattedrale della Valletta. Ancora una volta il tema è la misericordia divina che illumina di grazia il martirio. Nella vasta tela, lunga più di 5 metri, in cui la grandezza delle figure umane è progressivamente ridotta in rapporto a uno spazio vuoto sempre più dilatato e carico di dramma, il pittore sottolinea l'ineluttabilità del destino cui nemmeno san Giovanni Battista può sfuggire. Nella strada davanti alla prigione, un carceriere sta decapitando il santo per ordine di Salomè, mentre due carcerati assistono all'evento, dietro l'inferriata della finestra della loro cella: tutta la scena è ideata "alla prima", ossia senza disegno preparatorio, portando all'estremo un modo di dipingere rapido e immediato che già aveva caratterizzato i capolavori romani. Il muro della prigione occupa uno spazio importante e insieme all'oscurità grava sulla scena, rimarcando i principi supremi che governano il mistero dell'esistenza di ogni essere vivente: ingiustizia, dolore, misericordia, cieca incomprensione, inesorabile potenza del destino imperscrutabile. Inoltre Caravaggio rappresenta il momento della decapitazione mentre nell’iconografia tradizionale, si preferisce rappresentare la morte come già avvenuta, con il capo mozzato del santo su un piatto. DAVID CON LA TESTA DI GOLIA Il David con la testa di Golia è dipinto alla fine del 1609 e arriva a Roma insieme alla domanda di grazia che Caravaggio invia al cardinale Scipione Borghese. David ha un’espressione di compassione e contempla la testa di Golia a cui la morte ha congelato un grido. Molti individuarono nella fisionomia dello sconfitto un' autoritratto di Caravaggio. Sulla lama si leggono le lettere H-AS OS, sigla che riassume il motto agostiniano humilitas occidit superbiam ossia l'umiltà uccide la superbia. Il Caravaggismo Caravaggio influisce sensibilmente sui pittori italiani europei del primo Seicento: molti artisti infatti seguono i suoi tratti stilistici contribuendo alla loro diffusione. Questi pittori sono definiti caravaggeschi e si caratterizzano per l'uso di forti contrasti tra luci ed ombre, per la rappresentazione di persone e cose nella loro immediatezza, per il loro modo di dipingere dal naturale e per lo scarso interesse gli sfondi. Tra questi ricordiamo Artemisia Gentileschi, figlia di Orazio Gentileschi, amico di Caravaggio. Artemisia Gentileschi GIUDITTA E OLOFERNE Il dipinto fu terminato a Roma attorno al 1620. Prima la donna aveva soggiornato sette anni a Firenze per sfuggire allo scandalo del processo da lei stessa intentato al paesaggista Agostino Tassi, reo di averla violentata, e che si era concluso con l'umiliazione della giovane. Nel dipinto Artemisia pare trasferire l'odio per l'oppressore: Giuditta, che secondo la tradizione sarebbe un autoritratto, è colta nel punto di decapitare il nemico assiro che ha ingannato con la seduzione, tutelando però la propria purezza. Nei panni di Oloferne, invece, la pittrice avrebbe adombrato il tratto del suo violentatore. Le vesti e i panneggi sono preziosi ed eleganti, secondo l'insegnamento del padre, ma profondamente caravaggesco è il gioco di luci e ombre, che aumenta la drammaticità serrata e violenta della composizione. Realizzato per un committente privato, il Giuditta e Oloferne di Caravaggio segna l'uscita dai temi tipici della sua prima attività e mostra per la prima volta il suo deciso realismo nella rappresentazione di un'azione intensamente drammatica. L'espressione della protagonista, contrariamente a quanto accade per quella di Artemisia Gentileschi, svela l'orrore provato nel dover compiere un atto di efferata violenza, anche se per il bene del proprio popolo. A sottolineare questo sentimento di repulsione è anche la posa di Giuditta, che arretra il busto quasi a prendere le distanze da quanto sta accadendo per sua stessa mano. Nel quadro di Caravaggio il punto di vista è più ravvicinato di quello di Artemisia, ciò comporta una maggiore focalizzazione sui volti dei personaggi, soprattutto sulla smorfia di Oloferne. SUSANNA E I VECCHIONI L'opera è datata 1610 quando la pittrice aveva solo 17 anni. Venne esibito dal padre Orazio come prova della maestria della figlia: molti hanno ritenuto che fosse sostanzialmente opera di Orazio firmato col nome di Artemisia solo per scopi promozionali, altri invece ne hanno messo in discussione la datazione. Più recentemente alcuni studiosi hanno ipotizzato che la stessa autrice del dipinto abbia retrodatato il dipinto come simbolo dell'inizio dello pressione subita da parte del padre e da Agostino Tassi. Susanna era sposata con un uomo di politica, la sua casa veniva frequentata da due vecchi che approfittando dell'assenza del marito la spiavano mentre faceva il bagno e la costrinsero a stare con loro altrimenti avrebbero detto che aveva tradito il marito. Dunque viene accusata di adulterio ma il profeta Daniele suggerì al giudice di interrogare separatamente i due vecchi che si contraddicono e quindi Susanna venne liberata. Il giovane indicava il suo maestro Agostino che abusava di lei, tuttavia in seguito ella raccontò tutto al padre che denuncioò Agostino il quale però accusò la pittrice di averlo provocato e la sottopose ad una tortura con delle corde finché lei fu liberata ma la sua reputazione fu ormai rovinata. fossero liberate in volo. Nella "meraviglia" generata dalla palese impossibilità che statue poderose si sollevino libere nell'aria, così come nella beatitudine ostentata della santa, quasi vicina a un piacere troppo terreno, molti critici hanno individuato le caratteristiche peculiari dell'arte barocca. PIAZZA NAVONA La fortuna di Bernini incontra qualche rallentamento alla morte di papa Urbano VIII, quando sale al soglio pontificio Innocenzo X Pamphili, la cui famiglia aveva vecchie inimicizie con i Barberini; il nuovo papa, complice la grave crisi economica che il Vaticano sta attraversando, è inizialmente abbastanza cauto nella promozione delle arti e addirittura ostile nei confronti dello stesso Bernini, protetto del suo predecessore. Proprio negli anni del suo pontificato, infatti, trova finalmente riconoscimento ufficiale del suo talento Francesco Borromini, cui tra le altre cose viene affidato il restauro di San Giovanni in Laterano. Nel suo programma di risistemazione di piazza Navona, tuttavia, Innocenzo X non può trascurare il progetto di Bernini per la Fontana dei Fiumi, che lo colpisce al punto da mettere in ombra il disegno, più semplice, del suo prediletto Borromini cui pure era stato affidato l'incarico di redigere una proposta. L'intera piazza infatti, costruita sul sito dell'antico stadio di Domiziano dell'85 d.C., di cui ancora oggi ricalca la forma, era oggetto di riflessione da parte del papa, che voleva trasformarla nell'occasione per celebrare la magnificenza della sua famiglia operando a scala urbana oltre che architettonica. LA FONTANA DEI FIUMI Fu pensata per collocarvi il grandioso obelisco, copia romana di un originale egizio, ritrovato nel 1647 nei pressi del circo di Massenzio. Il gigantesco complesso in travertino si erge su una vasca ellittica e sostiene il peso che vi grava sopra mettendo in scena un paradosso statico tipicamente barocco, essendo cavo al centro proprio in corrispondenza dell'asse verticale dell'obelisco. L'architetto aveva approntato diversi modellini in terracotta e legno, tuttora esistenti e dai quali si evince che probabilmente la fontana doveva essere in bronzo, con una struttura compositiva ancora più slanciata; un aneddoto rivela che, accusato di aver progettato un'opera non sicura, Bernini abbia risposto ironicamente fissando quattro esili cordicelle dalla base del complesso alle facciate dei palazzi circostanti. Alla base dello sperone roccioso che sorregge l'obelisco ci sono le statue di quattro grandi fiumi, allegoria dei continenti allora conosciuti: il Danubio per l'Europa, il Gange per l'Asia (navigabilità delle acque - remo), il Rio de la Plata per le Americhe (acque argento - monete) ed il Nilo per l'Africa. Le statue furono solo disegnate da Bernini e poi realizzate da altri artisti; attorno a esse, animali e piante in stretta relazione tra loro movimentano il tutto e nascondono i condotti da cui fuoriesce l'acqua, che zampilla tra le rocce producendo un effetto scenografico che suscita meraviglia e stupore nello spettatore. Alla sommità dell'obelisco è posta una colomba, simbolo dello Spirito Santo e stemma di papa Pamphili. Numerosi sono ancora oggi gli interrogativi sui motivi per cui il papa sceglie quest'opera invece che quella del suo protetto, probabilmente la verità sta nella scelta iconografica che nasconde un codice comunicativo molto complesso. Per la sua opera Bernini si avvale della collaborazione del tedesco Athanasius Kircher, intellettuale e padre gesuita che concorre alla definizione di un monumento-immagine costruito ad hoc per rivendicare e promuovere la sovranità della Chiesa cattolica sul mondo. Basti fare l'esempio dei fiumi designati a rappresentare: Per l’Europa e le Americhe ci si sarebbe aspettati il Tevere e il Mississippi: forse si è trattato di una scelta politica, volta a focalizzare l'attenzione su due aree "calde" dell'universo cristiano: il Nord Europa, interessato dalla Riforma luterana, e il Sud America, da poco cristianizzato dalle missioni gesuite. Il Nilo si copre il volto con un panneggio, facendo riferimento all'oscurità delle sue sorgenti, rimaste ignote fino alla fine del XIX secolo. Un'antica tradizione, priva però di fondamento storico, vorrebbe che nel gesto del fiume Bernini abbia adombrato il desiderio di non vedere la prospiciente Chiesa di Sant'Agnese in Agone, realizzata dal rivale Borromini, in realtà iniziata solo l'anno successivo. LA BASILICA DI SAN PIETRO Bernini è intervenuto nelle navate e ha creato statue e monumenti funebri. Tra il 1628 e il 1647 realizza la tomba per Urbano VIII, nel 1656 dà inizio ai lavori per la risistemazione della piazza, nel 1666 completa la cattedra per l'interno e la Scala Regia, ed entro il 1678 esegue la tomba del suo ultimo patrono, papa Alessandro VII. IL BALDACCHINO DI SAN PIETRO Per Urbano VIII il maestro realizza il Baldacchino che impreziosisce l'altare maggiore di San Pietro e lo consacra come l'inventore di nuove forme di "spettacolarizzazione" delle sacre immagini. Questa incredibile opera è concepita come un gigantesco arredo processionale trasformato in monumento ed è il simbolo di una decisiva svolta nella cultura artistica del Seicento: il "Barocco". Per la morfologia delle colonne l'artista si ispira a quelle, antichissime, dalla tipica forma a spirale conformate a modo di pergola di vite, simbolo di vita eterna. Colonne di questo tipo erano presenti nel presbiterio dell'antica basilica costantiniana. Bernini concepisce l'idea di realizzare le colonne del baldacchino ingigantendo a dismisura le proporzioni e utilizzando un materiale prezioso, il bronzo, ottenuto in parte, tra feroci polemiche, dalla fusione delle travi del pronao del Pantheon. Nonostante la riprovazione popolare verso tale operazione (sottolineata dal motto "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" cioè "ciò che non hanno fatto i barbari l'hanno fatto i Barberini") era abbastanza normale, in epoca barocca, intervenire pesantemente sugli edifici delle epoche precedenti trasformandoli, aggiungendovi nuovi elementi o, addirittura, demolendoli. I Barberini, infatti, oltre ad aver sottratto tutto il bronzo del Pantheon, hanno smontato metà del Colosseo. La chiusura è particolare: a dorso di delfino. La figura del committente è evocata nel baldacchino dalla presenza delle api sulle colonne, emblema della famiglia di Urbano VIII. Il baldacchino, che si erge maestoso nel "centro croce" della basilica, si confronta con la cupola di Michelangelo. Per concludere la struttura, dove una copertura rettilinea avrebbe tificato lo slancio possente, Bernini attinge alla capacità progettuali di Francesco Borromini, nipote del primo architetto di San Pietro, Carlo Maderno a quale si doveva la facciata della basilica e l'intenzione dell'allungamento delle navate che stravolgeva l'originario progetto michelangiolesco. Il giovane Borromini è probabilmente il responsabile dell'invenzione di un sistema di copertura a grandi archi che si proiettano nello spazio e non chiudono ma definiscono la forma pur lasciandola aperta e aerea: un'idea che segna l'avvio della carriera di uno dei più straordinari progettisti dell'età moderna. MONUMENTO FUNEBRE DI URBANO VIII L'opera stabilisce un nuovo modello di tomba a parete, eseguito per secoli sia in Italia sia all'estero, specie in Francia e in Inghilterra. Misto di marmo e bronzo, il monumento rappresenta il pontefice benedicente attorniato dalle gigantesche statue allegoriche della Giustizia e della Carità. La statua di Urbano VIII è realizzata in bronzo, così come lo scheletro: l'immagine, che dovrebbe richiamare il dramma della morte, diventa quasi vitale perché è colta nell'atto di scrivere l'epitaffio del papa su un gigantesco cartiglio. Le due allegorie invece sono di marmo: nella compenetrazione tra diversi materiali si realizza un vivace effetto pittorico e coloristico, che sembra far dimenticare il contesto funebre e macabro del monumento. Bernini trasforma così la tomba in un teatro sacro, suggerendo una concezione della morte e dell'ultra terreno mondana e ambigua. LA CATTEDRA DI SAN PIETRO Essa è collocata nell'abside della basilica è il simbolo dell'ultra terreno che solo parzialmente è raggiungibile attraverso i sensi dell'uomo. Secondo la tradizione la cattedra era un trono ligneo, appartenuto a san Pietro, primo papa e primo vescovo di Roma: in realtà il sedile risale al IX secolo. È del 1656 l'idea di inserirlo, come una preziosa reliquia, all'interno di una grandiosa struttura scenografica. Su un drappo frontale è rappresentata la Consegna delle chiavi, ovvero l'atto secondo cui, nella dottrina cattolica, Cristo conferisce a Pietro il primato papale. Sopra il trono, in una raggiera di stucchi dorati contornata da angeli, si trova un finestrone in alabastro raffigurante una colomba, simbolo dello Spirito. I raggi di luce sono lama dorata attorno a cui si accalcano le figure dei Dottori della Chiesa greca e latina che sembrano fermare il volo della cattedra, librata verso il cielo su nuvole di stucco. LA SALA REGIA La rampa, coperta da una volta a botte, si restringe a cannocchiale verso l'alto creando un particolare effetto visivo e prospettico sottolineato dalla successione di colonne, ribattute nelle paraste che scandiscono le pareti. L'inizio del percorso è monumentalizzato da una magniloquente serliana. La scala è realizzata in uno spazio molto angusto, che Bernini però riesce a dilatare grazie al doppio colonnato ionico e alla convergenza delle pareti, sfruttando un artificio molto simile a quello utilizzato dal suo rivale Borromini nella Galleria di Palazzo Spada. Al termine della rampa Bernini colloca la statua equestre dell'imperatore Costantino, raffigurato dall'artista nel momento in cui ha la visione della Croce prima della battaglia di Ponte Milvio. È un'opera di intensa drammaticità e teatralità, sottolineata anche dal grande drappo in movimento che costituisce lo straordinario fondale della scultura. PIAZZA SAN PIETRO Bernini realizza la piazza antistante la basilica: essa era destinata a diventare il luogo dell'accoglienza dei fedeli. Il grande vuoto davanti alla facciata della basilica è così progettato da Bernini come una sequenza di spazi geometricamente conformati: un'area trapezoidale, che enfatizza gli effetti prospettici, e la vasta ellisse, materializzata da due possenti colonnati in travertino che evocano l'immagine delle braccia che si aprono ai fedeli. Lo spazio è funzionale - perché guida i fedeli verso la basilica e accoglie le folle convenute a Roma per la benedizione papale - e destinato a suscitare meraviglia. Ha il suo fulcro reale e simbolico nella Loggia della Benedizione, immediatamente visibile da ogni punto della piazza. La successione dei due differenti spazi, la piazza esterna vera e propria e il sagrato, delimitato da due corpi di fabbrica divergenti, diventa una prospettiva perfetta che riporta al centro della visione la cupola di Michelangelo, la cui posizione era stata snaturata dal cambiamento di struttura della pianta della basilica. La forma scenografica barocca della piazza è oggi snaturata dall'alterazione del tessuto viario che ha compromesso l'intervento urbanistico dell'architetto: il grande viale di accesso alla piazza è infatti una realizzazione novecentesca. Nel Seicento si accedeva invece al vasto spiazzo da due strette vie, in cui una serie di alti edifici impediva la visione della Basilica di San Pietro, che appariva all'improvviso dietro le colonne. La demolizione della "spina dei Borghi" ovvero dell'intero isolato compreso fra via di Borgo Vecchio e via di Borgo Nuovo fino a Castel Sant'Angelo, voluta da Mussolini per l'apertura dell'attuale via della Conciliazione, ha cancellato piazza Rusticucci e soprattutto la calibrata sequenza degli spazi geometricamente definiti, ideati con grandissima sensibilità da Bernini. Ai lati dovevano esserci due campanili, ma Borromini disse che il terreno avrebbe ceduto, Bernini le costruì lo stesso ma crollarono. SANT’ANDREA AL QUIRINALE La chiesa fu edificata a partire dal 1658 e conclusa nel 1661, fu costruita sulle fondamenta di una chiesa precedente grazie alla commissione del papa Alessandro VII e del cardinale Camillo Pamphili, nipote di papa Innocenzo X. La facciata si apre su un piccolo sagrato dilatato da due ali concave, che ampliavano illusionisticamente lo spazio e sono state modificate da successivi progetti: il modello è quello, in
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved