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Identità e Differenze: Costruzione e Consequenze, Appunti di Sociologia

Antropologia socialeSociologia della diversitàComunicazione interculturalePsicologia Sociale e Personale

Le differenze naturali, sociali, culturali e morali e i meccanismi di costruzione di queste differenze attraverso il concetto di identità. Del ruolo del pregiudizio e stereotipo nella costruzione di differenze e le conseguenze di disuguaglianze e discriminazione. Il testo illustra come le differenze e disuguaglianze sono fenomeni sociali differenti ma non esclusivi e il ruolo del sistema culturale e rappresentazioni sociali nella costruzione della realtà.

Cosa imparerai

  • Come le disuguaglianze e discriminazione si originano dalle differenze e come possono essere ridotte?
  • Come funziona il meccanismo di costruzione delle differenze attraverso il pregiudizio e stereotipo?
  • Come le differenze naturali, sociali, culturali e morali influiscono sulla costruzione di identità?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 13/10/2019

tatiana-libera-1
tatiana-libera-1 🇮🇹

4.2

(25)

61 documenti

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Scarica Identità e Differenze: Costruzione e Consequenze e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! Le differenze (e i meccanismi di ‘costruzione’ delle differenze) Io-Tu, Noi-Voi: identità e differenze già nel soggetto I due aspetti dell’identità (come similarità e differenza) sono all’origine di una dinamica complessa: se l’individuo si identifica troppo con i modelli culturali e con gli altri, rischia di non essere riconosciuto nella sua differenza; se si differenzia troppo, rischia di compromettere quella similarità che è pure condizione del riconoscimento sociale. L’affermazione di appartenenza (identificazione, similarità) coglie in particolare la dimensione integrativa, cioè la capacità di riunire in un unico quadro la molteplicità, di legare le differenze, unificare la frammentazione. L’identità come appartenenza privilegia l’asse della temporalità, dato che accentua il carattere della continuità rispetto all’eterogeneità dei diversi momenti che costellano le biografie personali o la storia collettiva. L’affermazione di individuazione pone l’accento sul processo di differenziazione, su ciò che mi distingue e caratterizza rispetto agli altri; qui emerge una sorta di circoscrizione di uno spazio, fisico o simbolico, al di fuori del quale sta l’“altro”, il “diverso”, l’“estraneo”. L’identità come individuazione privilegia la dimensione spaziale dell’esperienza e la definizione di un dentro e di un fuori, costruendo confini e accentuando discontinuità. L’identità presenta dunque una natura processuale, dinamica, duale; la dialettica tra individuazione e integrazione avviene prima di tutto nel soggetto, che costruisce l’identità per differenza, che incorpora in qualche modo già la differenza dentro di sé. Ma questo non significa che tale dialettica non abbia risvolti sociali: Identità e differenza costituiscono un riferimento importante per la comprensione dell’agire sociale degli individui (si veda, per esempio, quanto detto a proposito del potere). Comportamenti che possono sembrare irrazionali o privi di motivazioni di senso comune possono infatti trovare una spiegazione qualora ci si riferisca alle esigenze di riconoscimento di individui o gruppi sociali. La stessa cosa si può dire a proposito delle identità collettive (vedi i conflitti per la difesa di identità nazionali, locali, etniche, religiose ecc.). Identità e differenza sono dunque in rapporto tra loro: la differenza segnala che l’identità non è mai completa, definitiva. Differenze multiple Oltre a toccare la dimensione dell’identità, le differenze derivano da più dimensioni, per cui abbiamo per esempio: • differenze naturali (per esempio: età, sesso, elementi strutturali dell’individuo…) • differenze sociali (legate sia alle appartenenze socio-culturali sia alle scelte che ogni soggetto intraprende nella sua vita, per esempio attraverso percorsi di studio o professionali ecc.) • differenze culturali (legate sia alle appartenenze date sia alle scelte individuali) • differenze morali (derivanti dall’adesione a certi valori piuttosto che ad altri) Nell’analisi sociologica si distingue tra differenze ascritte e differenze acquisite. Le differenze ascritte derivano da fattori indipendenti dall’individuo, sono ereditate dalla nascita. Mentre le differenze acquisite derivano dalle scelte compiute dai soggetti lungo i loro percorsi di vita così come dalle condizioni sociali entro cui essi vivono, condizioni che vanno a incidere o meno sulla costruzione di alcune differenze. Meccanismi di costruzione delle differenze. Stereotipo, stigma, pregiudizio Nella vita sociale vi sono dei meccanismi che contribuiscono a costruire le differenze, perché vanno a toccare da vicino i processi di allocazione e distribuzione delle risorse sociali tra gli individui e i gruppi. Tra questi meccanismi vi sono lo stereotipo, il pregiudizio, lo stigma. Tali processi hanno tutti a monte un processo di categorizzazione, processo che gli esseri umani mettono in gioco per semplificare la realtà. Esso non conduce necessariamente a visioni stereotipizzate o pregiudizievoli della realtà, ma può condurre a ciò. Lo stereotipo Esso si appoggia sul processo di categorizzazione, che è una componente ineliminabile del processo percettivo. Le categorizzazioni, infatti, producono semplicità e ordine dove c’è complessità e variazione vicina alla casualità. Esse ci possono aiutare a gestire la complessità. Quando i “tipi”, le categorie che utilizziamo si irrigidiscono e diventano immodificabili, anche a fronte di esperienze reali che le contraddicono, si forma uno stereotipo. Lo stereotipo è dunque un “calco cognitivo”, uno schema rigido fornito dal contesto sociale e culturale che produce, al livello dei discorsi, immagini e figure caratterizzate dalla ripetitività. Lo stereotipo precede l’uso della ragione: si tratta infatti di una forma di percezione, che impone un certo stampo ai dati dei nostri sensi prima che i dati arrivino all’intelligenza. Non c’è nulla di più refrattario all’educazione o alla critica dello stereotipo. Si imprime sull’evidenza, nell’atto stesso di constatarla. Lo stereotipo infatti è una specie di idea fissa, che resiste al cambiamento. Gli stereotipi resistono al cambiamento perché sono strumenti per costruire un’immagine del mondo (che semplifica il mondo e tende a rassicurare) e definire il nostro posto in tale mondo. Lo stereotipo consente infatti: 1. di categorizzare altri individui, normalmente sulla base di caratteristiche fortemente visibili (es. sesso, etnia, ecc.): se a tali caratteristiche evidenti vengono associati significati negativi, lo stereotipo scivola nello stigma (come diremo tra breve). 2. di attribuire un insieme di caratteristiche all’insieme dei membri di quella categoria 3. di attribuisce quelle caratteristiche a ciascun individuo membro di quella categoria Gli stereotipi sono sistemi di rappresentazione che fissano criteri rispetto ai quali i singoli soggetti sono giudicati per il loro grado di somiglianza. L’individualità in quanto tale non ha valore: serve tutt’al più come “esemplare” rispetto alla categoria. Inoltre gli stereotipi forniscono credenze generalizzate e astratte a proposito di un gruppo e dei suoi membri e consentono associazioni e costruzioni di reti di attributi (tratti, credenze, comportamenti) collegati a certi gruppi, oltre a suggerire implicitamente connessioni di tipo causale (per es.: “gli immigrati spacciano droga perché non hanno voglia di lavorare”). Molto del sapere veicolato dallo stereotipo è implicito, legato alla contiguità dei campi semantici e ai cortocircuiti di significato che si attivano, e anche questo lo rende più resistente al cambiamento. Tra le funzioni dello stereotipo è infatti importante il suo “potenziale induttivo”, ovvero la sua capacità di far prevedere altre informazioni. Lo stereotipo tende a naturalizzare categorizzazioni inizialmente arbitrarie, dove il semplice fatto di appartenere a categorie diverse giustifica la contrapposizione e il conflitto, una volta che il criterio di distinzione viene caricato di significati di valore. Per la sua funzione categorizzante e semplificatrice, lo stereotipo porta ad accentuare le somiglianze intra-categoriali e, nello stesso tempo, a enfatizzare le differenze e le contrapposizioni tra le categorie. Lo stigma 13 L’affermazione dell'identità configura infatti uno spazio (simbolico) e un tempo (anch’esso simbolico), al di fuori dei quali sta l’“altro”, il “diverso”. Tutte le forme di identità hanno le loro geografie immaginarie (senso del sentirsi a casa) e i loro tempi (una storia, dei miti), sulla base dei quali si orientano i processi di riconoscimento, di inclusione-esclusione. Essenze e costruzioni Il legame tra identità e differenze rimane problematico, ambivalente e può essere ipotizzato in diversi modi. 1) Una prima prospettiva interpreta l’identità e la differenza come essenze, come dati costitutivi dei soggetti e dei gruppi umani. L’appartenenza identitaria, in questo caso, è qualcosa che ereditiamo, un pacchetto definito e coerente che ci caratterizza e definisce: un bagaglio di elementi che accompagnano gli individui lungo tutta la vita, in modo pressoché immutato fino alla fine. La differenza viene intesa come avente radici in fattori biologici (razza, legami parentali, genere) o culturali (intesi anch’essi come fortemente immutabili e non passibili di contrattazione: etnia, lingua, tradizioni, ecc.). Identità e differenza tendono così a diventare sinonimi: la propria identità – nella sua dimensione di individualità – viene data dalla cultura, che si fonda a sua volta su una ineliminabile differenza che la rende unica: l’appartenenza a una particolare comunità diviene cruciale per l’identità di un individuo; il legame tra il soggetto e il gruppo sarà particolarmente forte e la minaccia di esclusione particolarmente distruttiva nel momento in cui si volesse lasciare la comunità. Le altre differenze vengono viste come una minaccia, perché mettono in discussione la sopravvivenza del gruppo, delle sue tradizioni. Si tenta quindi di ostacolare il contatto, delineando un mondo fatto di tanti gruppi comunitari, in cui si consente a ogni differenza di esistere e di mantenersi proteggendosi dall’intrusione e dal mescolamento con altre differenze. Nelle visioni essenzialiste si collocano le visioni dei cosiddetti comunitaristi (le quali assumono poi varie accentuazioni): l’identità degli individui è qualcosa che essi scoprono e che non riguarda la loro libera scelta. I comunitaristi attribuiscono una forte centralità al gruppo e alla comunità (etnica, culturale, religiosa) e alla dimensione identitaria: il radicamento culturale viene inteso come supporto necessario per la propria identità. Essi propugnano un ritorno alla comunità, come espressione della domanda di identità: nelle forme più estreme ciò spinge a tracciare confini molto precisi tra chi è dentro e chi è fuori dalla comunità. Nelle sue derive, questo orientamento si esprime poi nei vari neofondamentalismi che insistono sul valore e sulla integrità della tradizione, accentuando in maniera artificiale l’uniformità culturale mediante la contrapposizione con le identità altre, tracciando confini netti tra il noi e il voi. 2) Una seconda prospettiva tende a vedere le identità e le differenze come storicamente e socialmente costruite. Esse sono il risultato di processi sociali di costruzione di confini che delimitano il campo delle relazioni, che consentono di posizionarsi e di dare senso e ordine alla realtà. L’appartenenza diviene quindi una costruzione: le definizioni dei fenomeni sociali diventano dei fatti sociali; e anche quanto dicono Berger e Luckman: la realtà è una costruzione sociale. Questi ultimi sottolineano come il mondo in cui viviamo non è semplicemente una realtà già data, non costituisce un fenomeno oggettivo naturale, ma è il risultato di una costruzione derivata da un insieme multiforme di pratiche e accordi sociali, di tipizzazioni della vita sociale (in tale ottica, per esempio, lo “straniero” o l’ “altro” non vengono visti come una categoria esterna e naturale, ma si cerca di analizzare come questa distinzione sia socialmente creata e mantenuta, di considerare cioè la categorizzazione come un processo sociale che costruisce una particolare visione della realtà). La realtà sociale emerge quindi da una continua opera di costruzione di spiegazioni, narrazioni, azioni di soggetti che, pur muovendosi all’interno di sedimentazioni di senso legate a abitudini e decisioni del passato (come sono in parte la stessa identità, la memoria, la cultura), sono continuamente impegnati nella ricerca e nell’utilizzo di risorse (materiali, sociali, psicologiche) con cui ritessere quella trama di senso e relazioni che costituiscono il sociale. Nella costruzione della realtà – e dell’identità e delle differenze – la comunicazione gioca un ruolo cruciale, per via della capacità di fornire delle risorse simboliche, dei modelli di comportamento, degli stili di vita. I media infatti rappresentano una fonte multiforme di risorse identitarie, utilizzabili nella definizione delle identità di genere, nazionali, sopranazionali, religiose, ecc. Ma in senso più ampio, il linguaggio svolge un ruolo importante nel definire lo spazio sociale, nel classificare gli individui in categorie, nell’orientare le modalità della percezione, della descrizione, dell’interpretazione e della relazione con l’altro, con la differenza. Per es.: la definizione dell’altro come extracomunitario, come clandestino non è imputabile alle “caratteristiche” dell’altro, ma si riferisce a implicazioni di ordine sociale legate a tali definizioni: lo status giuridico non è un attributo del singolo – come la pubblica opinione è solita pensare – bensì la conseguenza di una determinata scelta di regolazione degli interessi e delle condizioni di residenza degli stranieri in un territorio. Il riesplodere del tema delle differenze Con la società moderna e la creazione dello stato moderno è avvenuta la creazione di una nuova identità di tipo collettivo, nazionale: il sentimento nazionale è stato un modo per sentirsi parte di un mondo ampio e condiviso; quel sentimento ha subito anche delle degenerazioni, nel nazionalismo e nell’etno-nazionalismo. Lo stato moderno è stato in parte un soggetto che ha garantito l’unificazione delle differenze, magari attraverso l’imposizione violenta dei suoi confini e delle sue regole, creando un “esterno” su cui proiettare il problema delle differenze. In quell’orizzonte comune si è resa possibile la coesione di realtà spesso disparate, si sono offerti agli individui dei quadri relativamente omogenei e organizzati per strutturare la vita individuale e collettiva, dentro spazi relativamente chiusi, omogenei, stabilizzati. All’interno della società moderna, il rapporto con le differenze culturali ha avuto quindi un nesso molto stretto con l’organizzazione spaziale della vita sociale. La costruzione dei confini ha consentito di pensare l’altro come colui che sta al di là di un confine e al di fuori di un territorio. La modernità societaria si è sforzata di creare un equilibrio Io-Noi in cui ha prevalso la dimensione individuale e identitaria rispetto a quella relazionale. Vi sono delle condizioni che si sono modificate e che hanno trasformato una situazione permanente delle società (la presenza di differenze al suo interno) in un problema, una emergenza che ha travolto molte certezze. Con il mutamento intervenuto dalla fine degli anni ’80 in Occidente diventa visibile e esplicita la fine di una possibilità utilizzata dagli stati-nazione occidentali: il fatto che fosse possibile lasciare all’esterno, o prendere come riferimento un “esterno”, un al di là dei propri confini, su cui proiettare i problemi legati alla differenza, soprattutto culturale. Ecco allora affiorare o meglio esplodere il tema delle differenze. Nell’epoca attuale, i processi di globalizzazione ridisegnano profondamente lo spazio: viene infatti superata la separatezza spaziale, per cui non vi è più un al di là (del confine) in cui collocare l’altro. La questione della differenza emerge pertanto con tutta la sua forza ed anche problematicità. In sintesi possiamo dire che la differenza (culturale, valoriale, esperienziale, ecc.) penetra nella vita quotidiana di ognuno di noi, con tutti i suoi risvolti in termini contrapposti di potenzialità e di difficoltà, obbligandoci a ripensare la stessa nostra concezione della realtà e soprattutto il nostro rapporto con l’altro. Le differenze etniche Il concetto di etnia e eticità è diverso da quello di nazionalità: quest’ultimo si riferisce infatti specificamente all’ambito dell’organizzazione politica. E si differenzia anche da quello di razza: quest’ultimo termine infatti indica un insieme di essere umani che condividono alcuni tratti somatici ereditari, ai quali – in modo più o meno arbitrario – si è associata l’idea che persone aventi 13 caratteri fisici diversi possano essere considerate in modo diverso, perché uno specifico patrimonio genetico è responsabile di certi comportamenti. In realtà, come attestano le scienze biologiche, le differenze tra singoli individui sono più rilevanti di quelle tra i gruppi razziali: la variabilità genetica riscontrabile tra individui appartenenti alla stessa razza è estesa come quella che si osserva tra individui di diversi gruppi razziali. Anche il termine “razzismo” estende indebitamente le differenze somatiche, puramente esteriori, a altri elementi fino a un determinismo biologico. E assume queste differenze come fattore discriminante dei rapporti umani, dei rapporti sociali e dei comportamenti dei singoli. Il razzismo trova nel linguaggio uno dei suoi luoghi di riproduzione. Il dibattito multiculturale ha messo in luce, tra i diversi ambiti del confronto, il problema del linguaggio, poiché esso assume una notevole importanza nel definire la realtà sociale e la conseguente rappresentazione negativa di gruppi portatori di certe differenze. Pertanto, nel processo di decostruzione del linguaggio comune si è cercato di favorire la diffusione di un linguaggio cosiddetto “politicamente corretto”, non offensivo e tendenzialmente attento a mettere in luce gli aspetti positivi delle differenze di cui sono portatrici le minoranze: da qui l’utilizzo del termine ‘etnia’ anziché ‘razza’. L’etnia indica un insieme di individui che condividono una comune origine geografica e di discendenza, una lingua e una cultura, cioè un insieme di valori e modelli di comportamento. E’ più evidente rispetto al concetto di razza l’elemento culturale e quindi anche la vaghezza del concetto: determinate differenze di aspetto fisico, culturali, linguistiche, di origine sono definite come ‘etnicamente rilevanti’ come esito di un processo di costruzione e di interazione e assumono un ruolo significativo sia nei processi di autodefinizione sia in quelli di differenziazione sociale. Va anche detto che l’etnicità ha assunto un ruolo nuovo: essa diventa un contenitore culturale su cui si proiettano bisogni, domande e esigenze legate a sistemi di vita molto differenziati. L’identità etnica non fa più esclusivamente riferimento ai contenuti tradizionali di tipo ascrittivi, ma accentua la dimensione culturale e spesso viene utilizzata per fornire al gruppo dei linguaggi e dei simboli allo scopo di affermare dei diritti. Le differenze etniche possono essere intrasocietarie e intersocietarie, a prescindere dal contatto diretto e continuativo. Per quanto riguarda la regolazione della convivenza interetnica si distinguono alcuni concetti che rimandano a processi sociali molteplici: ✳ assimilazione: è il processo attraverso il quale lo straniero interiorizza i modelli di comportamento e gli orientamenti valoriali della società in cui si inserisce; ✳ integrazione: essa riguarda la sfera socioeconomica e implica l’adozione di modelli di comportamento (soprattutto socio-economico, lavorativo) e il raggiungimento di condizioni di vita che riducono i rischi di segregazione e di conflitto senza però addivenire ad una completa conformità culturale; ✳ acculturazione: è un processo interattivo attraverso il quale due gruppi differenti selezionano e parzialmente trasformano alcuni tratti della cultura con la quale sono entrati in contatto adattandoli al proprio sistema culturale di riferimento. La presenza di più etnie in un territorio origina la società multietnica, la quale costituisce un obiettivo difficile nella sua convivenza. Infatti, al suo interno possono essere messi in atto anche dei processi disintegrativi che vanno dalla stratificazione sociale su base etnica, alla discriminazione nell’accesso a certe risorse (casa, lavoro, formazione), alla segregazione (volontaria o coatta) sociale o territoriale, fino ad arrivare anche a situazioni di aperto conflitto etnico. Il dibattito sul multiculturalismo prende tendenzialmente in considerazione questi possibili rischi, ponendo l’accento sull’importanza delle politiche per prevenire l’insorgere di difficoltà nella convivenza, nonché sul tema dei diritti di cittadinanza: la cittadinanza si basa su terra o sangue? Quali sono i criteri di accesso ai diritti e alle opportunità sociali in una società? Il dibattito sul multiculturalismo è in realtà più ampio. In sintesi, il termine è il risultato della presa di coscienza che, con l’esplodere di certi fenomeni sociali in seguito a processi di mutamento, lo
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