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appunti di storia moderna, Appunti di Storia

riassunti di vari argomenti di storia

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 07/02/2023

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nicole-martini-5 🇮🇹

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Scarica appunti di storia moderna e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! La Prima guerra mondiale Venti di guerra: Agli inizi del 1914 il predominio dell’Europa su gran parte del mondo era ancora indiscusso, nonostante l’emergere a Oriente e Occidente di nuove potenze. Lo straordinario sviluppo nella produzione industriale, nel campo tecnologico e negli scambi commerciali aveva diffuso l’idea di un progresso inarrestabile, che avrebbe potato benessere a tutti. Conflitti latenti: Tuttavia, l’evoluzione politica e i progressi economici e materiali non bastavano a spegnere i conflitti sociali interni ai singoli paesi né a far scomparire le tensioni politiche internazionali. Tra le potenze europee, che pure non si combattevano da quasi mezzo secolo, erano ancora vive vecchie rivalità: tra l’Austria-Ungheria e la Russia per il controllo dei Balcani; tra la Francia e la Germania per la corsa agli armamenti navali. L’equilibrio continentale si basava, sulla contrapposizione di due blocchi di alleanze: Austria e Germania contro Francia, Russia e Gran Bretagna. La guerra come occasione: La guerra era dunque nell’aria. Se le minoranze pacifiste si mobilitavano per impedirne lo scoppio, se i socialisti di tutti i paesi la condannavano in nome degli ideali internazionalisti, settori non trascurabili delle classi dirigenti e delle opinioni pubbliche nazionali la valutavano come un’opzione praticabile nella logica del confronto fra le potenze, o la concepivano come un dovere patriottico, o addirittura la invocavano come un evento liberatorio. Una reazione a catena L’attentato a Sarajevo: Il 28 giugno del 1914, uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip uccise con due colpi di pistola l’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie. L’attentato faceva parte di un’organizzazione ultranazionalista che si batteva affinché la Bosnia, annessa all’Austria-Ungheria nel 1908 ma abitata in maggioranza da popolazioni slave, entrasse a far parte di una “grande Serbia” indipendente dall’impero asburgico. L’organizzazione, detta “Mano Nera”, aveva la sua base operativa proprio in Serbia e godeva di larghe complicità nella classe politica e nei vertici militari di quel paese. Un attentato terroristico, si trasformò così in un caso internazionale e mise in moto una catena di reazioni e controreazioni che precipitarono l’Europa in un conflitto di proporzioni mai viste. Un conflitto che avrebbe segnato una svolta decisiva nella storia dell’Europa e del mondo, ridisegnando i confini e mutando i rapporti di forza fra gli Stati, trasformando la stessa società, aprendo infine una fase di guerre e rivolgimenti interni durata più di trent’anni e conclusasi col definitivo tramonto della centralità europea. Ultimatum e dichiarazioni di guerra: L’Austria compì la prima mossa inviando, il 23 luglio, un durissimo ultimatum alla Serbia. Il secondo passo lo fece la Russia promettendo sostegno alla Serbia, sua principale alleata nei Balcani. Forte dell’appoggio russo, il governo serbo accettò solo in parte l’ultimatum, respingendo la clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui mandanti dell’attentato. L’Austria giudicò la risposta insufficiente e, il 28 luglio, dichiarò guerra alla Serbia. Immediata fu la reazione del governo russo, che ordinò la mobilitazione delle forze armate. Dichiarare la mobilitazione significava dare il via a tutta quella serie di operazioni che costituivano la necessità di una guerra. Ma la mobilitazione fu interpretata dal governo tedesco come un atto di ostilità. Il 31 luglio la Germania inviò un ultimatum alla Russia intimandole l’immediata sospensione dei preparativi bellici. L’ultimatum non ottenne risposta e fu seguito, dalla dichiarazione di guerra. Il giorno stesso la Francia, legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilitò le proprie forze armate. La Germania rispose con un nuovo ultimatum e con la successiva dichiarazione di guerra alla Francia. La responsabilità della Germania: Fu, dunque, l’iniziativa del governo tedesco, a far precipitare definitivamente la situazione. Il piano di guerra elaborato ai primi del ‘900 dall’allora capo di stato maggiore Alfred von Schlieffen, dando per scontata l’eventualità di una guerra su due fronti prevedeva in primo luogo un massiccio attacco contro la Francia, che doveva esser messa fuori combattimento in poche settimane. Raggiunto questo obiettivo, il grosso delle forze sarebbe stato impiegato contro la Russia, la cui macchina militare era potenzialmente fortissima, ma più lenta a mettersi in azione. L’invasione del Belgio e l’intervento britannico: Presupposto, essenziale per la riuscita del “piano Schlieffen” era la rapidità dell’attacco alla Francia. A questo scopo era previsto che le truppe tedesche passassero attraverso il Belgio, nonostante la sua posizione di neutralità. Ciò avrebbe permesso di investire lo schieramento nemico nel suo punto più debole e di puntare direttamente su Parigi. Il 4 agosto, i primi contingenti tedeschi invasero il Belgio per attaccare la Francia da nord-est. La violazione della neutralità belga non solo scosse profondamente l’opinione pubblica europea, ma ebbe anche un peso decisivo nel determinare l’allargamento dei confini. La Gran Bretagna non poteva tollerare l’aggressione a un paese neutrale che si affacciava sulle coste della Manica. Così dichiarò guerra alla Germania. L’entusiasmo patriottico: Fra i politici, era diffusa la convinzione che una guerra, da ognuno immaginata breve e vittoriosa per la propria parte, avrebbe contribuito a soffocare i contrasti sociali e a rafforzare la posizione di governi e classi dirigenti. Nei primi giorni di agosto, le piazze delle grandi capitali europee si riempirono di manifestazioni in favore della guerra. La Seconda Interazionale cessò praticamente di esistere: fu, in fondo, la prima vittima della Grande Guerra. 1914-1915: dalla guerra di logoramento alla guerra di posizione Nuovi eserciti e nuove strategie: La pratica ormai generalizzata della coscrizione obbligatoria e le accresciute possibilità dei mezzi di trasporto consentirono ai belligeranti di schierare rapidamente milioni di uomini e di dotarli di armi moderne: tutti gli eserciti disponevano di fucili a ripetizione e di cannoni potentissimi, ma la novità più importante era costituita dalle mitragliatrici automatiche, armi micidiali capaci di sparare centinaia di colpi al minuto. Nonostante ciò, nessuna fra le potenze in guerra aveva elaborato strategie diverse da quelle della tradizionale guerra di movimento, che si fondava sullo spostamento di ingenti masse di uomini in vista di pochi e risolutivi scontri campali. Tutti i piani di guerra erano bastati sulla previsione di un conflitto di pochi mesi o addirittura di poche settimane. Il fallimento del piano tedesco: Furono soprattutto i tedeschi a puntare su una strategia offensiva. Nel frattempo, sul fronte orientale, i russi, che cercavano di penetrare nella Prussia orientale, erano sconfitti nelle grandi battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri. La minaccia russa si rivelò tuttavia più seria del previsto e indusse i comandi tedeschi a distogliere una parte delle loro forze dal forte occidentale. Il 6 settembre, i francesi riuscirono a lanciare un improvviso contrattacco e, dopo una settimana di furiosi combattimenti, i tedeschi furono costretti a ripiegare su una linea più arretrata, in corrispondenza dei fiumi Aisne e Somme. Con l’arresto dell’offensiva sul Marna, il piano tedesco poteva dirsi sostanzialmente fallito. La guerra di logoramento: Alla fine di novembre gli eserciti si erano ormai attestati in trincee improvvisate. Cominciava così, una guerra di tipo nuovo, che vedeva due schieramenti praticamente immobili affrontarsi in una serie di sterili quanto sanguinosi attacchi, inframmezzati da lunghi periodi di stasi. Un conflitto mondiale: Molte potenze minori temevano di restare sacrificate da una nuova sistemazione dell’assetto internazionale decisa sopra le loro teste, altre cercano di profittare della guerra per soddisfare le loro ambizioni territoriali. Da qui la tendenza del conflitto ad ampliarsi, fino ad assumere dimensione planetarie. Nell’agosto 1914 il Giappone dichiarava guerra alla Germania per impadronirsi dei possedimenti tedeschi nel Pacifico. Nel novembre dello stesso anno la Turchia interveniva a favore degli Imperi centrali. Nel maggio 1915 l’Italia entrava in guerra contro l’Austria- Ungheria. A fianco della Germania e dell’Austria sarebbe poi intervenuta la Bulgaria, mentre nel campo opposto si sarebbero schierati il Portogallo, la Romania e la Grecia. Decisivo sarebbe risultato l’intervento degli Stati Uniti, che si schierarono con l’intesa, gli Usa si trascinarono dietro numerosi paesi extraeuropei, il cui contributo alla guerra fu però poco rilevante. Entusiasmo e rassegnazione: bastarono i primi mesi di guerra nelle trincee a far svanire l’entusiasmo patriottico con cui molti combattenti avevano affrontato il conflitto. La visione eroica e avventurosa dell’esperienza bellica restò prerogativa di esigue minoranze di combattenti: in particolare quelli inquadrati nelle truppe speciali piegati in azione particolarmente rischiose e per questo esentati dai turni di trincea. Le forme del rifiuto: Né il senso del dovere né la minaccia del plotone di esecuzione poterono impedire, che la paura o l’avversione alla guerra si traducessero talora in forme di rifiuto. Le nuove armi: Il primo conflitto mondiale fu dunque segnato dall’uso su larghissima scala di strumenti bellici già sperimentati in precedenza, ma anche dall’invenzione di nuovi mezzi di offesa. Del tutto nuova e sconvolgente fu l’apparizione delle armi chimiche: proiettili esplosivi che, sprigionavano gas tossici letali. Furono i tedeschi, a sperimentare per la prima volta queste armi. Telecomunicazioni, mezzi motorizzati, aviazioni: Oltre a stimolare la produzione in grande serie di armi vecchie e nuove, la guerra accelerò la crescita di settori relativamente giovani, come quello automobilistico. Il perfezionamento delle telecomunicazioni permise di coordinare meglio i movimenti delle truppe. Più lento fu lo sviluppo dell’aviazione. I mezzi corazzati: Altrettanto stentati furono gli esordi del carro armato. I primi mezzi corazzati, le autoblindo, erano limitati nel loro impiego dal fatto di potersi muovere solo su strada. Il passo successivo consistette nel sostituire le ruote con i cingoli, che permettevano ai veicoli di attraversare qualsiasi terreno e di essere usati per attaccare e scavalcare le trincee nemiche. Il sommergibile: Furono soprattutto i tedeschi a servirsene sia per attaccare le navi da guerra nemiche, sia per affondare senza preavviso i mercantili, anche i paesi neutrali, che portavano rifornimenti verso i porti dell’intesa. Essa però sollevava gravi problemi politici e morali e urtava in particolare gli interessi commerciali degli Stati Uniti. Infatti, quando nel maggio del 1915 un sottomarino tedesco affondò il transatlantico britannico Lusitania, che trasportava passeggieri americani, le proteste degli Stati Uniti convinsero i tedeschi a sospendere la guerra sottomarina indiscriminata. Il “fronte interno” Guerra e mobilitazione sociale: Circa 65 milioni di uomini furono strappati alle loro occupazioni abituali, alle famiglie e ai mondi chiusi in cui la maggior parte di loro viveva, per essere coinvolti in una gigantesca esperienza collettiva. Anche i civili furono chiamati a dare il loro contributo nel cosiddetto “fronte interno”: le donne, si trovarono spesso a svolgere le funzioni di capofamiglia. Molte di loro sostituirono nei lavori dei campi, negli uffici e anche nelle fabbriche gli uomini arruolati nell’esercito. Il coinvolgimento dei civili: I più colpiti furono gli abitanti delle zone in cui si combatteva, costretti a lasciare le loro case e le loro terre. C’era poi il problema di chi risiedeva in un pese diverso dalla propria patria d’origine e poteva trovarsi improvvisamente nelle condizioni di nemico. Infine, le minoranze etniche che avevano nel passato manifestato, aspirazioni indipendentiste erano ovunque tenute sotto controllo perché sospettate di scarsa realtà nei confronti della nazione in guerra. Lo sterminio degli armeni: Un caso limite, fu quello degli armeni. Questa antica popolazione di religione cristiana abitava prevalentemente in una regione del Caucaso divisa fra l’Impero ottomano e quello russo. Già alla fine dell’800, gli armeni di Turchia avevano pagato con persecuzioni e massacri i loro tentativi di ribellione. Nella primavere-estate del 1915, mentre Russia e Turchia si combattevano nel Caucaso, gli armeni che vivevano nella parte turca di quella regione, sospettati di intesa col nemico russo, furono sottoposti a una brutale deportazione nelle zone interne dell’Anatolia, si trasformò in sterminio Le trasformazioni nell’economia: I mutamenti più vistosi furono quelli che interessarono il mondo dell’economia e in particolare il settore industriale. Le industrie interessate alle forniture belliche conobbero uno sviluppo imponente al di fuori di qualsiasi legge di mercato. Interi settori dell’industria furono posti sotto il controllo dei militari. Anche la produzione agricola fu assoggettata a un regime di requisizioni e di prezzi controllati. In alcuni casi si giunse al razionamento dei beni di consumo di prima necessità. In Germania si giunse addirittura a parlare di “socialismo di guerra”. Ma il sistema era in realtà gestito da organismi composti da militari e da industriali, i quali trassero dall’economia bellica notevoli vantaggi in termini di profitto e di potere Politici e militari: Legate ai mutamenti nell’economia furono le trasformazioni degli apparati statali. I governi furono investiti di nuove attribuzioni e dovettero farvi fronte con l’aumento della burocrazia. I poteri dei governi erano a loro volta insidiati dall’invadenza dei comandi militari, che avevano poteri pressoché assoluti per tutto ciò che riguardava la conduzione della guerra e potevano quindi influenzare pesantemente le scelte dei politici. La propaganda: Strumento essenziale per la mobilitazione dei cittadini era la propaganda che non si rivolgeva soltanto alle truppe, ma cercava anche di raggiungere la popolazione civile. I governi di tutti i paesi profusero un impegno senza precedenti per stampare manifesti murali, organizzare manifestazioni di solidarietà ai combattenti, incoraggiare la nascita di comitati e associazioni “per la resistenza interna”. I socialisti contro la guerra: La scelta patriottica operata dai socialisti non fece tacere le voci di opposizione nel movimento operaio europeo. A Zimmerwald e a Kienthal, in Svizzera, si tennero due conferenze socialiste internazionali che si conclusero con l’approvazione di documenti in cui si chiedeva una pace “senza annessioni e senza indennità. Col protrarsi del conflitto i gruppi contrari alla guerra si rafforzarono. Fra di essi, i bolscevichi russi, guidati da Lenin, che si erano staccati definitivamente dalla socialdemocrazia e costituiti fin dal 1912 in partito autonomo. 1917: l’anno della svolta La rivoluzione in Russia e l’intervento americano: nei primi mesi del 1917 due novità intervennero a mutare il corso della guerra. All’inizio di marzo uno sciopero generale degli operai di Pietrogrado, si trasformò in un’imponente manifestazione politica contro il regime zarista. Quando i soldati chiamati a ristabilire l’ordine rifiutarono di sparare sulla folla e fraternizzavano coi dimostranti, la sorte della monarchia fu segnata: lo zar abdicò e pochi giorni dopo venne arrestato con l’intera famiglia reale. Il 6 aprile gli Stati Uniti dichiaravano guerra alla Germania che aveva ripreso la guerra sottomarina indiscriminata, in precedenza sospesa proprio per le proteste americane. L’intervento degli USA sarebbe risultato decisivo sia sul piano militare sia su quello economico. La stanchezza degli eserciti e le iniziative di pace: nell’immediato, gli avvenimenti russi incisero negativamente sul morale delle truppe. In Francia come in Italia si fecero più frequenti gli episodi di insubordinazione dei reparti combattenti e le proteste popolari contro la guerra. Il caso più grave si verificò sul fronte francese dove a conclusione di un’ennesima, inutile offensiva, alcuni reparti di fanteria si rifiutarono di tornare a combattere. L’ammutinamento, fu domato con una durissima repressione, ma anche con l’adozione di misure volte a migliorare la condizione dei soldati. Particolarmente delicata era, la posizione dell’Impero austro-ungarico, dove prendevano forza le aspirazioni indipendentiste delle “nazionalità oppresse”: polacchi, cechi, slavi del Sud. Alla costituzione di un governo cecoslovacco in esilio seguì, un accordo fra serbi, croati e sloveni per la costituzione, a guerra finita, di uno Stato unitario degli slavi del Sud. Consapevole del pericolo di disgregazione cui era esposto l’Impero, il nuovo imperatore Carlo I avviò tra il febbraio e l’aprile del ’17 negoziati segreti in vista di una pace separata. Ma le sue proposte furono respinte dall’intesa. Tanto più cresceva il carico di sofferenze imposto dalla guerra, tanto meno i responsabili degli Stati belligeranti erano disposti ad ammettere che tutto era stato “inutile” e ad accantonare le loro speranze di vittoria. Le difficoltà dell’Italia: Fra maggio e settembre Cadorna ordinò una serie di offensive sull’Isonzo, con risultati modesti e costi umani ancora più pesanti che in passato. Tra i soldati le manifestazioni di protesta e i gesti di insubordinazione si fecero più frequenti. Intanto la popolazione civile si moltiplicavano i segni di malcontento per i disagi causati dall’aumento dei prezzi e dalla carenza di generi alimentari. L’unico vero episodio insurrezionale si verificò a Torino fra il 22 e il 26 agosto, quando una protesta originata dalla mancanza di pane si trasformò in una autentica sommossa, con forte partecipazione operaia. Caporetto: fu in questa situazione che i comandi austro-tedeschi decisero di profittare della disponibilità di truppe provenienti dal fronte russo, per infliggere un colpo decisivo all’Italia. Il 24 ottobre 1917, un’armata austriaca rinforzata da sette divisioni tedesche attaccò le linee italiane sull’alto dell’Isonzo e le sfondò nei pressi del villaggio di Caporetto. Gli attaccanti avanzarono in profondità nel Friuli, mettendo in atto la nuova tattica dell’infiltrazione, che consisteva nel penetrare il più rapidamente possibile in un territorio nemico senza preoccuparsi di consolidare le posizioni raggiunte, ma sfruttando invece la sorpresa per mettere in crisi lo schieramento avversario. La manovra fu così efficacie che buona parte delle truppe italiane, dovettero abbandonare precipitosamente le posizioni che tenevano dall’inizio della guerra. Solo due settimane un esercito praticamente dimezzato riusciva ad attestarsi sulla nuova linea difensiva del Piave, lasciando in mano al nemico circa 10 mila kilometri di territorio italiano, oltre 300 mila prigionieri e a una quantità impressionante di armi, munizioni e vettovaglie. Le responsabilità della sconfitta: prima di essere rimosso dal comando supremo, il generale Cadorna gettò le colpe della disfatta sui suoi stessi soldati, accusandoli di essersi arresi senza combattere. In realtà la rottura del fronte era stata determinata dagli errori dei comandi, che si erano lasciati cogliere impreparati dall’attacco sull’alto Isonzo. La guerra difensiva: questa disfatta ebbe ripercussioni positive sul corso della guerra italiana. La ritirata sul Piave aveva consentito un notevole accorciamento del fronte e quindi un minor logorio dei reparti combattenti. I soldati si trovarono a combattere una guerra difensiva, contro un nemico che occupava una parte del territorio nazionale: ciò contribuì a rendere più comprensibili gli scopi del conflitto e ad aumentare il senso di coesione patriottica. Fu costituito un nuovo governo di coalizione nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e le forze politiche parvero trovare una maggiore concordia: gli stessi leader dell’ala riformista del Partito socialista assicurarono la loro solidarietà allo sforzo di resistenza del paese. Anche il cambio della guardia alla testa dell’esercito ebbe effetti positivi sul morale delle truppe. Armando Diaz, il nuovo capo maggiore, si mostrò meno incline di Cadorna all’uso indiscriminato dei mezzi repressivi e più attento alle esigenze dei soldati, cui furono garantiti vitto più abbondante e licenze più frequenti. Il ruolo della propaganda: si prospettò ai soldati la possibilità di vantaggi materiali di cui il paese e i singoli cittadini avrebbero potuto godere un caso di vittoria. Si cercò di presentare la guerra come una lotta per un più giusto ordine interno e internazionale. La Rivoluzione russa: da febbraio a ottobre Il governo provvisorio e i partiti: dopo l’abdicazione dello zar, si formò nella capitale un governo provvisorio che aveva l’obiettivo dichiarato di continuare la guerra a fianco dell’Intesa e di promuovere nel contempo la modernizzazione, politica ed economica, del paese. Condividevano questa prospettiva non solo i gruppi liberal- democratici che facevano capo al partito dei cadetti, ma anche i socialisti menscevichi che si ispiravano ai modelli della socialdemocrazia europea, che avevano solide radici nella società rurale russa e interpretavano le aspirazioni delle masse contadine una radicale riforma agraria. Rappresentanti di tutti e tre partiti entrarono nel governo provvisorio. nazionalità, il presidente americano proponeva l’abolizione della diplomazia segreta, il ripristino della libertà di navigazione, la soppressione delle barriere doganali, la riduzione degli armamenti. Nell’ultimo punto si prospettava infine l’istituzione di un nuovo organismo internazionale, la Società delle Nazioni, per assicurare il rispetto delle norme di convivenza fra i popoli. Le ultime offensive degli imperi centrali: la pace tuttavia appariva lontana. Sul fronte bellico l’inizio del 1918 vedeva ancora due schieramenti in una situazione di sostanziale equilibrio. La partita decisiva continuava a giocarsi sul fronte francese. Fu qui che la Germania tentò la sua ultima e disperata scommessa impegnando tutte le forze rese disponibili dalla firma della pace con la Russia. In giugno l’esercito tedesco era di nuovo sulla Marna a Parigi era sotto il tiro dei cannoni a lunga gittata. Sempre in giugno gli austriaci tentarono di sferrare il colpo sul fronte italiano attaccando in forze il Piave e nella zona di Monte Grappa, ma furono respinti dopo una settimana di furiosi combattimenti. Alla fine di luglio le forze dell’Intesa passarono in contrattacco. Fra l’8 e l’11 agosto, nella battaglia di Amiens, i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale. Cominciarono ad arretrare lentamente. Una democratizzazione tardiva: i generali tedeschi capirono di aver perso la guerra e la loro preoccupazione divenne quella di sbarazzarsi del potere che avevano largamente esercitato e di lasciare ai politici la responsabilità di un armistizio che si annunciava durissimo: il compito ingrato di aprire le trattative toccò a un nuovo governo di coalizzazione democratica formatosi ai primi di ottobre con la partecipazione dei socialdemocratici e dei cattolici al centro. Si sperava che un governo realmente rappresentativo potesse costituire un interlocutore più credibile per l’Intesa. Ma mentre la Germania cercava una soluzione di compromesso, i suoi alleati crollavano militarmente o si disgregavano dall’interno. La fine dell’Austria-Ungheria: la prima a cadere, fu la Bulgaria. Un mese dopo era l’Impero turco a chiedere l’armistizio contemporaneamente, si consumava la crisi finale dell’Austria-Ungheria. Cecoslovacchi e slavi del Sud proclamarono l’indipendenza, mentre i soldati abbandonavano il fronte in numero sempre maggiore. Quando, il 24 ottobre, gli italiani lanciarono un’offensiva sul Piave, l’Impero era ormai in piena crisi. Sconfitti sul campo nella battaglia di Vittorio Veneto, gli austriaci il 3 novembre firmarono a Villa Giusti, l’armistizio con l’Italia che sarebbe entrato in vigore il giorno successivo. La resa della Germania: intanto la situazione precipitava anche in Germania. Ai primi di novembre i marinai di Kiel, si ammutinarono e diedero vita, assieme agli operai della città, a consigli rivoluzionari ispirati all’esempio russo. Il 9 novembre a Berlino un socialdemocratico, Friedrich Ebert, fu proclamato capo dal governo, mentre Guglielmo II fuggiva in Olanda e veniva proclamata la Repubblica. L’11 novembre i delegati del governo provvisorio tedesco firmarono l’armistizio nel villaggio francese di Rethondes. Il bilancio della guerra: la Germania perdeva così una guerra che più degli altri aveva contributo a far scoppiare. La perdeva per fame e per stanchezza, ma senza essere schiacciata sul piano militare e senza che il suo territorio fosse stato invaso da eserciti stranieri. Gli Stati dell’Intesa, vincitori grazie all’apporto, tardivo ma decisivo, di una potenza extraeuropea, uscivano dal conflitto scossi e provati per l’immane sforzo sostenuto. Vincitori e vinti La conferenza di pace: il 18 gennaio 1919, nella reggia di Versailles, si aprirono i lavori della conferenza di pace. Vi parteciparono i rappresentanti di trentadue paesi di cinque continenti, molti dei quali avevano svolto nella guerra un ruolo marginale. Rimasero esclusi i paesi sconfitti, chiamati solo a ratificare le decisioni che li riguardavano. Tutte le materie più importanti vennero riservate ai capi di governo delle principali potenze vincitrici: l’americano Wilson, il francese Clemenceau, il britannico Lloyd George e l’italiano Orlando, quest’ultimo però relegato a un ruolo secondario anche a causa dei contrasti con gli alleati sul nuovo confine orientale dell’Italia. I Leader delle potenze vincitrici avevano il compito di ridisegnare la carta politica del Vecchio Continente, sconvolta dal crollo contemporaneo di quattro imperi. Pace democratica e pace punitiva: il nuovo equilibrio doveva tener conto dei princìpi di democrazia e di giustizia internazionale enunciati nei “14 punti” di Wilson, rappresentante della potenza uscita dalla guerra in una evidente posizione di forza economica e politica. La realizzazione di quel programma si rivelò assai problematica: i princìpi wilsoniani non sempre erano compatibili con l’esigenza di punire in qualche modo gli sconfitti e di premiare i vincitori, o quanto meno garantirli, anche sul piano territoriale, contro la possibilità di rivincite da parte degli ex nemici. La contraddizione risultò evidente soprattutto quando furono discusse le condizioni da imporre alla Germania. I francesi si accontentavano della restituzione dell’Alsazia-Lorena, ma chiedevano di spostare i loro confini fino alla riva sinistra del Reno: il che avrebbe significato l’annessione di territorio fra i più ricchi e popolosi della Germania. Ma in questi progetti incontravano l’opposizione decisa di Wilson. La Francia dovette dunque rinunciare al confine sul Reno, in cambio della promessa di una garanzia anglo-americana sulle nuove frontiere franco-tedesche. La Germania poté così limitare le amputazioni territoriali, ma subì, una serie di clausole che, sarebbero state insufficienti a cancellarla per molto tempo dal novero delle grandi potenze. Il trattato di Versailles: il trattato fu in realtà un’imposizione subìta dalla Germania sotto la minaccia dell’occupazione militare e del blocco economico. Dal punto di vista territoriale era prevista, oltre alla scontata restituzione alla Francia dell’Alsazia-Lorena, la cessione alla Polonia di alcune regioni orientali abitate solo in parte da tedeschi: l’Alta Slesia, la Posnania, più una striscia della Pomerania che interrompeva la continuità territoriale fra Prussia occidentale e Prussia orientale, per consentire alla Polonia di affacciarsi sul Baltico e accedere al porto di Dalmazia. Questa città, abitata in prevalenza da tedeschi, veniva anch’essa tolta alla Germania e trasformata in “città libera”. La Germania venne privata anche delle sue colonie in Africa e in Oceania, sparite tra Francia, Gran Bretagna e Giappone. Ma la parte più pesante del Diktat era costituita dalle clausole economiche e militari. Indicata nel testo stesso del trattato come responsabile della guerra, la Germania dovette impegnarsi a rifondere i vincitori, a titolo di riparazione, i danni subìti in conseguenza del conflitto. Fu inoltre costretta ad abolire il servizio di leva, a rinunciare alla marina di guerra, a ridurre la consistenza del proprio esercito entro il limite di cento mila uomini e a lasciare “smilitarizzata” l’intera valle del Reno, che sarebbe stata presidiata per quindici anni da truppe britanniche, francesi e belghe. Ma erano, agli occhi dei francesi, l’unico mezzo per impedire alla Germania di riprendere la sua posizione di grande potenza. La dissoluzione dell’Impero asburgico: un problema completamente diverso era costituito dal riconoscimento delle nuove realtà nazionali emerse dalla dissoluzione dell’Impero asburgico. La nuova Repubblica di Austria si trovò ridotta entro un territorio di appena 85 mila chilometri, abitato per la maggior parte da cittadini di lingua tedesca. Un trattamento severo toccò anche all’Ungheria: costituitasi in repubblica nel novembre ’18, perse non solo quelle regioni slave che nel duplice impero dipendevano da Budapest, ma anche alcuni territori abitati in prevalenza da popolazioni magiare. Le nuove nazioni: a trarre vantaggio dal crollo dell’Impero asburgico, oltre all’Italia, furono soprattutto i popoli slavi. I polacchi della Galizia si unirono di nuovo alla nuova Polonia, formata da territori già appartenenti agli Imperi russo e tedesco. I cechi e gli slovacchi confluirono nella Repubblica di Cecoslovacchia, uno stato federale che comprendeva anche una minoranza di tre milioni di tedeschi. Gli slavi del Sud si unirono alla Serbia e al Montenegro per dar vita al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Il nuovo assetto nei Balcani e il problema della Russia: il nuovo assetto balcanico era completato dall’ingrandimento della Romania, dal ridimensionamento della Bulgaria e dalla quasi completa estromissione dell’Europa e dell’Impero ottomano che, privato contemporaneamente di tutti i suoi territori arabi, si trasformava di fatto in uno Stato nazionale turco, conservando la sola penisola dell’Anatolia, tranne la regione di Smirne assegnata alla Grecia. Restava aperto il problema dei rapporti con la Russia rivoluzionaria. Gli Stati vincitori non riconobbero la Repubblica dei Soviet, mentre furono riconosciute e protette, le nuove Repubbliche indipendenti che si erano formate nei territori baltici persi dalla Russia con il trattato di Brest- Litovsk: la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania. L’indipendenza dell’Irlanda: l’Europa uscita dalla conferenza di Parigi contava dunque ben otto nuovi Stati. A essi sarebbe aggiunto nel 1921 lo Stato libero d’Irlanda. Il fallimento della società delle Nazioni: ad assicurare il rispetto dei trattati e la salvaguardia della pace avrebbe dovuto prevedere la Società delle Nazioni. Il nuovo organismo prevedeva nel suo statuto la rinuncia da parte degli Stati membri alla guerra come strumento di soluzione dei contrasti e l’adozione di sanzioni economiche nei confronti degli Stati aggressori. Ma nasceva minato in partenza da profonde contraddizioni, tra cui particolarmente grave era l’esclusione iniziale dei paesi sconfitti e della Russia. Il colpo più duro alla Società delle Nazioni arrivò proprio degli Stati Uniti, nel marzo 1920, il Senato statunitense rifiutò di ratificare i trattati di Versailles che includevano l’adesione al nuovo organismo. Mentre per gli Stati Uniti cominciava una stagione di isolazionismo, ossia di rifiuto delle responsabilità mondiali e di ritorno a una sfera di interessi continentali, la Società delle Nazioni finì con l’essere egemonizzata da Gran Bretagna e Francia e non fu in grado di prevenire i conflitti che costellarono gli anni fra le due guerre mondiali. Il mito e la memoria La comunità dei combattenti: la Prima guerra mondiale fu, una grande produttrice di miti. Lo fu innanzitutto per coloro che la combattevano. La condizione di disagio psicologico oltre che materiale, di sradicamento e spaesamento vissuta dalla maggior parte dei soldati portò molti di loro a sviluppare forme diverse di fuga dalla realtà: dunque a coltivare credenze irrazionali, ad accettare come vere notizie fantastiche, a immaginare apparizioni miracolose o eventi soprannaturali. Il culto dei caduti: anche negli anni successivi alla fine del conflitto, la guerra continuò a lungo ad essere oggetto di rappresentazione di trasfigurazione mitica. L’entità senza precedenti delle perdite umane, che ovviamente avevano colpito soprattutto le generazioni più giovani, lasciò una traccia profonda e aprì una ferita non rimarginabile nella memoria pubblica dei paesi coinvolti nel conflitto. Comune alla dimensione privata e a quella pubblica era il tentativo di elaborare il lutto, di trovare a posteriori giustificazioni ideali a tanta sofferenza, in nome del patriottismo e della difesa della nazione. Né risultò una visione idealizzata della guerra. Una sorta di santificazione laica di coloro che erano caduti nell’adempimento del dovere. Luoghi della memoria: non furono eretti grandi mausolei nei luoghi dei combattimenti più sanguinosi, ma in moltissimi centri, compresi i piccoli comuni, sorsero monumenti ai caduti che celebravano il sacrificio dei soldati originari del luogo, i cui nomi erano elencati nel monumento stesso o in apposite targhe. Ai monumenti si aggiunsero e viali della “rimembranza”, luoghi di raccoglimento che dovevano ricordare i caduti e al tempo stesso suggerire l’idea di una continuità della vita, simboleggiata dagli alberi piantati nell’occasione. Il milite ignoto: una nuova forma nuova di celebrazione collettiva, fu quella del “milite ignoto”: la sepoltura solenne in uno spazio pubblico delle spoglie di un soldato anonimo, scelto in rappresentanza di tutti i combattenti morti e in particolare dei tanti di cui non era stato possibile nemmeno il riconoscimento. In tutti paesi che la adottarono , la celebrazione del milite ignoto fu seguita con grande emozione e partecipazione popolare. Ma rappresentò anche il tentativo delle classi dirigenti di riunificare e pacificale una memoria che restava comunque divisa, di riavvicinare l’immagine ufficiale ed eroica del conflitto al sentimento diffuso in larghi strati della popolazione , che nella guerra vedevano soprattutto una spaventosa sciagura, o addirittura un grande misfatto collettivo di cui i responsabili avrebbero prima o poi dovuto rispondere.
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