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La lunga strada verso l'Università di Palermo: dalla fondazione alla fine del secolo XVIII, Sintesi del corso di Storia Moderna

Storia delle università italianeStoria dell'educazione in Sicilia

Questo documento ripercorre la storia dell'Università di Palermo dal suo inizio nel 1778 fino alla fine del XVIII secolo. Viene descritta la creazione di una Reale Accademia degli Studi priva del potere di conferire titoli dottorali, la trasformazione in una completa Università nel 1805 e la controversia sulla traduzione di un codice arabo scoperta nella biblioteca dell'abbazia benedettina di San Martino delle Scale. Il documento include anche la biografia di Orazio Cancila, docente di Storia moderna all'Università di Palermo e direttore scientifico della rivista Mediterranea.

Cosa imparerai

  • Quando fu istituita la Reale Accademia degli Studi a Palermo?
  • Chi fu Orazio Cancila e quali furono i suoi principali lavori?
  • Che cosa conteneva il codice arabo scoperto nella biblioteca dell'abbazia benedettina di San Martino delle Scale?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 19/09/2022

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Scarica La lunga strada verso l'Università di Palermo: dalla fondazione alla fine del secolo XVIII e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! O razio C ancila Storia dell’Università di Palerm o dalle origini al 1860 Palermo, una capitale senza Studium, senza Università degli studi, come del resto parecchie altre in Italia: Milano, Venezia, Firenze, anch’esse città capitali ricche di Accademie culturali, ma prive di propri Atenei, dislocati invece nelle città minori. Una situazione che per Palermo si trascinò per l’intera età moderna, non sempre addebitabile però come altrove alla volontà politica, bensì piuttosto al verificarsi di una serie di occasioni mancate, di circostanze tutte sfavorevoli alla realizzazione del progetto di istituzione di uno Studium generale. Solo un decennio dopo la cacciata dei gesuiti, fu istituita a Palermo una Reale Accademia degli Studi (1778), privata però della potestà di conferire titoli dottorali, che dovevano conseguirsi presso l’Università di Catania E dovette trascorrere ancora quasi un trentennio perché nel 1805-06 l’Accademia fosse trasformata in una completa Università di studj con le sue quattro facoltà (teologica, filosofica, legale, medica) e la potestà di conferire finalmente le lauree. Sulla base di un attento studio delle fonti, reperite presso l’archivio storico dell’Università e soprattutto presso il fondo ‘Commissione Suprema di Pubblica Istruzione ed Educazione’ dell’Archivio di Stato di Palermo, questa storia dell’Università di Palermo ricostruisce il lungo percorso precedente la sua istituzione e ne segue dettagliatamente il difficile primo mezzo secolo di attività: una attività fortemente condizionata da una politica culturale governativa all’insegna del motto «la troppa luce offende» e tuttavia non priva di risultati positivi per avere tra l’altro favorito l’accesso di nuovi strati sociali all’istruzione universitaria, che l’autore è in grado di documentare ampiamente grazie a una conoscenza approfondita della società del tempo e del periodo storico considerato. Il termine ad quem è fissato al 1860, data della fine del regno borbonico. Con l’unificazione italiana ha inizio, infatti, anche per l’Ateneo palermitano una nuova storia, ancora tutta da ricostruire. Orazio Cancila è ordinario di Storia moderna nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo e direttore scientifico della rivista quadrimestrale Mediterranea. Ricerche storiche, da lui fondata nel 2004 e diffusa anche on line. Ha dedicato numerosi lavori alla storia della Sicilia, tra cui Baroni e popolo nella Sicilia del grano (1983), Così andavano le cose nel secolo sedicesimo (1984), L’economia della Sicilia. Aspetti storici (1992, Premio Nuovo Mezzogiorno 1992), La terra di Cerere (2001). Per i nostri tipi ha pubblicato Impresa redditi mercato nella Sicilia moderna (1980), Palermo (1988, 19992, Premio Nuovo Mezzogiorno 1988), Storia dell’industria in Sicilia (1995, 2000). Ha curato una Storia della cooperazione siciliana (1993). In sovraccoperta: in alto, Casa dei teatini, dal 1805 sede dell’Università degli Studi; in basso, Progetto dell’architetto Marvuglia (realizzato solo parzialmente). @ ??,00 (i.i.) Storia e Società SS CL 20-8042-7 Editori Laterza Storia e Società Orazio Cancila Storia dell’Università di Palermo dalle origini al 1860 T A G LI A Q U A LC O S A Editori Laterza 8042-X se che il mutuo venisse convertito in una soggiogazione, garentita sui beni del Sambuca e su quelli delle due nuove popolazioni di Camporeale e di San Giuseppe, il re – disattendendo il parere so- stanzialmente favorevole della Deputazione – non accettò, per- ché «la chiesta soggiogazione non avrebbe le qualità prescritte dal donante mons. Gioeni», e gli accordò soltanto una dilazione di tre anni per saldare il mutuo71. Ovviamente alla scadenza il mar- chese – «la di cui casa, come a tutti è noto, trovasi in disquilibrio ed aggravata di debiti» – non era in condizione di saldare il debi- to e non aveva neppure pagato gli interessi, cosicché la Deputa- zione nel 1805 fu costretta a sequestrargli la produzione dei feu- di di San Giuseppe e di Macellaro (Camporeale), riuscendo così finalmente a recuperare la somma. Ma intanto una parte del ca- pitale (onze 804.24.13) nel 1799 era rimasta incagliata nel falli- mento del Banco Pecuniario (Tavola) di Palermo72 e la Deputa- zione non riuscirà più a riscuoterla, ottenendo più tardi soltanto un interesse annuo del 2,25 per cento, non sempre puntualmen- te pagato. 5. La «minzogna saracina»: la cattedra di Lingua araba e il falso dell’abate Vella Si è anche accennato all’istituzione nel 1785 di una cattedra di Lingua araba, che fu affidata all’abate Giuseppe Vella (m. 1814) con uno stipendio annuale di 60 onze, su proposta di monsignor Airoldi che era un suo grande estimatore, alla stregua di parecchi altri, tra cui il sovrano e persino il papa. L’attivazione della catte- dra si inserisce nel risveglio per l’età della dominazione degli Ara- bi in Sicilia che proprio le ricerche del Vella nella prima metà de- gli anni Ottanta avevano contribuito ad alimentare. Solo che, stando a quanto scriverà più tardi lo Scinà, egli non insegnava la 108 Storia dell’Università di Palermo dalle origini al 1860 71 Ivi, Ordini reali e viceregi, reg. 4, c. 62r. Cfr. anche ivi, Consulte, reg. 10, cc. 131r-133r, Rappresentanza della Deputazione degli studi a S. M., 5 maggio 1801. 72 Sul fallimento, cfr. V. Cusumano, Storia dei Banchi della Sicilia, a cura di R. Giuffrida, Palermo, Fondazione Culturale «Lauro Chiazzese», 1974, pp. XXII sgg., 387 sgg. Cancila.QXD 19-04-2006 12:18 Pagina 108 dice martiniano, alterando i caratteri arabi in modo da renderne difficilissima la lettura e quindi la comprensione del testo. La tesi di una origine araba del feudalesimo siciliano non di- spiacque però neppure ai funzionari napoletani in Sicilia, che ve- devano così privata di fondamento l’altra tesi di parte baronale della partizione, al momento della conquista, del territorio sicilia- no tra Ruggero e i suoi commilitones: tesi questa che portava i «si- cilianisti» a non giustificare le pretese assolutistiche della monar- chia borbonica. Fu così che il Vella cominciò a spostarsi gradual- mente su posizioni filo-assolutiste, sollecitato sembra dal napole- tano Francesco Chiarelli, segretario del Caramanico, al quale con la traduzione di un nuovo codice, il Consiglio d’Egitto, pubblica- to in splendida veste a spese dell’erario nel 1793 e anche questo letteralmente inventato e vergato addirittura su carta del fabbri- cante genovese Fabiani, forniva ulteriori prove della genesi araba della feudalità siciliana. Ritorna qui alla mente la naturale e consueta difficoltà, ch’è quella di sapere – si chiede lo Scinà – d’onde e come l’ignorante Vella avesse potuto apprendere le notizie delle supreme regalie e di altri articoli di storia. Ma egli è a tutti manifesto che in quella stagione in Palermo non si parlava che di diritti usurpati alla corona da’ baroni, e di mulini e di fiumi, e salti di acqua, ed ovunque risuonavano le voci de’ fiscali. Per lo che il Vella altro non fece che mostrare già conosciuti e praticati a’ tempi degli Arabi e dei Normanni tutti quei diritti, che allora i fiscali si studiavano come usurpati ritornare alla corona. Bastavagli quindi sentire nelle compagnie le cause e le controversie, che si agitavano per dirizzare, come egli fece, un codice di supreme regalie. Bastavagli ol- tre a ciò di praticare coll’Airoldi per conoscere le belle prerogative de’ nostri principi sulle cose sacre; giacché era particolare ufficio di quel prelato, per la carica che indossava di legato apostolico, di difendere e mantenere intatte tali prerogative, intorno alle quali spesso le più dot- te rimostranze questi distendea. Per altro le conoscenze del Vella si erano già ampliate ed usava già colle persone dotte, ed avea facile ac- cesso a’ governanti, e leggea e sentia e raccogliea, e secondo suo biso- gno interrogava, e le risposte più confacenti riceveane75. III. Il decollo 111 75 D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo cit., III, p. 174. Cancila.QXD 19-04-2006 12:18 Pagina 111 La venuta a Palermo per diporto di Giuseppe Hager, docente di arabo a Vienna, svelò però presto l’imbroglio (la minzogna sa- racina, come lo chiamò il Meli), con l’ausilio determinante del Gregorio, che aveva sempre dubitato della onestà intellettuale del Vella. Per evitare lo scandalo, il governo di Napoli a fine 1794 lo richiamò a Palermo, affidandogli ufficialmente l’inchiesta, dalla quale risultò che il codice martiniano «dalla prima all’ultima pa- gina era stato falsificato». Incarcerato il Vella, poi condannato a 15 anni di reclusione, il sovrano richiese una seconda perizia, af- fidata a mons. Germano Adami, arcivescovo di Aleppo, il quale accertò definitivamente che – il codice martiniano, ossia l’originale, era stato «interpolato e corrotto maliziosamente con linee e punti sopraposti da mano recente ... per renderlo quasi illegibile e così coprire la impostura della pretesa traduzione»; – il codice martiniano era un raccolta di autori arabi sulla vita di Maometto e conteneva «tutt’altro che la pretesa storia di Sicilia»; – il codice normanno, ossia il Consiglio d’Egitto, era «una tra- duzione dalla lingua italiana in una lingua araba corrottissima ... onde è impossibile che questo sia il Consiglio dell’Egitto come lo finge il Vella»; – era evidentissima la falsità «tanto della finta traduzione del Codice Martiniano, e suoi supplementi, che del Codice detto Normanno»76. Sospeso dall’insegnamento universitario (1795), l’abate Vella fu alla fine destituito e, nell’aprile 1797, la cattedra di Lingua ara- ba fu assegnata definitivamente al giovane sacerdote Salvatore Morso (1766-1828), suo allievo, che come interino la teneva dal 1795 e che era già autore di una grammatica araba e di un dizio- nario arabo-latino. Morso darà un contributo fondamentale alla migliore conoscenza della Sicilia araba. Ma Vella aveva tentato si- no all’ultimo di poter continuare ad insegnare anche a Castello a mare, dove era rinchiuso, costringendo la Deputazione a giustifi- care la sua destituzione e anche il mantenimento della cattedra77, 112 Storia dell’Università di Palermo dalle origini al 1860 76 Cfr. Relazione di mons. Germano Adami al sovrano, 1 settembre 1796, in B. Lagumina, Il falso codice arabo-siculo, in «Archivio Storico Siciliano», N. S., V (1881), pp. 243-245n. 77 «La Deputazione giudicò pure che doveasi mantenere quella cattedra sta- Cancila.QXD 19-04-2006 12:18 Pagina 112 che dopo quanto era accaduto costituiva certamente un atto di co- raggio e di lungimiranza insieme di cui bisogna darle atto: il Me- diterraneo era ancora infestato dalla pirateria barbaresca e non erano molte allora le università europee in cui l’arabo veniva in- segnato! La vicenda Vella resta comunque una brutta macchia nella ancora breve storia dell’Ateneo palermitano, perché lo scan- dalo fu enorme e fu conosciuto in tutta Europa. Il reazionario marchese di Villabianca, imperterrito laudator temporis acti, ne approfittava per considerarla un segno dei tempi: Impostura questa che ben vi sta al secolo che appo noi sta corren- do col vanto di secolo illuminato, sebbene io sempre l’ò tenuto per oscuro, piuttosto maldicente e torbido. Affé più sicuri corsero i pas- sati tempi ...78. E intanto disegnava il modello della forca dalla quale avrebbe voluto vederlo penzolare. Nel 1803 il governo ordinò alla Deputazione che al Vella si re- stituissero i libri, ma non i vasi di bronzo e le monete d’oro e d’ar- gento, in gran parte false, che vennero acquisiti al Museo, pagan- do i vasi di bronzo e le monete buone al prezzo di mercato e le monete false sulla base del rispettivo loro valore intrinseco con l’aggiunta di un tarì. 6. Problemi didattici La giubilazione di padre Marullo e la sua sostituzione a fine 1787 con padre Raffaele Drago sulla cattedra di Diritto canonico III. Il decollo 113 bilita da S. M., su l’oggetto che le istruzioni che ne derivano sono utili alla in- telligenza della santa scrittura e della erudizione e letteratura orientale a cui og- gi veggonsi rivolti i dotti e le accademie di Europa; e perché soprattutto è la pe- rizia di quella lingua necessaria in Sicilia, la quale, avendo per tre secoli domi- nata, gli Arabi lasciaron di loro qui più memorie e tutt’ora di essi conservansi la- pidi, monete, diplomi e codici, che han bisogno di studio e di rischiaramenti» (Asp, Cspi, Consulte, reg. 8, cc. 152r-154r, Rappresentanza della Deputazione degli studi al presidente del Regno, 18 marzo 1797). 78 Cit. in A. Baviera Albanese, Il problema dell’arabica impostura dell’abate Vella, in D. Scinà, A. Baviera Albanese, L’arabica impostura, Palermo, Sellerio, 1978, p. 137. Cancila.QXD 19-04-2006 12:18 Pagina 113
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