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Il Medioevo: l'Europa tra l'ellenismo e l'Impero Romano, Appunti di Storia Medievale

Sulla cultura e la politica dell'europa durante il medioevo, dalla fine dell'impero romano alla nascita del rinascimento. La latinizzazione dell'europa occidentale, l'espansione dell'impero romano e la formazione di nuovi stati e potentati. Vengono anche discusse le battaglie e le tensioni che hanno contribuito alla definizione del medioevo.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 27/08/2019

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erica-doninelli 🇮🇹

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Scarica Il Medioevo: l'Europa tra l'ellenismo e l'Impero Romano e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Storia Medievale Paolo Grillo Anno accademico 2018-9 II semestre Lezione 1 11-02-18 • Prime 15 lezioni corso istituzionale. • Altre 15 lezioni corso monografico. Documenti che ripercorreranno la storia medievale dell’Europa dal punto di vista del rapporto tra uomo e ambiente. Esame Parte sul manuale Parte sui libri integrativi Una o due domande sul corso Cosa studieremo? Studieremo un’area geografica precisa, in un’epoca precisa. Il medioevo copre tradizionalmente un millennio, e secondo le date simboliche più accertate lo si fa iniziare nel 476, e lo si fa finire, qui ci sono due scuole di pensiero, o nel 1453, con la caduta di Costantinopoli in mani turche, o nel 1492 con l’arrivo di Colombo in America. La nozione di Medioevo merita una serie di definizioni. Il Medioevo è una definizione di pensiero europea, applicata all’Europa. Come espressione decontestualizzata, il Medioevo è stato applicato ad altre epoche e regioni della storia mondiale, che talvolta coincidono, talvolta no. Si parla per esempio di Medioevo Cinese in un periodo di tempo compatibile con il Medioevo Europeo. Il Medioevo Cinese finisce prima, nel X secolo, laddove il nostro Medioevo è più lungo. Se parliamo di Medioevo Giapponese, esso coincide con la nostra Età Moderna. Siamo dunque tra XVI e XVII secolo. Possiamo estendere il Medioevo Europeo all’area mediterranea. La scansione dei tempi non è la stessa per mondo arabo e persiano, ma dati i contatti, le due civiltà si influenzavano vicendevolmente. Il Medioevo non è un periodo oggettivo della storia dell’umanità, è legato a una situazione politica e sociale precisa, quella dell’Europa. Il problema è che mille anni sono lunghi: di fatto il medioevo è un’epoca lunghissima, se paragonata a quelle successive. L’Età Moderna copre quattro secoli, l’Età Contemporanea uno solo. Il Medioevo è un’età lunga, forse l’Età Classica lo è altrettanto, però l’Età Classica è segnata da un’omogeneità culturale e politica molto forte. La cultura ellenistica e l’Impero Romano danno a quest’area un’impronta omogenea. Nel Medioevo succede di tutto: esso parte con le strutture dell’Impero Romano ancora esistenti, e finisce con il Rinascimento, periodo difficilmente connotabile. Medioevo è una definizione generica: se con Modernità intendiamo una definizione che richiama al cambiamento, il Medioevo è neutro. Significa di fatto età di mezzo. È una definizione già elaborata in epoca medievale, è stata per la prima volta in pieno umanesimo, che dal 1 punto di vista cronologico si colloca proprio sul finire del Medioevo. Esso risponde a una definizione ideologicamente forte, di un’Europa politica che voleva ricostruire una sorta di filo indiretto con l’esperienza dell’Impero Romano, ed escludeva tutto ciò che c’era nel mezzo. Questo intento rispondeva alla costruzione delle grandi monarchie, tentando di cancellare tutto ciò che c’è in mezzo come anarchia. Il vero stato di natura dell’uomo è rispondere a un re assoluto che tutto conosce, questa è l’ideologia alla base della monarchia assoluta. In questo senso Medioevo ha un connotato negativo. Spesso è usato in maniera negativa anche nel linguaggio comune, per connotare qualsiasi situazione negativa. Per esempio, la caccia alle streghe inizia solo nel 400, con un culmine tra 500 e 600. Nell’opinione pubblica la caccia alle streghe è medievale, ma di fatto così non è (vedi La Chimera di Vassalli). Il Medioevo godeva di una libertà sessuale considerevole, ma in opere come Il racconto dell’ancella la donna è ricondotta a un immaginario tipicamente stereotipato in senso medievale. In realtà l’oppressione femminile era più accentuata nel periodo Vittoriano o in Età Moderna. Il Medioevo non è un’epoca oscura, è un epoca come tante altre. A questa immagine negativa del Medioevo corrisponde un fascino diffuso per il Medioevo. Esso gode di questa situazione particolare: è lontano, così noi lo percepiamo come esotico; il Medioevo è la prima epoca di cui noi utilizziamo un lascito materiale. I templi romani, greci, sono oggetti museali. Le Chiese sono medievali,e chi abita in un centro storico di una città probabilmente vive in una casa con le fondamenta medievali. Alla fine del 200, la città di Milano è molto grande, e vi è una zona all’esterno delle mura comunali. Questa zona viene protetta con un fossato, detto redefossi. Sulla linea del redefossi gli Spagnoli costruiscono dei bastioni. L’area C costruita dall’amministrazione Moratti viene fatta proprio in corrispondenza dei bastioni. Questi esempi ci fanno capire come l’epoca medievale sia vicina e lontana. Ci sono una serie di precetti negativi che vanno eliminati. Gli illuministi dipingono, per esempio, un feudalesimo medievale che in realtà è il feudalesimo francese della loro epoca. D’altra parte dobbiamo togliere una serie di visioni legate alla rivalutazione romantica. Come definiamo Medioevo? C’è un elemento di connessione con il nostro presente. Il medioevo è il momento in cui nasce l’Europa come la conosciamo oggi. Il mondo romano guardava poco all’Europa. L’attenzione all’Europa Romana è un portato nostro. Gran parte dell’Europa non era compresa nei confini dell’Impero Romano, che gravitava sul Mediterraneo. La zona Euro atlantica era un surplus, la conquista della Gallia rendeva perplessi persino i contemporanei. Anche dopo la disfatta di Teutoburgo contro i Germani, ci si rende conto che il sacrificio di quattro legioni era inutile. C’erano regioni per cui avere dei baluardi militari era inutile. Agli inizi del V secolo l’Inghilterra viene abbandonata, simil destino ha anche la Dacia, lasciata da un secolo dalla sua conquista. Il mediterraneo è un mondo connesso, diviso in due aree linguistiche, latino ad ovest e greco a est. Nel Medioevo, nella sua prima parte, questa rete di legami si allenta, e a livello politico si spezza. Il mondo latino arriva ai suoi confini minimi nel IX secolo, quando l’Impero Carolingio coincide con il 90% del mondo cattolico latino, restano fuori Benevento, Le Asturie e la Britannia. Piano piano si allargano i confini verso oriente, con la sottomissione della Boemia. La cristianità latina lentamente si espande: insieme a una religione si muove una civiltà e una lingua. La barriera linguistica coincide con la barriera religiosa: parte dell’area balcanica (es. Bulgaria) adotta il cristianesimo ortodosso e la lingua greca. 2 12-02-18 Il tardoantico è una specie di cuscinetto storico, che comprende il IV e il V e, secondo alcuni, la prima metà del VI secolo. Il mondo del tardoantico è ancora connotato dalla cultura ellenistica, ma ha già dei caratteri profondamente nuovi. Il primo carattere nuovo è il cambiamento della società imperiale: con la fine delle guerre di conquista vengono a mancare la grande disponibilità di ricchezze data dai bottini e dai saccheggi, e la grande disponibilità di schiavi. Questo ha due conseguenze: le strutture produttive imperiali devono ristrutturarsi per risolvere il problema della manodopera schiavile, e in secondo luogo diventa difficile pagare l’esercito, perché di fatto precedentemente esso si pagava da sé. Quando esso passa a un’attitudine difensiva queste risorse vengono a mancare, e l’esercito diventa un problema. Diventa difficile convincere la gente a fare il soldato. L’economia del tardo impero è diversa. La società è molto più polarizzata: da sempre l’impero romano è governato da piccoli proprietari molto ricchi, e se la ricchezza veniva dallo sfruttamento della manodopera schiavile, questa ricchezza ora deve provenire dalla manodopera libera. La condizione dei contadini peggiora costantemente. Abbiamo due circolazioni di moneta, una d’oro, usata dai ricchi, e una di bronzo il cui valore non viene difeso. La moneta di bronzo, usata dal popolo, è fortemente svalutata. Questo meccanismo impoverisce i gruppi sociali più bassi. Gli squilibri sociali iniziano a diventare gravi. L’instabilità politica è all’ordine del giorno. Dopo Costantino assistiamo comunque alla presenza di due entità imperiali separate, quella latina e quella greca. Con la nascita di Costantinopoli, con più di mezzo milione di abitanti, anche le risorse nel Mediterraneo vengono bipartite. In qualche misura , il mondo latino e il mondo greco tendono a fare da sé. La bipartizione è politica, economica e culturale. Paradossalmente, bisogna trovare un collante interno all’impero. Questo collante,con un colpo di genio di Costantino, viene trovata in quella che, fino a quel momento, sembrava un’ideologia sovversiva, ovvero il Cristianesimo. Esso era nato in Palestina nel I secolo, con la predicazione di Gesù, ottiene un successo clamoroso e probabilmente inaspettato in tutto il territorio dell’Impero. Nel III secolo è già profondamente presente nell’Impero, e nel IV secolo si diffonde nella parte occidentale dell’Impero. La vera forza del Cristianesimo è il suo messaggio assolutamente trasversale: si presenta non solo come una religione che non ripromettendosi mete terrene proietta nell’aldilà il fine ultimo della vita umana, ma addirittura include tutti. Non solo: svolge una funzione di collante tra i diversi gruppi sociali. L’idea dell’elemosina, della carità, che è forte, proviene dalla tradizione giudaica ed è esaltata nel messaggio cristiano delle origini, è un cambiamento importante per una società che non aveva nessuna attenzione per i più poveri, ad esclusione delle distribuzioni di pane. In una società sempre più polarizzata, in cui i poveri sono sempre più numerosi, il Cristianesimo che struttura la carità, perché non solo i ricchi sono invitati ad aiutare chi stava peggio, ma la Chiesa stessa faceva carità. I vescovi, tra le loro competenze, dopo l’Editto di Costantino, hanno il compito di ridistribuire parte delle ricchezze della Chiesa al popolo. Questo culto ha una capacità di penetrazione che non subisce limiti geografici, non subisce limitazioni (es. il popolo eletto, gli Ebrei), e per questo motivo può essere il collante. Costantino, senza convertirsi lui stesso al Cristianesimo (solo in punto di morte), nel 312 rende pubblico l’Editto di Milano, e nel 325 presiede lui stesso il Concilio di Nicea, elaborando dogmi ancora oggi in vigore. Il passaggio suscita una serie di reazioni: da un lato c’è una reazione conservatrice, soprattutto delle aristocrazie, soprattutto latine, che vogliono conservare i loro culti tradizionali, opponendosi alla diffusione del Cristianesimo, soprattutto quando nel 380 Teodosio dichiara il Cristianesimo religione dell’Impero. Inizialmente il culto cristiano si impone come pacifista, ma già Sant’Agostino giustifica il militarismo assorbendolo nell’ideologia della guerra giusta. Sono tollerate le guerre difensive, che vogliono salvaguardare un popolo oppresso da altri. L’impero implica una serie di adattamenti, di una serie di dogmi. Una 5 parte di Cristiani, gli Ariani, viene estromessa dal culto ufficiale. Nasce il monachesimo, che è una sorta di ritiro dal mondo. Parte dei più ferventi cristiani decidono di vivere una propria esperienza di vita, isolandosi in comunità più piccole, andando a fare gli eremiti. Un passaggio forte e traumatico, importantissimo perché la costruzione della cultura medievale, e l’allargamento della cultura latina oltre i confini del vecchio Impero Romano passano attraverso l’inclusione. Il Cristianesimo non rinnega il paganesimo. La cultura ellenistico - latina non viene rifiutata in quanto pagana, ma in qualche misura viene assimilata nel messaggio cristiano. Platone diventa importantissimo per Agostino. La grande tradizione culturale dell’età classica si prepara un ponte per passare nel Medioevo. Il tardo antico è un epoca di grande interesse, perché si pongono le premesse perché il crollo politico dell’Impero Romano di Occidente non sia seguito dal crollo culturale della latinità. Cambia il modo di vestirsi: i Romani vestivano in modo che il loro status fosse evidente. La toga rappresentava un vero e proprio modo di essere. Dopo l’Editto di Caracalla, quando la cittadinanza romana viene estesa a tutto l’Impero, la toga non ha più il suo stato distintivo. Vengono adottati costumi barbarici: i pantaloni, le brache galliche; le scarpe chiuse sostituiscono il sandalo. Si passa dal libro al codice. I libri in età classica erano scritti su papiro. Il papiro si ricavava dalle fibre di questa pianta, che cresce principalmente in Egitto, molto fragile e leggera, conservata arrotolata. Il rotolo di papiro veniva srotolato e si leggeva con entrambe le mani. Una delle conseguenze della frattura commerciale tra Oriente e Occidente è il fatto che il papiro diventi caro, in quanto viaggiava sulle navi del Grano. L’importazione diventa costosa, si continua a usare, ma viene affiancato da un materiale molto più economico e robusto. Esso è la pergamena, ma di fatto è molto più pesante del papiro. Bisogna cambiare la forma: si passa dal rotolo al libro. I fogli vengono rilegati insieme e prendono la forma del codice. Questo è un cambiamento fortissimo anche dal punto di vista della pratica intellettuale. Il rotolo va tenuto con due mani, di fatto non si può interagire con il rotolo, per esempio sottolineando. Come operavano gli antichi? Usavano uno schiavo che annotava tutto. Famoso è il caso dello schiavo di Cicerone, Tirone, che di fatto inventò delle abbreviazioni stenografiche (alcune in uso ancora oggi). Il libro, con il codice, diventa annotabile: nasce la glossa, non c’è più bisogno dello schiavo. Si passa dall’oralità dell’annotazione alla possibilità di interagire con il testo. La maniera in cui materialmente ci rapportiamo con il testo cambia l’approccio con il testo. I barbari I Romani avevano una grande smania classificatoria: alcuni dei barbari erano definiti “Germani”. I Germani ci portano all’idea della caduta dell’Impero Romano d’Occidente. In questa data chiave, il 476 la deposizione di Romolo Augustolo avrebbe segnato il cambiamento totale. In realtà il cambiamento non è così drastico: abbiamo una lunga trasformazione, sintetizzata nell’idea di tardo antico. Ideologicamente i Romani non hanno dubbi: c’è la civiltà, e c’è il fuori dalla civiltà. Questa concezione è ereditata dai Greci: chi parla greco, pensa Greco, pensa davvero, ragiona davvero. Chi non parla greco è governato dagli istinti. Addirittura balbetta: barbaro è parola onomatopeica che dovrebbe rievocare questo verso che i non greci fanno quando parlano il greco. I Romani si impadroniscono di questa idea, ed elaborano una teorizzazione simile. Questo consente di separare il mondo della civiltà dal mondo della Barbarie. Questo modo di ragionare fa si che siano barbari gli Ostrogoti, ma sono barbari anche i Cinesi, I Persiani, che avevano una civiltà sofisticata (forse più) di quella dei romani. È un pregiudizio culturale, non razziale: se si impara a parlare greco o latino ci si civilizza. In questo senso, il mondo della civiltà e della barbarie vanno fisicamente separati. Da qui la nozione di limes, che non è semplicemente un confine politico, ma è un confine tra civiltà e inciviltà. Esso deve essere fisicamente sbarrato. I Romani fanno ciò con il Vallo di 6 Adriano. Con esso i Romani dividono la Britannia dalla Scozia. Il vallo è una palizzata/fossata, torri di guardia. Un processo simile avviene sul Danubio e sul Reno. L’idea elaborata dall’ideologia romana era questa: noi, un muro, loro. Di fatto non era così. Sappiamo che i contatti tra l’Impero Romano e i Barbari erano intensissimi. La maggior parte degli scrittori si attiene a questa ideologia imperiale, per cui i Barbari vanno periodicamente sterminati e non comprendono. Nell’ultimo secolo abbiamo avuto un altro tipo di testimonianza, quello della teologia, che ha riportato un punto di vista diverso. I Germani, che i Romani ci presentano senza storia, sempre uguali, in realtà una storia la possiedono, ed è una storia di crescente complessità. Se i Germani del I secolo d.C vivono in villaggi, con una cultura molto povera. Un secolo dopo hanno avuto un miglioramento delle tecniche agricole, vivono in centri più articolati, organizzati intorno a un capo, con un tenore di vita piuttosto alto. I Germani tessevano, producevano ceramiche e vetrerie, avevano un’ottima metallurgia. In queste case i re organizzavano banchetti in cui era offerto vino greco e marsigliese. I Germani non coniavano moneta, ma di fatto erano pieni di monete romane. Il confine è permeabilissimo, i Barbari comprano merce romana, e in cambio danno servizio militare. I mercenari barbari sono una manna dal cielo durante la crisi dell’esercito. I mercenari barbari prestano servizio per una determinata parte di tempo, poi hanno due scelte: possono restare e diventare cittadini romani (dopo il servizio militare era prassi) o tornare a casa loro. L’Impero si riempie di barbari con la cittadinanza, e di barbari di seconda generazione. Questa situazione creerà una serie di reazioni. Questo processo di interscambio tra mondo germanico e mondo romano ha anche una forte conseguenza politica: questo mondo molto frammentato che è il mondo barbarico/ germanico del I secolo d.C, vive un forte processo di accentramento nel secolo successivo. Le tribù germaniche che andavano a prestar servizio nell’esercito romano, si concentravano intorno a un capo di grande successo. Erano degli interlocutori di fiducia, a cui i romani chiedevano guarnigioni in diverso numero. La capacità di alcuni capi di creare contatti utili con i Romani e di monetizzarli, diventa un fattore di attrazione, per cui le più piccole tribù e villaggi si coagulano intorno a questi capi. Questo processo viene favorito dai Romani. I grossi raggruppamenti di barbari, lentamente si danno un’identità. Questi sono coloro che chiamiamo i popoli delle invasioni: I Visigoti, gli Ostrogoti, I Franchi. Vengono elaborati miti delle origini, che identificano un animale totemico, un mito fondativo, e questo crea identità. Quando i popoli germanici si spostano dentro i confini dell’impero non più come mercenari ma come invasori, questo processo spesso si è già compiuto, come con i Goti, oppure avverrà in un momento successivo (sarà così con i Franchi). Per oltre un secolo, il sistema d’uso dei soldati mercenari funziona, arricchendo la frontiera. Il fattore scatenante della crisi è esterno. Dall’Asia centrale arriva una popolazione nomade particolarmente aggressiva: gli Unni. La loro espansione è lenta, nel III secolo premono sui confini cinesi, premono sui Persiani, alla fine del IV secolo si stanziano in Ucraina, nel V nell’attuale Ungheria. Questa avanzata unna è paradossalmente causato dai romani. Un fattore di migrazione è esterno: il III e IV secolo sono caratterizzati da un cambiamento climatico importante, che avrebbe obbligato questo popolo a spostarsi. I Germani, che stavano diventando ricchi, sono fonte di attrazione per gli Unni, sempre poveri. Risultato: i Germani scappano verso ovest e verso sud. I primi a patire il peso dello spostamento sono gli Unni, che fuggendo davanti ad essi chiedono ospitalità come profughi. Vengono autorizzati ad attraversare il Danubio, ed entrano in Ungheria. Secondo Ammiano Marcellino furono arruolati come difensori del confine, ma non furono pagati dal governatore della Tracia. Ad Adrianopoli, nel 383 …. I Goti vengono pian piano spinti dalla Tracia ai balcani centrali, fino alla Dalmazia, ed è qui che se li trova l’Impero Romano d’Occidente. Capo dell’esercito è Stilicone, capo romano, barbaro di seconda generazione. Stilicone riesce a fermare altre incursioni di Goti e a non farli entrare in Italia, 7 Costantinopoli. Erano originari della zona occidentale dei Balcani, e quindi di cultura più latina che greca, per cui il regno di Giustiniano, molto lungo, durerà dai primi anni 30 alla fine degli anni 50 del VI secolo, è tormentato. Giustiniano, a causa anche delle sue origini, manterrà un rapporto complesso con l’aristocrazia, e ciò è testimoniato da Procopio di Cesarea, massimo storico di questi anni. Egli scrive due opere diverse: una ufficiale, al soldo della corte, pur con occhio critico su alcune decisioni è fondamentalmente volta a elogiare le imprese di Giustiniano. L’altra è la cosiddetta Storia Segreta, destinata a una circolazione ristretta, commissionata dall’aristocrazia di Costantinopoli. Giustiniano è un imperatore importante per una serie di imprese da lui portate a termine. È sostanzialmente un imperatore riformatore. Nel corso del V secolo la parte orientale dell’Impero aveva avuto un itinerario inverso rispetto a quella occidentale. A Oriente si era riusciti a preservare l’integrità delle frontiere, e ad evitare lo stanziamento di popoli barbarici all’interno dei confini. In parte ciò era accaduto piuttosto cinicamente, come con gli Ostrogoti, deviati verso Occidente. Furono comunque secoli difficili, difendere i confini era complesso, in particolare contro l’Impero Unno, che si era formato nel cuore dell’Europa, e alternava incursioni a Oriente e a Occidente. L’Occidente, pur in uno stato di semicollasso, riuscì a respingere Attila due volte, ai Campi Catalaunici in Gallia, e successivamente in Italia (episodio legato al famoso miracolo di Papa Leone) .Al contrario a est gli Unni avevano praticamente vinto tutte le battaglie, non avevano occupato l’Impero d’Oriente perché in cambio ricevevano dei pagamenti in oro. Alla morte di Attila l’Impero Unno si dissolve, e questo dà respiro all’Impero d’Oriente, che si trova liberato dal pagamento di soldi. Costantinopoli riesce a incentivare il suo esercito, rendendolo più forte, e adibendolo al sorvegliare i confini. Alla fine del V secolo e agli inizi del VI l’Impero d’Oriente vive una stagione di crescita, e Giustiniano può lanciare una serie di opere di riforma: riforma l’esercito, riforma l’amministrazione provinciale, e molto importante, in questo ambito, è la risistemazione del Diritto Romano Precedente. Egli propone la raccolta e la sistematizzazione dei corpi di leggi precedenti. Noi abbiamo questa idea dei Romani come popolo legislatore e ordinato, ma desta stupore il fatto che non si fossero mai dati delle leggi precise sull’Impero e sul potere imperiale. In realtà, questa immagine mitica e chiara del diritto romano è una costruzione a posteriori, data dall’opera di questa commissione di giuristi pagata da Giustiniano, guidata da Triboniano, che ha risolto le contraddizioni legislative della produzione sia legislativa, sia delle grandi corti romane. Le sentenze si basavano su precedenti. Il risultato è il Corpus Iuris Civilis, questa grande raccolta di leggi che ha sostanzialmente tramandato il diritto romano. Il Corpus Iuris Civilis è l’opera di Giustiniano più duratura nel tempo. Più controversa è la grande impresa politico militare. Giustiniano, una volta sistemata l’opposizione interna, una volta iniziata la riforma amministrativa, scopre di avere le risorse per rilanciarsi nella riconquista dell’Occidente, quantomeno nel Mediterraneo, il cuore politico, culturale ed economico dell’Impero. È abbastanza interessante vedere come la riconquista di Giustiniano sia un banco di prova a cui si devono sottoporre i Regni Romano Barbarici. La capacità di resistere sembra essere direttamente proporzionale alla loro capacità di integrare la componente barbarica a quella romana. Quando le truppe di Giustiniano sbarcano nel regno vandalo,esso, che di fatto era un regno non legittimato, si schianta in due mesi, nel 534.I Vandali non trovano l’appoggio della popolazione, e di fatto il regno vandalo viene annientato in pochissime settimane. A questo punto l’attenzione si sposta sull’Italia. La situazione degli Ostrogoti era particolare. Teodorico, il re che nel 489 aveva guidato la conquista dell’Italia, aveva perseguito una politica a due facce: da un lato aveva promosso la collaborazione con i Romani, aveva mantenuto il senato, aveva lasciato ai romani l’amministrazione civile, ai Goti quella della difesa della penisola, dall’altro non aveva promosso l’integrazione. I Goti e i Romani dovevano collaborare, ma non fondersi. Permanevano una barriera linguistica, religiosa (ariani vs 10 cattolici) e anche legislativa. Quest’ultima è una caratteristica dei regni romano barbarici: i Barbaric mantengono le loro leggi tradizionali, i Romani rispondevano al diritto romano. Questa situazione è precaria: se da un lato, in un primo momento, la politica di Teodorico è di grande successo, e si circonda di collaboratori latini, come Cassiodoro e Boezio, negli ultimi anni di vita di Teodorico, ai primi del sesto secolo, la situazione è più difficile. Teodorico sospetta i Latini di volerlo esautorare in collaborazione con l’Impero d’Oriente. In rappresaglia a una serie di persecuzioni antiariane in Oriente, scatena a sua volta una stretta anticattolica in Italia. Ne rimane vittima il papa, che finisce in carcere a vita, e Boezio, che muore a sua volta in carcere. Alla morte di Teodorico, nel 526, la situazione è difficile, perché l’elite gota è divisa tra chi vuole il dialogo con i Romani, una strada che avrebbe portato all’integrazione, e questa è la linea promossa dalla figlia di Teodorico Amalasunta, e invece un gruppo più conservatore, che vuole preservare l’identità dei Goti. I due gruppi si scontrano, e proprio su questa situazione di conflitto si innesta l’arrivo di Belisario con le truppe orientali. I Goti si compattano immediatamente, e avendo una tradizione più ampia di dialogo con i Romani, avendone ereditato l’organizzazione politica e amministrativa, oppongono resistenza per quasi vent’anni, dal 535 al 554. Questa è una guerra particolarmente devastante. I due eserciti sono piuttosto piccoli, e nessuno dei due eserciti riesce a controllare il territorio. La guerra consiste una serie di raid con saccheggi, con poche battaglie campali. La guerra grava moltissimo sulla popolazione. Quando tra il 553 al 554, il successore di Belisario, Narsete, ottiene finalmente sufficienti rinforzi da aprire una battaglia campale per sconfiggere definitivamente i Goti, di fatto l’Italia comunque è una terra in ginocchio. Negli ultimi attimi della guerra d’Italia le forze imperiali partono per la Spagna. Lì i Visigoti avevano portato avanti una politica simile a quella gota, caratterizzata da collaborazione e separazione, ma non c’era stata la crisi che aveva identificato la politica di Teodorico nell’ultima fase del suo regno. La collaborazione tra i due diversi popoli aveva funzionato, e lo stato visigoto subisce sì delle perdite, infatti i bizantini riescono ad impadronirsi della parte meridionale della Spagna, ma non riescono a conquistare tutto il regno. I Franchi, con cui la fusione era stata completa, erano la superpotenza dell’Occidente, proprio per il fatto che, essendosi convertiti ed essendosi fusi potevano lavorare nell’esercito con i Romani, avevano una massa umana molto più forte a cui ricorrere. L’Impero Romano d’Oriente non tentò neppure di conquistare i territori dominati dai Franchi. La conquista dell’Italia è particolarmente distruttiva, a causa della natura della guerra, di come viene condotta, anche a causa del fatto che in causa ci sono degli eserciti estranei alla popolazione: uno greco, composto da mercenari, e l’altro barbaro. Per entrambi la vita del latini contava poco. Negli anni 30 del VI secolo l’Europa e tutto l’emisfero occidentale sono sconvolti da una grande catastrofe. A cavallo tra gli anni 30 e 40 del VI secolo arriva la peste bubbonica, che spazza le grandi città mediterranee, in alcuni casi dimezzandole di netto. Essa si somma ai danni della guerra in molte regioni, in altre ai costi della guerra. L’economia imperiale non si aspettava vent’anni di guerra in Italia. La società già provata dalla guerra, si abbatte sotto la pestilenza. Procopio di Cesarea, ottimo storico di cui già abbiamo parlato, scrive che prima di questa pestilenza il cielo si era velato, e per quasi un anno non si era visto il sole. Per moltissimo tempo questa fatto era stato bollato come una superstizione medievale, riferita al quadro apocalittico ebraico. Qualche decina di anni fa i geologi hanno scoperto che ci fu una catastrofica esplosione di un vulcano in Indonesia che ha proiettato una mole tale di polveri nella stratosfera, tale da velare per mesi e mesi il sole. Essa aveva causato maltempo e carestie in Europa Occidentale. La peste arriva durante questa crisi meteorologica, e ad essa potrebbe essere connessa. La peste si diffonde quando le persone sono concentrate, il maltempo obbliga le persone a stare in casa. Il maltempo abbassa le difese immunitarie, e la carestia fa lo stesso. Almeno per l’Italia, e probabilmente per l’Africa, l’epoca di Giustiniano crea 11 una frattura. Si diradano i traffici nel Mediterraneo. A questa crisi economica, ecologica e militare, si aggiungono una serie di fatti politici. I Longobardi Tradizionalmente, per l’Italia, la fine del Medioevo si dava al 568, quando una popolazione barbarica, stanziata nei pressi del Danubio, scende in Italia. Questo popolo è il popolo longobardo. Il caso longobardo è interessante perché l’invasione longobarda è piena di punti di domanda anche oggi. È poco attestata dalle fonti contemporanee, soprattutto quelle bizantine, e bisogna lavorare su quanto scrisse Paolo Diacono, alla fine dell’VIII secolo, nella sua Historia Langobardorum. I Longobardi non erano un popolo completamente estraneo al mondo latino. Sul Danubio non erano federati, ma alleati dell’Impero Romano d’Oriente, e avevano militato in Italia al servizio di Narsete. L’etnogenesi longobarda era ancora in corso, erano un coacervo di tribù, alcune effettivamente longobarde, altre erano gepidi (popolazione della stessa zona), altre erano sassoni (più a nord). Erano un gruppo disomogeneo, privo di una struttura. Per l’impresa italiana si erano dati un capo militare, Alboino, che aveva il titolo di re, nelle corti latine, ma questo non ci deve far pensare a una struttura ereditaria di questo titolo. La calata longobarda in Italia è difficilmente interpretabile in termini moderni. L’esito finale è un mosaico in cui terre longobarde e terre imperiali si incastrano l’una con l’altra. Perché si crea questo pasticcio geografico? Essa è l’attitudine longobarda: essi sono una sorta di federazione di tribù diverse, ognuna delle quali ha un suo capo, un duca, coordinate più o meno organicamente intorno a un re, in questo caso Alboino. Quando scendono in Italia i diversi gruppi longobardi si distribuiscono in Italia in modo autonomo, seguendo la convenienza di ciascun gruppo. Questo atteggiamento è dato dal comportamento imperiale, cioè quello di opporre scarsissima resistenza. L’Italia era poverissima e non c’erano ragioni per difenderla. Questo ha portato a una serie di interpretazioni, da parte dagli storici dell’epoca. Alcuni storici antichi sostennero che era stato Narsete a chiamare i Longobardi, altri storici moderni hanno pensato che i Longobardi fossero stati chiamati per difendere il territorio. Probabilmente la calata longobarda è frutto dell’incontro di due debolezze: la debolezza dei longobardi che non hanno un’identificazione territoriale e un piano organico di occupazione dell’Italia; la debolezza dell’Impero che non è in grado di difendere l’intero territorio italiano e si aggrappa alle coste, più semplici da difendere. La marina italiana è forte sulle coste, i Longobardi lì sono inesistenti. La resistenza imperiale si concentra sulla costa ligure, su quella romagnola marchigiana, su quella veneta, nel sud e nel Lazio, dove c’è il papa. Il risultato è una strana cartina d’Italia, in cui addirittura i domini Longobardi sono spartiti in due: i bizantini riprendono Perugia, costituendo un corridoio tra la Romagna e il Lazio, estromettendo il nord e il sud longobardi da un contatto. La composizione territoriale longobarda si configura come particolarmente complessa: a Nord abbiamo un regno con capitale Pavia, al sud i ducati di Spoleto e Benevento. Pavia non fu scelta a caso, non era una città importante, ma era facile da difendere, data la zona paludale circostante e la presenza del Ticino, affluente del Po. I Longobardi hanno una cattivissima fama nella storiografia italiana: se ne parla come un popolo non civilizzato, estraneo alla cultura romana, e si attribuisce a loro la fine della romanità in Occidente, cancellando la classe senatoria. In realtà gli studi più recenti hanno rivalutato questa lettura. Non c’era granché da distruggere dopo la guerra greco gotica. Il focus sulla distruzione della classe senatoria è da ricondurre agli anni 40 del VI secolo, e fu causato dalla peste, dalla carestia e dalla guerra. I Longobardi sono estranei a una serie di usi romani. Non hanno le regole romane dell’ospitalità, i Longobardi sono un popolo conquistatore. I Latini sono spinti a margine, o in alcuni casi altrove, per esempio nelle zone protette dagli imperiali. Questo causa un collasso della struttura: sappiamo poco del loro 12 potenza politico militare, si trovano la strada spianata verso nord, e nell’arco di una quindicina d’anni infliggono una serie di sconfitte pesantissime agli eserciti imperiali e sesanidi, e dilagano in Persia ed Egitto. Qui finisce il mondo romano d’Oriente: la conquista araba di Egitto e Medio Oriente obbliga l’Impero d’Oriente a trasformarsi in maniera significativa. Succedono due cose, sempre sotto Eraclio, il trionfatore delle guerre persiane, ma anche colui che deve assistere al crollo. La prima cosa è la profonda riorganizzazione del sistema di governo imperiale. Per sopravvivere alla pressione militare islamica, l’Impero d’Oriente deve militarizzarsi. La vecchia suddivisione tra amministrazione civile e militare che c’era già, e già Costantino aveva istituito, e che Giustiniano aveva ribadito e perfezionato, viene abbandonata. Le vecchie provincie dell’Impero Romano sono sostituite da nuove giurisdizioni che si chiamano temi. Esse sono circoscrizioni militari, in cui il potere è affidato tutto a un governatore militare. Viene abolita l’amministrazione civile, e vengono creati questi strategoi, generali a cui viene affidata la difesa dei singoli territori. I temi sono finanziariamente autonomi. Ogni strategos ha ai suoi ordini un piccolo esercito che deve difendere il tema, e questo esercito non è pagato dall’amministrazione centrale, ma dallo strategos stesso, con le risorse provenienti dal suo tema. Queste risorse sono costituite dalla terra. I soldati che difendono il tema vengono ricompensati con l’attribuzione di terre pubbliche. Questa riforma è la salvezza dell’Impero, perché rende tutto molto più snello ed efficace. Questa decentralizzazione consente che la regione possa difendersi da sola in caso di attacco. Questo è il collasso del sistema fiscale. La decentralizzazione dell’esercito significa rinuncia rispetto alle tasse. L’esercito provinciale è pagato con la distribuzione di terre. La stessa cosa che avviene in Occidente di fatto avviene in Oriente. Si abbandona l’apparato amministrativo romano per scegliere una via più semplice, il pagamento tramite l’affidamento e il profitto derivante dalle terre. Sia nei regni romano germanici d’Occidente, sia nella parte Orientale dell’Impero, quella forma di amministrazione che caratterizzava l’Impero Romano, cioè un’amministrazione centralizzata basata sulle tasse, viene completamente smantellata. Dove sopravvive questo tipo di amministrazione adottata in passato dall’Impero Romano? Paradossalmente nel califfato arabo. L’altro aspetto importante dell’impero di Eraclio è l’abbandono del latino. Eraclio si fa chiamare basileus, e le sue leggi sono scritte in greco. Questa trasformazione dell’amministrazione imperiale è anche un’amministrazione ideologica. Da questo momento è lecito chiamare l’Impero Romano d’Oriente Impero Bizantino. Lezione 4 18.02.19 Attualmente si tende a parlare di una lunga transizione, di un tardo antico, che avrebbe origine nel III secolo e sopravvive alla caduta formale dell’Impero d’Occidente. Possiamo datare lo stacco drastico tra il vecchio mondo romano e qualcosa di nuovo che nasce in Europa nel corso del VI secolo. In questo secolo si combinano una serie di eventi: le guerre di riconquista di Giustiniano, estremamente devastanti, e portano alla rottura ideologica tra gli stati germanici e l’impero, la crisi del vecchio sistema di governo. L’Impero romano era basato su un meccanismo fiscale sofisticato che raccoglieva una grande quantità di soldi che lo stato ridistribuiva sotto varie forme, spesso inique. Nel VI secolo la popolazione rurale viveva in condizioni migliori, in quanto non doveva più rispondere alla pressione fiscale. I cittadini vivevano peggio, al contrario. Tutta una serie di infrastrutture legate al vivere civile erano state abbandonate: le amministrazioni cittadine hanno sempre meno risorse, e abbandonano tutta una serie di opere pubbliche. C’è una rottura, la fine del sistema amministrativo e burocratico comporta una crisi delle forme della vita, e un cambiamento di modelli, per cui all’idea di un’elite intellettuale e dedita ai piaceri della cultura si sostituisce 15 invece un’idea di impronta barbarica, definita dalle capacità guerriere e di leadership. L’elite culturale si riduce nei monasteri. In Oriente il sistema amministrativo-fiscale sopravvive per qualche decennio, ma collassa sotto il peso delle guerre persiane e delle invasioni arabe. L’Impero d’Oriente, che riesce a sopravvivere dopo ingenti perdite di territori, ristruttura la propria amministrazione interna rinunciando al sistema di prelievo fiscale centralizzato, ricorrendo al sistema tematico. Pirrene, storico belga, aveva anticipato la teoria del tardo antico, affermando che il Medioevo inizi davvero nel VII secolo. L’invasione islamica, che dal medio Oriente si diffonde alla Spagna, avrebbe tolto il vecchio baricentro dell’Impero Romano. L’Europa trova un nuovo cuore politico culturale, situato presso il Reno, da cui avrebbe avuto poi origine l’Europa Carolingia. Questa teoria di Pirrene è figlia del suo tempo: un secolo fa finiva la I Guerra Mondiale, e Pirrene, belga, una regione in cui convivono francofoni e tedescofoni, proponeva questa versione per depotenziare una serie di fatti storici. Voleva di fatto stemperare le mire espansionistiche dei tedeschi, trovando un nuovo “cattivo” nel mondo islamico. VIII secolo Esso è il primo secolo pienamente medievale. Leggendolo sincronicamente, si vede come una certa maniera di studiare finisca con soffocare una serie di interconnessioni interessanti. Noi riusciamo a comprendere meglio l’Impero Franco se capiamo il califfato islamico. Ai tempi di Maometto, le zone popolate dagli arabi erano costituite dalla Penisola Arabica. Nel trentennio successivo alla morte di Maometto, gli Arabi si espandono, assoggettando un’area vastissima. Sono gli anni del cosiddetto califfato elettivo. Alla morte di Maometto si pone il problema di scegliere un nuovo leader della umma, la comunità di fedeli islamici. Religione e politica si sono fuse in un’unica entità. La prima soluzione che si sceglie è quella di scegliere tra gli uomini che avevano costituito la cerchia più stretta dei seguaci di Maometto, quelli che avevano combattuto con lui contro i potenti della Mecca. Si distinguono, nel gruppo dirigente dell’epoca, due scuole. La prima insisteva soprattutto sul fatto che fosse necessario un legame di parentela con Maometto, l’autenticità doveva essere garantita con un legame di sangue. Maometto non aveva eredi maschi, ma solo una figlia femmina, Fatima. Parte del movimento sostiene Alì, marito di Fatima, imparentato solo per via acquisita. Un’altra parte sostiene che la sunna, la tradizione araba preislamica, impediva alle figlie di ricevere l’eredità paterna. Questo valeva sia per l’eredità materiale, sia per l’eredità spirituale. Si creano due partiti: i sunniti che vogliono sia rispettata la sunna, e quindi non vogliono che Alì accolga l’eredità maomettana, e gli sciiti, seguaci di Alì. Queste correnti hanno un contrasto reciproco fortissimo. La guerra in Siria nasce da questo: Assad appartiene a una minoranza sciita, ed è contrastato da parte della popolazione, sunnita. I sunniti sono appoggiati dalle grande potenze arabe attuali, in particolare l’Arabia Saudita, gli sciiti dall’Iran. Dunque è necessario percepire l’Islam come una religione complessa e frammentata. Il califfato elettivo produce i 4 califfi: tre sunniti (Abu Bakr, Umar, Uthman) e il quarto è Alì. Alì viene poi assassinato, e si chiude con lui questo momento dei quattro califfi. Diciamo che l’epoca dei quattro califfi è l’epoca in cui si mettono le basi del mondo islamico, dal punto di vista politico, religioso e sociale. Dal punto di vista religioso vengono definite le coordinate essenziali, come i sette pilastri. Viene messo per iscritto il Corano, che probabilmente Maometto non ha mai scritto, e viene sistematizzato, nella forma che più o meno conosciamo adesso. Soprattutto viene definita la natura ad un tempo religiosa e politica dell’umma, la comunità degli islamici. Si definisce che il capo spirituale dell’Islam, e il capo politico dei territori islamici siano la stessa persona. Essa prende il nome di califfo, il sommo capo della gerarchia islamica. Da un punto di vista sociale e del governo di questo immenso territorio che viene conquistato in poche decine di anni, la soluzione araba è semplice. Gli arabi 16 hanno avuto la fortuna di conquistare delle terre con un’amministrazione sofisticata. Gli arabi non distruggono questo apparato, ma lo volgono a loro favore. Viene elaborata un’idea, per cui i popoli conquistati, anche se non sono islamici, abbiano dei diritti. Attenzione: se appartengono a una religione monoteista, esso è importante, perché i monoteisti hanno una parte della verità, sono stati toccati da Dio. Anche lo zoroastrismo, la religione ufficiale dell’Impero Persiano viene accettata come religione abbastanza vicina alla verità. Il politeismo viene sradicato. Cristiani, ebrei e zoroastriani assumono lo stato di dimhi, protetti. Possono continuare a praticare il loro culto, e devono pagare una tassa per essere autorizzati a farlo. Gli arabi non si mischiano in questo primo momento con la popolazione, si definiscono come guarnigioni militari ( non molto diverso da ciò che fecero i barbari in occidente.) Gli Arabi, per esempio in Egitto, fondano Il Cairo, vicina ad Alessandria, ma lontana per non mischiarsi. Deviano su di loro le tasse versate a Costantinopoli o allo scià. Il risultato di questa operazione è estremamente efficace. Si adattano talmente tanto alle condizioni preesistenti che non viene coniata per cinquant’anni moneta, vengono riutilizzate le vecchie monete romane e persiane. La moneta araba si chiama dinar, dal romano denari. La continuità è reale e lessicale. Questo tipo di amministrazione costruisce intorno agli Arabi un grande consenso. Non vengono percepiti come occupatori esterni, almeno non più dell’Impero. Uno dei motivi per cui era collassato così in fretta il sistema imperiale è che gli Imperatori di Costantinopoli tendevano ad imporre un’ortodossia cattolica fortissima, laddove in Oriente erano vivacissime le dispute sulla natura di Cristo. Presso i popoli Germanici aveva avuto enorme fortuna l’arianesimo, in Oriente il monofisismo, secondo cui Cristo aveva una natura pseudo angelica. Gli arabi vengono quindi quasi percepiti come liberatori: le tasse sono addirittura più leggere di quelle imposte dall’Impero. C’è però un problema nei rapporti tra il vertice e la periferia. Alla fondamentale stabilità di questo sistema di insediamenti in cittadelle, e di mantenere la continuità, non corrisponde una stabilità del vertice. In meno di trent’anni abbiamo sette califfi, nessuno dei primi quattro è morto di morte naturale. Dopo la morte di Alì, e il fallimento sciita, si afferma per la prima volta una dinastia. Tra il 661 e il 750 abbiamo il dominio degli Omayyaddi , una delle prime famiglie ad aderire all’Islam. Sotto gli Omayyadi abbiamo una seconda fase di espansione. L’Islam si espande ad Oriente e a Occidente. La zona dell’Asia centrale in cui dilagano era uno dei punti nodali per i grandi commerci tra Impero Romano e Cina ( abbiamo per esempio Samarcanda). Erano tutte città ricche e colte. Sappiamo poco degli Omayyaddi, ma probabilmente avevano un piano. Spostano la capitale a Damasco, dove viene costruita questa enorme moschea, nell’intento di costruire un nuovo impero mediterraneo che sostituisca quello romano. Questo grande piano fallisce, per una serie di motivi. Il primo motivo è le dimensioni dell’Impero: governare un territorio così vasto era estremamente difficile. L’espansione era stata rapida, è vero che avevano ereditato dei sistemi preesistenti, ma di fatto essi erano diversi. Nella Spagna visigota i Visigoti non hanno alcun sistema di governo, ad Oriente tutto è diverso. Questa politica di sintesi dei precedenti, finchè si applicava su un territorio limitato era gestibile, ma dall’Oceano Atlantico all’Indo no. Un secondo problema è interno. Noi facciamo un errore molto spesso: islamico è arabo, arabo è islamico. Arabo è un’etnia, ma non una regione. Islam e arabo non sono sinonimi. Inizialmente lo erano, ma con il passare del tempo iniziano le conversioni. Come abbiamo visto in Occidente il vecchio sistema culturale si sfalda, ci si tende ad adattare al sistema culturale dei religiosi. Molti si convertono all’Islam, ma questo pone un grave problema. Il sistema fiscale si basava sul fatto che una minoranza di arabe vivesse sull’esercito, e sulle tasse pagate dagli altri, non arabi, non islamici. Quando le popolazioni si convertono in massa, questo sistema crolla. Si passa da una discriminazione religiosa, a una discriminazione etnica. Ci sono una serie di rivolte dei convertiti, soprattutto nelle periferie. Terzo motivo: ci sono una serie di rovesci militari. Nel 718 abbiamo una 17 Latino, nella lingua dei vinti. Questa è un’operazione culturale importantissima , perché l’editto dovrebbe mostrarci l’adesione a un canone tradizionale, ma è scritto nella lingua dei vinti, una lingua già parlata dalla gran parte dei Longobardi. I giovani longobardi, evidentmente, non parlano più in Latino. I Longobardi si stanno amalgamando ai romani. L’immagine un tempo famosa dei Longobardi che stanno nei palazzi e dei romani in povertà dell’Adelchi manzoniano è falsa. I romani che entrano nell’elite longobarda si fanno chiamare longobardi anche loro, ma parlano tutti in latino. Il codice di Rotari introduce una serie di novità. Rotari introduce la giustizia, non in astratto, ma con un apparato giudiziario. Il popolo longobardo, come altri popoli germanici, basava sostanzialmente la sua idea di giustizia sulla vendetta. Un atto portato da un uomo contro un altro uomo, lede l’onore di questa persona. L’atto aggressivo crea uno squilibrio per cui una persona è stata danneggiata e un’altra ha danneggiato. È il principio della faida. Rotari comprende l’instabilità di questo sistema. Rotari sostituisce il concetto della faida con il concetto del guidrigildo: una somma di denaro che sostituisce l’offesa. Il guidrigildo ha due elementi importanti. Il primo è che il valore di questi rimborsi non è assoluto, ma proporzionato alla qualità della persona offesa. I valori non sono stabiliti a caso, vanno stabiliti da una corte. Il re nominerà dei giudici che stabiliranno l’entità delle pene monetarie. Non soltanto la sostituzione della faida con il guidrigildo stabilizza il sistema, ma crea un apparato di governo nelle mani del sovrano. Questa soluzione cuminierà nel 734 con il regno di Liutprando sotto forma di uno stato centralizzato. Liutprando emana una serie di leggi per stabilizzare la corona, portando a termine la piena fusione tra l’elemento longobardo e quello latino. Lui stesso si definisce re per grazia di Dio e cattolico, e di tutti i longobardi, ovvero tutti gli abitanti del regno longobardo. I romani sono gli abitanti delle terre bizantine. Liutprando lascia ai suoi successori un regno autoritario, forte e aggressivo, che vorrebbe prendere Roma e sbarazzarsi dei bizantini. Questo progetto non vede favorevole il papa, che si era abituato della lontananza dell’Impero bizantino, e Roma si era abituata alla sua idea di indipendenza. Il papa, di fronte al potere longobardo, non si può rivolgere all’imperatore d’Oriente, perché sono gli anni dell’Iconoclastia. Il papa guarderà ai franchi, che in quegli anni stavano vivendo una fortissima ristrutturazione del potere. Lezione 5 19.02.19 La nascita dell’Impero Carolingio Tra le battute d’arresto della fase espansiva del califfato Omayyadde c’era stata la Battaglia di Poitiers, nel 732, dove Carlo Martello aveva distrutto un grosso contingente di invasori provenienti dalla Spagna. Chi era Carlo Martello? Il caso della Gallia, del regno franco in Gallia, è particolarmente significativo perché mostra il collasso dell’Impero Romano anche senza un influsso esterno. Il regno franco era stato risparmiato dalle offensive di Giuistinano, perché non necessario al controllo del Mediterraneo, e perché più forte. Clodoveo non soltanto si era convertito, dando il via alla fusione tra Franchi e Galli, ma alla fine del V secolo aveva allargato i confini verso sud, sottomettendo i Burgundi e cacciando i Visigoti dall’Aquitania. È impossibile governare in maniera centralizzata questo regno senza il sistema amministrativo romano. Il regno si frantuma in quattro parti: Austrasia, Neustria, Aquitania e Burgundia. Esse sono governate da membri della stessa famiglia, i discendenti di Clodoveo, chiamati Merovingi, in maniera indipendente l’uno dall’altro. Il potere dei re si fa sempre meno forte, si afferma invece quello dei grandi nobili, che controllano la terra. La terra stava sostituendo le tasse come fonti di potere. Nell’Austrasia, nella parte nord orientale del regno, si afferma una famiglia, detta dei Pipinidi. A quest’epoca non si usavano i cognomi. Il sistema onomastico romano era scomparso, e solitamente le persone avevano solo un 20 nome proprio, ed eventualmente un soprannome famigliare. La memoria famigliare si costruiva ripetendo lo stesso nome, o alternando una coppia di nomi. La dinastia dei Pipinidi alternava il nome di Pipino a quello di Carlo. Alla fine del VII secolo, Pipino di Heristal, si afferma come il vero governatore dell’Austrasia. Egli fa carriera presso la corte del re merovingio di Austrasia. Assume la carica di maestro di palazzo, ovvero di amministratore della corte, e di fatto guida molte parti della politica del regno. Questa posizione di forza viene ereditata dal figlio, Carlo Martello, che utilizza questa posizione per lanciare una serie di campagne di conquista e sottomettere la Neustria, unita di conseguenza all’Austrasia, e inglobare nella sfera di influenza l’Aquitania e la Borgogna. Nel 732, con la battaglia di Poitiers, in gioco vi era il fatto che l’emiro entrasse nella zona d’influenza di Carlo Martello. Carlo, man mano che conquista nuove terre, può ridistribuirle ai suoi seguaci, creando una forza militare considerevole. Questa politica viene fatta sia ridistribuendo le terre conquistate, sia conquistando le terre della Chiesa. Le terre della Chiesa sono comunque terre statali, perché la Chiesa è concepita come parte dello stato. Carlo Martello diviene l’uomo più potente dei Franchi, ma non è ancora nelle condizioni di sbarazzarsi del re merovingio. L’occasione per sbarazzarsi del re arriva a Pipino, ed è sempre la stessa: quel moto di sconvolgimenti che negli anni 50 turba tutta l’area euro mediterranea. Lo spostamento dalla dinastia degli Omayyaddi agli Abbassidi allenta la pressione su Bisanzio. A Bisanzio si scatena la lotta iconoclasta. Il papa non ha più difensori, soprattutto con i Longobardi, quindi si appella ai Franchi. Nel 751 e nel 754 il papa accetta di incoronare Pipino re, in cambio di difesa contro i Longobardi. Questo incoronamento è fondamentale. L’incoronazione di Pipino il Breve è importantissima perché crea un regno franco unitario, che dominerà la politica europea per i secoli a venire. Il secondo elemento è il cambiamento della concezione di regalità. Mentre i Merovingi fondavano la loro condizione regale sulla tradizione, erano i capi dei Franchi fino dalla metà del V secolo, detenendo il nome di un capo addirittura pagano. I vescovi avevano grandi responsabilità di governo tra i Merovingi. Il re era tale per tradizione: uno dei punti di forza del regno franco era l’accettazione forte del principio dinastico (differentemente dai Visigoti, spazzati via in un baleno dagli Arabi). I re franchi praticavano la poligamia, e quando morivano le diverse mogli si facevano lotta tra loro per imporre il loro figlio al trono. Scardinare questo sistema complesso non è facile: non si può semplicemente fare un colpo di stato. Il papa si inventa l’unzione del re, per giustificare il colpo di stato di Pipino. Cambia in maniera molto drastica il rapporto tra la regalità e il sacro. I re franchi, e poi gli imperatori carolingi tendono a percepirsi come re sacerdoti. Non sono poi così diversi dai Califfi da questo punto di vista. Il capo della chiesa franca è il re, non il papa. Infatti Pipino è molto coinvolto nella vita della Chiesa, e promuoverà una riforma della Chiesa franca, con un’iniziativa disciplinare, per cui si arriverà a una costruzione verticale della Chiesa, con a capo il re. Divide il territorio in pievi: ogni territorio ha a capo un arciprete, raggruppa le diocesi con a capo un vescovo, raggruppa le diocesi in arcidiocesi, con a capo un arcivescovo. Promuove l’evangelizzazione delle popolazioni germaniche di frontiera, proponendo una serie di missioni volte a convertire una serie di popolazioni germaniche. Protagonista di queste missioni è un monaco, Bonifacio, di origini irlandesi. L’Irlanda, immune dalle immissioni germaniche, era stata convertita, e nel VI e VIII secolo era la zona più colta d’Europa. Conservava biblioteche bellissime, con codici meravigliosi, che tornano insieme ai monaci ad evangelizzare l’Europa occidentale. Il salto di qualità si ha con la morte di Pipino e la successione di Carlo Magno. A partire dagli anni 70 dell’VIII secolo si lancia in una serie di guerre di conquista, forte della situazione e di un apparato militare fortissimo ereditato dal padre e dal nonno. Conquista, a partire dal suo regno, nel 774, approfittando di una serie di conflitti interni al regno longobardo, il regno longobardo. Re al momento era Desiderio, bresciano, mal visto dai nobili veneti, che avevano sempre scelto re dalle 21 loro file. Desiderio aveva lanciato una serie di guerre contro il Lazio, nella speranza che il papa lo riconoscesse come aveva fatto con Pipino. Il papa chiama Carlo Magno: il regno longobardo viene conquistato senza quasi combattere, Adelchi scappa a Bisanzio. Carlo si proclama re dei Longobardi. Seguono una serie di campagne di conquista che portano a un allargamento verso est. Iniziamo a staccarci dal mondo romano. Qui l’impero Carolingio, la cultura latina, il cristianesimo comincia ad espandersi verso l’Europa centro orientale. Viene creata, a ovest, la marca di Spagna: un territorio dipendente dal regno franco a sud dei Pirenei. La guerra più lunga Carlo Magno la fa contro i sassoni, pagani. Non essendo uno stato di fatto centralizzato, non è come sottomettere i Longobardi. I sassoni vanno presi tribù per tribù. La guerra sassone si divide in due fasi. In un primo momento Carlo adotta un approccio aggressivo: viene imposta la cristianizzazione di massa, e vengono trucidati. Questa strategia si rivela fallimentare, allora Carlo pensa di dialogare con l’aristocrazia sassone. In cambio della conversione al cristianesimo avrebbero mantenuto tutte le loro prerogative. Quindi tutto si conclude a un’abile azione diplomatica. Queste guerre accreditano l’immagine di Carlo come re sacerdote. Queste guerre hanno un sottofondo religioso: la guerra contro i Longobardi è fatta per salvare il papa, le guerre in Spagna sono contro gli arabi, gli infedeli. La chanson de geste su Orlando ne è un esempio significativo. In realtà Orlando fu annientato dai cristianissimi baschi. Carlo può presentarsi come il principale difensore della cristianità, ma quindi della civiltà occidentale. In questo momento le due cose non sono distinte. Questo ci porta al famoso giorno di Natale dell’800, quando Carlo è incoronato imperatore. Questa supremazia del re franco, per cui i confini della latinità coincidono con quelli dell’Impero, da cui rimangono fuori il regno delle Asturie (Spagna settentrionale), il regno di Mercia ( Inghilterra), e il ducato di Benevento (longobardo), è importantissima. I territori esterni all’impero mantengono una stretta dipendenza con l’impero. Approfittando del fatto che nell’800 il potere a Costantinopoli è detenuto da Irene, quindi da una donna, ritenuta illegittima, mentre si può definire vacante il trono imperiale di Costantinopoli, Carlo Magno diventa imperatore d’occidente. Carlo Magno imperatore L’incoronazione di Carlo è fondamentale per la storia in Occidente. Segna il ritorno dell’Impero in Occidente: l’Impero d’Oriente non era percepito come legittimo nei territori occidentali. Il ripristino di un’autorità universale è un salto di qualità evidente. Si crea uno strettissimo legame con il papato. Carlo viene incoronato dal papa durante la messa, e questo lega in maniera strettissima l’imperatore al papa. C’è una narrazione molto famosa, dell’incoronazione, di Eginardo, nella Vita Karoli. Eginardo non racconta l’incoronazione, dicendo anzi che Carlo ne rimase molto scontento. Se l’avesse saputo prima non si sarebbe recato in Chiesa. Molti hanno interpretato questo passo come il fatto che Carlo non volesse caricarsi di un fardello. Potrebbe esserci un’altra spiegazione. La descrizione di un’altra cronaca, che descrive l’incoronazione, dice che di fatto viene sì incoronato durante la messa, ma acclamato dal popolo alla sua uscita. Questo è il contrario di quanto accadeva a Bisanzio, dove prima il futuro imperatore era acclamato dal popolo, poi incoronato. Questo significava che l’imperatore era tale sulla base del consenso del popolo, e poi il patriarca ne prende atto e lo consacra. Se avviene il contrario significa che il papa ha prima deciso che deve diventare imperatore, e poi il popolo ne prende atto. Di fatto era una mossa da parte del papa pesante, che sul momento non avrà conseguenze, Carlo comandava e il papa obbediva, sul lungo periodo, il fatto che il papa prendesse l’iniziativa su chi dovesse essere imperatore, avrà conseguenze molto forti. Il papa è protagonista, e Carlo riceve, anche nelle miniature successive, per esempio in una del duecento, e in un mosaico di San Giovanni in Laterano. La Chiesa, all’epoca 22 Corby, si inventano una scrittura in stampatello minuscolo chiara e leggibile. È la minuscola carolina. Nel cinquecento, quando ha iniziato a diffondersi la stampa, gli stampatori italiani volevano un carattere leggibile, quindi hanno ripescato la carolina. Lezione 6 20.02.19 L’impero carolingio è il momento fondativo di una serie di elementi che caratterizzeranno i secoli successivi. La crisi dell’impero carolingio L’impero carolingio, in quanto tale, come formazione politica unitaria che domina la gran parte del mondo latino, dura una quarantina d’anni, in forma più estesa mezzo secolo. L’impero rimane un’entità unitaria fino alla morte di Carlo Magno, nell’814, e fino alla morte del figlio di Carlo Magno Ludovico, detto il Pio. Carlo Magno avrebbe voluto, probabilmente, spartire l’impero. Il titolo di imperatore era un omaggio dato a lui, e secondo la tradizione franca aveva previsto di spartire il regno presso i suoi eredi. Di fatto i suoi eredi muoiono prima di lui, per cui l’impero passa all’unico figlio superstite, Ludovico. Egli crea l’impero come astrazione, qualcosa che doveva poi essere trasmessa ereditariamente in seno alla famiglia. Ludovico prosegue la politica di Carlo, l’impero è governato nella stessa maniera, con contee e missi dominici, però con un problema: i figli di Ludovico il Pio sopravvivono e crescono. I re che vivono a lungo, molto spesso devono affrontare le rivolte dei figli: questo è il caso di Ludovico il Pio, di cui viene indebolito il prestigio e il ruolo. Egli deve accettare in più occasioni le pressioni dei vescovi. Conduce una serie di riforme, tra cui la più importante è l’imposizione della regola di San Benedetto come l’unica accettata nel mondo latino. Soprattutto, l’episcopato franco prende una posizione predominate: a un certo punto, durante uno di questi conflitti con Lotario, Ludovico deve assoggettarsi a una cerimonia di penitenza pubblica, perché aveva omesso una serie di eccessi nel reprimere la rivolta. Quando Ludovico muore, si trova una soluzione di compromesso: dividere l’impero in tre parti, ma al contempo cercare di salvaguardare l’unità dell’Impero. Al figlio maggiore, Lotario, viene lasciata la corona imperiale, e questa zona centrale, che va dall’atlantico al mediterraneo, e che include le due grandi sedi simboliche dell’Impero, ovvero Aquisgrana, e Roma. Agli altri due figli, a Carlo il Calvo va il regno dei Franchi Occidentali, e a Ludovico il regno dei Franchi Occidentali. Essi hanno una posizione subordinata: dovrebbero obbedire a Lotario. Di fatto non lo fanno, e alla morte di Ludovico il Pio scoppia la guerra civile tra i fratelli. Nascono tre stati indipendenti, e la supremazia teorica di Lotario è cancellata, resta solo il titolo. Da questa divisione nascono tre entità politiche autonome: la Francia, la Germania e di fatto l’Italia. Dal punto di vista sociale, la guerra ha delle fortissime conseguenze: cambia drasticamente la natura dei rapporti tra re e aristocrazia, e la natura dell’aristocrazia stessa. Carlo Magno aveva avuto questo gruppo di collaboratori molto forti, noti come paladini nella letteratura cavallesca. Essi erano gli esponenti di alcune famiglie importanti, che avevano appoggiato l’espansione militare di Carlo, e in questa maniera erano entrati in possesso di tantissimi territori. Queste grandi famiglie erano il collante sociale che teneva insieme l’impero. Con la frantumazione dell’Impero, diventa impossibile per queste famiglie non prendere una posizione. Queste grandi famiglie con un potere esteso, si radicano in un determinato territorio. Non conta più l’estensione, ma la concentrazione. Costruiscono dei noccioli di potere concentrati: queste grandi famiglie non solo riducono l’area di interesse, ma si spezzettano. Una parte sceglie di stare con Ludovico, una parte con Lotario, una parte con Carlo. Queste famiglie, da quaranta/cinquanta, diventano centinaia. Cambia il rapporto tra queste grandi famiglie e i re. Prima esse dipendevano dal sovrano, perché il sovrano donava loro queste terre, o nominava gli 25 esponenti vescovi e abati, la potenza della famiglia era legata alla fedeltà che aveva verso il re, il quale ricompensava con enormi risorse queste famiglie. Ora vi è competizione tra i re, per trovare l’appoggio di queste famiglie. Il problema è che cambia il rapporto di forze tra re e aristocrazia. Non è più il re che concede alle famiglie terre, ma l’aristocrazia che esige cariche per dare al re il suo appoggio militare. La crisi dell’843, le guerre civili del quaranta cambiano drasticamente la natura dei rapporti di forza. L’aristocrazia tende a prevalere sul re. Questo processo avviene anche verso la Chiesa, dato che essa era legata in modo stretto al potere regio. La Chiesa cambia dal punto di vista del controllo, legato al potentato locale. Si innesta un processo di disgregazione e regionalizzazione del potere, che proseguirà per due secoli. Questo processo è causa ed effetto anche di una serie di problemi esterni. A partire dalla metà del IX secolo, la cristianità diventa oggetto di una serie di nuove pressioni, che gli storici cambiano seconda epoca delle invasioni, o età delle incursioni. Non ci sono veri e propri spostamenti di popoli, ma una serie di incursioni volte a saccheggiare le ricchezze dell’Europa Occidentale. Succedono due cose alla base di questo processo: la ripresa economica carolingia. L’Europa del IX secolo era più ricca dell’Europa dell’VIII secolo. Era quindi più appetibile per eventuali nemici. L’Europa inizia ad essere abbastanza ricca da attirare incursioni e rapine. La crisi politica favorisce le incursioni. Gli stati nati dallo spezzettamento dell’Impero sono più deboli. Hanno meno risorse da destinare alla difesa dei confini. Schematicamente, possiamo individuare tre avversari: Normanni, Ungari e Saraceni. I Normanni sono le popolazioni della Scandinavia. Sono una popolazione pagana, che un po’ pirateggiavano, un po’ commerciavano, e vengono spinte da un nuovo attivismo forse anche da problemi di sovrappopolazione. È fondamentale un’innovazione tecnologica: agli inizi dell’VIII secolo viene messa a punto la tipica nave normanna, che riesce a tenere bene il mare; consentono la navigazione a lungo raggio. I normanni arrivano in Islanda, e addirittura in Canada e Groenlandia. La nave normanna non ha molto pescaggio: queste navi sono molto basse, penetrano poco nell’acqua. Significa che possono risalire anche i fiumi. Aprono quindi all’attività piratesca dei normanni non solo le coste, ma anche l’entroterra. Risalendo la Senna arrivano a Parigi; risalendo la Loira arrivano a Orleans. Si spingono su tutta la costa spagnola, abbiamo anche dei provvedimenti di emergenza dei califfi di Cordova. I normanni si dividono in due grosse famiglie: i normanni dell’Ovest (Norvegia e Danimarca) sono noti come vichinghi. I normanni dell’est, i variaghi, si muovono verso est, perché sono attratti da Baghdad. Vendono le pellicce del baltico ai ricchissimi mercanti arabi di Baghdad. Questa cosa ha stupito gli archeologi negli anni trenta, in quanto dagli scavi normanni sono emersi dei dinar. Il movimento dei variaghi attraverso le pianure russe, che porterà alla formazione di grandi città, di centri commerciali, di cui sono Nordorov e Kiev, che poi saranno capitali dei proto principati russi, sono segno di un rimescolamento di forze tipico dell’europa orientale. Qui una popolazione di origine turca aveva fondato un potentato, gli Avari, sconfitti e dispersi da Carlo Magno. Il vuoto di potere viene riempito da popolazioni provenienti dall’Asia Centrale: i bulgari che si stanziano nei Balcani, e danno una serie di problemi agli imperatori di Oriente; gli ungari, che si stanziano nell’attuale Ungheria, da cui lanciano una serie di incursioni volte a saccheggiare Germania e Italia settentrionale. Gli Ungari hanno cavalli leggeri e veloci, che agiscono ad altissimo raggio. I Saraceni lanciano altri attacchi, attacchi che si concretizzano con una serie di fortificazioni: Frassineto in Provenza e Garigliano in Campania, luoghi da cui attaccano l’entroterra. Abbiamo una vera e propria conquista territoriale, la Sicilia, strappata all’impero d’Oriente. Questa serie di minacce eliminate solo nel corso del X secolo, sono causate dalla debolezza dell’apparato statale, e contribuiscono ad aumentare ancora la debolezza dell’apparato statale. I potenti locali si rendono ancora più autonomi dal potere regio per la 26 necessità di difendere le terre. Proporsi come difensori del territorio significa porsi in rilievo. È il fenomeno delle signorie, non più gestite dal potere centrale, ma quello locale. La signoria può derivare da tre elementi differenti. Il primo è il vassallaggio, o, con un termine più tardo, feudalesimo. Il vassallaggio è un legame tra due uomini liberi. È una cosa privata, non ha una natura di per sé pubblica. Questo giuramento non è fra pari: implica un rapporto tra un maggiore e un minore, tra un signore dominus e un vassallo vassus. Il vassallo giura fedeltà al signore. Il signore a sua volta promette al vassallo protezione. Cosa significa? Vuol dire che la fedeltà del vassallo si concretizza in un servizio per il signore. La protezione che da il signore si concretizza nella concezione di un beneficio, un qualche tipo di rendita per il vassallo. Dato che siamo nell’Europa dell’undicesimo secolo, questo beneficio consiste nella concezione di terre. Ridotto alla sua essenza, è un modo per pagare un servizio, concedendo della terra. Il fatto è che il vassallaggio, anche se è un rapporto di natura privata, viene usato dalle autorità pubbliche. È il re o l’imperatore che ha dei vassalli, il servizio che questi vassalli prestano spesso è di natura pubblica. Il vassallo fa un lavoro, gli viene dato un beneficio, ricompensa per il lavoro fatto. Quando il potere centrale diventa meno forte, anche essere conte diventa fonte di guadagno, non è più solo un servizio. Se il re non controlla, se i missi dominici non circolano più, la carica stessa diventa fonte di guadagno. Io amministro la giustizia e mi tengo parte delle entrate. Piano piano, se la carica diventa fonte di guadagno di per sé, si inizia a pensare che la carica equivalga al beneficio. Lo slittamento c’è: siccome io non presto più un servizio, a questo punto è l’essere conte la ricompensa. Assistiamo alla patrimonalizzazione della carica pubblica. La carica pubblica non è più un servizio che l’ufficiale fa, ma una ricompensa che l’ufficiale ottiene. Se la fedeltà al re passa ai figli, anche la carica passa ai figli. Piano piano, nel corso del IX secolo, le cariche pubbliche diventano dinastiche. A questo punto abbiamo una signoria: la famiglia può trattare questa carica pubblica come se fosse sua. Posso trattare ciò come una proprietà famigliare, posso venderla se ho bisogno dei soldi. Posso dividerla in base ai figli. Posso usarla per strategie famigliari . La signoria quindi può derivare dal potere vassallatico e si lega alla dinastizzazione della carica. Il secondo elemento da cui si può partire per costruire una signoria è la proprietà fondaria. Sono concetti diversi: la proprietà è una cosa, la signoria un’altra. La grande proprietà terriera, nei secoli centrali del medioevo, si organizza in modo strano, la curtis o l’azienda curtese o villa. Meglio azienda curtense si diffonde dal VII secolo, ma esplode nel IX. Il patrimonio regio era stato riorganizzato da Carlo in aziende curtensi. La terra, decine o centinaia di ettari, viene divisa in due parti. Il dominicum, la parte del proprietario, il massaricium la parte dell’affittuario. Il dominicum è gestito in maniera diretta: quando io ho una proprietà posso gestirla in maniera diretta o affittarla. La curtis è gestita in maniera diretta, ma c’è un amministratore, che risponde direttamente al proprietario, e dei lavoratori che rispondono direttamente al proprietario. Questi lavoratori sono servi, non sono liberi. Non sono oggetti, come gli schiavi romani, il servo medievale è un uomo, ma non è che il proprietario può compiere azioni aberranti verso di lui. Il proprietario può venderlo. Questi servi sono di solito definiti servi prebendari perché ricevevano la prebenda, ovvero vitto e alloggio. Il massaricium era affidato a uomini liberi, che ricevevano una terra e una casa. L’appezzamento di terra si chiama manso e gli uomini liberi dovevano pagare l’affitto al proprietario. Il collante che unisce dominicum a massaricium sono le corvee. Le corvee sono delle giornate di lavoro libere che gli uomini del massaricium dovevano fare sulle terre del padrone. Il meccanismo è chiaro se partiamo da due premesse indispensabili. L’agricoltura è un lavoro strano: non è come l’industria, in cui la quantità di lavoro è costante. L’agricoltura ha momenti in cui ci sono picchi di lavoro (raccolto, mietitura, vendemmia) e momenti in cui non si fa nulla. Non venivano assunti dei salariati. 27 scatena il caos: il potere pubblico è disgregato a favore delle grandi famiglie che operano sul territorio. Mentre in Francia questo avviene in parallelo alla presenza di un potere regio che ha una certa continuità, è poco contenstato, ha una certa continuità territoriale, in Italia non si riesce a stabilire una dinastia, ma non si riesce nemmeno a stabilire un potere sovrano certo. Abbiamo otto re in una settantina d’anni. Se notiamo le date, vediamo che la gran parte di questi re ha regnato in contemporanea. Abbiamo tra i due e i tre re contemporaneamente, come con Berengario del Friuli (888-926) e Guido da Spoleto (888-894), che si spartiscono nord e centro. La corona d’Italia è contesa, è ambita da poteri esterni, proprio perché in teoria è connessa alla carica imperiale. Manca una dinastia di riferimento forte. Tanti re, una base del potere che gira per tutta Italia, non abbiamo nemmeno un luogo che tenda a connotarsi come il centro dell’azione politica, come Parigi per la Francia. Di fatto in Italia la disgregazione del potere pubblico resta senza contropartita. Se in Francia c’è una sorta di antidoto, che è la superiorità morale dei re, i re in Italia non contano nulla. Quando Berengario deve fare guerra agli ungari, deve chiedere (gentilmente) agli altri potentati che vengano all’esercito. Berengario sarà sconfitto dagli Ungari, fino a che non avrà la pensata di includerli nell’esercito . Quello che distingue l’Italia è il ruolo delle città. Le aristocrazie tendono a coordinarsi intorno alle città, che hanno una forte eredità romana. Molto diversa è la storia del regno germanico, in cui il potere regio riesce ad evitare la frantumazione e a mantenere il controllo dei grandi potentati. La Germania di fatto si divide, come Francia e Italia, in grandi potentati di dimensione regionale: Baviera, Sassonia, Franconia … Tra questi duchi emerge quello di Sassonia, che riesce ad ottenere la nomina a re. Egli è Enrico I di Sassonia, e raggiunge il suo scopo riconoscendo il potere dei duchi. Non si presenta come un re dominante, ma come un coordinatore tra pari. Ciò avviene agli inizi del X secolo. Gli eredi di Enrico di Sassonia riescono a proseguire con questa politica del riconoscersi primi tra pari, ma di fatto riescono a cambiarla, con due strumenti. Tramite la famiglia, già Enrico I, poi Ottone I, riescono ad imparentarsi con la maggior parte dei duchi. Nei momenti in cui rimangono vacanti i ruoli di potere nei ducati, sfruttando questo gioco di parentele riescono ad imporre loro parenti stretti alla guida dei ducati. Anche se formalmente il re non ha un vero potere sui ducati, di fatto la famiglia sassone controlla la maggior parte dei potentati. Il secondo elemento che gioca Ottone nel controllo del regno è la Chiesa, ossia Ottone fa attribuire molto spesso il potere non dei duchi, ma dei conti ai vescovi. Alle grandi citta del regno corrisponde una circoscrizione, e a capo di essa viene posto un vescovo o arcivescovo. Si parla di vescovi conti per semplificare, che assommano sia potere temporale, sia potere spirituale. Ovviamente i vescovi non possono dinastizzare la carica. I figli, se presenti, non erano legittimi. Come nella miglior tradizione carolingia, la Chiesa è una branca dello stato. Il re nomina i vescovi, il che vuol dire nominare i conti, e siccome questi non possono appropriarsi della carica, ad ogni morte di vescovo la carica torna al re. Il re riesce ad imporre ai suoi fedelissimi questo sistema. Questa operazione è, se vogliamo, un po’ spericolata dal punto di vista della gestione del potere, ma porta a un successo. In questo modo si controlla tutto il regno, perché anche quei duchi che sfuggivano al controllo regale, anche quei conti che tentavano di dinastizzare la carica, venivano in breve tempo eliminati. Il pieno controllo sul regno di Germania viene sancito nel momento in cui Ottone sconfigge gli Ungari nella battaglia di Lechfeld nel 955. Questa battaglia è importantissima perché consacra il potere di Ottone: egli si presenta come il nuovo Carlo Martello. Gli Ungari dopo questo evento, cesseranno le battaglie in Europa Occidentale. Gli Ungari diventeranno stanziali, praticheranno l’agricoltura, ed entreranno nel gioco politico dell’Occidente latino convertendosi e diventando un regno come gli altri. A questo punto Ottone è in grado di fare il passo successivo: conquistare la corona imperiale. Nel 961 Ottone scende in Italia, sconfigge il debolissimo Berengario di Ivrea, e si fa incoronare imperatore. 30 L’operazione ha un duplice scopo. Primo: allarga gli orizzonti territoriali dell’Impero. Consolida il prestigio personale di Ottone. Tre: a questo punto è ufficiale che Ottone non sia più un primo tra pari. Consolida formalmente il suo potere sulla Germania. È vero che il re controllava la Chiesa, però dal punto di vista dottrinale la chiesa rispondeva al papa. Come imperatore, Ottone controlla anche il papa. Nel 962 emana il cosiddetto Privilegium Othonis. Esso è un documento importante, perché di fatto è un lunghissimo elenco di donazioni che l’impero fa al papa, però con una clausoletta finale: l’Imperatore si riserva di mandare dei delegati al momento dell’elezione papale, che avrebbero potuto opporsi a eventuali elezioni sgradite. Cos’era successo al papato? Il papato, messo sotto controllo da Ottone I, era in piena decadenza. Esso viveva in simbiosi con l’impero, il papa aveva un senso nel momento in cui collaborava con l’imperatore, riuscendo a controllare la Chiesa. Esercitava un certo controllo sulla Chiesa in quanto delegato imperiale. La frammentazione imperiale porta con sé la frammentazione della Chiesa, che inizia a rispondere ai diversi re. Quando i regni a loro volta si frammentano in principati, con l’eccezione della Germania, sia in Italia, sia in Francia, la Chiesa inizia a rispondere ai potentati locali. In questo contesto il papa è il vescovo di Roma. Controlla Roma e al massimo le diocesi circostanti. Entra sotto il controllo delle grandi famiglie dell’Aristocrazia Romana, che utilizzavano il papa per governare Roma e i territori circostanti. Il controllo delle amanti dei papi faceva sì che le famiglie romane potessero controllare meglio il papa ( uno storico ha coniato, per questo periodo, il termine audace di pornocrazia). La realtà è che la Chiesa è frammentata in una serie di chiese locali, ma l’idea che tutto questo continui a far parte di un’unità, la Chiesa Romana, rimane. Questa idea di unità viene raccolta da un’esperienza monastica particolare, quella di Cluny. Sottolineiamo tre punti di vista: Cluny è un monastero di fondazione nobiliare fondato in Borgogna, sul versante occidentale delle Alpi. Si inserisce nell’ordine benedettino, perché, dopo Ludovico il Pio, tutti i monasteri dovevano seguire la regola benedettina, ma la modifica significativamente. Di quell’equilibro che animava la regola benedettina, che si sitetizza in ora et labora, prevale decisamente la preghiera. A Cluny si lavora pochissimo, dato che il monastero ha vaste proprietà in cui lavorano i contadini. La Liturgia è molto solenne e ridondante; probabilmente a Cluny nasce il canto gregoriano, con lo sviluppo della polifonia. Cluny è un’esperienza aristocratica, che punta molto sullo sfarzo. Le chiese cluniacensi devono essere la prefigurazione del paradiso. In questo aspetto, se la chiesa di Cluny è la prefigurazione del paradiso, i monaci sono prefigurazione degli angeli. I monaci sono consci di loro stessi, sono colti e raffinati. I cluniacensi propongono il loro ideale come massima aspirazione di cristianità. Questo immaginario avrà conseguenze forti nell’XI secolo. Il fondatore di Cluny, per evitare che la sua esperienza diventasse dominio della Chiesa locale, stabilisce che Cluny non risponda più al vescovo, ma a San Pietro. San Pietro viene trattato come se fosse una persona reale ed evidente. Come fa San Pietro ad agire? Tramite il vescovo di Roma. Cluny dipende direttamente dal papa. Questo ci fa vedere come anche se le figure dei papi non avessero grande levatura spirituale, la carica abbia assunto una grande importanza. Un sacco di altre chiese, altre comunità monastiche in tutta Europa vogliono aderire a questa esperienza: i Cluniacensi diventano un ordine diffuso in tutta Europa, sia tramite nuove fondazioni, sia tramite fondazioni vecchie che decidono di riunirsi intorno a Cluny. Cluny mantiene un controllo strettissimo su queste comunità. Nei monasteri vi è un abate, il capo, che ha un priore, il suo vice. A Cluny vi è un unico abate, quello di Cluny, le case rispondono a Cluny e non hanno un abate, solo priori. Cluny non risponde ai vescovi. Se Cluny risponde a Roma, tutte le case dell’ordine rispondono direttamente a Roma. In un secolo e mezzo, l’ordine cluniacense diviene un reticolo che ricompone la Chiesa occidentale intorno a Roma. L’esperienza degli Ottoni non si limita alla storia 31 della Germania e dell’Italia, che pur vengono unite in questo nuovo impero, ma ha fortissime conseguenze su tutta Europa. Ottone I ha un figlio, che si chiama Ottone II. Ottone II non è particolarmente affascinante, ci interessa per il matrimonio con una principessa bizantina, Teofane, cugina di terzo grado dell’imperatore d’Oriente. Nel matrimonio tra i due nasce Ottone III: egli è un personaggio interessante e controverso, perché rielabora un’idea di impero forte. Era figlio di due tradizioni imperiali, quella occidentale ereditata dal padre, e quella orientale ereditata della madre. Teofane era personaggio di grande rilievo. Le madri, nel medioevo, potevano condizionare l’approccio ideologico dei figli, ed è il caso di Teofane. Da lei eredita un’idea di impero legato più strettamente alla tradizione romana di quello occidentale. Ottone III progetta un nuovo impero. Sui suoi sigilli fa scrivere renovatio imperii. La sua idea di impero era incentrata su Roma, con una possibile proiezione mediterranea dell’Impero. Era necessaria una stretta collaborazione tra papa e imperatore. Per realizzare questa collaborazione stretta tra papa e imperatore, Ottone III fa nominare papa un personaggio importantissimo, Gerberto di Aurillac, che era probabilmente la persona più colta dell’Europa latina. Era un filosofo, un pensatore, un matematico. Masticava l’arabo e il greco, quindi era un personaggio eccezionale nell’Europa della fine del X secolo. Avendo potuto studiare dai maestri del pensiero arabo, molto più sofisticato all’epoca di quello latino. Gerberto prende il nome di Silvestro II, come il papa che aveva fatto battezzato Costantino. Questa collaborazione tra Ottone III e Silvestro II ottiene una serie di risultati spettacolari: i confini del mondo latino, del mondo cristiano, vengono allargati in maniera fortissima senza il bisogno di guerre. È una conquista culturale. Sotto l’impulso di Silvestro II, con l’appoggio politico di Ottone III, il regno di Polonia e quello di Ungheria vengono cristianizzati: Stefano di Ungheria e il re di Polonia si convertono e vengono battezzati. Vengono istituiti dei vescovati in Polonia, in Ungheria e in Boemia, dove i cristiani non avevano ancora avuto un riconoscimento ufficiale. I confini della cristianità si spostano ad est: queste avrà delle conseguenze fortissime, sull’uso dell’alfabeto latino e sulla dottrina cristiana adottata in questi territori. Gli stati russi e questi territori, formerà un’enorme zona cuscinetto verso le popolazioni nomadi che avevano in passato minacciato l’Impero. Fino all’arrivo dei mongoli, i confini dell’Europa non saranno più minacciati. Ottone III muore giovanissimo durante un viaggio a Roma. Egli muore senza eredi, a vent’anni. Con lui si estingue la dinastia sassone. Il potere passerà a un cugino, Enrico II, che non avrà eredi. Lascerà però un’impronta forte. Questo cambiamento, la rifondazione dell’Impero da parte degli Ottoni, e quello che accadrà successivamente, si comprende meglio se guardiamo l’area mediterranea. Nel mondo musulmano stanno succedendo fatti interessante. Il califfato abbasside non ha la coesione politica di quello Omayyadde. Nell’area mediterranea Cordoba si era separata proclamando un califfato, ma di fatto anche Egitto e Africa settentrionale sfuggono al controllo del Califfo. In questo contesto molto turbolento, in cui da un lato ci sono capacità espansive, quindi la conquista della Sicilia, ma anche divisioni interne molto forti. Tornano gli Sciiti, che sembravano essere stati cancellati dopo la morte di Alì. Essi continuavano ad operare come una sorta di forza clandestina all’interno del mondo arabo. Alì si era distinto per non appoggiare l’aristocrazia di La Mecca, ma per l’appoggio verso beduini più rustici. Agli inizi del X secolo un movimento sciita riprende potere nel Maghreb, e con una serie di campagne politiche importanti, si impadronisce dell’Egitto, e instaura un califfato con capitale Al Cairo. È il cosiddetto califfato Fatimide ( da Fatima, la figlia negletta di Maometto; molti dicono che non dovrebbe chiamarsi califfato perché non dipendente dal califfo, ma usiamo comunque questa terminologia). Abbiamo tre centi di uguale statura che non si riconoscono: i sunniti di Cordova, gli Sciiti d’Egitto (che conquisteranno anche la Palestina), il califfato di Baghdad (che comprende diversi potentati). L’ascesa del potentato fatmide 32 nobili. Ad essere esclusi dalla considerazione storica erano spesso i contadini. Malthus aveva costruito una teoria della crescita della popolazione basata sui “conigli”. Avendo lo stesso tipo di sessualità dei conigli, i contadini dovevano riprodursi esattamente come animali. Non è affatto vero: si sapeva benissimo controllare la procreazione, c’era una capacità delle famiglie contadine di regolare le dimensioni della famiglia. La famiglia era costruita in base alle risorse. Aumento della popolazione e aumento della produzione agricola sono legate. La produzione agricola La produzione si può aumentare in due maniere. Si può aumentare la produzione per estensione, senza migliorare la produttività, o si può migliorarla. Una delle critiche al sistema medievale è che la crescita sia stata solo estensiva. La crescita in realtà è sia qualitativa, sia quantitativa. Quantitativa: si allargano le dimensioni coltivate. Una buona parte della superficie dell’Europa Medievale non era coltivata. Era lasciata al prato, alla brughiera, o alla foresta. Questo non vuol dire che fossero spazi abbandonati. La foresta medievale vede il continuo apporto dell’uomo. Le superfici coltivate sono limitate. Già a partire dall’età carolingia, queste superfici vengono ridotte a cultura. Vengono dissodate e disboscate. Un allargamento delle superfici coltivate. Noi facciamo molta fatica a percepire questo cambiamento fortissimo del paesaggio: l’Europa centrale cambia per sempre il suo volto tra undicesimo e tredicesimo secolo. Accadeva che, allargandosi i campi e aumentando la popolazione, si costruivano nuovi villaggi, ma siccome i campi erano sempre più lontani dal villaggio, era più comodo fondare un nuovo villaggio nella zona in cui c’erano i nuovi campi. Queste iniziative possono essere spontanee o pilotate dai potenti. I signori, i monasteri o i vescovi potevano offrire pezzi di foresta da dissodare e da disboscare. I signori percepivano un affitto da queste terre, quindi potevano avere un forte vantaggio economico. Questa nascita di nuovi insediamenti possiamo leggerla guardando i nomi dei paesi attuali. Il villaggio nuovo prendeva il nome del vecchio insediamento con qualche cambiamento. Rescalda e Rescaldina, per esempio, nell’alta milanese. Altrimenti si poteva aggiungere –nova alla paese. Es. Villanova. Questo fenomeno prende delle dimensioni continentali, cambia il paesaggio e moltiplica gli insediamenti. Abbiamo una vera e propria modificazione della popolazione. Vengono conquistate delle terre ad est della Germania, con il trasferimento dalla valle del Reno o dalle Fiandre della popolazione. Vengono fondate Lubecca e Danzica, “tedeschizzando” zone di confine dove prima erano insediati slavi e ungheresi. Abbiamo conseguenze positive, ma anche negative. Una delle conseguenze negative è l’assalto alla foresta, che soprattutto nel corso del XIII secolo inizia a scarseggiare. Questo porta a una serie di conseguenze: si inizia ad usare la terracotta al posto del legno nella produzione di suppellettili. In altri casi gli svantaggi sono più pesanti: maggior monotonia nell’alimentazione. Nell’alto Medioevo la caccia era fonte di continuo sostentamento per tutti. Nel basso Medioevo le superfici forestali sono piccole, i signori tendono a tenerle per se. La popolazione non ha dunque un accesso a basso costo della carne. L’alimentazione diventa povera di proteine, la riduzione di pascoli porta a una minore disponibilità di carne d’allevamento. Le proteine vengono consumate da latte, uova e formaggio, che comunque non sono immediatamente reperibili. Una serie di innovazioni tecniche, risalenti all’età carolingia, ma che non avevano vissuto una stagione di successo all’epoca, si diffondono in maniera forte. Si passa dalla rotazione biennale a quella triennale. Coltivare impoverisce il terreno: esso ha dei sali minerali al suo interno. Questi Sali minerali il terreno non riesce a reintegrarli. Se un campo viene coltivato costantemente, la sua produttività cala. Era necessario il maggese, il riposo della terra. Un anno veniva coltivata metà delle terre, l’anno dopo l’altra metà. L’altra metà inutilizzata era pascolo, in cui le bestie, 35 producendo letame, concimavano il maggese. Nei secoli centrali del medioevo, si osserva una peculiarità, molto empiricamente. Alcuni tipi di pianti consumavano alcuni tipi di Sali minerali, altri tipi altri Sali minerali. Viene fatta una distinzione tra i cereali seminati d’autunno e raccolti in primavera/estate, e i cereali seminati in estate e raccolti in autunno. Per esempio orzo, farro e avena. Questi consumano Sali minerali differenti. È possibile dividere il campo in tre: il frumento consuma alcuni Sali minerali, poi l’orzo, e infine la terra è esausta, e viene lasciata a maggese. La rotazione triennale non è il colpo di genio a cui si sono riferiti molti storici. C’è un aumento di produttività, di 1/6. In parte, questo viene compensato dal sacrificio della superficie a pascolo. Probabilmente, in realtà, il vero punto forte della rotazione triennale, è dividere il peso della raccolta su due tipi di alimenti: se io ho il frumento e il maggese, e a giugno grandina, io non ho raccolto. Se ho anche l’orzo, il raccolto di esso in caso di catastrofe c’è. C’è una maggior attenzione alle piante, si cerca di coltivare piante più adatte al terreno, si coltivano le specie più produttive. Nel 200/300 da un rapporto 1 a 3 si arriva a 1 a 5. La produttività aumenta del 60%. C’è un miglioramento legato agli strumenti. Viene introdotto il versoio. L’aratro è una lama che fende la superficie della terra. Il versoio è una seconda lama che rivolta la terra già aperta, portando in superficie uno strato più ricco di terra. Permette al grano di attingere agli strati più umidi e più ricchi di sale della terra. L’aratro a versoio in tutto il sud Italia e in Spagna non viene adottato, soprattutto per le condizioni climatiche. Il sole seccherebbe la terra in profondità. Si diffondono i mulini, ad acqua e a vento. Essi sono elementi significativi, sono innovazioni quasi assolute in Europa. I Romani conoscevano la terra, ma sostanzialmente non la adottavano, dato che avevano gli schiavi. Il mulino è una tecnologia abbastanza sofisticata per l’epoca. La tecnologia è ancora più sofisticata nel caso del Mulino a vento, montato su un perno che consente di far trovare il mulino sempre in favore di vento. I mulini richiedono soldi e investimento, di cui ci si ripaga se c’è molto da macinare. Si legano all’estensione del frumento e della segale, sempre più richiesti e coltivati. Il miglioramento climatico consente di coltivarli in zone dove prima non crescevano. Nell’Alto medioevo l’alimentazione era basata sul farro, orzo non macinato, con cui venivano fatte delle zuppe. Abbiamo un miglioramento abbastanza diffuso della popolazione. La maggiore quantità di risorse viene investita in una migliore qualità della vita. Questa è una nozione che è sfuggita agli storici, perché i documenti poco ci dicono. La diffusione dei mulini si lega alla diffusione sulla tavola di pane e non di zuppe. Le case contadine cambiano: la casa altomedievale non aveva ambienti distinti per uomini e animali, vi erano solo graticci. La casa basso medievale dei contadini aveva ambienti separati. L’aumento della popolazione e della produzione agraria è alla base della crescita europea, ma non la esaurisce. Il risultato più spettacolare dell’aumento della popolazione è la crescita delle città. L’Europa altomedievale non era un continente di città. La gran parte della popolazione viveva nelle campagne. Le zone non romanizzate, come Sassonia e Germania, erano formate da grossi villaggi, così come in Inghilterra, Paesi Bassi. Nell’Europa Mediterranea le città erano di più, ma avevano conosciuto un processo di decadenza e di abbandono. Nell’assenza di un potere centrale forte, tutta una serie di misure necessarie per mantenere la città non erano svolte. C’era stata una contrazione della città, o una ruralizzazione di esse, zone abbandonate all’interno delle mura venivano coltivate. Le città erano rimaste sedi vescovili. Nella Spagna islamica, con un potere forte, le città fioriscono. Con l’aumento di popolazione e risorse, le città vivono una stagione di fioritura. Ne nascono di nuove, alcune “ripartono”. La crescita della produzione contadina crea mercato: un surplus viene venduto, e l’aumento del tenore di vita sia dei contadini, sia dei signori, crea un mercato di ritorno. Le campagne vogliono vendere materie prime per ottenere prodotti, aratri in metallo, ferri di cavallo, vestiti di una certa qualità per i contadini più ricchi. I signori accedono a una serie di 36 costumi di lusso, che creano uno status simbol. Per esempio, cucinare con le spezie. Servono dei centri di coordinamento sovra locale nel quale si vendano produzioni diverse, anche provenienti dall’estero. Le città rinascono come luoghi in cui si possono ottenere e vendere dei beni. Le città rinascono, un po’ sulla domanda interna, per esempio basata sul vescovo e sulla sua curia, che hanno diverse capacità di spesa. Si avvia un consumo interno alla città e ridistribuisce all’esterno. La produzione centralizzata diventa conveniente. Le città iniziano tumultuosamente a crescere, perché attirano e producono ricchezza. Non solo: nelle città, soprattutto in Italia, ci si libera delle dipendenze dai signori delle campagne. In città la protezione delle mura non si paga. Noi percepiamo questa crescita delle città dal fatto che essa si espande sistematicamente. La città si riempie di infrastrutture: la produzione cittadina è sempre più sofisticata. Le città italiane diventano importanti per i tessuti: lana, e cotone, Milano e Cremona diventano grandissime produttrici di cotone. La materia prima non era indigena, era comprata in Siria ed Egitto e poi lavorata qui. Dal XXII esplode la seta. Le tintorie e le concerie erano poste ai margini delle città, perché emanavano cattivo odore. Vengono creati una serie di canali per muovere i mulini, questo accade a Bologna. Tutto questo prende una dimensione internazionale: le produzioni europee crescono progressivamente di qualità, e a loro volta gli Europei, con crescenti capacità di spesa, sono incuriositi dai grandi mercati internazionali. Le prime protagoniste sono le città dipendenti dall’Impero Bizantino, come Venezia e Amalfi. I mercanti veneziani si riforniscono a Costantinopoli. Costantinopoli è il terminale di una delle vie carovaniere che partivano da lì per arrivare in India e Persia. Amalfi sviluppa un legame particolare con la Sicilia musulmana, nell’XI secolo. La Sicilia dipende dal califfato fatmide, gli Amalfitani, avendo buoni rapporti con la Sicilia, hanno strada aperta con Bisanzio e con Alessandria d’Egitto. Alessandria d’Egitto aveva rapporti commerciali con l’India. Contemporaneamente c’è l’ascesa di Genova e Pisa, che guardano ad Occidente, ma anche ad Algeria, Tunisia e Marocco. Viene acquistato soprattutto oro, l’eccellente oro del Senegal che in cambio di armi e altri strumenti arriverà in Italia. A partire dal XIII secolo si inizierà a coniare l’oro in Italia, ci proverà Federico II, e avrà successo con il fiorino fiorentino. Questi circuiti commerciali si estendevano attraverso l’Europa. I commerci si sviluppavano attraverso il Baltico: venivano commerciati legnami e pellicce. C’era anche un asse in Inghilterra, dove dalle pecore si ricavava una lana di qualità. Queste due aree si incontravano nella Champagne, da dove salivano le strade provenienti dai grandi porti italiani, e discendevano le strade dalle Fiandre. L’Europa diventa un’unica entità economica. L’Italia è il centro di questi commerci, e diventa motore di moltissimi cambiamenti, anche culturali. Un mercante pisano porterà dall’Africa i numeri arabi. Lezione 9 27.02.19 I normanni e le crociate I normanni e le crociate si legano a doppio filo con il problema della lotta per le investiture, e con la riforma della Chiesa. La crescita tra XI e XI secolo è anche una crescita geografica. La crescita del mondo latino si estende, da un mondo del nono secolo, che coincideva a grandi linee con l'Impero Carolingio, si arriva, nel XII secolo, a un allargamento vastissimo delle frontiere. Se questo allargamento per alcuni è pacifico, ciò avviene con l'annessione di ungari, polacchi e normanni, verso sud questo allargamento sarà condotto con le armi. Ci saranno una serie di guerre, tra cui le crociate, verso il mondo islamico e il mondo greco. I primi protagonisti di queste guerre che portano all'espansione dei confini sono i normanni. 37 longobardi. Nel 1059 Niccolò III attribuisce e legittima la presenza normanna nel sud conferendo il titolo di duca di Puglia a Roberto il Gusicardo. I Normanni sono cattolici, dopo lo scisma, se i normanni scacciano i bizantini va benissimo. Nell'arco di una dozzina di anni Roberto si impadronisce di tutta l'Italia Meridionale. Ruggero d'Altavilla si impadronisce della Sicilia. Il risultato è la creazione di uno stato nuovo, un insieme composito di signorie poste sotto il dominio di Roberto il Guiscardo, che agli inizi del XII secolo diventerà un regno unitario, molto importante, molto ricco e interessante dal punto di vista culturale. Ruggero, grazie alle tasse degli emiri tunisini, riesce a coniare il tari d'oro. Nella moneta abbiamo un lato in arabo, uno in latino con scritte greche. La reconquista in Spagna Tra XI e XII secolo l'avanzata delle frontiere del mondo cristiano è elevata. In Spagna si svolge la cosiddetta reconquista. Questo è un termine convenzionale, ha un fortissimo contenuto ideologico. È difficile seguire la storia spagnola a cavallo di questo periodo storico: passa attraverso il collasso del califfato di Cordova, alla fine dell’XI secolo.Avviene laa frammentazione del dominio musulmano nelle califas, piccoli regni costituiti in gran parte da città. I castigliani avanzano conquistando i territori arabi. I berberi giungono e creano un nuovo impero, che va dal Marocco alla Spagna meridionale, tra la fine dell’XI e del XII secolo. Gli almoramidi sono sostituiti con gli almoradi, la dinastia berbera. Nel 1212 si svolge la grande battaglia a Las Navas di Tolosa, in cui i cristiani vincono definitivamente, e riescono poi, nell’arco di una ventina d’anni a cacciare a sud gli arabi. Nella Spagna del 200 si riconoscono tre grandi potentati: il Portogallo, la Castiglia e l’Aragona, e l’ultima isola araba del sud, Granada. Castiglia e Aragona seguono, nei confronti delle popolazioni arabe, politiche diverse. I castigliani hanno tolleranza zero: deportano i castigliani, e di fatto parte della Castiglia, la Spagna centrale, è un grande vuoto, in quanto gli arabi fuggono, e quindi viene colonizzata dalle popolazioni del nord, dai francesi del sud, diventando in questo modo una delle “valvole di sfogo” dell’aristocrazia europea, con una rapida trasformazione del paesaggio. L’abbandono da parte degli arabi delle terre, l’impoverimento delle terre, farà sì che la Castiglia sia per gran parte territorio di pascolo. Gli aragonesi fanno accordi di tutela delle minoranze islamiche, creando delle enclave di tutela, in cui gli arabi potranno esercitare la loro religione senza essere disturbate, praticando i loro costumi, a patto che obbediscano al sovrano. In questo modo l’Aragona diventa uno stato più ricco. Una serie di produzioni che gli arabi avevano importato vengono conservate, in questo modo l’Aragona diventa luogo dove gli occidentali possono rifornirsi di una serie di prodotti, trattando con una potenza cristiana, non con una musulmana. Le crociate Per capire le crociate bisogna partire dal cuore del mondo islamico. Arabo e islamico non sono 1sinonimi: nel corso dell'XI secolo, il mondo arabo del medio oriente viene sconvolto dall'arrivo di popolazioni dall'Asia centrale: i turchi, che sono musulmani convertiti, ma hanno tradizioni diverse. Essi formavano gli eserciti di Baghdad. Si distingue in particolare un gruppo di tribù, i selgiuchidi. Essi irrompono nel mondo islamico, conquistano la Persia, e irrompono a Baghdad. Il califfo rimane, ma di fatto è un burattino nelle mani del sultano. I turchi avanzano verso ovest, vengono a cozzare con i bizantini, e a sud con i fatmidi. Nel 1071 ci sono due eventi cruciali: la battaglia di Manzikert, dove i turchi prendono l'imperatore, e sconfiggono i bizantini. Ai turchi poco importa dei bizantini: vogliono arrivare agli eretici sciiti fatmidi. Nello stesso 1071 viene presa Gerusalemme, con conseguenze fortissime: scoppia di fatto una guerra civile, Gerusalemme viene 40 saccheggiata, ci sono stragi e distruzioni. Viene interrotto il flusso dei pellegrinaggi. In occidente, questi sconvolgimenti politici hanno ripercussioni. Da un lato l'interruzione dei pellegrinaggi è un colpo per gli occidentali, e soprattutto il nuovo imperatore bizantino, Alessio, 1.11. Nel 1095 a Papa Pasquale II arriva una richiesta d'aiuto da Alessio. Egli voleva dei mercenari, si rivolge al papa per avere dei cavalieri occidentali per combattere. Questa richiesta arriva nel pieno della lotta per le investiture. Papa Pasquale II vede un'occasione: se il papa solo fosse riuscito a liberare la terra Santa, sarebbe stata una vittoria propagandistica sensazionale. La richiesta di Alessio è sconvolta, e nel corso del concilio di Clermont viene fatto un appello per la guerra crociata. Il papa fa appello a tutti i cavalieri. La crociata senza premesse non si spiega. Nel 1099 una spedizione autogestita riesce a sconfiggere le due potenze militari più forti dell'epoca, e a prendere Gerusalemme. Ci riescono perché approfittano della frattura tra sunniti e sciiti. Che cos'è una crociata? C'è una disputa tra gli studiosi anglosassoni e quelli italiani. Gli studiosi anglosassoni ne parlano come di una guerra santa, bandita dal papa, perché ha una ricompensa spirituale. Gli studiosi franco continentali replicano che la guerra santa è un concetto fuorviante: essa è volta al successo di chi l'ha bandita. La crociata non si ripropone di sterminare gli islamici, di convertirli. Vuole riconquistare Gerusalemme. Ha degli aspetti della guerra santa, ma non lo è. Si preferisce parlare di pellegrinaggio armato. La crociata è un costrutto tipico del XII secolo, con un fine e delle modalità precise. La crociata diventa "le crociate" ma porta soprattutto all'insediamento cristiano in Medio Oriente. I crociati si insediano e costituiscono questi quattro stati: il regno di Gerusalemme, le contee di tripoli, Antiochia ed Edessa. La presenza dei crociati in medio oriente avrà un peso fortissimo, perché mette a disposizione i porti con cui commerciare con l'Asia. Lezione 10 04.03.19 La riforma gregoriana e la lotta per le investiture Non dobbiamo proiettare l’immagine della Chiesa cattolica attuale sul passato. L’idea di una monarchia papale, di una chiesa gerarchicamente organizzata intorno al vescovo di Roma, nasce nell’XI secolo, e si svilupperà pienamente nel XVI secolo, con il Concilio di Trento. Dopo quasi 750 anni di vita, dalla legittimazione di Costantino, vedremo come nasce il concetto di Chiesa. Essa è organizzata intorno a un capo, con poteri normativi e prestigio spirituale. Il papa era una specie di ministro per il culto in tempi precedenti, al servizio della corona imperiale. Dobbiamo renderci conto che Europa e Stati Uniti vivono in una sorta di bolla culturale, in cui c’è la completa rimozione della morte e dei morti. Tutto il resto del mondo ha un rapporto profondo con la morte e i morti. Nel Medioevo, ma non solo, questo problema era molto presente. Era necessario saper gestire i morti, perché essi avevano potere. I morti e la morte sottintendono un mondo nell’aldilà, che ha influenze sul presente storico. La mediazione con l’aldilà, con il mondo ultraterreno, era il compito principale della Chiesa. Il funzionamento della Chiesa era una priorità per tutti. Una buona intermediazione con l’aldilà garantiva il buon ordinamento del mondo. Tutta una serie di catastrofi e incidenti potevano essere evitate con un buon contatto tra aldilà e mondo reale. L’undicesimo secolo ha avuto una portata rivoluzionaria nella storia della Chiesa. Il mondo del divino deve essere debitamente gestito. Questa era già stata una priorità di Carlo Magno, che concepiva l’Impero soprattutto come una comunità di credenti, e il fine dell’Impero era tanto 41 terreno quanto ultraterreno. Era necessario leggere e comprendere i testi sacri per fornire una buona interpretazione con il sacro. Nell’XI secolo si fa fortissimo il problema disciplinare: la qualità del clero, il cui compito è intermediare, non si lega più solo alla capacità intellettuale, ma anche a quella morale. Le spinte verso una riforma complessiva della Chiesa e del Clero, erano partite da una pluralità di direzioni. Convergono nel realizzare, nello spingere a una riforma dell’istituto ecclesiastico sia dai vertici, sia dall’esterno della chiesa, ma c’è anche una spinta popolare. La gente si sente minacciata verso la sua vita ultraterrena dalla cattiva qualità del clero. Chiede un cambiamento della situazione. La situazione preesistente Perché proprio nell’XI secolo esplode il problema della cattiva qualità del clero? C’è una convergenza di elementi. Il primo è il contesto sociale e politico: avevamo già ricordato, parlando degli Ottoni, che il legame a doppio filo creatosi tra l’Impero Carolingio e la Chiesa Cattolica, fa sì che la crisi dell’Impero Carolingio sia anche crisi della Chiesa. Saltano le Gerarchie: dopo il trattato di Verdun, con la frattura dell’Impero Carolingio tra i tre figli di Ludovico il Pio, Lotario, in teoria imperatore, perde autorità sui vescovi di Germania e Francia. La disarticolazione dell’Impero in più regni porta alla creazione di più teste di più chiese nazionali. Quando i regni si disarticolano in principati e signorie, questa disarticolazione si aggrava. I vescovi tendono ad essere sempre più autoreferenziali, e ogni diocesi tende a comportarsi in maniera autonoma, con la parziale eccezione degli Ottoni, che riescono a mantenere il controllo sulle nomine episcopali. A questa disarticolazione si aggiunge un fattore dal basso. Le Chiese vengono percepite dalle grandi famiglie aristocratiche, ma anche dai piccoli aristocratici locali, come uno strumento per rafforzare il loro dominio sul territorio, e rafforzare le rendite di famiglia. Molti proprietari fondiari, ecclesiastici ma anche laici, tendono a fondare delle chiese sulle loro terre. I signori tentano, e in molti casi riescono, a prendere il controllo sulle Chiese nella loro giurisdizione. I signori si riservano il controllo su queste chiese, il patronato, e ciò fa si che il signore possa dire la sua sulla nomina del sacerdote, o dell’abate di piccoli monasteri (che poteva egualmente stare sul territorio). Queste chiese aumentano il prestigio del signore, che diventa il punto di riferimento politico e spirituale, garantendo la presenza di un prete. Molto spesso queste chiese vengono affidate ai figli cadetti. Acquisire il controllo solido su un ente ecclesiastico aiuta perché esso diventa il punto di riferimento per i beni della famiglia. Se una proprietà viene spezzettata tra troppi eredi, essa non vale più niente. Se si conserva il diritto di nominare un abate, un priore o un prete, costruire punti di riferimento forti (come una chiesa o un ente) significava non spezzettare troppo la famiglia. I signori rurali fanno un investimento forte su questi beni. Il problema è che, in questa prospettiva, la qualità del clero che viene posto in queste chiese è l’ultima delle preoccupazioni. Nei casi dei secondogeniti era una scelta di convenienza. Non era importante se egli sapesse leggere o scrivere. In alcuni casi i signori tenevano alla qualità del clero. Si pone un problema di qualità del clero. Dato che il controllo dei beni ecclesiastici diventa appannaggio delle famiglie, questo controllo è diverso in città. I vescovi spesso vengono corrotti per far sì che le famiglie ottengano cariche prestigiose. Questo tipo di corruzione si chiama simonia. Famoso è il caso di Guido da Velate, che scrisse un listino per regolare l’afflusso di persone che gli chiedevano cariche ecclesiastiche. L’altro elemento da considerare è che questi sacerdoti non sono affidabili dal punto di vista culturale, e non lo sono nemmeno dal punto di vista comportamentale. Questo avviene in un momento in cui si afferma una visione dell’uomo di Dio totalmente diversa. Questa crisi non sarebbe stata percepita così fortemente due secoli prima. Siamo nel momento di affermazione del cluniacesimo. Chi, nella mentalità dell’epoca, ha le chiavi del paradiso, sono i monaci. I preti, che vivono tra la gente, nell’ottica dei cluniacensi, non sono molto diversi dai contadini. Altro elemento di contesa erano le 42 ottimo modo di legittimarsi. Questo compromesso è spesso frainteso. Si propone di separare la sfera temporale da quella spirituale. I vescovi conti dovrebbero rinunciare all’esercizio dei poteri temporali. Potrebbe nominarli il papa senza danni. Non è una chiesa povera, come ogni tanto si legge, è una semplice amministrazione tra quella civile e quella spirituale. I vescovi non vogliono rinunciare alle loro terre. Nel 1122 abbiamo il concordato di Worms. Esso è un pasticcio: le due parti sono estenuate, e concludono la lotta con un accordo di basso livello. A quanto pare, la versione consegnata all’imperatore e quella consegnata al papa erano diverse. Si decide per una spartizione geografica. Essendo l’impero composto da Regno di Italia e Regno di Germania, le figure dei vescovi conti ci sono solo in Germania. Lasciamo nominare i vescovi al papa in Italia, e in Germania all’imperatore. Il papa allarga la sua sfera di competenze, e l’imperatore conserva il controllo in Germania. La cosa è in realtà più raffinata. In Germania i vescovi li nomina l’imperatore come conti, consegnerà loro la spada; dopo ciò il papa darà il pastorale, cioè il bastone del vescovo. Al contrario in Italia, il papa nominerà dei vescovi, e se l’imperatore a uno di questi vuole dare dei poteri temporali, lo farà, ma dopo la scelta del papa. È un compromesso che in realtà non definisce nulla, già trent’anni dopo le due parti saranno in lite su una serie di nomine. Nel resto d’Europa vengono conclusi degli accordi bilaterali (in Francia e Inghilterra per esempio). Ci si accorda per una nomina concordata per i vescovi, il papa può deporre i vescovi, ma in compenso ad essi vengono tolte le prerogative sul territorio. È stato detto che l’epoca della lotta per le investiture è fondamentale per comprendere il mondo occidentale. Si consuma, almeno a livello ideologico, l’idea che il potere temporale e quello spirituale possano essere scissi. Nell’impero romano, ma anche nel califfato arabo, il vertice politico era anche il vertice spirituale. Non era possibile scindere il livello del sacro e il livello laico dell’amministrazione. L’idea che non sia necessario che nella stessa istituzione convergano temporale e spirituale, e che siano due ambiti separabili, nasce qui. Nei secoli porterà alla nostra attuale concezione giuridica, in cui le due sfere sono separate, ognuna con sue logiche e regole proprie. Lezione 11 05.02.18 Un re, un’aristocrazia, dei soggetti, questo tipo di composizione verticale che fino a una ventina di anni fa avremmo chiamato statale, è affiancata a una composizione orizzontale. Sono create delle comunità a partire da un principio di collaborazione, corresponsabilità nelle decisioni politiche. Da un lato un processo di gerarchizzazione e di ricomposizione territoriale intorno a dei singoli potenti, re o grandi signori territoriali, o in alternativa, ricomposizione del potere attraverso la ricomposizione dei rapporti papali. Significa che una certa base di diritti viene riconosciuta a tutti. Due osservazioni: fino a una trentina d’anni fa, vi era una certa idea secondo cui lo stato nazionale fosse la forma di organizzazione della società, per cui il mondo si divide in stati riusciti e stati falliti. Chi ha uno stato in cui diversi poteri coesistono, questo modello è fallimentare. Questo è un paradigma ideologico ottocentesco, di Bismark, di Crispi, di Napoleone III, che la storiografia ha recepito in maniera supina. È il momento di giudicare questi processi per quello che sono, strade alternative che si possono percorrere. Questa forma di solidarietà orizzontale, di movimenti associativi, caratterizzano l’intera società europea, le città e le campagne. Assumono una molteplicità di forme. Anche ora, in una certa misura, l’individuo isolato è un individuo perduto. Esso non aveva la forza di resistere alle diverse sventure politiche, personali e sanitarie. L’intervento pubblico in leggero, e nelle difficoltà intervenivano queste associazioni orizzontali. Si poteva far parte di parrocchie, associazioni di mestiere, confraternite. Isolati c’erano mendicanti, lebbrosi. Questi tessuti in cui si erano inseriti gli individui, ricoprivano anche un ruolo politico. Per 45 esempio, il villaggio medievale era un modello sociale articolato, vi erano braccianti, fabbri, osti, i contadini più ricchi che affittavano ad altri. Nei confronti del signore del castello, essi si ponevano come una comunità compatta. Questa rete ha un forte impatto sulla vita politica del tempo, ne abbiamo testimonianza. Spesso le comunità contadine che avevano un signore, semplicemente comprando i diritti che il signore esercitava sulla loro vita. Nel momento in cui riuscivano a riscattarsi con questa somma di denaro, il signore la usava per trasferirsi in città, liberandosi dei contadini, magari commerciando in spezie. Questo associazionismo assume peso nelle città. Per livello di ricchezza, per peso politico, per capacità militari, questa costruzione di rapporti orizzontali, una legittimazione del potere politico che viene dal basso. Non è un caso che nel lessico politico della maggior parte dei paesi europei, colui che ha dei diritti nella società si chiami cittadino, termine derivante dalla città, con un’ascendenza romana, ma con impronta medievale. Le città europee nel XII e XIII secolo In Italia centro settentrionale, l’esperienza politica delle città raggiunge il suo culmine con la nascita dei comuni. Essi sono una forma di autorganizzazione politica della città, che, senza rivendicare piena indipendenza, raggiungono un’autonomia di fatto. La rinascita economica dell’XI e XII secolo porta con sé la rinascita, o in alcuni casi la fondazione di città. Esse diventano centri di ridistribuzione di prodotti delle campagne e di importazione, come le spezie orientali, e centri produttivi, in cui si producono, anche con un livello tecnologico superiore, prodotti destinati alla città, ai centri circostanti e all’esportazione. Il cotone e la lana prodotti in oriente, vengono lavorati tra Cremona e Milano, per poi essere commerciati nel Mediterraneo. Questo porta a un popolamento delle città, a un allargamento fisico delle città. Bisogna tener presente che, quando parliamo di città, parliamo di centri piuttosto piccoli per i nostri standard. La storiografia inglese considera città 5000 abitanti, per l’Italia il metro è 10000 abitanti. In realtà, la città ha questo titolo se ha il vescovo, perché la presenza del vescovo è segno di tradizione romana. In questo senso, se noi prendiamo le città, teniamo presenti le dimensioni. Le grandi città, che passavano 100000 abitanti, all’epoca erano pochissime: Parigi, le città arabe prima della conquista cristiana come Palermo, Milano, Firenze e Venezia. Notiamo che le città sono a maggioranza italiane. C’è uno squilibrio fortissimo tra l’addensamento urbano in Italia. In Italia centro settentrionale abbiamo un addensamento pari a quello del resto d’Europa. Anche le Fiandre hanno un grande tasso di urbanizzazione. In generale, un po’in tutta Europa, questa concentrazione di persone nelle città porta a far rivendicare dalle persone forme di governo e autonomia. Comune è un termine attestato per la prima volta in Francia, a Laon, dove i cittadini di questa comunità, per sfuggire a vescovi troppo oppressivi, si organizzano in comune per tentare di ottenere autonomia. Le città in Europa C’è una differenza fondamentale, geografica, per quanto riguarda il livello di autonomia delle città. In Europa le città sono meno, sono più piccole, si trovano a confrontarsi con poteri signorili forti. Una città della Germania Meridionale, sveva, Ravensuburg, come tanti altri centri tedeschi, si trova a confrontarsi con il potere dei potenti di Svevia, forte. La città di Ravensburg ottiene il realizzarsi del comune, ma il suo potere si ferma alle mura cittadine. Il potere politico del comune si ferma qui. Sulla collina c’è la dimora del marchese, da cui egli poteva osservare la città. I cittadini costruiscono questa torre altissima, che permette di guardare il castello. Quest’immagine cittadina ci rende questa caratteristica dell’esperienza comunale in Europa. Da un punto di vista sociale, le aristocrazie del territorio tendono a rimanere legati tra loro, o ai signori rurali più potenti. La città quindi non assorbe dentro di sé forze della campagna. L’elite politica è espressa dalle famiglie eminenti della città: mercanti, artigiani, piccoli proprietari di terre, tutti concentrati nel centro 46 urbano. È un gruppo chiuso verso i potenti delle campagne, verso il vescovo, e chiuso anche verso il basso. Questi gruppi borghesi tendono ad escludere i lavoratori comuni. Il secondo aspetto politico è che, per poter resistere in queste circostanze, situazione non semplice, perché se una città non controlla la parte circostanze di fatto è più debole. Le città allora si rivolgono ai re, o a grandi potenti locali. Ottengono i privilegi, per esempio la carta di franchigia in Francia, con cui il re riconosce la loro autonomia, la garantisce difendendola, ma in cambio il sovrano si riserva la nomina degli alti ufficiali della città. Il consiglio cittadino eletto dai borghesi si deve rapportare alla volontà regale. Il re richiede però fiducia contro i vari nobili che si opponessero al suo dominio. Fanno parziale eccezione le Fiandre, in cui le città sono grandi (50/70000 abitanti), sono molto ricche, dato che commerciano con l’Inghilterra. Sono il grande distretto industriale d’Europa: importano la lana inglese e producono panni di media e alta qualità richiesti non solo in Europa, ma anche nel Mediterraneo. Le città hanno una dipendenza nominale dal conte di Fiandra ma si autogovernano. In Italia Dove l’esperienza cittadina raggiunge il suo massimo sviluppo è in Italia Settentrionale. Qui l’affermazione del governo cittadino avviene in maniera diversa. Le città, nel corso dell’XI secolo, sono di fatto governate dai vescovi. I vescovi non governano solo la Chiesa, ma anche l’amministrazione civile. Non sono paragonabili ai vescovi conti in Germania, perché lì facevano le veci del re. Il vescovo, in Italia, governa la città sostanzialmente su decisione dei cittadini. Egli è l’unico ufficiale pubblico rimasto, perché in Italia l’organizzazione di governo regio è collassata in maniera disastrosa, senza nessun successo da parte degli Ottoni. Enrico III e IV scendono in Italia solo per la lotta per le investiture. L’unica persona di riferimento rimasta in città è il vescovo, che ha una serie di responsabilità di governo, da amministrare l’esercito alla giustizia. Fino alla riforma gregoriana, ma anche dopo, i vescovi sono eletti, scelti dal clero della città e della diocesi. Siccome il clero della città e della diocesi era spesso composto da cadetti della campagna e della città, di fatto il vescovo era scelto dalle elite locali. Questo ha delle conseguenze molto forti: la prima è che il vescovo è a capo della città, ma anche della diocesi. La città è parte di un’entità più grande. Siccome il vescovo è a capo della diocesi, i suoi collaboratori non sono solo cittadini, ma provengono anche dalla campagna, possono essere dei vassalli provenienti dalla città. Le elite sono molto mischiate: il signore potrebbe dare in sposa la figlia a un mercante molto ricco. Non c’è quella frattura tra aristocrazia rurale ed elite cittadina che troviamo in Europa. Questo sistema funziona abbastanza bene fino alla lotta per le investiture. Essa chiama i vescovi a schierarsi. Abbiamo una serie di nomine vescovili contestati, o doppie elezioni vescovili. Questo fa entrare il sistema nel caos. Tra il 1077 e 1122, non è un caso che appaia un’istituzione autonoma, il consolato. Compaiono dei consoli, negli anni ottanta a Pisa, e nelle altre città nel primo decennio del XII secolo, i quali o affiancano uno dei vescovi, o più spesso sostituiscono il vescovo in queste mansioni di governo. Spesso si parla della “rinascita dei comuni”, ma di fatto noi abbiamo attestazioni a partire dalle prime nomine dei consoli. La prima menzione dei consoli è un momento post quem. Questo periodo, non è detto che fosse sempre segnato dalla presenza dei consoli. In questo particolare momento la situazione è di emergenza. Dagli anni venti i comuni si emanciperanno dal potere episcopale. Questo passaggio è molto soft, per questo non abbiamo una rinascita. Esso avviene con il consenso del vescovo, che segna un lento trapasso dei poteri dalla curia del vescovo alla magistratura consolare. Anzi, molto spesso non cambiano le persone. Vengono poste delle persone 47 popolo, che approvava o non approvava le decisioni dei consoli. Se non erano approvate i consoli potevano rimangiarsi la decisione, oppure tentare di tirare dritto con la decisione precedente. Questo creava una caduta. Questo ordinamento, alla fine del XII secolo, non regge più. Le rivalità tra le grandi famiglie che davano i consoli paralizzavano il funzionamento del collegio consolare sono meno significative: in realtà non funziona più per altri motivi. Le città crescono una crescita precipitosa, e in una città di 8/10000 abitanti ci si conosce tutti, le votazioni sono più semplici. I consoli sono più conosciuti. Nel momento in cui la città si allarga, questo tipo di democrazia diretta non funziona più. Bisogna articolare e sofisticare. Si iniziano a sviluppare delle tensioni sociali: di fatto soprattutto le elite eleggevano i consoli. Si cambia drasticamente il modo di governare la città. Il collegio dei consoli viene abolito. Il potere esecutivo e giudiziario passa nelle mani del podestà. Egli è una figura curiosissima, un governante unico con poteri ampissimi, sia il potere giudiziario, sia quello esecutivo. Resta in carico un anno, e viene chiamato da fuori, da un’altra città. In questo modo non può abusare del suo potere, non favorendo i suoi amici per esempio. Si cerca di costruire un vertice politico il più possibile oggettivo e professionale. Ci sono podestà particolarmente bravi che sono richiesti. Alcuni podestà nel corso della loro carriera governano 15, 20 città diverse. Alcuni sono bravi giuristi, altri bravi militari. Questa circolazione di ufficiali da una città all’altra porta a un’omogeneizzazione dei sistemi di governo. Si procede verso l’elaborazione di una cultura politica e istituzionale comune a tutte le città italiane. Il podestà non è un dittatore, deve confrontarsi con la volontà della cittadinanza. Vengono istituiti dei consigli comunali, forma particolare di democrazia rappresentativa. Questi consigli hanno due grandissimi punti di forza: interloquiscono con il podestà, hanno, in termini moderni, il potere legislativo. Il podestà governa secondo le norme dei consigli. Il consiglio del comune è un organo con moltissimi componenti, a Pavia si arriva a mille membri. Era dunque una forma di inclusione ampissima della città. Il consiglio diventa il parapugni delle decisioni. Se c’erano contrasti politici tra due idee forti, spesso si rischiava di arrivare alla rissa in piazza durante le assemblee. Quando si decise di ritirarsi o meno contro il Barbarossa, a Milano il confronto avvenne a suon di pugni. Si cerca di costruire consenso nel consiglio, si politicizza lo scontro, passando dallo scontro al confronto. Questa innovazione istituzionale porta a un’innovazione amministrativa. Si inizia a scrivere, ciò elimina o riduce la possibilità di arbitri. Alla fine del mandato, una commissione dei cittadini valutava il podestà. Se non aveva governato bene, era costretto a pagare, o a decurtazioni sullo stipendio. Se vi erano delle accuse scritte, il podestà poteva essere punito. Se il governatore viene da fuori non conosce le regole della città, è necessario scrivere degli statuti, che danno certezza al diritto. Tutto questo riduce moltissimo le derive del potere. Riscuotere tasse avviene secondo un sistema proporzionale. Nella prima metà del XII vengono introdotte una serie di misure amministrative che tutelano maggiormente i cittadini. Il comune della fine del XII secolo e nei primi decenni del XIII, si esprime nella tipologia architettonica chiamata in lombardia broletto. Essi sorgono a Milano, a Como, Monza. Notiamo il fatto che tutti questi palazzi abbiano un porticato aperto verso la piazza. Il comune non è separato dalla cittadinanza: il governo della cittadinanza è il governo dei cittadini. Le operazioni di governo si svolgono sotto, non sopra, lì ci sono gli archivi. Questa distribuzione architettonica rappresenta la volontà di coinvolgere il popolo. Cinquant’anni dopo, il palazzo comunale assume l’aspetto di Palazzo Vecchio a Firenze, una fortezza chiusa. Di mezzo ci sono le guerre di Federico II, che polarizzano la società comunale in due poli opposti. Lezione 11 06.03.19 50 Tra dodicesimo e tredicesimo secolo, in Europa abbiamo una spinta verso la coesione territoriale. Questa ricomposizione prende due volti, quello della creazione di solidarietà orizzontale, tra contadini e cittadini, e in alcune regioni d’Europa, come in Italia, le fiandre, e in parte Provenza e Catalogna. I signori che possedevano castelli nel contado, cedendo terre e beni, acquistavano il diritto di avere un palazzo in città. Le città agiscono anche su scala sovra locale, come strumento di composizione, con le leghe. È quello che succede in Italia con la lega lombarda, ma esso è un fenomeno forte anche in area tedesca, dove le città si legano tra loro per garantire protezione da minacce esterne. Anche sul baltico, la lega seatica unisce città tedesche e svedesi, come Upssala. Abbiamo due visioni in competizione: quella della monarchia, che a posteriori potremmo definire nazionali, o anche sovranazionali, perché occupavano altri territori. Ci sono dei regni che hanno assoggettato dei territori, dopo di che, durante il settecento, l’ottocento (spesso anche il novecento), viene imposta un’omogeneità linguistica e culturale. In opposizione a questo modello, abbiamo i cosiddetti poteri universali, esercitabili in chiave sovranazionale, con intensità diverse. L’imperatore controlla in modo molto forte il suo ducato d’origine, controlla in maniera più blanda il regno di Germania, ancora di meno l’Italia e la Borgogna. Rivendica in maniera ancora più blanda qualche parvenza di autorità anche sui regni periferici. Quello che accade tra dodicesimo e tredicesimo secolo, è che il modello universale del potere, dopo aver sfiorato il successo, fallisce. Riscuotono in questo momento un successo maggiore le monarchie fortemente coordinate intorno a un sovrano. I poteri universali La Chiesa Vive tra dodicesimo e tredicesimo secolo, una stagione interessante, di rimescolamento e cambiamento. Sull’onda della riforma gregoriana, che aveva enunciato un certo tipo di idee, circa un secolo dopo, l’idea di monarchia ecclesiastica, di predominio effettivo del pontefice sulle chiese locali, si concretizzi nella realizzazione di una serie di uffici e istituti, che permettono questo controllo. Ci vuole qualcosa che concretizzi questa attività. La curia romana si propone come giudice d’appello di tutte le cause che vengono giudicate nelle diocesi cattoliche. Questo è uno strumento fortissimo per l’affermazione del potere papale. Questo permette al papa di dialogare con le realtà papali più piccole. Deve esserci un tribunale che giudica queste cause: dato che esse sono numerose, è necessaria una rete di giudici preparati, deve esserci una cancelleria in cui devono essere depositate queste sentenze. Questa riforma avviene per tappe nel corso del XII secolo. La legislazione viene riformata da un giurista, Graziano, che fa una compilazione di tutte le leggi emanate dai papi nei secoli precedenti, elimina le contraddizioni, dà un’uniformità tipica del diritto romano. Esiste una base normativa su cui i tribunali ecclesiastici dovranno operare. La vera messa a punto del nuovo governo della Chiesa, avviene sotto Innocenzo III, che è papa fino al 1215. Nel suo ventennio pontificio, ristruttura completamente la Chiesa, facendone un apparato di governo centralizzato a Roma. Organizza il tribunale, viene creata una cancelleria, perché il papa comunica verso le periferie con le lettere, che vengono anche archiviate, tanto da essere giunte fino a noi. Innocenzo III, giurista, si trova ad operare in una situazione politica particolare. Si inserisce in un momento di vuoto di potere imperiale: Federico Barbarossa aveva fallito nel suo tentativo di assoggettare l’Italia centro settentrionale, riuscendo però a far incoronare suo figlio, Enrico VI imperatore. Il figlio poi era stato spinto verso un matrimonio di vantaggio, con Costanza d’Altavilla, zia del re di Sicilia. A posteriori, questo matrimonio viene celebrato come un capolavoro politico. Al momento del matrimonio, il re di Sicilia Guglielmo II aveva trentacinque anni ed era in piena salute, quindi potenzialmente era un possibile generatore di eredi. Costanza 51 aveva 41 anni, la possibilità di dare a Enrico un figlio maschio era minima. Così però accade: Guglielmo II muore due anni dopo il matrimonio. Federico II, figlio di Enrico e Costanza, ha tre anni. Una persona di grande cultura giuridica, e di grandissima ambizione, come Innocenzo III, sviluppa una politica di ierocrazia. Innocenzo III non pretendeva di governare il mondo, ma egli sosteneva che fosse suo dovere controllare l’operato dei sovrani che governavano il mondo (ieros in greco significa santo). Questo aspetto era già in luce nel dictatus papae, Innocenzo III concretizza questo concetto con una certa aggressività nelle politiche nazionali. Innocenzo III pretende di determinare chi sarà l’imperatore. Approfitta di un momento di difficoltà per far sì che Giovanni senza terra, re d’Inghilterra, sia quasi suo vassallo. Cambia il rapporto tra la Chiesa e i fedeli. L’impalcatura ideologica della riforma gregoriana, era la clericalizzazione della Chiesa, ovvero l’idea che i laici non dovessero entrare minimamente nelle cose di chiesa, guastandole. Questa idea, concretizzatasi nei vertici, colpisce in maniera dura la popolazione. Questa è un’epoca, tra XI e XII secolo, in cui c’è una fortissima domanda di spiritualità nella popolazione, una domanda di partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Sono cambiamenti sociali che cambiano in modo drastico la percezione del sacro da parte della popolazione. È un periodo in cui l’Europa cresce, in cui facendo si può migliorare il proprio tenore di vita. Lavorando più intensamente i campi per avere prodotti da commercializzare, producendo cose da vendere. La vita contemplativa rimane fuori tempo, c’è uno spaesamento dovuto all’emergere dell’idea che il lavoro materiale sia positivo. Altri ordini hanno un successone: i cistercensi rifiutano l’eccessivo sfarzo di Cluny, proponendone il fare. Un’altra cosa che cambia è la percezione della povertà: diventa uno stato in cui si può cadere anche per un accidente. Non si percepisce più la povertà come un destino a cui si è condannati, ma uno stato che può colpire più o meno tutti. La gente dalla povertà vuole uscire. In questo si costruisce una grande rivoluzione: la popolazione vuole fare delle cose per meritarsi il paradiso, e vuole farlo sulla terra. Fare qualcosa vuol dire fare un pellegrinaggio, fare una crociata, ma può voler dire anche fare esperienze di volontariato concreto. Chi fa queste esperienze vorrebbe farlo da religioso, da para religioso. Su questo la Chiesa ha una chiusura totale, non dando spazio alla spinta popolare. Nel XII secolo si arriva a una serie di sconti, che portano al successo delle cosiddette eresie, una serie di interpretazioni del messaggio evangelico, che la Chiesa non riconosce come sue, ma ottengono un grande successo. Ci sono una serie di iniziative che non vogliono essere eterodosse, che vengono bollate come eresie dalla chiesa. La Chiesa da un lato apre a quei movimenti che vogliono provare esperienze di vita, anche a cavallo tra laicità e chiesa, poiché riconoscano la superiorità della Chiesa romana, ma chiude completamente a coloro che non riconoscono la superiorità delle gerarchie, promuovendo anche l’uso della violenza per reprimere le eresie. Abbiamo una crociata contro i catari, eretici della Francia meridionale. Essi non potevano tornare nella chiesa tradizionale, derivavano dal manicheismo, che proponeva un dualismo bene e male inaccettabile per la Chiesa cattolica. In seguito a questa eresia vengono organizzati i primi tribunali dell’Inquisizione, fin troppo famigerati per una spietatezza inaudita, spesso accentuata. L’esempio più clamoroso di accettazione è Francesco d’Assisi , che promuove una povertà, una vicinanza ai poveri. Innocenzo III è il primo ad approvare la regola di Francesco, così come quella domenicana. L’impero e Federico II La figura di riferimento, nella prima metà del XIII secolo, è Federico II. In un primo momento l’impero sembra rivivere le glorie degli Ottoni e di Carlo, ma di fatto fallirà totalmente. Per capire Federico II bisogna partire da due premesse. La prima sono le caoticissime circostanze in cui sale al trono. Rimane orfano ancora bambino, e si trova in una posizione delicata. Egli non è erede al trono 52 primi anni del suo governo a fare guerre con Riccardo cuor di leone. La grande svolta è Bouvines, nel 1214, che cambia completamente la storia dell’Inghilterra, della Francia e dell’Impero. In Francia consacra la superiorità di Filippo Augusto: a quel punto Giovanni senza terra deve abbandonare la Francia settentrionale, Filippo istituisce dei governatori, i balivi, su modello inglese. Filippo approfitta della crociata contro gli albigesi, e il figlio di Filippo Augusto, Luigi VIII, la croce e ne approfitta per strappare la lingua d’oca. La Francia si sta affermando come un regno forte e ben coordinato. Giovanni senza terra, sconfitto, se ne torna in patria umiliato, e siccome non era la prima umiliazione, dato che aveva dovuto assoggettarsi al papa, i nobili decidono di sbarazzarsene. Ma non esistono alternative al re, non ci sono fratelli. I nobili cambiano strategia, accettano di tenersi Giovanni senza terra, a patto che Giovanni conceda all’aristocrazia una serie di diritti. Egli emana un diploma regio, che contiene una serie di diritti per la nobiltà, la Magna Charta, nel 1215. Vi è contenuta l’idea che la nobiltà debba essere consultata per le grandi decisioni che riguardano il regno. Questa concessione, in un primo momento informale, viene piano piano trasformato nel diritto dei nobili di riunirsi periodicamente per prendere delle decisioni, vincolanti per la corona. Questa assemblea si chiama parlamento. Agli inizi del trecento, le grandi città chiedono a loro volta di poter avere una sede per i loro rappresentanti. In parallelo alla camera dei lord, che riunisce l’aristocrazia, viene istituito un secondo cambiamento destinato ai comuni. Nasce in questo modo l’ordinamento istituzionale del regno d’Inghilterra, come camera dei comuni e dei lord. Lezione 13 11.03.19 La crisi del trecento Tra l’XI secolo e il XIII secolo abbiamo visto una stagione di sviluppo economico, crescita demografica e sviluppo culturale. Tra XII e XIII secolo, i contatti sempre più stretti tra mondo arabo e cristiano fanno circolare in Europa i grandi prodotti della cultura araba. In parte ricominciano a circolare i grandi classici del pensiero greco, in particolare Aristotele, che dà il via alla grande stagione della scolastica. Il pensiero si riorganizza intorno a tre assi, medicina, diritto e filosofia. Questo processo di crescita, che ritroviamo in tutti gli ambiti, conosce un momento di interruzione piuttosto drammatica nel 300. La discussione su cosa sia successo è aperta, e non priva di interesse. Il clima di rinnovamento ed espansione si interrompe bruscamente nel corso del XIV secolo, quando una serie di processi rallentano le possibilità di miglioramento delle condizioni personali, sommati alla peste nera, che nel 1348 spazza via circa 1/3 della popolazione europea. La peste interrompe traumaticamente un percorso di crescita in corso in occidente, o la peste colpisce un mondo già in crisi? Secondo Carlo Maria Cipolla, la peste risolverebbe un vicolo cieco in cui si era cacciata l’Europa nel XIV secolo. Una premessa necessaria per capire il mondo del trecento e la peste ci obbliga a fare un passo indietro, tornando agli inizi del 200, quando si svolge la quarta crociata. Essa è considerata il capitolo conclusivo delle crociate. Nel 1187, gli stati crociati nati sulla scia della prima crociata, che erano sempre riusciti a giostrarsi in maniera abile tra le diverse presenze del mondo mediorientale, riuscivano a mantenere il loro posto tra i vari potentati orientali. I turchi, i Greci di Costantinopoli, i fatmidi d’Egitto, e i potentati arabi della Siria (dipendenti dal califfato di Baghdad), erano in gara tra loro. Si instaurò una politica di equilibro, affinché nessuno prendesse il sopravvendo. Questo panorama regge per circa 80 anni, finchè la potenza fatmida collassa, anche a causa dell’apporto crociato. I crociati lanciano una campagna per occupare l’Egitto, per un certo periodo il califfo d’Egitto diviene loro vassallo, ma alla fine la spunta il Saladino, un condottiero a servizio del 55 califfato di Damasco, che crea una superpotenza regionale, che fino ad allora si era cercata di evitare. Il Saladino prende Gerusalemme, Riccardo Cuor di Leone riconquista la costa ma non Gerusalemme. Nel 1204, una crociata proposta da papa Innocenzo III vede solo la partecipazione di piccoli principi europei. Questi principi europei, finiscono con il farsi arruolare come mercenari nel corso di un conflitto dinastico tra i pretendenti al trono di Costantinopoli, e nel momento in cui non sono pagati, si impadroniscono della città. Ne nasce una situazione politica confusa, per cui si crea a Costantinopoli un impero latino, e in Anatolia centrale un impero bizantino,a Nicea. Nel 1267 la parte bizantina si riprende Costantinopoli, con la dinastia dei Paleologi. Una delle grandi conseguenze dell’instaurazione di Michele Paleologo è stata la riapertura dei territori bizantini ai commerci latini. Chi permette a Michele il Paleologo di rientrare sono i veneziani, e nello stesso momento e in quello immediatamente successivo, i bizantino concedono delle basi sul Mar Nero. Il Mar Nero non è inizialmente attraente, la situazione cambierà con i genovesi a partire dal 1261, perché nel frattempo in Asia le popolazioni nomadi della Mongolia erano state unificate da Gengis Khan. In circa 30 anni si impadroniscono della Persia, dell’Ucraina e dell’Ungheria. Ne nascono 4 stati mongoli, tra cui il Gran Canato del Katai tra Mongolia e Cina. Questo crea un mondo politico e commerciale completamente diverso. Per l’occidente si aprono possibilità economiche sensazionali. Fino a quel momento, la grande crescita dei latini nel mediterraneo si era fermata alle coste: gli italiani monopolizzavano la navigazione mediterranea, non uscendo dalla navigazione costiera; erano le grandi carovane gestite dagli Arabi che connettevano India, Cina e Africa Occidentale con le aree mediterranee. L’intermediazione era costosa. La creazione di uno spazio politico sostanzialmente unitario che andava dal Mar Nero al Giappone, apre ai mercati occidentali delle strade nuove. Il Mar Nero consente di aggirare l’Egitto, in cui si era instaurato il regime militare dei Mamelucchi, i soldati, che avevano fatto un colpo di stato, creando un dominio che comprendeva Damasco, la costa dell’Arabia e che monopolizzava i traffici sul Mar Rosso. Si aprono tre grandi strade, una attraverso l’Asia Centrale (Marco Polo), una che passava a nord, attraverso la Crimea, dove Caffa era una base importante genovese, una terza per cui si passava attraverso Trebisonda, si scendeva attraverso il dominio del Canato Mogolo, ci si imbarcava a Hormuz e si faceva via mare, con navi principalmente arabe, il tratto fino in Cina. Questa globalizzazione è un evento fondamentale, perché ci aiuterà a capire gli equilibri economici del primo trecento, e l’arrivo della peste, portato di questa apertura globale. Vengono importate spezie e seta dall’India, dalla Persia e dalla Cina. A livello globale pare un’epoca di grande fioritura. Se si osservano le dinamiche interne all’economia europea, si individuano una serie di difficoltà. L’Europa di inizio trecento conosce una serie di carestie: i prezzi del frumento salgono, ci sono difficoltà di approvvigionamento. Sotto accusa, per queste carestie, viene messo il modello di sviluppo del dodicesimo e tredicesimo secolo. Malthus aveva teorizzato un modello geometrico di crescita, raddoppiando ad ogni generazione. La produzione cresce secondo un modello aritmetico. La crescita demografica è più consistente di quella agricola, secondo questo modello, e ciò causa dei disequilibri sempre più consistenti per le risorse. Questa teoria è figlia della sua epoca, il settecento, quando l’Europa si sta confrontando con una crescita forte della popolazione, in cui ci sono zone sovrappopolate. Alla massa della popolazione non era concessa la capacità di programmare le nascite, i contadini erano paragonati a conigli. Questa teoria è stata ripresa negli anni cinquanta del secolo scorso, con l’intento di mettere sotto accusa il modello di sviluppo di XII e XIII secolo, che non prevedeva un aumento della produttività, ma solo un’estensione delle superfici produttive. Si sarebbe quindi andati incontro a un progressivo esaurimento delle terre. Il modello di sviluppo in questione rendeva meno produttive le terre coltivate. Giovanni Cherubini ha elaborato il cosiddetto circolo vizioso dell’agricoltura: se dissodo e metto a coltura tutta la terra, 56 riduco lo spazio per il pascolo. Ho meno bestiame disponibile e meno letame, uno dei pochi concimi disponibili (con il bruciare piante); se io concimo meno le piante esse sono meno produttive; per compensare questo allargherò i territori coltivati … Il processo si ripete ciclicamente. La terra è sempre più vulnerabile, pronta alla catastrofe alla prima difficoltà. La produttività era aumentata grazie ai nuovi attrezzi di lavoro, grazie alla rotazione triennale, perché c’erano stati investimenti nell’irrigazione (come in Lombardia), perché c’era stata una selezione più attenta delle specie da coltivare. La grande espansione commerciale permetteva di compensare questi problemi. Da mercati nuovi non si importavano solo spezie e tessuti di lusso, ma anche grano. Il grano ucraino e delle pianure del Danubio, attraverso il Mar Nero veniva ridistribuito dai Genovesi; il grano polacco era distribuito dalla lega anseatica nelle Fiandre e in Inghilterra. La teoria maltusiana va quindi affinata con la teoria del circolo vizioso. Il circolo vizioso dell’agricoltura rendeva l’alimentazione più povera di carne, e quindi di proteine. Parallelamente, avviene una drastica riduzione delle superfici boschive. Questo aveva delle dure conseguenze nell’accesso dei contadini alla caccia. Se precedentemente i contadini avevano accesso alla selvaggina con facilità, le aree boschive sono limitate all’accesso del re, o dei signori locali. La teoria marxista porta avanti l’idea che i signori fossero di fatto parassiti sui contadini, e questo avrebbe portato a schiacciare la popolazione contadina, a sua volta non più in grado di investire. Questa teoria è stata abbandonata dagli stessi storici marxisti. Vi sono quindi altre spiegazioni, addotte per spiegare la crisi. La climatologia storica, ricavando dati da fonti naturali e non da testimonianze, ha portato all’elaborazione molto approssimativa di alcuni grafici, secondo cui ci sarebbe stato un periodo romano caldo, un periodo freddo successivo, un optimum medievale che si arresterebbe tra XII e XIII secolo, e successivamente una piccola era glaciale, fino ai nostri giorni. Già il XIII secolo è un secolo di difficoltà climatiche. Di fatto è vero che una serie di ondate di maltempo abbiano colpito l’Europa, in particolare ci fu una grande carestia ( la grande fame secondo gli storici inglesi) tra il 1315 e il 1318. Di solito le carestie non portavano alla morte per inedia, c’era un sistema di solidarietà che suppliva. Si poteva mangiare male e morire di malnutrizione. Raramente negli eventi storici c’è una spiegazione monocausale, ma se noi intrecciamo questi fattori otteniamo un risultato più plausibile. Un modello di sviluppo che effettivamente aveva le sue debolezze, ma aveva in sé gli anticorpi per sopportarle, regge male la crisi climatica. Probabilmente ci fu una crisi climatica anche a fine duecento, ma l’Europa era meno vulnerabile. Pensiamo all’interrelazione tra questi fattori. Una cosa che colpisce gli studiosi, è la coincidenza tra queste difficoltà, e una serie di crisi che colpiscono il commercio internazionale e le attività bancarie. Tra il 1290 e il 1345, una serie di società commerciali italiane falliscono. Il fallimento più clamoroso è quello del 1345 dei Bardi e dei Peruzzi a Firenze. In parte il problema è politico: i Bardi e i Peruzzi avevano prestato grandi somme al re di Francia e al re di Sicilia, e questi sovrani hanno dichiarato insolvenza, non pagando i debiti. Questo nesso non è casuale. Da un lato, le difficoltà dell’economia reale, della produzione agricola soprattutto, colpiscono anche le casse dei re. L’Inghilterra venne colpita tantissimo da questa crisi climatica, che portò a delle malattie delle pecore. La mancanza di pecore, fonte primaria di sostentamento, fece collassare parte dell’economia. Ci sono altri problemi, tra cui la deflazione: il denaro costa tantissimo. Uno dei grandi problemi, quando parliamo di società premoderne, è che il denaro ha un valore reale. Se per noi la moneta è un concetto molto astratto, per loro era concreto. Non se ne poteva produrre più di tanta, di moneta. L’economia del 300 è curiosa: da una parte l’economia sta crescendo, richiede più moneta (compensata dall’oro africano), ma i traffici con l’oriente facevano sì che invece l’argento scarseggiasse, perché veniva cambiato 57 pluralista e inclusivo del comune crolla. Si apre la stagione del comune popolare. Questa conflittualità esasperata e continua, coinvolge le organizzazioni di popolo, i non aristocratici. Essi possono scegliere due modalità di azione, per cercare di limitare i danni di questa conflittualità, che pesa sulla società cittadina e sui gruppi produttivi. Di solito c’è un’azione politica di artigiani e mercanti, per prendere in mano la situazione e risolvere la conflittualità. Il popolo da un lato deve agire, perché si sente minacciato, in una serie di elementi fondanti. La posizione dell’aristocrazia indebolisce l’aristocrazia. In quasi tutte le città d’Italia si affermano dei regimi popolari. Alcuni impongono il popolo come forza terza e neutrale, e quindi forzare l’aristocrazia e riconciliarsi, e questa è una modalità che viene intrapresa, ma spesso fallisce, a causa delle forze esterne che premono per tener vivo il conflitto. L’altra soluzione è il conformismo, ovvero aiutare una delle due fazioni a vincere definitivamente. Il popolo si schiera a favore di una delle due fazioni. Molte città acquistano una certa stabilità politica in questo modo. Il popolo di solito agisce in modo curioso: non prende il controllo del comune, ma costruisce un “comune parallelo”. A ogni magistratura del comune viene affiancata una carica popolare. Al podestà viene affiancato il capitano del popolo; al consiglio ristretto il consiglio delle arti; al consiglio del comune il consiglio del popolo. Come funziona questa duplicazione dei poteri? Il popolo assume un ruolo di potere sulle magistrature popolari. Di solito non vale il contrario. In alcuni ambiti, nella difesa del popolo (e altre), il capitano del popolo può prendere delle decisioni, e il podestà non può opporsi. Spesso, nelle città del nord, questa attività delle magistrature popolari si concretizzava nella nomina di un ufficiale straordinario dotato di poteri straordinari. O signorie di popolo nell’Italia settentrionale, o comuni di popolo nell’Italia Meridionale, si va verso una limitazione di popolo, e uno spostamento del potere nelle famiglie che lo monopolizzano. In alcuni casi, come a Firenze, questa supremazia popolare è sancita grazie a delle leggi, le leggi magnatizie, che escludevano i nobili e le famiglie troppo potenti, in modo che non ne abusassero politicamente. Questo tipo di politica introduce un secondo colpo mortale agli ideali comunali. Non si è più cittadini in quanto cittadini, ma in base al gruppo di appartenenza. Tutta una serie di categorie troppo basse vengono escluse dal popolo. Nel corso del XIV secolo possiamo identificare tre grandi casi, variazioni dal modello comunale originario. 1. Passaggio dal comune alla signoria Passaggio da un comune legittimato a un potere nelle mani di una dinastia, che dispone dell’arbitrium, ovvero della possibilità di emanare leggi e prendere decisioni, che restano in funzione consultiva. Il potere è esercitato da ufficiali nominati dal signore, non più eletti. Questo non si verifica di colpo, ma per gradi. Possiamo seguire il caso milanese come esempio di questa gradualità. I Visconti non sono una famiglia di primo grado, che tra XII e XIII secolo perde terreno, essendo legata al mondo rurale. La sua grande fortuna è quella di esprimere un arcivescovo Visconti, entrato a Milano nel 1257. Matteo Visconti tenterà di diventare capitano del popolo a vita. Cacciato dai Milanesi, sarà reintegrato da Arrigo VII nel 1311. Finchè i signori sono tali perché li ha eletti il popolo, devono rispondere al popolo. L’idea è creare una legittimazione esterna, i Visconti la trovano nel vicariato imperiale. Il secondo elemento è la creazione dell’ereditarietà, il passaggio del titolo di padre in figlio, o comunque nell’ambito della famiglia. Anche questo si può tenere, o per concessione popolare, o facendosi riconoscere un titolo nobiliare. Dato che i titoli erano ereditari, allora diventava ereditaria la carica in famiglia. I Visconti, dopo un trecento caotico, nel 1385 comprano il titolo ducale con Giangaleazzo . I Visconti non hanno più bisogno del consenso popolare, non c’è più competizione perché gli eredi sono solo i discendenti di Giangaleazzo. 60 2. L’oligarchia Viene riservato a un gruppo ristretto l’esercizio del potere politico. Questo è il modello veneziano. Nel 1297 abbiamo la Serrata del maggior consiglio, in cui si decide che potranno essere eletti membri del consiglio solo membri già stati in passato parte del consiglio comunale. Questa decisione per Venezia è un grande successo, perché le fornisce grandissima stabilità politica. Questa costituzione di Venezia arriverà fino alla pace di Campoformio, quando Napoleone sancirà la fine della Repubblica di San Marco. 3. Istituzione dei comuni di popolo In questo modello predominano le magistrature popolari, ed è prevalente nell’Italia centrale. A Firenze c’è una grande tensione tra il limitare il potere delle grandi famiglie (banchieri, mercanti della seta), e allargare il potere verso gli artigiani, i mercanti … Questa tensione interagisce con altre due forze, la vecchia aristocrazia, i magnati, che con gli ordinamenti di giustizia di Giano della Bella sono stati esclusi dalla vita politica, e gli operai, che non posssono organizzarsi in corporazioni o associazioni di mestiere. Fra alleanze reciproche e allontanamenti, queste quattro forze tengono aperta la gestione del potere politico. Nel periodo di Dante prevale l’alleanza tra la vecchia aristocrazia magnatizia e le famiglie di ascendenza non nobiliare. Nel 1378, per bloccare un tentativo di allargamento alle grandi famiglie, il popolo minuto decide di allearsi con gli operai, i ciompi. Ciò porta alla creazione di un nuovo governo in cui il potere era espressione delle arti minori, e gli stessi ciompi si organizzano in corporazioni. Questo dura pochi mesi, poi l’alleanza del popolo minuto con le grandi famiglie si ricompatta, e nasce un nuovo periodo di sconvolgimenti politici, da cui emerge la figura di un garante, Piero de Medici. Egli ha legami con Roma, e possiede un sistema bancario con grandi filiali. I Medici, pur senza titolo ufficiale, di fatto riescono a manipolare le elezioni in modo tale da garantire che siano sempre i membri della loro famiglia a monopolizzare le grandi cariche fiorentine. Per tutto il quattrocento ci sarà il monopolio di quella che più correttamente andrebbe chiamata cripto signoria , una signoria nascosta, ma che concretamente deteneva il potere. Non solo si va verso maggiore stabilizzazione politica nelle città, ma si va verso un ampliamento dei quadri territoriali. Nascono dei domini che includono le città circostanti. Questo processo ha una serie di motivazioni diverse. Da un lato è frutto dei conflitti tra Guelfi e Ghibellini. Le città di un medesimo partito tendevano ad appoggiarsi l’un l’altra, anche a livello militare. Dall’altro lato, gli esuli delle città tendevano a rifugiarsi nelle città del partito a cui appartenevano. L’intervento dei monarchi meridionali a Nord aveva creato circoscrizioni cittadine governate da vicariati regi. Ci sono legami sempre più stretti tra le città, che servono a reagire alla crisi economica del trecento. Aprire i confini, liberalizzare i commerci è necessario. Spesso la sottomissione delle città vicine diventava un modo di ridistribuire il potere alle elite. Le città assoggettate, in cambio ottengono stabilità politica e sicurezza militare. Questo innesta una serie di reazioni a catena: le città piccole tendono a risultare troppo vulnerabili, anche le potenze rivali tendono a loro volta ad assoggettare le città vicine per resistere. Di fronte all’espansione dei Della Scala in Toscana, che avevano preso Verona, Parma, Padova e Lucca, quando cade Lucca Firenze tenta di costruire un contro stato contro l’aggressione. Nascono queste dominazioni sovra cittadine più ampie, e c’è un regime di concorrenza per cui le città più piccole e isolate non sopravvivono, tranne casi isolati come Siena, 61 Mantova, che diventa di fatto uno stato cuscinetto. Le potenze cittadine sono in grado di mettere in campo forze militari forti, aiutate da forze mercenarie. Gli stati si dotano di un sistema fiscale forte, per rastrellare ricchezze al fine di pagare i mercenari costosi e di sostentare la signoria. Ne nasce un quadro politicamente omogeneo, che porta alla creazione di uno spazio unitario nella penisola, stabilizzato nel 1454 dalla pace di Lodi e dall’alleanza politica e militare nella cosiddetta Lega Italica, nel 1455. La Lega italica ci dà un’idea della costituzione di uno spazio politico italiano, definito come unico. Questo spazio unico e politico non è uno, ma è concepito nella distinzione tra le cinque grandi potenze italiane, cioè il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Firenze, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli. Abbiamo un sistema italiano che si basa su un gioco di interazione tra potenze. Gli stati hanno avuto un processo di consolidamento. Questo sistema politico ha una grande debolezza legata alla conflittualità di queste cinque potenze e la sostanziale debolezza del Ducato di Milano e del Regno di Napoli. A Milano, in seguito a un colpo di stato, c’era Francesco Sforza. La sua posizione è debole, perché nessuno lo riconosce come duca di Milano, e soprattutto, dato che i Visconti erano imparentati con il re di Francia, i re hanno più titolo di lui a rivendicare il titolo. Stesso discorso nel mezzogiorno, dove Alfonso d’Aragona aveva spodestato con le armi il re angioino. Anche qui c’era possibilità di rivendicare il trono. A Firenze la cripto signoria di Lorenzo de Medici, che sapeva essere anche molto spietato. L’unica davvero stabile era Venezia. Questa instabilità regge per un quarantennio, cadrà quando la Francia si sentirà forte così da intervenire. Lezione 15 13.03.19 Cambiamenti europei tra trecento e quattrocento La prima cosa da sottolineare, se vogliamo comprendere i provvedimenti politici dell’Europa tra tre e quattrocento, è che il modello politico prevalente è quello delle monarchie che possiamo definire nazionali. Tra dodicesimo e tredicesimo secolo ci sono stati i primi processi di concentrazione del potere intorno ai re di Francia e di Inghilterra, e in Spagna in Castiglia e Aragona. Contestualmente, abbiamo visto le difficoltà dell’impero. Nel grande duello tra impero e papato, che dura quasi tre secoli, dal dictatus papae fino alla morte di Federico II sembra trionfare il papato. L’impero dopo la morte di Federico ha il seggio vacante, nessuno riesce a scendere a Roma per farsi incoronare dal papa. Quello che accade è che la forza delle monarchie che si stanno affermando alla fine sarà tale che anche il papato non potrà più presentarsi come potere universale, superiore a quello dei sovrani. Questa crisi del papato, con un ridimensionamento drastico del ruolo politico del papato, si articola in una serie di tappe che durano circa un secolo. Il primo momento è il grande conflitto tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello. Siamo tra tredicesimo e quattordicesimo secolo, e sale al soglio pontificio Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani. Questo personaggio ha un grandissimo spessore, nel bene e nel male. Ha una delle fame più cattive della storia, Dante lo condanna prima della morte alle terribili pene infernali. Anche in Mistero Buffo di Dario Fo c’è una caricatura molto divertente. Bonifacio era duro ed egocentrico, e portava avanti un progetto politico forte, che viaggiava su due binari. Uno: la proclamazione piena del potere della Chiesa come potenza politica, che doveva esercitarsi soprattutto in Italia, dove era necessaria pacificazione. In secondo piano, c’era un grande progetto di affermazione dal punto di vista del prestigio. La sostituzione di Roma a Gerusalemme come centro di grandi pellegrinaggi, con l’istituzione di un occasione per cui, andando a Roma, si sarebbe ottenuta l’indulgenza plenaria da ogni peccato. Centinaia di pellegrini si riversano su Roma, e per il papa è un successo grandissimo. Ciò gli apre la strada all’affermazione politica in Italia, dove gli era concesso di favorire le fazioni a lui vicine 62 Questa parte favorevole ai francesi, si arresta quando a corte, in Francia si erano create due grosse fazioni, quella degli armagnacchi e quella dei borgognoni, che sostenevano due rami diversi della dinastia capetingia. Su questa frattura giocano gli inglesi, e nel 1415 si apre l’ultima parte della guerra, con l’offensiva inglese, guidata da Enrico V, leader dell’invasione (ripreso da Shakespeare). Abbiamo la grande battaglia di Azencourt, in cui i francesi vengono ancora una volta sconfitti, l’occupazione di Parigi da parte di Enrico V e il suo tentativo di unificare le due corone, sotto il dominio del figlio Enrico VI. In apparenza il trionfo inglese, se non fosse che c’è una grande reazione francese e questa reazione, raccolta intorno a Carlo VII di Orleans, è interessante perché è una reazione nazionale. Se nel XII secolo la presenza di un sovrano che viene dalla Normandia e parla francese non suscita particolari problemi, e ancora nel 1366 un re francese, Carlo d’Angiò, può diventare re di Sicilia, nel 400 non è più plausibile. La propaganda ha sviluppato qualche forma di sentimento nazionale, per cui c’è un’opposizione dal basso che afferma a gran voce l’impossibilità di essere governati dai re inglesi. L’episodio più concreto riguarda Giovanna d’Arco, una donna politicamente imprevista, di umili natali. Essa diventa la concretizzazione di un certo tipo di intolleranza agli inglesi. Basta l’azione di Giovanna per ribaltare le sorti della guerra, e quella che era iniziata con il trionfo inglese, dopo una serie di vittorie militari francesi, porta nel 1453 all’evacuazione totale degli inglesi dalla Francia, a esclusione di Calais, sulla Manica. Si considera questo momento il momento di nascita dei due stati nazionali, perché da un lato su territorio francese c’è solo la monarchia francese, dall’altro la monarchia inglese non è più sovranazionale, ma solo inglese. La concezione di stato nazionale è nostra, questi stati erano un patchwork di domini differenti, anche dal punto di vista linguistico. In Francia si parlava bretone, occitano, francese antico. La guerra dei cent’anni attiva una serie di processi politici in tutto il resto d’Europa. L’Inghilterra sconfitta, non solo è espulsa dalla Francia, ma è a sua volta vittima di una guerra civile, la guerra delle due rose, in cui si confrontano gli Stuart e i Lancaster. L’Inghilterra esce dai giochi politici europei fino all’inizio del 500. Gli altri stati europei si trovano a fare i conti con una Francia che, dopo 150 anni di eclisse, è tornata una superpotenza. La corona ha disciplinato la nobiltà (a parte i duchi di Borgogna, sconfitti solo negli anni 70 del 400). La grande aristocrazia è ben disciplinata al re. Il re aveva zittito gli Stati Generali, durante la guerra. Viene istituito un apparato fiscale efficiente, vengono costituiti i cosiddetti parlamenti, che sono tribunali, i quali assicurano la presenza del re in tutto il territorio. La corona francese si propone come molto pericolosa. Nel 1454 gli italiani si riappacificano. Nel 1455, gli italiani fondano la Lega Italica, antifrancese. Il grande successo francese ha effetti anche su altri stati, per esempio l’Impero, che nel XIV secolo aveva accettato la sua formazione quasi esclusivamente tedesca. Nel 1356 c’era stata la bolla d’oro di Carlo IV imperatore, con cui si sanciva la natura tedesca dell’Impero. Si stabilivano norme precise per l’elezione imperiale, e si parlava dell’impero come di una nazione, più che di un potere universale. L’impero era un coordinamento labile di principati, nella seconda metà del 400 viene deciso di dare maggiori competenze e poteri agli imperatori, che restano elettivi, ma da questo momento verranno sempre eletti tra gli Asburgo d’Austria. Si decide di dare nuovi poteri militari e fiscali, per sostenere la mobilitazione militare degli imperatori. Alla base c’è la minaccia turca, perché i turchi stanno avanzando nei Balcani (questa è la seconda motivazione alla base della pace di Lodi), e i francesi stanno prendendo sempre più potere. Carlo V tornerà poi ad essere un grande protagonista della storia europea. In Spagna, nel corso del XIV secolo, si era consolidata una struttura politica che vedeva quattro stati più o meno grandi, da ovest a est: il Portogallo, la Castiglia, l’Aragona e l’emirato di Granada, l’ultimo baluardo arabo. Di fronte all’exploit francese, Aragona e Castiglia decidono a loro volta di unirsi, di fronte a una minaccia non solo teorica. Durante la guerra dei cent’anni c’erano stati 65 numerosi tentativi di influenzare le lotte dinastiche in Aragona. Si decide di unificare i regni: Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, nel 1470 si sposano, e di fatto la corona viene unita. Nascerà un regno di Spagna, che, pur conservando separate le rispettive aristocrazie e istituzioni, politicamente Castiglia e Aragona sono un’entità unita. Politicamente, la fine della guerra dei cent’anni mette in moto dei processi più o meno riusciti di rafforzamento statale. Il risultato più significativo di questa prima unione è l’eliminazione del regno di Granada. Il collante è un’estremizzazione di un cattolicesimo militante: Isabella e Ferdinando si vanno chiamare re cattolici, cacciano gli ebrei, stabiliscono l’inquisizione spagnola, che risponde direttamente al re, non al papa, e in questo fervore fanatico decidono di ripulire la penisola dalla presenza musulmana. La Spagna partecipa alle guerre d’Italia, e inizia la colonizzazione dell’America Latina. Stiamo finendo il medioevo. Quando finisce? Non c’è una data precisa, il medioevo è una nozione ideologica. Ognuno ha il suo metro di giudizio nel caso del Medioevo. Gli storici si dividono su due date: una è il 1453 cioè la caduta di Costantinopoli in mano turca, l’altra è il 1492, in termini tradizionali la scoperta dell’America, l’arrivo di Cristoforo Colombo. Non è necessario dare un anno preciso, un giorno preciso in cui finisce il Medioevo. I due momenti hanno il loro senso, per quanto riguarda la corrispondenza tra le due cadute. Dall’altro lato, il 1492 ha un senso, il ruolo dell’Europa nel mondo cambia radicalmente. Ci sono tante altre proposte: l’invenzione della stampa cambia la cultura, la scoperta della polvere da sparo, che cambia il modo di fare la guerra. In generale, nel quattrocento cambiano moltissime cose. La seconda metà del quattrocento effettivamente segna un cambiamento epocale. Il mondo latino europeo comincia a essere nei confini noti. Si è prodotto quel fenomeno di europeizzazione dell’Europa. I due eventi a cui stiamo pensando per la fine del Medioevo, sono strettamente connessi. Noi siamo stati obbligati a guardare l’Europa latina , ma tra la fine del duecento e l’inizio del trecento, in Medio Oriente succedono delle cose davvero interessanti. In particolare, in Anatolia, l’attuale Turchia, troviamo l’ascesa di un nuovo potentato, quello degli ottomani. I turchi, i selgiuchidi, erano stati sconfitti dai mongoli, che avevano distrutto Baghdad e occupato gran parte del Medio Oriente. Molte tribù turche si erano riversate verso ovest per sfuggire ai mongoli, e avevano costituito un piccolo principato per sfuggire ai mongoli, che sembrava abbastanza statico e innocuo. Ma negli anni dieci del trecento, una serie di conflitti interni alla dinastia paleologa, regnante a Bisanzio, dà ai turchi la possibilità di allargare il proprio territorio, un po’ agendo come mercenari, un po’ autonomamente. Nel corso del 300 la dominazione ottomana si estende rapidamente, e arriva a controllare l’area dei Dardanelli. Questo controllo mette un’ipoteca pesante sui commerci tra Asia ed Europa. I turchi si aprono una strada importante, verso i Balcani. Agli inizi del quattrocento, dopo aver affrontato serbi e franco/ ungheresi, sembrano sul punto di conquistare Costantinopoli, non riuscendoci perché i mongoli li fermano, sotto la guida di un grande condottiero, Camerlano. Alla morte di Camerlano l’impero mongolo si disfa, e gli Ottomani continuano a tentare di prendere Costantinopoli. Il caso dell’impero Ottomano è interessante, si nota una scelta profondamente meditata dei turchi, che decidono per un’opzione europea: non vogliono espandersi a sud, verso i Mamelucchi, ma decidono di occupare l’Europa. Partono da Adrianopoli, sul versante europeo. Nel 1453 le truppe di Ramet II, il sultano, attaccano Costantinopoli, e per la prima volta le grandi fortificazioni della città cedono, sotto l’artiglieria turca. I turchi si propongono idealmente come successori dell’Impero Romano d’Oriente, tanto è vero che adottano Costantinopoli (storpiata in Istanbul) come capitale. Praticano una politica di grande tolleranza verso le altre comunità: la più grande città greca del mondo, fino al secolo scorso era Costantinopoli. C’era una minoranza greca fortissima, assai consistente. Assumono una serie di tradizione romane d’Oriente. C’è un altro erede dell’Impero Romano d’Oriente, il principato di Mosca. Con l’espansione dei turchi nei Balcani, l’unico principato 66 ortodosso a rimanere indipendente dai turchi. In particolare Ivan III sposa la figlia dell’ultimo imperatore di Costantinopoli, porta a Mosca una serie di abitudini della corte bizantina, e proclama Mosca terza Roma. Ci sarà poi l’adozione del titolo di zar, contrazione di Caesar. Ci interessa un’altra conseguenza. La presa di Costantinopoli implica la cacciata di tutti i latini da Costantinopoli, o meglio, di tutti quei privilegi politici che i latini avevano strappato ai bizantini. La posizione dei mercati, soprattutto italiani, nel mar Egeo e nel mar Nero si indebolisce tantissimo. Questo, insieme ai grandi conflitti civili che scoppiano tra gli eredi di Camerlano, rende impraticabile la via di terra per l’Asia: i grandi commerci con Cina e India che c’erano stati nel trecento, ed erano sopravvissuti, seppur ridimensionati, alla peste nera, ora vengono interrotti del tutto. Resta un’unica via per l’oriente, attraverso Alessandria d’Egitto, ma è una strada chiusa ai mercati latini, essendo monopolizzata ai mamelucchi, che imponevano tasse altissime. In questo contesto nasce l’idea di trovare un’altra strada, ambizione sostenuta dalle due monarchie di Spagna e Portogallo affacciati sull’Atlantico, con due strategie diverse: i Portoghesi mirano alla circumnavigazione dell’Africa per arrivare in India; gli Spagnoli alla circumnavigazione del mondo per arrivare in Cina. Queste scelte sono politiche, legate ai grandi progressi tecnologici: ci si butta in questa impresa perché finalmente gli occidentali hanno una nave all’altezza dell’Oceano, la caravella. Questo consente di lanciarsi in questi viaggi di “esplorazione”, in realtà imprese per aprire rotte commerciali. I viaggi importanti sono due, quasi contemporanei. Nel1492 Cristoforo Colombo salpa dalla Spagna con l’intento di raggiungere l’Oriente passando da Occidente. È un concetto perfetto, se non ci fosse stato un continente in mezzo. Pochissimi anni dopo, i portoghesi si lanciano a sud: nel 1487 Bartolomeo Diaz raggiunge il Capo di Buona Speranza e Vasco de Gama, nel 1497, passa il Capo di Buona Speranza raggiungendo l’India. Queste grandi scoperte geografiche, l’apertura di queste rotte, è tutta interconnessa: la chiusura della vie interne è la causa principale che spinge a cercare nuove strade ad Ovest. Con questo il Medioevo si chiude davvero. C’è una grande discussione tra gli storici dell’economia, per decidere quando l’Economia occidentale torni ad essere preponderante. L’Europa decolla perche inizia a poter sfruttare l’America. 67
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