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Appunti di Storia Romana completi fino all'età Augustea, Appunti di Storia Romana

Appunti di Storia Romana completi e redatti in maniera esaustiva e coerente, presi in classe, ma integrati con libro e altre fonti, approfondimenti in alcuni punti. Esito esame 30.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 03/11/2023

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simona-cammareri 🇮🇹

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Scarica Appunti di Storia Romana completi fino all'età Augustea e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! La data che convenzionalmente sancisce l’avvio della storia di Roma è il 753 a.C.; da qui possiamo dividerla in 3 periodi: ❖ etàmonarchica, divisa in due parti: ➔ prima parte semi leggendaria; ➔ seconda parte storica; ❖ età repubblicana ( dal 509 a.C. quando Tarquinio il Superbo fu cacciato da Roma), che si divide in: ➔ repubblica arcaica (fino alla prima guerra punica ); ➔ media repubblica (fino alla distruzione di Cartagine); ➔ tarda repubblica; ❖ età imperiale, che va convenzionalmente dal 30 a.C. al 476 d.C. La data del 753 è una data fittizia, (è sicuramente più corretto parlare di VIII secolo a.C); il primo a supporla fuMarco Terenzio Varrone, che, dopo una serie di ricerche da fonti a noi non pervenute, arrivò alla conclusione che la città di Roma venne fondata tra la notte del 20 e 21 aprile del 753 a.C.; perché diciamo che non è attendibile? Perché in epoca arcaica non c’era storiografia, - nasce quasi 200 anni più tardi, e gli storiografi tendevano molto ad abbellire e inventare le parti di storia di cui non avevano molte informazioni. (Leggenda di Romolo e Remo); i due fratelli si trovavano in disaccordo su dove fondare la nuova città, Remo voleva fondarla sull’Aventino, mentre Romolo sul Palatino: per disputare a chi spettasse la decisione, concordarono di osservare il volo degli uccelli e interpretare la volontà degli dei: Romolo vide più uccelli di Remo e dunque la città sarebbe stata costruita sul Palatino. La leggenda vuole che quando Remo tentò di attraversare il confine appena tracciato della città in armi, venne ucciso da suo fratello. È un aneddoto tramandato dai nemici di Roma per ricordare che la città fosse sempre stata macchiata del sangue di un atto così empio come il fratricidio, ma è anche una leggenda simbolica. Varrone, ne “La lingua latina”, un’opera dove spiega l’etimologia di alcune parole rare, racconta il rito di fondazione di una nuova città: il “capo” si copriva la testa e, aggiogata una mucca e un bue ad un aratro, tracciava il solco che determinava l’area destinata al centro abitato; il solco veniva chiamato fossa, la terra all’internomurum; il solco era funzionale alla delimitazione di uno spazio sacro, nel murum non si potevano introdurre armi (perciò Remo fu ucciso senza esitazione); lo spazio sacro si trovava post-murum, e prese presto il nome di postmoerium, che divenne pomoerium: il pomerio indica il confine sacro della città di Roma. (es. tempio- τεμνω). La storia della fondazione di Roma è stata considerata canonica per millenni, nonchè unica ipotesi, ma ad oggi gli studiosi hanno introdotto un’altra possibilità, ovvero quella del sinecismo ( συνοκιζειν). In realtà le due ipotesi non è detto che si escludano a vicenda, perchè potrebbe essere stata fondata una comunità che poi si è gradualmente unita alle altre. La storia di Roma e la sua grandezza sono state determinate dalla sua fondazione, questo perché tra i tanti fattori che hanno determinato il destino della città, la sua ubicazione è stata fondamentale (opportunitas loci); la città si trova al centro della penisola, su una zona collinare e quindi facile da difendere; uno dei fattori più importanti è la vicinanza del Tevere: tutte le città più importanti sorgono accanto a corsi d’acqua; Roma sorge sulla riva sinistra del Tevere (distinguiamo le rive a seconda del corso del fiume), molto vicina all’ isola Tiberina, il che costituiva un vantaggio non da sottovalutare poichè determinava il punto in cui le navi da carico che venivano dal mare non potevano più proseguire, la sosta in quel punto rese Roma un punto cardine del commercio marittimo-fluviale. Roma inoltre era vicina alla via Salaria, la via del sale, dove veniva trasportato il 1 sale raccolto alla foce del Tevere (era un bene di prima necessità, usato per esempio per conservare i cibi); e alla via Campana, un’importante via di comunicazione dalla costa tirrenica Toscana alla Campania ( le strade oltre che al commercio servivano a far passare gli eserciti). ETÀMONARCHICA i primi quattro re sono leggendari ROMOLO, NUMA POMPILIO, TULLIO OSTILIO E ANCOMARCIO gli ultimi quattro sono sicuramente esistiti: ❖ TARQUINIO PRISCO - 616 - 578 A.C; ❖ SERVIO TULLIO- 578 - 534 A.C; ❖ TARQUINIO IL SUPERBO- 534-509 A.C. Ovviamente è inverosimile che ci siano stati solo 7 re in 250 anni di monarchia, è più probabile che ce ne siano stati altri che non conosciamo. Grazie ad alcune fonti archeologiche siamo inoltre certi che Roma abbia avuto una fase monarchica; oltre al fatto che esisteva un edificio nel Foro, la Regia, che ospitava la massima carica religiosa il pontifex maximus, che era il residuo di una figura che un tempo era capo religioso e capo della città, il documento archeologico in questione è il Lapis Niger, rinvenuto nel 1899 da Giacomo Boni, nel foro romano. Questa stele si trovava in uno spazio colorato di nero, che si è ipotizzato essere un tempio o un luogo sacro di qualsiasi tipo, appunto per questa colorazione del pavimento che lo distingueva dal resto. Il testo inciso è in latino arcaico e scrittura bustrofedica; a noi però interessa la parola regei, dativo arcaico per regi (rex). La stele è data IV secolo a.C., e quindi siamo certi che in questo periodo Roma era retta da un re. Il resto del testo ricostruito riporta “chiunque violerà questo luogo sarà consacrato/reso sacro (sacer est = ucciso). La zona era probabilmente un templum consacrato ad una divinità infernale (forse il dio Vulcano). Quando parliamo dei 4 re della monarchia arcaica, oltre a tenere a mente che sono leggendari, riscontriamo un altro fenomeno, l’ipostasi: i re rappresentano una personificazione di determinati concetti, ognuno di loro assurge una funzione ideale di introduzione di alcune istituzioni fondamentali della società romana. Romolo (istituzioni politiche),mitico fondatore, secondo la tradizione crea il senato, e sotto di lui il popolo si diede i primi comizi curiati; Numa Pompilio (istituzioni religiose) fonda i sacerdozi (vestali, auguri, pontefici), stabilisce il Calendario; la religione il secondo fondamento alla base della società romana; Tullio Ostilio (conquiste territoriali), fu il re guerriero, fautore delle prime conquiste al di fuori di Roma, un esempio è la leggenda dei Curiazi e Orazi. * Anco Marcio fu il mitico capostipite della gens Marcia, fu una sintesi delle caratteristiche dei re precedenti e successivi. * ORAZI E CURIAZI: la leggenda è narrata da Tito Livio e racconta di come Alba Longa e Roma erano da tempo entrate in conflitto, ma essendo legate da antenati comuni, questo conflitto era considerato empio; dunque decisero di affidare le sorti della città a due gruppi di campioni, gliOrazi (Roma) e i Curiazi (Alba); inizialmente due romani furono immediatamente sconfitti e, utilizzando uno stratagemma, l’ultimo dei figli di Publio Orazio, finse di fuggire verso Roma: i tre gemelli Curiazi lo inseguirono, separandosi, e l’Orazio ne approfittò per far perdere le sue tracce e tendere loro degli agguati separatamente. ➔ Funzioni dei re arcaici secondo la tradizione; Il re arcaico era sommo pontefice; l’etimologia del termine è pons facere: il pontefice è colui che stabilisce un ponte tra umano e divino; della religione in se sappiamo ben poco (non era ancora avvenuto il sincretismo con la religione greca, ma erano stati assimilati culti delle popolazioni limitrofe); il re oltre ad essere sacerdote presiedeva i riti collettivi; dopo Numa Pompilio diventa prerogativa del re stabilire il calendario, ovvero l’alternarsi di giorni feriali e festivi; la vita pubblica 2 Le innovazioni degli etruschi; Gli etruschi erano ad un livello più avanzato dei Romani, dunque migrando introdussero moltissime innovazioni, in moltissimi ambiti. Alcuni sacerdoti etruschi, per esempio, prendevano il nome di aruspici, che si dedicavano ad interpretare la volontà divina che si manifestava attraverso segni esteriori, come il volo degli uccelli, fenomeni naturali o le viscere degli animali; da loro apprenderanno la disciplina gli auguri e l’aruspicina diventerà fondamentale nella sfera delle suggestioni romane, tant’è che si consultavano gli auguri per ogni evento importante. Dal punto di vista linguistico introdussero l’usanza delle abbreviazioni, ad esempio del prenomen; Gaio Giulio Cesare diventa C. Giulio Cesare. (perché nell’alfabeto etrusco, da cui attinge quello romano, non esiste la G). Gli etruschi erano infine anche esperti nella canalizzazione delle acque, il che a Roma fu fondamentale: dato il suolo collinare alternato da salite e discese, accadeva spesso che negli avvallamenti l’acqua stagnasse, diffondendo pericolose malattie come la malaria. Da qui i romani impararono a modellare il mondo che li circondava a seconda delle loro esigenze; l’interventismo caratterizza i romani per tutta la loro storia. Sotto la guida dei re etruschi e in particolare quella di Tarquinio Prisco, vennero costruiti alcuni dei monumenti più importanti: la cloaca maxima (rete fognaria attestata fino in età classica) la regia (sede del re/pontifex maximus), il foro (prima di costruirlo fu necessario bonificare la zona), il comitum (luogo dove si tenevano i comitia), la curia (sede del senato), le tabernae (negozi). Nella prima metà del IV secolo a.C. viene edificato anche il Foro Boario (fuori dal pomerio, nei pressi del ponte Sublicio); questo è molto importante, in quanto gli etruschi portarono anche l’abitudine di non commerciare il bestiame insieme alla roba da mangiare, ma il punto più importante è la sua ubicazione, che permetteva di intrattenere rapporti commerciali con gli stranieri. Gli etruschi erano anche abili e ordinatissimi costruttori di città: dividevano il territorio con una linee nord-sud, il cardo, e una orizzontale, il decumano, su questa base tracciavano una rete di strade ordinata e regolare (oggi così è Torino). A Roma questo non fu mai possibile, per la conformazione del territorio la disposizione delle case, edifici e monumenti fu sempre molto disordinata; inoltre i Romani continuarono, anche dopo la fase etrusca, a costruire con il legno, dunque ci fu sempre un altissimo pericolo di incendio. Quanto alle zone signorili, fu in questo periodo che nacque la struttura della domus romana, che durerà per secoli. ➔ EDILIZIA PUBBLICA; Sotto Tarquinio Prisco furono avviate delle costruzioni tra le più importanti di Roma: ❖ il Circo Massimo (600 x 140 m, 8500m2 = 3-4 campi da calcio), dove si svolgevano le corse dei cavalli, oggi non esiste più ma è possibile vederne il perimetro; ❖ il Tempio di Giove Capitolino, situato tra il Palatino e la Rocca; la costruzione viene avviata, ma durerà circa un secolo; inoltre non venne consacrato sotto gli etruschi, ma secondo la tradizione durante il primo consolato. ❖ il Tempio di Giove, Giunone e Minerva, gli etruschi erano soliti venerare le triadi, soprattutto vediamo che le divinità femminili qui sono in maggioranza, questo perchè le donne etrusche erano considerate diversamente da quelle romane (esse erano più libere e i costumi non erano poi tanto rigidi, tant’è che per secoli definire una donna toscana, significava donna di facili costumi, prostituta). Questo tempio diventerà poi il luogo di culto nazionale (termine anacronistico, non esisteva il concetto di nazione) romano. ➔ ISTITUZIONI INTRODOTTE DA TARQUINIO PRISCO; Come abbiamo visto prima, la tradizione vuole che Tarquinio Prisco sia diventato re per volere del 5 popolo, ma non riporta anche per volere del senato. Possiamo dunque affermare che Tarquinio Prisco inauguri una fase in cui il re non fa affidamento sul senatus consultum tanto quanto in precedenza; questo però non fu ancora motivo di scontro (lo vedremo con Tarquinio il Superbo). Tarquinio Prisco però fu autore di alcune introduzioni molto importanti: nella storia (in generale) vedremo spesso quanto sia importante, al fine di affermare il proprio potere, darsi un’immagine, ed è proprio quello che fa Tarquinio Prisco: introdurre i segni esteriori del comando, che andranno a caratterizzare il re: ❖ la veste di porpora; ❖ lo scettro sormontato dall’aquila (che in età repubblicana diventerà il simbolo della legione) ❖ i littori (esistevano già), furono dotati di alcuni simboli, le scuri e delle verghe riunite in fasci; il loro compito era annunciare l’arrivo del re; le scuri e le mazze servivano per dare dimostrazione del potere re di vita e di morte. A quanto sembra, sotto i re etruschi venne anche introdotta una pratica che verrà portata avanti per secoli, quella del trionfo. Si trattava di una cerimonia pubblica, in cui il comandante vittorioso sfilava lungo la Via Sacra, seguito dal suo esercito, dagli eventuali prigionieri di guerra e dal bottino. Una cerimonia che ricorda molto quella del carnevale. Il comandante si tingeva il viso di rosso, che ricordava il colore del sangue, ma soprattutto per distinguersi anche nelle caratteristiche fisiche da tutti gli altri uomini, visto che aveva già dato prova della sua superiorità in campo. C’era l'abitudine di “offendere” il comandante con battute scherzose e lascive, i carmina triumphalia, per mantenere il comandante con i piedi per terra ed evitare che peccasse di υβρις. Ιl comandante vittorioso, dopo la battaglia veniva accolto dai soldati che lo chiamavano imperator (non significa ancora imperatore), questa usanza prendeva il nome di salutatio imperatoria. Il trionfo durerà fino all’età imperiale. SERVIO TULLIO 578-534 a.C; Secondo la tradizione, Servio Tullio non prese il potere in maniera pacifica, ma su di lui gli interrogativi sono tanti. Innanzitutto la tradizione lo riporta con un nome diverso dai Tarquini, negando spesso che fosse di origine etrusca. Le nostre fonti, Dionigi di Alicarnasso e Tito Livio, riportano versioni discordanti e diverse teorie La fonte più importante che abbiamo, però, non è storiografica. Si tratta di un discorso tenuto dall’imperatore Claudio nel 48 d.C, che fu trascritto sulla Tavola di Lugdunum ( Lione). Il discorso si tenne appunto a Lione, centro più importante della Gallia e si discuteva se ammettere o meno gli aristocratici galli nel senato romano. Claudio si manifesta a favore di questa scelta, sottolineando che di fatto l’assimilazione era sempre stata parte della tradizione romana, e non rispettarla sarebbe stato un tradimento delle proprie radici. A sostegno della sua ipotesi, Claudio, un esperto etruscologo, fa riferimento al fatto che Roma era così aperta da aver avuto anche re etruschi, tra cui, appunto, Servio Tullio. Secondo Claudio egli era un Etrusco, e in origine di chiamava Mastarna. Quindi la tradizione è divisa in due: chi affermava che fosse etrusco e chi lo negava. Anche Tito Livio, nel 12 libro degli annales riporta una versione vagamente simile di questo discorso, che pur non essendo fedelissimo, ci aiuta a contestualizzare. Tito Livio racconta che ci fu un tempo in cui Roma era retta da re, ma la monarchia non fu mai ereditaria, e che addirittura furono molti i forestieri a conquistarne la corona, come Numa Pompilio (sabino), i Tarquini e Servio Tullio. Quest’ultimo era figlio di una plebea di nomeOcrisia ed era sodalis (fedele compagno in armi) di un certo Cele Vibenna, e al tempo si chiamava Mastarna; dopo la sconfitta del suo caro compagno, secondo Tito, Mastarna si impadronì di uno dei colli di Roma a cui diede come nome Celio. In verità, fino all’800, gli studiosi erano convinti che Servio Tullio fosse latino; questo fino al 1857, quando nella città di Vulci fu fatta una scoperta archeologica sensazionale. Si tratta della tomba François, che prende il nome da Alessandro François, colui ad averla scoperta. La tomba risale al 350 a.C. circa (dunque successiva a questi eventi di qualche secolo); le decorazioni raffigurano scene di guerra costellate da personaggi, ma la cosa più importante è che ognuno dei 6 personaggi è accompagnato da una didascalia con il proprio nome. E tra questi personaggi vi erano anche Caile e Aule Vipinas (Cele/Celio e Aulo Vibenna), due fratelli provenienti da Vulci; c’è anche un altro personaggio,Macstrna, che a differenza degli altri riporta solo un nome ( si è ipotizzato che fosse il nome di una carica/titolo tipo magister). Nella scena poi Cele Vibenna appare con le mani legate e Macstrna lo sta liberando. Tra i personaggi c’era anche un Cneve Tarchunies Rumach (Cneo/Gneo Tarquinio Rumach, un locativo che indica la città di provenienza), decisamente misterioso e non abbiamo idea di chi possa essere. Questa scena va a confermare la storia di Claudio, ma non abbiamo precisamente idea di quali fossero state le dinamiche, perché Cele Vibenna e il suo clan stessero combattendo contro Roma e come avvenne la presa di potere di Servio Tullio. Quello su cui possiamo essere certi è che Servio Tullio era senza dubbio etrusco, e che la tradizione successiva (soprattutto quella repubblicana) ha tentato di oscurare questo fatto in nome del risentimento (successivo alla cacciata di Tarquinio il Superbo) nei confronti degli etruschi, perchè con Servio Tullio furono introdotte delle istituzioni molto importanti che non si volevano attribuire ad un etrusco. ➔ Istituzioni serviane; Il senato viene portato a 300membri (il suo numero canonico fino a Silla), poiché vengono ammessi membri dei clan fedeli al re. Un cambiamento fondamentale fu la creazione di quattro tribù, che non si basavano più su arcaici legami di sangue, ma sulla zona di residenza; si tratta di un notevole passo avanti verso la modernità. In questo momento storico non si era ancora formato un vero e proprio esercito, ma era l’intero corpo civico a combattere; una delle riforme serviane coinvolse proprio questo sistema: egli introdusse una nuova armatura e un nuovo modo di combattere. Fino a quel momento si era combattuto in maniera disordinata e casuale, gli atti di guerra non avevano né strategia (individuare un obiettivo e i modi/mezzi per raggiungerlo), né tattica (è un’arte della tecnica militare studia i modi di schierare le truppe e le manovre più vantaggiose, è analoga alla strategia, ma non propriamente la stessa cosa; si applica a tutte le forme di lotta), ma si basavano su incursioni e razzie. Servio Tullio dunque introduce l’ armamento oplitico ( in grecia già nel VII secolo a.C.), un termine tautologico perchè τα οπλα sono proprio le armi. Elemento fondamentale dell’armamento era lo scudo, che assume una forma fissa: rotondo e ampio, con una doppia impugnatura, tenuto nella mano sinistra. I soldati, marciando in ranghi serrati, non coprivano soltanto se stessi con lo scudo, ma anche il fianco destro del compagno accanto. Questo gesto sviluppa un senso di coesione dell’esercito in battaglia, da ognuno dipendeva non solo la propria vita, ma anche quella dell’altro. Tuttavia, le armi non erano fornite dallo “stato”,ma ogni cittadino era tenuto a comprarsele da solo: questo creò squilibri non indifferenti all’interno della società, perché non tutti, ovviamente, potevano permettersi un armamento così costoso. I più ricchi combattevano di più, ma automaticamente, più combattevano, più avevano il diritto di prendere decisioni; quindi ricchezza=combattimento=potere. Servio Tullio introduce in questo ambito anche una riforma politica, l’ordinamento serviano, atto proprio a suddividere la società. ❖ al livello più basso ci sono i proletari, la cui unica ricchezza è la prole; oltre ai figli sono nullatenenti, dunque non possono procurarsi le armi e non combattono; non hanno potere decisionale e sono relegati ai margini della società; ❖ di seguito abbiamo gli accensi (ad censum= aggiunti al censo); pur non potendo combattere vengono arruolati per coprire ruoli minori (portatori di stendardi, scavatori, carpentieri); ❖ quarta e quinta classe sono i più poveri tra gli arruolabili; non possono permettersi neppure una spada; i primi sono eventualmente armati di giavellotto e i secondi addirittura di fionda; il loro impiego è raro, soltanto in casi di emergenza; ❖ seconda e terza classe erano abbastanza ricchi da permettersi un’armatura, però, incompleta (reddito tra 75.000 e 50.000 assi); combattevano corpo a corpo, potevano permettersi lo scudo. ❖ prima classe, la fascia più ricca (100.000 assi); avevano l’armatura completa, che consisteva in scudo, corazza, elmo, gladio (gambali dalle ginocchia in giù). ❖ i cavalieri, la classe dei super ricchi (+100.000 assi). 7 principio della fides, (πιστις), la cui traduzione non rende giustizia alla complessità della sua accezione: la fides è un vincolo etico che obbliga il mantenimento di relazioni fondate sull’onestà e la limpidezza, anche con i nemici. È un principio sacro: il nemico non si ingannava, si sconfiggeva sul campo (in seguito la mancanza di fides sarà caratteristica dei cartaginesi - fides punica indicα proprio la slealtà). Attribuire un crimine così empio ad una figura è il primo passo verso la falsata caratterizzazione di un mostro: a Tarquinio, che era odiato dalla classe senatoriale, viene fatto commettere il crimine peggiore che si potesse compiere a Roma, per assicurarsi che la storia successiva avesse continuato a spergiurare sul suo conto e odiarlo. Tuttavia, intorno a questo episodio c’è un’intricata controversia: oltre a Tito Livio, lo racconta anche Dionigi di Alicarnasso (Storia di Roma Arcaica), in modo simile; questo dimostra che non è stato Livio ad inventare l’episodio, ma si sono entrambi rifatti a fonti precedenti. Tuttavia, Dionigi espone un fatto che Livio ha (volutamente?) trascurato: l’episodio è presente già in Erodoto (V secolo a.C.). Infatti Dionigi “mette le mani avanti”, sostenendo di non credere alla vicenda, in quanto simile a quella di Trasibulo e Periandro. Erodoto infatti raccontava di Periandro, tiranno di Corinto, che manda un messaggero a Trasibulo, tiranno di Mileto, per chiedergli quale fosse il modo migliore per tenere la città sotto controllo; Periandro non disse una parola, e condotto il messaggero in giardino si mise a tagliare le punte delle spighe che si ergevano più alte delle altre. Sotto Tarquinio il Superbo, ci furono tante espansioni territoriali, alcune anche diplomatiche; con la città di Cuma, retta dal tiranno Aristodemo, Tarquinio concluse un trattato di alleanza; i romani si stanno sempre di più inclinando verso l’espansione nel Lazio. Ancora, secondo la tradizione, nel 509 a.C ( che è ancora un anno monarchico), fu stretto un accordo anche con i Cartaginesi, riguardo le proprie sfere di influenza; questo ci fa capire che la prospettive di Roma stanno diventando internazionali, e che Roma è abbastanza potente da poter stringere un accordo con la maggiore potenza marittima mediterranea dell’epoca. Polibio racconta di aver letto questo trattato negli archivi di stato romani. Gli obblighi dei romani, al fine dell’alleanza, erano il divieto per sè e per i loro alleati, di navigare oltre Promontorio Bello (odierna Tunisia); a meno che non si trattasse di un’emergenza, in quel caso gli era proibito commerciare, eccetto l’acquisto di beni di prima necessità necessari per risolvere il problema che aveva causato il soggiorno e andarsene (entro 5 giorni). Per gli affari commerciali in Libia e Sardegna, il prezzo delle vendite era stabilito dai cartaginesi, così come nella Sicilia occidentale. I Cartaginesi erano vincolati a non nuocere a Roma e tutti i suoi alleati ( Ardea, Anzio, Terracina- all’epoca Anxur); in realtà più che alleati, il termine che utilizza è soggetti; quanto ai popoli non soggetti ai Romani, vige comunque il divieto di attaccarli, così come di costruire roccaforti nel lazio; sono obbligati a restituire qualsiasi cosa prendano ai romani. Vediamo che questo trattato ci da informazioni interessanti: 1) Roma ha assunto definitivamente una posizione egemonica nel Lazio; 2) è in grado di spingersi fino in Africa per commerciare. Ma come facciamo ad essere sicuri che questo trattato sia stato stipulato effettivamente sotto Tarquinio il Superbo? Indizio significativo sono delle laminette provenienti da Caere ( Cerveteri) e rinvenute al porto di Pyrgi, datate fine VI secolo a.C., scritte in cartaginese (fenicio) ed etrusco; dalla lettura delle lamine risulta che Thefarie Velianas, designato nel testo fenicio come il re di Caere, dedica un "luogo sacro" alla dea Astarte,Uni per gli Etruschi. Sul piano storico la dedica in fenicio da parte di Thefarie costituisce testimonianza diretta della stretta alleanza che legava Etruschi e Cartaginesi dal tempo della battaglia di Aleria, in Corsica (contro i Focesi) (540 a.C. ca.), coincidente con la grande espansione di Cartagine nel Mediterraneo. Queste lamine dorate sono la prova che sotto il periodo di Tarquinio il Superbo si intrattenevano rapporti di alleanza con i cartaginesi; (ricordiamo che Roma in questo periodo è ancora sotto la “dominazione etrusca”, quindi appartiene agli ambiti etruschi a tutti gli effetti). ➔ Dal punto di vista dello sviluppo edilizio, è sotto Tarquinio il Superbo che viene completata la 10 costruzione del tempio di Giove Capitolino; che sarà centro del culto romano, ma non verrà dedicato (consacrato alla divinità) da Tarquinio S., ma secondo le fonti fu dedicato dai primi consoli, probabilmente perché la tradizione volle attribuire la consacrazione del tempio più importante del culto romano a chi aveva di fatto scacciato gli etruschi e liberato Roma dalla tirannide. ➔ Mα come avvenne la cacciata di Tarquinio il Superbo? Secondo la tradizione, T.S. viene cacciato nel 509 a.C., a seguito di un evento scandaloso; talmente tanto scandaloso che in futuro la carica di rex sarebbe diventata addirittura illegale: a nessun uomo sarebbe mai più stato permesso di centralizzare il potere nelle sue mani, la monarchia divenne tabù, infamia, e punibile con la morte (Cesare). Persino quando si sviluppò nuovamente la figura di un unico detentore del potere, fu rifiutata l’accezione di re e fu preferita quella di imperatore. L’episodio è molto famoso, quasi sicuramente per cultura generale ne siamo anche vagamente a conoscenza, si tratta della storia di Lucrezia (narrata anche da Ovidio nei Fasti). Lucrezia era la moglie di Lucio Tarquinio Collatino (cugino del re) ed era considerata la matrona per eccellenza, bella, virtuosa e soprattutto fedele al marito. Di lei si invaghisce il figlio del re, Sesto Tarquinio, e tenta di sedurla. Mentre L. Tarquinio Collatino e Sesto si trovano con l’esercito non molto lontano da Roma, quest’ultimo lascia il campo e si presenta a casa di Lucrezia, che riconoscendo il parente lo lascia entrare. Qui Sesto Tarquinio tenta di sedurre Lucrezia e convincerla a tradire il marito e ai suoi continui e fermi rifiuti, Tarquinio minaccia di ucciderla e di uccidere un servo al fine di inscenare un delitto d’onore per un tradimento scoperto, cosa che avrebbe infangato la sua reputazione e quella del marito; Lucrezia non volendo che questo accadesse, cede alla violenza. Dopo che l’empio atto fu concluso e Sesto ritornò al campo, Lucrezia informò il padre e il marito dell’accaduto, e infine si tolse la vita. Questo l’episodio che, secondo la tradizione, avrebbe sollevato una rivolta di L.T. Collatino e Lucio Giunio Bruto contro Tarquinio S. e suo figlio; ad essi si uniranno in un secondo momento Publio Valerio Publicola eMarco Orazio. La famiglia reale, costretta alla fuga si rifugia, non immediatamente, a Cuma, presso Aristodemo. ➔ Può essere definita una guerra civile? Non precisamente; il conflitto combattuto da due fazioni e suddiviso in due fasi: la rivolta nasce in seno alla famiglia dei Tarquini, precisamente tra il ramo principale della dinastia, quello destinato a governare, e il ramo cadetto dei Collatini. Più che una guerra civile, si tratta di una faida familiare. Ciò che rimane avvolto dal dubbio è quando e in quali circostanze sono subentrati altri personaggi estranei alla famiglia. Ci sono diverse ipotesi, la migliore è sicuramente quella secondo cui ad un certo punto del conflitto l’aristocrazia decise di approfittarsi di questo momento di debolezza, cogliendo l’occasione per rovesciare la monarchia; secondo alcune versioniMarco Orazio e Valerio Publicola sarebbero stati i primi consoli nel 509 a.C. Il risultato di questa rivolta sarà la cacciata di tutti i Tarquini, compresi i Collatini. Da qui in poi la monarchia diventerà tabù. Ovviamente la storia di Lucrezia è un pretesto, una leggenda, meglio definibile un exempla, una sorta di parabola, un racconto che serve ad insegnare qualcosa, in questo caso alle giovani matrone a seguire il comportamento esemplare di Lucrezia. Tuttavia, ci sono fonti che confermano che qualcosa sia effettivamente avvenuto: si tratta del Lapis Satricanus, la pietra di Satrico, scoperta nel 1977. Fu rinvenuta una base, forse di una statua, su cui è riportata un’ incisione: « Publioso Valesiosio» un genitivo arcaico che sta per “ di Publio Valerio”, gli archeologi sono riusciti a datare questa iscrizione al 500 a.C.; la parola successiva è «sodales», i compagni in armi, che indicano che questa figura potrebbe effettivamente essere un capo. La parola successiva è una conferma decisiva: «Mamartei» è un dativo arcaico che indicherebbe che questo oggetto sia stato dedicato al dio Marte dai compagni di Publio Valerio. La versione tramandata dalla tradizione lascia agli storici attuali molti punti interrogativi; ad esempio, è riportato che dopo la cacciata dei Tarquini, giunse dalla città di Roma un tale Porsenna, 11 re etrusco, che tentò di occupare Roma. In quali circostanze? Per quale motivo? La tradizione vuole che Porsenna re di Chiusi, giunse a Roma per ripristinare i Tarquini, ma decise di abbandonare l’assedio, stupefatto dagli atti di eroismo dei romani. Tra gli atti eroici va ricordato quello diOrazio Coclite (cocles- con un solo occhio), fermò da solo l’avanzata degli etruschi mentre i suoi compagni demolivano il ponte Sublicio, che avrebbe impedito l’ingresso di Porsenna in città, dopo aver costretto a mettersi in salvo gli unici due compagni che tentarono di aiutarlo; secondo Polibio, al termine della demolizione del ponte si gettò in acqua, ma avendo ancora indosso l’armatura, annegò; secondo Tito Livio, invece, riuscì a raggiungere Roma e fu ricoperto di onori. Gli etruschi allora decisero di assediare la città e conquistarla per fame; allora un certoGaio Mucio, decise di attentare alla vita del re di Chiusi, ma fallì, uccidendo un servo. Portato al cospetto del re, egli bruciò sul braciere la sua stessa mano destra, con la quale aveva tolto la vita ad un innocente e con cui non avrebbe mai più impugnato un’arma. Porsenna iniziò a temere il coraggio dei romani, e fu aperto alle trattative. Tra le condizioni della pace, fu concordato di concedere a Porsenna 9 ragazze come ostaggi, tra le quale c’era Clelia; donna romana dallo spirito indomito, ella persuase le sue compagne a fuggire e persino ad attraversare il Tevere a nuoto, dato che il ponte Sublicio era stato demolito. Tuttavia, quando furono di nuovo a roma, i consoli, amareggiati, furono costrette a rimandarle indietro per onorare i patti con gli etruschi. Giunte al cospetto di Porsenna, egli chiese loro chi avesse organizzato la fuga e Clelia ammise con fierezza la sua colpevolezza, senza traccia di pentimento, e che lo avrebbe rifatto; Così la leggenda vuole che, ammirando il coraggio dei romani, Porsenna decise di abbandonare l’assedio. Ovviamente è tutto falso. Gli studiosi si sono interrogati molto sul motivo dell’assedio di Porsenna, se effettivamente avesse tentato di re-insediare i Tarquini, se volesse conquistare Roma e addirittura se fosse stato lui a cacciare i Tarquini ( ovviamente l’ipotesi è stata confutata quando è stata confermata la storicità di Valerio Publicola). È certo che per un periodo Roma è stata effettivamente occupata dalle forze di Chiusi; addirittura Tacito nel II secolo d.C. racconta che sotto Porsenna fu imposto ai romani il divieto dell'utilizzo del ferro, tranne che per uso agricolo. Dunque per aver importo ai romani il disarmo, è probabile che Porsenna non se ne sia andato pacificamente. La spiegazione più probabile è che Porsenna, come tanti altri, abbia tentato di approfittare della situazione di crisi che seguì la fine della monarchia, e ci riuscì per alcuni anni. ➔ POLITICA INTERNA; Quasi tutte le fonti riportano che dopo la cacciata dei Tarquini furono eletti i primi consoli, di cui forniscono anche i nomi; in realtà questi nomi sono molti e vari, inducendoci a pesare che i primi consoli non fossero soltanto due, ma che infine rimasero soltantoMarco Orazio e Publio Valerio Publicola, i cui nomi tradiscono un’origine latina. Le origini del consolato, la magistratura suprema sono incerte, non sappiamo nulla della sua forma originale, né se i consoli fossero effettivamente due e se questo fosse effettivamente il loro ruolo. Di base dobbiamo considerare la repubblica come un organismo vivente in continua evoluzione, di fatto il sistema governativo repubblicano si sviluppa per ben 150 anni; il fondamento comune è che le responsabilità di governo sono gestite damagistrati. Questo incarico si avvicina molto vagamente a ciò che intendiamo noi perministri; per i romani i magistrati erano capi politici. Il principio di queste cariche è la graduale distribuzione a più e più individui di quel potere che originariamente era concentrato nelle mani del singolo, del sovrano; questo è ciò che si verifica tra il 509 e il 367 a.C. Le magistrature vennero introdotte progressivamente a partire dal 509, il numero di magistrati aumenterà con l’estensione dell’imperium: più si allargheranno i confini di Roma, più sarà necessario introdurre nuove figure politiche. Rispetto al potere gestito dal re, le cariche repubblicane erano diverse: anzitutto, come abbiamo detto, era assolutamente vietato governare da soli (tranne in un caso molto particolare che vedremo dopo); poi, tutte le cariche erano collegiali, dunque era obbligatorio che almeno due 12 che servivano a decriptare la volontà degli dei; hanno un rapporto diretto con la sfera del sacro; ❖ sempre loro sono gli unici a poter ricoprire lemagistrature, soprattutto il consolato e la dittatura; ❖ la spartizione del bottino di guerra era fatta in modo iniquo, ovviamente ai patrizi spettava una percentuale maggiore; in questo periodo il bottino di guerra consiste prettamente in terreno; quello dei popoli vinti veniva incorporato come ager publicus; i privilegi dei patrizi li portavano ad essere di fatto leggermente più ricchi dei plebei, ma il dislivello sociale si verifica in quanto essi, possedendo più beni, diventano anche creditori, o anche usurai; chi contraeva un debito doveva offrire una garanzia, e chi non possedeva niente poteva offrire solo se stesso;ma qualora il debitore non fosse riuscito ad estinguere il proprio debito, diventava un servus, uno schiavo; La schiavitù per debito si chiama nexum ( gli schiavi si dicono nei,orum), una situazione che si verifica anche ad Atene. La differenza tra patrizi e plebei sta anche nei numeri: ove i patrizi erano di numero ristretto, i plebei invece erano tanti. Nel V secolo a.C., con i conflitti sia esterni che interni che scuotevano Roma, un numero sempre maggiore di plebei cominciò ad essere utilizzati nell’esercito, anche le fasce più povere; tuttavia ciò comportò che questi ultimi cominciassero ad avanzare alcune rivendicazioni, come l’abolizione del nexum, equità nella spartizione del bottino di guerra, o anche l’ammissione allemagistrature, anche al consolato. I plebei inoltre, sαlvo alcune forzate idealizzazioni storiografiche, furono capaci di sostenere le proprie richieste facendo fronte comune. Il sistema di lotta privilegiato fu la secessione, il ritiro, in particolar modo verso l’Aventino, il monte sacro. In questo modo i plebei lasciavano il pomerium e andavano a rompere un principio sacro, la pax deorum, poichè non partecipavano più ai riti collettivi. I plebei furono anche astuti nel decidere quando abbandonare la città, ovvero nel momento del bisogno: la prima secessione avvenne nel 494 a.C., nel corso di un attacco dei Volsci, accettando di rientrare soltanto a determinate condizioni: la costituzione di un’assemblea riservata ai plebei, il concilium plebis, dove venivano consultati i pareri della plebe; questi pareri venivano chiamati plebisciti; inoltre, i plebei chiedevano di poter eleggere annualmente i propri rappresentanti, i tribuni della plebe, due, come i consoli, a cui spettavano alcune prerogative, come la sacrosanctitas, l’inviolabilità personale: chiunque tentasse di ostacolare l’operato di un tribuno della plebe poteva essere reso sacer, ovvero ucciso. Le fonti definiscono che questo principio veniva sancito da un particolare plebiscito, la lex sacrata: un plebiscito accompagnato da un giuramento. I tribuni della plebe godevano di alcuni diritti: lo ius auxilii prevedeva il diritto di aiutare qualunque cittadino vittima di soprusi dei magistrati patrizi; una precisazione opportuna da fare è che il potere dei tribuni della plebe si stabilizza e definisce nel corso del tempo, all’origine pareva essere addirittura un potere alquanto anarchico, ma che poi prende delle forme ben precise; tra i diritti dei tribuni vi è anche lo ius coercitionis, ovvero il diritto di costringere un magistrato a fare qualcosa; poi lo ius agendi cum populo et cum senatu, il diritto di convocare le assemblee (ad un certo punto anche il senato); e infine anche lo ius intercessionis, ovvero il diritto di veto: a Roma ogni magistrato aveva diritto di veto sulle decisioni del proprio collega, ma i tribuni della plebe lo potevano esercitare su tutti i cittadini, e ad una serie di atti pubblici. Un’interessante differenza da sottolineare tra i tribuni della plebe e i consoli, è che i primi esercitavano il loro potere soltanto all’interno del pomerium, nello spazio sacro, il che rendeva la loro figura e il loro potere sacri; i consoli, d’altro canto, detenevano l’imperium soltanto al di fuori del pomerium, in quanto all’interno dei confini non si potevano introdurre armi. Abbiamo accennato al fatto che i tribuni fossero due come i consoli, ma molto rapidamente essi crebbero di numero, già alla metà del V secolo a.C. se ne potevano contare ben dieci, e così restarono fino alla fine della repubblica. ➔ I CONCILIA PLEBIS; 15 Se da una parte conosciamo il funzionamento dei comizi centuriati, quello dei concilia plebis originari ci è ignoto; sappiamo però che intorno al 470 a.C. vennero regolamentati e fu introdotto il concetto di unità di voto, che, invece delle centurie, prevedeva come base le tribù: una cosa molto importante, poiché si tratta di un’assemblea dove il fattore economico non ha peso. Abbiamo lasciato Servio Tullio con le sue 4 tribù, ma in questo momento esse sono ben 21: le 4 urbane e le 17 rustiche, situate al di fuori del pomerium, nell’ager romanus ( aumenteranno successivamente finanche a 35); assistiamo alla nascita di un’assemblea che decide su una base egualitaria, che in seguito sarà parificata ai comizi centuriati e ne avrà la stessa funzione, introducendo il concetto di leggi popolari, che non sarebbero mai state votate dai comizi centuriati. Ovviamente non c’era nessuna differenza gerarchica tra le diverse tribù, anche se venivano convocate in assemblea all’interno del pomerium, dove effettivamente i tribuni potevano esercitare il loro potere ➔ LA FAMILIA; È la cellula della società romana; a capo della famiglia vi era il pater familias,ma il concetto di nucleo familiare è ben più ampio di quello odierno: nella famiglia rientravano anche parenti prossimi, persone che abitavano nella domus, anche gli schiavi, tutti quanti rispondevano all’autorità del pater familias che possedeva le proprietà e il patrimonio ( composto da tutti i beni posseduti, come il terreno, il bestiame ecc). Il pater familias esercita la patria potestas, il potere del padre, su tutti i membri della famiglia, che comprendeva anche il diritto di vita e di morte, il padre poteva decidere di uccidere un familiare; questo perché il pater svolge diversi ruoli all’interno della famiglia, come quello di sacerdote dei riti privati del culto familiare (antenati), ma anche quello di giudice. Più famiglie imparentate tra loro formano una gens, che rappresenta l’atomo della società romana; si tratta di famiglie raggruppate che si riconoscono in un antenato comune; ad esempio la gens Iulia si proclamava discendente di Iulo (Ascanio), figlio di Enea. Il rapporto che stringeva le gens era compatto e di reciproca solidarietà, come prevedeva ilMosMaiorum stesso; di fatto le gens si sostenevano anche nella vita politica. L’appartenenza ad una famiglia, e dunque ad una gens, si manifestava anche nel nomen, che equivale al nostro cognome, mentre il prenomen era l’equivalente al nome di battesimo; in seguito, nelle famiglie di alta aristocrazia si introdurrà anche il cognomen, che indica i diversi rami della stessa gens (es: Publio Cornelio Scipione e Publio Cornelio Lentulo). Abbiamo detto che nel nucleo familiare rientravano anche gli schiavi e conseguentemente anche i liberti, gli schiavi che il padrone decideva di liberare. La schiavitù si diffonde maggiormente in età repubblicana piuttosto che in età arcaica; se all’inizio si schiavizzavano i prigionieri di guerra che non erano cittadini romani, in questa fase lo schiavo principlae è il debitore; essi fanno parte a pieno titolo della famiglia, e ,anche se liberati, il legame non si interrompe: tra il liberto e il patronus scorre un legame di reciproca fiducia. ( gli schiavi non sono solo debitori, in questo periodo di conflitti si soleva schiavizzare i prigionieri di guerra - anche scambiarli con cittadini romani fatti prigionieri dai latini - ma si poteva essere schiavi anche se figli di schiavi, e poteva anche capitare che un padre vendesse il proprio figlio come schiavo, anche se molto raramente). Il rapporto tra patrono e liberto è molto interessante da analizzare; il rapporto di clientela ha un’accezione totalmente diversa da quella odierna; per i romani era un tipo di relazionamento tra un uomo potente e una persona comune, di una sfera sociale più bassa, il cliens; questo rapporto era diretto e si basava sul principio della fides, la lealtà, la fiducia, la buona fede; si tratta di un concetto ricchissimo di significato e soprattutto importantissimo nella società romana; non è un caso se patronus è anche il termine che si usa per indicare un avvocato difensore, (advocatus avrà una ldiversa connotazione in ambito giuridico); ovviamente il cliens deve rendere dei servigi al patrono, magari votando per lui secondo le sue indicazioni; la protezione di chiama patrocinium. ➔ LEGGI SCRITTE; 16 A Roma era assente un corpus di leggi scritte: la maggior parte delle norme era tramandata oralmente, che potevano essere interpretate a proprio vantaggio da parte dei giudici; nella prima metà del V secolo a.C., questa è una delle principali rivendicazioni dei plebei. Roma da questo punto di vista era indietro rispetto magari ad Atene, dove Dracone e Solone introdussero la legislazione scritta già nel 590 a.C. Secondo la tradizione, il corpus di leggi scritte fu realizzato tra il 451 e il 450, da una commissione di dieci membri i decemviri, il cui compito, però, non fu quello di creare una legislazione, ma di mettere per iscritto le leggi che già vigevano. Nel 451, sempre secondo la tradizione, furono pubblicate 10 tavole di leggi, dopodichè l’anno successivo la commissione fu soppiantata, e sappiamo che fu presieduta da Appio Claudio, e vennero aggiunte altre due leggi, per un totale di 12. Dall’analisi dei pochi frammenti a noi pervenuti, possiamo vedere come nella Roma neo repubblicana la violenza è ancora fortemente preponderante come principio regolatore. Vediamo alcune leggi: ❖ la legge del taglione; conosciamo certamente l’espressione biblica «occhio per occhio, dente per dente» , che secondo il nostro punto di vista appare sicuramente come una forma di giustizia alquanto primitiva, tuttavia la legge del taglione rappresenta un progresso rispetto all’arcaico delitto di sangue, che prevedeva che un omicidio potesse essere vendicato fino alla settecentesima generazione; la legge del taglione subentrava quando non si raggiungeva un accordo; ❖ leggi di tutela della famiglia e della proprietà; ❖ leggi di limitazione sull’applicazione della pena di morte; il condannato a morte poteva fare appello al giudizio del popolo, la cosidetta provocatio; ❖ leggi di tutela dell’igiene pubblica; viene vietata la sepoltura di morti in città, così come la cremazione; ❖ viene legittimato il diritto di un padre di vendere il figlio come schiavo, così come anche il nexum; ❖ viene legittimato il rapporto di clientela; ❖ leggi che vietano i matrimoni misti tra patrizi e plebei; ❖ viene autorizzata l’uccisione di un ladro, ma solo se si introduceva in casa di notte. Nel 499 a.C., a seguito di uno scandalo (?) il decemvirato viene smantellato e viene ripristinato il consolato. Cassio Dione, una fonte piuttosto tarda (XII sec), afferma che in questo preciso anno i consoli vennero chiamati tali per la prima volta, e che fino a quel momento erano detti pretori; afferma che i primi furono Lucio Valerio e Marco Orazio, e che fossero ben disposti nei confronti della plebe tanto da favorirla spesso rispetto ai patrizi. Nel 445 a.C., il tribuno della plebeGaio Canuleio impose lo ius conubii, ovvero l’abolizione del divieto ai matrimoni misti; a determinare il rango del figlio sarebbe stato quello paterno, dunque da un patrizio e una plebea sarebbe nato a sua volta un patrizio. ➔ LA CENSURA; Si tratta di una magistratura introdotta nel 443 a.C.; ovviamente i censori sono patrizi e sono due, spesso eletti tra le liste degli ex-consoli, ma a differenza degli altri magistrati vengono eletti ogni 5 anni e durano in carica ben 18 mesi; i loro compiti erano abbastanza complessi: essi erano incaricati di redigere la lista dei cittadini tramite censimento, e stabilire anche la ricchezza e l’appartenenza alle classi sociali di ognuno; erano incaricati della redazione anche della lista dei senatori, con il potere di espellere dal senato coloro che giudicavano indegni; infine dovevano compiere la lustratio della città, una cerimonia di purificazione della città dai peccati compiuti e da tutto ciò che era accaduto nei 5 anni precedenti; questa cerimonia sacra è anche all’origine del termine lustro, che indica appunto un lasso di tempo di 5 anni. Il V secolo a.C., è teatro di numerosi scontri e di guerre con popoli latini e popoli stranieri. In questo 17 La loro importanza è dovuta al fatto che si tratta di un evento decisivo, che ha sancito le sorti dell’Italia centro-meridionale per i secoli a venire; non è stato semplicemente lo scontro tra due popoli, ma tra due concezioni diverse della vita: da una parte abbiamo i romani, sedentari, urbanizzati, la cui fonte principale di sostentamento era l’agricoltura; dall’altra le popolazioni sabelliche erano seminomadi, prive di importanti insediamenti urbani e vivevano di pastorizia, due diversi modi di concepire la propria esistenza. Le guerre sannitiche, secondo le fonti, sarebbero 3; tuttavia più avanti vedremo che il 3 sia un numero abbastanza ricorrente ( 3 guerre puniche, 3 guerre macedoniche), più si va indietro nella storia di Roma, più ci si rende conto di quanto questo numero appaia artificiale; vediamo la cronologia tradizionale: ❖ I guerra sannitica: 343-341 a.C.; ❖ II guerra sannitica: 327-304 a.C.; ❖ III guerra sannitica: 298-290 a.C.; Il conflitto, secondo la tradizione: sarebbe scoppiato a causa di un episodio probabilmente vero, che riguarda la città di Capua, oggetto di numerosi attacchi sanniti; i capuani cercano l’aiuto dei romani, ma questi non possono intervenire, a causa del foedus precedentemente stretto con i sanniti. Allora i capuani ricorrono all’ultima risorsa che hanno a disposizione: la deditio: si consegnano direttamente ai romani, affidandosi alla loro fides; tramite questo atto di sottomissione è come se obbligassero letteralmente i romani ad intervenire. Questa narrazione, pur restando cronologicamente fuori posto, resta un fatto storico. Questo episodio avrebbe scatenato la guerra del 343 che si concluse nel 341 con una vittoria romana. Nel 327 sarebbe scoppiato nuovamente per una richiesta d’aiuto, stavolta da parte diNapoli; Neapolis, la colonia greca era divisa in due: Palepoli e Neapoli, città vecchia e città nuova, i primi a favore dei sanniti e i secondi no. Il conflitto scoppiò quando i romani decisero di appoggiare la fazione anti sannitica; a quanto pare, sarebbe durato 27 anni, intervallato da diversi episodi, tra cui quello della Battaglia di Caudio, nel 321 a.C. ( data inesatta). Dopo una fase iniziale vittoriosa, i romani iniziarono un’offensiva verso il cuore del territorio sannitico: presto lo trovarono molto diverso dal territorio su cui erano abituati a combattere, i sentieri erano più stretti, e rendevano impervio il passaggio delle armate. La tradizione qui riporta di un episodio che è stato per secoli tramandato in maniera inesatta: le armate dei consoli Postumio e Veturio, circondate, sarebbero state costrette a passare sotto un giogo formato da lence, dalle armate nemiche, secondo alcune versioni addirittura nudi; la tradizione lo riporta com eun atto di umiliazione nei confronti dei consoli, ma non è così. In realtà l’origine del rito si perde addietro nei secoli, ma aveva come scopo quello di purificarsi dal sangue nemico versato in battaglia, un rito che, come possiamo ben immaginare, viene compiuto dai vincitori. Nei secoli il simbolismo del giogo è sottoposto ad un evoluzione monumentale, fino a diventare l’arco di trionfo: il comandante vittorioso, l’imperator, ci passa sotto durante le celebrazioni. Dunque, la realtà è che la guerra termina nel 304 a.C., con una vittoria romana, che li porta ad avanzare fino alla Puglia Settentrionale; la tecnica dei romani fu quella di aggirare i sanniti circondando il loro territorio: intorno al 320-315 fondarono la colonia di Luceria. Alla fine della guerra, i romani non conquistarono il Sannio, ma bloccarono le vie di accesso dei sanniti al mare. La tradizione racconta di una terza guerra, che in realtà è molto diversa dalle altre: scoppia a causa della creazione di alcune colonie che segnano un insediamento stabile dei romani in italia meridionale; con i sanniti si allea una parte degli etruschi, poichè entrambi iniziano a vedere come una minaccia l’espansione dei romani; dunque il termine «guerra sannitica» è improprio, si tratta piuttosto di una grande coalizione ( sabini, umbri, senoni, etruschi) contro i romani. Il momento culminante si ha nel 295 a.C., con la Battaglia di Sentino, la cui ubicazione è molto contestata ( probabilmente sulla costa adriatica); alla vittoria, i romani decisero di concludere paci separate con tutti i nemici ( divide et impera ). A partire da questo momento, cresce l’area controllata dai romani: Roma è destinata a non fermarsi più. 20 ➔ NEL FRATTEMPO A ROMA; ❖ 348 a.C.: secondo trattato romano-cartaginese; vengono limitate le possibilità romane di navigare nel Tirreno; interessante però la clausola che stavolta permette ai cartaginesi di attaccare le città latine; l’unica condizione è che i cartaginesi possono tenersi tutti i beni, ma devono consegnare la città ai romani; ❖ 326 a.C.: abolizione del nexum, 170 anni dopo che è stato richiesto; ❖ 312 a.C.: censura di Appio Claudio (manuale); si tratta di un personaggio sicuramente storico, che da il nome alla via Appia, che nella sua prima estensione va da Roma a Capua, poi Benevento e infine Brindisi; ❖ 306 a.C.: terzo trattato con Cartagine; stabilisce definitivamente il divieto dei romani di avvicinarsi alla Sicilia, sancendo come zona di confine lo Stretto di Messina, è chiaro che i cartaginesi cominciano a percepire il pericolo dell’egemonia romana in italia; ❖ 302 a.C.: trattato con Taranto; (le città della Magna Grecia erano riunite nella lega italiota), secondo cui le navi romane (che cominciano a costituire una piccola flotta) non possono oltrepassare la linea di Crotone, Capo Lacinio, e di conseguenza entrare nel golfo di Taranto, al fine di conservare l’egemonia tarantino-greca sull’Adriatico, che percepivano come un mare greco. Inoltre, Taranto possedeva la flotta più grande d’Italia. Questo trattato è destinato a vita breve, sarà “violato” pochi anni dopo. Vediamo anche le nuove leggi che vigono a Roma: ❖ Lex Valeria de Provocatione: regolamenta definitivamente la provocatio ad populum, ovvero la possibilità di un condannato a morte di appellarsi al giudizio del popolo; (abbiamo già visto che esisteva già nel 450 a.C., ma in una forma più rudimentale); ❖ Lex Ogulnia de Sacerdotiis: apre la possibilità ai plebei di diventare sacerdoti e auguri, 70 anni dopo l’accesso al consolato: vediamo come il conflitto tra patrizi e plebei si incentrava specialmente sulla maggiore vicinanza dei patrizi alla sfera del sacro; ❖ Lex Hortensia de Plebiscitis; sancisce il valore delle decisioni dei concilia plebis per tutto il popolo, patrizi compresi; da questo momento i concilia plebis vengono nominati comizi tributi; vediamo come adesso i patrizi sono sempre di meno e conservano soltanto il prestigio del loro “titolo”; dal punto di vista pratico i plebei hanno molto di più. A partire dal 366 a.C., si forma una classe di nobilitas patrizio-plebea, ovvero l’insieme di quelle famiglie più influenti che detengono il monopolio delle cariche politiche. Chi non fa parte di questo gruppo fa molta fatica ad imporsi sulla scena politica: tra un paio di secoli vedremo gli homines novi, coloro che pur non facendo parte della classe dirigente riescono ad imporsi e a ricoprire le magistrature ( Gaio Mario, Cicerone..). Tra il 284 e il 282 a.C., si combatte una guerra di cui sappiamo davvero poco, in cui gli etruschi si coalizzano contro i romani; quello che sappiamo per certo è che i romani ebbero la meglio; la guerra finì per aumentare la quantità di ager publicus sotto il dominio dei romani e si concluse con paci separate con tutti i nemici; adesso Roma controlla tutta l’Italia centrale e una parte di quella meridionale. Per quanto riguarda invece il conflitto con Taranto: la lega italiota era formata da numerose città greche, che non smentiscono la loro natura, costantemente in contrasto tra di loro; soprattutto quelle che non condividono l’egemonia di Taranto, tra cui in particolar modo Turi; Turi in questo 21 momento è circondata da due popoli italici particolarmente bellicosi, i Lucani e i Brutii (si pronuncia Bruti; sono calabresi), che non esitarono ad attaccare la città. I turini, invece di appellarci a Taranto, decisero di chiedere aiuto ai romani, che inviarono immediatamente una guarnigione, la cui sola presenza fu sufficiente ad allontanare i nemici; di fatto il trattato del 302 non fu mai violato, perchè i romani non erano penetrati nel territorio con la flotta, ma con l’esercito. Tuttavia da lì a poco, con l’intento di circondare l’area dei Brutii decisero di portare anche la flotta, che fu in parte affondata dai tarantini; fu lo scoppio della guerra. Nel 281 a.C., l'esercito romano partiva da Venusia ( territorio romano dal 290 ); i Tarantini, però, fecero appello a Pirro, re dell’Epiro ( attuale Albania), il più valido comandante militare del mondo ellenistico. ➔ LA GUERRA DI PIRRO; L’Epiro fu uno dei tanti regni sorti alla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C.; si racconta che prima della sua morte, egli stesso avrebbe progettato di espandersi verso il Mediterraneo orientale, dunque l’Italia. Anche Pirro, anni dopo, desiderava espandere la propria egemonia sull’Adriatico, ma la sua intesa con i Tarantini era destinata a fallire per i diversi motivi egemonici dei due popoli, e di questo i romani seppero approfittare, nonostante nella fase iniziale subirono alcune sconfitte (ricordiamo Eraclea nel 280 e Asculum nel 279; i romani si trovarono costretti a ripiegare, ma decisero di resistere, rifiutando di concludere un trattato con Pirro; i romani erano coscienti delle divergenze tra Pirro e i Tarantini, inoltre potevano sempre contare sull’aiuto dei latini; nel 279 a.C., i cartaginesi inviarono alcune navi ad Ostia per rinnovare l’accordo del 306 a.C., esprimendo anche la loro possibilità di collaborare contro Pirro, aiuto che i romani rifiutarono. Tuttavia poco dopo,- e sarà decisivo per le sorti della guerra,- Pirro decise di attaccare i cartaginesi in Sicilia, questo evento, oltre a scatenare la violenta risposta della potenza del Mediterraneo, ebbe come risultato anche un panico generale tra le fila degli alleati di Pirro, e la coalizione greca si sfaldò; Roma ebbe modo di riprendersi mentre il nemico si disperdeva e nel 275 a.C. si giunse alla famosa battaglia diMaleventum, che dopo la vittoria fu ribattezzata Beneventum; i tarantini riuscirono a resistere altri tre anni, ma la guerra si concluse nel 272 a.C., dopo un assedio a Taranto. I romani, come loro solito, firmarono diverse paci di diverso tipo, Taranto rimase formalmente indipendente, ma la sua flotta venne ridotta ai minimi termini. Ancora una volta, Roma ne esce profondamente cambiata, più forte, e questo comincia ad incutere timore nei cartaginesi: già nel 306 a.C. erano state stabilite le sfere di influenza, secondo cui i Romani non potevano avvicinarsi alla Sicilia; ma tocca fare una precisazione: dopo la guerra, i territori posseduti da Roma arrivano quasi a confine con la Sicilia; si inizia a percepire la tensione di un conflitto inevitabile tra le due ormai indiscusse potenze del Mediterraneo, che sarebbe scoppiato da qui a nove anni. Tito Livio ci racconta un episodio interessante: nel 273 a.C., sarebbe giunta a Roma un’ambasciata nientemeno che di Tolomeo Filadelfo, al fine di stipulare un patto di amicizia; questo a testimoniare il fatto che Roma sta diventando una potenza internazionale. ➔ I GUERRA PUNICA; Α partire dal 300 a.C., le fonti storiografiche sono più attendibili, sia perché non si ha più il dubbio sulla cronologia dei primi secoli, sia perché le fonti storiografiche sono più vicine agli eventi che descrivono; un esempio è Polibio, storico di origine greca, che dopo suo padre fu capo della Lega Achea, importato come prigioniero a Roma durante la terza guerra macedonica; a Roma si avvicinò particolarmente al circolo degli Scipioni e diede vita ad un’opera storiografica che abbracciava le sorti di Roma dal 264 a.C., lo scoppio della I Guerra Punica, fino al 167, assistendo alla conquista da parte dei romani del Mediterraneo. Polibio, che dedica il I libro della sua opera alla I Guerra Punica, si basa su alcune fonti che ci è dato conoscere: al tempo della guerra contro Cartagine, gli storici si dividevano in due fazioni: filocartaginesi, tra cui Filino di Agrigento (III sec a.C.), contemporaneo agli avvenimenti; e filoromani, tra cui il primo storico romano ufficiale,Quinto Fabio Pittore, che scrive alla fine del III secolo a.C. 22 stranieri. Dal punto di vista di politica interna, si stabilizza il numero delle tribù: 35 totali, 4 cittadine e 31 rustiche. La Sicilia diventa provincia romana; il discorso delle province è interessante: a partire da questo momento, i territori extra-italici conquistati si trasformano in unità amministrative con una loro organizzazione; il termine “provincia”, sebbene per noi abbia una connotazione territoriale, all’origine designa piuttosto un compito affidato ad un magistrato, ovvero quello di amministrare un territorio appena conquistato, che di base conserva la quasi totale autonomia governativa. Sul versante della politica esterna, vengono dedotte nuove colonie: Brundisium (244 a.C.), Ariminum (268 a.C.): esse costituiscono i due limiti territoriali dell’Adriatico, che ormai i romani concepiscono come loro mare. Da qui in poi, comincerà la conquista del Mediterraneo. ➔ I GUERRA ILLIRICA; Si tratta di un popolo situato dall’altra parte dell’Adriatico, che comprendeva territori dell'attuale Croazia e Albania, suddivisi in varie tribù, dedite particolarmente alla pirateria; i romani avevano una diversa accezione di pirata, che comprendeva sia chi ostacolasse la libera navigazione assaltando e saccheggiando le navi, ma anche chi imponeva tasse per consentire alle navi il libero passaggio. Le fonti raccontano di numerosi re illirici dediti alla pirateria, tra cui negli anni ‘30 la regina Teuta. I romani inviarono un’ambasceria presso la sua corte, ma di tutta risposta la regina fece assassinare gli ambasciatori. I romani avevano anche adesso la responsabilità di garantire la sicurezza della navigazione non solo delle navi proprie, ma anche dei popoli che ora proteggevano; a seguito di questo affronto scoppiò la prima guerra Illirica ( canonicamente saranno 2 e non 3). Nel 229 a.C., i romani sbarcano per la prima volta in Grecia, e la vittoria sugli illiri garantisce un’enorme popolarità ai romani, poiché i greci erano le prime vittime della pirateria illirica. Addirittura, sempre in questo anno, i romani vengono accolti con tutti gli onori da Atene e Corinto, e vengono persino invitati ad assistere ai giochi istmici; come ben sappiamo i greci tenevano moltissime cerimonie panelleniche, fatte di giochi e di spettacoli, che non avevano soltanto una valenza ludica e sportiva, ma anche e soprattutto una valenza politica; per questo è molto importante sottolineare questo invito, in quanto sottolinea che i romani sono diventati un soggetto politico a tutti gli effetti anche fuori dall’Italia. ➔ nel frattempo a Cartagine (la Spagna); dopo il contingente imposto da pagare nel 241 a.C., le casse dello stato si svuotarono rapidamente; l’esercito cartaginese era composto principalmente damercenari, ovvero soldati non cartaginesi che ricevevano lamercede, una ricompensa, per militare nell’esercito. La mancanza di fondi portò ad una rivolta dei mercenari, di cui si approfittarono i romani, costringendo Cartagine a cedere anche la Corsica e la Sardegna, che nel 237 a.C., pur avendo opposto una strenua resistenza, diventano romane insieme alla Sicilia. Il problema dei mercenari fu “risolto” da uno dei membri dell’aristocrazia cartaginese, Amilcare Barca. Siamo incerti sull’etimologia del nome, alcuni sostengono che significhi “la folgore”, altri che venga dalla parole “Baruch”, che significa benedetto. Fatto sta che Amilcare barca ebbe l’iniziativa di condurre l’esercito di mercenari in Spagna, nel 237 a.C., dove ebbe di nuovo la possibilità di combattere, conquistando l’entroterra spagnolo, ricco di miniere. Il nome del condottiero ci risulta familiare, poichè sarà proprio lui a fondare la famosa Barcellona, che al tempo prese il nome di Barcino. Molto in fretta si viene a creare un’area controllata direttamente da Amilcare Barca, che in molti hanno definito Impero Bracide, che destava molte preoccupazioni, perché si profilava come un impero a carattere personale, stabilendo anche rapporti di natura amichevole con alcune città 25 dell’entroterra. Alla morte di Amilcare, nel 229 a.C., il potere passò al suo genero Asdrubale, destando ancora più preoccupazioni sia nei cartaginesi che nei romani: infatti già dopo il 241, molte delle famiglie aristocratiche cartaginesi premevano per riconciliarsi con i romani e ristabilire i rapporti amichevoli, e la stessa cosa accadeva a Roma; tuttavia la spedizione bracide in Spagna rappresentava un problema. Addirittura nel 227 a.C., Asdrubale fonderàQart Hadasht, il cui nome latino sarà Carthago Nova, con questa mossa finì per inimicarsi anche l’aristocrazia cartaginese, venendo accusato di avere aspirazioni monarchiche. L’espansione cartaginese in Spagna era temuta anche dalla città di Marsilia, sulla costa gallica meridionale, alleata di roma dal ΙV secolo a.C., questo spinse i romani ad intraprendere un’azione diplomatica con Asdrubale, stringendo nel 226 a.C. il trattato dell’Ebro, il secondo fiume più grande della penisola iberica dopo il Tago, imponendo ai cartaginesi di non oltrepassare la linea di confine designata da Marsilia. ➔ Ma nel 226 a.C., le preoccupazioni dei romani erano altre (Galli): nella prima metà del III secolo, essendo stati a lungo impegnati a sud, essi non erano ancora riusciti ad organizzare il territorio che avevano già occupato intorno alla colonia di Ariminum (Rimini), e trasformarlo in ager publicus da distribuire ai cittadini romani; questo era un passo importantissimo, alla base del processo di romanizzazione, che venne a mancare. I Galli che occupavano le aree circostanti avevano osservato i romani abbastanza bene da temere che una volta organizzato il territorio, potessero decidere di salire verso nord e conquistare i loro territori; ma questo lasso di tempo e la mancata osservazione di quel territorio diede loro modo di attrezzarsi. Nel 232 a.C., Gaio Flaminio, tribuno della plebe, fece votare la Lex Flaminia, che prevedeva finalmente di organizzare l’ager nei dintorni di Rimini (che, ricordiamo, era stata conquistata nel 268 ); contemporaneamente le fonti cominciano a parlare della discesa deiGesati dallaGallia Transalpina, che vengono a stabilirsi in quella Cisalpina, dove risiedevano Boi e Insubri. Non è stato mai tracciato un collegamento tra i due eventi, e al giorno d’oggi è indimostrabile, ma non sarebbe azzardato supporre che i Galli, vedendo che i romani avevano iniziato a distribuire il territorio, abbiano giocato in anticipo, prevedendo la futura invasione tipica del comportamento politico-militare dei romani, stringendo la loro presa sul territorio con l’aiuto degli alleati Gesati. L’ultima ondata di Gesati fu contemporanea al trattato dell’Ebro (226); sarebbe un altro azzardo presupporre che i romani abbiano stretto un’alleanza con Asdrubale anche perchè sospettavano e temevano che galli e cartaginesi potessero allearsi? I Gesati non avanzarono verso Roma, ma si diressero verso la costa, nel 225 a.C. si combattè la battaglia di Talamone, vinta dai Romani. Non potremo mai sapere se i Gesati si stessero dirigendo verso la costa per attendere delle navi cartaginesi che non arrivarono mai perchè nel frattempo era stato stretto il trattato dell’Ebro. Dopo la vittoria, i romani diedero vita ad una controffensiva che li portò ad invadere la pianura Padana, compiendo esattamente ciò che i galli cisalpini avevano tentato di impedire: la conquista del territorio, tra il 224 e il 222 a.C; quest’ultimo fu anche l’anno della vittoria decisiva, riportata da Marco Claudio Marcello, nella battaglia di Clastidium (Casteggio, vicino a Pavia); i romani occuparono le città principali, tra cui Bononia eMediolanum; come tipicamente solevano fare i romani, al termine della guerra conclusero paci separate con Boi e Insubri, e le condizioni più dure furono quelle dei Boi, poichè erano quelli più vicini all’ager romanus; questa tattica serviva a creare un dislivello tra due fazioni che erano state alleate, in modo da prevenire un’alleanza futura: una veniva trattata peggio dell’altra, così che una covasse ostilità nei confronti dell’altra, che invece era più riconoscente verso i romani (divide et impera). Nel 220 a.C. lo stesso Flaminio della lex Flaminia, fa costruire anche la via Flaminia, che collega Roma a Rimini, sancendo definitivamente l’appartenenza a Roma di quei territori: costruire le strade e fondare le colonie erano atti che dimostravano l’assimilazione totale di un determinato territorio; infatti nel 218 a.C. vennero fondate le colonie di Cremona e Piacenza; di solito dopo l’assimilazione di un territorio in ager publicus romanus seguiva un periodo florido di proprietà, ma nun fu così, perchè il 218 fu anche l’anno dello scoppio della II Guerra Punica. 26 Ma ancora, poco prima dello scoppio della guerra (219), i romani furono nuovamente chiamati ad intervenire in Illiria, le cui attività di pirateria si erano spostate verso l’Egeo e le Cicladi; la flotta illirica fu distrutta i pochi mesi e i romani ottennero di porre un presidio ad Apollonia e Durazzo (Albania), una ricompensa molto importante. ➔ II GUERRA PUNICA; È l’evento della storia di Roma che conosciamo meglio; viene raccontato da Polibio, Tito Livio nella terza decade (integrale). Questa guerra è un episodio chiave per la storia del Mediterraneo, e sembra che anche gli antichi la percepissero così; si trattò di uno scontro di civiltà agli antipodi, opposte la cui prevalenza l’una sull’altra avrebbe dettato le sorti dei secoli avvenire, e probabilmente se l’esito fosse stato contrario, il mondo che conosciamo oggi non sarebbe esistito. Nel 221 a.C., Asdrubale, genero di Amilcare Barca, morì. A comando delle forze militari cartaginesi adesso è Annibale, insieme a suo fratello Asdrubale, figli di Amilcare. Annibale prosegue le iniziative del padre e dello zio, proseguendo l’avanzata nell’entroterra spagnolo verso nord, nel 219 a.C. attaccò la città di Sagunto a sud dell’Ebro; la tradizione vuole che questa città fosse legata a Roma per antico trattato, difatti i romani inviarono subito un’ambasceria di protesta a Cartagine; ma i cartaginesi se ne lavarono le mani, sostenendo che Annibale fosse solo in questa iniziativa. Prima che i romani intervenissero ad espugnare la città passarono mesi: erano ben consapevoli che l’intervento sarebbe stato un’effettiva dichiarazione di guerra, e Roma era divisa in due, tra chi sosteneva che bisognasse ristabilire i rapporti pacifici con Cartagine e chi premeva per la guerra; alla fine, però, furono i romani a dichiarare guerra. Ovviamente non dobbiamo pensare che siano stati solo i romani a causare la guerra, anzi, le azioni di Annibale sono state tutte adeguatamente pensate e ponderate, il che lascia intravedere un chiaro intento di premeditazione. A Roma erano consoli Scipione e Servillo, che decisero di inviare un esercito consolare in Spagna e uno in Africa; sappiamo bene come si sentono i romani all’idea di ritentare di occupare l’Africa, dopo il tentativo fallito di Marco Attilio Regolo. Ma nessuno si aspettava le mosse successive di Annibale: infatti, quando Scipione, da Pisa avrebbe attraversato il mare con l’esercito per giungere a Marsiglia, Annibale aveva già deviato verso le Alpi, con l’intento di scavalcarle. Riuscito nel suo intento, Annibale attaccò una Gallia Cisalpina completamente sguarnita; non appena Scipione si rese conto che Annibale si trovava in Italia, tornò rapidamente indietro, e lo stesso fece Servillo. Ma come sperava Annibale di sconfiggere una potenza come quella romana? In effetti, oltre al fattore imprevedibilità e sorpresa, il condottiero cartaginese sperava di portare tutti gli stati satelliti dell’Italia a rivoltarsi contro Roma, prefigurandosi come il liberatore degli italici, ottenendo la vittoria grazie alla defezione degli alleati; ma sarebbe riuscito a rompere l’intesa tra Roma e gli altri popoli? Inoltre, dobbiamo precisare che Annibale aveva calcolato una specie di guerra lampo ( blitzkrieg, come diranno più avanti i tedeschi), fondata sugli espedienti detti prima. Alla fine del 218 furono combattute due battaglie complementari, che contano come una sola: la battaglia del fiume Ticino e quella del fiume Trebbia, concluse con l’indiscutibile vittoria di Annibale. I romani erano confusi e disorientati. Come conseguenza delle prime schiaccianti vittorie di Annibale, i romani furono costretti a sgombrare la Gallia Cisalpina; adesso nel 217 a.C., Annibale punta verso sud-est; meditando di raggiungere la costa e congiungersi con la flotta cartaginese; questo fu l’anno del consolato diGaio Flaminio (ex tribuno della plebe; Lex Flaminia, via Flaminia), che pur essendo stato un cittadino illustre, viene ricordato come un demagogo e un incapace, sconfitto e ucciso in una sanguinosa battaglia: Flaminio decise di appostarsi nella città di Arezzo, e tendere un agguato all’esercito di Annibale che scendeva dagli Appennini; quest’azione riuscì a costringere Annibale a cambiare itinerario, ripiegando verso l’interno, perchè la città di Arezzo non era adatta allo sconto in campo aperto; Flaminio era riuscito a far saltare i piani di Annibale per quell’anno, ma il cartaginese ripiegò 27 decretò la vittoria dei romani; questa battaglia avrebbe deciso il destino del Mediterraneo. Polibio riporta le clausole imposte ai cartaginesi: ripagare ai romani tutti i torti commessi, restituire prigionieri e schiavi, consegnare tutte le navi tranne 1o triremi, e soprattutto nonmuovere guerra con nessuno, né fuori dalla Λιβυη ( nome greco dell’Africa ), né all'interno; e ripagare in 50 anni 10.000 talenti euboici. I cartaginesi persero completamente la loro autonomia e Massinissa fu proclamato re con il beneplacito dei romani, l’alleanza con il re numidico durerà fino alla sua morte nel 148 a.C. ➔ LE PROVINCE ROMANE; Il 241 a.C. è un anno molto importante, in quanto viene costituita la prima provincia romana, la Sicilia, a cui si aggiunsero subito la Sardegna e la Corsica. Le province rimanevano in un certo senso autonome, l’unica imposizione è che il governo fosse amministrato da un magistrato romano dotato di imperium. Come sappiamo questa era un prerogativa dei due consoli; dal 367 furono affiancati da un pretore e dal 242 i pretori divennero due. I romani si accorsero ben presto che, con l’espansione dei confini di Roma e nei momenti critici della guerra, quattromagistrati cum imperio non erano sufficienti. Per far fronte a questo subentrarono le pro-magistrature, si trattava di ex-magistrati i cui poteri venivano prorogati nel governo delle province, anzi ci sono stati casi in cui il proconsolato è stato prorogato per molti anni ( Cesare in Gallia). Non dobbiamo dimenticare che il dominio romano è arrivato anche in Spagna, che i romani divisero inHispania Citerior e Hispania Ulterior. La Citerior era la Spagna settentrionale, il primo territorio in cui sarebbe giunto un viaggiatore partito da roma, e la Ulterior la parte meridionale. Ma come percepivano i romani lo spazio? Sono stati fatti moltissimi studi a riguardo, e possiamo ritenere che i romani avessero una concezione di spazio odologico, ovvero legato al camminarci sopra: non usavano punti cardinali, ma si orientavano con destra e sinistra, anche nella divisione dei confini della Spagna, tenevano conto della strada che uno avrebbe percorso da Roma. In conclusione la creazione delle province segna una svolta importante nel corso della storia di Roma, avviando un sistema che poi sarebbe stato regolarmente utilizzato dai romani per ampliare i loro confini. ➔ II GUERRAMACEDONICA; I romani sono appena usciti da una guerra estenuante, ma si impegnano immediatamente in un nuovo conflitto. La decisione di arrivare al conflitto è stata molto discussa e dibattuta: i comizi centuriati avevano votato per il no, ma in seguito propenderanno per il sì. Alla base della guerra c’è ancora una volta un motivo economico. Roma sta vivendo un periodo di nuova prosperità, grazie alle tasse pagate da Cartagine; il nemico cartaginese è stato quello più temuto in assoluto, e dopo aver “sbloccato” la capacità di fare guerra oltremare, un conflitto in Grecia è meno temuto. Filippo V, dopo la Pace di Fenice, riprende immediatamente l’espansione nel mar Egeo e in Asia Minore; le sue ambizioni però stridevano con quelle di Antioco III re di Siria e da una parte anche con quelle dei romani in questo momento, toccando Pergamo e Rodi, che nel 212 a.C, avevano fatto parte della coalizione antimacedone; formalmente non ne facevano più parte, ma dato che la Pace di Fenice, un pax communis, sottolineava i diritti di libertà e autonomia delle polis greche (libertatem atque suas haberent leges ) , che ora venivano minacciate da Filippo V, i firmatari dell'accordo si impegnavano a intervenire. Questo il "pretesto" per l’intervento romano in Grecia. La II Guerra Macedonica si concluse nel 197 a.C., con la battaglia di Cinoscefale, vinta da Tito Quinzio Flaminio, console nel 198. Tito Livio ci racconta i termini della sconfitta macedone, dicendo che il senato romano e l’imperator Tito Quinzio, ordinavano che fossero liberi, esenti da tributi e autonomi (liberos, immunes, suis legibus esse) tutti i popoli, Corinzi, Focesi, Locresi, Magneti, Tessali ecc, sciogliendo dal dominio di Filippo V tutti i popoli che erano stati inglobati. I romani, avendo tutelato i principi di autonomia sacri alle polis greche, divennero ora popolati nel mondo greco. Ma non agli occhi di tutti. 30 Antioco III era a capo della Siria, un regno ormai lontano dalla potenza degli antenati Seleucidi, e dalle dimensioni limitate. Dopo la morte di Alessandro Magno, il suo impero si era frammentato, e tutti i re avevano tentato di ricreare la grandezza perduta dell’impero alessandrino, senza successo. Questa volta Antioco III voleva estendersi verso la Grecia propriamente detta, conquistando l’Asia Minore e le isole del mar Egeo. Ovviamente queste ambizioni stridevano con la pace del 197, poiché ancora una volta furono toccate le città di Pergamo e Rodi. In questo contesto anche gli Etoli, rimasti delusi sia nel 212 che nel 197 dai termini della pace, puntavano al controllo della Grecia. I romani tentarono di prendere contatti diplomatici con Antioco III, ma presto vennero a sapere che presso la sua corte si trovava nient'altro che Annibale, espulso da Cartagine. Diventare consigliere di Antioco III sarà una delle sue ultime avventure, prima della morte nel 183 a.C. I romani si gettarono dunque in questa guerra, temendo che Annibale potesse organizzare i siriaci per sconfiggere i romani. La potenza romana, però, era nettamente superiore, difatti la vittoria fu schiacciante. I romani sbaragliarono la flotta avversaria nella battaglia diMagnesia, la cui data è discussa, tra il dicembre 190 e il gennaio 189; il vincitore della battaglia fu Lucio Cornelio Scipione, affiancato dal fratello Publio, ora detto L’Africano. La facilità con cui vennero schiacciati i greci portò alla concezione che i graeculi, così il titolo dispregiativo che gli fu attribuito, fossero un popolo di rammolliti e considerati del tutto inferiori. La pace di Apamea del 188 a.C:, costrinse Antioco III a distruggere la flotta e sgomberare tutti i territori a ovest della catena montuosa del Tauro ( l’odierna Turchia occidentale). Il regno di Siria si sposta diverse centinaia di km più, creando un vuoto che sarà riempito da Pergamo. Nonostante i romani abbiano affermato il loro dominio anche in Asia Minore, non possiamo ancora parlare di atteggiamento imperialista: non c’è volontà di espansione. L’unico desiderio di espansione che i romani avevano era quello sul mercato, e sostituirsi a Cartagine in quel ruolo di egemone dell’economia mediterranea. L’atteggiamento che avevano nei confronti del mondo greco era quello di patrocinium, i litigiosi stati greci erano sottoposti ad una sorta di clientela, e, appunto, continuando sempre a scontrarsi tra loro facevano sempre più frequentemente appello a Roma. Nel frattempo in Italia, i romani si riprendono laGallia Cisalpina e puniscono severamente i popoli che nel 218 avevano aperto le porte ad Annibale; il conflitto con Insubri e Boi durò circa 10 anni, concludendosi nel 190 a.C., con l’imposizione di una presenza romana in Gallia Cisalpina: i romani cominciano lentamente a percepire come confine fisico dell’Italia non più gli Appennini, ma le Alpi. Non sarà netto il passaggio e ci vorranno diversi anni, ma gradualmente i romani inizieranno a percepire anche il nord come Italia vera e propria e le Alpi diventeranno claustra Italiae. LaGallia Cisalpina viene rapidamente romanizzata, con la rifondazione di Cremona e Piacenza e la fondazione di nuove colonie: Bononia (198 a.C.), Parma e Mutina (Modena) (183 a.C.); nel 187 a.C. viene realizzata la via Aemilia, parallela al corso degli Appennini. In questo momento Roma ha allargato i suoi confini in Gallia Cisalpina, Spagna, Sicilia, Sardegna e le isole tirreniche, e in un certo senso l’impero romano è già nato. Nel 181 a.C. viene fondata anche la colonia di Aquileia, nell’attuale Friuli-Venezia Giulia, che segna un’espansione anche a discapito dei Veneti, e rappresenta un puntello romani sul dominio dell’Adriatico, garantendo la sicurezza della navigazione anche in queste zone. 31 In Grecia, invece, nel 179 a.C., alla morte di Filippo V, subentra il figlio Perseo, animato dalle ambizioni di rivincita, che cerca di presentarsi all’opinione pubblica come un liberatore dal giogo oppressivo dei romani e garante dell’autonomia delle città greche. Eumene II della dinastia degli Attalidi, re di Pergamo, denuncia immediatamente la situazione ai romani. Tito Livio ci racconta che furono mandati come delegatiMarcio e Attilio con il compito di osservare il comportamento di Perseo; qui i delegati riuscirono ad ingannare Perseo con vane promesse di pace e di accordo, ma quando tornarono a Roma si vantarono della loro strategia: essi ebbero modo di vedere che le forze del re erano già pronte e schierate e che se la guerra avesse avuto inizio nell’immediato, Roma non avrebbe avuto il tempo di organizzare le sue forze. Dunque i delegati ebbero l’astuzia di rallentare la dichiarazione effettiva di guerra per dare modo a Roma di prepararsi e cogliere loro alla sprovvista. Questa notizia scatenò la polemica dei senatori più antichi: essi sostenevano che questo non era il modo dei loro avi di fare guerra, una guerra basata sul principio della fides, lealtà, sacro ai romani e che veniva applicato anche e soprattutto ai nemici; per esempio, i romani avevano rivelato a Pirro che il suo medico stava complottando contro di lui, per rispetto del proprio avversario e per dimostrare che la vittoria in guerra dipendeva esclusivamente dalla capacità di organizzazione e combattimento dell’esercito. Tuttavia, questo è un perfetto esempio del nuovo modo di fare guerra dei romani, una guerra basata sulla calliditas, l’astuzia, che era una caratteristica dei Greci, e che non era più bellum iustum basata sulla fides: i senatori più anziani disapprovavano questa nova ac nimis callida sapientia, una sapienza nuova e troppo ingegnosa. ➔ III GUERRAMACEDONICA; Nel 171 a.C., i romani erano pronti per la guerra e mandarono finalmente gli eserciti consolari in Grecia, per un conflitto che si concluse nel 168 a.C., con la famosa battaglia di Pidna, vinta da Lucio Emilio Paolo con irrisoria facilità. A questo punto è lecito chiedersi perché la guerra sia durata ben 4 anni, se era così facile? In questo momento l’esercito di Roma sta avendo molti problemi di organizzazione e disciplina, cosa che non eramai capitata prima. A Roma non si riesce più ad arruolare i soldati, perché questi non si presentano all’arruolamento, i fenomeni di diserzione sono sempre più frequenti; a partire dal 200 a.C., a Roma, l'opinione pubblica sulla guerra si è divisa: da una parte è popolare, data la capacità e la forza dell’esercito romano, ma dall’altra, c’è una grande fetta della popolazione che comincia a rendersi conto che la guerra non ha tutti questi vantaggi, questo accade soprattutto con la II Guerra Punica. La classe dirigente era quella più animata e più avvantaggiata dalla guerra: se all’inizio della storia di Roma erano soltanto i più ricchi a combattere, adesso non è più così: i grandi condottieri sono sicuramente di origine illustre, ma l’esercito è formato dalle masse di uomini comuni, che oltre al misero stipendio non vedono altri vantaggi dal combattimento; in più, con la continua espansione dei confini di Roma, le guerre erano combattute sempre più lontano, costringendo gli uomini ad allontanarsi dalle loro case, sì, ma soprattutto dalle proprie terre; ancora una volta, questo non era un problema per i più ricchi, perché potevano permettersi gli schiavi per lavorare la terra, mentre i più poveri no, e cominciavano a pagarne le dure conseguenze. Per quanto riguarda la III Guerra Macedonica, Perseo venne condotto a Roma, dove sfilò nel trionfo di Lucio Emilio Paolo, per poi essere fatto prigioniero e addirittura ucciso in prigionia: segno eclatante della brutalità che sta divampando a Roma. Ancora una volta i romani rifiutano di occupare stabilmente il territorio al di là dell’Adriatico, ma laMacedonia non esiste più: viene divisa in 4 distretti, indipendenti l’uno dall’altro: Anfipoli, Pelagonia, Tessalonica e Pella; la stessa cosa avviene in Illiria. Alcuni dei popoli che avevano sostenuto la causa di Perseo vennero severamente puniti, in particolare gli Achei; sin da quando Atene aveva perso la sua egemonia assoluta, e dopo la parabola di Alessandro Magno, la Grecia si era divisa in Lega Achea e Lega Etolica, che continuavano a scontrarsi. Gli Achei, alleati della Macedonia, furono costretti a deportare 1000 rappresentanti della classe dirigente della lega, tra questi ci fu Polibio, figlio di Licorta, stratega della Lega Achea. Polibio, che era stato accuratamente istruito, fece parte del fenomeno che vide l’assimilazione a Roma delle migliori menti greche: egli stesso entrò in stretto 32 ➔ SPAGNA; La Spagna era stata divisa in due province, ma i popoli nativi continuarono a dare filo da torcere ai romani. Nel 147 a.C. il conflitto si inasprì, e vi presero parte non solo i Lusitani (sud-ovest), anche i Celtiberi (popolo iberico con vaghe discendenze celtiche). Il conflitto fu animato da una figura avvolta tra mistero e leggenda, Viriato, che si diceva fosse un pastore, poi un bandito e infine un capo rivoluzionario. La guerra contro di lui durò una decina d’anni, ma anche dopo la sua uccisione i Celtiberi continuarono a resistere infliggendo anche sconfitte severe (137 a.C.). La guerra si conclude con la fine dell’assedio aNumanzia, del 133 a.C., che era durato ben 4 anni. Le motivazioni sono varie: la crisi dell’esercito romano, sicuramente, ma anche la profonda diversità del territorio iberico rispetto a quello su cui i romani erano abituati a combattere; se da una parte solevano combattere a campo aperto, con gli eserciti schierati su vaste pianure, qui la conformazione rocciosa e montuosa del territorio si prestava meglio alla guerriglia, di cui i popoli autoctoni erano esperti. La vittoria del 133 a.C. è ancora una volta di Scipione Emiliano. La pace è fittizia, la Spagna sarà del tutto pacificata solo con Augusto. ➔ GALLIA; La Gallia Cisalpina era una provincia romana; ma a partire dal 125 a.C. Marsilia, antica alleata romana, viene attaccata dalle tribù della Gallia sud-orientale e fa appello ai romani. Nel 122 a.c., deducono la prima colonia in terra gallica, Aquae Sextiae. La guerra termina nel 121 a.C., quando viene creata un’altra provincia nella Francia sud-orientale, nel 118 a.C. viene fondata la colonia di Narbona, e la provincia prende il nome diGallia Narbonensis. Quali sono i problemi che questo comporta? I problemi nell’esercito sono sempre più gravi, ma non era l’unico problema sul piano sociale. Quando Annibale aveva provato a disgregare l'alleanza romano-latina aveva miseramente fallito, ma adesso i latini si trovavano su un piano ben diverso; da una parte, anche nella miseria, essere cittadino romano portava con sé dei vantaggi. Mentre invece la sorte degli italici era ben più dura: il trattamento riservato ai romani era diverso e ben più severo per gli italici, inoltre erano costretti ad inviare contingenti di uomini tra le fila dell’esercito e non prendevano parte alla spartizione dei beni e del bottino di guerra. Un terzo fattore era rappresentato dalle colonie: la fondazione di colonie era sempre stato un modo di sfogare le tensioni sociali, sfoltendo la popolazione dell’Urbe dei ceti più bassi, che avevano la possibilità di rifarsi nei nuovi territori; ma con l’allargamento dei confini, le province e le colonie erano sempre più distanti e quasi nessuno voleva ormai andarci, di colonie ne vennero dedotte sempre meno e Roma si riempì di gente povera; la concentrazione sempre maggiore di abitanti a Roma portò i prezzi degli alloggi a salire alle stelle; nasce una nuova classe sociale che possiamo definire proletariato urbano, o plebe urbana, che è ben diversa dalla plebe che conosciamo adesso, ma si tratta di un vero e proprio ceto di poverissimi che vivono alla giornata. Dall’altra parte le province erano viste dai promagistrati come terre per arricchirsi con le loro cariche che venivano facilmente prorogate, ma la loro ricchezza aumentava in maniera proporzionale all’aumento delle tasse, causa principale del malcontento delle province. La riscossione delle tasse era appaltata a delle società private che riscuotevano le tasse per conto dello stato e ne trattenevano una percentuale, si tratta dei publicani, spesso rinomati per la loro brutalità; essi appartengono ad una classe sociale che fino a questo momento non aveva mai fatto parte della scena politica, i cavalieri. Gli unici che non dovevano pagare le tasse erano gli italici Tra i fattori di crisi abbiamo anche la questione agraria: dopo il passaggio di Annibale, durato ben 15 anni, che aveva richiesto il sostentamento di un vastissimo esercito, il risultato era stato un’Italia devastata, dai saccheggi e dalle barbarie dell’esercito annibalico nei confronti dei piccoli proprietari terrieri, la cui maggior parte era morta e il resto impoverita; una grandissima parte di ager publicus rimane ora incolta. Di questa situazione ne approfittano , ovviamente, i grandi proprietari terrieri, che essendo ricchi possono permettersi di acquistare il terreno da i contadini più poveri che non possono più mantenerlo; loro hanno delle vere e proprie aziende agricole, che macinavano grazie allo 35 sfruttamento degli schiavi. La condizione di schiavitù che abbiamo analizzato all’inizio, però, era ben diversa; nella Roma arcaica, lo schiavo, che prendeva il nome di servus era paragonabile quasi ad un “segretario”, si occupava di determinate mansioni per conto del padrone, ma veniva incluso sel nucleo familiare e poteva essere liberato; in tutto questo era legato al padrone da un legame simile al patrocinato. Adesso gli schiavi non sono più legati dai debiti ad un padrone, ma vengono acquistati sul mercato con l’intento di essere sfruttati: Catone nel suoDe Agricoltura descrive le pratiche crudeli con cui gli schiavi erano tenuti, dicendo addirittura che non bisognava sprecare troppi soldi per dare loro da mangiare, ma bastava nutrirli una volta al giorno, quando capitava, giusto per evitare che morissero. Questo è il contesto in cui si inserisce la figura di Tiberio Gracco. ➔ TIBERIO SEMPRONIO E GAIO GRACCO; Si tratta di un personaggio molto importante per la storia romana, un plebeo appartenente ad una famiglia molto illustre da parte di padre, console nel 177 a.C., e da parte di madre che altro non era che Cornelia, figlia di Scipione l’Africano. Egli si rese conto molto presto che il problema agrario e quello militare erano strettamente collegati; percepisce la progressiva proletarizzazione del populus romanus, e con l’impoverimento costante della popolazione diminuiscono le persone che possono essere arruolate. Tiberio Gracco voleva ricostituire la classe dei piccoli proprietari terrieri, che scomparendo aveva alterato gli equilibri sociali. Nel 133 a.C. viene eletto e presenta il suo progetto, ovvero quello di stabilire un tetto massimo di possedimenti che un cittadino poteva avere, e superato questo tetto, espropriare i terreni e redistribuirli ai poveri. Non si tratta però di una manovra rivoluzionaria, ma di uno sguardo al passato, in quando nel 367 a.c. le leggi Liciniae Sextiae avevano fatto più o meno la stessa cosa. Le fonti ci parlano di un tetto di 500 iugeri, che poteva aumentare di 250 ogni figlio maschio, fino ad un tetto massimo finale di 1000, per un totale di 250 ettari; quello che avanzava sarebbe stato diviso in lotti di 30 iugeri distribuiti ai più poveri; la cosa più importante era che questi lotti non potevano essere venduti: ciò avrebbe portato di nuovo alla situazione precedente. La classe dirigente si divise in due: una minoranza favorevole e una maggioranza che non lo era, che decise di corrompere il tribunoMarco Ottavio a porre il veto, come da suo pieno diritto. In risposta, Tiberio Gracco pone al voto dei concilia plebis la deposizione di Ottavio, insieme all’approvazione diretta della riforma di legge, senza l’approvazione del senato. Adesso spieghiamo perché si tratta di tre azioni rivoluzionarie e mai viste prima, sconcertanti per i romani dell’epoca. I tribuni della plebe erano una carica importantissima, dotata di un privilegio importante, la sacrosanctitas, l’inviolabilità. Questo privilegio veniva però con un costo, ovvero tutelare e fare gli interessi della plebe; possiamo dire che la potestas dei tribuni della plebe, il loro potere e la loro inviolabilità erano conferiti dalla plebe e per rispettare ciò un tribuno non poteva andare contro la plebe. Quindi da una parte, per Marco Ottavio, farsi corrompere per andare contro gli interessi della plebe è una colpa terribile di cui macchiarsi, ma d’altra parte, un tribuno della plebe è sempre tale anche quando si comporta male, quindi, come non è lecito agli occhi dei romani ciò che aveva fatto Marco Ottavio, non lo è nemmeno quello che aveva fatto Tiberio Gracco. Fatto sta che i concilia plebis depongono Ottavio e accettano le proposte di Gracco senza il senatus consultum, e questa era un'altra cosa che non si era mai vista prima; Gracco sapeva che il senato era contrario ai suoi provvedimenti. In questo sta il carattere rivoluzionario di Tiberio Gracco; nell’aver capito un meccanismo che si stava iniziando a prefigurare: l’importanza politica del popolo più basso, a cui in passato il diritto di votare era stato fermamente negato, ma da cui ora dipendevano tutte le decisioni; si serve per la prima volta nella storia di Roma del concetto di sovranità popolare. L’atto di deposizione di un altro tribuno della plebe, per quanto disonesto, aveva turbato molti. Per quanto riguarda la riforma agraria, per metterla in atto c’era bisogno di un aggiornamento complesso della macchina statale che avrebbe richiesto anche molti fondi; il caso volle che il 133 a.C. fu esattamente l’anno di morte di Attalo III re di Pergamo, che da poco aveva sconfitto i Seleucidi e aveva allargato i suoi confini sulla Siria; morendo senza figli, lasciò in eredità il suo regno ai romani, che adesso avevano una nuova provincia, la provincia d’Asia, decisamente più ricca delle altre, e i 36 fondi per finanziare la riforma agricola. A questo punto, Tiberio Gracco manifesta la sua intenzione di ricandidarsi a tribuno per l’anno successivo, con due motivazioni: sorvegliare la messa in atto della sua legge e proteggersi dai nemici che si era fatto nel corso di quell’anno. Si trattava dell’ennesima mossa rivoluzionaria che scandalizzò il popolo romano: a manifestare il suo dissenso pubblicamente e aspramente fu Publio Cornelio Scipione Nasica: il giorno delle elezioni scoppiarono dei disordini in piazza e lui e i suoi uomini causarono una serie di omicidi, tra cui quello di Tiberio Gracco stesso, insieme a 300 dei suoi sostenitori. Questo avvenimento segna una svolta nella storia romana, una svolta di violenza e brutalità che si fanno sempre più largo nella società romana e nella lotta politica. Per questo sono in molti a considerare il 133 a.C. come la data chiave che segna la svolta di Roma, come anche l’antefatto delle guerre civili. Prolungare il tribunato non era mai stato permesso, ma Tiberio godeva di una grande popolarità tra il popolo, come motivazione per il suo assassinio fu l’accusa di adfectatio regni, ovvero di aspirazioni monarchiche; questo perchè si era dimostrato ambivalente nella sua concezione della sacrosanctitas, quando da una parte ha voluto tutelare la sua, ma dall’altra ha violato quella di Marco Ottavio. Da una parte però, non possiamo a pieno considerare drasticamente Tiberio Gracco come un rivoluzionario, di fatto anche le fonti avverse ai gracchi riportano la sua riforma come legittima e soprattuttomoderata. Ma quali erano le ragioni dei ricchi per opporsi? I ricchi si avvalsero del fatto che avevano, innanzi tutto, acquistato, e non rubato, terre che erano incolte, facendo un investimento con il proprio denaro con tutti i rischi che comportava; dunque avevano, per queste ragioni, tutto il diritto di considerare le terre di loro proprietà. La classe dirigente senatoriale non aveva ben visto il fatto che Tiberio avesse fatto approvare una legge senza il senatus consultum, ma questa cosa non era illegale; tuttavia, apriva una premessa molto spaventosa per la classe senatoriale; si resero improvvisamente conto che il potere del popolo, e dell’uomo che lo muove, sarebbe stato esattamente sufficiente ad esautorare il senato e istituire un nuovo modo di prendere decisioni politiche. Si, il senato aveva un potere consultivo e non esecutivo, ma la sua influenza era sempre stata preponderante; adesso si sentivano minacciati dalla possibilità di non godere più di questa influenza; bisogna poi aggiungere che la popolazione dell’Urbe si stava arricchendo sempre di più di masse di poveri, che risiedendo a Roma avevano il pieno diritto di votare;infatti la tribunicia potestas sarebbe diventata uno dei cardini del potere di Augusto. Dopo la morte di Tiberio, la sua riforma fu comunque messa in atto, a dimostrazione della sue perfetta legalità; qui andiamo incontro ad un altro problema, e cioè che fu riservata esclusivamente ai cittadini romani, causando il malcontento degli italici. A dare voce a questa ingiustizia, fu niente di meno che Scipione Emiliano; egli nel 133 si trova a Numanzia, espugnata la città torna a Roma e si fa portavoce del malcontento delle popolazioni italiche; misteriosamente, nel 129 a.C, viene trovato morto. Non si scoprirà mai nè la causa della morte e nè l’artefice dell’omicidio, nè il motivo; dunque non si saprà mai se si è trattato di un omicidio politico per la posizione che aveva preso; c’è persino chi accusò sua moglie Sempronia, che veniva descritta come brutta, sterile e gelosa. Ma la sua morte rimane avvolta nel mistero. Questo, invece, è il contesto in cui si inserisceGaio Gracco, fratello di Tiberio, più giovane di una decina di anni; egli ricoprì il tribunato della plebe nel 123 a.C., cercando da una parte riscatto per il fratello, e dall’altra andando in una direzione opposta, in rottura con il passato e contrario agli interessi dell'élite. Gaio tentò di avvicinarsi in particolare alla classe equestre e a quella più povera in assoluto, tentando di ottenere il consenso di due gruppi sociali opposti. Questi erano i suoi obiettivi: ❖ una divisione democratica del potere; il centro esclusivo delle decisioni diventano i comizi tributi; ❖ sostituire l’oligarchia dominante; esautorare la nobilitas senatoria, costituendo un’altra classe dirigente formata dagli equites; ❖ sfruttare a pieno i poteri immensi del potere tribunizio; e in questo caso riscattare il fratello: Gaio sarà eletto tribuno due volte (è probabile che nel frattempo 37 essere arruolati - questo non significa che i gradi maggiori dell’esercito non sono ancora monopolizzati dagli esponenti delle famiglie più illustri; Gaio Mario è un populares, ma ha fatto carriera politica sulla spalle del suo patronus e superiore Metello. Nessuno ebbe nulla da obiettare sulle sue riforme, e non parvero rivoluzionarie, ma le conseguenze lo furono a tutti gli effetti: è l’inizio della formazione di un legame sempre più stretto tra comandate e l’esercito, che spianerà - spoiler - la strada (dopo Silla) a coloro che vogliono ottenere il potere assoluto: basterà ottenere la fiducia dell’esercito, che non combatte più per Roma, ma per il suo comandante. Dopo questa misura, Mario vince la guerra, nel 104 a.C., con la cattura di Giugurta, con l’essenziale partecipazione del suo giovane collaboratore Lucio Cornelio Silla. Il 1 febbraio del 104 Giugurta viene fatto sfilare nel trionfo e ucciso; inizia a diventare prassi regolare uccidere i capi nemici dopo il trionfo. Mentre si trovava ancora in Africa, Mario fu rieletto console per l’anno successivo. Complessivamente fu eletto nel 107, dal 104 al 100 e poi nell’86. Normalmente dovevano passare almeno 10 anni da un consolato all’altro, ma subito dopo laGuerra Giugurtina si prefigurava un altro nemico da combattere: i Cimbri e i Teutoni, due popolazioni di origine germanica (Nord Europa), che iniziarono a scendere verso l’Europa centrale e meridionale; giungono nell’odierna Austria, dove nel 113 a.C. vengono fronteggiati dall’esercito romano, ma lo sconfiggono aNoreia. Nel 109 e nel 107 a.C., fronteggiano gli eserciti romani nellaGallia Narbonensis; dunque dopo l’Austria sono giunti fino in Francia, dove infliggono una pesante sconfitta all’esercito consolare nel 105 a.C. Di fronte a questo pericolo, nel 104 Mario viene rieletto per farvi fronte; eppure il console non attacca immediatamente, bensì egli passa un anno ad addestrare le sue truppe, per ridare all’esercito roman quel rigore, disciplina e capacità che erano stati persi da tempo, e introduce una serie di modifiche all'armatura dei soldati. Nel 102 a.C. sconfigge i Teutoni ad Aquae Sextiae, ma i Cimbri si erano staccati, con l’intento di passare in Italia; Mario li affronta nel 101 a.C., nella battaglia dei Campi Raudii, che in passato si credeva fosse un’area nei pressi di Vercelli, in Piemonte, ma ora si concorda che sia più verosimile che fosse intorno alla foce del Po. Dopo la vittoria, Mario vive un periodo di massima popolarità a Roma; durante il trionfo fu addirittura chiamato “nuovo Romolo”; fu rieletto console per l’anno 100 a.C. Tuttavia, nello stesso anno, fu eletto tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino, che iniziò a proporre una serie di provvedimenti popolari di ispirazione graccana, accolti con grande entusiasmo dai veterani di Mario, il che induce il console a sostenere queste proposte: ❖ attribuzione di terre ai veterani; che diventerà una prassi per l’imperator alla fine della guerra; ❖ rogatio frumentaria: distribuzione del grano a prezzo politico; ❖ deduzione di colonie nelle province; ❖ assegnazione dei terreni nella Gallia Transalpina sottratta a Cimbri e Teutoni; In questo stesso periodo, il pretoreGaio Servilio Glaucia si era candidato come secondo console nell’anno 100, ma la vittoria gli era stata sottratta dalGaio Memmio, un suo nemico personale. Quest’ultimo, il giorno delle elezioni viene assassinato, un altro segno evidente della crescente violenza della scena politica romana. Di questo omicidio vennero incolpati automaticamente Saturnino e Glaucia, senza però nessuna immagine. L’opinione pubblica aveva ormai associato Mario alla figura di Saturnino, in quanto lo aveva apertamente appoggiato, e si levò immediatamente contro quello che fino al giorno prima era stato l’eroe della Res Publica. Di nuovo il senato emana un senatus consultum ultimum, che affida ai consoli il compito di risolvere la situazione. fu così che l’esercito consolare risolse la situazione con la forza:Glaucia venne ucciso per strada, mentre Saturnino con i suoi sostenitori si era rifugiato nella Curia Hostilia, uno dei luoghi di riunione del senato. Fu la folla inferocita a scoperchiare il tetto dell’edificio e lapidare Saturnino fino alla morte. A questo punto, l’opinione pubblica si rivoltò ancora di più contro Mario, poiché aveva appoggiato Saturnino e poi gli aveva voltato le spalle, tant’è che l’eroe decaduto fu costretto a fuggire da Roma; 40 ➔ IL PROBLEMA ITALICO E LA GUERRA SOCIALE; Il malcontento degli italici era dovuto alla mancanza di equiparazione giuridica, rispetto ai cittadini romani: il mancato riconoscimento di cittadinanza portava con sè tantissimi svantaggi: gli italici erano vittima di tantissime ingiustizie sociali. Per far fronte a questo problema, molti di loro iniziarono a trasferirsi a Roma, fingendo di essere cittadini romani; questo perchè le maglie del sistema censitario erano molto larghe; questo portò ad una serie di provvedimenti di espulsione, in particolare nel 95 a.C., con la legge Licinia Mucia, che stabilivano l’istituzione di un tribunale per giudicare chi aveva finto di essere cittadino romano. Negare la cittadinanza agli italici era un fronte che univa ricchi e poveri: le famiglie italiche più illustri, ottenuta la cittadinanza, avrebbero avuto il diritto di concorrere per le magistrature, e i cittadini più poveri avrebbero avuto diritto ai benefici concessi dai tribuni della plebe, come le leggi frumentarie ecc. Inoltre, i cittadini latini avrebbero a tutti gli effetti dovuto far parte dei comizi tributi e i romani non potevano accettare che avrebbero avuto potere decisionale. Roma era una delle città più densamente popolate, alla fine del II secolo a.C:, il censimento aveva riconosciuto 395 mila abitanti, e, quando nel 70 a.C. sarebbe stata finalmente concessa la cittadinanza ai latini, sarebbero arrivati a 700 mila, un aumento diretto e così esponenziale della popolazione era un’incognita che spaventava i cittadini romani. Nel 91 a.C., divenne tribuno della plebeMarco Livio Druso, discendente dagli Scipioni Emiliani, dunque di retaggio nobilissimo. La sua carriera fu brevissima, difatti la fine del suo tribunato segnò anche la fine della sua vita, e la tradizione su di lui è davvero oscillante: alcuni lo ritenevano un sovversivo, altri credevano che fosse nel giusto: in questi casi non possiamo delineare un effettivo profilo della sua persona, ma possiamo definirlo un personaggio complesso, come moltissimi da qui in avanti coroneranno la storia di Roma. Druso propose, come Gaio Gracco prima di lui, la concessione della cittadinanza romana agli italici, che, come sappiamo, viene considerata la legge sovversiva per eccellenza; Druso, oltre un’altra legge coloniaria, propose un’altra legge giudiziaria: aumentare il numero dei senatori da 3o0 a 600, includendo 300 senatori di estrazione equestre. A questo nuovo corpo senatoriale voleva conferire dei tribunali, per sanare la frattura tra senatori e cavalieri, ma furono proprio i senatori a sabotarlo: infatti aumentare il numero dei senatori, non era affatto una mossa per rafforzarlo, ma per indebolirlo; in questo modo sarebbe aumentata la probabilità che si venissero a creare pareri contrastanti e fosse rallentato nel deliberare. Alla fine dell’anno, in circostanze misteriose, Druso fu ritrovato morto; questo scatenò una reazione violentissima negli italici, che presero la sua morte come l’ultimo affronto nei loro confronti. Iniziano ad armarsi e una sera la rivolta inizia ad Ascoli, dove in un teatro vengono massacrati tutti i cittadini romani presenti in città. A questa chiamata alle armi degli italici rispondono rapidamenti le comunità dell’Adriatico e dell’Appennino: Vestini, Marrucini, Piceni, Marsi, Sanniti, Apuli, Irpini, Lucani, Peligni, Frentani, Praetutii. La guerra fu definita in un primo momentoGuerra Marsica, perché i Marsi ne avevano assunto la guida, poi divenneGuerra Italica, e infine prevalse l’appellativoGuerra Sociale. Per certi versi, questa guerra può quasi essere definita una guerra civile, anche se si combatte per la cittadinanza, per essere cives. Le motivazioni dei rivoltosi, però, si evolsero rapidamente, fino a manifestare un desiderio di indipendenza e di vendetta. La moneta in questione è sannita: possiamo vedere come il toro rappresenta i sanniti e la lupa i romani, evidenziando il desiderio di sopraffare i romani e liberarsi dal giogo. La coalizione va dalle Marche alla Calabria, dove gli abitanti si erano organizzati in uno stato federale autonomo, che prevedeva l’organizzazione giuridica romana: erano presenti magistrati, pretori, consoli, un senato; a dimostrazione che questo era ciò che conoscevano, e non potevano essere ancora considerati stranieri; scelsero persino una capitale nell’Appennino centrale, Corfinium, rinominata Italica. Il conflitto si presentò complicatissimo per 41 i romani; vennero divisi un fronte nord e un fronte sud affidati rispettivamente ai due consoli, P.Rutilio e L. Porcio Catone; Roma ha armato 80mila soldati e 16 legioni; tra la fine del 91 e l’88 a.C. i due consoli morirono in battaglia; alla fine i romani ottengono la vittoria, poiché nel corso della guerra arrivarono a varare alcune leggi intente alla mitigazione degli animi avversari. Nel 90 abbiamo la Lex Iulia de Civitate, che accorda la cittadinanza a coloro che non si erano ribellati; nell’89 la Lex Plautia Papiria, che accorda la cittadinanza a chiunque ne avesse fatto richiesta entro 60 giorni; sempre nello stesso anno ci fu la Lex Pompeia de Transpadanis, che eleggeva i transpadani a “latini”, uno stato giuridico intermedio. Sul fronte Nord questo è anche l’anno della fine del conflitto, quando Ascoli viene riconquistata daGneo Pompeo Strabone, padre del Pompeo che conosceremo tra qualche anno. Nel Sud la guerra continua per ancora un anno, gli ultimi a cedere saranno i Sanniti, domati nell’88 a.C. da Silla, il fautore della cattura di Giugurta. La guerra fu tra le più tragiche, forse al pari di quella annibalica, annoverando quasi 400milamorti; ma la tragicità di questa guerra fu la consapevolezza di aver combattuto contro i propri alleati; i romani non erano abituati a questo, tanto meno ad una guerra combattuta praticamente davanti ai portoni delle case. Nell’88 a.C., la cittadinanza era stata estesa, ma i latini-romani non avevano ancora finito di essere svantaggiati, poiché fu deciso di distribuirli tutti in sole 10 tribù, per far sì che il loro voto non fosse preponderante nei comizi tributi. ➔ GRECIA; Grecia e Asia sono ormai province romane. Al di là di esse, si trova il regno del Ponto, governato dal reMitridate VI, separato dai domini romani da una serie di stati cuscinetto alleati dei romani, come laGalizia, la Bitinia e la Cappadocia. Approfittando del fatto che i confini non fossero diretti con i romani, Mitridate decise di allargare i confini verso Est, verso la Crimea. Per tutto il corso del 90, i romani tentarono di mitigare Mitridate con la diplomazia, ma nell’89 aC., egli decide di penetrare in Asia. L’Asia era una provincia romana, donata da Attalo III re di Pergamo, dopo la sua morte, molto ricca, in cui la Lex Sempronia aveva mandato i cavalieri a riscuotere le tasse, noti per la loro brutalità nei metodi. Nelle città d’Asia regnava il malcontento, ed è per questo che accolsero Mitridate Vi come un liberatore. Mitridate però era un uomo intelligente e arguto: egli sapeva benissimo che le città greche e asiatiche erano volubili e che potevano cambiare fazione da un momento all’altro, e pensò bene di vincolarle a sé facendo loro commettere un crimine dall'empietà tale che non sarebbero mai state perdonate dai romani e non avrebbero mai più potuto tornare loro alleate: in un solo giorno, tutti i cittadini romani presenti nelle 42 questori solo 8 potevano diventare pretori e solo 2 consoli; questo sistema a imbuto faceva si che soltanto 1 su 10 riuscisse ad arrivare al consolato. ❖ i poteri dei tribuni della plebe vengono sensibilmente ridimensionati; Silla attribuisce a questa carica di aver fomentato tutti i disordini; Silla stabilisce che chi svolge il tribunato non può proseguire nella carriera politica, facendo sì che i più ambiziosi non ricoprissero questa carica dai poteri quasi illimitati; ❖ viene ripristinata la centralità dei comizi centuriati; e i comizi tributi sono relegati alla loro funzione principale di approvare le leggi; ❖ vengono distribuite terre ai veterani (legge Corneli); a costo di numerose espropriazioni, soprattutto per i simpatizzanti mariani; la redistribuzioni sono fatte a modello graccano, ❖ i confini dell’Italia vanno dallo Stretto di Messina alla linea dell’Arno-Rubicone; in questa zona sarebbe stato vietato portare le armi; possiamo in un certo senso dire che Roma e Italia erano la stessa cosa e che questi confini erano una sorta di pomerium. ❖ gli italici vengono distribuiti in tutte le tribù; visto che il ruolo dei comizi tributi era stato ridimensionato, quest’idea non spaventava più come prima. Silla depose la dittatura alla fine dell’81 a.C., continuò a vivere a Roma e nell’80 a.C. fu di nuovo console, ultimo atto ufficiale della sua carriera politica; per il resto della sua vita visse da cittadino privato, senza necessità di guardie del corpo; molti lo descrivono disposto a discutere delle sue azioni apertamente con chiunque glielo chiedesse. Morì nel 78 a.C. nella sua residenza privata, a Cuma, i suoi funerali a Roma saranno i più imponenti mai visti e le sue ceneri saranno custodite all'interno della città (convenzionalmente non si poteva, i morti andavano seppelliti fuori le mura). Silla fu un personaggio davvero complesso, da una parte molti lo definiranno “l’ultimo repubblicano”, poiché la sua intenzione era quella di restaurare la Repubblica, ma le sue riforme sono innovatrici, eppure, senza volerlo, ha posto le basi per la fine della Repubblica: Silla ha mostrato ai successori la via per ottenere il potere assoluto e per giustificarlo. ➔ GNEO POMPEO; Si tratta di uno dei personaggi più importanti della storia di Roma, figlio di Gneo Pompeo Strabone, console nell’89 a.C., colui che aveva conferito la cittadinanza di latini ai transpadani. Il giovane Pompeo si era unito a Silla nell’83 a.C., raggruppando un esercito nelle Marche a sue spese; data la sua straordinaria abilità sul campo, nell’81 a.C. Silla gli concesse un trionfo, aveva solo 25 anni. Dal 77 al 71 a.C., Pompeo è in Spagna contro l’ultimo mariano, Quinto Sertorio, fuggito nella penisola iberica dove aveva organizzato una resistenza. Dopo averlo sconfitto, Pompeo rimane in Spagna a riorganizzare la provincia e alla fine del 71 ritorna a Roma. Nel frattempo, in Italia, nel 73 a.C. era iniziata una rivolta di schiavi: la guerra servile, l’ultima di una lunga serie iniziate nel 135. Ricordiamoci che la condizione degli schiavi ora è ben diversa da quella di età arcaica, lì gli schiavi erano più che altro servi, trattati più dignitosamente e parte del nucleo familiare; adesso, soprattutto con la diffusione delle aziende agricole erano sfruttati e maltrattati al limite delle condizioni umane; questo soprattutto al sud e in Sicilia, dove scoppia la prima (135-132 a.C.). La rivolta del 73 a.C. scoppia in una scuola di gladiatori a Capua, comandata da Cornelio Lentulo Battiato; la rivolta è famosa anche ai giorni nostri, guidata da Spartaco, un gladiatore di origine tracia, che organizzò la fuga di un piccolo gruppo dalla scuola, a cui gradualmente si aggiunsero tantissimi ribelli, fino a raggiungere migliaia di sostenitori. Tra questi sostenitori, però, non c’erano solo schiavi, ma anche proprietari a cui recentemente erano state sottratte le terre: molti di quei veterani che ricevevano i terreni, come abbiamo visto, erano proletari che non sapevano come lavorare la terra, facendo spesso un torto al bene ricevuto. Un altro motivo di disagio sociale che riguardava i veterani di Silla era la qualità altalenante e non uguale per tutti delle terre ricevute: se un 45 veterano si indebitava per investire un terreno poco fertile si era giocato tutto. Il comando dell’esercito romano contro i ribelli venne affidato aMarco Licinio Crasso, non ancora console, che aveva svoltato le sorti della battaglia di Porta Collina, contro Sanniti e mariani. Crasso, per ottenere la vittoria, decide di ripristinare l’antica disciplina dell’esercito romano; questo lo ottiene tramite le decimazioni, una vecchia pratica di Roma arcaica, dove un contingente di soldati viene ucciso sul campo, per disciplinare gli altri. Crasso doma la rivolta, Spartaco e 6mila ribelli vengono crocifissi lungo il tratto della Via Appia che collega Roma a Capua; la crocifissione era sia una tortura che un’infamia, poichè si trattava della morte riservata agli schiavi e algi infami. Tutto sommato questa rivolta non fu di fama così importante, eppure il personaggio di Spartaco rimane nella storia; la sua fama è sicuramente dovuta al fatto che nel 1918 la sua immagine fu usata come propaganda di un movimento socialista rivoluzionario promosso da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, la Lega Spartachista, e negli anni ‘60 Kubrick ne fece un film. Dopo la morte di Silla (78 a.C.) i magistrati più illustri sono sparsi, Pompeo si trova in Spagna, insieme a Metello Pio e Lucullo in Oriente a combattere contro Mitridate. A Roma c’è un nuovo ceto, il proletariato rurale che non è contento, mentre nella classe dirigente tra i sillani cominciarono a emergere diverse tendenze. Pompeo è il comandante militare più prestigioso e Crasso è l’uomo più ricco di Roma: i suoi nemici lo accuseranno di essersi arricchito con i beni dei proscritti; gode dell’appoggio dei cavalieri e la sua popolarità è dovuta al fatto che presta volentieri il suo denaro senza essere un usuraio, soltanto molto rigido sulle date di riscossione. Grazie a Cicerone e alle sue Lettere ad Attico, abbiamo un quadro dettagliatissimo di questi anni turbolenti e importantissimi per la storia romana, solo che non dobbiamo mai dimenticarci che non è una fonte oggettiva. Pompeo è l’assoluto protagonista degli anni 70 e 60, nel 67 a.C., grazie alla Lex Gabinia gli viene conferito un potere smisurato, ovvero un imperio senza limiti per 3 anni, che non è più circoscritto ad una provincia (come Scipione proconsole in Spagna), ma ad un’area ben più ampia, ricoprendo tutto il Mediterraneo, per far fronte all’incombente minaccia dei pirati. ➔ POMPEO E I PIRATI E MITRIDATE; Quando i romani avevano iniziato ad intervenire in Grecia, era soprattutto per garantire la sicurezza della navigazione per se stessi e per i propri alleati; adesso questa sicurezza era minacciata da un’entità ben diversa: i pirati erano diventati una pericolosissima organizzazione che, approfittando del fatto che dopo il conflitto con Antioco III di Siria la sua flotta era stata distrutta, avevano facilmente riempito il vuoto che si era creato nel Mediterraneo, in un periodo in cui i romani erano impegnati su più fronti: Mitridate, la guerra servile, la Spagna. Si mossero inizialmente verso la Cilicia e verso Creta. La loro pericolosità stava nel fatto che la stragrande maggioranza erano poveri, disperati briganti che non avevano niente da perdere, e che a questi si aggiungevano persone abbastanza ricche che avevano modo di finanziarli, e così disponevano di moltissimi strumenti, arsenali, navi, magazzini; si trattava di un’associazione a delinquere a tutti gli effetti. Quando nel 67 a.C. il tribuno della plebe Aulo Gabinio aveva conferito a Pompeo un imperium così vasto, era perchè i pirati erano alle porte di Roma, pericolosamente vicini a Ostia; insieme all’imperium, Pompeo disponeva di una flotta di 500 navi, un esercito di mare e di terra e la possibilità di nominare 15 legati. Secondo le fonti, il problema fu risolto nell’arco di 3 mesi; e Pompeo fu molto clemente con i pirati, una virtù, la clemenza, tipica di Pompeo. Già la Rogatio Gabinia è stata un duro colpo per il principio di collegialità delle cariche, ma a Pompeo viene concesso un altro imperium straordinario, con la Lex Manilia, nel 66 a.C., per concludere la III guerra Mitridatica, per come la definiscono i manuali. Mitridate lo abbiamo lasciato in relazioni diplomatiche con Silla nell’85 a.C., ma quest’ultimo fece il grave errore di non ucciderlo, nella fretta di tornare a Roma. I manuali riconoscono una seconda guerra tra 83 e 81 a.C., che non è molto rilevante. La vera e propria guerra contro Mitridate fu la terza, ripresa nel 74 a.C., poiché il sovrano aveva ricominciato ad espandere il suo dominio in Asia Minore; ma dal 74 al 66 la guerra fu condotta con alterne fortune dall’ex-console Lucio Licinio Lucullo, ma con la lex Manilia si conferisce a Pompeo 46 il comando della guerra. Nel 63 a.C,Mitridate si suicida, la guerra è vinta, ma gli avversari di Pompeo lo accusano di aver vinto la guerra a cose fatte. Bitinia, Cirenaica, Creta, Cilicia e Siria diventano province romane; Pompeo torna a Roma dopo averle organizzate, la Giudea viene lasciata libera, ma con pagamento di tributo. Pompeo fu abile nello stabilire una fitta rete di rapporti con i sovrani degli stati che non erano provincia romana ( Cappadocia, Galazia, Armenia) fino ad indurli in uno stato di clientela con Roma; il condottiero si valse l’appellativo di nuovo Alessandro Magno, titolo che sfruttò per la sua propaganda. Fatto sta che grazie al suo intervento le ricchezze di Roma raddoppiarono, quando sbarcò a Brindisi nel 62 a.C. congedò il suo esercito, difatti molti temevano che avrebbe marciato su Roma come Silla; tuttavia i suoi avversari, tra cui principalmente Lucullo, lo accusavano di essersi preso ingiustamente quei meriti, questo accadeva molto spesso quando il condottiero era molto giovane (40 anni), correva un grande astio tra giovani e anziani. Durante il suo ingresso a Roma l’accoglienza nei suoi confronti fu gelida, si parlò addirittura di negargli il trionfo, che invece si fece e fu uno dei più maestosi mai visti a Roma, cosa che contribuì a lanciare alle stelle la sua popolarità. Tuttavia, si trovò ben presto ad affrontare un grande problema: non trovare terre per i suoi veterani. La sua posizione era in bilico, ma in suo aiuto accorse un suo coetaneo, di qualche anno più giovane. ➔ GAIO GIULIO CESARE; Cesare nacque il 13 luglio del 100, era un patrizio appartenente ad una delle gens più illustri in assoluto, ma non tanto dal piano politico, quanto da quello sacrale: la gens Iulia vantava la sua discendenza da Ascanio Iulo, figlio di Enea e nipote di Venere. Avere una divinità nelle proprie discendenze era qualcosa di unico, tuttavia la rilevanza politica ed economica della gens era decisamente decaduta, tant’è che non è un segreto che lo stesso Cesare si indebitò per proseguire il suo cursus honorum. Si accostò alla politica negli anni 80, appena a 20 anni, quando a 17 già prendeva come secondamoglie Cornelia, figlia di Cinna,mentre sua ziaGiulia era stata moglie diGaio Mario. Era ovvio la sua appartenenza ai populares. Il suo cursus honorum iniziò decisamente in maniera classica: la sua prima carica fu la questura nel 69 a.C., fu sostenitore della Lex Gabinia e della Lex Manilia; nel 65 a.C. sarà edile, una carica che ha molte responsabilità nella sfera pubblica, anche per quando riguarda banchetti, giochi e manifestazioni; durante questa carica prese un’iniziativa che fece molto scalpore: restaurare i trofei di Mario, stendardi e trofei conseguiti nelle importanti imprese che Mario aveva compiuto (Cimbri, Teutoni e Giugurta) che erano state oscurate e dimenticate poiché si era macchiato dell’onta della Guerra Civile; infatti durante la sua dittatura, Silla li aveva fatti distruggere, assieme alla sua tomba, per dannare la suamemoria. Per il resto, Cesare ha altri legami con famiglie importanti: sua madre appartiene agli Aurelii Cotta. Il 63 a.C. è un anno decisivo per la sua carriera, saturo di avvenimenti importanti: muore Metello Pio, pontifex maximus; vengono sorteggiate 17 tribù che votino l’elezione del prossimo, che scelgono Cesare a discapito di molti altri candidati anziani e prestigiosi, infatti Cesare ha solo 37 anni quando ricopre la carica di pontifex maximus, fino alla morte nel 44a. C. Nel 62 a.C. viene eletto pretore, ma è anche coinvolto nell'oscura vicenda detta “Congiura di Catilina”. È, come al solito, un momento di forte tensione sociale a Roma: il problema dei debiti è diffuso in maniera trasversale; l’assegnazione delle terre ai veterani, a discapito degli ex-proprietari, comincia a far sentire il suo peso, soprattutto nel Sud, dove è maggiormente concentrato il proletariato rurale; ma le tensioni più palpabili sono quelle causate dalle elezioni sempre più combattute, sempre più violente, con sempre più candidati per un numero limitato di cariche. Inizia a diffondersi l’abitudine di condurre campagne elettorali fondate sulla denigrazione e sull’ invettiva dei propri avversari; un esempio è Cicerone. ➔ LA CONGIURA DI CATILINA; Cicerone è protagonista di questa vicenda. Cicerone è un homo novus, questo significa che tra le fila dei suoi antenati non ve ne erano di illustri politici; nasce nel 106 a.C. ad Arpino, patria anche di Gaio Mario. La carriera come patronus di Cicerone, che la famiglia aveva provveduto ad istruire 47 I movimenti in questione furono attribuiti agli Elvezi (odierna Svizzera), sostenendo che stessero migrando verso l’oceano, spinti da altre popolazioni, ma per farlo avrebbero dovuto entrare nella provincia, trovandosi ora a confine sul fiume Rodano. Cesare si precipita in Gallia (Narbonensis) e sbarra loro la strada, ufficialmente per “proteggere la provincia e gli Edui”, siamo nel 58 a.C.; la battaglia di Bibracte si svolge a favore di Cesare, ma a questo punto il compito è teoricamente finito. I Galli erano noti per essere frammentati in clan/popolazioni in continuo contrasto tra di loro; i Sequani erano timorosi che con l’intervento romano gli Edui, loro nemici, avrebbero accresciuto il loro prestigio, quindi si appellano al re Ariovisto, del popolo germanico dei Suevi (Svevi); Cesare lo affronta e lo sconfigge nella battaglia di Vesonzio (Besançon), nello stesso anno. La presenza di Cesare in Gallia adesso ha assunto una connotazione diversa: egli è intervenuto in una zona esterna ai confini del territorio romano, in cui esercita il suo imperium: già su questo a Roma iniziano a circolare voci contrarie, il primo a criticarlo è Catone (futuroUticense). Cesare si giustifica sostenendo che era stato costretto, per proteggere i suoi alleati. A Roma, nel frattempo succedono varie cose: gli "optimates" si oppongono sempre di più a Cesare; Pompeo e Crasso riprendono le loro ostilità, poichè è ormai assente chi favoriva la loro conciliazione; i disordini continuano a Roma. Nel 56 a.C., i triumviri decidono dunque di rinnovare a Lucca il loro accordo, garantendo la rielezione a consoli di Crasso e Pompeo, e anche prolungare l’imperium di Cesare per altri 5 anni. Nello stesso anno Cesare avanza verso il Belgio, usando come pretesto le rivalità interne, sostenendo tribù che avevano manifestato a lui affini. Il 55 a.C. è un anno importantissimo: inizialmente due popolazioni germaniche,Usipèti e Tencteri, oltrepassano il Reno, premuti dai Suevi e si scontrarono lievemente con alcune popolazioni alleate di Roma: ovviamente Cesare ne approfitta, 50 attirando in trappola i capi, fingendo di voler trattare: una volta adescati li fa imprigionare e poi uccidere e nemassacra la popolazione. Già da un po’ a Roma non si segue più il principio di fides e di bellum iustum, ma ciò consiste comunque in un vero e proprio scandalo a Roma: gli oppositori sostengono che Cesare debba essere sollevato dall’incarico, portato a Roma e processato; nel frattempo Cesare continua la sua macchinosa avanzata: attraversa il Reno con un ponte di barche, devastando l’area in un’azione “preventiva” di 18 giorni; nel suo resoconto egli afferma di temere un attacco e dunque attacca per primo. Per la prima volta l’esercito romano arriva in territorio germanico; ma non è a ciò che Cesare ambisce, quello che più di tutto vuole aggiungere al dominio romano, è la Britannia. La più grande ambizione bellica di Cesare è organizzare la prima spedizione britannica; le fonti raccontano che scrisse al senato di aver scoperto una terra oltreoceano, ma si conosceva già dai tempi di Aristotele (De Mundo). A Roma furono decretati un mese di festeggiamenti solenni per la gioia dell’imperator che per la prima volta portava i romani oltreoceano, tant’era compiaciuta l’opinione pubblica, che l’opposizione venne messa a tacere. La spedizione, però, si rivela fallimentare; il passaggio del Canale della Manica fu impervio, dato il periodo di fine estate; ma nonostante le navi perse, Cesare sbarca, ma i britanni lo respingono senza problemi (il resoconto della sconfitta è omesso dal De Bello Gallico). Nel 54 a.C., tenta una seconda spedizione in britannia, senza successo, così come nel 53: per 3 anni non ci sono nuove acquisizioni territoriali. Il 52 a.C. è un anno decisivo, uno dei più drammatici per i romani; le tribù galliche abbandonano per la prima volta le loro ancestrali rivalità e organizzano una coalizione antiromana; a capo della coalizione c’è Vercingetorìge, re della tribù degli Arverni. Come primo atto di insurrezione massacrano tutti gli italici presenti nella città di Cenabum, mentre a Roma dilaga il panico; Cesare tenta di contrattaccare, spingendosi fino aGergovia per stanare Vercingetorige, dove va in contro ad uno dei suoi pochi insuccessi sul campo. A questo punto Cesare ha la brillante idea di lasciar perdere i diversi fronti su cui i Galli lo tenevano impegnato e concentrarsi soltanto su Alesia. Cesare procede attirando Vercingetorige ad Alesia, città posta su un rilievo, che Cesare fa cingere da una fortificazione; ha inizio l’assedio; per impedire che la coalizione arrivasse a rompere l’assedio, Cesare stabilisce un’altra fortificazione, rivolta verso l’esterno; con questa fortificazione i romani riescono a cogliere il punto preciso dove i galli concentrano le loro forze, attaccando con precisione e sbaragliando le fila nemiche. Vercingetorige è costretto alla resa e con la deposizione delle armi ai piedi di Cesare si conclude anche il VII e ultimo libro delDe Bello Gallico. In realtà la guerra continua nel 51 e nel 50 a.C., ormai la Gallia è quasi completamente conquistata, eccetto per un piccolo villaggio; ma il completamento della conquista rappresenta per Cesare un' “operazione di pulizia” che non viene dunque raccontata. Nel frattempo a Roma, i successi di Cesare in Gallia iniziano ad oscurare Pompeo, il “nuovo Alessandro”, mentre la gloria di Cesare, presso il popolo, sale alle stelle. Pompeo si vede di nuovo ostacolato ingiustamente nel mantenimento della sua posizione. Intanto il senato è sempre più avverso a Cesare, che aveva lasciato Roma nel 58 a.C. dopo un consolato sovversivo e aveva compiuto azioni altrettanto sovversive -a detta dei suoi nemici- in Gallia, mettendo così da parte l’avversione per Pompeo. Quando nel 55 a.C. Crasso e Pompeo furono di nuovo consoli ottennero come di consuetudine un imperium da esercitare; Crasso esercitò il suo in Siria, in una sorta di tentativo di guadagnarsi prestigio militare, essendo quello che tra i tre ne aveva di meno. Decise di fare guerra ai Parti, un grande regno nel Vicino Oriente che confinava con la Mesopotamia. Plutarco racconta una versione forse romanzata di questa tragica spedizione; infatti Crasso viene sconfitto nel 53 a.C. nella città di Carre, impreparato di fronte alla strategia militare dei Parti: questi ultimi infatti facevano affidamento totale alla cavalleria, cosa inconsueta per i romani. La sua fine è brutale, si dice che sia stato ucciso versandogli oro fuso in gola, come gli ambasciatori nella I Guerra Mitridatica. ➔ LA GUERRA CIVILE DI CESARE E POMPEO, I rapporti tra i due vanno lentamente a deteriorarsi, sia perché non ci sono contatti se non epistolari, data l’assenza di Cesare, e soprattutto dopo la morte diGiulia nel 54 a.C. 51 Nel frattempo Roma si trovava in una situazione quanto mai critica: i disordini erano tali che nel 53 a.C. le elezioni a console furono rimandate e l’anno successivo iniziò senza che ci fossero consoli. Cesare da una parte era troppo impegnato per curarsene, ma dall’altra non sarebbe tornato a prescindere a Roma perchè 1) avrebbe dovuto deporre il suo imperium e congedare il suo esercito; e 2) nel 55 a.C. gli era stato inviato l’ordine di tornare a Roma per essere processato. Ci furono scontri violentissimi, uno eclatante fu quello tra Publio Clodio, ex tribuno della plebe esponente dei popularis e Tito Milone degli, come direbbe Cicerone, optimates. Ormai era abitudine, per chi poteva permetterselo, di girare per Roma accompagnati da guardie del corpo armate; entrambi i gruppi si scontrarono sulla Via Appia: Clodio venne ferito, ma rimase in fin di vita e la banda di Milone fuggì, più tardi ebbero l’ordine di tornare indietro a finirlo; Milone fu catturato e messo sotto processo per l’assassinio di Clodio, difeso -ovviamente- da Cicerone; il testo dell’orazione Ciceroniana appare nella sua forma perfetto, ma Milone fu comunque condannato. Cicerone in realtà si agitò e non riuscì a terminare il discorso, poiché in tribunale si presentarono anche i veterani di Pompeo, armati; Milone, tuttavia, non se ne vide male, andando in esilio a Marsiglia e ringraziò addirittura Cicerone con una lettera, di averlo difeso male così che abbia ottenuto un soggiorno a tempo indeterminato in Costa Azzurra. Purtroppo a Roma la situazione continuava a degenerare e il senato intervenne con un senatus consultum unicum, prendendo la decisione rivoluzionaria di nominare un console, Pompeo; si trattò di un atto di vera e propria sovversione istituzionale, poiché il senato non aveva l’autorità di nominare un console, in quanto spettava al popolo nei comizi centuriati. Qualche settimana dopo al suo fianco viene elettoMetello Scipione, suo parente, come secondo console. È un fatto eclatante, perché il senato è sempre stato avverso a Pompeo. Adesso, finalmente, Pompeo si illude di essere entrato nelle grazie del senato e prova un altrettanto illusorio senso di appagamento all’idea di essere stato scelto; possiamo considerare questa la seconda frattura tra lui e Cesare, perché ormai il conquistatore della gallia godeva di una popolarità senza eguali e Pompeo aveva sempre faticato per ottenere un riconoscimento nella sua vita; questo doveva essere il suo momento e non quello di Cesare, ma era molto difficile, perchè in quel momento stava combattendo contro la coalizione di Vercingetorige. La voce giunse anche in Gallia e Cesare, forte della sua popolarità, avanza una richiesta inconsuete: egli si candida console per l’anno successivo, in più chiedendo di candidarsi in absentia, ovvero senza tornare fisicamente a Roma. Questa richiesta ha due punti deboli: 1) Silla aveva stabilito che dovessero trascorrere 10 anni per ricandidarsi al consolato e lui era stato console appena nel 59; 2) la candidatura in absentia era uno strappo alla regola in tutto e per tutto perchè sappiamo quanto fosse importante a Roma fare campagna elettorale, ma Cesare non poteva tornare in Italia, perché avrebbe dovuto deporre l’esercito, ormai unica sua sicurezza. Pompeo esita, ma alla fine asseconda il senato anticesariano e nega a Cesare la richiesta. Alla fine del 49 a.C. alcuni tribuni della plebe, tra cuiMarco Antonio, fuggono presso Cesare sostenendo che era stato impedito loro persino di parlare, violando così la sacrosanctitas tribunicia. Cesare decide quindi di tornare a Roma. Racconta nelle prime pagine delDe Bello Civili delle sempre più serrate e inconcludenti trattative con Roma, che lo portarono, l’11 gennaio del 49 a.C. ad attraversare il Rubicone con il suo esercito, violando dunque il divieto di introdurre le armi nei 52 marzo, e voleva forse anche evitare sollevazioni a Roma in sua assenza. Nel pomeriggio del 15 marzo del 44 a.C., Cesare si reca in senato accompagnato da Marco Antonio, che con una scusa viene trattenuto fuori; un volta entrato viene circondato da un gruppo di senatori, tra cuiMarco Giunio Bruto eGaio Cassio Longino, entrambi beneficiati da Cesare. Svetonio racconta che a dare via all’azione fu Tillio Cimbro, che gli si avvicinò come se gli volesse parlare, e al rifiuto di Cesare egli gli afferrò la toga per le spalle; quando iniziò ad essere pugnalato si accasciò a terra, accanto alla statua di Pompeo, coprendosi il capo e i piedi con la toga; egli fu accoltellato 23 volte, secondo Svetonio emettendo un solo gemito. Famose furono le parole rivolte a Bruto, che non furono le parole che tutti noi conosciamo, ma l’equivalente greco “και συ τέκνον", ovvero “anche tu figlio mio?”. La maggior parte dei senatori non sapeva nulla e rimase inebetita davanti alla violenza; i congiurati uscirono dal senato alzando i pugnali insanguinati e gridando libertà; il corpo di cesare fu caricato su una lettiga e portato a casa sua da tre schiavi. Dopo la sua morte, fu Marco Antonio a prendere in mano la situazione, decidendo di trattare con Bruto e Cassio per evitare spargimenti di sangue; per questa iniziativa sarà demonizzato. Cicerone avanza la proposta di amnistia, una pratica greca, da cui viene anche il nome, ovvero una cancellazione del crimine commesso (letteralmente cancellazione del ricordo, μνε). Il 18 marzo avviene la pacificazione; i congiurati si erano asserragliati sul Campidoglio e scendono di nuovo in città; a questo punto viene dichiarata l’amnistia, vengono convalidate tutte le decisioni prese da Cesare nei suoi ultimi giorni e tra queste c’erano anche tutte le cariche che aveva assegnato a quelli che lo avevano ucciso. Vengono infine decretati i funerali pubblici, prima dei quali Antonio dà disposizione del testamento di Cesare, in cui viene decretata la distribuzione di 300 sesterzi a tutti i cittadini nati liberi residenti nell’Urbe, per una somma di circa 75 milioni di sesterzi. Se volessimo stimare il valore odierno di un sesterzio esso sarebbe di circa 6 euro, per un totale di circa 450 milioni di euro. Infatti Cesare aveva accumulato una ricchezza più grande di quella di Crasso. Nel testamento di Cesare è presente però un’altra volontà importantissima, quella di adottare come suo figlio ed erede un certoGaio Ottavio; questi, nato il 23 settembre del 63, dalla salute cagionevolissima, aveva appena 19 anni e si trovava in Grecia per studiare; era figlio di un altroGaio Ottavio e di Azia, nipote di Cesare, ma rimasto orfano in giovane età. Come sappiamo, a seguito dell’adozione, il suo nome sarebbe diventatoGaio Cesare Ottaviano (in latino col suffisso anus) per indicare la paternità e il lascito di ¾ del patrimonio di Cesare. Ma per il giovane il lascito più grande sarebbe stato proprio il nome. Infatti chiamarlo Ottaviano sarebbe un errore, e nessuno a Roma lo faceva, a parte Cicerone che sarà l’unico a chiamarlo Octavianus, questo perchè chiamandolo così si va a negare la paternità di Giulio Cesare. Noi lo chiameremo Cesare, tanto il vecchio ormai è morto. Tanti furono gli amici che consigliarono a Cesare di rifiutare, ma lui accettò; il futuro Augusto farà una carriera straordinaria anche grazie al suo trasformismo politico, che alcuni loderanno e altri criticheranno, fatto sta che riuscì sempre a “cavalcare l’onda” giusta che lo porterà al successo. Per una narrazione completa e cronologicamente ordinata, possiamo stabilire 21 punti cardine tra la primavera del 44 e l’autunno del 42 che segnano la vita e la carriera di Cesare. I. Marco Antonio non vede di buon occhio l’improvvisa comparsa di Cesare, in quanto è lui il capo riconosciuto della fazione cesariana; II. Nel corso dell'estate del 44 a.C. la popolarità di Antonio cala tra i cesariani, che non riconoscevano in lui un punto di riferimento politico; III. Prima di morire Giulio Cesare aveva designato l’infameDecimo Bruto console per la Gallia Cisalpina; sempre nell’estate del 44, Antonio fa votare la Lex antonia de permutazione provinciarum. che attribuisce a se stesso il governo della Gallia Cisalpina e Transalpina per 5 anni. IV. Bruto e Cassio lascian Roma, diretti in Oriente, dove iniziano ad arruolare truppe; V. La legge Antonia non è piaciuta a tutti; nei primi di settembre Cicerone attacca Antonio pubblicamente pronunciando la prima di 14 Filippiche, sentendosi come 55 demostene contro Filippo II. Anche Antonio pronunciò i suoi discorsi contro Cicerone, ma l’unica traccia che ne abbiamo sono le risposte date da quest’ultimo nelle sue; le Filippiche hanno l’obiettivo principale di infamare Antonio, anche sul piano della vita privata, arrivando anche a definirlo un ubriacone; VI. A questo punto subentra Cesare, che da prova della sua spregiudicatezza avvicinandosi alla parte del senato cesariano avversa ad Antonio, attualmente ce ne sono due: i pompeiani e i cesariani avversi; Tra l’altro la figura a cui si affianca maggiormente è quella di Cicerone, che si illude di poter manipolare il ragazzo; Cesare, che grazie al padre era diventato l’uomo più ricco di Roma, inizia ad arruolare un esercito a sue spese; VII. A Novembre Antonio lascia Roma diretto in Gallia; VIII. Il 1 Gennaio del 43 a.C. scade il consolato di Marco Antonio, Decimo Bruto assedia Modena e Antonio minaccia di fargli guerra, ma viene dichiarato hostis publicus, perdendo così tutti i suoi diritti civili; c’è ancora una maggioranza che vuole trattare; IX. a Febbraio tutte le trattative sono fallite; i due nuovi consoli sono Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa, che vanno a sostegno di Bruto a Modena; insieme a lui a fare guerra contro Antonio sarà il giovane Cesare con il suo esercito. Antonio, sconfitto, fugge verso le Alpi, mentre i consoli vincitori muoiono dopo poche settimane, Roma è senza consoli. X. Da Roma parte l’ordine per i consoli della Spagna e della Gallia Narbonense di attaccare Antonio, ma loro, cesariani, si rifiutano. Tra questiMarco Emilio Lepido, governatore della Spagna, decide di unirsi a lui. XI. Nel frattempo il giovane Cesare ha chiesto il consolato, ma la maggior parte del senato rifiuta, tra gli oppositori c’è anche Cicerone, che lo ritiene troppo giovane. A questo punto il giovane Cesaremarcia su Roma. Questa si può definire a tutti gli effetti la prima marcia su Roma. Il 19 agosto del 43 si tengono le elezioni consolari in un forte clima di tensione e vengono nominati Cesare eQuinto Pedio, una pedina scelta dal giovane. XII. Divenuto console Cesare scopre le sue carte, il suo primo atto è l’abolizione dell’amnistia, per vendicare finalmente l’uccisione del padre; revoca anche la dichiarazione di Antonio a hostis publicus; ora mira a trovare un accordo con Antonio e i suoi sostenitori. XIII. Tra Ottobre e Novembre, Antonio, Lepido e Cesare si incontrano a Bologna e viene istituita una nuova magistratura, ufficializzata con una legge votata il 27 novembre del 43, la Lex Titia; essi diventeranno triumviri rei publicae constituendae (come la dittatura di Silla), per la durata di 5 anni. Secondo le fonti questo è l’effettivo momento di fine della Repubblica. Il primo atto del triumvirato saranno le proscrizioni, votate con la Lex Pedia, molto più violente di quelle di Silla, dove ognuno dei triumviri inserisce i propri nemici. A differenza di Giulio Cesare, il figlio si renderà conto che eliminare i propri nemici è meglio che perdonarli. Antonio inserisce nelle proscrizioni Cicerone, e Cesare non farà nulla per salvarlo. Cicerone muore a Formia il 7 dicembre del 43. XIV. I triumviri si spartiscono solo l’Occidente, poiché in Oriente sono fuggiti Bruto e Cassio; Lepido si prende la Spagna e la Gallia Narbonensis, Antonio laGallia Comata, quella appena conquistata da Giulio Cesare e la Cisalpina e a Cesare rimangono l’Africa e le Isole, nel compenso la parte più scarsa del bottino. XV. ( I punti 15 e 16 sono stati riassunti prima). Il 1 Gennaio 42 a.C. viene proclamata l’apoteosi di Cesare; il defunto viene proclamato divus iulius, ovvero che dopo la morte Cesare è assunto tra gli dei. Questo elimina ogni possibilità di accordo con i cesaricidi; inoltre per Cesare Ottaviano, proclamarsi figlio di un dio era uno strumento di propaganda di immagine personale notevole. XVI. Bruto e Cassio, finanziati dai re in Oriente che erano alleati di Pompeo, mettono insieme un esercito; 56 XVII. Nel frattempo avevamo lasciato Sesto Pompeo, fuggito dopo la battaglia di Munda; prima della battaglia di Modena egli era stato nominato prefetto della flotta, e controllava ancora un contingente di navi, con cui impedisce i rifornimenti in Italia; XVIII. Nell’estate del 42 a.C. Antonio e Cesare arrivano in Macedonia, lasciando Lepido in Occidente; lo scontro si terrà nella città di Filippi, che si terrà in due date diverse nel mese di Ottobre; la prima vedrà uno scontro tra Cassio e Antonio, che vede Cassio sconfitto, e uno scontro tra Bruto e Cesare, dove Cesare viene sconfitto. Tuttavia, le fonti non sono chiare, per un motivo Cassio si toglie la vita; c’è chi dice perché a causa di un malinteso pensava che il suo alleato fosse stato sconfitto; tuttavia è molto più plausibile pensare che sia stata una conseguenza della sua sconfitta. XIX. La seconda battaglia di Filippi si svolge il 23 ottobre, Antonio sconfigge Bruto, il quale si uccide a sua volta; tutti gli ufficiali dell’esercito anticesariano vengono uccisi, anche quelli che si sono arresi. Finisce così la terza guerra civile, con la vittoria di Filippi nel 42 a.C. I vincitori sono i triumviri, ma in realtà la vittoria è di Antonio, che nella spartizione decide di tenersi l’Oriente, il suo nuovo obiettivo è la guerra contro i Parti; Lepido, che non ha partecipato, è costretto a limitarsi ad avere l’Africa; Cesare si tiene l’Occidente, ma incontra un grande problema: per distribuire le terre a 200 mila veterani dovrà espropiarne molte, facendosi cattiva pubblicità; inoltre il suo nome era anche legato alle proscrizioni, non era una figura del tutto popolare. Tra le figure che si erano astenute nel sostenere una delle due fazioni, c’era Cleopatra; ella viene convocata da Antonio a Tarso, ma l’incontro diplomatico finisce con Antonio che la segue in Egitto, diventando poi il suo amante. Nel frattempo Cesare, con le sue confische, non manca a far salire di nuovo la tensione sociale, privilegiando i suoi veterani a discapito di quelli di Antonio; uno dei consoli del 41 a.C. è Lucio Antonio, fratello minore di Marco Antonio, che assieme a Fulvia, moglie di Marco Antonio, alimentano le proteste contro Cesare. La tensione sfocia in un vero e proprio conflitto, combattuto a Perugia tra il 41 e il 40 a.C.; Marco Antonio non ne è informato subito. La città cade dopo un lungo assedio, Lucio e Fulvia vengono risparmiati, ma il senato della città di Perugia- che li aveva appoggiati- viene messo a morte. Nel 40 a.C. i triumviri si riuniscono di nuovo, stavolta a Brindisi, per rinnovare gli accordi; negli accordi di Brindisi viene confermata l’attribuzione della diverse sfere di influenza; inoltre, vista la morte di Fulvia, viene stabilito che Marco Antonio sposiOttavia, sorella di Cesare. Pochi mesi dopo ci si accorda anche con Sesto Pompeo, che viene rinominato prefetto della flotta, e gli vennero assegnati degli imperia con Sicilia, Sardegna e Corsica. In questo momento sembra tornata una dimensione di pace, infatti Virgilio scrive la IV Bucolica. Purtroppo non è così: nel 38 a.C. Cesare accusa Sesto di ostacolare i rifornimenti; nel 37 Cesare e Antonio si incontrano di nuovo, per l’ultima volta, a Taranto dove - rinnovano il triumvirato per altri 5 anni; Antonio invierà 120 navi a sostegno di Cesare, visto che nello scontro sta avendo la peggio; Cesare invierà un contingente di 20 mila uomini per la sua guerra contro i Parti. Grazie alle navi di Antonio, che Cesare affida al suo braccio destro,Marco Vipsanio Agrippa, nel 36 a.C. aNauloco, vicino lo stretto di Messina, Sesto viene sconfitto, per fuggire in Oriente dove Antonio lo farà uccidere. Cesare Ottaviano, dopo la vittoria, si fa investire della salutatio imperatoria, che però non spettava a lui, perché non era stato lui a vincere il conflitto. Eppure a seguito di ciò, egli adotta il titolo di Imperator, che però non ha un vero è proprio significato, infatti diventa il suo prenome: Imp. Caesar Divi Filius. In seguito, Lepido verrà totalmente esautorato con un blando pretesto: inizialmente, dopo la sconfitta, Sesto Pompeo aveva aperto le trattative, e Lepido era il triumviro fisicamente più vicino a lui; ma il suo tentativo di intervenire fu giudicato oltraggioso, fuori dalle sue competenze e fu costretto a implorare per la sua vita e ritirarsi a vita privata al Circeo. Il triumvirato era ormai pura finzione. Intanto Antonio in Oriente aveva cercato di saldare nuove alleanze, come aveva fatto anche Gneo Pompeo; il ruolo dell’Egitto era centrale; per molto tempo si è voluta vedere una visione distorta, dove 57 Il primo prefetto d’Egitto fu Cornelio Gallo, ma cominciò ben presto ad “abusare” della sua carica, atteggiandosi a capo assoluto della provincia, facendo erigere per esempio statue in suo onore eccetera. Augusto passa pubblicamente alla renuntiatio amicitiae, confisca il patrimonio di Cornelio che viene abbandonato da tutti e decide di suicidarsi. Subito dopo il 28 e il 27, Augusto lascia Roma per recarsi in Spagna. Questo servirà a non imporre la sua presenza a Roma: è chiaro che egli aveva intenzione ormai di stravolgere le dinamiche di Roma e continuare con la sua discendenza questo progetto; tuttavia fin da subito si manifesta questo problema: Augusto non ha figli maschi. Aveva una figlia femmina,Giulia, avuta con una donna, prima che si sposasse con Livia, di nome Scribonia, nel 39 a.C. Quando cominciò a precisare il problema, la fece sposare con un nipote,Marcello, che nel 24 a.C. avvia la sua carriera politica diventando edile. Nel 23 a.C. il pericolo che Augusto muoia senza eredi si fa reale, perché le sue condizioni di salute peggiorano drasticamente dopo un episodio di cui sappiamo, la Congiura di Varrone Murena. In questo scenario, Augusto consegna il suo anello ad Agrippa, un’effige del suo potere; e fa un elenco delle truppe che consegna a Pisone, console subentrato a Varrone Murena. Tuttavia, alla fine, Augusto guarisce. Egli decide di deporre il consolato, in quanto -ricordiamo- era console ininterrottamente dal 31 a.C., ma di fatto non cambia nulla, i suoi poteri sono sempre gli stessi. Nello stesso anno, però, Marcello muore, quello che in molti avevano sospettato essere il suo futuro erede- e in molti non erano d’accordo. Allora Augusto fa sposare Agrippa e Giulia, dalla cui unione nascerannoGaio Vipsanio Agrippa e Lucio Vipsanio Agrippa, nel 20 e nel 17 a.C, che vengono immediatamente adottato da Augusto, prendendone il nome. 60 ➔ POLITICA ESTERA IMPERIALISTA; Possiamo ufficialmente parlare di imperialismo romano, quando Virgilio scrive di un imperium sine fine; inoltre molte province come la Gallia e la Spagna stavano vivendo un periodo di sviluppo economico. Nel 22 a.C., Augusto decide di partire per una spedizione diplomatica in Oriente, per recuperare le insegne perdute di Crasso. Il delegato per le trattative diplomatiche è Tiberio; egli è figlio di Livia Drusilla, che prima di sposare Augusto aveva avuto un altro marito. Il suo nome completo era Tiberio Claudio Nerone e aveva anche un fratello,Nerone Claudio Druso. Tiberio nel 20 a.C. ha appena 22 anni, e non era mai stato considerato come erede di Augusto; egli riuscirà nell’impresa, e le insegne vengono portate a Roma ed esposte nel tempio di Marte. A differenza di suo padre, Augusto non prospetta un’espansione in Britannia, ma guarda alla Germania, i cui popoli erano stati spinti da Cesare al di là del Reno. Prima di quello, però, Augusto volle conquistare una piccola zona della Gallia Cisalpina, le Alpi, che non erano ancora state effettivamente rese romane. Le campagne iniziarono a partire dal 25 a.C, mentre quelle per il centro-Europa iniziarono nel 12 a.C. (vedi meglio cronologia alpi) Il 12 a.C. è un anno cruciale, che vede lamorte di Agrippa e di Lepido. In questo momento si solidifica definitivamente l’idea di un impero, e il problema della successione è lampante, dato che i due figli adottati da Augusto sono troppo giovani; Tiberio è il candidato migliore. Intanto Tiberio era già sposato, con una figlia di Agrippa, ma alla sua morte Augusto gli impone di divorziare e sposare Giulia. Si tratta di uno dei matrimoni più infelici della storia di Roma: Tiberio è un tipo sobrio e riservato, mentre si dice che Giulia fosse di costumi libertini. Protagonisti dell’offensiva in Germania sono i due fratelli Tiberio eDruso; che sottomettono la Pannonia, tra il 12 a.C. e il 9 a.C. La regione viene poi occupata da Tiberio. Druso nel 9 si spinge fino all’Elba,ma muore dopo un incidente a Cavallo; Tiberio si precipita a salvare la situazione e assicura il territorio al dominio romano. La celebrità di Tiberio ormai è massima ed è considerato il futuro imperatore, ma nel 6 a.C. decide di ritirarsi a vita privata, poiché non voleva più essere il burattino di Augusto, andando in esilio a Rodi. Il figlio adottivo più grande, Gaio, ha 14 anni e viene già presentato agli eserciti, ormai designato come erede, nominato Princeps Iuventutis, senonchè nel 4 a.C.muore in Armenia, dove era stato mandato in missione; nel 2 a.C. era morto anche Lucio. Nello stesso anno, Giulia era stata coinvolta in uno scandalo, evidentemente aveva intrαttenuto rapporti di dubbia natura con degli esponenti del circolo anti-augusteo, tra cui Iullo Antonio, figlio di Marco Antonio; verrà accusata di adulterio e sarà mandata in esilio a Ventotene e poi a Reggio. Sono anni molto duri per l’imperatore. Ad Augusto non resta altro che scendere a patti con Tiberio, che - grazie all’intercessione della madre - viene designato come erede; ma Augusto non si ferma qui, e impone anche la successione di Tiberio, con il figlio diDruso, ( Nerone Claudio Druso)Germanico, che era nato nel 15 s.C. Nel 5 d.C. Augusto adotta ufficialmente Tiberio, che diventa quindi Tiberio Giulio Cesare. Ora Tiberio si concentra nel consolidare il dominio romano in Germania. I Marcomanni, governati dal reMaroboduo, erano un terribile avversario che bisognava affrontare, in quanto minacciavano il fronte sud-est. La doppia offensiva fu organizzata da Tiberio eGaio Sentio Saturnino, come nel 12 a.C. i due condottieri attaccarono da fronti opposti, schiacciando i nemici chiusi in una morsa ( formazione a tenaglia). Nel frattempo però, in Pannonia e Dalmazia è scoppiata una rivolta, dove vengono concentrate tutte le forze; questa spedizione fu giudicata pericolosissima: la Dalmazia ha la possibilità di scendere in Italia, lungo il fianco più scoperto dalle Alpi del Friuli Venezia Giulia. Dal 386 si teme di nuovo un’invasione. Le fonti che abbiamo sono scarse, ma ci è giunta voce che talmente furono presi dal panico i romani che cominciarono ad arruolare anche gli schiavi. La rivolta viene repressa nel 9 d.C. Roma ne esce stanca e con le casse prosciugate; avrebbe bisogno di una pausa per riprendersi, e invece subisce un’altra batosta, ma una di quelle più terribili che ha subito nella sua storia. Il 9 d.C. è l’anno in cui a Roma arriva la terribile notizia che tre legioni, guidate dal governatore del Nord della Germania, Publio Quintilio Varo, sono state massacrate in un’imboscata. 61 Il principe germanico della tribù dei Cherusci, Arminio aveva servito largamente nell’esercito di Roma: era usanza che i principi stranieri fossero capi delle truppe ausiliari, guadagnandosi così spesso la cittadinanza romana. Arminio però usa la sua posizione di fiducia nelle fila dell’esercito per organizzare una ribellione, insieme a gran parte delle tribù germaniche. Le fonti raccontano che il malcontento era nato da un controllo troppo severo che i romani avevano sulla regione. Le tribù si ribellano e Varo avvia una spedizione punitiva: al suo fianco c’è Arminio. È proprio lui che lo esorta a proseguire in un territorio boscoso, così fitto che i legionari sono costretti ad avanzare in fila indiana; e qui, ad un certo punto, Arminio scompare e Varo si rende conto di essere circondato; non ci sono sopravvissuti, le vittime ammontano a 15 mila soldati. Secondo Tacito, la carneficina sarebbe avvenuta nel Salus Tautoburgensis, ma circa 30 anni fa è stato stabilito che il luogo fosse Calcrise, grazie ei ritrovamenti che sono stati effettuati: resti di armi, carri e tesoretti (recipiente in cui i soldati, attaccati, nascondevano i propri averi e li sotterravano, così da impedire al nemico di prenderli e se fossero sopravvissuti li avrebbero esumati). La carneficina durò 4 giorni: dal 6 al 9 settembre. (9/9/9 !!!!). Varo, prima di essere massacrato, riuscì a suicidarsi. Augusto fu veloce a rimpiazzare immediatamente le 3 legioni, Tiberio fu mandato immediatamente a gestire la situazione, insieme a Germanico. quest’ultimo portò con sé suo figlio piccolo, che divenne una specie di mascotte delle legioni, a cui veniva fatta indossare una mini-armatura, con tanto di mini-caligae; fu così che il futuro imperatore, dopo Tiberio, si guadagnò il soprannome di Caligola ( caligula = diminutivo). Germanico prende in mano la situazione nel 13 d.C. e ottiene immediatamente la rivincita, dove rimane anche dopo la morte di Augusto l’anno successivo, per organizzare la regione. Augusto era stato sempre “ossessionato” dal pensiero della sua morte, tant’è che già nel 32 a.C aveva fatto costruire la sua tomba, ilMausoleo di Augusto, come propaganda contro Antonio, che nel suo testamento aveva espresso la volontà di essere sepolto ad Alessandria. Di fronte al mausoleo erano stati importati obelischi dall’Egitto; il primo ad esservi sepolto fu Marcello, poi Agrippa, Gaio, Lucio, Druso (Druso detto Maior, il fratello minore di Tiberio; ci saranno 4 Druso:Druso Germanico, figlio di Druso Maior;Druso Minor, figlio di Tiberio, eDruso Cesare, secondogenito di Germanico). Nella stessa zona nel 13 d.C. sarà costruita l’Ara Pacis; Augusto nel suo Res Gestae, il suo testamento spirituale, tramanderà la volontà del senato di costruire un monumento dedicato all’impresa di Augusto nelle Alpi (vedi cronologia). Nel 14 d.C. Tiberio parte per l’Illiria; Augusto lo accompagna fino a Benevento, poi si ritira aNola, dove era morto anche suo padre biologico Gaio Ottavio, dove muore il 19 agosto 14 d.C. Viene immediatamente dichiarata la sua apoteosi, e come suo padre adottivo viene annoverato nel pantheon degli dei e viene anche eretto un tempio per il suo culto: il tempio delDivus Augustus. D’ora in poi Cesare e Augusto diventano titoli per i futuri imperatori, tanto da essere tradotti anche in greco (Αυτοκρατωρ Καισαρ Σεβαστοσ= imperator non aveva traduzione nella lingua greca e “Augusto” viene sostituito da “Sebastos”che significa “venerabile”). Il suo successore fu Cesare Tiberio Augusto. Seguono considerazioni di quanto Augusto sia stato grande ecc. ecc. 62
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