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Appunti Diritto Canonico I, Appunti di Diritto Canonico

Appunti presi durante le lezioni ed inerenti al programma frequentanti dell'anno 2017/2018

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 12/12/2017

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feede1995 🇮🇹

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Scarica Appunti Diritto Canonico I e più Appunti in PDF di Diritto Canonico solo su Docsity! Diritto Canonico I Programma: G. Dalla Torre, Lezioni di Diritto canonico, Giappichelli, Torino, 2014 www.vatican.va codice di diritto canonico (testi fondamentali) scaricare le parti affrontate a lezione. Peculiarità: L’insegnamento del diritto canonico risale al Medioevo, con l’utrumque ius, due diritti universali: ius romano, che però aveva natura suppletiva rispetto ai diritti particolari e lo ius canonico che era un vero e proprio diritto universale perché è il diritto della Chiesa che aveva ormai diffusione in tutta Europa: veniva applicato anche nei confronti degli ordinamenti secolari. La societas cristiana era infatti unica: anche nelle materie connesse alla spiritualità la competenza era della Chiesa, per la competenza spirituale che era considerata prevalente. Lo ius canonico prevaleva sul diritto particolare. Il diritto canonico veniva elaborato sulla base di una scienza giuridica raffinata, ma anche dall’autorità centrale della Chiesa che guidava l’elaborazione di questo diritto. Lo ius romano era invece un diritto fermo al corpo giustinianeo, non vivo e capace di evolversi, nemmeno aperto a nuove soluzioni. Il diritto canonico poteva fungere da modello anche per il diritto civile: l’influenza è venuta scemando solo a causa dell’evoluzione degli Stati nel 1600, quando si afferma il monismo giuridico e il diritto canonico viene relegato all’interno del diritto della Chiesa; così anche la societas cristiana viene meno a causa del processo di secolarizzazione. Resta comunque l’influsso che per numerosi secoli la Chiesa ha esercitato, oltreché l’interesse che suscita la comparazione. Vi è una similitudine tra istituti giuridici (contratto, rappresentanza ecc), ma il modo in cui è regolata la disciplina è molto diverso. L’ordinamento canonico è l’ordinamento di un’organizzazione di ispirazione religiosa, si pone obiettivi diversi rispetto alla società civile. La Chiesa afferma la sua fondazione in un soggetto espressione di volontà divina, Gesù Cristo, volontà che trascende la Chiesa. Anche la finalità è trascendente, la Chiesa è istituita per condurre gli uomini alla salvezza dell’anima, non per la pacifica convivenza tra i consociati, i fedeli. La pacifica convivenza, la “buona vita terrena” è solo un gradino intermedio. Il coronamento più pieno sarà in una dimensione escatologica, la finalità è metagiuridica. Il diritto assume dunque una funzione strumentale. La Chiesa si ispira al diritto romano, ma lo rielabora perché si ispira a principi diversi. Innanzitutto la regola giuridica ha una funzione diversa, è valida se corrispondente al piano della provvidenza divina, se traduce una regola di giustizia, un ideale di giustizia, al piano divino che tende alla salvezza degli uomini. Inoltre il diritto canonico è intrinsecamente un diritto flessibile, una regola generale ed astratta non può essere rispondente alle esigenze concrete. Prevalenza della norma particolare sulla norma universale: Ius singulare, diritto nel caso concreto che può essere sia prater legem che contra legem. Ciò che conta è la realizzazione della giustizia nel caso concreto, ne deriva la prevalenza del profilo sostanziale su quello formale. DATE APPELLI CANONICO 11 dicembre ore 9 8 gennaio 22 gennaio 5 febbraio 29 settembre 2017 STORIA DELLE FONTI DEL DIRITTO CANONICO Importanza dello studio storico del diritto canonico Nello studio delle fonti è importante partire da una prospettiva storica, che per il diritto canonico non è semplice esercitazione dottrinale, ma arte integrante dell’ordinamento vigente. L’ordinamento canonico non ha mai avuto soluzione di continuità. Le fonti storiche sono strumento di interpretazione e integrazione delle norme vigenti. Questo principio viene enunciato nel can 6 2 CIC 83 “I canoni di questo Codice, nella misura in cui riportano il diritto antico, sono da valutarsi…” La storia delle fonti può essere ripartita in 4 periodi: • Periodo preclassico: dalle origini al XII secolo • Periodo classico: dal XII secolo al XVI secolo • Periodo moderno: dal XVI secolo al XIX secolo • Periodo delle codificazioni: dal XIX secolo alla contemporaneità PERIODO PRECLASSICO Il Mandato apostolico è l’atto di fondazione della Chiesa, ricondotto a Gesù di Nazaret. Egli aveva scelto come discepoli i 12 Apostoli. Sul mandato apostolico si fonda l’organizzazione delle prime comunità cristiane. Attraverso la successione apostolica nel mandato viene assicurata non solo la continuità, ma anche l’autenticità: garanzia data dal fatto che ci sia una condivisione tra gli apostoli di un patrimonio di fede garantito e conservato dalle comunità. Così diviene fondamentale garantire il rispetto della tradizione apostolica, tradotta in regole che disciplina l’intera vita della comunità. In questo stadio non c’è distinzione tra i tipi di norme, si è in una fase antecedente alla percezione giuridica. Fin dalle origini le comunità si evolvono in senso gerarchico, i capi della comunità sono successori degli apostoli e vengono chiamati vescovi. Le comunità si organizzano, accanto al vescovo ci sono presbiteri (gli anziani), i diaconi e poi tutta la comunità dei fedeli. Le fonti in quel periodo erano: a. Le Sacre Scritture – che si precisano tra il II e il IV secolo b. L’insegnamento di Cristo – Nuovo Testamento • Composizione esterna • Composizione interna delle antinomie Le fonti diverse vengono armonizzate per individuare una soluzione unitaria. Vi è un’unica autorità suprema che dirige la produzione del diritto in senso unitario. Concretamente l’opera di unificazione viene avviata da Graziano camaldolese, che insegnava teologia pratica a Bologna, la sua opera è un’opera didattica. La finalità dell’opera è espressa nel titolo Concordia discordantium canonum. Gli strumenti di cui si avvale Graziano erano gli stessi utilizzati dai romanisti; le opere precedenti erano parziali. Sul piano della sistematica, l’opera è divisa in tre parti, nella terza vi è una trattazione puntuale della consacrazione. Vengono poi aggiunte le norme extravagantes. Delle 5 compilazioni antiche è importante ricordare quella di Bernardo di Pavia, che ha suddiviso le fonti in una sistematica più ordinata: • Iudex fonte del diritto • Iucicium • Clero • Connubia • Crimen Il Liber Extra segue la suddivisione di Bernardo da Pavia. Gregorio VII e Gregorio IX operano un’ulteriore sistemazione. Nel 1234 Gregorio IX promulga il Liber Extra mandandolo alle principali università, Bologna e Parigi. 12 ottobre 2017 La prima parte del Corpus Iuris Canonici è dottrinale, onnicomprensiva, ricordata come Decretum, vuole dare omogeneità interiore a norme fino ad allora prodotte nell’ambito dell’ordinamento della Chiesa. Il Decretum diventa il testo base anche nella prassi e fa sorgere la scuola dei Decretisti. Gregorio IX poi commissiona il Liber Extra, abbreviazione di Liber Decretalium Extravaganti. La natura giuridica del Liber Extra è quella di essere un libro autentico, voluto dal romano pontefice, quindi voluto dall’autorità dal legislatore. Il liber extra a differenza del decreto di Graziano è un’opera organica. Dal Liber Extra si sviluppa una seconda scuola di diritto canonico, i Decretalisti. Bonifacio VIII commissionerà poi il Liber Sextus, è sempre il romano pontefice a promulgarlo nell’esercizio della sua funzione legislativa: impone di tenere conto solo delle decretali presenti nel Decreto di Graziano, nel Liber Extra e nel Liber Sextus stesso. Si chiama Liber Sextus perché si pone in continuità ideale ai Liber Extra e anch’esso è diviso in cinque parti. Clemente V fece invece un’altra raccolta, che avrebbe voluto chiamare Liber Settimus ed è promulgata da Giovanni XXII che denomina l’opera come Costitutiones Clementii Quinti, le cd Clementine. Questa raccolta ha valore autentico, ma non esclusivo. Le Cleentine vengono promulgate in un’epoca di difficoltà perché il Papa si trova in esilio ad Avignone. In questo periodo la Chiesa aveva perso la sua autorevolezza, motivo per cui nelle Clementine non vengono incluse Decretali, sebbene non si voglia abolirle. E’ un’opera di compromesso politico in cui non vengono inserite le decretali che potevano essere indesiderate dal Papa, come la Bolla Unam Santam, con cui Bonifacio VIII espandeva al massimo i principi del governo teocratico. Dopo le Clementine tutte le raccolte seguenti furono private: una delle più importanti è quella di Giovanni Chappuis che redige Extravagantes Johannis XXII, raccolta di Decretali redatta verso il 1325 e le Extravagantes communes. Chiama tutta la raccolta Corpus Iuris Canonici: nel 1582 Gregorio XIII promuove un’edizione critica, che ha voluto ripristinare il testo autentico di queste collezioni. Le parti del Corpus Iuris Canonici non hanno però tutte lo stesso valore e mantengono quello originario: la raccolta di Graziano ad esempio resta privata, i Liber Extra e Sextus invece sono raccolte autentiche, le Extravagantes invece sono anch’esse private. Con il CIC si arriva ad un corpo organico di norme. INTERAZIONE TRA DIRITTO CANONICO E DIRITTO CIVILE Nell’epoca classica diritto canonico e civile hanno contribuito alla nascita della scienza giuridica europea. I fattori che hanno permesso questa interazione sono: • Storiche: il Medioevo è un’epoca intrisa di cristianità, è una societas cristiana. La dottrina cristiana è il patrimonio comune dell’uomo medievale ed influenza tutti i campi di vita. Res pubblica sub deo. La Chiesa si erge come unica interprete di questa dottrina. • Sistema dell’utrumque ius: riferimento al principio dualistico della dottrina cristiana “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. All’imperatore spetta il potere temporale, dunque le materie terrene. Alla Chiesa spetta invece la competenza delle materie spirituali. Questo principio determina la superiorità dell’ordine spirituale su quello temporale. In nome della ratio peccati vitandi il Pontefice viene ad estendere in modo progressivo la sua competenza, basta che in una materia temporale vi sia giuramento di fronte a Dio che la violazione del giuramento comporta la commissione di un peccato; dunque in nome della necessità di evitare la commissione di un peccato anche una materia temporale diviene di competenza spirituale. L’utrumque ius implica anche il riconoscimento di una pluralità di ordinamenti: civile e canonico, quest’ultimo omogeneo, il primo composto da diversi diritti. Il diritto di elaborazione dottrinale sul Corpus Iuris Civilis assume una funzione integrativa dei diritti particolari laddove ci siano lacune. I due diritti sono però ben diversi: il diritto canonico resta un diritto universale che viene applicato come unico diritto sia negli ordinamenti secolari, tanto all’interno della Chiesa. Inoltre il diritto canonico continuamente completato dai pontefici è un diritto attuale e fornisce soluzioni allo ius civile, ancorato a Giustiniano. I civilisti stessi si rifanno al diritto canonico per integrare lo ius canonico che si fonda sul diritto romano. CONTRIBUTO DELLO IUS CANONICO ALLO IUS CIVILE Lo Ius Canonico è un diritto confessionale che si rimanda ad un fondatore cui si attribuisce natura divina, con prospettiva e finalità escatologica, con meta oltremondana. Il diritto canonico è quindi ben conscio della sua natura strumentale; questa impostazione fa sì che il diritto canonico svolga una funzione moralizzatrice. Il diritto deve realizzare questi valori nella regolamentazione della vita concreta, sviluppando i principi giuridici per cui nel caso concreto possano avere attuazione i principi che permettono di realizzare il piano di salvezza. Allo scopo si usano gli istituti del diritto romano usandoli per le proprie esigenze (es. rapporti contrattuali) • Principio formalistico: una promessa avrà effetti giuridici vincolanti nella misura in cui userà la forma prevista. Il patto nudo, che si fonda sul consenso delle parti senza forma specifica nella stipulazione, non produce effetti ex nudo pacto actio non oritur. In seguito è stata concessa un’eccezione exceptio pacti: se il debitore veniva chiamato in giudizio dal debitore dicendo di aver già adempiuto al patto. Questo adempimento non poteva essere chiesto da chi l’avesse eseguita. Il patto nudo non veniva direttamente protetto, ma un eventuale adempimento del patto era non restituibile (Pactum restitum). Il diritto canonico richiama in materia il concetto teologico della FIDES, ossia affidamento nella parola data che deve essere rispetta tanto nei confronti di Dio quanto degli uomini, altrimenti si incorre nel peccato. Questo principio è già presente nel decreto di Graziano, afferma che non ci sia differenza tra il giuramento e la parola data in qualsiasi forma, perché come nel giuramento non deve sussistere nessuna slealtà, così nella parola data non deve sussistere alcuna menzogna. La glossa di Giovanni Teutonico nel commentare il passo del diritto romano, lo stravolge ex nudo pacto oritur actio. Nel Liber Extra (De Pactis) viene confermata l’esigibilità giuridica dei patti promissori. In definitiva il consenso delle parti introdotto dal diritto canonico è un istituto tuttora esistente. • Prescrizione acquisitiva o usucapione: il diritto romano riteneva sufficiente la buona fede iniziale (mala fide superveniens non nocet). Il diritto canonico invece dà rilevanza alla buona fede (ricorda lettera di Paolo), ma deve essere continua. Il pontefice Innocenzo III fa approvare un decreto in tal senso. • Persona giuridica: la personalità giuridica degli enti morali è frutto della dottrina canonista, nel diritto romano non aveva elaborato una dottrina sulla personalità giuridica. Si richiama la nozione teologica di Corpum misticum (sempre richiamata in vari passi dell’Apostolo Paolo), la Chiesa rappresenta Cristo, così come il corpo è composto da diverse membra così la Chiesa è composta da varie articolazioni. Sinibaldo De’ Fieschi, -poi diverrà Innocenzo IV- elabora una teoria della personalità giuridica. Utilizza la figura della persona ficta, la soggettività viene costruita dallo stesso diritto universitas fingatur una persona, ente non fisico, ma morale. • Tutela delle persone: il matrimonio canonico viene elaborato sulla base del consenso delle persone, il diritto canonico approfondisce il consenso in modo da far sì che il matrimonio sia davvero un rapporto interpersonale che corrisponda al bene della persona. E’ il diritto canonico che elabora la dottrina dei vizi del consenso. Per quanto riguarda la tutela della filiazione, il diritto canonico ha introdotto il principio del favor proliis: la distinzione tra figli naturali e figli legittimi rientrava nella competenza di ordine temporale. Il diritto canonico non ha mai previsto un trattamento diverso, ma prevedeva delle irregolarità nell’assunzione di cariche di governo della Chiesa per i figli illegittimi, che quindi non potevano accedervi. Tuttavia la Chiesa cercava di favorire l’acquisizione dello stato di legittimità. Ha esteso quindi la nozione di filiazione legittima, equiparando il concepimento alla nascita, quindi anche se concepiti prima del matrimonio si era figli legittimi. Ha poi creato l’istituto del matrimonio putativo, se almeno uno dei due coniugi avesse ignorato in buna fede uno degli impedimenti al matrimonio anche se in seguito il matrimonio fosse stato dichiarato invalido, nei confronti dei figli nati frattanto il matrimonio produceva comunque effetti. Infine la Chiesa ha contribuito all’estensione del subsequens matrimonio per la legittimazione dei figli, già conosciuto al diritto romano per cui però doveva esserci stato stabile rapporto di concubinato. Il diritto canonico estende la legittimazione anche per i figli nati da un rapporto occasionale, se poi i genitori si sposavano. Il principio era Queste definizioni di diritto naturale la ritroviamo nelle istituzioni di Giustiniano ed è ripresa dal cristianesimo che la trasforma in senso cristiano. Possiamo dire che questo primo passaggio segna la trasformazione del diritto naturale in diritto divino. La natura razionale dell’uomo è una natura creata da Dio, Dio ha impresso un ordine oggettivo di valori all’interno di questa natura che corrisponde al piano della salvezza di Dio (di origine divina). Il diritto canonico si è appropriato della definizione di diritto naturale (inteso come recta ratio) che era comune nel pensiero antico. Nel decreto di Graziano troviamo una definizione di diritto naturale tratto dall’etimologia di Isidoro di Siviglia. La definizione ricomprende la definizione di jus gentium e jus naturale, il diritto naturale non è solo riferirsi alla natura dell’uomo ma guardare al messaggio di salvezza di Dio contenuto nelle sacre scritture. La distinzione tra principi necessari e principi non necessari viene ripresa dal decreto di graziano che contempla questa gerarchia di fonti. Nel XII secolo la riscoperta della filosofia aristotelica affermava l’autonomia dell’ordine naturale che si ritrova nella sistematica di Tommaso d’Acquino il quale distingue due ordini: l’ordine della natura (corrisponde all’ordine naturale di Aristotele, ordine oggettivo di valori che si fonda sulla natura razionale dell’uomo) e ordine della Grazia (ordine della missione di salvezza che Cristo ha portato in terra, si fonda sulla grazia di Dio). La Grazia non elimina la natura ma la perfezione. Il rapporto tra ordini non è di esclusione reciproca ma di coordinazione. Con la seconda scolastica ed in particolare Suarez nell’ambito del diritto divino impone una distinzione tra ius divinum naturale (diritto naturale che si fonda sulla natura razionale dell’uomo ma richiede un atto di volontà della ragione umana perché possa essere conosciuto e considerato giuridicamente vincolante) ius divinum positivo (rivelato direttamente da Dio, è il diritto che si trova nelle sacre scritture). Fonti di diritto divino Sono nucleo fondamentale dell’ordinamento canonico Diritto divino naturale: principi insiti nella natura della persona umana creata ad immagine di dio e della stessa conoscibili attraverso l’uso della ragione. - Meta-positivi: vigenti se suscettibili di progressivo disvelamento - Validi per tutti gli uomini, universali; condivisi con gli ordinamenti giuridici secolari (base antropologica comune). Esempi: diritti umani, matrimonio. Diritto divino positivo: principi insiti nella parola di Dio rivelata in vari interventi storici e conoscibili sulla base dei testi sacri (Nuovo e Antico Testamento) e della tradizione apostolica. Rapporto tra diritto divino naturale e positivo: - Il diritto divino positivo può precisare precetti di diritto divino naturale (ad esempio il principio di indissolubilità del matrimonio, Mt 19, 6) - Il diritto divino positivo può affermare principi che vanno oltre il diritto divino naturale (ad esempio le norme di organizzazione della Chiesa) - A seconda del contenuto il diritto divino positivo può avere valore per tutti gli uomini, per i soli cristiani, per i soli cattolici. Fonti di diritto umano Norme prodotte dall’autorità ecclesiastiche umane titolari di potestà normativa, nelle forme previste dall’ordinamento. Caratteri: - norme con funzione integrativa e ausiliaria delle disposizioni provenienti dal diritto divino - subordinate al diritto divino - contingenti e mutevoli - vincolanti solo per i fedeli cattolici (can. 11 CIC). 19 ottobre 2017 Le fonti di diritto canonico possono essere: • Di produzione: la legge e la consuetudine • Dichiarative: di diritto divino Se la norma è esplicativa di un principio divino avrà efficacia retroattiva, se esplicativa di un principio umano avrà vigenza dal momento della sua emissione. La legge canonica può essere prodotta a livello di chiesa universale dal romano pontefice, o chiesa particolare dai vescovi, comunque il potere legislativo è esercitato dagli organi di governo della Chiesa. La consuetudine nell’ambito dell’ordinamento canonico ha un ruolo più ampio, non marginale: ha avuto un ruolo importante nella traduzione dei principi escatologici, purchè però si tratti di una consuetudine razionale e conforme al diritto divino. • Secundum legem: interpretativa • Contra legem: in contrasto con la legge • Praeter legem: può colmare una lacuna di legge in un ambito in cui non c’è un’espressa norma di legge Elasticità del diritto canonico, prevale la consuetudine sulla norma di legge. Questo principio viene ricompreso nell’Aequitas canonica. APPUNTI EQUITA’ 26 ottobre 2017 Persona umana e condizione dei fedeli Persona e comunità ecclesiale: chiesa come comunità Dobbiamo partire dalla natura della chiesa, la chiesa è una comunità di persone per definire l’aspetto comunitario il concilio ecumenico vaticano II nella sua riflessione dedicata alla natura della chiesa e alla struttura della chiesa sottolinea una nozione fondamentale di popolo di Dio. Nozione di popolo di Dio (Lumen gentium, n.9) assunta dal codice per tradurre la configurazione interna della Chiesa: comunità umana di coloro che hanno aderito al messaggio evangelico e sono stati incorporati a Cristo e al suo corpo mistico che è la chiesa attraverso il battesimo. Popolo: comunità di fedeli che condividono la medesima dignità e hanno comuni finalità; di Dio: non radunatosi di propria iniziativa, ma a seguito di chiamata divina. Vocazione universale della chiamata a partecipare al popolo di Dio. Popolo di Dio vuol dire comunità di fedeli che condividono la medesima dottrina, popolo di origine divina perché rispondono alla chiamata divina. La chiesa è una comunità che deriva da Dio. Di fatto questo non è stato ancora realizzato perché la realtà mostra una varietà di appartenenze religiose. Can. 96, I libro codice di diritto canonico: mediante battesimo l’uomo è incorporato alla Chiesa e in essa è costituito persone, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiastica e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta. Il riferimento al battesimo quale titolo costitutivo della personalità in senso giuridico potrebbe indurre a ritenere che l’ordinamento canonico consideri soggetti di diritto i soli battezzati, con esclusione dei non battezzati. C’è una nozione giuridico formale di persona ed una ontologico sostanziale, questa nozione noi dobbiamo richiamare per spiegare il canone 96. Persona nell’antichità greco-romana era la maschera teatrale (utilizzata per ampliare il tono della voce), poi identifica l’attore nel ruolo che svolge nell’ambito della scena che sta rappresentando, di seguito passa dalla scena alla vita reale ad indicare il ruolo che svolge l’individuo nella scena sociale. Emerge una nozione di persona simile a quella giuridico formale che abbiamo visto viene utilizzata dal diritto per identificare il soggetto di diritto. Il passaggio ad una nozione sostanziale di persona che guardi all’ontologia dell’individuo lo dobbiamo all’ontologia cristiana. Il contributo più importante lo dà la teologia cristiana attraverso quelle dispute che hanno caratterizzato i primi secoli di vita delle comunità che cercavano di tradurre in linguaggi comprensivi per comprendere la natura della divinità. Il Dio cristiano è un Dio che si perfeziona in tre persone (padre, figlio, spirito santo) per capire come questi tre soggetti si possano relazionare ha portato la teologia cristiana ad elaborare il concetto di persona. Persona significata individualità che condivide una medesima natura. Sono tre persone in un’unica natura divina e così anche avviene il passaggio nell’applicazione di questa categoria di persona come ente sussistente passa dalla divinità all’essere umano che è creato ad immagine e somiglianza di Dio. La definizione di persona è quella di ente sussistente di natura razionale o spirituale che caratterizza la natura dell’essere umano da altri esseri viventi creati da Dio. La nozione di persona non è formale, non dipende dal ruolo che la persona svolge nella società e dal suo status sociale. La persona ha un valore assoluto. La tesi più restrittiva si fonda sulla lettera della norma. La tesi più aperta ritiene che non si possa negare a tutti gli esseri umani la soggettività giuridica in base alla dignità naturale di persona. In forza del diritto divino naturale, anche i non battezzati godono dei diritti di capacità giuridica benché limitata rispetto ai battezzati, in quanto non appartengono alla Chiesa e quindi non godono dei diritti e dei doveri che derivano dalla comunione ecclesiale. Questa tesi pare più corretta, il titolo ontologico costitutivo della soggettività è diverso: per la persona umana è fondato sulla struttura naturale della persona umana o soprannaturale, fondato sulla recezione di un sacramento costitutivo di una nuova identità della persona. Si possono riscontrare diverse declinazioni della soggettività perché non può essere intesa come criterio formale ma secondo la concezione realistica la soggettività deve ricalcare la condizione sostanziale della persona e quindi bisogna distinguere a seconda della diversa posizione della persona. Abbiamo una diversa estensione divisa in cerchi concentrici: persona umana, battezzata, battezzato nella chiesa cattolica. Condizione giuridica della persona umana nella Chiesa Titolarità di diverse situazioni giuridiche in base a diversi titoli: a) dignità naturale di persona umana: riconoscimento di diritti fondamentali della persona umana (non sono trattati espressamente ma sono presupposti come un dato di diritto naturale); protezione penale della vita, dell’integrità psicofisica e della libertà personale di ciascuna persona umana fin dal concepimento. b) Vocazione universale alla salvezza in Cristo: tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio. Conseguenze: i non battezzati sono destinatari delle attenzioni della chiesa, diritto- Can. 207-1. Per istituzione divina vi sono nella Chiesa tra i fedeli i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici. Sulla base del principio di distinzione il codice prevede delle situazioni giuridiche per ciascuna condizione. La prima distinzione tra fedeli (chierici-laici) attiene alla distinzione tra sacerdozio comune (comune a tutti i fedeli) e sacerdozio ministeriale o gerarchico (proprio di coloro che hanno ricevuto l’ordine sacro). Le due forme di sacerdozio entrambe espressione della missione redentrice di Cristo, sono diverse non solo nel grado ma anche nell’essenza: il sacramento dell’ordine conferisce una partecipazione ontologica specifica al sacerdozio di Cristo capo della Chiesa, che fa acquisire ai ministri sacri il potere di agire in persona Christi, con una specifica deputazione all’esercizio delle funzioni proprie del sacerdozio gerarchico (lumen gentium, n. 10). Il potere conferito ai chierici va compreso alla luce dei poteri della chiesa concepiti come un servizio, il sacerdozio gerarchico è a servizio del sacerdozio comune. I laici partecipano al sacerdozio nella modalità di base comune a tutti i fedeli con eguale corresponsabilità per l’interezza della missione della chiesa nelle tre funzioni insegnare, santificare e governare. Insegnare significa predicazione e insegnamento della parola di Dio, Santificare significa celebrazione del culto divino. Laici Definizione di laico: col nome laici si intendono qui tutti i fedeli che dopo essere stati incorporati a cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella chiesa e nel mondo la missione di tutto il popolo cristiano. La definizione corrisponde a quella del can. 204 (nozione di fedele). La connotazione specifica del laico: per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale di cui la loro esistenza è come intessuta. L’indole secolare è il modo tipico di vivere la condizione giuridica del fedele laico: can. 225, 2. Sono tenuti anche al dovere specifico, ciascuno secondo la propria condizione di animare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico e in tal modo di rendere testimonianza a Cristo particolarmente nel trattare tali realtà e nell’esercizio dei compiti secolari. I campi di impiego del laico: - Impegno nella vita sociale e politica: can 227 è diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria testi come dottrina della Chiesa. Nell’ambito della vita sociale tipico ed esclusivo del laico è l’ambito dello status coniugale: i laici che vivono nello stato coniugale secondo la propria vocazione sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi mediante il matrimonio e la famiglia nell’edificazione del popolo di Dio. I genitori provvedono all’educazione cristiana dei figli. - Impegno all’interno della chiesa: partecipa all’apostolato della chiesa nelle tre funzioni di insegnare, santificare e governare. La partecipazione del laico si svolge nelle forme del sacerdozio comune (il laico ha un diritto di iniziativa e libertà). In merito alla funzione di governare i laici possono essere consultati da parte della gerarchia su diverse questioni, possono collaborare variamente con i pastori. In ordine al modus docendi i laici sono corresponsabilità dell’annuncio evangelico e hanno diritto e dovere di acquisire una conoscenza più piena delle scienze sacre, frequentando le università ecclesiastiche e gli istituti. Per la funzione di santificare il codice prevede altre forme di partecipazione. - Il laico può essere investito di cariche gerarchiche: il laico può accedere agli uffici gerarchici con l’unico limite per quegli uffici che richiedono come condizione l’aver ricevuto l’ordine sacro (sono gli uffici di vertice, di romano pontefice e di vescovo). Non può essere assunta liberamente dai laici ma richiede una speciale investitura, è necessaria una nomina chiamata missio canonica da parte dell’autorità competente. L’investitura richiede una specifica competenza, è necessario che il laico abbia una certa preparazione (per essere giudice, ad esempio, laurea in diritto canonico). Una categoria di uffici che i laici possono investire sono quelli generalmente conferiti ai chierici ma in via straordinaria possono essere affidate ai laici (ad esempio, l’ufficio di parroco: può accadere che il numero di chierici sia esiguo quindi difficile trovare chierici che possano rivestire l’ufficio di parroco nelle diocesi quindi o si riduce il numero di parrocchie o si affida la parrocchia al laico). Chierici I chierici sono coloro che hanno ricevuto l’ordine sacro (si riceve in tre gradi diaconato, presbiterato e episcopato). Condizione per ricevere l’ordine sacro è l’essere battezzato e l’essere di sesso maschile (per il diaconato non vi è divieto per le donne). L’accesso all’ordine sacro è condizionato a un periodo di formazione e alla valutazione del vescovo circa il possesso dei requisiti di vocazione e di idoneità. Spetta al vescovo valutare la capacità e idoneità del candidato e ammetterlo alla recezione del sacramento dell’ordine. Il sacramento dell’ordine ha effetti permanenti ontologici, conferisce una partecipazione ontologica che non si può perdere (può perdere lo stato clericale, può perdere le situazioni giuridiche che compongono lo statuto). La sacra ordinazione una volta validamente ricevuta non diviene mai nulla. Tuttavia il chierico perde lo stato clericale: per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo, mediante pena di dimissione irrogata illegittimamente e per rescritto della Sede Apostolica per gravi cause. Con la perdita dello stato clericale il chierico perde i diritti e non è tenuto ad alcun obbligo salvo l’obbligo del celibato dispensato appositamente dallo stato pontefice. La potestà d’ordine non viene meno. Lo stato clericale presenta una fisionomia unitaria, caratterizzata da un complesso di diritti e doveri che ne specificano la condizione. A differenza dei fedeli laici nella condizione di chierici prevale l’aspetto della doverosità in considerazione delle loro responsabilità nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Alcuni doveri sono comuni a tutti i battezzati ma acquistano intensità e ricchezza di contenuti nella condizione del chierico come il dovere di tendere alla santità (i chierici sono tenuti in modo peculiare a tendere alla santità e devono essere consapevoli di questo obbligo) e dovere di obbedienza (obbligo speciale a prestare obbedienza al vescovo). Troviamo alcune restrizioni e vincoli all’esercizio di diritti e al compimento di attività altrimenti lasciate alla libera disponibilità dei fedeli: diritto di associazione, tenere determinati comportamenti, assumere certi incarichi, all’esercizio di determinate professioni, allo svolgimento di alcune attività (divieto di assumere uffici pubblici, divieto di attività di amministrazione dei beni, divieto di partecipazione ai partiti politici). Obbligo peculiare è quello del celibato, i chierici non possono contrarre matrimonio devono osservare la continenza perfetta e perpetua. Ci sono casi particolari in cui il chierico può essere sposato: il diaconato è il primo grado dell’ordine sacro e generalmente costituisce il primo gradino verso il ricevimento del presbiterato ed episcopato. Il diaconato permanente prevede la figura di diaconi che non accederanno ai successivi gradi, possono ricevere il diaconato anche se sposati. È una figura di chierico sposato però il matrimonio deve essere stato celebrato prima di aver ricevuto l’ordine sacro. Questo istituto richiama la tradizione delle chiese orientali che non prevedono l’obbligo di celibato in assoluto per i chierici (solo i vescovi non debbono essere sposati). I chierici sono investiti delle funzioni della chiesa nella modalità del sacerdozio gerarchico. La condizione della donna È una condizione che fa discutere perché troviamo nell’atteggiamento della chiesa cattolica un’ambivalenza di fondo che si registra nel modo di considerare la partecipazione della donna nella vita della chiesa. Da un lato vi è l’affermazione di un principio di uguaglianza e la valorizzazione del ruolo della donna ma nel corso della vita della Chiesa sono state riconosciute restrizioni alla donna. La donna è subordinata all’uomo. Nell’epoca attuale la donna sta vivendo un’epoca di emancipazione sotto tutti i punti di vista che incide anche sulla rivalutazione della posizione della donna nella chiesa cattolica. Una rivalutazione che ha portato a riscoprire i principi originari alla base della sacra scrittura (pari dignità dell’uomo e della donna), questa rivalutazione è fatta da interventi pontifici e la ritroviamo nel concilio ecumenico vaticano II. Il concilio rivaluta la posizione della donna anche se ci sono pochi riferimenti specifici alla donna. Questa strategia del silenzio che non fa distinzione tra uomo e donna consente di affermare un principio di tendenziale eguaglianza tra donna e uomo non richiamando le precedenti discriminazioni. La rivalutazione del ruolo del laico comporta una rivalutazione del ruolo della donna. I codici attuali (latino ed orientale) seguono la stessa strategia del silenzio. In realtà alcune differenze ci sono, dal punto di vista giuridico le differenze che vengono fatte nel trattamento sono giustificate? Se non sono giustificate per esigenze specifiche dell’istituzioni ecclesiali sono discriminazioni se invece trovano giustificazione per esigenze sottese all’istituzioni ecclesiali non sono discriminazioni. Secondo la dottrina cristiana vi è eguale dignità tra uomo e donna: sono entrambi figli di Dio creati a sua immagine e somiglianza. Le differenze naturali psichiche e fisiche dovute alla diversità di sesso non incide sul godimento di diritti e dovere (nell’ambito del matrimonio non vi sono differenze tra diritti e doveri che spettano al marito ed alla moglie). Nella disciplina del matrimonio vi sono disposizioni che riconoscono diversità: la donna matura prima l’uomo matura dopo e questo fa sì che si differenzi l’età matrimoniale dell’uomo da quella della donna. Nell’ambito della condizione di fedele non vi sono differenze tra uomo e donna ma troviamo differenza per la diversità funzionale di fedeli. Una differenza importante quando parliamo di diversità funzionale è quella che riguarda la recezione dell’ordine sacro, la donna non può accedere a presbiterato ed episcopato. Questa diversità è confermata da diversi documenti del magistero, le giustificazioni di questa dottrina definitiva sono due: - Riguardano il comportamento del fondatore della chiesa che ha anche fondato il sacerdozio (Gesù Cristo) che nel chiamare a sé gli apostoli non ha ricompreso nessuna donna. Questo fatto non può essere motivato per condizione di inferiorità della donna in quell’epoca perché se guardiamo l’atteggiamento di Gesù nei vangeli verso la donna è un atteggiamento molto aperto (molto spesso vi dialoga, le donne sono prese come interlocutrici privilegiate in alcuni passi del vangelo, tante sono additate ai discepoli come esempi); al momento della resurrezione la prima testimone è una donna. Non c’è nessuna donna nel collegio apostolico. Se la vita viene interrotta prima del suo decorso naturale si possono figurare due ipotesi, ricomprese nella seconda parte del Libro VI del Codice in cui sono ricomprese le sanzioni penali: TITOLO VI LIBRO VI • Aborto (Canone 1398): uccisione deliberata comunque venga attuata di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, tra concepimento e la nascita. Per la dottrina cattolica la vita inizia con il concepimento, non con la nascita che è la conclusione della prima fase della vita di una persona compiuta all’interno del ventre materno. Sopprimere questa vita anche un secondo dopo è un’uccisione di una persona, atto ancora più grave dell’uccisione di una persona nata. L’aborto è sanzionato in modo più grave dell’omicidio, il quale è punito in modo proporzionale alla sua gravità. Per l’aborto è prevista la pena fissa più grave dell’ordinamento canonico, la scomunica latae sententiae, cioè inflitta automaticamente senza che il giudice accerti il compimento del delitto. Non è inflizione, ma autoinflizione della persona che l’ha commesso. L’accertamento da parte del giudice è unicamente una sentenza dichiarativa che consente alla Chiesa sanzionare comportamenti anche del foro interno e non solo di quello esterno. Anche nel libro dell’Esodo vengono puniti più gravemente gli atti contro persone inermi, è il concepito è ancora più inerme del neonato, il quale dispone della difesa minimo della compassione che può suscitare. Il delitto di aborto è ad evento, perché presuppone la consumazione. E’ importante poi l’intenzione dolosa, un atto colposo o preterintenzionale non configurano la fattispecie delittuosa. Vi possono poi essere circostanze esimenti, come la giovane età inferiore ai 16 anni, il timore grave che può derivare dal timore della madre di subire conseguenze negative, l’ignoranza non colpevole della legge che vieta l’aborto. La scomunica riguarda tutti coloro che sono intervenuti nella determinazione dell’evento, madre e medico. La scomunica viene inflitta automaticamente, ma se c’è un sincero pentimento può essere rimessa. • Omicidio (Canone 1397) Peccato e delitto Il peccato è un atto contrario alla morale, intesa come insieme di valori fondati sulla persona umana. La qualificazione di delitto può aggiungersi al peccato, come sanzione penale per la violazione di beni considerati particolarmente preziosi per l’ordinamento canonico. Tutti i delitti sono peccati e non viceversa. L’eutanasia Azione od omissione, che procura la morte di una persona per eliminare le sofferenze fisiche o psichiche. Eutanasia, cioè buona morte, così chiamata perché si ritiene che la vita della persona non sia più sopportabile o desiderabile. Per la Chiesa l’eutanasia indipendentemente dalle motivazioni resta l’uccisione deliberata di una persona, quindi resta un atto fortemente immorale che rientra nel canone 1397, dove l’omicidio è punito indipendentemente da come sia commesso. La gravitò morale è poi diversa a seconda che si tratti di un suicidio assistito od un vero e proprio omicidio. Nella prima ipotesi vi è consenso della persona, mentre l’omicidio prescinde dal consenso e la sua gravità morale è più forte. Qui è necessario arrivare ad un processo per l’inflizione della pena. Il suicidio E’ una scelta contrastante con l’ordine di valore che presiede la vita umana come bene indisponibile. Tuttavia occorre operare una distinzione soggettiva ed oggettiva. Oggettivo. Uccisione di una persona umana Soggettivo. Vi possono essere circostanze attenuanti od esimenti, in considerazione delle condizioni tragiche che inducono una persona al suicidio. Il suicidio assistito è differente poiché chi aiuta una persona ad uccidere se stessa, è complice. La scelta non è ritenuta giustificata nemmeno dal consenso prestato dall’altra persona. Rinuncia all’accanimento terapeutico Differente dall’eutanasia, in questa ipotesi si accetta di non poter impedire il termine naturale dell’esistenza. E’ pienamente legittima per la dottrina della Chiesa e non configura l’ipotesi di omicidio. L’obbligo di cura del medico e di accettazione della cura del malato può essere attenuato valutando la potenzialità dei mezzi terapeutici ad alleviare la condizione del malato e non siano troppo gravosi per la sua famiglia. • Proporzione dei mezzi terapeutici in relazione alle prospettive di miglioramento • I costi negativi non devono essere superiori alle prospettive di miglioramento Se queste due condizioni sussistono è lecito interrompere il trattamento; se l’ammalato si trovi nell’imminenza della morte è possibile rinunciare a qualsiasi mezzo terapeutico, non solo quelli sproporzionati o straordinari. Alimentazione e idratazione non sono mezzi terapeutici, ma ordinari di cura della persona, di sussistenza. Non possono mai venire meno, a meno che la somministrazione di questi mezzi di sussistenza non risulti troppo difficile o gravosa per il paziente. La valutazione è sempre in rapporto al bene della persona. In presenza di queste condizioni non si può parlare di eutanasia. 3 novembre 2017 Prof. Matteo Losana I diritti fondamentali: le grandi concezioni Le costituzioni hanno portato alla positivizzazione dei diritti, ma sono sostenute da concezioni plurisecolari. A seconda di come si concepisce il rapporto tra i singoli e la società vengono concepiti i diritti. Sostanzialmente sono due i modi di concepire e descrivere questo rapporto dicotomico: Modello individualista Al centro del rapporto è posto l’individuo singolo che attraverso il suo agire ed il suo volere dà forma alla società, la quale è prodotto artificiale delle volontà individuali. Questo modello si afferma alla fine del Medioevo, quando l’individuo diventa il soggetto intorno al quale costruire la società. Questa impostazione ha influenzato il secolo dei lumi. L’individuo soggetto razionale capace di agire in modo autonomo da qualsiasi legge naturale, può discostarsi da questa essendo portatore di diritti originari come individuo (Libertà personale Habeas corpus, capacità di agire e manifestazione del pensiero). Ciò che ne deriva nella dimensione collettiva è un prodotto dell’agire individuale. Ne consegue che per questa visione le regole che reggono la società sono di natura artificiale, prodotto di una libertà individuale e quindi sono regole modificabili. Modello olista (totalitarista) Viene prima la dimensione collettiva. Il singolo è in qualche modo degradato perché funzionalizzato alla dimensione collettiva a cui appartiene. I retaggi sono quelli della filosofia aristotelica. Il “tutto” è retto da forze capaci di imporsi alla libertà individuale. La dimensione dei diritti è molto meno evidente perché orientare e funzionalizzare l’individuo “Diritto di compiere i propri doveri”. Per l’olismo la natura delle regole è di carattere obiettivo, c’è una legge obiettiva che determina il modo di essere della società, pertanto questa legge non può che essere tendenzialmente immodificabile. La Costituzione non può che riflettere queste leggi obiettive. Interventismo – Garantismo E’ una dicotomia autonoma rispetto alla precedente, si può essere garantisti sia muovendo da una visione individualista che olista e viceversa. Il garantismo individualista è figlio di Locke che dà avvio alla teorizzazione dei diritti fondamentali e lo Stato “minimo” deve limitarsi a garantire l’esercizio per ciascuno (sul versante economico questa concezione sfocia nel liberismo). Se il presupposto è invece organicista l’esempio è la dottrina sociale della Chiesa: nella De Rerum Novarum si dice che la società sia composta da enti intermedi – mantenendo la visione olista - entro cui l’individuo è inserito, comunità, famiglia e in ultimo lo Stato, il quale non deve né stravolgere l’assetto che questi corpi assumono, ma al contempo deve impedire le diseguaglianze. In questa enciclica è la prima volta in cui compare il principio di sussidiarietà: lo Stato è garantista, - in una visione olista - intervenire laddove non lo fanno la famiglia e gli altri enti intermedi. Alternativamente si può essere interventisti e pensare che lo Stato debba intervenire per dare una forma allo Stato, forma che prima non c’è. Per conferire questa forma si interviene nei rapporti sociali. Viene meno la distinzione tra pubblico e privato che caratterizza il garantismo, tutto è Stato, gli spazi individuali sono limitazioni che lo Stato si dà. La Costituzione garantista prevede diritti e forma di governo. Le Costituzione garantista aggiunge ben altro, è intrisa di valori, si pensi all’uguaglianza sostanziale. Inquadrare l’ordinamento canonico nelle categorie presentate non è semplice per la sua evoluzione. Dapprima era senza dubbio olista, ma poi si è aperto alla tutela della persona, ma mai in modo individualista perché l’uomo non può essere artefice del suo destino. Si può parlare di personalismo, piuttosto che di individualismo. Approfondimenti: • Donna • Inizio e fine vita • Libertà di coscienza e il destinatario del sacramento. Il potere è di natura sociale, analogo a quello presente nelle strutture secolari, non conferita con il sacramento d’ordine, ma richiede un atto distinto. Ci sono anche vescovi che non hanno una diocesi, difettando quindi del potere di governo. • Istituzione con le parole: missio canonica che conferisce poteri di giurisdizione. E’ il titolo in base al quale una persona nella Chiesa può ricevere un determinato potere di governo. Se il ministro sacro ha un ruolo strumentale, ivi è richiesta una collaborazione attiva di chi è titolare di poteri di governo. Deve tradurre le esigenze della comunità in disposizioni concrete. Nei brani evangelici ha una valenza particolare: fondamentale è la nozione di servizio, basilare per il mandato apostolico “Chi vuol essere il primo tra voi sia anche l’ultimo”. Il principio di servizio Sempre in epoca classica verrà meglio precisata la natura di questi poteri. L’ufficio primaziale del romano pontefice: come vescovo il pontefice ha la stessa potestà d’ordine, ma con competenze di primato che gli altri vescovi non hanno. Adriano V era stato eletto papa quando era solo diacono ed è poi morto senza aver ottenuto la consacrazione episcopale. Talvolta comunque la plenitudo potestatis è stata abusata, esasperata. Così il Concilio Vaticano II nel Lumen Gentium ha sottolineato che il potere di governo deve essere strutturato come servizio. Questo principio del servizio ha altresì ispirato la nuova codificazione del 1983. Tuttavia il principio del servizio non viene tradotto direttamente nel codice, rimane in sottofondo. L’applicazione del principio di servizio viene lasciato agli interpreti: esprime un’esigenza di doverosità funzionale: non c’è solo il dovere delle autorità di governo a comportarsi in modo corretto, ma anche il diritto dei fedeli ad esigere questo dovere ed intervenire per pretendere questa modalità di esercizio del potere di governo. 10 novembre 2017 L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA UNIVERSALE: LE AUTORITA’ DI DIRITTO DIVINO Romano pontefice e Collegio dei Vescovi Autorità supreme della Chiesa universale sono, per istituzione divina, due: il Romano pontefice ed il Collegio dei Vescovi. Non vi è però rischio di contrapposizione perchè il Romano pontefice fa parte del Collegio dei Vescovi (per di più lo convoca, lo presiede, ne stabilisce l’o.d.g. e ne approva e promulga le decisioni), ed anzi ne è a capo: ciò in corrispondenza della collegialità degli Apostoli e della primazia di Pietro Il Papa può dunque decidere quando agire monocraticamente e quando invece collegialmente, e di solito si procede a quest’ultima soluzione quando si vuole trattare qualche importante questione dottrinale. Storicamente, invece, si sono sviluppate anche delle tesi c.d. conciliaristiche, che hanno raffermato la prevalenza del Collegio dei Vescovi sul Romano pontefice: ma la normativa del codice è di senso assolutamente opposto Il Romano pontefice Il Romano pontefice è autorità suprema della Chiesa universale, in virtù della sua posizione di Vescovo di Roma, dunque di successore di Pietro (secondo il diritto divino e la dottrina del primato). La sua potestà è: ordinaria: significa che essa è connessa stabilmente ad un determinato ufficio, quello papale appunto suprema: non esiste alcuna altra autorità superiore al Romano pontefice; ciò sembra creare problemi in relazione all’impugnativa delle decisioni di quest’ultimo (prima sede a nemine iudicatur), ma si può in realtà fare richiesta allo stesso Papa di modificare le proprie decisione secondo il rispetto delle norme di diritto divino che esprimono l’unica autorità ultraterrena cui è sottoposto piena: il Romano pontefice detiene tutti i poteri della Chiesa, sia quelli d’ordine (egli è consacrato Vescovo se non lo è già), sia quelli di governo (legislativo, esecutivo e giudiziario, che non sono evidentemente separati qui, anche se gli ultimi due sono normalmente deferiti a degli uffici vicari della Curia romana), sia quello di magistero (cioè d’insegnamento vincolante) • immediata: tale autorità opera direttamente su tutti i singoli fedeli, senza bisogno di intermediari; una conseguenza di ciò è che i fedeli possono rivolgersi direttamente al Romano pontefice • universale: tale potestà si estende nell’universo mondo e non ha limiti territoriali liberamente esercitabile: il Romano pontefice non trova nessun vincolo alla propria potestà, salvo il limite del diritto divino, che però spetta a lui interpretare Il Pontefice viene designato per elezione da parte del Collegio dei Cardinali riuniti in Conclave. In precedenza, invece, il Pontefice, così come i Vescovi, erano eletti dalle rispettive comunità: ciò permetteva però delle manovre sull’elezione da parte della nobiltà romana ovvero degli imperatori. I Cardinali sono quei prelati che, un tempo consiglieri del Pontefice, sono stati elevati dal Papa alla dignità cardinalizia: si tratta di soggetti che si sono distinti per particolari meriti nella Chiesa, in genere, ma si tratta di un mero titolo onorifico L’elezione avviene all’interno della riunione del Conclave, che si svolge a porte chiuse nella Cappella Sistina: la chiusura delle porte nasce da un episodio storico di indecisione nell’elezione del Pontefice a Viterbo, dove allora la città aveva chiuso a chiave i Cardinali per spingerli alla decisione. Ad oggi questa chiusura è legata alle finalità di non influenza esterna nonchè di segretezza sullo svolgimento delle elezioni. La procedura di elezione è regolata dalla Costituzione Universi dominici gregis del 1996 di Giovanni Paolo II, modificata poi nel 2007 L’unico requisito per l’elezione consiste nell’essere battezzato di sesso maschile (le donne non possono diventarlo perchè il Papa deve ricevere il sacramento dell’ordine). Necessaria oltre all’elezione è anche l’accettazione, la cui unione determina la missio canonica. Dopodichè l’ufficio è a vita e può essere perso solo per morte o per rinuncia (che non va accettata da nessuno). Il Collegio dei Vescovi Il Collegio dei Vescovi è formato da tutti i Vescovi del mondo con il Romano pontefice, che ne è capo (can. 330). Il Romano pontefice convoca allora il Collegio dei Vescovi, la cui riunione si chiama Concilio ecumenico; egli poi ne stabilisce l’ordine del giorno, ne presiede la decisione (anche tramite un delegato) e ne approva le decisioni per poi promulgarle. Il Collegio può anche agire in un altro modo, senza che nessun Vescovo debba spostarsi dalla sua sede, su proposta del Romano pontefice: fatta la domanda, il Romano pontefice raccoglie le varie risposte e le fa confluire in un unico atto collegiale. Tale modalità resta comunque ad oggi sulla carta. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA UNIVERSALE: LE AUTORITA’ DI DIRITTO UMANO Il Sinodo dei Vescovi Il Sinodo dei Vescovi viene istituito nel 1965 da Paolo VI con il motu proprio Apostolica sollecitudo, per consentire una partecipazione più continuativa e assidua dell’episcopato al governo della Chiesa universale (can. 342), a fronte della difficoltà di svolgimento del Concilio dei Vescovi Il Sinodo è composto da rappresentanti degli episcopati nazionali designati dalle conferenze episcopali, integrati dai capi dicastero della Curia romana, dai rappresentanti degli istituti religiosi e da soggetti nominati direttamente dal Romano pontefice (can. 346). Quanto alla competenza, questa è in linea generale solo consultiva, a meno che il Romano pontefice non abbia attribuito una competenza legislativa: le conclusioni vengono poi recepite, in genere, da un documento del Romano pontefice Il Sinodo si riunisce in diverse modalità, infatti può riunirsi in assemblea: • ordinaria: si ha ogni 3 anni • straordinaria: si ha su richiesta del Romano pontefice; ad es. è così avvenuto per il tema della famiglia (in aggiunta anche alla modalità ordinaria) su proposta di Papa Francesco • speciale: vi si procede quando bisogna decidere di determinati territori ed allora vi ci partecipano solo i rappresentanti dei medesimi; così è avvenuto ad es. per i vari continenti Il Collegio dei Cardinali Il Collegio dei Cardinali è un corpo stabile di collaboratori del Romano pontefice, composto da personalità eminenti, nominate dal medesimo (ca. 349). Già abbiamo detto dell’importante competenza specifica relativa alla elezione del Romano pontefice. Tuttavia i Cardinali possono aiutare il Romano pontefice anche diversamente, in due forme: individuale: come prefetti o membri dei dicasteri della Curia romana o di altri uffici collegiale: si tratta del Concistoro, che ha funzioni consultive, in specie in tema di atti di governo e di pubblicizzazione delle nomine cardinalizie; esso può essere pubblico o riservato I Legati pontifici I Legati pontifici (o Nunzi apostolici) sono i diplomatici della Santa Sede, che possono essere inviati in tutto il mondo sia presso le Chiese particolari sia presso i Governi. La Curia romana La Curia romana è il complesso di uffici che aiutano il Papa nel governo della Chiesa universale (can. 360). Si tratta di istituti di diritto umano che dunque hanno la caratteristica di poter essere ampiamente modificati nel tempo, così come è avvenuto (anche attualmente Papa Francesco sta operando delle riforme in tema). La Curia ha delle competenze amministrative e giudiziarie e si tratta di uffici vicari del Romano pontefice, cui ci si riferisce in termini di Santa Sede. La loro composizione è ad oggi regolata dalla Costituzione Pastor bonus Al vertice della Curia romana è la Segreteria di Stato, presieduta dal Cardinale Segretario di Stato, che è divisa in due Sezioni, rispettivamente per gli Affari: • esterni: si coordinano i Nunzi Apostolici • interni: si coordinano gli organismi della Curia romana Gli organismi della Curia romana sono innumerevoli: le Congregazioni: sono organismi con competenza normalmente di carattere amministrativo, divise in settori materiali, e con compiti di controllo sugli operati delle sedi locali i Tribunali: sono tre, la Penitenzieria Apostolica ha competenza speciale per le cause di foro interno (cioè non dimostrabili negli aspetti sociali), la Rota Romana, che ha competenza speciale per le cause contenziose e penali, ed il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che ha soprattutto competenze amministrative (il controllo di legittimità sulle sentenze della Rota, la vigilanza sulla I fedeli partecipavano sia tutti insieme, sia con cariche individuali. Venivano organizzate assemblee plenarie di tutte le comunità, ad esempio per eleggere il dodicesimo apostolo, o il settimo diacono. Tutti i componenti della comunità partecipano a queste assemblee per risolvere questioni attinenti sia a dottrina che a disciplina. Partecipazione individuale Vescovi, presbiteri e diaconi erano ruoli liberamente accessibili. Per i diaconi vi potevano accedere anche le donne, mentre per vescovi e presbiteri solo battezzati maschi. Vi erano poi altri ministeri che potevano essere liberamente assunti da altri membri della comunità, da apostoli, nell’accezione di missionari itineranti. Erano ruoli liberamente accessibili da chiunque senza bisogno dell’approvazione della comunità gerarchica. Anche i ruoli di profeti e dottori erano liberamente accessibili, non dovevano essere approvati dalla gerarchia ecclesiastica. Quando le comunità si ingrandiscono, i poteri vengono accentrati nelle mani del vescovo e le funzioni di questi ministeri originari vengono sottoposti al controllo del vescovo e perdono il carattere di libera accessibilità: • O diventano solo competenza di presbiteri e diaconi • O vi deve essere l’approvazione del vescovo Alcuni incarichi vengono poi affidati ai chierici, ad esempio il battesimo, prima liberamente esercitabile, i laici possono farlo in condizioni eccezionali e previa autorizzazione, il concilio di Cartagine stabilisce che i laici non possano insegnare alla presenza di chierici senza autorizzazione. Operano le incidenze di fattori esterni che modificano l’organizzazione della società: vi è una diffidenza nei confronti dei laici, che sono visti come meno controllabili e meno istruiti. Restano dei ministeri istituzionali che consentono anche ai laici di rivestire dei ruoli all’interno della comunità: • Ministeri femminili: il primo a sorgere fu il ministero delle vedove, competenze liturgiche sacramentali e di amministrazione dei beni ecclesiastici. A seguito di alcune malversazioni, le competenze sono state ristrette. • Ministero delle vergini: affianca e poi sostituisce quello delle vedove • Ministero delle diaconesse: acquisisce la configurazione socio giuridica più importante, già menzionato in epoca apostolica, ma in senso generico. Verso il II secolo sarà prevista una cerimonia specifica di consacrazione, divengono parte della gerarchia ecclesiastica; hanno compiti di servizio, di assistenza caritativa. Erano mediatrici tra il vescovo e le donne fedeli • Ministero del lettore: era il predicatore che spiegava anche la parola di Dio • Ministero del catechista Nell’amministrazione dei beni ecclesiastici, oltre alle vedove se ne occupavano agli economi che potevano anche essere atei; vi è stato poi un progressivo restringimento e tale competenza è stata affidata ai presbiteri. Partecipazione collettiva Nei vari sinodi partecipavano anche i laici che contribuivano alla decisione finale, ma il peso che avevano sulla decisione sinodale probabilmente era subordinato. E’ richiesto il coinvolgimento della comunità per la risoluzione delle controversie o delle offese che una persona può avere con la propria comunità o con un’altra. Era dunque la comunità che decideva la sanzione, la più grave era l’allontanamento. Il soggetto poteva poi essere reintegrato. Le procedure penitenziali coinvolgevano dunque tutta la comunità che in modo assembleare decideva la sanzione da comminare alla persona. L’elemento dell’elettività di vescovi, presbiteri e diaconi si ritrova fin dalle origini, poi il ruolo della partecipazione popolare viene in qualche modo a cambiare. Progressivamente con l’accentuarsi del ruolo di presidenza del vescovo, il ruolo del popolo è solo quello di confermare una proposta avanzata dal vescovo. In una lettera di Leone Magno si ritrova l’importanza della confermazione della proposta dal popolo. Oggi resta solo un residuo di questa confermazione nelle investigazioni preliminari per la scelta del vescovo in una comunità, vescovi di comunità vicine, alcuni laici. Recupero della nozione di popolo di Dio Tutti i fedeli partecipano al popolo di Dio e sono corresponsabili di questa missione. Questo indirizzo di recupero della nozione di popolo di Dio non è stato portato alle sue più compiute conseguenze. Queste criticità nell’attuazione della nozione di popolo di Dio sono essenzialmente due: • Permane tutt’ora un trattamento differenziato tra chierici e laici, i chierici hanno una più ampia partecipazione alle funzioni di governo. Sinodo diocesano canone 863: assemblea convocata dal vescovo diocesano per programmare l’attività della diocesi. La riunione del sinodo è quindi discrezionale, viene solitamente convocato prima di riforme piuttosto incisive sulla vita della diocesi. Partecipano tutte le componenti della comunità. al momento della convocazione decide anche come debbano essere rappresentate le diverse componenti della comunità. Non è un’assemblea plenaria. La funzione del sinodo è meramente consultiva: può portare ad una riforma della diocesi, ma che sarà poi adottata dal vescovo in quanto unico legislatore. La partecipazione è sì comunitaria, ma è comunque ristretta e l’incidenza dipende dal vescovo. Consiglio pastorale diocesano canone 511: organismo previsto dal codice come obbligatorio nella diocesi, che quindi deve essere necessariamente costituito. Sono rappresentati tutti i componenti della comunità, vengono eletti i rappresentanti dalle diverse categorie di fedeli. Compito studiare e valutare tutte le attività della diocesi. Affianca il vescovo nel governo della diocesi, ma con valore meramente consultivo. Le delibere del consiglio non sono vincolanti. La composizione è più ristretta del sinodo. Consiglio presbiterale: vi fanno parte i rappresentati dei presbiteri. Consiglio dei consultori: organismo più ristretto, i membri vengono scelti nel collegio dei consultori. Le competenze sono consultive, ma più specifiche. Il vescovo è obbligato a sentire e per alcuni di questi atti deve avere il consiglio. I pareri di questo possono essere vincolanti o no. Consiglio pastorale parrocchiale: convocato dal vescovo nell’organizzazione delle parrocchie. Questi organismi sono stati salutati con favore perché permettono una più ampia partecipazione dei fedeli laici, ma la realizzazione effettiva di questi organismi non è così agevole. 23 novembre 2017 La giustizia in generale e le procedure della sua amministrazione Giustizia come res iusta, con procedure frutto di uno sviluppo storico. I principi ispiratori dell’amministrazione della giustizia e l’importanza di questa funzione di governo si ritrovano già nella sacra scrittura: 1. Cercare di evitare i giudizi e i conflitti, perché sono lacerazione all’interno della comunità e quindi sono eventi da evitare 2. Ricorrere a metodi di riconciliazione tra le persone 3. Se non si riesce nemmeno ad applicare la via conciliativa, è comunque preferibile che il giudizio sia affidato ad un’autorità interna alla Chiesa, piuttosto che affidarsi ai tribunali pagani. Perché è una garanzia conforme ai principi di misericordia E’ una giustizia da sempre presente nelle comunità cristiane, poiché i rapporti di convivenza sociale sono inevitabilmente connessi con i conflitti. Nel Vangelo di Matteo (cap V vv 23-24 Non dare seguito ai conflitti per evitare di trovarsi innanzi al giudizio e per trovare un accordo non puramente formale, ma sostanziale). In un altro brano di Matteo cap XVIII vv 19 e ss: 1. Risolvere potenziali conflitti mediante la riconciliazione interpersonale (es. sollecitudine, correzione del fratello per l’altro fratello) 2. Se ciò non è sufficiente, porta con te dei testimoni 3. Denuntiatio evangelica, denuncia dell’offesa davanti alla comunità. Soprattutto nel caso di offese gravi che coinvolgono la comunità (dillo all’assemblea), connesso con l’obbligo di testimonianza della verità. L’assemblea deve intervenire per riaffermare la verità. 4. se non ascolterà neanche l’assemblea sia per te come un pagano o un pubblicano, come uno che non segue i precetti cristiani. Il che comunque non coincide con l’abbandonare il peccatore a se stesso, ma attivare i metodi per riportarlo in comunione. Inoltre le lettere di Paolo testimoniano come nelle prime comunità ci fosse l’applicazione di questi precetti (Lettera ai Corinti cap VI, vv 1-4 non rivolgersi ai tribunali pagani, evitare le liti e tutt’al più cercare una persona saggia per dirimerle, il vescovo), mentre la prima lettera a Timoteo (Cap V vv 19-21 circa un giudizio sui presbiteri, dove si afferma che spetta al vescovo riprendere ed eventualmente sanzionare i presbiteri, con regole di imparzialità, obiettività e misericordia. Occorre verificare che l’accusa sia fondata). Si evidenzia che la giustizia ha avuto fin dalle origini un ruolo fondamentale nelle funzioni di governo. La procedura si sviluppa in scala gerarchica, improntata al giudizio accusatorio di matrice romana. • Vescovo • Metropolita • Romano pontefice Era sempre necessaria un’accusatio, di cui si fa menzione nella Didascalìa III sec. Necessaria prima un’indagine preliminare per verificare l’attendibilità dell’accusa, cui segue un tentativo di conciliazione e se questo non va a buon fine si apre il contraddittorio. Il giudice è collegiale (vescovo + presbiteri), si fa infine un’istruttoria per verificare le prove. Interessante è poi l’Editto di Milano, dove si ritiene rilevante anche ai fini del diritto civile l’episcopalis audientia: su qualsiasi materia una delle parti poteva investire il vescovo e chiedere di emanare sentenza. La decisione era vincolante anche ai fini del diritto civile. Ciò testimonia una fiducia nei confronti della figura e della procedura vescovile. Successivamente si restringe questo riconoscimento, in primis sul piano penale e successivamente si ristringe la validità dell’episcopalis Il libro VI è diviso in due parti, la prima i delitti in generale, la seconda in specie. La prima parte è introdotta da un canone fondamentale, che afferma la capacità della Chiesa di poter sanzionare determinate condotte can 1311. Principio proclamato: Ad extra nei confronti degli Stati: indipendenza e sovranità della Chiesa Ad intra verso la comunità ecclesiale: necessità del diritto penale come estrema ratio per reprimere i comportamenti trasgressivi, testimoniare il bene, e riconciliare il colpevole con Dio e la comunità. Sin dalle origini viene esercitato il potere di coercizione penale competenza del vescovo da solo o assistito dai presbiteri o nell’ambito dei sinodi episcopali. Evoluzione della disciplina che contrassegna la specificità del diritto penale canonico: • Correlazione tra peccato e delitto: iniziale sovrapposizione, poi distinzione tra foro della coscienza e foro giuridico • Elaborazione dei gradi di responsabilità morale per imputazione penale: per sanzionare una persona occorre che la condotta offensiva sia alla persona imputabile, cioè responsabile della condotta, i cd Penitenziali del VII-VIII elaborati nella zona delle isole britanniche in ambito monastico, hanno elaborato i vari gradi, sottolineando l’elemento psicologico, circostanze esimenti e cause di giustificazione • Proporzionalità della pena al delitto: 1) criterio retributivo: gravità oggettiva della condotta 2) criterio riparativo: le sanzioni mantengono l’indole di tendere alla riconciliazione del reo con Dio e con la comunità. Il delitto consiste in un comportamento esterno e non ha sempre corrispondenza con il peccato. La chiesa si fonda prima di tutto sull’adesione libera della persona, la coercizione esterna è solo accessoria. Il potere è esercitato per ragioni spirituali (fine supremo salus animarum) nelle materie di competenza della Chiesa (materie spirituali e annesse alle spirituali): fattispecie delittuose riguardano gli ambiti di competenza della Chiesa. Le sanzioni consistono nella privazioni di beni che rientrano nella competenza della Chiesa. La coercizione consiste nel privare la persona della possibilità di godere appieno dal patrimonio di salvezza della Chiesa, o dal poter esercitare diritti al fine di indurre mediante la sofferenza a ripensare alla propria condotta. L’assoggettamento deve essere volontario: la funzione afflittiva e costrittiva della sanzione viene percepita solo da chi riconosca il potere della Chiesa e voglia restare nella comunità ecclesiale. Misericordia: la sanzione penale deve essere imposta solo se è veramente necessaria, quando non valgano altri strumenti (ammonizioni o altri rimedi) per perseguire i fini della sanzione penale: 1. La riparazione dello scandalo 2. Il ristabilimento della giustizia 3. L’emendamento del reo (can. 1317 e can 1341) Necessità di provvedere: quando sia veramente necessario, l’autorità ecclesiastica può intervenire a reprimere i comportamenti pregiudizievoli al bene della comunità anche senza una previa disposizione penale, in deroga al principio di legalità e tipicità delle fattispecie penali. Inoltre in forza del principio di equità, il principio di legalità non può avere applicazione così rigorosa per via della necessità di far fronte alle tre esigenze sopra elencate. Clausola generale: can 1399. Fattispecie penali: • Stabilite per legge (cann 1315-1318) legge universale e astratta o legge particolare • Stabilite per precetto (can 1319) limiti: solo pene determinate e non pene espiatorie perpetue Soggetto attivo del diritto: fedeli battezzati cattolici, soggetti alle leggi ecclesiastiche sono incapaci di delitto: Romano Pontefice (immunità prevista dal can 1404) Minori di 16 anni Elementi del delitto definizione can 1321, diviso in tre paragrafi: a. Elemento oggettivo: violazione esterna di una legge o precetto penale; ossia un fatto: condotta dell’agente condotta commissiva o omissiva cui segua un evento, in base al rapporto di casualità, che provoca la lesione degli interessi protetti dalla fattispecie penale. La punizione segue alla lesione di questi interessi, quando il delitto sia consumato o anche solo tentato (quando già dal tentativo sia provocata una lesione all’interesse protetto) (can 1348) b. Elemento soggettivo o psicologico: condotta gravemente imputabile per dolo o per colpa. Con i seguenti requisiti: 1. Atto umano libero 2. Dolo: violazione deliberata 3. Colpa: omissione della debita diligenza, è una responsabilità eccezionale, la norma deve espressamente prevedere la punibilità anche per colpa. 1 dicembre 2017 I PROCESSI PENALI I processi penali sono previsti al Libro VI del codice, sul processo, nell’ultima parte IV. Solo alcune procedure sono previsti nel codice, altre a dire il vero sono disciplinate al di fuori in leggi speciali I PRINCIPI FONDAMENTALI Principi fondamentali dei processi penali sono: la tutela del diritto di difesa (can. 221, § 1): si riconoscono in specie il diritto alla difesa tecnica, il diritto di ultima parola ed il diritto di non rispondere la garanzia del giudizio secondo le disposizioni di legge, da applicarsi con equità (§ 2): si ha così divieto di dispensa dalle leggi processuali e penali la garanzia della certezza della pena, a norma di legge (§ 3): già abbiamo visto come questo principio possa essere attenuato dall’equità nell’applicazione di rimedi penali il favor rei: ne sono estrinsecazione l’applicazione della legge più favorevole, la presunzione di innocenza (per cui l’onere della dimsotrazione della colpevolezza spetta alla parte pubblica) e il diritto alla pronuncia con contenuto più favorevole (che si concretizza ad es. nell’accettazione della rinuncia dell’accusa o nel diritto all’impugnazione, anche delle sentenze di assoluzione, per revisione in meius) L’INDAGINE PREVIA La notitia criminis Il procedimento prende avvio da un’indagine previa. Questa viene iniziata dall’Ordinario del luogo, che abbia ricevuto una notitia criminis: quest’ultima può essere ottenuta in via diretta: attraverso l’attività d’indagine dello stesso Vescovo indiretta: mediante segnalazione o denuncia da altri Il Vescovo deve comunque valutare la credibilità della notizia e non sono mai prese in considerazione le denunce anonime o di palesi nemici dell’accusato, nè le denunce di fatti ancora non accaduti Avvio e svolgimento Se lo ritiene, l’Ordinario ordina l’avvio dell’indagine previa con proprio decreto, a meno che il delitto non risulti notorio. L’indagine deve in particolare verificare: se la notizia del delitto sia adeguatamente fondata quali siano le circostanze reali e personali della condotta se la condotta sia gravemente imputabile all’autore per dolo o per colpa In questa indagine l’Ordinario può procedere personalmente o nominare un investigatore (il quale non potrà poi svolgere la funzione di giudice ma al massimo quella di promotore di giustizia). Nelle indagini comunque bisogna osservare la necessaria riservatezza (quindi vige un segreto istruttorio), per evitare di offendere la dignità delle persone coinvolte, le quali peraltro non devono necessariamente essere informate delle indagini La chiusura Al termine dell’indagine l’Ordinario deve decidere con decreto come procedere: anzitutto deve valutare la consistenza della notitia criminis: ossia la probabilità del delitto e la possibilità di prova in foro esterno poi deve decidere se sia opportuno o meno avviare un processo per irrogare la sanzione penale: dunque non esiste obbligo di esercizio dell’azione penale, perchè si può ricorrere ad altri mezzi pastorali se l’Ordinario decide di avviare il processo, deve stabilire con decreto se procedere con processo giudiziario: c’è una maggiore tutela dei diritti di difesa dell’imputato, dunque è la regola amministrativo: c’è una minore tutela dei diritti di difesa dell’imputato, dunque può essere disposto solo quando giuste cause si oppongono al processo giudiziario (ad es. quando ci siano prove certe o ragioni di celerità o riservatezza) e con il limite di non poter applciare pene perpetue, ma in realtà se ne fa ampio uso IL PROCESSO PENALE GIUDIZIARIO La parte statica Il processo penale giudiziario offre maggiori garanzie, quali: la terzietà e l’imparzialità dell’indipendenza del giudice la maggiore tutela del diritto di difesa la più particolareggiata ricerca dei mezzi di prova L’Ordinario trasmette in questo caso gli atti di indagine previa al promotore di giustizia (ufficio pubblico costituito presso il Tribunale diocesano), con l’ordine di procedere (cui non ci si può
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