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Appunti diritto civile - Parte contratto, Appunti di Diritto Civile

Appunti di diritto civile inerenti alla parte del corso sul contratto.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 16/03/2022

LisaCicogna
LisaCicogna 🇮🇹

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Scarica Appunti diritto civile - Parte contratto e più Appunti in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! 1 IL CONTRATTO Nozioni generali La disciplina del contratto è articolata in due serie di norme: - norme sul contratto il generale, contenute nel libro IV (artt. artt. dal 1321 al 1469-bis); - norme sui singoli contratti, alcune contenute nel libro IV (artt. da 1470 a 1986), altre altrove (es. la disciplina del contratto di donazione è contenuta nel libro II; quella del contratto di lavoro e del contratto d’opera nel libro V, etc.); inoltre, alcuni contratti sono regolati da leggi speciali (es. il contratto di edizione è regolato dalla legge sul diritto d’autore). Il rapporto tra queste due serie di norme è il seguente: le norme sul contratto in generale sono norme comuni, applicabili a qualunque contratto (tipico o atipico); mentre, le norme sui singoli contratti valgono solo per i contratti cui si riferiscono. Quando alla stessa fattispecie (es. l’inadempimento di una delle parti) in astratto potrebbero essere applicabili sia una norma dettata nella disciplina del contratto in generale (es. norma in tema di risoluzione per inadempimento), sia una norma relativa al singolo contratto (es. norme sulla risoluzione del contratto di vendita per vizi relativi alla cosa venduta), in linea di massima, la norma dettata per il singolo contratto è destinata a prevalere sulla norma generale, e questo in applicazione del principio secondo il quale le norme speciali derogano a quelle generali. Il cc. assegna al contratto due funzioni che, talvolta svolge congiuntamente, talvolta separatamente: - l’art. 922 contempla il contratto come il modo principe di acquisto della proprietà e degli altri diritti reali a titolo derivativo, e quindi quale strumento per la circolazione giuridica dei beni. NB. Oltre a proprietà e altri diritti reali, possono trasferirsi per contratto anche diritti di credito (vedi: cessione di credito ex art. 1260 ss.); - l’art. 1173 include il contratto fra le fonti di obbl., attribuendogli la funzione di strumento mediante il quale ci si procura il diritto ad ottenere le altrui prestazioni. Queste funzioni sono svolte congiuntamente nei contratti traslativi a titolo oneroso (es. la vendita): oltre a trasferire la proprietà della cosa venduta, è idoneo a far sorgere obbl. (= di consegnare la cosa e di pagare il prezzo); altri contratti, invece, sono solo fonti di obbligazione (es. contratto di locazione; contratto di trasporto; contratto di lavoro, etc.). Definizione L’art. 1321 definisce il contratto come l’accordo* di due o più parti** per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale*** -> questa nozione generale unifica le due funzioni di cui sopra, e allude ad ulteriori funzioni che il contratto può eventualmente svolgere. Può quindi farsi rientrare nella nozione generale di contratto il cd. contratto modificativo, il quale è diretto a regolare, modificandolo, un precedente contratto stipulato fra le parti (es. l’accordo fra debitore e creditore per la prestazione in luogo dell’adempimento, ex art. 1197). L’area del contratto è delimitata dal requisito della patrimonialità***, e ciò esclude che il matrimonio possa considerarsi un contratto (il rapporto di famiglia è un rapporto giuridico, ma non patrimoniale). L’area del contratto, però, non coincide necessariamente con la sfera degli scopi economici o degli interessi patrimoniali: infatti, ex art. 1174, l’interesse perseguito dalle parti, o da una sola di esse, può essere anche non patrimoniale (non economico) -> tuttavia, si sarà sempre in presenza di un contratto perché le prestazioni delle parti sono suscettibili di valutazione economica (vedi requisiti della prestazione ex art. 1174). Il contratto è l’accordo di due o più parti**; in particolare, si ha: - contratto bilaterale, quando le parti sono due (es. compravendita, locazione); - contratto plurilaterale, quando le parti possono essere (non necessariamente) più di due (es. contratto di società o associazione -> la società può essere costituita da due persone soltanto, sebbene nel corso di vita della stessa possano aderirvi un numero potenzialmente illimitato di soggetti ulteriori). Il concetto di “parte del contratto” non coincide con quello di “persona”, in quanto per “parte” si intende il centro di interessi; pertanto, ciascuna parte può a sua volta essere formata da due o più 2 persone -> in tal caso, si dice che il contratto ha una parte complessa o plurisoggettiva (es. il contratto di compravendita rimane bilaterale anche se i comproprietari vendono la cosa comune). Inoltre, parte di un contratto può essere non solo un soggetto privato, ma anche un soggetto pubblico (ente pubblico) che con lo strumento del contratto persegue le proprie finalità istituzionali -> ex art. 1 c.1-bis1 l. 241/1990 la PA, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente (il contratto fra PA e privati è la regola). Il contratto consiste in un accordo* tra le parti che attua, a seconda dei casi, la trasmissione del diritto di proprietà o di altro diritto, oppure il sorgere di obbl. Pertanto, l’effetto del rapporto giuridico è prodotto dalla volontà delle parti interessate (es. nel contratto di compravendita, il trasferimento della proprietà è l’effetto della concorde volontà delle parti) -> si parla di autonomia contrattuale (o libertà contrattuale). L’autonomia contrattuale si manifesta sotto diversi aspetti, sia in positivo sia in negativo: (a) In senso negativo, autonomia contrattuale significa che nessuno può essere vincolato dalla volontà altrui se la legge non lo consente espressamente (= il contratto non vincola chi non ha partecipato all’accordo) -> ciò si può cogliere già dall’art. 1321 il quale dispone che l’accordo delle parti vale a costituire, regolare o estinguere tra loro […]; ma è ribadito dall’art. 1372 che stabilisce la regola per cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi, se non nei casi stabiliti dalla legge. (b) In senso positivo, autonomia contrattuale significa che le parti possono liberamente decidere di disporre dei propri beni, o di obbligarsi ad eseguire prestazione in favore di altri. In questo senso, l’autonomia contrattuale si sviluppa in diverse direzioni, fra le quali occorre segnalarne tre: 1. l’autonomia contrattuale è libertà di scelta, a seconda degli scopi che i privati si prefiggono, tra i diversi tipi di contratto previsti dalla legge -> es. se le parti vogliono produrre l’effetto traslativo della proprietà, potranno liberamente scegliere tra il contratto di compravendita, il contratto di permuta o quello di donazione; 2. l’autonomia contrattuale è libertà di determinare, entro i limiti stabiliti dalla legge, il contenuto del contratto (art. 1322 c.1) -> es. le parti sono libere nello scegliere il prezzo, il tempo dell’adempimento, le garanzie che ciascuna di esse presta all’altra, gli impegni che ciascuna assume; ciò, però, nei limiti imposti dalla legge, quindi, per es., in caso di contratto di locazione commerciale2, nella scelta della durata del contratto le parti non possono derogare alla durata legale minima di 6 anni. Ciascuna determinazione operata dalle parti inserita in un contratto scritto si compone di clausole che, nella pratica, sono contraddistinte da una numerazione progressiva: nel loro insieme, le clausole formano il cd. regolamento contrattuale, che costituisce il frutto dell’autonomia contrattuale; 3. l’autonomia contrattuale è libertà di concludere anche contratti atipici (o innominati) -> ex art. 1322 c.2 le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico*. Si fa riferimento a contratti ideati nel mondo degli affari (es. contratto di leasing o contratto di sponsorizzazione), e alle volte, a contratti che, dopo esser nati nel mondo degli affari, sono divenuti oggetto di una apposita disciplina legale (es. franchising). Secondo dottrina e giurisprudenza, il giudizio di meritevolezza richiesto*, non va inteso nel senso che di fronte ad un contratto innominato il giudice deve valutare in positivo se questo abbia una qualche utilità sociale, ma nel senso che il giudice deve considerare meritevole di tutela ogni contratto che non sia illecito, e quindi conforme a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. 1 Introdotto nel 2005. 2 Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo. 5 - cd. teoria della spedizione: affinché la revoca possa esplicare i propri effetti, è sufficiente che sia spedita dal proponente all’oblato prima del momento della conclusione del contratto; a sostegno di questa opinione, si adduce che l’art. 1328 c.1, a differenza del c.2, non fa riferimento al fatto che la revoca deve giungere nella sfera di conoscenza del destinatario; - cd. teoria della ricezione: affinché la revoca possa esplicare i propri effetti, la revoca della proposta deve giungere a conoscenza dell’oblato prima che l’accettazione giunga all’indirizzo del proponente, e quindi prima che il contratto sia concluso. Dagli anni 2000, la Cassazione ha accolto la teoria della ricezione (anche se in dottrina ci sono ancora orientamenti contrapposti) -> quindi, per poter esplicare i propri effetti, la revoca della proposta deve giungere all’indirizzo dell’oblato prima che l’accettazione giunga all’indirizzo del proponente; se ciò non accade, la revoca non produce effetti e il contratto va considerato concluso. Quando la revoca è efficace e impedisce la conclusione del contratto, può (raramente) esporre il suo autore a conseguenze patrimoniali negative: ex ultima parte dell’art. 1328 c.1 se l'accettante ne ha intrapreso in buona fede l'esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l'iniziata esecuzione del contratto -> es. l’oblato spedisce l’accettazione ma, per un disguido, questa arriva con ritardo, e l’oblato, ignaro del disguido, atteso il tempo normalmente necessario, ritenendo perfezionato il contratto, inizia l’esecuzione, e poi riceve la revoca; in tal caso, la revoca è tempestiva, e impedisce la conclusione del contratto, ma l’oblato che ha iniziato l’esecuzione in buona fede può essere indennizzato. Si tratta di un atto lecito dannoso5, per il quale è previsto, anziché il risarcimento (che presuppone un atto illecito), un indennizzo di ammontare generalmente inferiore a quello del risarcimento. L’indennizzo non copre mai il lucro cessante, e quanto al danno emergente, copre soltanto spese e perdite subìte per l’iniziata esecuzione del contratto, e non i costi inutilmente sostenuti per le eventuali trattative. c) Morte o sopravvenuta incapacità del proponente Questa regola non è dettata espressamente, ma si deduce in maniera implicita dagli artt. 1329 c.2 e 1330, che dispongono che la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non tolgono efficacia alla proposta in due casi: 1. quando si tratta di una proposta irrevocabile (art. 1239 c.2); 2. quando si tratta di una proposta fatta da un imprenditore non piccolo nell’esercizio della sua impresa (art. 1330). Da queste due eccezioni si può ricavare la regola generale della caducazione della proposta se il proponente muore o diventa incapace, nel lasso di tempo intercorrente fra la proposta e la conclusione del contratto (quindi prima della conclusione). Se la morte o la sopravvenuta incapacità si verificano quando il contratto è già concluso, gli effetti giuridici sono altri: a) in caso di morte, il contratto si trasmette agli eredi del proponente; b) b) in caso di sopravvenuta incapacità, se ne occuperà chi avrà la cura dell’incapace. Secondo l’orientamento da preferire, ai fini della caducazione rileva soltanto l’incapacità legale, e non quella naturale di intendere e volere, perché non si vuole far dipendere la mancata conclusione del contratto da un fattore difficilmente verificabile dalla controparte. c) Morte o sopravvenuta incapacità dell’oblato L’art. 1330 dispone soltanto che l’accettazione perde efficacia se l’accettante muore o diventa incapace prima della conclusione del contratto (cioè prima che sia giunta all’indirizzo del proponente), ma la legge non dispone se la morte o la sopravvenuta incapacità dell’oblato, intervenuta prima che il contratto sia concluso, e in particolare prima che l’oblato si sia espresso, privi di efficacia la proposta che l’oblato aveva ricevuto -> l’erede dell’oblato deceduto, o il legale rappresentante dell’oblato divenuto incapace, possono accettare la proposta e concludere il contratto? 5 Come il danno provocato in caso di stato di necessità. 6 Se si ritiene che la proposta rimanga efficace, il contratto può concludersi con l’erede o con il rappresentante legale; mentre, se si ritiene che la proposta venga meno e perda effetto, l’eventuale accettazione dell’erede o del rappresentante legale non sono idonee a concludere il contratto -> gli interpreti sono concordi nel ritenere che la morte o la sopravvenuta incapacità legale dell’oblato facciano venire meno l’efficacia della proposta, anche per evitare che il proponente si trovi a far parte di un contratto con una persona diversa dall’oblato, o con un oblato incapace. e) Rifiuto espresso La legge non dispone espressamente che il rifiuto della proposta priva la stessa di efficacia, ma è ovvio che se l’oblato rifiuta espressamente la proposta, il contratto non si conclude. Si ritiene che il rifiuto espresso costituisca causa di caducazione della proposta contrattuale, con la conseguenza che, se l’oblato si pente di aver rifiutato, non avrà la possibilità di accettare la proposta e di concludere il contratto -> infatti, si vuole tutelare la posizione del proponente che, avendo ricevuto un rifiuto espresso, deve potersi organizzare di conseguenza, senza rimanere vincolato. Se il rifiuto dell’oblato è accompagnato da un possibile ripensamento (es. “per il momento rifiuto la proposta, ma se in futuro qualcosa cambierà mi riservo di accettarla”), venendo meno la ragione di tutela del proponente, si ritiene che la riproposta rimanga efficace, quindi, se il proponente vuole svincolarsi avrà l’onere di revocare la proposta. f) Controproposta Ex art. 1326 c.5 una accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta. Anche in questo caso, ci si è chiesti se l’oblato, qualora il proponente non accetti la controproposta, possa accettare la proposta originaria concludendo il contratto; ci sono due orientamenti: - secondo alcuni, la controproposta non farebbe cadere la proposta originaria, perché formulare una nuova proposta non significa automaticamente rifiutare il contenuto di quella originaria -> quindi, c’è spazio per un ripensamento dell’oblato; - altri, dato che l’art. 1326 c.5 definisce la controprestazione una “nuova proposta”, ritengono che con la controproposta si chiuda l’originario procedimento di formazione del contratto, e contestualmente se ne apra uno nuovo. Secondo questo orientamento preferibile la controproposta vale anche come rifiuto della proposta originaria, e quindi ne determina la caducazione, con la conseguenza che non è possibile un ripensamento. La situazione cambia solo se l’oblato, nel formulare la controproposta, si riserva espressamente la facoltà di concludere il contratto alle condizioni contenute nella proposta originaria (raro). L’accettazione È un atto unilaterale che, unendosi alla proposta, determina la conclusione del contratto; per produrre il proprio effetto, deve avere alcuni requisiti: 1) Conformità alla proposta: l’oblato, per concludere il contratto, deve integralmente e necessariamente accogliere il contenuto della proposta. In caso di proposta in senso tecnico (che contiene tutti gli elementi essenziali del contratto), anche un monosillabo (es. “sì”) è sufficiente a determinare la conclusione del contratto; mentre, in caso di mero invito a proporre ciò non sarebbe sufficiente. Una dichiarazione che modifica anche soltanto una delle condizioni del proponente non costituisce un’accettazione, ma una controproposta ex art. 1326 c.5. 2) Tempestività: ex art. 1326 c.2 l’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario, secondo la natura dell’affare o secondo gli usi, quindi, un’accettazione tardiva non è idonea a concludere il contratto (caducazione della proposta). Ex c.3, però, il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte -> l’accettazione tardiva non conclude il contratto, ma il proponente può ritenerla efficace avvisando la controparte: è l’avviso (che deve essere immediato) a perfezionare il contratto sin dal momento in cui l’accettazione è pervenuta al proponente. 3) Forma (eventuale): l’accettazione è un atto a forma libera, a meno che non si riferisca alla conclusione di un contratto per il quale la legge richiede la forma scritta a pena di nullità, o a meno che il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata (c.4). L’accettazione non è vincolata alla forma della proposta -> es. se il proponente invia la proposta per iscritto, l’oblato può accettare verbalmente. 7 Revoca dell’accettazione Ex art. 1328 c.2 l’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione -> la revoca dell’accettazione deve giungere all’indirizzo del proponente prima del momento in cui il contratto possa dirsi perfezionato (= cioè prima dell’accettazione), perché una volta che il contratto è concluso assume forza di legge tra le parti, vincolandole. Ciò significa che la revoca deve viaggiare più velocemente dell’accettazione, quindi, più rapido è il mezzo di trasmissione dell’accettazione, minori sono le possibilità di revocarla. Tempo e luogo della conclusione Nonostante l’art. 1326 non faccia riferimento al luogo di conclusione, ma soltanto al momento di conclusione del contratto, si ritiene che il contratto si perfezioni nel momento e nel luogo in cui il proponente ha notizia della accettazione e, quindi, per effetto della presunzione di cui all’art. 1335, nel momento in cui l’accettazione giunge all’indirizzo del proponente, e nel luogo in cui si trova l’indirizzo del proponente L’espressione “indirizzo del proponente” è atecnica e generica, e non corrisponde a nessuna delle nozioni tecniche che la legge utilizza al fine di individuare un soggetto sotto il profilo della localizzazione -> l’espressione comprende, oltre alle nozioni di residenza, dimora, domicilio e sede (per aziende), qualsiasi altro luogo in cui possa realizzarsi, anche tramite ausiliari (es. dipendenti), il risultato della conoscibilità. Questa genericità può portare ad una contestazione qualora il proponente, pentitosi di aver avviato il procedimento di conclusione del contratto, neghi di aver ricevuto l’accettazione e neghi quindi l’esistenza del contratto stesso. In tal caso, l’onere della prova è così ripartito: L’oblato interessato a far valere l’avvenuta conclusione del contratto deve provare che l’accettazione è giunta all’indirizzo del proponente. Nel caso in cui venga utilizzato il servizio postale, la prova è agevole da fornire qualora sia stata utilizzata la lettera raccomandata con a/r, in quanto l’avviso di ricevimento è prova dell’avvenuta ricezione (anche se il destinatario ha rifiutato la raccomandata); se viene utilizzata la raccomandata semplice, la giurisprudenza prevalente (ma non tutta) ritiene che, in mancanza di avviso di ricevimento, l’arrivo a destinazione può presumersi anche soltanto sulla base della ricevuta di spedizione della raccomandata. Invece, non integra prova dell’arrivo a destinazione il semplice fatto della spedizione con posta semplice: l’utilizzo della lettera ordinaria è a rischio e pericolo di chi la utilizza. Se l’oblato riesce a fornire questa prova, il proponente deve provare di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di avere notizia dell’accettazione -> infatti, la presunzione dettata dall’art. 1335 è una presunzione relativa, che ammette prova contraria da parte del destinatario. Per quanto riguarda il contenuto della prova contraria (cosa deve provare), vi sono due orientamenti. - Secondo l’indirizzo più rigoroso, l’impossibilità di conoscere deve essere dovuta a cause totalmente estranee alla sfera di volontà del proponente -> es. la prova del proponente di non aver avuto conoscenza della conclusione del contratto perché l’accettazione è pervenuta al suo indirizzo mentre era in viaggio all’estero non è idonea, perché non si tratta di una causa totalmente estranea alla sfera di volontà del proponente (è lui che ha scelto di andare all’estero). - Secondo l’indirizzo meno rigoroso, l’impossibilità di conoscere deve essere intesa come qualunque fatto che in concreto impedisca al proponente di avere conoscenza dell’accettazione e che, secondo ragionevolezza e buona fede, non possa essergli rimproverato -> nell’es. di cui prima, la prova sarebbe idonea. La presunzione di conoscenza operata dall’art. 1335 comporta l’assoluta irrilevanza del luogo e del tempo in cui il destinatario, in concreto, sia venuto a conoscenza della accettazione -> es. il fatto che T., residente a Udine, apra la busta mentre si trova in una spiaggia in Sardegna, e con un ritardo di qualche giorno rispetto alla consegna da parte del postino, non rileva: il contratto non si conclude in Sardegna, e il luogo non è la spiaggia, perché momento e luogo di conclusione sono quelli in cui è giunta l’accettazione dell’oblato (a Udine, all’indirizzo del destinatario). 10 (4) Può rimanere inerte: - secondo un primo orientamento, quando scade il termine contenuto nella proposta irrevocabile, la proposta sopravvive come proposta semplice (e quindi revocabile) -> a scadere sarebbe l’irrevocabilità, non la proposta, con la conseguenza che, se il proponente, una volta scaduto il termine, non provvede a revocare la proposta, l’eventuale accettazione tardiva dell’oblato perfeziona il contratto; - secondo un altro orientamento (seguito dalla giurisprudenza), invece, con la scadenza del termine la proposta perde completamente efficacia, fatto salvo che non risulti il contrario dalla volontà del proponente. La mancata determinazione del termine di irrevocabilità della proposta da parte del proponente (definisce la proposta come irrevocabile, ma non indica il termine scaduto il quale cessa l’efficacia della proposta), potenzialmente, vincolerebbe il proponente (e i suoi eredi) per un tempo indefinito. Tuttavia, posto che la libertà del proponente non può essere compromessa in perpetuo, si sono articolati tre diversi orientamenti: - secondo un primo orientamento, va applicata la norma dettata in tema di proposta semplice dall’art. 1326 c.2 -> l’accettazione deve pervenire all’indirizzo del proponente nel termine ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi, altrimenti, la proposta perde efficacia; - per un secondo orientamento, il termine dovrebbe essere fissato dal giudice -> alcuni invocano l’art. 1183 dettato in tema di tempo dell’adempimento (ciò è da escludersi), mentre altri ritengono applicabile per analogia la disciplina del patto di opzione (art. 1331 c.2); - l’ultimo orientamento, accolto dalla giurisprudenza, considera il termine di irrevocabilità come un elemento essenziale della proposta irrevocabile, come emerge dalla formulazione letterale dell’art. 1329 c.1; quindi, sostiene che quando questo manca, la proposta deve considerarsi nulla (per mancanza di un elemento essenziale) come proposta irrevocabile, salvo però convertirsi in proposta semplice in ossequio alla regola della conversione del negozio nullo sancita dall’art. 1424. Il patto di opzione (≠ proposta irrevocabile) Ex art. 1331 il patto di opzione è un contratto con il quale le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione (che assume il valore di proposta irrevocabile) e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno -> in capo al beneficiario (oblato/opzionario) si crea una situazione di diritto potestativo, perché per effetto del patto di opzione, con la propria dichiarazione di accettazione perfeziona il contratto finale senza che la controparte (concedente l’opzione) possa impedirlo; correlativamente, la posizione giuridica di chi concede l’opzione è quella di soggezione rispetto all'esercizio del diritto potestativo spettante all’oblato. Dato che il contratto finale si perfeziona con l’accettazione da parte dell’opzionario, senza la necessità di una ulteriore dichiarazione da parte del proponente, la Cassazione (l’ultima volta con sentenza 1332/2017) ha sottolineato che il patto di opzione deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto finale. Inoltre, la Cassazione ha precisato che l’oggetto dell’opzione può anche non essere determinato, purché sia almeno determinabile ex art. 1346 (in tema di oggetto del contratto) -> es. è possibile che le parti del patto di opzione deferiscano ad un terzo (cd. arbitratore) l’oggetto del contratto (es. la concreta determinazione del prezzo) applicando l’art. 1349; in mancanza della nomina di un arbitratore, è sempre possibile che l'oggetto sia determinabile in base a parametri e criteri prestabiliti dalle parti. Gli effetti che derivano dal patto di opzione sono sostanzialmente analoghi a quelli che derivano dalla proposta irrevocabile, ma le due figure si differenziano dal punto di vista della struttura: - la proposta irrevocabile è un atto unilaterale del proponente (una parte formula una proposta e si impegna unilateralmente a mantenerla ferma per un certo tempo); - l’opzione è un contratto, frutto di un accordo fra il concedente l’opzione e il beneficiario (due parti convengono che una di esse resta vincolata alla propria dichiarazione, mentre l'altra rimane libera di accettarla o meno). 11 In ragione della natura contrattuale dell'opzione, la disciplina prevista è diversa rispetto a quella della proposta irrevocabile: (1) La prima differenza riguarda il caso in cui non sia stato determinato il termine di efficacia. La proposta irrevocabile priva di indicazione del termine (elemento essenziale) si converte in proposta pure e semplice; tuttavia, ciò non accade in caso di opzione, perché, al fine di evitare la conseguenza della nullità del patto di opzione, è stato predisposto uno strumento integrativo della volontà delle parti ex art. 1331 c.2 -> se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice su istanza del concedente l’opzione che intenda liberarsi del vicolo. Questo intervento giudiziale ha natura costitutiva, e non meramente dichiarativa come quello previsto in materia di proposta semplice dall’art. 1326 c.28: - in caso di proposta semplice, il giudice valuta a posteriori, e con efficacia dichiarativa, se effettivamente l’accettazione è pervenuta nel termine ordinariamente necessario; - in caso di opzione, il giudice deve assegnare al beneficiario un termine futuro rispetto alla data del provvedimento giudiziale, e non potrà dichiarare che, nel momento in cui è stato adito, il vincolo è da considerarsi già estinto in forza del tempo trascorso. Quindi, il termine viene stabilito in via costitutiva dal giudice su istanza del concedente l'opzione il quale chiede al giudice di stabilire fino a quando potrà ritenersi vincolato, ed entro questo termine il beneficiario potrà dichiarare di concludere il contratto finale. Secondo un’autorevole opinione dottrinale, per evitare la necessità di instaurare un giudizio ordinario di cognizione (per la determinazione del termine), va applicato l’art. 749 cpc.9 (che riguarda l'assegnazione di termini in materia successoria) che prevede l’applicazione di un procedimento di tipo camerale, molto più rapido ed economico rispetto a quello ordinario, che si risolve in un’unica udienza all'esito della quale il giudice, con apposito provvedimento, assegna al beneficiario dell'opzione un termine entro il quale pronunciarsi. (2) La seconda differenza riguarda il caso in cui l'oblato faccia una controproposta. Mentre in caso di proposta irrevocabile, la controproposta da parte dell'oblato produce la caducazione della proposta originaria, in caso di patto di opzione, un’eventuale controproposta da parte del beneficiario non esclude la possibilità di una successiva ed efficace accettazione conforme -> il beneficiario di un’opzione può provare a fare una controproposta, ma ciò non gli preclude la possibilità, se il concedente l’opzione non accetta, di accettare la proposta originaria, ovviamente purché non sia scaduto il termine di efficacia dell’opzione. NB. L'opzione, essendo un contratto, perde efficacia solo quando: - scade il termine senza che il beneficiario abbia esercitato il proprio diritto di accettare; - si scioglie il vincolo contrattuale -> es. con una risoluzione consensuale del patto di opzione; - vi è rifiuto espresso della proposta da parte del beneficiario; - vi è rinunzia del beneficiario al proprio diritto di opzione. (3) Un’ulteriore differenza riguarda la cedibilità a terzi. L’opzione, a differenza della proposta irrevocabile, è cedibile a terzi per atto tra vivi, ex artt. 1406 ss. (dettati in tema di cessione del contratto) -> in caso di cessione, il cessionario acquista il diritto di concludere il contratto finale con il concedente l’opzione per effetto dell’accettazione (egli acquisisce la situazione giuridica esistente in capo all’originario opzionario, diventando il nuovo opzionario). Affinché la cessione dell'opzione sia valida occorrono due requisiti: - il consenso del contraente ceduto (= il concedente l’opzione) espresso nella stessa forma del contratto di opzione; il consenso, ex art. 1407, può anche essere preventivo rispetto all’atto di cessione; - il contratto finale alla cui conclusione è preordinato il patto di opzione deve essere cedibile. A meno che non sia escluso dalla natura del contratto o da altre circostanze, il patto di opzione si trasmette agli eredi per causa di morte (regola generale in tema di successioni). 8 L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi. 9 In ragione del rinvio operato dall’art. 81 disp. att. cpc. in tema di azioni interrogatorie. 12 La forma del patto di opzione deve essere quella occorrente per la validità del contratto finale: se l’opzione si riferisce ad un contratto per il quale la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità (es. compravendita immobiliare), anche il patto di opzione deve avere la medesima forma, dato che contiene uno degli elementi essenziali del contratto finale (cioè la proposta) -> per i cd. contratti formali non è possibile accettare, per es., per fatti concludenti. Correlativamente, anche l’accettazione della proposta contenuta nell’opzione deve rivestire la stessa forma eventualmente richiesta dalla legge per il contratto finale a pena di nullità. Per quanto riguarda la causa, il contratto di opzione è un contatto tipico, il che esonera dal compito di accertare, caso per caso, l'esistenza di una causa sufficiente a giustificare la costituzione del vincolo, e questo vale: - sia quando l'opzione sia contenuta in un patto autonomo, cioè vi sia un vero e proprio contratto, che può essere sia a titolo oneroso (il concedente in cambio della dell'impegno di irrevocabilità della propria proposta riceve un corrispettivo), sia a titolo gratuito; - sia quando l’opzione sia contenuta come clausola in un più ampio regolamento negoziale (es. un'opzione di acquisto inserita come clausola in contratto di leasing; un’opzione di rinnovo inserita in un contratto di durata). Il patto di opzione, come ogni contratto, può essere colpito da vizi (sia originari, sia sopravvenuti) che possono riguardare il patto di opzione come fattispecie autonoma, ma anche come elemento del procedimento di formazione del contratto finale. Il patto di opzione può essere affetto da nullità (es. se non vi è un oggetto determinato o determinabile), con la conseguenza che non produce alcun effetto e, quindi, non sorge né il vincolo per il concedente l’opzione, né il diritto potestativo in favore dell’opzionario. Inoltre, il patto di opzione può essere annullabile (es. se il concedente è incorso in errore essenziale e conoscibile all’altra parte, o se è stato vittima di violenza morale o dolo): in tal caso, il concedente non ha l’onere di impugnare il patto di opzione chiedendo al giudice l’annullamento, perché dal momento in cui l’opzionario accetta la proposta contenuta nel patto viziato da annullabilità, il vizio si riverbera sul contratto finale; pertanto, è il contratto finale concluso per effetto dell’accettazione ad essere annullabile per vizio del consenso del concedente. Anche il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (= si verificano eventi straordinari e imprevedibili sopravenuti rispetto alla concessione dell’opzione, ma prima che l’opzionario abbia accettato) non va esperito contro il patto di opzione (cioè prima che il beneficiario abbia dichiarato di accettare), perché soltanto quando il contratto è concluso può essere valutato se l’onerosità è tale da pregiudicare gli interessi del contraente che aveva concesso l’opzione; pertanto, tale rimedio è esperibile nei confronti del contratto finale. Contratto preliminare unilaterale (≠ patto di opzione) Contratto con il quale le parti stabiliscono che solo una di loro sia obbligata a stipulare il contratto definitivo -> la particolarità è che l’obbl. di contrarre grava su un solo soggetto, mentre l’altro resta libero di decidere se pretendere o no la stipulazione del definitivo, e in caso di inadempimento può far valere il rimedio ex art. 2932 (esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto). Le due figure sono simili: in caso di patto di opzione, il beneficiario può decidere se concludere o no il contratto; e in caso di preliminare unilaterale: la parte non obbligata resta libera di decidere se pretendere o no la stipulazione del contratto definitivo. Tuttavia, vi è una netta differenza: - in caso di patto di opzione: il contratto finale si perfeziona senz’altro in forza della semplice dichiarazione di accettazione da parte del beneficiario; - in caso di preliminare unilaterale: il contratto finale si perfeziona solo a seguito di un successivo incontro di dichiarazioni da parte di entrambi i contraenti (= soltanto uno di loro ha il diritto di pretendere la stipulazione del definitivo, ma per perfezionarlo occorre il consenso anche dell’altro). Data la loro differenza, sul piano astratto, dottrina e giurisprudenza ammettono: - l’opzione di preliminare -> con la quale il beneficiario acquisisce il diritto potestativo di provocare, con la propria accettazione, a conclusione di un contratto preliminare; in tal caso, il contratto finale è un contratto preliminare che l’opzionario ha diritto di concludere con 15 L’offerta al pubblico La proposta contrattuale può essere rivolta, anziché ad un destinatario determinato, ad una pluralità indeterminata di persone, a tal proposito si parla della cd. offerta al pubblico -> ex art. 1336 c.1 l’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta (1), salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi (2). (1) In presenza degli elementi essenziali del contratto, l’offerta vale come proposta, pertanto, è sufficiente la semplice accettazione affinché il contratto sia concluso -> es. se la merce è esposta in negozio con l’indicazione del prezzo, si è in presenza di un’offerta al pubblico, perché ci sono gli estremi essenziali del contratto da concludere, quindi è sufficiente l’accettazione; NB. per quanto riguarda la merce esposta in supermercato con l’indicazione del prezzo, secondo la giurisprudenza, il contratto non si conclude quando il cliente preleva la merce dallo scaffale, ma quando si presenta alla cassa per il pagamento. Se l’offerta non contiene gli elementi essenziali del contratto da concludere, non vale come proposta contrattuale, ma come semplice invito a proporre, il che conduce a risultati estremamente diversi (vedi sopra): avvio di una trattativa o formulazione di una vera e propria proposta contrattuale. (2) L’offerta contenente gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, non equivale ad una proposta se così risulta dalle circostanze e dagli usi -> es. le offerte sui giornali, per quanto dettagliate (e quindi contenenti tutti gli elementi essenziali), sono da considerarsi come semplici inviti a offrire (es. offerta in locazione di un appartamento esattamente individuato, con foto, planimetrie, e indicazione del canone). In alcuni casi, la soluzione può essere dubbia (es. offerte via web, annunci radiofonici): in questi casi, l’offerente deve assumere opportune cautele, specificando se si tratta di un’offerta al pubblico o di un semplice invito a proporre. A tal proposito va richiamato un caso concreto: un venditore di autovetture su larga scala ha pubblicizzato una formula particolarmente vantaggiosa di vendita rateale di alcune autovetture (finanziamento a tasso zero per 24 o 36 mesi), senza inserire negli annunci la frase “salvo approvazione della casa produttrice” o simili. T. si è presentato in concessionaria dichiarando di voler acquistare l’automobile approfittando del finanziamento a tasso zero; tuttavia, l’impiegato del concessionario, dopo aver richiesto alcuni dati di tipo reddituale, ha negato la consegna dell’autovettura a T. in quanto nullatenente. T. ha presentato ricorso, affermando che la pubblicità non fosse un invito a proporre, ma un’offerta al pubblico, per la presenza degli elementi essenziali del contratto, e che quindi il concessionario fosse inadempiente. Il giudice ha dato ragione a T., emettendo un provvedimento d’urgenza in base al quale l’automobile avrebbe dovuto essergli consegnata (anche se poi il concessionario ha ottenuto soltanto la prima rata). Pqm. nelle offerte di vendita online, e negli annunci pubblicitari che riguardano particolari offerte di supermercati o negozi (es. offerte sottocosto), si ritrova pressocché sempre l’avvertenza che il contratto non sarà concluso mediante la semplice dichiarazione di volontà da parte di chi aderisce all’offerta, ma soltanto nel momento in cui chi l’ha emessa accetterà la dichiarazione dell’utente -> ciò viene indicato con clausole quali “il rivenditore si riserva di non accettare l’ordine”, “salvo esaurimento scorte” o equivalenti. Proposta individualizzata ≠ offerta al pubblico Non sussistono particolari differenze fra la proposta contrattuale diretta ad un destinatario determinato e l’offerta al pubblico: valgono come offerte solo se sussistono gli elementi essenziali del contratto da concludere, altrimenti valgono come mero invito a offrire. Le differenze sono le seguenti: 1. recettizietà: l’offerta al pubblico, per definizione non diretta ad un destinatario determinato, è un atto non recettizio, quindi, produce effetto nel momento in cui viene emessa (≠ proposta individualizzata) -> l’art. 1334 (regola delle recettizietà) stabilisce che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati, quindi, presuppone che vi sia un destinatario determinato; 2. rifiuto: nella proposta individualizzata, il rifiuto dell’oblato determina la caducazione della proposta e quindi il suo venir meno; nell’offerta al pubblico, invece, se qualcuno del pubblico indifferenziato rifiuta l’offerta, questa rimane in vita per tutti gli coloro che non abbiano rifiutato, nonché per colui che ha rifiutato (= potrà accettare in secondo momento). 16 Revoca Ex art. 1336 c.2 la revoca dell’offerta, se è fatta nella stessa forma o in forma equipollente, è efficace anche nei confronti di chi non ne ha avuto notizia -> anche la revoca non è un atto recettizio. Offerta al pubblico ≠ promessa al pubblico (art. 1989) La promessa al pubblico è un negozio unilaterale mediante il quale un soggetto si impegna unilateralmente a eseguire una certa prestazione in favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione -> è una fonte diretta di obbl. verso un beneficiario che, al momento in cui la promessa viene emessa, è soltanto determinabile; tuttavia, in quanto fonte di obbl. è vincolante non appena resa pubblica e indipendentemente da qualsiasi accettazione; non è revocabile liberamente, ma solo per giusta causa. L’offerta al pubblico, invece, è una proposta contrattuale che può dar luogo ad un contratto, e divenire dunque vincolante per l’offerente, solo dopo l’accettazione da parte dell’oblato; è revocabile fino a quando l’accettazione dell’oblato non giunga a conoscenza del proponente. 17 I CONTRATTI PREPARATORI Spesso la conclusione di un contratto è preceduta da un contratto preparatorio al contratto finale. Sono contratti o negozi preparatori: a) il contratto preliminare (da qui CP); b) il patto di prelazione; c) il patto di opzione. Contratto preliminare Non è definito dalla legge, ma ha una nozione da sempre pacifica: contratto con il quale le parti si obbligano a stipulare un futuro e successivo contratto, cd. contratto definitivo, del quale il preliminare deve contenere tutti gli elementi essenziali -> diffuso nella pratica, soprattutto per i beni immobili. Con il CP le parti si accordano sulla vendita, ma la proprietà del bene passa con la stipulazione del contratto definitivo. Pertanto, il CP va distinto dal contratto con il quale le parti realizzano l’effetto finale voluto impegnandosi a riprodurre, in futuro, il loro consenso informa più solenne -> es. le parti che si accordano in modo definitivo per la compravendita di un immobile con la scrittura privata, nella quale si impegnano a sottoscrivere successivamente il contratto davanti ad un notaio, in modo da poter procedere alla trascrizione; infatti, la scrittura privata soddisfa il requisito della forma scritta richiesto per la vendita immobiliare, e quindi è idonea al trasferimento immediato della proprietà, ma non è titolo per la trascrizione (per la quale si richiede la sottoscrizione autenticata da notaio). Il contratto di vendita stipulato con scrittura semplice è già un contratto definitivo, ed è chiamato, nella prassi, compromesso o contratto preliminare improprio. Motivi per cui le parti possono avere interesse a stipulare un CP anziché un definitivo: - pur essendo d’accordo su tutti gli elementi essenziali del contratto e sul voler pervenire al suo perfezionamento, non si vogliono impegnare subito, per poter compiere degli ulteriori accertamenti -> es. in caso di bene immobile, l’acquirente può essere interessato a controllare che questo sia libero da trascrizioni o iscrizioni (pegno, ipoteca); in caso di terreno edificabile, l’acquirente può essere interessato a verificare che gli indici di edificabilità siano superiori a una certa soglia. In alternativa, le parti potrebbero stipulare direttamente il definitivo, prevedendo che, per es., se il bene venduto non possiede certe qualità, risultando ipotecato o non edificabile, l’acquirente può ricorrere ai rimedi di volta in volta previsti dalla legge. Tuttavia, ciò significherebbe instaurare un contenzioso, spendere tempo e danaro, con il rischio di non ottenere la restituzione del prezzo pagato; invece, in caso di CP, se il bene non presenta le qualità garantite, è sufficiente rifiutarsi di stipulare il definitivo. Inoltre, sono previste imposte fiscali minori per il trasferimento di proprietà fatto con un preliminare; - per rinviare il pagamento di alcuni oneri fiscali -> es. il potenziale acquirente non vuole figurare come proprietario dell’immobile per l’anno solare in corso; o per non perdere l’agevolazione fiscale della prima casa, prima di acquistare un nuovo appartamento, vuole vendere quello che ha già in proprietà; - entrambe le parti necessitano di un periodo di tempo prima di perfezionare l’effetto traslativo -> es. T. vuole vendere il proprio appartamento a C.: ma T. ha bisogno di tempo per trovare un nuovo appartamento, e C. ha bisogno di tempo per ottenere un mutuo da una banca. Forma e nullità del CP Ex art. 1351 il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo; quindi, il CP deve rivestire la stessa forma richiesta dalla legge per il contratto definitivo -> es. il CP di vendita di un bene immobile deve avere forma scritta. Questa regola viene generalmente considerata come emersione di un principio più ampio, quello cioè della necessaria corrispondenza fra i requisiti imposti per la validità di un contratto concluso in via definitiva e i requisiti che deve avere lo stesso contratto concluso in via preliminare -> es. il CP di compravendita deve identificare il bene in vendita e il prezzo, altrimenti, è nullo per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto. Una delle ragioni di nullità del CP ha dato luogo a incertezze interpretative: il CP di vendita di un bene immobile che appartiene in comproprietà indivisa tra due o più persone, e che non viene 20 In caso di inadempimento del CP da parte di uno dei contraenti (= una delle parti si rifiuta di stipulare il contratto definitivo), è possibile chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932: quindi, davanti all’illegittimo rifiuto di stipulare il definitivo, la parte non inadempiente, qualora sia possibile e ciò non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza di tipo costitutivo che produca gli stessi effetti del contratto definitivo non concluso (c.1) -> es. con un CP, T. promette di vendere a C. un determinato appartamento al prezzo di €300.000 entro 3 mesi; tuttavia, T. cambia idea e si rifiuta di stipulare il definitivo. Se T. ricorre al rimedio di cui all’art. 2932, chiederà al giudice una sentenza costitutiva che produca gli stessi effetti del definitivo non concluso, e quindi che gli sia trasferita la proprietà della cosa che ha formato oggetto di CP (la sentenza NON conterrà una condanna della parte inadempiente a concludere il contratto definitivo, ma trasferirà la proprietà al promissario acquirente!). Ex art. 2932 c.2 se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l'ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile. La giurisprudenza intende in senso piuttosto ampio la possibilità di ricorrere a questo rimedio: si ammette il ricorso a tale rimedio anche in casi in cui l’oggetto del CP non coincide esattamente con l’oggetto del definitivo che si sarebbe dovuto stipulare, infatti, può accadere che la cosa promessa in vendita sia contemplata come avente certe caratteristiche che però poi emerge essa non possiede in concreto -> es. viene promesso in vendita un appartamento all’interno di un edificio che al momento del preliminare è ancora da costruire (CP che ha ad oggetto cose future), e nel momento in cui la costruzione è realizzata, emerge avere delle caratteristiche diverse da quelle pattuite in sede di CP (es. è un po’ più piccolo). In questo caso, il promissario acquirente può rifiutarsi legittimamente rifiutarsi di stipulare il definitivo; ma può anche dichiararsi disposto a stipulare il definitivo con una riduzione del prezzo pattuito, e può accadere che il promittente venditore non gliela voglia concedere: in questo caso, la giurisprudenza ammette che nell’ambito del giudizio instaurato ex art. 2932 possa esercitarsi la cd. azione quanti minoris di cui all’art. 1492, e quindi che il promissario acquirente possa chiedere la sentenza costitutiva che tenga conto del contratto non concluso, ma con una riduzione di prezzo. Questa regola vale anche quando viene venduta una cosa affetta da vizi che ne riducano il valore -> riduzione proporzionale all’entità del vizio della cosa. Inoltre, in caso di inadempimento del CP è comunque sempre fatto salvo, per la parte non inadempiente, il rimedio del risarcimento del danno. Trascrizione del contratto preliminare Essendo un contratto ad effetti obbligatori, normalmente non è opponibile ai terzi: se le parti stipulano un CP di vendita, e poi il promittente venditore, violando l’obbligo di stipulare il definitivo, vende il bene ad un terzo che trascrive regolarmente il proprio acquisto, il promissario ha a sua disposizione soltanto un’azione di risarcimento dei danni nei confronti del promittente, ma non è prevista alcuna tutela avente carattere reale, come il recupero del bene promesso in vendita (es. esecuzione in forma specifica. Per evitare ciò, nel 1996, il legislatore ha previsto che il CP possa essere trascritto, -> ex art. 2645- bis c.1 i CP aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai nn.1, 2, 3, 4 dell’art. 2643, anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. I contratti di cui all’art. 2643 nn.1-4 sono i contratti a efficacia reale (trasferimento proprietà bene immobile o costituzione/trasferimento diritto reale minore su beni immobili), pertanto, il campo di applicazione della trascrizione del CP è quello del CP di vendita immobiliare. Invece, non possono essere trascritti i CP di contratti che siano trascrivibili ex altri numeri dell’art. 2643: a) CP di un contratto a efficacia estintiva di un diritto immobiliare (però: il definitivo di un contratto a efficacia estintiva è trascrivile); b) CP di locazione ultra-novennale; c) CP di transazione -> in dottrina, questa esclusione è stata criticata: il legislatore è stato irrazionale, ma non è cmq possibile un’estensione interpretativa. 21 La funzione prenotativa della trascrizione del CP La trascrizione del CP ha una cd. funzione prenotativa11 -> ex art. 2643 c.2 la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei CP di cui al c.1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta a ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare. In pratica, eseguita la trascrizione del CP, al promissario acquirente sono inopponibili tutte le iscrizioni o trascrizioni successive rese contro il promittente alienante, perché la successiva trascrizione del definitivo o della sentenza che ne tiene luogo retroagisce fin dal momento della trascrizione del CP. (!) Quindi, la trascrizione del CP non è intesa a risolvere un conflitto fra CP e altri titoli, ma a risolvere il conflitto fra i titoli successivi al CP (es. gli atti di alienazione compiuti dal promittente venditore), e il titolo costituito dal contratto definitivo o dalla sentenza ex art. 2932, la cui venuta ad esistenza è solo eventuale, che darà esecuzione al CP trascritto. Al promissario acquirente non basta la trascrizione del CP per prevalere: questa ha la funzione di prenotare gli effetti della futura sentenza costitutiva, ed è questa che gli consentirà di prevalere sul terzo -> es. T. e C. stipulano un CP di compravendita immobiliare, C. trascrive il CP, ma T. vende a S. l’immobile oggetto del CP rendendosi inadempiente, e S. trascrive il proprio acquisto. C. non prevale per aver trascritto il CP prima di S.: per prevalere dovrà trascrivere tempestivamente a) o il definitivo del CP, b) o la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932, e successivamente la sentenza costitutiva (è questa che retroagisce lo fa prevalere). Con riferimento all’ampiezza della funzione prenotativa ci si è chiesti se: - la trascrizione del titolo prenotato con la trascrizione del CP, (con le due modalità di cui sopra), consenta di travolgere le sole trascrizioni incompatibili che si fondano su atti che il promittente alienante ha liberamene deciso di compiere (= trascrizione di atti di trasferimento a terzi della proprietà dell’immobile promesso o atti di costituzione sull’immobile di un diritto reale di godimento); - oppure, se travolga anche le trascrizioni o le iscrizioni eseguite da terzi contro la volontà del promittente alienante (= trascrizione di pignoramenti o sequestri, o iscrizione di ipoteche giudiziarie eseguite dai creditori del promittente alienante) -> ci si chiede se, il promissario acquirente che ha trascritto per primo il CP, e poi il definitivo o la sentenza, prevalga sulla trascrizione del pignoramento (sequestro o ipoteca giudiziale). Sostanzialmente, ci si chiede se l’efficacia prenotativa della trascrizione del CP valga anche con riferimento alla trascrizione di pignoramento, sequestro o ipoteca giudiziale avvenuta dopo la trascrizione del CP ma prima del definitivo o della sentenza. La dottrina è divisa: - una prima tesi esclude l’opponibilità del promissario acquirente ai creditori del promittente alienante, sostenendo che l’art. 2645-bis non abbia modificato le norme in tema di effetti del pignoramento: ex art. 2913 (che vale anche per il sequestro) gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, e siccome il CP non è un atto di alienazione, ma una promessa di una futura alienazione, il creditore prevale nei confronti del promissario acquirente se trascrive il pignoramento prima che sia trascritto il definitivo o la sentenza che ne tiene luogo (= la trascrizione del CP irrilevante per il creditore); - un secondo orientamento, da preferirsi, giunge ad una conclusione diametralmente opposta, sostenendo che l’art. 2645-bis estende l’efficacia prenotativa del CP a qualsiasi trascrizione incompatibile, e in particolare l’ultima parte del c.2 dispone che la trascrizione prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del CP. La Cassazione ha accolto questo orientamento con sentenza 26102/2016 con la quale è stata affermata una massima: gli effetti della trascrizione del CP, ex art. 2645-bis c.1, si estendono anche alle trascrizioni di pignoramenti o sequestri e di ipoteche giudiziali, con la conseguenza che queste, qualora siano successive alla trascrizione del CP sono inopponibili al promissario acquirente alle condizioni, per gli effetti e nei limiti di cui allo stesso art. 2645- bis cc. 2 e 3. 11 Simile a quella che svolgono le trascrizioni delle domande giudiziali previste dagli artt. 2652 e 2653. 22 Vi è un limite temporale all’efficacia prenotativa della trascrizione del CP -> ex art. 2645-bis c.3 gli effetti della trascrizione del CP cessano e si considerano come mai prodotti, se entro 1 anno dalla data convenuta dalle parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro 3 anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo, o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del CP o della domanda giudiziale di cui all’art. 2652 c.1 n.2 (= domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto) -> es. nel CP stipulato a gennaio 2020 si prevede che il definitivo debba essere stipulato entro il 30 giugno 2020, e il promissario acquirente trascrive il CP; dato che le parti hanno convenuto una data per la stipulazione del definitivo, l’efficacia prenotativa della trascrizione del CP durerà fino al 30 giugno 2021 (1 anno dalla data convenuta); se le parti non avessero convenuto un termine, il meccanismo è il medesimo, ma il termine è di 3 anni. Il termine di durata dell’efficacia prenotativa (annuale o triennale) è da qualificarsi come decadentorio, e quindi non si applicano le norme su sospensione e interruzione della prescrizione. Patto di prelazione Si tratta di un contratto atipico. L’unica norma che si riferisce al patto di prelazione è l’art. 1566, nel quale, però, la prelazione è contemplata come una clausola che le parti possono inserire in un contratto di somministrazione, quando il somministrato, dopo la cessazione del contratto in corso, intenda concludere un altro contratto di somministrazione avente il medesimo oggetto; tuttavia, si ritiene che tale norma non abbia portata generale, e sia inapplicabile a casi diversi. La nozione di “patto di prelazione” è stata elaborata nel tempo: accordo con il quale un soggetto (promittente) attribuisce ad un altro soggetto (promissario o prelazionario) il diritto di essere preferito nell’eventuale e futura conclusione di un certo contratto a parità di condizioni offerte da terzi. Il promittente, in realtà, resta libero di non concludere il contratto al quale di riferisce la prelazione, perché si obbliga semplicemente a preferire il prelazionario a parità di condizioni con terzi -> si tratta di un vincolo tenue se paragonato a quello che deriva dal patto di opzione o dal CP, perché il promittente limita soltanto la sua libertà si scegliere il soggetto con il quale concludere il contratto. Il patto di prelazione si può presentare in due forme diverse: 1) come contratto autonomo, che ha come unico oggetto la concessione del diritto di prelazione; 2) come clausola di un più ampio regolamento negoziale. In entrambi i casi si tratta di un vincolo contrattuale 8natura giuridica). Sotto il profilo della causa del patto di prelazione occorre distinguere: - se la prelazione deriva da un contratto autonomo è pacifico che sussista una valida causa quando a fronte dell'obbligo di preferenza sia previsto un corrispettivo, sia esso in danaro o in natura (es. la prelazione reciproca che i comproprietari di una cosa si riconoscono vicendevolmente nel caso in cui uno di loro volesse vendere la propria quota); - se, invece, la prelazione è concessa a titolo gratuito possono sorgere perplessità: la giurisprudenza ritiene che il patto di prelazione a titolo gratuito si perfezioni ex art. 1333 in forza della dichiarazione del solo promittente che ha concesso la prelazione (contratto con obbligazioni a carico del solo proponente); invece, la dottrina non adotta una soluzione netta: in particolare, quando l'assunzione gratuita dell'obbligo di preferire sia stata dettata da spirito di liberalità, ritiene che ci si trovi in presenza in di una donazione (atto pubblico a pena di nullità), dato che l’art. 769 ricomprende nell'ambito della donazione il contratto attraverso il quale una parte, per spirito di liberalità, assume verso l'altra parte un’obbligazione. L'oggetto del patto di prelazione è costituito dalla prestazione di preferenza, consistente nell’obbligazione di preferire il promissario nella conclusione eventuale del futuro contratto; la giurisprudenza ha sottolineato come la prestazione di preferenza consista in una duplice obbligazione in capo al promittente: - la prima obbligazione, dal contenuto positivo (di fare), impone al promettente di comunicare al promissario le proposte ricevute da terzi, o le proposte che intende avanzare ai terzi; questa comunicazione, che forma oggetto della prima obbligazione, è chiamata denuntiatio; 25 (viene travolto il diritto del terzo) -> es. prelazione urbana: chi ha concesso in locazione un immobile a uso commerciale lo vende ad un terzo senza interpellare il conduttore (violando il diritto di prelazione legale); il conduttore può esercitare il diritto di riscatto anche nei confronti del terzo acquirente, sostituendosi a lui nel contratto di vendita dell’immobile e diventandone proprietario, salvo ovviamente l'obbligo di pagare il prezzo che era stato convenuto tra le parti 26 LA RAPPRESENTANZA Istituto in forza del quale un soggetto (cd. rappresentante), è portatore di un potere attribuitogli dalla legge o dall' interessato di compiere una certa attività giuridica in nome per conto di un altro soggetto (cd. rappresentato). Ex art. 1388 il contratto (l’attività giuridica) concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato -> es. se il rappresentante ha il potere di acquistare beni immobili in nome e per conto altrui, e acquista da un terzo un bene immobile in qualità di rappresentante stipulando il relativo contratto di compravendita, gli effetti della sua attività giuridica si producono direttamente in capo al rappresentato: la proprietà dell'immobile acquistato dal rappresentante viene trasferita direttamente al rappresentato, sul quale grava l'obbligo di pagamento del prezzo. Perché si producano gli effetti di cui all’art. 1388 il rappresentante deve concludere il contratto in nome del rappresentato, mediante la cd. spendita del nome (o contemplatio domini) -> deve dichiarare ai terzi con i quali entra in contatto che non sta agendo in prima persona ma come rappresentante di un altro soggetto. Sostanzialmente, il rappresentante deve menzionare il nome del rappresentato: - il contratto scritto deve essere firmato dal rappresentante con l’uso di formule idonee a costituire la spendita del nome -> es. “quale rappresentante di T.”, “in qualità di procuratore di T.”, “in nome e per conto di T.”, o espressioni equivalenti (no formule sacramentali); - in caso di contratti verbali, la spendita del nome può essere anche tacita, o addirittura presunta, per es., attraverso un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza del terzo che egli agisce per un soggetto diverso -> es. la quotidiana conclusione di contratti di vendita da parte di commessi all'interno di un esercizio commerciale prescinde da una formale spendita del nome dell'imprenditore. Quando manca la spendita del nome, il rappresentante agisce per conto altrui/nell’interesse altrui, ma non in nome altrui, pertanto, si ha la cd. interposizione gestoria (o rappresentanza indiretta): gli effetti del contratto concluso in nome proprio ma nell’interesse altrui si producono nei confronti del rappresentante, ciò accade, in particolare, in caso di mandato senza rappresentanza. Nello specifico, ex art. 1705 c.1 (in tema di mandato) il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato (= anche se i terzi sanno che il mandatario agisce nell’interesse di un altro soggetto). La rappresentanza può trovare fonte: - nella legge (cd. rappresentanza legale) -> il rappresentante è individuato direttamente dalla legge o è nominato dal giudice (es. in caso di minori, ex art. 320 sono i genitori; in caso di interdizione, ex art. 346 il tutore rappresentante è nominato dal giudice tutelare). - nella volontà dell'interessato (cd. rappresentanza volontaria) -> che deve tradursi in una procura. La procura è un atto unilaterale e recettizio per mezzo del quale il rappresentato conferisce al rappresentante il potere di rappresentanza. Si tratta di un atto a forma variabile -> ex art. 1392 la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere -> pertanto, può essere un atto a forma libera o a forma vincolata, a seconda dell’atto che il rappresentante è chiamato a compiere (= art. 1351 in tema di CP). Va notato che, in alcuni casi la procura può essere tacita -> quando il lavoratore viene assunto per essere adibito alle mansioni di cassiere, la procura a vendere i beni che si trovano all’interno del negozio e a incassare il relativo prezzo è conferita necessariamente, in quanto indispensabile affinché i lavoratori possano svolgere le mansioni cui sono adibiti. Ex art. 1389 può essere nominato rappresentante colui che abbia la capacità di intendere e di volere (cd. capacità naturale), che andrà valutata in base alla natura e al contenuto del contratto che il rappresentante avrà il potere di concludere -> es. il potere di rappresentanza può essere conferito anche a un minore, purché sia in grado di stipulare un certo contratto; ovviamente, non lo si potrà 27 incaricare di stipulare una complessa fusione societaria, perché questo tendenzialmente esula dal campo in cui i minori possono liberamente e consapevolmente autodeterminarsi. Invece, è fondamentale che il rappresentato abbia la capacità di agire, perché gli effetti dell'attività compiuta dal rappresentante si producono nella sua sfera giuridica. La procura può essere di due tipi: - procura generale: comprende o la totalità degli affari che riguardano il patrimonio del rappresentato, o un intero settore, più o meno ampio, delle attività del rappresentato -> es. procura con la quale si attribuisce il potere di rappresentanza per tutti gli affari concernenti l’amministrazione di un immobile; o per tutti gli affari da concludere in una determinata zona; - procura speciale: conferita per uno o più specifici affari. La procura, inoltre, sia generale che speciale, può contenere alcuni limiti al potere di rappresentanza conferito con la stessa; i limiti possono fare riferimento: - alla natura dei beni che il rappresentante può acquistare -> es. procura conferita soltanto per l'acquisto di beni mobili; - al valore -> es. procura conferita per vendere un certo bene del rappresentato ad un prezzo non inferiore ad un determinato importo (= T. conferisce a C. la procura a vendere il proprio appartamento a un prezzo non inferiore a €200.000). Il terzo, per cautelarsi rispetto all’eventualità che il rappresentante superi i limiti della procura ha il diritto esigere la giustificazione dei suoi poteri e, ove vi sia, l’esibizione e la consegna della procura scritta -> deve sapere se chi si afferma rappresentante di un altro soggetto sia effettivamente tale e non un millantatore; e appurato ciò, deve verificare non vi siano limiti alla procura, o quali essi siano. Ad una analoga esigenza risponde l’art. 1397: il rappresentante è tenuto a restituire il documento dal quale risultano i suoi poteri, quando questi sono cessati. Nel caso in cui un soggetto agisca come rappresentante senza avere alcun potere o eccedendo i poteri conferitigli con la procura (violando i limiti), si ha la cd. rappresentanza senza potere. Il contratto stipulato dal rappresentante senza potere (cd. falsus procurator) è un contratto inefficace: non produce effetto né nei confronti del rappresentato, né nei confronti del rappresentante senza potere, perché il terzo ha stipulato un contratto con un soggetto che agiva a nome altrui (pensava di stipularlo con il rappresentato, non con il falsus procurator); tuttavia, tale contratto produce delle conseguenze: ex art. 1398 il falsus procurator è tenuto a risarcire i danni che il terzo abbia sofferto per aver confidato senza sua colpa nell’esistenza dei poteri di rappresentanza e quindi per aver confidato nell’efficacia del contratto. Il rappresentato, però, ex art. 1399 ha la possibilità di ratificare il contratto: la ratifica è una dichiarazione con cui il rappresentato afferma di approvare il contenuto del contratto stipulato dal falsus procurator, è una specie di procura successiva che sana la mancanza del potere di rappresentanza. Per effetto della ratifica, il contratto produce retroattivamente i suoi effetti fra il terzo e il rappresentato: diventa efficace fin dal momento della stipulazione da parte del falsus procurator. Non vi è un termine entro il quale il rappresentato deve decidere se ratificare il contratto concluso dal falsus procurator; tuttavia, visto l’interesse del terzo a sapere se il contratto è efficace o meno, egli può sollecitare il falso rappresentato ad esprimersi nel senso della ratifica assegnandogli un termine: se entro questo termine il rappresentato non ratifica, la ratifica si intende negata. La regola generale è quella per cui la procura può essere revocata dal rappresentato in qualsiasi momento. L’art. 1396 c.1 prevede un onere a carico del rappresentato, a tutela del principio di affidamento dei terzi: le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (es. se vi è un elenco clienti possono essere inviate delle mail) -> es. T. per anni ha concluso contratti in qualità di rappresentante di una certa impresa in una determinata zona, quindi, i clienti sanno che quel soggetto ha il potere di rappresentanza dell’impresa (i fatti lo dimostrano); se dopo diversi anni l'imprenditore revoca la procura T., c’è il rischio che i terzi continuino a confidare sull’esistenza del potere di rappresentanza in capo a T., pertanto, l'impresa ha l'onere di comunicare a tutti i clienti, con mezzi idonei, che il rapporto con quel venditore è cessato. 30 LA FORMA DEL CONTRATTO Ex art. 1325 n.4 la forma è un elemento essenziale del contratto quando risulta che sia prescritta dalla legge sotto pena di nullità -> da questa disposizione sembra che la forma del contratto sia soltanto eventualmente uno degli elementi essenziali del contratto, ma non è così, infatti, ogni contratto ha una forma, perché la forma è il modo con il quale le parti manifestano la volontà diretta alla conclusione del contratto (-> in mancanza di forma non ci sarebbe manifestazione di volontà, e quindi non ci sarebbe contratto). La volontà contrattuale può essere manifestata: - verbalmente -> cd. forma orale; - con linguaggio scritto -> cd. forma scritta; nello specifico, se le parti usano il linguaggio scritto senza l’ausilio di nessuno, si ha scrittura privata, mentre se vi è l’intervento di un pu. si ha atto pubblico; - con linguaggio informatico -> cd. documento informatico; - con un comportamento concludente, senza una manifestazione espressa della volontà contrattuale. Pertanto, essendo la forma il modo in cui le parti manifestano il loro accordo, in un certo senso è il contratto stesso; e bisogna ritenere che il n.4 dell’art. 1325 faccia riferimento alla forma scritta. Principio della libertà di forma Secondo il principio generale della libertà della forma del contratto, fatti salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, un contratto può validamente formarsi ed essere concluso in qualsiasi forma. Detto ciò, bisogna anche notare come siano sempre più numerosi i casi in cui la legge esige, a pena di nullità, l’osservanza di determinati vincoli di forma, quindi i casi di cd. contratti a forma vincolata / contratti formali, e come spesso le parti utilizzino una forma che in realtà non è prescritta -> es. il contratto di locazione è un contratto a forma libera (salvo il caso di locazione ultra-novennale, e ad uso abitativo), ma la maggior parte delle locazioni vengono concluse per iscritto per evitare incertezze e liti. Pertanto, la regola generale della libertà della forma viene di fatto utilizzata soltanto per i cd. contratti della quotidianità, caratterizzati da un valore molto modesto, mentre, quando i contratti superano una certa soglia sotto il profilo economico, tendono ad essere conclusi per iscritto. CONTRATTI FORMALI L’art. 1350 richiede la forma scritta a pena di nullità per una lunga serie di contratti, che generalmente hanno ad oggetto beni immobili -> questa forma è richiesta per tutti i contratti che riguardano diritti reali su beni immobili (= trasferimento della proprietà; istituzione / modificazione / estinzione di un diritto reale minore su un immobile). Il vincolo della forma scritta opera anche per i contratti immobiliari che sono preordinati a produrre un effetto reale, effetto che però non si realizza immediatamente, ma soltanto in un momento successivo rispetto alla conclusione del contratto stesso -> es. in caso di vendita immobiliare sottoposta a condizioni sospensiva (= l’effetto si produce quando tale evento si verifica). Inoltre, l’art. 1350 esige la forma scritta per alcuni contratti che costituiscono diritti personali di godimento su beni immobili che, per la loro durata, incidono fortemente sulla posizione del locatario (es. contratto di locazione ultra-novennale; contratto con cui un socio conferisce alla propria società un bene immobile con una durata ultra-novennale). Ancora, contratti di divisione di un bene immobile, contratti di transazione che siano relativi ad uno dei contratti menzionati nei numeri precedenti. Sono diverse le ragioni per cui, per questi contratti, la legge richiede la forma scritta a pena di nullità: - per favorire la ponderazione dei contraenti: scrivere il testo di un contratto, o sottoscriverlo, comporta una maggiore attenzione e riflessione, che la forma orale non consente o comunque non stimola; - per favorire la certezza del rapporto contrattuale tra le parti: la scrittura consente di identificare bene l’oggetto del contratto, e quindi i diritti e gli obblighi che derivano, con minori margini di dubbio rispetto a quanto accade con la forma orale; - per ragioni di certezza delle situazioni giuridiche nei confronti dei terzi -> quando un contratto è stipulato in forma scritta si realizza il presupposto necessario per dargli la necessaria 31 pubblicità affinché i terzi ne possano conoscere gli effetti; infatti, vi è uno stretto rapporto tra forma e pubblicità del contratto: la forma è un prerequisito della pubblicità, come dimostrato dal fatto che tutti i contratti per i quali l’art. 1350 prescrive la forma scritta, siano soggetti a trascrizione nei registri immobiliari. Nel cc. e nella legislazione speciale vi sono altre norme che impongono requisiti formali: in linea generale, si tratta di casi in cui la forma scritta è richiesta allo scopo di protezione di una delle parti (quella più debole); esempi: - l’art. 1284 c.3, per la pattuizione di interessi in misura superiore al tasso legale, esige la forma scritta -> in mancanza, gli interessi saranno dovuti nella misura legale; - l’art. 1341 c.2 -> in caso di contrattazione di massa (= l’imprenditore predispone le condizioni generali del contratto, destinate a valere per una serie indeterminata di contratti) le clausole vessatorie (es. che prevedono decadenze a danno del contraente debole) devono essere specificamente approvate per iscritto, per attirare l’attenzione del contraente sulle clausole per lui particolarmente gravose; - contratti bancari e contratti di credito al consumo, ex T.U.B.; - contratti per la prestazione di servizi di investimenti finanziari, ex T.U.F.; - contratti per la vendita di quote di multiproprietà, ex Codice del Consumo; - contratti con la PA richiedono sempre l’uso della forma scritta, in ragione del principio di trasparenza che governa la PA, e in funzione dei controlli al quale sono sottoposti gli enti pubblici. Forma scritta: elementi essenziali e non essenziali del contratto Quando la legge richiede la forma scritta a pena di nullità, bisogna individuare quali sono gli elementi del contratto che devono rispettare tale requisito -> in ogni contratto vi sono degli elementi essenziali e degli elementi non essenziali. Tutti gli elementi essenziali del contratto formale devono investire la forma prescritta dalla legge; nello specifico, ciò vale per causa e oggetto del contratto: 1) es. se nella scrittura privata con cui si prevede che T. trasferisce a C. la proprietà per un determinato bene immobile, non viene indicata la ragione del trasferimento, e non risulta che l’operazione è posta in essere per spirito di liberalità (no donazione), o non risulta che è posta in essere con lo scopo di risolvere una controversia insorta tra le parti (no transazione) vi è una carenza perché la causa del contratto non risulta dall’atto scritto -> ciò comporta nullità del contratto; 2) es. se in un contratto si prevede che T. trasferisce a C. la proprietà di un bene immobile a titolo di vendita/permuta (quindi, indicando la causa), ma non viene indicata la controprestazione, il contratto è nullo (anche se il prezzo viene concordato a voce). In genere, per gli elementi non essenziali non sussiste il vincolo di forma, pertanto, possono anche essere definiti verbalmente (es. in un contratto di vendita immobiliare, non è necessario il momento in cui verrà pagato il prezzo). Tuttavia, da alcuni elementi non essenziali può derivare la validità del contratto, e allora, in questi casi, varrà il vincolo di forma anche per questi: 1) es. ex art. 2125 il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro, e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. In tal caso, se per es. non vengono indicati i limiti di tempo e di luogo in cui l’attività del dipendente è da considerarsi vietata, concordandoli solo verbalmente, il vincolo di forma non è rispettato, e il contratto sarà nullo; 2) es. nei contratti bancari non va indicato soltanto il tasso di interesse, ma anche qualsiasi altro prezzo o condizione praticati (= va tutto redatto per iscritto). Contratti preparatori e dipendenti da quello formale Ci si chiede se il vincolo di forma richiesto dalla legge per un determinato contratto valga anche per i contratti preparatori rispetto a quello formale, e per quelli cd. dipendenti da quello formale. 32 a) Contratti preparatori La legge risolve il problema con riferimento al contratto preliminare, infatti, ex art. 1351 il preliminare deve rivestire la stessa forma del definitivo; questa regola vale anche per la procura e per la ratifica di un contratto concluso da un rappresentante senza potere. Quando la legge tace a riguardo, le soluzioni possono essere diverse: 1) con riferimento al patto di opzione, è pacifico che la sua forma debba necessariamente essere quella occorrente per la validità del contratto finale; 2) con riferimento al patto di prelazione, invece, è adottata la soluzione opposta, e si esclude l’applicazione analogica della norma di cui all’art. 1351 (= il patto di prelazione è un contratto a forma libera, anche quando si riferisce alla conclusione di un contratto formale). A questo argomento è connessa la fattispecie del mandato senza rappresentanza ad acquistare beni immobili (che non è un contratto preparatorio) -> infatti, ci si è chiesti se questo sia o meno un contratto formale, e le soluzioni prospettatesi sono due: 1) parte della dottrina ritiene si tratti di un contratto a forma libera, dato che la legge non prescrive nulla per il mandato; 2) la giurisprudenza, invece, adotta una soluzione di segno opposto, e lo ritiene un contratto che esige la stessa forma dei contratti che il mandatario dovrà concludere per attuare il mandato -> es. se il mandato riguarda l’acquisto di beni immobili, è richiesta, a pena di nullità, la forma scritta, perché il mandatario dovrà acquistare l’immobile da un terzo con un atto scritto, e poi dovrà ritrasferirne la proprietà con altro atto scritto. La giurisprudenza sostiene ciò in quanto il mandato ad acquistare colloca le parti (mandante e mandatario) nelle stesse posizioni giuridiche che derivano da un preliminare, e questa similitudine riguarda la stessa possibilità di attuare il trasferimento dell’immobile dal mandatario che lo ha acquistato al mandante, anche in via coattiva ex art. 2932. Stando a questa impostazione, un mandato senza rappresentanza ad acquistare un bene immobile stipulato verbalmente è da considerarsi nullo; tuttavia, in alcuni casi, ciò può creare gravi conseguenze: es. T. incarica verbalmente C. ad acquistare un bene immobile, nel proprio interesse ma a nome di C. -> si tratterebbe si un contratto nullo per difetto di forma, ma questo mandato viene cmq. eseguito dal mandatario, che acquista a nome proprio l’immobile; a questo punto, però, mancherebbe l’obbligo di trasferire al mandante la proprietà dell’immobile acquistato. Se il mandante non vuole più l’immobile, il mandatario a) non può impugnare l’atto d’acquisto, perché la circostanza per cui il mandato era nullo non rileva per il terzo; b) e non può nemmeno pretendere di trasferire l’immobile al mandante, in quanto questo trasferimento necessiterebbe di un contratto di mandato valido. b) Contratti dipendenti Contratti che modificano o sciolgono un contratto precedente contratto formale; si distingue tra: 1. Contratti modificativi -> sono contratti formali se modificano elementi del precedente contratto che, in base ai criteri di cui sopra, debbono rivestire la forma scritta (es. se modificano il prezzo del contratto di compravendita). 2. Contratti risolutori -> negli anni si sono profilati diversi orientamenti contrastanti. Il contratto che estingue un precedente contratto è contemplato nella stessa definizione di cui all’art. 1321; inoltre, la possibilità che le parti si accordino per sciogliere un precedente contratto è prevista anche ex art. 1372 -> quindi, gli effetti di un contratto già concluso possono essere eliminati dalle parti con un nuovo contratto. È controversa la natura giuridica del mutuo dissenso, espressione con cui l’art. 1372 definisce l’accordo con cui le parti decidono di sciogliere un precedente contratto (conosciuto nella pratica anche come risoluzione consensuale): 1) un’opinione dottrinale considera il mutuo dissenso un contrarius actus, cioè un atto di segno opposto rispetto a quello eliminato -> attribuendogli tale natura, il negozio dissolutorio deve presentare tutti i requisiti del contratto sciolto (anche la forma); 35 Nei rapporti tra le parti, tempo e luogo di conclusione del contratto possono essere liberamente provati dalla parte interessata con ogni mezzo di prova; mentre la questione cambia nei confronti dei terzi14, perché per poter opporre al terzo la data di una scrittura privata, la legge esige che questa sia certa15 -> ex art. 2704 c.1 la legge considera data certa nei confronti dei terzi soltanto quella in cui si sia verificato un evento oggettivo necessariamente successivo rispetto alla sottoscrizione del documento (es. data certa è conferita dalla registrazione del contratto a fini fiscali; es. spedirsi la scrittura privata, in modo che vi sia un timbro postale). Biancosegno Si tratta di una firma apposta in calce a un foglio in tutto o in parte in bianco, e solo successivamente viene scritto/completato il testo contrattuale da una persona diversa dal firmatario e su suo incarico indicandogli il contenuto; ma può anche accadere che le due parti del contratto firmino in bianco, e che affidino ad un terzo l’incarico di riempire materialmente il foglio compilando il testo del contratto secondo i contenuti concordati tra le parti. Questo meccanismo di dichiarazione contrattuale è ammissibile, e trovano applicazione i principi di auto-responsabilità e affidamento che impediscono al firmatario di respingere gli effetti del testo contrattuale scritto in un momento successivo rispetto alla firma. Tuttavia, possono sorgere dei problemi quando il firmatario in bianco sostiene che il recepimento è stato effettuato al di fuori di quanto era stato stabilito -> in tal caso, potrà trovare applicazione il rimedio dell’annullamento del contratto per errore ostativo, pertanto, il firmatario in bianco avrà l’onere di fornire la prova dell’errore (ciò risulta particolarmente difficile). NB. Se il firmatario in bianco affida all’altra parte l’incarico di riempire il testo del contratto secondo la sua piena discrezionalità, il contratto è nullo per indeterminabilità dell’oggetto (ciò andrà provato in giudizio). Scrittura privata autenticata (art. 2703) È una normale scrittura privata che proviene dalle parti, e da loro viene sottoscritta in presenza del notaio, o di un altro pu. autorizzato, che accerta l'identità dei sottoscrittori attestando che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. La scrittura privata autenticata costituisce (come l’atto pubblico) titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, e titolo per l’iscrizione di ipoteca; inoltre, essendo autenticata, ha data certa anche nei confronti dei terzi (nasce con data certa, garantita dalla presenza del pu.). Atto pubblico Ex art. 2699 l’atto pubblico è il documento redatto con le richieste formalità da un notaio (che ha competenza generale nell’ambito del proprio distretto) o da un altro pu. autorizzato -> l’attività del pu. per la formazione dell’atto viene definita con il verbo rogare, e l’atto pubblico rogito. La competenza a rogare atti pubblici, innanzitutto, spetta al notaio, che ha competenza generale nell’ambito del proprio distretto notarile, ma sono competenti anche altri pu.: - es. i consoli (= capi degli uffici consolari) hanno una competenza parallela rispetto a quella dei notai per gli atti formati all'estero da cittadini italiani (legge consolare); - es. il segretario comunale, su richiesta del comune, può rogare i contratti nei quali l'ente comunale è parte, e può autenticare scritture private nelle quali l’ente locale è parte; - es. i cancellieri sono competenti a rogare i verbali di conciliazione giudiziale, che hanno natura di contratti e assumono la forma di atto pubblico (tu. degli enti locali) -> NB. con il verbale di conciliazione giudiziale non si può soltanto porre fine alla causa per cessazione della materia del contendere o per rinunzia reciproca delle parti, ma si possono anche effettuare trasferimenti immobiliari, e sulla base del verbale di conciliazione immobiliare si può procedere a trascrizione (-> poco gradito: i trasferimenti immobiliari necessitano di varie 14 Es. durante un contratto di locazione avente ad oggetto un bene immobile, lo stesso viene venduto a un terzo -> perché il contratto di locazione sia opponibile al terzo acquirente, lo stesso deve essere precedente rispetto all’alienazione dell’immobile, altrimenti si dovrebbe parlare di locazione di cosa altrui. 15 In materia di locazione: ex art. 1599 il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente se ha data certa anteriore all'alienazione della cosa. 36 clausole a pena di nullità che hanno a che vedere con la regolarità urbanistica, e meno con il diritto civile). La procedura di formazione dell’atto pubblico è la seguente: 1) le parti devono presentarsi davanti al pu. e dichiarare la loro volontà; 2) l’ufficiale che raccoglie tali volontà deve tradurle per iscritto in linguaggio tecnico-giuridico; 3) l’ufficiale deve leggere il testo del contratto alle parti per consentire loro di verificare che questo corrisponda alle loro volontà; 4) le patti e il notaio devono sottoscrivere l’atto; 5) il notaio appone il sigillo notarile (fornito dai consigli notarili nel momento in cui vengono assente le funzioni e che va restituito il giorno della cessazione delle funzioni). Per formare un atto pubblico, ex art. 2699 devono essere rispettate le richieste formalità -> queste sono indicate dalle singole leggi speciali (legge consolare, tu. degli enti locali), ma assume particolare rilevanza la legge notarile del 1913, che prevede una serie di formalità, tra cui la presenza dei testimoni, tuttavia, quasi sempre è prevista la possibilità per le parti di rinunziare alla presenza dei testimoni -> solo in caso di donazione la presenza dei testimoni non è rinunciabile. Caratteristica fondamentale dell'atto pubblico è quella di essere dotato di pubblica fede -> ex art. 2700 l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pu. che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. La querela di falso (artt. 211 ss. cpc.) è un particolare procedimento giudiziale diretto a dimostrare la falsità di quarto attestato dal notaio -> il giudice deve verificare se effettivamente sussiste il falso: - se la querela di falso viene rigettata, allora, il tribunale conferma che l’atto pubblico è genuino, e il cpc. prevede a carico del querelante che ha ingiustamente accusato il notaio una pena pecuniaria (ridicola perché mai aggiornata, da €2 a €20); - se la querela di falso viene accolta, si accerta la falsità, e l’atto pubblico viene integrato / cancellato / modificato, in modo da renderlo conforme alla verità accertata. In tal caso, si apre un procedimento penale a carico del notaio per il reato di falso in atto pubblico, e difficilmente potrà continuare ad esercitare la professione. Va però notato che l’atto pubblico fa fede del cd. estrinseco dell’atto (= fa fede della circostanza che le parti hanno dichiarato ciò che l’ufficiale rogante attesta), ma non fa fede del cd. contenuto intrinseco (= non fa fede della corrispondenza al vero di quanto le parti hanno dichiarato) -> es. se da un contratto di compravendita stipulato nella forma di atto pubblico emerge che il venditore ha affermato che il bene aveva delle determinate caratteristiche di cui in realtà è privo, il compratore non dovrà proporre querela di falso, perché la pubblica fede riguarda il fatto che il venditore ha reso quella dichiarazione, non che la dichiarazione sia vera; pertanto, si applicano i normali rimedi contrattuali (es. vizi della cosa). La querela di falso andrà presentata se per es. il notaio accerta la presenza delle due parti, ma in realtà davanti a lui hanno reso dichiarazioni altri soggetti. Forma e contratto telematico Un contratto può concludersi a mezzo della posta elettronica: in tal caso, il contratto si perfeziona nel momento in cui l'accettazione dell'oblato perviene all'indirizzo di posta elettronica del proponente, e nel luogo in cui ha sede l'impresa del proponente, o nel luogo in cui viene svolta l’attività del destinatario dell’accettazione, senza che rilevi fisicamente il luogo in cui si trova il computer utilizzato per accedere alla posta elettronica. Anche i contratti formali possono essere conclusi attraverso strumenti informatici, ma non vale la predetta regola -> va preso in considerazione l’art. 21 c.2-bis del d.lgs. 82/2005 (cod. dell’amministrazione digitale) il quale stabilisce che salvo il caso di sottoscrizione autenticata, le scritture private di cui all’art. 1350 c.1 nn.1-12 cc., se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale; e l’art. 20 c.1-ter che dispone che l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare di firma elettronica salvo che questi dia prova contraria. 37 Pertanto, un contratto per il quale è richiesta la forma scritta a pena di nullità (art. 1350) può essere validamente concluso in via informatica, ma devono sussistere due elementi: - il contratto deve essere redatto su un documento informatico (es. file PDF, e non la scansione di un documento); - il documento informatico deve essere sottoscritto dalle parti con firma elettronica qualificata, o con firma digitale -> queste vengono poste tramite l’utilizzo di un apposito dispositivo che incorpora un microchip (es. smartcard o chiavetta), e che attraverso una particolare procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario ne assicura l'identità e la immodificabilità del documento così firmato -> queste caratteristiche devono essere attestate da appositi enti certificatori. Questo strumento è molto rapido ed economico, ma può creare dei problemi: una parte potrebbe cercare di respingere gli effetti affermando di non essere stato lui a firmare digitalmente il contratto e che la sua firma digitale è stata abusivamente apposta da un soggetto diverso che è riuscito ad accedere al suo dispositivo. Ex art. 20 c.1-ter l’utilizzo del dispositivo di firma digitale si presume riconducibile al titolare della firma elettronica salvo che questi dia prova contraria -> ovviamente provare che è stato un altro a firmare è particolarmente difficile. Forma scritta ad substantiam, ad probationem, per la pubblicità Si parla di forma scritta ad substantiam quando la stessa è richiesta a pena di nullità, quindi per la validità del contratto -> in questi casi, la forma deve contenere le manifestazioni di volontà delle parti e tutti gli elementi essenziali del contratto (alle volte anche quelli non essenziali -> es. in tema di contratti bancari vedi sopra). NB. La nullità dell’atto pubblico per vizi propri (es. violazione della legge notarile -> omessa lettura dell’atto da parte del notaio) non comporta necessariamente la nullità del contratto contenuto nell’atto pubblico: ciò si verifica solo se il contratto richiede a pena di nullità la forma dell'atto pubblico ma la forma dell'atto pubblico può essere utilizzata anche senza essere necessaria (es. compravendita immobiliare) -> infatti, in virtù del principio di conversione dell’atto pubblico (art. 2701), il documento formato dall’ufficiale pubblico incompetente o incapace, o senza l’osservanza delle formalità prescritte, se sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata. Quando si parla di forma scritta ad probationem, la stessa è chiesta ai fini della possibilità di provarne l’esistenza in giudizio (es. contratto di assicurazione, di cessione e affitto adi azienda, di non concorrenza, di transazione se non incide su diritti immobiliari). In questi casi, se il contratto non viene stipulato per iscritto è perfettamente valido ed efficace, ma in cado di controversie giudiziali sorgono serie difficoltà ai fini della prova -> infatti, colui che intende avvalersi del contratto in sede di giudizio non potrà ricorrere alle prove alle quali si fa ricorso quando mancano documenti: prova per testimoni e presunzioni. Ciò risulta da alcune norme: - la prova per testimoni non è ammessa in forza di quanto stabilisce l'art. 2725 -> quando secondo la legge o la volontà delle parti un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova; - la prova per presunzioni è esclusa in forza di quanto disposto dall’art. 2729 c.2 -> le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni. Pertanto, conseguono serie difficoltà di prova: l’unica possibilità che ha la parte di provare il contratto è costituita o dalla confessione della controparte, o dal giuramento decisorio che sia stato deferito alla controparte. Infine, la forma può essere anche richiesta ai fini della pubblicità del contratto (e non ai fini della validità, o della prova) -> ex art. 2657 la trascrizione non si può eseguire se non in forza di una sentenza, di un atto pubblico, di una scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. Pertanto, una compravendita immobiliare è valida anche se conclusa in un qualsiasi pezzo di carta sottoscritto dalle parti (è una scrittura privata semplice); il motivo per cui tutti lo fanno dal notaio è che senza forma scritta non è possibile trascrivere il contratto, e non può essere opposto a terzi. 40 Bisogna poi comprendere se l’eventuale invalidità del contratto originario che non dipenda da ragioni di forma si ripercuota sul definitivo. Secondo la regola generale, l’invalidità del contratto originario si ripercuote sul contratto riproduttivo a meno che, nel frattempo, non siano venute meno le ragioni che avevano generato l’invalidità del contratto originario -> es. il contratto originario è annullabile per incapacità di una parte, e viene riprodotto in forma diversa; se al momento del contratto riproduttivo era cessata la situazione di incapacità che aveva causato l’invalidità dell’originario, si dovrebbe ritenere il riproduttivo valido, quindi, l’invalidità dell’originario non si ripercuote sul riproduttivo. Invece, se la ragione dell’invalidità sussiste anche al momento in cui avviene la riproduzione, anche il contratto riproduttivo è invalido. Infine, si pone un problema di difficile risoluzione quando vi sono delle differenze di contenuto tra il contratto originario e il contratto riproduttivo (= il riproduttivo non recepisce alcune clausole presenti nell’originario, o modifica alcune clausole originariamente pattuite dalle parti). In tal caso, non può darsi una risposta in termini assoluti: caso per caso, bisogna valutare se le differenze siano volute dalle parti -> se sono volute prevale il riproduttivo, che sarà al tempo stesso modificativo dell’originario; se non sono volute, si potrà applicare la disciplina dell’errore ostativo, con la conseguenza che la parte interessata potrà chiedere l’annullamento del riproduttivo. 41 EFFETTI DEL CONTRATTO Ex art. 1372 c.1 il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o cause ammesse dalla legge. Una volta concluso, il contratto dà luogo fra le parti al vincolo contrattuale, in forza del quale le parti contraenti sono soggette agli effetti che produce il singolo contratto tra loro concluso. Il fatto che il contratto abbia forza di legge fra le parti non significa solo che le parti sono obbligate a seguire quanto pattuito, ma anche che: - il contratto resiste al pentimento di una delle parti -> chiunque è libero di concludere un contratto (in ragione del principio di autonomia contrattuale) ma, una volta stipulato, la parte non può liberarsi dal vincolo se non per mutuo consenso e altre cause ammesse dalla legge; - il contratto non può essere modificato ad opera di una sola delle parti -> infatti, anche per modificare il contratto è necessario il mutuo consenso, pertanto, l’art. 1372 c.1 dovrebbe essere letto in tal modo: non può essere sciolto né modificato che per mutuo consenso o cause ammesse dalla legge. MUTUO CONSENSO Rientra nella categoria dei cd. contratti risolutori (vedi sopra), e dalla dottrina è anche detto mutuo dissenso, risoluzione consensuale del contratto, o risoluzione convenzionale del contratto. Il mutuo consenso produce lo scioglimento del contratto, e di conseguenza libera le parti dalle obbligazioni che ne derivavano. Con riferimento al mutuo consenso si sono posti diversi problemi. 1. Il primo problema riguarda la forma che deve rivestire il contratto risolutorio (vedi sopra) -> quando le parti decidono di risolvere consensualmente un contratto sottoposto alla forma scritta ad substantiam occorre valutare se anche l’accordo risolutorio debba rivestire la stessa forma. 2. Il secondo problema è quello di comprendere se il mutuo dissenso sciolga il contratto ex tunc, (= cancellandone gli effetti fin dall’inizio), o ex nunc (= salvando gli effetti precedentemente prodotti). La regola da seguire è quella della autonomia privata, nel senso che nel contratto risolutorio le parti sono libere di concordare l’una o l’altra soluzione; tuttavia, vi è un limite: se le parti dovessero decidere di sciogliere un contratto retroattivamente, restano comunque salvi i diritti acquisiti dai terzi. Se le parti non dispongono nulla a riguardo, si applica la regola contenuta nella disciplina della risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento ex art. 1458: - tra le parti la risoluzione ha effetto retroattivo, a meno che non si tratti di contratti ad esecuzione continuata o periodica, perché in tal caso non ha effetto con riguardo alle prestazioni già eseguite; - la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione. In ambito immobiliare16, il conflitto tra terzo e venditore si risolve in base ai criteri della trascrizione -> occorre vedere se il contratto risolutorio sia stato sottoposto a pubblicità nei registri immobiliari, con la precisazione che tecnicamente il contratto risolutorio di un precedente contratto trascritto non viene a sua volta trascritto, ma annotato a margine della trascrizione del contratto di compravendita risolto consensualmente -> quindi, solo se il contratto risolutorio (mutuo dissenso) è stato annotato nei registri immobiliari prima della trascrizione dell’alienazione al terzo, il contratto risolutorio è opponibile al terzo. Invece, in campo mobiliare, la soluzione prescinde dall’applicazione delle regole della trascrizione, e il conflitto va risolto in forza del principio della buona fede -> ex art. 1153, chi acquista il possesso, ricevendolo in consegna da chi appare essere in buona fede, acquista la proprietà in base alla formula possesso vale titolo (= acquisto a titolo originario). 16 Es. le parti, dopo aver concluso un contratto di compravendita immobiliare, decidono di risolvere consensualmente la vendita con effetto retroattivo, pertanto, l’effetto che si verifica è che il proprietario dell’immobile venduto torna ad essere il venditore; tuttavia, il compratore prima della risoluzione consensuale ha alienato l’immobile ad un terzo che va tutelato. 42 ALTRE CAUSE AMMESSE DALLA LEGGE: IL RECESSO Nella categoria delle “altre cause ammesse dalla legge” vi rientrano tutti i casi in cui la legge attribuisce ad una delle parti, in presenza di eventi sopravvenuti rispetto alla conclusione del contratto, il potere di chiedere al giudice la risoluzione del contratto. Sono eventi sopravvenuti: a) l’inadempimento di una delle parti; b) la sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore; c) l’eccessiva onerosità sopravvenuta. Inoltre, vi rientrano anche i casi in cui la legge o l’autonomia delle parti riconoscono a entrambe le parti, o solo ad una di esse, il potere di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale, attraverso l’atto di recesso = atto unilaterale avente natura negoziale, con il quale la parte di un contratto ne determina lo scioglimento -> in termini giuridici il recesso viene chiamato in modi diversi in relazione ai diversi tipi contrattuali (es. dimissioni del lavoratore e licenziamento del datore; rinunzia del mandatario e revoca del mandante). La fonte del diritto di recedere dal contratto può essere la legge (si ha cd. recesso legale) o un accordo tra le parti (si ha cd. recesso convenzionale) -> vi sono delle caratteristiche comuni: 1. il recesso può essere attribuito: • a entrambe le parti del contratto; • ad una sola delle parti del contratto; 2. ha natura di atto recettizio: va indirizzato alla controparte e produce effetto nel momento in cui egli ne viene a conoscenza; 3. per il recesso è richiesta la stessa forma richiesta per il contratto da cui si recede (es. se si recede da un contratto per il quale la legge richiede la forma scritta ad substantiam, anche per il recesso è necessaria la medesima forma a pena di nullità). Talvolta, la legge, o l’accordo tra le parti, prevedono una forma vincolata anche se il recesso si riferisce ad un contratto a forma libera (contratti non formali); e ciò avviene quando si impone che il recesso vada comunicato alla controparte con lettera raccomandata -> es. nella locazione di immobili ad uso commerciale (contratto a forma libera, anche se di fatto nella pratica viene redatto in forma scritta), l’art. 27 l. 392/1978 impone al conduttore che voglia recedere anticipatamente dal contratto di comunicarlo al locatore con almeno 6 mesi di preavviso e mediante lettera raccomandata (= il recesso deve risultare da un atto scritto perché si producano i suoi effetti); 4. si distingue, in generale, tra: a. recesso puro e semplice o ad nutum: che può essere esercitato dalla parte a cui è riconosciuto senza necessità di alcuna giustificazione -> es. nella disciplina del contratto di somministrazione è riconosciuto ad entrambe le parti; nel contratto di lavoro subordinato è riconosciuto soltanto al lavoratore (mentre al lavoratore è riconosciuto il recesso causale); nel contratto di appalto soltanto al committente; b. recesso causale: che viene concesso alla parte soltanto in presenza di un determinato evento, in mancanza del quale il recesso è inefficace, e quindi inidoneo a produrre come effetto lo scioglimento del contratto; oltre alla giustificazione deve sussistere il presupposto individuato dalla legge, talvolta in modo assai generico es. “per giusta causa” o “per giustificato motivo”, talvolta in modo preciso -> es. nel contratto di locazione di immobili urbani, la legge riconosce il diritto di recesso per gravi motivi soltanto al conduttore. 5. è possibile richiedere un termine di preavviso -> viene indicato un lasso di tempo che deve trascorrere prima che si produca lo scioglimento del contratto); 6. il recesso può prevedere un termine iniziale o finale per il suo esercizio -> es. in un contratto si può prevedere che il recesso riconosciuto ad una delle parti possa essere esercitato solo trascorso un certo termine dalla conclusione del contratto; oppure, può essere stabilito che il recesso debba essere esercitato entro un certo termine. 45 pubblico economico: lo sviluppo economico dipenda da un proficuo impiego di risorse, e tali vincoli rappresentano un ostacolo a tal fine. Pqm. quando la legge non prevede un termine massimo di durata del contratto (es. locazione non può durare più di 30 anni), riconosce alle parti il diritto di recedere al contratto -> da ciò la giurisprudenza ha ricavato l’esistenza di un principio generale applicabile anche al di fuori delle previsioni di legge: le parti hanno facoltà di recedere da qualsiasi contratto di durata a tempo indeterminato, anche se atipico, dando un congruo preavviso alla controparte. 2. Recessi di autotutela In alcuni casi, la legge attribuisce ad una delle parti la facoltà di recedere dal contratto allo scopo di reagire contro eventi sopravvenuti suscettibili di minacciare i suoi interessi contrattuali -> la parte si tutela, perché a seguito del recesso (iniziativa unilaterale) la parte si libera automaticamente. I recessi di autotutela non sono mai ad nutum, ma sono esercitabili soltanto in presenza di determinati presupposti giustificativi (≠ recessi di liberazione) -> tipico presupposto giustificativo è l’inadempimento di una delle parti, tuttavia, possono essere riconosciuti dei recessi di autotutela anche in presenza di presupposti diversi. Presupposto giustificativo può essere qualsiasi fatto sopravvenuto che integri gravi motivi, giustificati motivi, o giusta causa per recedere dal contratto -> si tratta di formule ampie che comprendono non solo inadempimenti della controparte, ma anche fatti oggettivi non imputabili ad alcuna delle parti (es. in caso di locazioni di immobili adibiti a uso diverso da quello abitativo, ex art. 27 ultimo comma l. 392/1978, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, se ricorrono gravi motivi, il conduttore può recedere in qualsiasi momento dando preavviso di almeno 6 mesi da comunicarsi con lettera raccomandata. Per gravi motivi si intendono tutti i fatti estranei alla volontà del conduttore che siano imprevedibili e sopravvenuti rispetto al momento di conclusione del contratto, e tali da rendere al conduttore estremamente gravosa la prosecuzione del contratto (es. se l’imprenditore è in crisi di liquidità, e ciò rende sovradimensionata la sede che ha preso in locazione, può recedere). 3. Recessi di pentimento Riconosciuti dalla legge ad una delle parti in assenza di particolari presupposti (sono recessi ad nutum) in una logica di protezioni di una delle due parti per consentirle di cambiare idea rispetto al contratto già concluso. Vi sono alcuni esempi nell’ambito della disciplina dei contratti tipici del cc.: - nella disciplina del contratto di appalto è riconosciuto al committente il diritto di recedere anticipatamente in ragione del pentimento; - nella disciplina del contratto di mandato è riconosciuto a entrambe le parti il diritto di recedere (= il mandante può revocare e il mandatario rinunciare); - nella disciplina del contratto d’opera (manuale e intellettuale) è riconosciuto al cliente il diritto di recedere dal contratto revocando l’incarico. Inoltre, vi sono degli esempi di recesso di pentimento anche nell’ambito della legislazione speciale di protezione dei consumatori -> i consumatori che abbiano concluso un contratto con un professionista, o fuori dei locali commerciali (-> contratti conclusi con la tecnica del porta a porta) o a distanza (-> conclusi tramite la rete internet, o per telefono, o con una tecnica di comunicazione a distanza) hanno diritto di recedere entro 14 gg; questa disciplina è inderogabile in senso sfavorevole al consumatore, pertanto, è irrinunciabile, e qualsiasi clausola volta ad escluderlo è nulla. ≠ NB. Le previsioni del cc. riconoscono il diritto di recesso ad nutum ma obbligano chi recede ad indennizzare o risarcire la controparte, pertanto, chi recede è esposto a conseguenze economiche sfavorevoli (es. se il committente recede anticipatamente dal contratto di appalto, deve rimborsare all’altra parte non solo le spese sostenute dall’appaltatore, ma anche pagare le prestazioni già eseguite e il mancato guadagno = conseguenze simili all’inadempimento); invece, per i recessi di pentimento previsti dal cod. del consumo il consumatore non è tenuto a pagare nulla a fronte del suo recesso, e al massimo deve sostenere le spese connesse alla restituzione della merce acquistata e consegnata in casa. 46 EFFETTI DEL CONTRATTO NEI CONFRONTI DEI TERZI L’art. 1372 c.2 codifica il principio di relatività degli effetti contrattuali, secondo il quale il contratto non produce effetti nei confronti dei terzi, se non nei casi previsti dalla legge. NB. Il contratto non può produrre nei confronti di terzi effetti giuridici diretti, che sono appunto rivolti alle parti, ma il principio di relatività non implica che nei confronti dei terzi non possano prodursi per effetto del contratto degli effetti riflessi -> è infatti possibile che un contratto abbia conseguenze – positive o negative – rilevanti nei confronti di terzi estranei a quel contratto (es. se T. prende in locazione da C. una villa con piscina, il contratto vincola solo loro due, ma del contratto se ne potranno avvantaggiare anche i conviventi di T; se un imprenditore assume un direttore commerciale molto bravo che gli consente di accaparrarsi molta clientela, il contratto di riflesso produce delle conseguenze negative nei confronti dei terzi, ossia dei concorrenti dell’imprenditore). La conseguenza diretta del principio di relatività degli effetti contrattuali è che il contratto non può mai imporre obbligazioni a terzi, e che queste possono essere previste soltanto a carico delle parti che hanno concluso il contratto. Qualora le parti pattuiscano che dal loro contratto derivino obbl. a carico di un terzo, l’effetto non può verificarsi, e ciò è confermato dalla disciplina della promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, prevista ex art. 1381 colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso -> es. T. vende a C. la propria quota di comproprietà di un bene immobile, e nel contratto di compravendita della quota indivisa promette che anche l’altro comproprietario provvederà a vedere la sua quota, oppure T. vende a C. un terreno non edificabile, promettendogli che il comune provvederà a renderlo edificabile; in questi casi, sorge un’obbl. soltanto a carico della parte che ha fatto la promessa, infatti, ex art. 1381 il terzo rimane libero di compiere il fatto/assumere l’obbl., ma se si rifiuta, il promittente dovrà un indennizzo all’altro contraente. Contratto a favore di terzi (artt. 1411 ss.) La regola della relatività (art. 1372 c.2) fa salvi i casi previsti dalla legge, e a questo riguardo viene in rilievo la figura del contratto a favore di terzi, che si fonda sulla considerazione che se un contratto è volto a realizzare un effetto favorevole per un terzo, sarebbe eccessivo precludere questa possibilità allo scopo di tutelare la sua libertà: in questi casi, non lo si tutelerebbe, ma gli si pregiudicherebbe la possibilità di acquisire un diritto. Pertanto, con la figura del contratto a favore di terzi la legge riconosce eccezionalmente l’efficacia di un contratto anche a favore dei terzi, purché il contratto produca effetti favorevoli per il terzo, e sempre fatta salva la facoltà del terzo di rifiutare l’attribuzione in suo favore. Si ha contratto a favore di terzi quando una parte del contratto (cd. stipulante) designa un terzo (cd. beneficiario), quale avente diritto a ricevere la prestazione dovuta dalla controparte (cd. promittente) -> contratto concluso da due soggetti (stipulante e promittente), nel quale di prevede che la prestazione andrà a beneficio di un terzo che non diventerà mai parte del contratto. Per effetto di questa figura, al terzo viene attribuito dal contratto il diritto di pretendere l’esecuzione della prestazione promessa dall’obbligato. Esempi di contratto a favore di terzi previste dal cc.: - contratto di assicurazione sulla vita a favore del terzo (art. 1920) -> attribuisce al terzo beneficiario (in genere familiari dello stipulante) il diritto di pretendere la somma assicurata se in vigenza del contratto assicurato si verifica la morte dello stipulante, mentre il promittente è la compagnia assicurativa che deve pagare la somma ai beneficiari; - contratto di trasporto di cose (merci) che debbono essere consegnate ad un destinatario diverso dal mittente: stipulato tra mittente e vettore, ma la merce deve essere consegnata a un terzo nei cui confronti nascono dei diritti dal contratto; - contratto di accollo esterno -> il terzo è il creditore. Al di là di questi esempi legali, il contratto a favore di terzi è una figura generale, nel senso che la legge non limita l’ammissibilità di contratti a favore di terzi nelle sole ipotesi tipiche: la pattuizione in favore di un terzo è da ritenersi ammissibile (valida ed efficace) ogni volta che vi sia un interesse dello stipulante giuridicamente apprezzabile, anche solo morale. 47 In ogni caso, la possibilità di stipulare un contratto in favore di terzo alla sola condizione che lo stipulante ne abbia interesse, non assoggetta il terzo all’arbitrio altrui, perché l’effetto nei confronti del terzo si produce solo se si tratta di un effetto esclusivamente favorevole, e sempre fatta salva la facoltà di rifiuto da parte del terzo. La figura del contratto a favore di terzo è discussa -> l’idea generalmente seguita è che la sua applicazione/ammissibilità viene riconosciuta qualora si producano esclusivamente effetti favorevoli cd. semplici, e ciò significa che il contratto non deve attribuire al terzo diritti che comportino per il terzo l’imposizione di obblighi o oneri. Nello specifico, ci si è chiesti se fosse possibile stipulare un contratto a favore di terzi con effetti reali -> la dottrina maggioritaria lo ritiene possibile, ma al prof. appare preferibile un’impostazione meno radicale: partendo dall’idea per la quale sono ammissibili i contratti che attribuiscono al terzo un diritto ma senza oneri e obblighi, va esclusa la possibilità che al terzo sia attribuita la proprietà o l’usufrutto di beni immobili, perché avere la proprietà o l’usufrutto di un bene immobile comporta degli oneri connessi alla titolarità del diritto reale (obblighi di custodia, pagamento delle imposte). Pqm. si giunge alla conclusione per la quale si può ammettere che il contratto attribuisca un diritto reale solo quando l’attribuzione non comporti per lui oneri o obblighi di alcun tipo -> la giurisprudenza ritiene che una servitù (dir. reale di godimento) possa essere pattuita in favore di un terzo. Disciplina del contratto a favore di terzo Ex art. 1411 è valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse. Il c.2 dispone che salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione -> pertanto, lo acquista immediatamente, senza che occorra alcuna accettazione; ma è fatto salvo il patto contrario, infatti, stipulante e promittente possono pattuire che l’acquisto sia subordinato all’accettazione del terzo. In mancanza di patto contrario, il terzo indicato come beneficiario ha tre alternative: 1. non dichiarare nulla: in tal caso, acquista il diritto di pretendere dal promittente l’esecuzione della prestazione, ma ex art. 1411 c.2, lo stipulante può revocare o modificare la stipulazione in favore del terzo (es. nominando un altro terzo come beneficiario) -> revoca e modifica sono negozi unilaterali recettizi, pertanto, devono essere comunicate al terzo, e producono effetti quando giungono a sua conoscenza, in quanto sono dirette a sottrargli o a modificargli una posizione già attribuita. Ex c.3 in caso di revoca della stipulazione (o di rifiuto del terzo di profittarne), il diritto del terzo viene cancellato con effetto retroattivo e la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti (es. lo stipulante designa un terzo diverso dall’originario) o dalla natura del contratto (= se la prestazione non può che essere eseguita in favore del terzo, la designazione viene revocata, e la prestazione non può essere eseguita in favore dello stipulante perché non vi ha interesse, il contratto si scioglie e non produrrà effetti nemmeno tra le parti originarie); - rifiutare la stipulazione in suo favore: il rifiuto produce gli stessi effetti giuridici della revoca dello stipulante (vedi punto precedente); - dichiarare di voler approfittare della stipulazione in suo favore: in tal caso, il diritto rimane acquisito dal terzo in modo definitivo, nel senso che la legge preclude la possibilità di revoca o di modifica da parte dello stipulante. In ogni caso, il terzo non diventa mai parte del contratto: egli ha diritto di pretendere l’esecuzione della prestazione dal promittente, ma non essendo parte, i rimedi contrattuali (es. risoluzione per inadempimento) non possono essere fatti valere da lui. ≠ Contratto con effetti protettivi per i terzi Si tratta di una figura elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che ricorre quando la prestazione contrattuale che è pattuita in favore di una delle parti è per sua natura destinata a toccare la sfera di terzi. I terzi, in questo caso, sono del tutto estranei rispetto al contratto, ma sono di fatto destinatari delle utilità o dei rischi connessi all’esecuzione della prestazione. Il caso concreto che ha dato luogo a questa elaborazione è quello che riguarda la nascita di un bambino con gravi lesioni cerebrali a causa dell’inadeguata assistenza medica apprestata alla madre partoriente (quindi in conseguenza ad un errore medico).
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