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appunti di storia moderna, Appunti di Storia

riassunti di vari argomenti di storia

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 07/02/2023

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nicole-martini-5 🇮🇹

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Scarica appunti di storia moderna e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! La Seconda guerra mondiale Le responsabilità tedesche: nell’estate del 1939 lo scoppio di una nuova guerra fra le potenze europee era un evento largamente atteso. Mentre nel 1914 il conflitto generale era stato occasionato da un singolo evento tragico e imprevedibile come l’attentato di Sarajevo, venticinque anni dopo tutto sembrava condurre verso l’inevitabile scontro fra la Germania nazista e le democrazie dell’Europa occidentale. Per la Seconda guerra mondiale, la questione delle responsabilità è molto meno controversa di quanto non sia la prima. Non vi sono dubbi sul fatto che a provocare il conflitto fu la politica di conquista e di aggressione della Germania hitleriana. La fine della Cecoslovacchia: le democrazie occidentali si erano illuse, nella conferenza di Monaco, di aver placato la Germania con la cessione dei Sudeti. In realtà, Hitler aveva pronti i piani per l’occupazione della Boemia e della Moravia, ossia della parte più popolosa e industrialmente più sviluppata dell’unico Stato democratico del Centro-Europa, la Repubblica cecoslovacca, già indebolita dalla perdita dei Sudeti e minata dalla lotta fra le diverse nazionalità che convivevano entro i suoi confini. L’operazione scattò nel marzo 1939. Mentre la Slovacchia si proclamava indipendente dei tedeschi, Hitler dava vita al “protettorato di Boemia e Moravia”, parte integrante del Grande Reich tedesco. Francia e Gran Bretagna in difesa della Polonia: la distruzione dello Stato cecoslovacco determinò una svolta nell’atteggiamento delle potenze occidentali. Fra il marzo e il maggio 1939, accantonata la politica dell’appeasement, Gran Bretagna e Francia diedero vita a un’offensiva diplomatica, volta a contenere l’aggressività delle potenze dell’Asse, stipulando patti di assistenza militare con i paesi più direttamente minacciati dall’espansionismo tedesco. Il più importante fu quello con la Polonia, che costituiva il nuovo obiettivo dei progetti di Hitler. L’alleanza fra la Gran Bretagna, Francia e Polonia, conclusa fra marzo e aprile, costituiva una risposta a queste minacce; e significava che le potenze occidentali erano disposte ad affrontare la guerra pur di impedire che la Polonia subisse la sorte della Cecoslovacchia. L’Italia e il “patto d’acciaio”: Mussolini cercò dapprima di contrapporre alle iniziative di Hitler una propria iniziativa unilaterale: l’occupazione del piccolo Regno di Albania, considerato una base per una ulteriore penetrazione nei Balcani. Un mese dopo, Mussolini, convinto che l’Italia non potesse restare naturale nello scontro che si andava profilando e sicuro della superiorità della Germania, decise di accettare le pressanti richieste tedesche di trasformare il generico vincolo dell’Asse Roma-Berlino in una vera e propria alleanza militare. Il patto stabiliva che, se una delle due parti si fosse trovata impegnata in un conflitto per una causa qualsiasi, l’altra sarebbe stata obbligata a scendere in campo al suo fianco. Mussolini e il ministro degli Esteri Ciano, pur sapendo che l’Italia non era preparata militarmente a un conflitto europeo, accettarono sconsideratamente un impegno così gravoso, fidandosi delle assicurazioni verbali di Hitler circa la sua intenzione di non scatenare la guerra prima di due o tre anni. In realtà, lo stato maggiore tedesco stava già preparando l’invasione della Polonia. L’Urss e le democrazie: la principale incognita era costituita a questo punto dall’atteggiamento dell’Urss. Un’adesione sovietica alla coalizione antitedesca avrebbe probabilmente bloccato i piani di Hitler, che temeva il ripetersi dello scenario della Prima guerra mondiale. Ma le trattative fra l’Urss e i franco-britannici furono compromesse da una serie di reciproche e non infondate diffidenze: i sovietici sospettavano che gli occidentali mirassero su di loro l’aggressività della Germania; gli occidentali attribuivano ai sovietici ambizioni egemoniche sull’Europa dell’Est; inoltre, i polacchi non volevano concedere alle truppe dell’Urss il permesso di attraversare il proprio territorio in caso di attacco da parte della Germania. I sovietici cominciarono allora a prestare attenzione alle offerte di intesa che stavano intanto giungendo da parte di Hitler. Il patto tedesco-sovietico: il 23 agosto 1939, i ministri degli Esteri tedesco e sovietico, firmarono a Mosca un patto di non aggressione fra i due paesi. L’annuncio dell’accordo fra i due regimi ideologicamente contrapposti rappresentò uno dei più grandi colpi di scena nella storia della diplomazia di ogni tempo e fu accolto in tutto il mondo con un misto di stupore e di indignazione. L’Urss non solo allontanava momentaneamente la minaccia tedesca dai suoi confini, ma otteneva anche, mediante un protocollo segreto, un riconoscimento delle sue aspirazioni territoriali nei confronti degli Stati Baltici, della Romania e della Polonia. Dal canto suo Hitler era costretto a modificare la sua strategia di fondo, rinviando lo scontro col nemico storico, la Russia sovietica; ma intanto poteva risolvere la questione polacca senza correre il rischio di una guerra su due fronti. Una guerra totale: il 1° settembre 1939, le truppe tedesche attaccarono la Polonia. Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania, mentre l’Italia, il giorno stesso dello scoppio delle ostilità, si affrettò a proclamare la sua “non belligeranza”. Molto simili erano la posta in gioco e le cause di fondo: il tentativo della Germania di affermare la propria egemonia sul continente europeo e la volontà di Gran Bretagna e Francia di impedire questa affermazione. Simile era anche la tendenza del conflitto ad allargarsi fuori dai confini europei. La guerra-lampo: le prime settimane di guerra furono sufficienti alla Germania per sbarazzarsi della Polonia e per offrire al mondo un’impressionante dimostrazione di efficienza bellica. Fu questa il primo esempio di guerra-lampo, una strategia che si basava sull’uso congiunto dell’aviazione e delle forze corazzate, cui era affidato il peso principale dell’attacco. La spartizione della Polonia: a metà settembre le armate del Reich già assediavano Varsavia che, capitolò alla fine del mese. Frattanto l’Urss, in base alle clausole segrete del patto Motolov- Ribbentrop, si impadroniva delle regioni orientali del paese, dopo aver invaso le tre piccole Repubbliche baltiche che persero così la loro indipendenza. All’inizio di ottobre cessava ogni resistenza da parte dell’esercito polacco. Tedeschi e sovietici imposero nei loro territori sotto il loro controllo uno spietato regime di occupazione. La drole de guerre: la Repubblica polacca cessava così di esistere dopo appena vent’anni di vita, senza aver ricevuto alcun aiuto concreto dai suoi alleati occidentali che, non volendo affrontare uno scontro in campo aperto, restarono sulla difensiva, aspettando l’attacco tedesco. Per i successivi sette mesi, la guerra a Occidente restò così congelata. L’Europa visse una fase di attesa che i francesi chiamarono drole de guerre e che certo non giovò al morale delle truppe franco- britanniche, mentre consentì ai tedeschi di riorganizzare le forze in vista dello scontro decisivo. La guerra nel Nord Europa: il teatro di guerra si spostava inaspettatamente nell’Europa del Nord. Questa volta fu l’Urss a prendere l’iniziativa, attaccando il 30 novembre la Finlandia, colpevole di aver rifiutato alcune rettifiche di confine. Nel marzo 1940 la Finlandia dovette cedere alle richieste sovietiche, conservando tuttavia la sua indipendenza. A questo punto fu di nuovo la Germania a cogliere tutti di sorpresa e a prevenire ogni eventuale mossa anglo-francese nel Nord Europa lanciando, il 9 aprile 1940, un improvviso attacco alla Danimarca e alla Norvegia. La Danimarca si arrese a combattere. La Norvegia oppose una certa resistenza, ma anche in questo caso l’azione tedesca si rivelò incontenibile, nonostante la relativa esiguità delle forze impiegate. Nella primavera del ’40, Hitler controllava buona parte dell’Europa centro-settentrionale. Un esito inatteso: l’attacco tedesco alla Francia ebbe inizio il 10 maggio 1940 e si risolse nel giro di poche settimane in un nuovo travolgente successo. L’esercito francese, disponendo di una forte aviazione e di ingenti forze corazzate, era il più consistente e il meglio armato d’Europa. A provocare la sconfitta furono gli errori dei suoi comandi, ancora legati a una concezione statica della guerra e troppo fiduciosi nell’efficacia delle fortificazioni difensive che costituivano la famosa linea Maginot. Queste in realtà coprivano solo la frontiera franco-tedesca, lasciando scoperto il confine col Belgio: fu proprio da qui che, i tedeschi iniziarono l’attacco violando la neutralità dello Stato confinante. Oltre al Belgio, furono invasi anche l’Olanda e il Lussemburgo. Dopo aver attraversato velocemente la foresta delle Ardenne, in territori belga, i reparti corazzati tedeschi sfondarono nei pressi del Sedan, ossia del punto centrale della linea difensiva francese, le simultaneamente da truppe tedesche e italiane, furono facilmente travolte, mentre i britannici erano costretti a ritirarsi, abbandonando per la seconda volta in poco più di un anno il continente europeo. L’Italia, si trovò a svolgere assieme alla Germania il ruolo di potenza occupante nei Balcani, vedendosi assegnate una parte della Slovenia, ampie zone della Croazia, della Dalmazia e del Montenegro e gran parte del territorio greco. Pur se meno feroce di quella tedesca, l’occupazione italiana fu segnata da violenze e rappresaglie che si sovrapposero ai conflitti etnici e politici di un paese già profondamente diviso com’era allora la Jugoslavia. Ma Hitler non aveva più rivali in Europa. E poteva concentrare il grosso delle sue forze verso l’obiettivo più ambito: la conquista dello “spazio vitale” a Est ai danni dell’Urss. L’entrata in guerra di Urss e Stati Uniti: con l’attacco tedesco all’Unione Sovietica, la guerra entrò in una nuova fase. L’attacco tedesco all’Unione Sovietica: l’Urss costruisse da sempre il principale obiettivo delle mire espansionistiche di Hitler non era un mistero per nessuno. Stalin si illuse tuttavia che Hitler non avrebbe scatenato l’attacco a Est prima di aver chiuso la partita con la Gran Bretagna. Così, quando il 22 giugno 1941 l’offensiva tedesca scattò su un fronte lungo 1600 chilometri, dal Baltico al Mar Nero, i sovietici furono colti impreparati. In due settimane le armate del Reich penetrarono in territorio sovietico per centinaia di chilometri. L’offensiva continuò per tutta l’estate travolgendo ogni resistenza. Ma l’attacco decisivo verso Mosca fu sferrato troppo tardi, e fu bloccato a poche decine di chilometri dalla capitale dal sopraggiungere del maltempo, che rese impraticabili molte strade e rallentò il movimento degli automezzi. La resistenza dell’Urss: in dicembre, i sovietici lanciavano la loro prima controffensiva, allontanando la minaccia da Mosca. Ma Hitler aveva mancato l’obiettivo di mettere fuori causa l’Urss ed era costretto a tenere il grosso del suo esercito immobilizzato nelle pianure russe, alle prese con un terribile inverno e con una resistenza sempre più accanita. Guidata personalmente da Stalin la guerra difensiva dei sovietici risultò infatti più efficacie del previsto. Anche la guerra meccanizzata si trasformava così in una guerra d’usura, in cui l’elemento decisivo era costituito dalla capacità di compensare rapidamente il logorio degli uomini e dei materiali. Gli aiuti americani alla Gran Bretagna: allo scoppio del conflitto, gli Stati Uniti avevano ribadito la loro linea di non intervento negli affari europei, ma, nel novembre 1940, Roosevelt si impegnò in una politica di aperto sostegno economico alla Gran Bretagna, rimasta sola a combattere contro la Germania. Nel marzo 1941 fu approvata una legge, detta “degli affari e prestiti”, che consentiva la fornitura di materiale bellico a condizioni molto favorevoli a quegli degli Stati la cui difesa fosse considerata vitale per gli interessi americani. In maggio gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con la Germania e l’Italia. In giugno la marina militare Usa fu incaricata di scortare fino all’Islanda i convogli che trasportavano aiuti a nazioni alleate e autorizzata a rispondere a eventuali attacchi. La carta atlantica: questa politica ebbe il suo suggello ufficiale nell’incontro fra Roosevelt e Churchill avvenuto il 14 agosto 1941 su una nave da guerra al largo dell’isola di Terranova. Frutto dell’incontro fu la cosiddetta Carta atlantica: un documento in otto punti in cui i due statisti ribadivano la condanna dei regimi fascisti e fissavano le linee di un nuovo ordine democratico da costruire a guerra finita: rispetto dei princìpi di sovranità popolare e di autodecisione dei popoli, libertà dei commerci, libertà dei mari, cooperazione internazionale, rinuncia all’uso della forza nei rapporti fra gli Stati. L’espansione del Giappone: a trascinare gli Stati Uniti nel conflitto fu però l’aggressione improvvisa subita nel Pacifico da parte del Giappone: la maggiore potenza dell’emisfero orientale e il principale alleato asiatico di Germania e Italia, cui era legato da un patto di alleanza militare detto patto tripartito. Già impegnato dal ’37 nella guerra contro la Cina, il Giappone aveva profittato del conflitto europeo per allargare le sue aspirazioni espansionistiche a tutti i territori del Sud-Est asiatico. Quando, i giapponesi invasero l’Indocina francese, Stati Uniti e Gran Bretagna reagirono decretando il blocco delle esportazioni verso il Giappone. L’impero asiatico si trovò a questo punto di fronte a una scelta: piegarsi alle richieste delle potenze occidentali o scatenare la guerra per conquistare nuovi territori e procurarsi così le materie prime necessarie alla sua politica di grande potenza. L’attacco a Pearl Harbor: il 7 dicembre 1941, l’aviazione giapponese attaccò la flotta degli Stato Uniti ancorata a Pearl Harbor, e la distrusse in buona parte. Nei mesi successivi, i giapponesi raggiunsero di slancio tutti gli obiettivi che si erano prefissati: nel maggio ’42 controllavano le Filippine, la Malesia e la Birmania britanniche, l’Indonesia olandese; ed erano in grado di minacciare l’Australia e la stessa India, costringendo la Gran Bretagna e distogliere forze preziose dal Medio Oriente Il patto delle nazioni Unite: pochi giorni dopo l’attacco, anche la Germania e Italia dichiaravano guerra agli Stati Uniti. Gli anglo-americani e i sovietici, trovatasi a combattere dalla stessa parte più per scelta altrui che per propria volontà, si posero subito il problema di elaborare una strategia comune per battere le potenze fasciste. Lo fecero per la prima volta nella conferenza che si tenne a Washington fra il dicembre 1941 e il gennaio 1942, nella quale tutte e 26 le nazioni in guerra contro la Germania, Italia e Giappone sottoscrissero il patto “delle Nazioni Unite”: i contraenti si impegnavano a tener fede ai princìpi della Carta atlantica, a combattere le potenze fasciste e a non concludere con esse paci separate. Il dominio dell’Asse: nella primavera- estate del 1942 le potenze dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo raggiunsero la loro massima espansione territoriale. Il Giappone dominava su tutto il Sud-Est asiatico. Su vaste zone della Cina e su molte isole del pacifico. In Europa i tedeschi controllavano, un territorio di circa 6 milioni di chilometri quadrati con oltre 350 milioni di abitanti. Attorno alla Germania e all’Italia ruotavano gli alleati “minori”. Il nuovo ordine nazista: sia la Germania sia il Giappone cercarono di costruire un “nuovo ordine” basato sulla supremazia della nazione eletta. Mentre però il Giappone si appoggiò ai movimenti indipendentisti dei paesi soggetti al dominio coloniale e fece propria, la causa della lotta contro l’imperialismo europeo, la Germania non concedesse nulla alle aspirazioni dei popoli ad essa soggetti. Per le popolazioni considerate razzialmente inferiori, i progetti hitleriani prevedevano solo la totale subordinazione, se non addirittura lo sterminio. Sfruttamento e terrore: un trattamento particolarmente duro e inumano fu riservato ai popoli slavi, considerati razza inferiore e destinati, a una condizione di semi schiavitù. Il sistema di sfruttamento, di terrore e di sterminio pianificato costruito dai tedeschi nell’Europa occupata portò alla Germania consistenti vantaggi immediati: una riserva inesauribile di forza-lavoro gratuita, un flusso continuo di materie prime, un enorme prelievo di ricchezza e di beni di consumo che permise ai cittadini tedeschi di mantenere, un livello di vita molto più elevato di quello consentito agli altri popoli europei. Movimenti di resistenza: episodi di resistenza all’occupazione nazista si manifestarono già nella prima fase della guerra in tutti i paesi invasi dai tedeschi. Protagonisti di questi episodi erano all’inizio piccoli gruppi, legati per lo più ai governi in esilio o ai movimenti di liberazione che avevano trovato ospitalità in Gran Bretagna. Le file della Resistenza si ingrossarono dopo l’attacco tedesco all’Urss, che portò i comunisti di tutta Europa a impegnarsi attivamente nella lotta armata contro il nazismo. Non sempre e diverse forze che confluivano nella Resistenza riuscirono però a stabilire una linea d’azione comune. Sebbene avessero operato in gran fretta un nuovo cambio di strategia subordinando ogni obiettivo rivoluzionario alla lotta di liberazione nazionale in base a questa strategia Stalin, nel maggio 1943, decise lo scioglimento del Comintern i comunisti erano guardati con sospetto dagli anglo-americani e dalle componenti moderate e del fronte antifascista. In Jugoslavia in particolare, il paese in cui il movimento di resistenza assunse più che altrove le dimensioni di una guerra popolo, l’esercito partigiano guidato dal comunista Josip Broz si scontrò con i gruppi nazionalistici e monarchici che pure si opponevano ai tedeschi. Il collaborazionismo: la resistenza al nazismo rappresentò solo una faccia della realtà europea occupata. In tutti i paesi invasi della Germania o da essa controllati, vi fu una parte più o meno consistente della popolazione che, accettò di collaborare con i dominatori. In alcuni paesi i tedeschi si servirono di esponenti dei fascismi locali, come il norvegese Vidkun Quisling, che diventato capo di governo, si legò ai nazisti al punto da rendere il suo cognome sinonimo di “collaborazionista”. In altri trovarono il sostegno di movimenti separatisti o di esponenti della classe dirigente al potere prima della guerra. Un progetto di sterminio: ancor prima che il conflitto mondiale avesse inizio, Hitler aveva ribadito la necessità di liberare definitivamente la Germania dalla presenza degli ebrei e aveva anche profetizzato “la distruzione della razza ebraica in Europa”, come punizione per le presunte responsabilità della “finanza internazionale ebraica” nello scoppio della guerra. Quindi, cominciò a essere praticata in modo sistematico l’eliminazione fisica dei deportati. Cominciava così quell’operazione di sterminio, di genocidio pianificato che, con un termine ebraico, sarebbe stata definita Shoah. Dalle fucilazioni alle camere a gas: inizialmente furono reparti speciali di SS, con l’ausilio di militari dell’esercito regolare e di collaborazionisti, a eseguire fucilazioni di massa, come quella del settembre del 1941, quando nella fossa di Babi Yar, in Ucraina, furono uccisi oltre 33 mila ebrei di Kiev. Ma questa procedura richiedeva tempi lunghi, era troppo visibile e inadatta ai grandi numeri: in più poteva provocare qualche resistenza, o qualche cedimento psicologico, tra i militari. Dall’inizio di dicembre 1941 a Chelmno, in Polonia, erano state impiegate camere a gas mobili su autocarri diesel in cui gli ebrei venivano uccisi dall’ossido di carbonio dei motori. Intanto era iniziata a Belzec la costruzione del primo campo di sterminio. In questi campi vennero avviati non solo gli ebrei polacchi, ucraini, russi ma anche quelli prelevati negli altri paesi occupati dai nazisti. L’organizzazione dello sterminio: deportare milioni di ebrei costituiva un grosso problema organizzativo che si provò a risolvere in una riunione dei maggiori responsabili della politica antiebraica tenuta a Wannesee. Per gli ebrei tedeschi si doveva passare dall’incentivo all’emigrazione alla deportazione verso est. Egualmente verso est sarebbero stati evacuati quelli rastrellati nel resto d’Europa. Il verbale della riunione era volutamente reticente per quanto riguardava il destino degli ebrei: era chiaro però che i più deboli sarebbero stati vittime della “selezione naturale” durante i lavori forzati a cui erano destinati, mentre gli elementi più validi sarebbero stati “opportunamente trattati” per evitare che ricostruissero “la cellula germinale di una rinascita ebraica”. I numeri dello sterminio: soprattutto ad Aushwitz cominciarono a giungere, i deportati provenienti da tutta Europa: all’arrivo veniva compiuta una selezione che divideva gli abili al lavoro dai più deboli, dagli anziani, dai bambini che venivano immediatamente portati nelle camere a gas alimentare dai fumi sprigionati da un potente insetticida a base di acido cianidrico. I corpi venivano poi bruciati nei forni crematori o seppelliti in grandi fosse comuni. le altre vittime: alle vittime ebree si devono aggiungere anche gli zingari, stinti e rom, anch’essi oggetto dei pregiudizi razziali nazisti. Nei campi affluirono anche molti prigionieri sovietici, in particolare commissari politici dell’armata rossa, e numerosi militari e civili polacchi. L’ossessione ideologica: questa gigantesca operazione di sterminio sottrasse truppe e risorse all’impegno bellico tedesco, anche se moltissimi ebrei, vennero impiegati nelle attività produttive tedesche, trovando egualmente la morte per malattia o denutrizione. L’ossessione ideologica antiebraica non si spense nemmeno negli ultimi mesi di guerra; allo stesso modo non si fermò la macchina dello sterminio: i superstiti furono costretti a lunghe marce nel gelo dell’inverno 1945 per abbandonare i Lager minacciati dall’avanzata sovietica, anche per occultare l’infamia che vi era perpetrata. La condanna di questi orrori sarebbe diventata nel tempo un principio basilare della coscienza occidentale e avrebbe dato impulso allo sviluppo di una giustizia penale internazionale incaricata di colpire i responsabili dei “crimini contro l’umanità”. La guerra sui mari: i primi segni di un’inversione di tendenza si ebbero nel Pacifico, dove la spinta offensiva dei giapponesi fu fermata dagli americani nelle due battaglie del Mar dei Coralli, di fronte alle coste della decisiva furono i reparti nordafricani, che, dopo aver subìto fortissime perdite, si resero responsabili di violenze d’ogni genere sulla popolazione civile, in particolare sulle donne. Un paese spezzato in due: a partire dall’autunno 1943, l’Italia fu non solo divisa di fatto da un fronte, ma anche spezzata in due entità statali distinte, in guerra l’una contro l’altra. Mentre nelle regioni meridionali già librate dagli anglo-americani il vecchio Stato monarchico sopravviveva formalmente col suo governo e la sua burocrazia, esercitando la sua teorica sovranità sotto lo stretto controllo degli alleati, nell’Italia settentrionale il fascismo rinasceva dalle sue ceneri sotto la protezione degli occupanti nazisti. Roma fu dichiarata “città aperta”, ovvero zona non di guerra, ma a questa condizione, non le evitò di subire l’occupazione nazista e i bombardamenti alleati. La Repubblica sociale: il 12 settembre 1943, un comando di aviatori e paracadutisti tedeschi liberò Mussolini dalla prigionia Campo Imperatore, sul Gran Sasso, e lo condusse in Germania. Pochi giorni dopo, il duce annunciò, in un discorso trasmesso da Radio Monaco, la nascita, nell’Italia occupata dai tedeschi, di un nuovo Stato fascista, che avrebbe preso il nome di Repubblica sociale italiana, con un suo nuovo esercito e un nuovo partito fascista. Il regime repubblicano trasferì i suoi ministeri da Roma, nella zona del Lago di Garda. Suo obiettivo primario era punire gli artefici del “tradimento” del 25 luglio, ossia monarchici, “badogliani” e fascisti moderati: cinque dei gerarchi che avevano votato l’ordine del giorno Grandi furono arrestati e fucilati a Verona nel gennaio ’44 dopo un sommario processo. Il nuovo regime, e il nuovo Partito fascista repubblicano, cercarono di guadagnare consensi e credibilità riesumando le parole d’ordine rivoluzionarie del primo fascismo e lanciando un programma di socializzazione delle imprese industriali, che non riuscì mai a decollare. L’occupazione tedesca: in realtà la Repubblica di Mussolini non acquistò mai credibilità a causa della sua totale dipendenza dei tedeschi, che si comportavano a tutti gli effetti come un esercito di occupazione, praticando un intenso sfruttamento delle risorse economiche e umane dei territori controllati e applicandovi le politiche razziali già sperimentate negli altri paesi occupati. L’episodio più tragico si verificò il 16 ottobre ’43, quando oltre mille ebrei di Roma furono prelevati dalle loro case e inviati nel campo di sterminio di Auschwitz, dal quale pochissimi fecero ritorno. La resistenza: il governo di Salò e le sue forze armate erano impegnati soprattutto a combattere il movimento di Resistenza contro i tedeschi che stava nascendo nell’Italia occupata. Le regioni del Centro- Nord diventavano così teatro di una guerra civile tra italiani, che si sovrapponeva a quella combattuta dagli eserciti stranieri. Le prime formazioni armate si raccolsero nelle zone montane dell’Italia centro- settentrionale subito dopo l’8 settembre; nacquero dall’incontro fra i piccoli nuclei di militanti antifascisti e di militari sbandati che non avevano voluto consegnarsi ai tedeschi. Il movimento non raggiunse mai dimensioni di massa, ma si appoggiò su una diffusa rete di sostegno nelle campagne e nelle zone montane. I partigiani agivano soprattutto lontano dai centri abitati, con attacchi improvvisi e con azioni di sabotaggio; ma erano presenti anche nelle città con Grippi di azione patriottica piccole formazioni di tre o quattro elementi che compivano attentati contro militari o contro singole personalità tedesche e repubblicane. Gli occupanti risposero con spietate rappresaglie: particolarmente feroce quella messa in atto a Roma, quando, in risposta a un attentato in cui avevano trovato la morte 33 militari tedeschi, furono fucilati alle Fosse Ardeatine, detenuti, ebrei, antifascisti e militari badogliani. La rinascita dei partiti: dopo una prima fase di aggregazione spontanea, le bande partigiane si andarono organizzando in base all’orientamento politico prevalente fra i loro membri: le Brigate Garibaldi, le più numerose e attive, erano formate in maggioranza da comunisti; le formazioni di Giustizia e Libertà si ricollegavano all’omonimo movimento antifascista degli anni ’30; le Brigate Matteotti erano legate ai socialisti; vi erano poi formazioni cattoliche e liberali e bande “autonome” composte per lo più da militari di orientamento monarchico. Fin dall’inizio, dunque, le vicende della Resistenza si intrecciarono strettamente con quelle dei partiti antifascisti, ricostruiti in clandestinità o riemersi alla luce dopo la caduta del fascismo. Nell’estate del 1942 era sorto, dalla confluenza di diversi gruppi che si collocavano in area intermedia fra il liberalismo progressista e il socialismo, il Partito d’azione. In ottobre numerosi esponenti cattolici avevano elaborato il programma di una nuova formazione destinata a raccogliere l’eredità del Partito popolare: la Democrazia cristiana. Subito dopo il 25 luglio ’43, fu costruito il Partito liberale e rinacquero il Partito repubblicano e quello socialista, col nome di Partito socialista di unità proletaria. Sempre nell’estate ’43, per iniziativa dell’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, fu fondato il Partito democratico del lavoro, che si collegava alla tradizione della democrazia radicale prefascista. Il Cin e il governo Badoglio: fra il 9 e il 10 settembre, i rappresentati dei sei partiti si riunirono clandestinamente a Roma sotto la presidenza di Bonomi e si costituirono in Comitato di liberazione nazionale, incitando la popolazione “alla lotta e alla resistenza per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. I partiti antifascisti si proponevano così come guida e rappresentanza dell’Italia democratica, in contrapposizione non solo agli occupanti tedeschi e ai loro collaboratori fascisti, ma anche a Badoglio e allo stesso sovrano, corresponsabile della dittatura e della guerra. Togliatti e la “svolta di Salerno”: tra il Cln e il governo del Sud, espressione della continuità dello Stato, si aprì un contrasto sulla sorte del re e dello stesso istituto monarchico. Anche il Cln era diviso al suo interno tra i partiti di sinistra, che avrebbero voluto sbarazzarsi subito della monarchia, e i gruppi moderati, che si sarebbero accontentati dell’abdicazione di Vittorio Emanuele III. Il contrasto fu sbloccato solo nel marzo del 1944 dall’iniziativa del leader comunista Palmiro Togliatti, giunto in Italia dall’Urss dopo un esilio durato quasi vent’anni. Togliatti, propose di accantonare ogni pregiudiziale contro il re o contro Badoglio e di formare un governo di unità nazionale capace di concentrare le sue energie sulla lotta contro il nazifascismo. La tregua istituzionale: la svolta togliattiana fu criticata da socialisti e azionisti, e suscitò qualche perplessità anche all’interno del Pci. Ma consentì di formare, il primo governo di unità nazionale, presieduto sempre da Badoglio e comprendente i rappresentanti dei partiti del Cln. L’accordo prevedeva che Vittorio Emanuele III, pur senza abdicare, si facesse da parte, delegando i suoi poteri al figlio Umberto, in attesa che, fosse il popolo a decidere la sorte dell’istruzione monarchica. Nel giugno 1944, dopo che gli alleati avevano finalmente liberato Roma, Umberto assunse la luogotenenza generale del regno. Badoglio ai si dimise e lasciò il posto a un nuovo governo guidato da Ivanoe Bonomi, presidente del Cln. L’avvento del governo Bonomi significò un più stretto collegamento fra i poteri legali dell’Italia liberata e il movimento di resistenza. Riprendeva intanto, l’avanzata alleata nelle regioni centrali. La base di reclutamento delle formazioni partigiane si allargò, anche per l’afflusso di molti giovani renitenti alla leva decretata dal governo di Salò. Le azioni militari dei partigiani divennero più ampie e frequenti, nonostante le continue rappresaglie tedesche: la più terribile, in questa fase, fu quella messa in atto a Mozambico, nell’Appennino bolognese, dove, nel settembre ’44, furono uccisi 770 civili. Molte città furono liberate prima dell’arrivo degli alleati. Un difficile inverno: questa attività aveva però un valore simbolico molto superiore alla sua forza militare. L’efficacia dell’azione partigiana era infatti limitata dalla difficoltà di coinvolgere una popolazione preoccupata soprattutto della propria sopravvivenza e spesso incline a non schierarsi in uno scontro il cui esito restava affidato essenzialmente all’azione delle armate alleate. Nell’autunno del ’44, l’offensiva sul fronte italiano si bloccò lungo la linea di gotica. La Resistenza visse allora il suo momento più difficile, soprattutto dopo il proclama firmato dal generale inglese Harold Alexander che, inviava i partigiani a sospendere le operazioni su vasta scala in attesa dell’ultima e definitiva spallata prevista per l’anno successivo. Alle difficoltà oggettive si aggiungevano i contrasti fra le diverse componenti politiche, che talvolta sfociarono in aperto conflitto. Lo scontro più grave si ebbe nel febbraio 1945, quando a Porzus, diciassette membri della Brigata Osoppo furono catturati e fucilati da un reparto di partigiani comunisti perché ritenuti di ostacolo a una totale integrazione con le forze jugoslave agli ordini di Tito. Il movimento partigiano riuscì tuttavia a mantenersi attivo a sopravvivere al difficile inverno ’44-45. Il dramma della Germania: nell’autunno 1944 la Germania poteva considerarsi virtualmente sconfitta. Il fronte dei suoi alleati nella guerra contro l’Urss si stava sfaldando. Il territorio Reich non era ancora stato toccato dagli eserciti stranieri, ma era sottoposto a continui bombardamenti da parte degli alleati che disponevano ormai del dominio dell’aria. L’offensiva aerea aveva lo scopo non solo di colpire la produzione industriale e il sistema di comunicazioni, ma anche di “demoralizzare” il popolo tedesco fino a minarne la capacità di resistenza. Molte città della Germania furono ridotte a cumoli di macerie. Nemmeno i bombardamenti servirono, a piegare la feroce determinazione del Furhrer, deciso a far si che l’intero popolo tedesco condividesse fino in fondo la sorte del regime nazista. Hitler si illuse fino all’ultimo di poter rovesciare la situazione grazie all’impiego di nuove “armi segrete” o per un improvvisa rottura dell’ “innaturale” coalizione fra l’Urss e le democrazie occidentali. La “grande alleanza” e gli accordi sul dopo guerra: questa ipotesi era in realtà del tutto infondata. Nonostante l’accesa concorrenzialità che si manifestava all’interno della “grande alleanza”, anglo- americani e sovietici continuarono a tener fede agli impegni assunti e a cercare accordi globali per la sistemazione dell’Europa postbellica. Nella conferenza di Mosca, Churchill e Stalin abbozzarono una divisione in sfere d’influenza dei paesi balcanici: un progetto che, in contrasto con le proclamazioni della Carta atlantica, non teneva in alcun conto la volontà dei popoli interessati. I tre grandi si incontrarono ancora in Urss. In questa occasione fu stabilito, che la Germania sarebbe stata divisa provvisoriamente in quattro zone di occupazione e sottoposta a radicali misure di “denazificazione” e che i popoli dei paesi liberati avrebbero potuto esprimersi mediante libere elezioni. Dal canto suo, l’Urss si impegnò a entrare in guerra contro il Giappone. L’ultima offensiva in Europa: mentre i grandi discutevano a Yalta sulle sorti future dell’Europa, era già scattata l’offensiva finale che, nel giro di pochi mesi, avrebbe portato al crollo del Terzo Reich. A metà gennaio, gli anglo-americani riprendevano l’iniziativa sul fronte occidentale. I sovietici attraversavano tutto il restante territorio polacco. In febbraio erano già a poche decine di chilometri da Berlino. Più a sud l’Armata rossa cacciava i tedeschi dall’Ungheria per poi puntare su Vienna, che fu raggiunta il 23 aprile, e su Praga, liberata il 4 maggio. Frattanto gli anglo-americani, penetravano in profondità in territorio tedesco incontrando, una scarsa resistenza da parte delle truppe del Reich, che invece continuavano a combattere con disperato accanimento sul fronte orientale, al doppio scopo di proteggere la fuga dei civili dalla devastante avanzata dell’Armata rossa e di ridurre per quanto possibile la zona di occupazione dell’Urss. La morte di Mussolini e Hitler e la resa tedesca: in quegli stessi giorni crollava anche il fronte italiano. Il 25 aprile, il Cln lanciava l’ordine dell’insurrezione generale contro il nemico in ritirata, e i tedeschi abbandonarono Milano. Mussolini fu catturato mentre tentava di fuggire in Svizzera e fucilato da partigiani il 28 aprile, assieme ad altri gerarchi e alla sua giovane amante, Clara Petacci. I loro cadaveri, furono esposti per alcune ore piazzale Loreto, a Milano. Il 30 aprile, mentre i sovietici stavano entrando a Berlino, Hitler si suicidò nel bunker sotterraneo dove era stata trasferita la sede del governo, lasciando la presidenza del Reich all’ammiraglio Karl Donitz, che offrì subito la resa agli alleati. Il 7 maggio 1945, fu firmato l’atto di capitolazione delle forze armate tedesche. La sconfitta del Giappone e la bomba atomica: nell’estate del ’45 gli americani, attaccarono in forze il Giappone, ormai isolato e sottoposto a continui bombardamenti, ma ancora deciso a combattere con eccezionale accanimento. Il nuovo presidente americano Harry Truman decise allora di impiegare contro il Giappone la nuova arma “totale”, la bomba a fissione nucleare o bomba atomica, che era stata appena messa a punto da un gruppo di scienziati e sperimentata per la prima volta in luglio nel deserto del Nuovo Messico. La decisione di Truman serviva innanzitutto ad abbreviare una guerra che rischiava di essere ancora lunga e sanguinosa. Il 6 agosto 1945, un bombardiere americano sganciava la prima bomba atomica
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