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Appunti diritto civile - Parte obbligazioni, Appunti di Diritto Civile

Appunti di diritto civile inerenti alla parte del corso sulle obbligazioni.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 16/03/2022

LisaCicogna
LisaCicogna 🇮🇹

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Scarica Appunti diritto civile - Parte obbligazioni e più Appunti in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! 1 LE OBBLIGAZIONI Le regole che disciplinano le obbligazioni in generale sono contenute nel libro IV cc., agli artt. dal 1173 al 1320. Sul piano storico, il nostro cc., nell’aver dettato le norme sulle obbligazioni in generale, si è distaccato dalla tradizione, e ha seguito il modello del cc. tedesco, il quale contiene norme sulle obbligazioni in generale, ossia norme destinate ad essere applicate indifferentemente ad ogni obbligazione, quale che ne sia la fonte (contratto, fatto illecito, altri atti o fatti). Il Codice previgente (1865), ispirato al Codice francese, non aveva norme sulle obbl. in generale: le obbl. erano considerate separatamente a seconda della loro fonte. La scelta di dettare norme generali, valevoli per tutte le obbl., evitando duplicazioni di norme, è scaturita da un confronto tra le norme destinate a regolare le obbl. da contratto e quelle destinate a regolare le obbl. derivanti da fonti diverse dal contratto -> infatti, all’esito di tale confronto, si è notato come molte di queste norme fossero identiche, quindi, il legislatore del cc. si è persuaso di poter formulare tali norme unitariamente (es. le norme che riguardano i soggetti dell’obbligazione, l’adempimento dell’obbligazione etc. valgono per qualsiasi obbligazione, a prescindere dalla fonte). Vanno evitati alcuni errori: - Quello di pensare che il concetto di obbl. in generale sia una sorta di astrazione giuridica e che non abbia particolare riscontro nella realtà -> quando si parla di obbl. si parla essenzialmente di debiti e crediti; nel mondo giuridico ed economico, debiti e crediti, sono pensabili indipendentemente dalla fonte dalla derivano, e costituiscono elementi attivi o passivi di un patrimonio (per le società commerciali costituiscono poste di bilancio attive o passive), che sono suscettibili di costituire indici di ricchezza, e oggetto di negoziazione. - Quello di ragionare per cd. compartimenti stagni, cioè considerare le obbl. come qualcosa di separato e distinto dagli altri settori del diritto civile. Per es. non bisogna mai considerare l’obbl. come un qualcosa di separato e indipendente rispetto al contratto da cui deriva, questo perché l’obbl. è il momento esecutivo del contratto, è l’elemento attraverso il quale il programma contrattuale può realizzarsi. Quando viene adempiuta un’obbl. che deriva da contratto, adempiere all’obbl. significa adempiere al contratto; all’opposto, non adempiere, o adempiere non esattamente, significa non eseguire esattamente il contratto, con tutte le conseguenze che ne derivano -> in caso di inadempimento di un obbl. contrattuale, non si verificano solo le conseguenze previste dall’art. 1218, norma dettata nell’ambito della disciplina delle obbligazioni, che dispone che in caso di inadempimento il debitore deve risarcire il danno; infatti, va volto lo sguardo anche verso le norme che trattano il tema dell’inadempimento nell’ambito della disciplina generale del contratto, e a tal proposito la conseguenza è la risoluzione del contratto, quindi lo scioglimento del contratto stesso e la conseguente liberazione della controparte dall’ dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Non ci si può limitare a considerare le materie in modo separato. 2 LE FONTI DELLE OBBLIGAZIONI Sono indicate all’art. 1173: le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto inidoneo a produrle in conformità all’ordinamento giuridico -> esistono tre categorie di fonti delle obbligazioni: due di queste sono puntuali e specifiche (contratto e fatto illecito), mentre la terza è invece generica e indefinita (= ogni altro atto o fatto). Contratto È la prima fonte di obbligazioni, quella più diffusa. Ex art. 1321 il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale -> essendo un accordo, il contratto si presenta come una fonte volontaria di obbligazioni. Il contratto, tuttavia, nel nostro sistema, non è solo una fonte di obbligazione, infatti, può, anche svolgere un’altra funzione che risulta dall’art. 922: la proprietà si acquista (oltre che per i titoli originari) anche per contratto -> quindi, il contratto è il principale modo di acquisto della proprietà a titolo derivato. Pertanto, il contratto ha una doppia funzione, e può essere: 1. modo di acquisto della proprietà -> principale strumento giuridico per la circolazione dei beni e dei diritti, e quindi della ricchezza; 2. fonte di obbligazione -> fonte dei diritti di credito alle altrui prestazioni. La prima funzione (consentire la circolazione giuridica) è assolta dai cd. contratti a effetti reali o a efficacia traslativa (vendita, permuta, donazione, in alcuni casi transazione etc.), la cui peculiarità è assicurare la circolazione giuridica di beni o diritti in maniera diretta (= la proprietà del bene passa dall’alienante all’acquirente per effetto diretto e immediato del consenso legittimamente manifestato dalle parti). Si tratta del cd. principio consensualistico dettato dall’art. 1376 -> il trasferimento della proprietà non è oggetto di obbligazione dell’alienante, ma è un effetto immediato e diretto del consenso (es. con il contratto di vendita, l’acquisto è un effetto diretto e immediato del contratto: l’alienante non deve far niente per procurare l’acquisto in capo all’acquirente). Il principio consensualistico vale per lo più per tutto il territorio nazionale, ma con l’eccezione per i contratti traslativi di beni immobili delle cd. vecchie province annesse all’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale (Gorizia, Trieste, Trento, Bolzano, alcuni Comuni di Udine), nelle quali vige il cd. sistema tavolare. In queste zone, vige l’efficacia costitutiva della pubblicità: in campo immobiliare il principio consensualistico non trova applicazione, quindi, la proprietà di un bene immobile ivi collocato non passa all’acquirente come effetto diretto e immediato del contratto, ma passa solo nel momento successivo in cui viene eseguita la formalità pubblicitaria chiamata intavolazione. La seconda funzione assolta dal contratto è quella di essere fonte di obbligazione, quindi fonte di debiti e crediti di ciascuna delle parti del contratto; questa funzione è assolta dai cd. contratti a effetti obbligatori o ad efficacia obbligatoria. In caso di contratti a effetti solo obbligatori, a differenza di ciò che accade in caso di contratti ad effetti reali, con la loro conclusione non si realizza immediatamente e direttamente il risultato voluto dalle parti, ma derivano a carico di ciascuna delle parti le obbligazioni dirette alla attuazione del risultato perseguito -> es. ex art. 1655 il contratto di appalto è il contratto con il quale un appaltatore si obbliga verso un corrispettivo in danaro a realizzare un’opera; in tal caso, l’effetto non può essere diretto e immediato, perché al momento della conclusione del contratto non si può verificare subito la realizzazione dell’opera, pertanto, dal contratto deriva l’obbligazione per l’appaltatore di realizzarla: il contratto si realizzerà quando l’appaltatore avrà eseguito l’obbligazione NB Vi sono molti contratti ad effetti solo obbligatori, che sono soltanto fonte di obbligazioni (es. locazione, appalto, trasporto); invece, i contratti a effetti reali, oltre a produrre effetti reali, producono anche effetti obbligatori (= anche dai contratti a effetti reali derivano obbligazioni). Pertanto, i contratti a efficacia reale sono al tempo stesso traslativi e fonte di obbligazioni -> es. la vendita opera anzitutto come modo di acquisito della proprietà della cosa venduta, che si realizza al momento stesso della conclusione del contratto a favore del compratore (principio consensualistico); tuttavia, opera anche come fonte di obbligazione, sia per il venditore (= obbl. di consegnare la cosa 5 i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. L’ordine di idee per cui si potrebbe superare il principio di tipicità è stato seguito da parte della giurisprudenza, e in particolare anche dalla Corte di cassazione (sent. 10 maggio 2014 n. 10633). La fattispecie era la seguente: Tizio, allo scopo di non far risultare agli occhi dei terzi la propria reale consistenza patrimoniale, acquista diversi beni immobili, facendo però in modo che questi siano intestati alla moglie; in particolare, il marito fornisce alla moglie il danaro con il quale questa paga il prezzo in veste di compratore, e acquista gli immobili ottenendo la loro intestazione. Nel caso specifico la moglie aveva firmato una dichiarazione unilaterale, nella quale c’era scritto che: 1) riconosceva che gli immobili indicati erano stati a lei intestati fiduciariamente, al solo scopo di mettere al sicuro il marito dai suoi rischi imprenditoriali; 2) riconosceva che gli immobili erano stati acquistati e pagati con il danaro del marito; 3) si impegna a ritrasferire la proprietà degli immobili al marito su semplice richiesta di quest’ultimo, in ogni momento. Tuttavia, al momento della richiesta, la moglie si rifiuta di eseguire la promessa (che ha per oggetto l’obbl. di concludere un contratto che trasferisca al marito la proprietà), e sorge un contenzioso giudiziale: il marito conviene il giudizio la moglie chiedendo, tra le cose, la pronuncia di una sentenza costitutiva che, ex art. 2932, gli trasferisca la proprietà degli immobili. Applicando il principio di tipicità ex art. 1987 sarebbe la moglie ad aver ragione; tuttavia, la Cassazione ha dato ragione al marito, affermando che l’operazione intercorsa tra marito e moglie è inquadrabile nella figura del negozio fiduciario -> in particolare, l’accordo fiduciario prevedeva che il marito fornisse alla moglie il danaro necessario, che gli immobili fossero intestati alla moglie, e che, su richiesta, la moglie dovesse trasferire gli immobili al marito. Secondo la Cassazione, la promessa della moglie, dal momento in cui era diretta a dare attuazione all’accordo fiduciario, deve ritenersi munita di causa lecita e meritevole di tutela (= la fiducia), vincolante, pur essendo atipica -> dal momento in cui la promessa è rimasta inadempiuta, il marito ha avuto diritto ad ottenere la sentenza costitutiva. La giurisprudenza della Cassazione ha aderito a questa corrente di pensiero, volta ad attenuare il campo di applicazione del principio di tipicità delle promesse unilaterali ex art. 1987; tuttavia, questo non può dirsi essere un orientamento consolidato, dato che altra giurisprudenza continua ad applicare il principio della tipicità -> probabilmente, su questa questione saranno investite le SU. In attesa, parte della giurisprudenza di merito ha seguito tale orientamento -> il Tribunale di Torino, nel settembre 2020, in una fattispecie pressoché identica rispetto a quella descritta ha adottato la stessa soluzione adottata dalla Cassazione nel 2014. D’altra parte, vi è ancora parte della giurisprudenza che applica in modo rigoroso il principio di tipicità delle promesse unilaterali -> vi è stato un caso in cui un partito politico ha convenuto in giudizio il parlamentare iscritto, pretendendo la quota di stipendio che questo si era obbligato a versare al partito; la corte d’appello di Napoli ha ritenuto tale promessa non vincolante, perché non prevista dalla legge (art. 1987), e la domanda del partito è stata rigettata. Sono promesse unilaterali tipiche (1) la promessa di pagamento e ricognizione del debito (art. 1988), (2) la promessa al pubblico (artt. 1989-1991), (3) e i titoli di credito (artt. 1992-2027). (1) Promessa di pagamento e ricognizione di debito, art. 1988 Mediante la promessa di pagamento un soggetto manifesta la propria intenzione di eseguire una propria prestazione nei confronti di un soggetto determinato -> es. T promette a C. di pagargli una somma di danaro entro il giorno X; invece, mediante la ricognizione di debito egli riconosce di essere debitore di un altro soggetto -> es. T. riconosce di dovere a C. una somma di danaro. Entrambe le figure sono dichiarazioni unilaterali; recettizie (= dirette ad un soggetto determinato, indicato nella dichiarazione come creditore); e hanno contenuto sfavorevole al dichiarante e favorevole al destinatario della dichiarazione. 6 Natura giuridica Da sempre si discute sulla natura giuridica di queste due figure: alcuni, soprattutto in dottrina, dal momento in cui tali figure si caratterizzano per avere un contenuto sfavorevole al dichiarante e favorevole al destinatario, le qualificano come dichiarazioni di scienza che presentano aspetti similari per qualche aspetto alla confessione; la giurisprudenza, invece, attribuisce loro natura negoziale (= sono manifestazioni di volontà). Effetti Ex art. 1988 la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale. L’esistenza di questo si presume fino a prova contraria -> in forza ti tale disposizione, in dottrina e in giurisprudenza, si ritiene che, nonostante tali istituti siano collocati tra le promesse unilaterali, non sono fonti di obbligazione (= non sono idonee a far sorgere una obbligazione avente ad oggetto la prestazione promessa oppure il debito riconosciuto): questi istituti non producono l’effetto sostanziale di far sorgere un debito nuovo, ma presuppongono la preesistenza di un debito. ≠ Le promesse unilaterali vincolanti, invece, sono quelle idonee a far sorgere un’obbligazione, e sono quelle con cui il promittente intende assumere un debito che non preesisteva alla promessa (= in tal caso, l’obbligazione nasce per effetto della promessa unilaterale vincolante). Gli effetti che vengono prodotti sono esclusivamente di natura processuale: entrambe le figure dispensano colui in favore del quale sono state fatte (= destinatario dichiarazione) dall’onere di provare il rapporto fondamentale, il quale si presume fino a prova contraria. Per capire il senso della norma dell’art. 1988 occorre tener presente la regola generale in materia di onere della prova: ex art. 2697, chi agisce in giudizio ha l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria domanda. Se un soggetto agisce in giudizio affermandosi creditore per ottenere la condanna della controparte ad eseguire la prestazione dovuta, egli dovrà provare i fatti costitutivi della propria pretesa (= dovrà provare di essere creditore) -> es. dovrà provare in giudizio il titolo in forza del quale egli è creditore (contratto, fatto illecito, etc.). Invece, l’art. 1988 dispone che, il destinatario della promessa di pagamento o della ricognizione di debito (= colui che agisce in giudizio in veste di creditore) è esonerato dall’onere di provare il rapporto fondamentale: colui che ha in mano una promessa di pagamento o una ricognizione di debito può avvalersi della presunzione di esistenza del rapporto fondamentale prevista dalla norma stessa. Ex art. 1988, l’esistenza del rapporto fondamentale su cui poggiano la promessa o la ricognizione di debito si presume esistente fino a prova contraria, il che significa che l’autore della dichiarazione (= chi ha promesso o riconosciuto il debito) può fornire la prova contraria, ossia la prova che il rapporto fondamentale non è mai esistito o si è estinto -> es. T. promette di dover pagare una somma, ma lo fa sulla base di un contratto che è nullo, e che quindi non produceva effetti e obbligazioni (= mancanza del rapporto fondamentale). Per descrivere questa disciplina si dice che questi istituti producono una inversione legale dell’onere della prova: esonerano il creditore dall’onere che avrebbe, secondo la regola generale ex art. 2697, di provare il rapporto fondamentale. Sempre sul piano processuale, colui che si voglia avvalere in giudizio della promessa di pagamento o della ricognizione di debito per ottenere il pagamento della somma promessa o riconosciuta dal debitore, ha a disposizione il decreto ingiuntivo (strumento rapido ed efficace): l’art. 634 cpc. considera prove scritte idonee per ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo tanto la promessa di pagamento quanto la ricognizione di debito. Forme Entrambe queste figure possono presentarsi in due forme diverse: - forma astratta o pura o non titolata: ha per oggetto esclusivamente l’asseverazione del debito, ma senza fare alcun riferimento né alla causa petendi, né al suo fatto genetico -> es. T. riconosce di dovere a C. €1.000 senza dire perché e in forza di quale titolo; - forma titolata: indica la ragione della promessa o del riconoscimento-> es. T. riconosce di dovere a C. €1.000 a titolo di risarcimento del danno per l’incidente che gli ha provocato in data X. 7 Questa differenza incide sugli oneri probatori a carico dell’autore della promessa: - in caso di promessa o ricognizione di debito titolata, l’onere probatorio a carico del debitore è molto più leggero, perché questi, per non essere condannato, dovrà provare che lo specifico rapporto indicato nella promessa o nella ricognizione non esiste o si è estinto -> es. emerge che l’incidente è stato causato da una persona diversa; - in caso di promessa o ricognizione di debito non titolata, l’onere probatorio diventa quasi impossibile, perché per liberarsi il debitore dovrebbe dimostrare che non esiste in assoluto nessun debito, a nessun titolo, nei confronti del creditore che ha in mano la promessa o la ricognizione. Nelle applicazioni pratiche, la giurisprudenza si era resa conto della sostanziale impossibilità di fornire la prova contraria nel caso di dichiarazione astratta; pertanto, al fine di alleggerire l’onere probatorio a carico del promittente o di colui che ha riconosciuto il debito, la giurisprudenza ha affermato che il destinatario della dichiarazione, se vuole avvalersene, deve almeno allegare (= affermare), pur senza fornirne la prova in giudizio, la ragione del debito (= il creditore che può vantare la promessa o la ricognizione deve dire a che titolo la prestazione era stata promessa o il debito era stato riconosciuto) -> es. T. riconosce di dovere a C. €1.000; quando C. vorrà agire in giudizio e ottenere la condanna al pagamento, dovrà affermare il motivo per cui è in possesso della ricognizione e per cui il debito gli è stato riconosciuto (per es. dovrà affermare di aver prestato la somma a T. e che questi deve restituirgliela). In tal modo, l’autore della dichiarazione, se vorrà opporsi alla domanda, non sarà chiamato a provare l‘inesistenza di qualsiasi suo debito nei confronti del creditore, ma solamente l’attuale inesistenza del debito indicato. Pertanto, nelle applicazioni pratiche, queste due figure (dichiarazioni astratte e dichiarazioni titolate), in astratto molto diverse tra di loro, sono sottoposte sostanzialmente alla medesima disciplina in ragione del correttivo introdotto dalla giurisprudenza della Cassazione -> il debitore convenuto in giudizio dovrà dimostrare che non esiste il debito che è indicato nella promessa o nella ricognizione di debito, in ipotesi in cui siano titolate, oppure che è indicato dal creditore che agisce in giudizio, nel caso in cui la promessa sia astratta. (2) Promessa al pubblico pagamento e ricognizione di debito, artt. 1989 ss. Ex art. 1989 colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica -> si tratta di un negozio unilaterale mediante il quale un soggetto si impegna pubblicamente ad eseguire una certa prestazione in favore, a seconda dei casi, di chi si trovi in una determinata situazione, o di chi compia una determinata azione. La promessa è vincolante per il promittente (= è fonte di obbligazione) non appena venga resa pubblica attraverso i mezzi di pubblicità (es. internet, giornali, etc.): la promessa è una fonte diretta di obbligazione a carico dell’autore della stessa (soggetto noto) verso un beneficiario che al momento della promessa non è determinato ma soltanto determinabile (non si sa chi si troverà nella situazione oggetto della premessa o chi compirà l’azione oggetto della promessa) -> es. un soggetto promette una somma di denaro a chi ritrova un oggetto smarrito. Promessa al pubblico ≠ offerta al pubblico La promessa al pubblico non va confusa con l’offerta al pubblico, contemplata all’art. 1336 -> proposta contrattuale rivolta verso un destinatario determinato, che, come tale, può dar luogo alla conclusione di un contratto soltanto al seguito di una accettazione (= per vincolare qualcuno è necessaria l’accettazione); finché non si ha l’accettazione, l’offerta al pubblico può essere revocata. QUINDI: - la promessa al pubblico è un negozio unilaterale che costituisce fonte immediata e diretta di obbligazioni a carico del promittente, ed è vincolante indipendentemente da qualsiasi accettazione (che non è richiesta). Questa può essere revocata liberamente o ad nutum, purché, ex art. 1990, la revoca sia resa pubblica nella stessa forma con cui è stata resa pubblica la promessa, oppure con forma equivalente; inoltre, la revoca non può avere effetto se la situazione prevista nella promessa si è già verificata o l’azione è già stata compiuta (= la cd. revoca tardiva è inefficace); 10 LA RIPETIZIONE DELL’INDEBITO Disciplinata dagli artt. 2033-2040, è un fatto giuridico. Si verifica un indebito quando un soggetto esegue una prestazione di qualsiasi tipo (es. pagamento somma di danaro, consegna di una cosa determinata, prestazione di fare, etc.), senza che a monte vi sia l’obbligazione di eseguire quella prestazione. Quindi vi è l’esecuzione di una prestazione non dovuta che fa sorgere in capo a colui che l’ha ricevuta (= cd. accipiens) l’obbligazione di restituirla a colui che l’ha eseguita (= cd. solvens) senza esservi giuridicamente obbligato. Forme Esistono due diverse figure di indebito: - indebito oggettivo (più diffusa), art. 2033: si ha quando viene eseguito un pagamento, o più in generale una prestazione, non giuridicamente dovuta. Tale disciplina si applica molto frequentemente: • quando manca sin dall’origine la causa del pagamento -> es. se un contratto nullo contempla l’esecuzione di alcune prestazioni, essendo il contratto nullo esse non sono dovute, pertanto, se eseguite, devono essere restituite da chi le ha ricevute; • quando in origine esisteva la causa del pagamento, ma successivamente è venuta meno -> es. viene effettuato un pagamento in esecuzione di un contratto che poi viene annullato per errore (o risolto per inadempimento, o sciolto per recesso unilaterale, etc.); • quando il solvens ha un debito, ma non nei confronti dell’accipiens, bensì di un terzo -> es. T. deve 100 a C., ma, per errore, paga a S. Questa figura è da ricondurre all’indebito oggettivo perché nulla era dovuto al soggetto che riceve la prestazione (- > figura che va coordinata con la fattispecie del pagamento al creditore apparente ex art. 1189); - indebito soggettivo (raramente riscontrabile nella pratica), art. 2036: si ha quando un soggetto che non è debitore, credendosi erroneamente tale, paga al creditore un debito altrui (cioè ciò che al creditore era dovuto da un terzo) -> es. nelle fattispecie di lavoro subordinato, quando ci sono delle interposizioni fra datori di lavori, e uno di questi paga all’INPS i contributi che in realtà erano dovuti da un altro dei datori. Invece, se un soggetto paga il debito altrui consapevolmente (= non a causa di un errore) si ricade nel campo di applicazione dell’adempimento del terzo ex art. 1180. Affinché possa applicarsi l’indebito soggettivo, occorre non solo che il debitore paghi credendosi erroneamente tale, ma anche che l’errore sia scusabile (= errore che poteva essere evitato con la normale diligenza) -> in presenza di un errore inescusabile non sarà possibile agire con l’azione di ripetizione dell’indebito, pertanto, ex c.3, l’accipiens avrà diritto di trattenere ciò che ha ricevuto, e il solvens subentrerà nei diritti che l’accipiens ha nei confronti del vero debitore. Obbligazione di restituzione Nel caso in cui, come prestazione non dovuta, sia stato eseguito il pagamento di una somma di danaro, colui che l’ha ricevuto, è tenuto a restituire non solo la somma, ma anche gli interessi maturati sulla stessa, decorrenti: - o dal giorno della domanda giudiziale di ripetizione, qualora l’accipiens fosse in buona fede (= se credeva che la prestazione fosse dovuta); - o dal giorno dell’effettivo pagamento della somma non dovuta, qualora l’accipiens fosse in mala fede. Nel caso in cui sia stata eseguita una prestazione diversa da quella pecuniaria (es. prestazione di fare eseguita in forza di un contratto che si sia sciolto; consegna di una cosa determinata in esecuzione di un contratto di compravendita che successivamente risulti essere nullo): - in caso di prestazione non dovuta di fare non è possibile una restituzione in senso stretto, pertanto, secondo l’opinione che per il prof. è da preferirsi, chi ha eseguito la prestazione non dovuta di fare avrà diritto di ottenere l’equivalente pecuniario di tale prestazione; 11 - in caso di prestazione non dovuta di consegna di una cosa determinata, ex art. 2037, chi ha ricevuto indebitante la cosa è tenuto a restituirla, ma dovrà restituire anche i frutti (es. in caso di bene immobile dovrà restituire i canoni di locazione ricavabili sul mercato) maturati dal giorno della domanda giudiziale di ripetizione (se in buona fede); dal giorno effettivo della consegna della cosa (se in mala fede). Qualora la cosa determinata non possa essere restituita ex art.2037 perché andata distrutta o alienata a terzi (che hanno diritto di far salvo il proprio acquisto), si producono conseguenze diverse a seconda che l’accipiens fosse in buona fede o in mala fede: • se questi era in buona fede, non risponde per il perimento della cosa, e se la cosa è stata alienata a terzi, è tenuto, ex art. 2038 c.1, a restituire al solvens il corrispettivo ricevuto dal terzo acquirente; • se questi era in mala fede, se la cosa è andata distrutta, deve corrispondere al solvens una somma di danaro pari al valore della cosa, mentre se ha alienato la cosa a terzi, è tenuto a scelta del solvens o 1) ad attivarsi per recuperare la cosa; o 2) se il terzo vuol far salvo il proprio diritto, a corrispondere il valore della cosa (che può essere anche diverso e maggiore rispetto a quanto percepito dal terzo) al solvens. Ipotesi in cui l’indebito non trova applicazione La disciplina dell’indebito, in particolare quella dell’indebito oggettivo, non opera nei casi di cui agli artt. 2034 e 2035 (= sono casi in cui, nonostante venga eseguita una prestazione senza che a monte preesista l’obbligazione di eseguirla, non è data azione di ripetizione dell’indebito). 1. Obbligazioni naturali: ex art. 2034 è un’obbl. naturale qualsiasi dovere morale o sociale (non giuridico), in forza del quale un soggetto esegue una prestazione. Il debitore naturale non è giuridicamente obbligato ad adempiere, ma è obbligato soltanto in forza di doveri considerati vincolanti esclusivamente sul piano morale o sociale; pertanto, caratteristica principale delle obbl. naturali è quella della loro non coercibilità (= il creditore naturale non può pretendere l’adempimento). Se, pur non essendo giuridicamente obbligato, il debitore decide di eseguire la prestazione, ex art. 2034, non è ammessa la restituzione: pur essendo in presenza di una prestazione eseguita in mancanza di un’obbl. a monte, è esclusa la ripetizione dell’indebito, perché, trattandosi di un dovere morale o sociale non si tratta di un indebito. In altri termini, il dovere morale o sociale funge da fondamento giustificativo della prestazione e della attribuzione patrimoniale che ne consegue, e ciò significa che il creditore naturale non ha il diritto di pretendere l’esecuzione della prestazione, ma ha il diritto di trattenere (e quindi non restituire) la prestazione che spontaneamente il debitore ha eseguito in adempimento del dovere morale o sociale. L’individuazione dei doveri morali o sociali è controversa. Innanzitutto, vi sono delle ipotesi tipiche: - pagamento del debito prescritto, ex art. 2940 (non è pacifico che sia un dovere morale o sociale) -> se il debito si prescrive, la prestazione non è più dovuta, ma se il debitore la esegue spontaneamente non potrà chiedere la restituzione; - debito di gioco o di scommessa, ex art. 1933 (NB le lotterie autorizzate o le competizioni sportive, es. schedine, non sono obbligazioni naturali) -> al vincitore viene attribuito un vero e proprio diritto di esigere la vincita; - obbligo di eseguire la cd. disposizione testamentaria fiduciaria, ex art. 627 c.2 -> ipotesi che ricorre quando erede o legatario contemplato nel testamento, in forza di un preventivo accordo fiduciario con il testatore, trasferisce ciò che ha ricevuto in forza del testamento ad un’altra persona non contemplata nel testamento stesso. Oltre a questi casi espressamente previsti dalla legge, sono doveri morali / sociali anche le prestazioni patrimoniali eseguite nell’ambito della cd. famiglia di fatto da uno dei conviventi more uxorio in favore dell’altro -> si tratta di prestazioni non giuridicamente dovute, ma la giurisprudenza ritiene che tali prestazioni (es. mantenimento, regali, etc.) siano dovute in forza di doveri morali o sociali, purché siano proporzionate all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali di chi le esegue -> sostanzialmente, il normale mantenimento del convivente more uxorio, di regola costituisce adempimento di un’obbligazione naturale. 12 Qualificando tali prestazioni come obbl. naturali sorge un problema: è frequente che, in caso di cessazione della convivenza, il convivente che ha mantenuto l’altro chieda la restituzione di ciò che negli anni è stato prestato. La giurisprudenza ritiene che le prestazioni in esame non siano ripetibili, perché poste in essere in adempimento di doveri morali o sociali, purché sussista il limite della proporzionalità (se questo limite viene meno, vi sarà il diritto al rimborso). Questo orientamento, da molti anni pacifico, oggi vale soltanto per quelle convivenze more uxorio che NON presentano i requisiti di applicabilità della disciplina legale delle convivenze contenuta nella l. 76/2016, cd. legge sulle unioni civile e convivenze di fatto -> trova applicazione soltanto quando non c’è un contratto di convivenza registrato all’anagrafe nel rispetto di determinati requisiti e formalità. Affinché si possa applicare la disciplina delle obbl. naturali, che consiste nella preclusione dell’azione di ripetizione di indebito, devono sussistere due requisiti attinenti alla persona del debitore naturale: la prestazione deve essere spontanea (no coazione); e deve essere eseguita da una persona capace (= di agire e di intendere e di volere). A differenza di quanto accadeva nel diritto romano, l’obbligazione naturale non produce altro effetto che non sia quello della irrepetibilità di ciò che è stato pagato: ex art. 2034 c.2 i doveri indicati dal comma precedente (= morali e sociali), e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti -> crediti e debiti naturali non possono essere trattati come tutti gli altri debiti o crediti (= non formano oggetto di successione ereditaria, non possono essere ceduti, né compensati) -> es. se T. vince una scommessa con C., il credito di T. non può essere trasmesso agli eredi di T., né essere oggetto di compensazione. 2. Prestazioni contrarie al buon costume: ex art. 2035 chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato. A tal riguardo la Cassazione ha più volte affermato che le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale e della decenza, ma molto più in generale, lo sono tutte quelle che non rispondono ai principi e alle esigenze etiche che, in un certo momento storico e in un certo ambiente, costituiscono la morale sociale -> es. il contratto con la prostituta, gli accordi corruttivi (nel 2018 la Corte di cassazione ha ritenuto contrario al buon costume il contratto con il quale un soggetto ha pagato una somma di danaro ad un altro in cambio della promessa di far ottenere un posto di lavoro alla figlia), etc. Questi sono contratti contrari al buon costume, e quindi nulli (= non vincolanti) ex artt. 1418 c.2 e 1343; ma se, in esecuzione di un contratto nullo, perché contrario al buon costume, viene eseguito un pagamento, o più in generale una prestazione, chi ha eseguito il pagamento, non potrà ottenerne la restituzione. L’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA Disciplinato dagli artt. 2041 e 2042, è un fatto giuridico. Per principio generale, ogni spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro deve essere sorretto da una causa che lo giustifichi: non è consentito che un soggetto si arricchisca senza causa a danno di un altro soggetto. Vi sono diverse ipotesi tipiche in cui viene data espressa applicazione a questo principio: - gli artt. 1149 e 1150 impongono al proprietario di una cosa, al quale la cosa sia stata restituita da chi la possedeva per effetto dell’accoglimento dell’azione di rivendicazione (= tipica azione a tutela della proprietà), l’obbligo di rimborsare le spese che il possessore stesso abbia fatto per riparazioni, miglioramenti o addizioni -> la ratio è quella di evitare che il proprietario si arricchisca indebitamente a danno del possessore, beneficiando di ciò che questi ha speso per le riparazioni, i miglioramenti o le addizioni; - gli artt. 935 e 937, al fine di impedire che il proprietario del suolo si arricchisca ingiustificatamente, gli impongono degli obblighi di compensazione (es. pagare il valore dei materiali usati per eseguire la costruzione sul suo suolo) -> infatti, in forza del principio della accessione1, la costruzione che è stata eseguita dal proprietario con materiali altrui, o da un 1 Principio in forza del quale tutto ciò che esiste sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario del suolo stesso, salvo che vi sia un titolo che stabilisca diversamente es. un contratto. 15 paziente, si ha una violazione l’obbligo di protezione che costituisce inadempimento, e quindi il sorgere di resp. contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano della disciplina. Questo mutamento della disciplina ad opera della giurisprudenza ha comportato dei cambiamenti rispetto alla disciplina previgente, in particolare sotto il profilo probatorio: non è più il danneggiato a dover provare la colpa, ma è il danneggiante (convenuto) a dover dimostrare di non essere in colpa: con la conseguenza che, se la situazione risulta poco chiara e il medico non riesce a fornire prova contraria, la domanda risarcitoria viene accolta. Tale mutamento giurisprudenziale ha portato: 1. a un aumento del rischio di soccombenza dei medici; 2. a un aumento esorbitante delle polizze assicurative della resp. professionale dei medici; 3. al ricorso, da parte di molti medici, della cd. medicina difensiva (per paura di essere convenuti in giudizio prescrivono molto esami del tutto futili), che ha costi molto elevati. L’orientamento della Cassazione, ad oggi è adottato da tutta la giurisprudenza, e viene considerato diritto vivente; e proprio in ragione delle conseguenze che ha comportato, nell’aprile 2017 è entrata in vigore la riforma della responsabilità sanitaria, contenuta nella cd. legge Gelli, (l. 24/2017). L’art. 7 di questa norma prevede espressamente che, ferma la resp. della struttura sanitaria, pubblica o privata, nei confronti del paziente (= resp. contrattuale), l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ex art. 2043, salvo che abbia agito nell’adempimento di una obbl. contrattuale assunta con il paziente -> pertanto, siccome il medico ospedaliero non assume alcuna obbl. contrattuale nei confronti del paziente, la l. Gelli ha operato un ritorno alle origini sancendo la resp. extracontrattuale del medico, superando, nel settore della resp. medica, la tematica del contatto sociale. Tuttavia, il tema del contatto sociale non è del tutto superato, perché non è stato ancora risolto il problema relativo alla retroattività della l. Gelli: ci si chiede se la resp. del medico ospedaliero nei confronti del paziente debba essere considerata come resp. extracontrattuale solo a partire dai fatti verificatisi dopo l’aprile 2017, oppure anche per quelli precedenti. Sul punto la giurisprudenza è divisa, ma la Cassazione, nel 2019, ha espressamente previsto che la norma della legge Gelli che qualifica come extracontrattuale la resp. del medico ospedaliero non ha portata retroattiva, e quindi, per tutti i fatti verificatosi prima dell’aprile 2017 si applica ancora il tema del contatto sociale. Altre ipotesi di responsabilità da contatto Altro caso in si deve applicare il contatto sociale è quello della resp. dell’insegnante dipendente di un istituto scolastico per le lesioni che un alunno abbia causato a se stesso. Fra l’istituto scolastico e l’allievo vi è un vero e proprio contatto, che sorge quando l’istituto accoglie la domanda di iscrizione presentata dall’alunno (o dai suoi legali rappresentanti), in forza del quale, a carico della scuola, sorge, tra gli altri, l’obbl. di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo, nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica -> si ha resp. contrattuale. Tra il singolo insegnante e l’allievo, invece, non intercorre alcun rapporto contrattuale, ma la Cassazione afferma che tra questi si viene ad instaurare, per contatto sociale, un rapporto nell’ambito del quale l’insegnante assume, oltre che gli obblighi di istruire ed educare, anche quelli di vigilare sugli allievi, e quindi, se questi si feriscono, l’insegnante può essere chiamato a risarcire il danno per inadempimento dell’obbl. di vigilanza (si ha resp. contrattuale -> è l’insegnante, danneggiante, a dover provare l’assenza della propria colpa). Il tema del contatto sociale viene applicato anche con riferimento alla resp. della banca che abbia pagato un assegno bancario o una circolare ad una persona diversa dal beneficiario del titolo: pur in mancanza di un rapporto contrattuale tra banca e vero beneficiario dell’assegno, per contatto sociale, sarà la banca a doversi discolpare e dimostrare di aver cercato di verificare l’identità della persona che si è presentata all’incasso con la dovuta diligenza. Infine, il tema del contatto sociale viene applicato anche con riferimento alla resp. della struttura carceraria per il suicidio del detenuto all’interno della stessa: il Tribunale di Firenze ha ritenuto sussistente il contatto sociale qualificato tra l’amministrazione penitenziaria e detenuto, dal quale derivano specifici obblighi di protezione nei confronti dei detenuti (tra i quali quello di impedire gesti di autolesionismo) -> sarà il carcere a doversi discolpare nei confronti degli eredi del detenuto. 16 LA STRUTTURA DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO Nella sua struttura più semplice, l’obbl. è un rapporto/vincolo che lega un soggetto ad un altro per l’esecuzione di una determinata prestazione: quindi, in forza di un rapporto obbligatorio, un soggetto è tenuto ad un determinato comportamento nei confronti di un altro. Nella struttura essenziale dell’obbl., possiamo individuare tre elementi: 1. soggetto attivo -> creditore; 2. soggetto passivo -> debitore; 3. oggetto -> prestazione dovuta dal debitore al creditore. I SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE Possono essere soggetti dell’obbl. sia persone fisiche, sia persone giuridiche, sia enti dotati di una soggettività giuridica intermedia (= soggetti privi di autonomia patrimoniale, che non sono né persone fisiche né persone giuridiche -> es. associazioni non riconosciute, società di persone, etc.). Nel momento in cui nasce l’obbl., i soggetti debbono essere determinati o quantomeno determinabili: - solitamente sono determinati sin dal momento in cui sorge l’obbl. -> es. T. concede in locazione a C. un bene immobile per un certo canone mensile: i soggetti sono il locatore e il conduttore; - in alcuni casi uno dei soggetti non è determinato sin dall’inizio, ma è determinabile in un momento successivo: in concreto, la determinazione del soggetto avviene, a seconda dei casi, in base al titolo o in base alla legge. Vi sono diversi esempi: • la promessa al pubblico, nel momento in cui sorge l’obbl. (= quando la promessa è resa pubblica) nasce un rapporto obbligatorio in cui l’unico soggetto determinato sin dall’inizio è il debitore, cioè colui che ha fatto la promessa, mentre il creditore è determinabile in base ad un criterio già stabilito nel momento in cui l’obbl. è sorta; • il legato in favore di persona/ente da scegliersi da parte dell’onerato o di un terzo è ammesso dall’art. 631 c.2, purché il testatore abbia predeterminato la cerchia dei possibili beneficiari -> al momento dell’apertura della successione non si sa chi sarà il beneficiario del lascito, ma questi è determinabile (fa parte della cerchia), e sarà determinato nel momento in cui l’onerato/terzo effettuerà la scelta; • la donazione in favore di persona che un terzo sceglierà tra più persone designate dal donante, ammessa ex art. 778 c.2. Obbligazioni propter rem (o reali) Sono obbl. collegate inscindibilmente alla proprietà o ad altro diritto reale; in tali casi (tipici), il debitore viene determinato attraverso il collegamento con la titolarità di un diritto reale su un bene. Sono anche dette obbligazioni ambulatorie, perché il soggetto passivo viene individuato attraverso la relazione con un determinato bene, e quindi, in queste ipotesi, l’obbl. circola unitamente al diritto reale al quale è collegata, e passa automaticamente con il passaggio della titolarità del diritto reale: chi si trova nella titolarità di un determinato diritto su un determinato bene, automaticamente, acquista la qualità di debitore nel rapporto obbligatorio che vi è collegato. Alcuni esempi: - ex art. 1104 c.1 ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune, e nelle spese deliberate dalla maggioranza* a norma delle disposizioni seguenti; ex c.3 il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati -> il singolo comproprietario di una quota è tenuto all’adempimento (= sostenere le spese*) anche se questo obbligo è sorto prima del suo ingresso in comunione: quindi, chi acquista, a qualsiasi titolo, una quota di un bene in comproprietà, è tenuto, per il solo fatto di aver acquistato la quota, a sostenere le spese, anche se maturate prima dell’acquisto (= il pagamento delle spese circola inscindibilmente con la circolazione della quota in comproprietà). - Ex art. 63 c.4 disp. att. cc. chi subentra nei diritti di un condomino, è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente -> dal momento che in ambito di condominio tra edifici ciascuno dei condomini ha l’obbligo di sostenere le spese condominiali secondo i criteri di ripartizione fissati dalla legge (quindi dall’art. 63 c.4), l’obbligazione del pagamento delle spese passa con il passaggio della proprietà dell’appartamento collocato all’interno di un condominio. 17 Le obbl. propter rem hanno alcune caratteristiche generali e comuni: 1. tipicità: analogamente a quanto accade in materia di diritti reali, anche queste sono ammesse nei soli casi espressamente previsti dalla legge; non possono essere liberamente costituite dall’autonomia privata; 2. accessorietà rispetto alla titolarità di un diritto reale: sono prestazioni dovute da un soggetto per il solo fatto di essere titolare di un diritto reale su una cosa; 3. ambulatorietà dal lato passivo: l’obbl. circola unitamente al diritto reale, e quindi il debitore viene individuato in base alla titolarità del diritto reale (= il debitore cambia se, e nel momento in cui, cambia la titolarità del diritto reale al quale inerisce) -> l’ambulatorietà è solo un modo per determinare la persona del debitore, ma non influisce né sulla struttura, né sulla natura dell’obbl.: queste non hanno natura diversa rispetto alle altre obbl. Obbligazioni plurisoggettive (o complesse) Sono obbl. che, dal punto di vista soggettivo, fanno capo ad una pluralità di soggetti (creditori o debitori); questi rapporti obbligatori complessi trovano ampia diffusione nella pratica. Solidarietà e parziarietà passive Si fa riferimento al fenomeno in forza del quale una pluralità di soggetti (cd. condebitori) sono obbligati ad eseguire una medesima prestazione nei confronti di un medesimo creditore -> es. T. è creditore di €100.000, e debitori sono C. e S. In questa situazione si ha una: - cd. obbligazione solidale dal lato passivo, se il creditore può pretendere l’intera prestazione da uno qualsiasi dei condebitori -> es. T. pretende €100.000 da C.; - cd. obbligazione parziaria dal lato passivo, se il creditore può pretendere da ciascuno dei debitori esclusivamente la propria quota -> es. ipotizzando che le quote siano uguali, T. potrà pretendere €50.000 da C., e €50.000 da S. L’art. 1294 pone una presunzione: i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente -> quindi, in presenza di due o più debitori, la solidarietà è la regola, mentre la parziarietà è l’eccezione, che vale solo se la legge o le parti l’abbiano espressamente prevista. Il caso più importante in cui è la legge ad escludere la solidarietà passiva è quello dei coeredi del debitore: questi, ex artt. 752 e 1295 sono tenuti verso il creditore del de cuius ciascuno in proporzione della rispettiva quota ereditaria -> se T., debitore di €1000.000 nei confronti di C., muore e gli subentrano 4 eredi (istituiti in parti uguali), C. non potrà pretendere tutti i soldi da uno degli eredi condebitori, perché ognuno di questi potrà essere costretto a versare soltanto €25.000. Introducendo questa presunzione generale di solidarietà, il legislatore ha inteso favorire il creditore, perché attribuendogli il diritto di esigere l’intera prestazione da uno qualsiasi dei condebitori, lo ha esonera dal rischio di insolvenza di uno dei singoli condebitori -> es. T. è creditore di €100.000 verso il nullatenente C. e S.; in presenza di un’obbl. solidale T. potrà ottenere tutti i soldi da S., mentre se l’obbl. fosse stata parziaria, T. avrebbe potuto recuperare solo la parte dovuta da S. Sul piano pratico, l’operatività della presunzione di solidarietà passiva, comporta che la parziarietà va provata: se il condebitore al quale il creditore chiede il pagamento dell’intero sostiene che l’obbl. sia parziaria e non solidale, dovrà provare che la presunzione ex art. 1294 non opera a causa di una norma di legge o di un accordo che espressamente escludono la solidarietà. La presunzione di cui all’art. 1294, però opera in tutti i casi in cui vi siano due o più condebitori in forza dello stesso titolo, ossia della stessa fonte di obbl., e non invece quando i titoli siano diversi - > nel caso in cui vi sia un unico contratto in forza del quale vi sono due condebitori (es. contratto di compravendita in cui T. e C. acquistano in comunione un bene), ciascun compratore/condebitore sarà solidalmente obbligato al pagamento del prezzo, anche se il contratto di compravendita non dispone nulla a riguardo. Alalo stesso modo, se più persone, in concorso tra di loro, commettono un illecito ex art. 2043, sono tutte obbligate in solido al risarcimento del danno nei confronti del danneggiato (ciò è previsto espressamente ex art. 2055); anche in tal caso, da una medesima fonte di obbl. (= fatto illecito imputabile a più persone) nasce un’obbl. solidale a carico di una pluralità di debitori. 20 - cd. obbligazione parziaria dal lato attivo, se ciascuno dei creditori può esigere dal comune debitore soltanto la propria parte. In tal caso, vale la regola opposta rispetto a quella prevista per la solidarietà passiva: se non risulta diversamente, in presenza di una pluralità di creditori, l’obbl. è da intendersi come parziaria: - es. se un bene immobile appartiene in comproprietà a due persone che lo vendono ad un terzo, in mancanza di una diversa pattuizione, ciascuno dei venditori comproprietari potrà esigere dal compratore soltanto la parte di prezzo corrispondente alla sua quota di comproprietà; - es. se un terzo cagiona un danno ad una cosa che appartiene in comproprietà a due o più soggetti, ciascuno di questi ha diritto al risarcimento, ed essendo l’obbl. parziaria, ciascun comproprietario potrà chiedere il risarcimento soltanto pro quota: se, per errore, il debitore dovesse pagare l’intero risarcimento ad uno soltanto dei creditori, egli non sarebbe liberato, e gli altri potrebbero costringerlo a pagare nuovamente la loro parte (ovviamente, il creditore che ha riscosso l’attivo dovrà corrispondere agli altri la parte di prestazione di loro spettanza): Pertanto, la solidarietà non si presume, ma deve essere espressamente prevista dal titolo dell’obbl. Ciò avviene con riferimento ai contratti di c/c intestati a due o più persone con facoltà di prelievo separato: ciascun correntista è creditore solidale verso la banca (debitore) per la somma versata, quindi, la banca che consegna ad uno dei cointestatari l’intera somma versata è liberata nei confronti degli altri. Obbligazioni divisibili e indivisibili L’alternatività tra solidarietà e parziarietà rileva solo per le obbl. divisibili, perché, ex art.1317: “le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme relative alle obbligazioni solidali, in quanto compatibili”. L’obbl. è indivisibile quando abbia ad oggetto una prestazione insuscettibile di essere frazionata in parti idonee a soddisfare, sia pur proporzionalmente, l’interesse del creditore. In particolare, l’indivisibilità può essere: - oggettiva: quando risulti direttamente e necessariamente dalla natura del suo oggetto; - soggettiva: quando può desumersi dal modo in cui detto oggetto è stato considerato dalle parti contraenti. Quindi, le parti possono indicare come indivisibile anche una prestazione che in natura possa essere divisibile. Le obbl. indivisibili sono soggette necessariamente al regime della solidarietà (quelle divisibili possono essere tanto parziali quanto solidali). 21 MODIFICAZIONI SOGGETTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO I soggetti originari del rapporto obbligatorio (debitore e creditore) non sono immutabili, infatti, la composizione soggettiva del rapporto obbligatorio può modificarsi, sia dal lato attivo, sia dal lato passivo. Questo può verificarsi in diverse situazioni: - per effetto di una successione a titolo universale (persone fisiche: morte; società: fusione): un soggetto succede all’altro in tutti i rapporti giuridici che facevano capo al dante causa, e quindi anche i rapporti obbligatori; - per effetto di una successione a titolo particolare: ciò può avvenire in diverse situazioni:per es. in conseguenza di vicende che riguardano il titolo dell’obbl., come accade in caso di cessione del contratto (vengono automaticamente ceduti anche debiti o crediti che da questo derivano), o in caso di cessione d’azienda, che a sua volta comporta il subingresso del cessionario anche nei rapporti contrattuali, e in particolare nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale, nei crediti relativi all’azienda ceduta e, a certe condizioni, nei debiti relativi alla stessa (artt. 2558, 2559, 2560); - inoltre, può verificarsi in conseguenza di vicende che riguardano una singola obbligazione: sono ipotesi specificatamene regolate dalle norme sulle obbl. in generale. Per quanto riguarda il lato attivo del rapporto obbligatorio, la modificazione della persona del creditore può avvenire per due cause: (1) cessione del credito; (2) pagamento con surrogazione. Per quanto riguarda invece il lato passivo del rapporto obbligatorio, la modificazione della persona del debitore, nonché l’aggiunta di un nuovo debitore a quello originario, può avvenire per tre cause: (1) delegazione; (2) espromissione; (3) accollo. Modificazioni dal lato attivo Cessione del credito Disciplinata dagli artt. da 1260 a 1267, che parlano di cessione del credito in due diversi significati: - come contratto con il quale il creditore (= cedente) trasferisce ad un terzo (= cessionario) il credito vantato verso il debitore (= ceduto); - come effetto che produce il contratto di cessione (= trasferimento del credito in capo al cessionario). Contratto di cessione del credito È un negozio bilaterale, che si perfeziona in forza di un accordo che intercorre fra cedente e cessionario, cioè fra creditore originario e nuovo creditore (che diventa tale per effetto del contratto di cessione): il contratto si perfeziona con il consenso di cedente e cessionario, e non è richiesto il consenso del debitore ceduto, perché questi è comunque tenuto ad eseguire la prestazione (è indifferente verso chi adempie) -> ≠ da cessione del contratto, negozio trilaterale che richiede il consenso di tutti e tre i soggetti coinvolti. Il contratto di cessione può essere sia a titolo oneroso (e quindi prevedere a favore del cedente un corrispettivo in danaro o altra natura) che a titolo gratuito. La previsione o meno di un corrispettivo comporta delle notevoli differenze anche sul piano della disciplina: 1. nei casi di cessione onerosa, il contratto con il quale si attua la cessione può essere, a seconda dei casi, qualificato come vendita, o anche come permuta del credito, a seconda che il credito ceduto sia scambiato con un corrispettivo in danaro o con una cosa diversa dal danaro (es. fornitura di merce); 2. nei casi di cessione gratuita si è in presenza, in linea di principio, di una donazione, con la conseguenza che per il suo perfezionamento va rispettato il requisito di forma ex art. 782. Pertanto, si può notare che, la cessione del credito non è un tipo contrattuale a sé stante, ma è l’oggetto di un contratto traslativo di diritti (vendita, permuta o donazione) -> ciò non deve sorprendere, perché questi tre contratti sono definitivi, e disciplinati in modo tale da ricomprendere, oltre che il trasferimento della proprietà di una cosa, anche il trasferimento di un altro diritto. Avendo per oggetto il trasferimento di diritti, la cessione del credito, ex art. 1376, è retta dal cd. principio consensualistico: l’effetto traslativo del diritto di credito si verifica per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. 22 La cessione del credito, nella pratica, può assolvere anche ad altre funzioni (può avere altra causa) oltre a quella traslativa: 1. funzione di garanzia: il debitore (cedente) può cedere al proprio creditore (cessionario) un credito vantato nei confronti di un terzo (ceduto) al fine di garantire l’adempimento della propria obbl. (il cedente è debitore del cessionario) -> es. T. deve 100 a C. e, per garantirgli l’adempimento, gli cede un credito di 100 che lui vanta nei confronti di S.; e se T. (cedente) non pagherà a C. (cessionario) il proprio debito, alla scadenza, C. potrà riscuotere il credito ceduto nei confronti di S. (ceduto). Si ha una garanzia tipica, che svolge una funzione analoga a quella svolta dal pegno di crediti o di titoli. In questa particolare fattispecie, parallelamente al trasferimento del diritto di credito dal cedente al cessionario, vi è un patto accessorio, ossia un patto fiduciario (sempre tra cedente e cessionario), in forza del quale si conviene che il cessionario potrà riscuotere il credito ceduto soltanto in caso di inadempimento del cedente, e che, invece, in caso di adempimento del cedente, la garanzia non ha ragion d’essere e quindi il cessionario dovrà ritrasferire il credito al cedente; 2. funzione solutoria (di pagamento) -> es. T. deve €100 a C., e non avendoli, per soddisfarlo, gli cede un credito da lui vantato nei confronti di S. Questa fattispecie è disciplinata dall’art. 1198, ed è detta datio pro solvendo, cioè cessione del credito in luogo dell’adempimento; in tal caso il debitore si libera quando il credito ceduto è effettivamente riscosso dal cessionario. Dal momento in cui la cessione del credito può assolvere diverse funzioni (traslativa, di garanzia, e solutoria), il contratto che ha come effetto la cessione è un contratto a causa variabile, causa che va individuata caso per caso. Oggetto di cessione possono essere: - un credito futuro (= non ancora esistente al momento del contratto di cessione) -> in tal caso, il trasferimento del credito non potrà che attuarsi nel momento in cui esso verrà ad esistenza (medesima disciplina della vendita di cosa altrui); - un credito non liquido o esigibile -> quindi, possono formare oggetto di cessione anche crediti non ancora determinati nel loro ammontare, o non ancora esigibili (es. se non è ancora trascorso il termine entro il quale il debitore deve pagarli). In tema di crediti ancora non liquidi, negli ultimi tempi la giurisprudenza ha affermato che il danneggiato può cedere ad un terzo il proprio credito da risarcimento del danno subito. Per alcuni crediti la cessione è vietata (cd. crediti non cedibili): - crediti aventi carattere strettamente personale (art. 1260 c.1), ossia quelli per cui non può dirsi indifferente per il debitore adempiere in favore di un soggetto piuttosto che di un altro - > se uno scrittore si è impegnato a scrivere un romanzo con un determinato editore, per lo scrittore non è indifferente pubblicarlo con un editore o con un altro; pertanto, l’editore che per contratto ha acquisito il diritto di pubblicare il romanzo dello scrittore (= diritto di credito) non può cederlo ad un altro editore, a meno che non via sia il consenso dello scrittore; - in alcuni casi la cessione è vietata in modo assoluto, anche in presenza del consenso del debitore ceduto -> es. ex art. 1261 magistrati, avvocati e notai non possono, neanche per interposta persona, rendersi cessionari dei diritti sui quali è sorta una contestazione davanti all’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni; - crediti alimentari (art. 447) e, in genere, tutti i crediti che riguardano i rapporti di famiglia; - al di là dei divieti stabiliti dalla legge, è possibile, con apposito accordo tra debitore e creditore, che sia convenzionalmente esclusa la cedibilità del credito -> es. in un contratto dal quale deriva in favore di ciascuna delle parti un diritto di credito, può essere apposta una clausola con la quale le parti vietino espressamente la cessione dei crediti derivanti da quel contratto. In tal caso. Il patto non è opponibile al cessionario: se il credito viene ceduto in violazione del divieto, il cessionario diventa nuovo creditore, a meno che, ex art. 1260 c.2, non si provi che il cessionario fosse a conoscenza del divieto al momento della cessione. Ex art. 1263 con la cessione del credito si trasferiscono anche gli accessori del credito ceduto: passano al cessionario i privilegi, le garanzie personali e reali che assistono il credito oggetto di 25 3. il cessionario deve essere una società o un ente avente personalità giuridica e con un oggetto sociale che preveda espressamente anche l’acquisto di crediti di impresa. In mancanza anche di uno soltanto di questi requisiti, la l. 52/1991 non trova applicazione, trovando invece applicazione la disciplina generale ex artt.1260 e ss. Alcuni tratti salienti introdotti con la l. 52/1991: - i crediti esistenti e futuri di un’impresa possono anche essere ceduti in massa, con un unico contratto: ex art. 3 affinché l’oggetto della cessione possa considerarsi determinato, e quindi affinché il contratto non sia nullo, è sufficiente che nel contratto sia indicato il nominativo del debitore ceduto -> quindi, affinché la cessione in massa sia validamente conclusa tra le parti è sufficiente che ci sia un elenco dei singoli debitori ceduti; - in deroga all’art. 1267, il cedente garantisce la solvenza del debitore ceduto -> quindi, di regola, questa cessione è pro solvendo, salvo un espresso patto contrario; - la cessione è opponibile ai terzi non soltanto nelle ipotesi previste ex art. 1265 (= quando vi è notificazione/accettazione), ma eccezionalmente, anche quando il factor abbia pagato all’impresa cedente il corrispettivo della cessione con atto avente data certa. Il fenomeno della cessione di crediti in massa è molto frequente nella pratica: accade spesso che le imprese cedano i loro crediti a società di factoring addirittura a costo zero o ad un corrispettivo simbolico, allo scopo di ripulire il bilancio. Questa esigenza sorge in quanto, spesso, le imprese accumulano dei crediti inesigibili (es. debitori che spariscono), il cui ammontare viene considerato come utile tassabile, e in alcuni casi, il costo del recupero del singolo credito (spese legali e processuali) è superiore al valore del credito stesso -> da qui la necessità dell’impresa di liberarsi di questi crediti sotto il profilo fiscale e contabile, attraverso lo strumento della cessione in massa. Ne fanno ricorso banche, società che somministrano gas, energie elettriche, etc. Pagamento con surrogazione Disciplinato dagli artt. 1201-1205. Consiste in una sostituzione (= surrogazione) del creditore originario con un altro creditore in conseguenza al pagamento al creditore originario -> a differenza di ciò che accade nella cessione del credito, la sostituzione si verifica nel momento in cui viene effettuato il pagamento in favore del creditore originario. La surrogazione può verificarsi quando il pagamento avviene: 1) o da parte di un soggetto diverso dal debitore; 2) o da parte dello stesso debitore, ma con danaro altrui. L’essenza della surrogazione consiste nel fatto che il pagamento, sebbene soddisfi il creditore originario, non estingue l’obbl., ma determina il subingresso: 1) o del soggetto che ha pagato il debito altrui nella posizione di creditore; 2) o di colui che ha erogato al debitore il danaro per il pagamento. Quando si verifica la surrogazione, colui che si surroga (il terzo che paga, o del mutuante, o del soggetto indicato dalla legge, vedi qui sotto), divenendo nuovo creditore, subentra nei diritti del creditore originario, nelle garanzie che assistono il credito (es. pegno o ipoteca), e rimane esposto alle stesse eccezioni cui era esposto il creditore originario. La surrogazione può aversi in tre diversi casi: 1. per volontà del creditore (cd. surrogazione per quietanza): ex art. 1201 il creditore ricevendo il pagamento (e rilasciando quietanza di pagamento) da un terzo, può surrogarlo nei propri diritti. La surrogazione deve essere fatta in modo espresso e contemporaneamente al pagamento -> quindi, per effetto del pagamento del terzo seguito dalla dichiarazione del creditore originario che riceve il pagamento, si verifica la surrogazione e il terzo diventa nuovo creditore. Ci si trova di fronte ad una ipotesi di adempimento da parte di un terzo. 2. per volontà del debitore: ex art. 1202 c.1 il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo. Ex c.2 la surrogazione ha effetto quando concorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) che il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa; b) che nell'atto di mutuo (che il debitore conclude con il mutuante per procurarsi il danaro necessario per il pagamento) sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata; 26 c) che nella quietanza si menzioni la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento (es. C. riceve da T. la somma di €100 che T. stesso dichiara di aver ricevuto a titolo di mutuo dalla banca X). Sulla richiesta del debitore, il creditore non può rifiutarsi di inserire nella quietanza tale dichiarazione; 3. surrogazione legale: opera senza il concorso della volontà delle parti nei casi espressamente previsti dalla legge. Tra i casi menzionati ex art. 1203 vanno ricordati: a) n.1, la surrogazione a vantaggio del creditore chirografario che paga un creditore privilegiato; b) n.4, la surrogazione a vantaggio dell’erede con beneficio di inventario che paga con danaro proprio i debiti ereditari. La norma conclude disponendo che la surrogazione si verifica in tutti gli altri casi previsti dalla legge. Modificazioni dal lato passivo Premessa: mentre per il debitore è indifferente la persona del creditore, per il creditore non è indifferente avere come debitore un soggetto piuttosto che un altro, in quanto un debitore può essere solvibile, mentre un altro no. Pertanto, in tema di modificazione dal lato passivo vige una regola fondamentale: la sostituzione del debitore non è mai possibile senza il consenso del creditore, e se questo manca, il debitore originario non viene liberato, ma, ad esso, si aggiunge un nuovo debitore. Si può notare, quindi, che si verifica una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio indipendentemente dal consenso del creditore, ma ci saranno diverse conseguenze: - se c’è il consenso del creditore, si ha la sostituzione del debitore con un nuovo debitore -> si dice che, delegazione, espromissione e accollo, sono privativi o liberativi, dato che il debitore originario viene liberato, uscendo dal rapporto obbligatorio e venendo sostituito da un nuovo debitore; - se non c’è il consenso del creditore, si ha l’aggiunta di un nuovo debitore a quello originario -> si dice che delegazione, espromissione e accollo, sono cumulativi, dato che al debitore originale se ne aggiunge uno nuovo. Delegazione Si può presentare in due forme: - cd. delegazione di debito (o delegazione promissoria), art. 1268; - cd. delegazione di pagamento, art. 1269. Soltanto la delegazione di debito realizza una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio. Caratteristiche comuni delle due figure: 1) sono sempre coinvolti tre soggetti: creditore (cd. delegante), debitore (cd. delegatario) e terzo (cd. delegato); 2) il delegante è al tempo stesso creditore del delegato e debitore del delegatario. Delegazione di debito Il debitore (delegante), che deve una somma al proprio creditore (delegatario), delega un terzo che è suo debitore (delegato) ad obbligarsi ad effettuare il pagamento in favore del delegatario. La delegazione si fonda su due distinti rapporti obbligatori: - il rapporto di provvista, per cui il delegante (A) è creditore del delegato (B); - il rapporto di valuta, per cui delegante (A) è debitore del delegatario (C). La funzione della delegazione è quella di far sì che si venga a creare un nuovo rapporto obbligatorio, prima inesistente, tra delegato (B) e delegatario (C), il cui adempimento estingua allo stesso tempo i due rapporti obbligatori preesistenti (di provvista, e di valuta) -> la delegazione ha una funzione di semplificazione dei rapporti. Es. la società Alfa è debitrice verso la società Beta di €150.000 quale saldo per i lavori di ristrutturazione eseguiti da Beta, e il pagamento deve effettuarsi entro 60 gg dal collaudo: si ha un rapporto di valuta costituito dal contratto di appalto costituito da Alfa (committente) e Beta (appaltatore). Alfa, non avendo liquidità, vende a T. un pacchetto azionario per €150.000, convenendo che il pagamento dovrà essere effettuato entro 60 gg: si ha un rapporto di provvista costituito dal contratto di vendita del pacchetto azionario. 27 In una situazione simile, o i due debiti si estinguono con due diversi pagamenti (T. paga a Alfa, e Alfa paga a Beta), oppure può intervenire la delegazione, che consente di ottenere il medesimo risultato economico, ossia l’estinzione dei due debiti, con un unico pagamento -> Alfa, in veste di delegante, può invitare il suo debitore T. (delegato) ad obbligarsi a pagare direttamente la somma a Beta (delegatario). Perché si possa compiere l’operazione di delegazione di debito occorrono quattro elementi: 1. l’invito che il delegante (A) rivolge al proprio debitore (B) a obbligarsi nei confronti del delegatario (C) -> A chiede a B di obbligarsi nei confronti di C, pagando a lui la somma; 2. l’accettazione dell’incarico da parte del delegato, il quale non è in alcun modo vincolato; 3. la promessa con la quale il delegato (B) dichiara al delegatario (C) di obbligarsi nei suoi confronti -> B comunica a C che, su invito di A si obbliga a pagargli la somma dovuta da A; 4. l’accettazione del delegatario, che deve essere espressa. Inadempimento del delegato In caso di delegazione privativa, se il delegato non paga, il creditore delegatario non potrà rivolgersi al delegante, che è stato liberato, in quanto, in tal caso, al momento dell’accettazione, il delegatario dichiara espressamente di liberare il debitore originario (delegante), che quindi è sostituito dal nuovo debitore (delegato). In caso di delegazione cumulativa (quindi in mancanza della dichiarazione espressa del delegatario) se il delegato non paga, il delegatario può ottenere il pagamento anche dal delegante, infatti, delegante e delegato sono solidalmente obbligati. Tuttavia, ex art. 1268 c.2 il delegatario non può pretendere il pagamento dal delegante se non quando abbia inutilmente richiesto2 il pagamento al delegato. Eccezioni che il delegato può opporre al delegatario Bisogna distinguere fra delegazione causale e delegazione astratta. Si ha delegazione causale quando: - il delegato, obbligandosi verso il delegatario, menziona il rapporto di provvista che lo lega al delegante -> es. il delegato dice “su invito di Alfa, mi obbligo a pagare a te (Beta) la somma che devo ad Alfa come prezzo di acquisto del pacchetto azionario vendutomi”; - il delegato menziona il rapporto di valuta che intercorre tra delegante e delegatario -> es. il delegato dice “su invito di Alfa, mi obbligo a pagarti i €150.000 che Alfa ti deve (a Beta), quale saldo dei lavori di ristrutturazione”; - delegato menziona entrambi i rapporti -> es. il delegato dice “su invito di Alfa, mi obbligo a pagare a te (Beta) i €150.000 che io devo ad Alfa come prezzo delle azioni vendute, e che Alfa a sua volta deve a te a titolo di saldo dei lavori di ristrutturazione”. In tal caso, il delegato può rifiutarsi di pagare, eccependo al delegatario le eccezioni basate sul rapporto che è stato menzionato: - se il delegato ha menzionato il rapporto di provvista (= vendita di azioni), egli potrà rifiutarsi di pagare, per es., se il contratto di vendita del pacchetto azionario è stato dichiarato nullo o risolto per inadempimento; - se il delegato ha menzionato il rapporto di valuta (= contratto di appalto), egli potrà rifiutarsi di pagare, per es., se il Tribunale ha accertato che i €150.000 che Alfa doveva a Beta non erano dovuti in quanto la ristrutturazione è stata eseguita male e in gravissimo ritardo. Si ha delegazione astratta (o pura) quando nessuno dei due rapporti viene menzionato dal delegato nel momento in cui si obbliga nei confronti del delegatario. In tal caso, le eccezioni basate sulla mancanza del rapporto di provvista o di valuta non possono essere opposte al delegato, pertanto, egli dovrà comunque pagare, fatto salvo soltanto il caso (difficile da riscontrarsi nella pratica) in cui manchino entrambi i rapporti, pur non menzionati -> es. il delegato può sottrarsi al pagamento se i due rapporti sono nulli. 2 cd. beneficium ordinis: il creditore, che ha diritto di ottenere l’intero da uno qualsiasi dei debitori in solido, ha l’onere di chiedere a uno di essi il pagamento; questo beneficio è un qualcosa di meno rispetto al cd. beneficio di preventiva escussione, in quanto ci si accontenta di una semplice richiesta. 30 OGGETTO DELL’OBBLIGAZIONE È costituito dalla prestazione che è dovuta dal debitore al creditore; se si tratta di obbl. contrattuale, la prestazione costituisce anche oggetto del contratto. Requisiti della prestazione Ex art. 1174 la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore -> pertanto, la prestazione deve sempre avere due requisiti di carattere generale, che devono esistere congiuntamente: 1. cd. carattere della patrimonialità; 2. la prestazione deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. In mancanza anche di uno solo di questi requisiti non ci si trova in presenza di un rapporto obbligatorio, ma di qualcosa di differente (vedremo in seguito). Requisito della patrimonialità della prestazione La prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica, e per esserlo deve consistere: - nel pagamento di una somma di danaro; - o in un diverso comportamento del debitore, che deve essere traducibile in una somma di danaro che ne rappresenti il valore economico. Se per tale comportamento è previsto un corrispettivo in denaro (es. onorario del professionista), è questo il valore economico del comportamento del debitore, quindi della prestazione. Tuttavia, può accadere che un soggetto si obblighi a titolo gratuito a svolgere una prestazione di fare (es. mandato gratuito, deposito gratuito, etc.): in questi casi manca un corrispettivo in danaro, ma la valutazione economica della prestazione è resa possibile alla luce del costo che questa comporta, o del valore che è attribuibile a quella prestazione. Secondo l’orientamento prevalente, il requisito della patrimonialità della prestazione può essere inteso non soltanto in senso oggettivo (patrimonialità = prestazione ha valore di mercato o, almeno, valore di scambio), ma anche in senso soggettivo: può accadere che la prestazione non abbia oggettivamente carattere patrimoniale, ma che lo acquisti per volontà delle parti qualora per la sua esecuzione sia previsto nel contratto un corrispettivo in danaro o una clausola penale per il caso di inadempimento: - es. un sacerdote che si impegna contrattualmente nei confronti di una clinica privata a svolere, in via continuativa e a fronte di un corrispettivo, funzioni religiose, all’interno della casa di cura -> la prestazione, dal pdv. oggettivo, non è patrimoniale, ma assume carattere di patrimonialità in funzione del corrispettivo che è stato pattuito per la sua esecuzione; - es. lo psicoterapeuta che pattuisce con il vicino musicista un corrispettivo affinché questi rispetti particolari regole di silenzio, e si astenga dal suonare nelle fasce orarie in cui il professionista riceve i propri clienti -> la prestazione di non suonare non ha carattere patrimoniale, ma lo acquisisce in funzione del corrispettivo pattuito. Un altro orientamento, invece, ritiene che la patrimonialità della prestazione vada valutata esclusivamente sotto l’aspetto oggettivo, con la conseguenza che, se la prestazione non è oggettivamente valutabile in danaro, non sarebbe alcun obbligo giuridico, e quindi nemmeno una vera e propria obbligazione -> ciò si traduce in un limite per l’autonomia privata, perché accogliendo questo orientamento restrittivo, tutti i contratti simili a quelli di cui sopra dovrebbero considerarsi nulli per mancanza del requisito di patrimonialità della prestazione ex art. 1174 Questa tesi non è condivisibile, perché l’unico limite posto all’autonomia privata è quello della meritevolezza dell’interesse perseguito: ex art. 1322 c.2 le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (cd. requisito della non illiceità del contratto) -> le parti sono libere di concludere contratti anche diversi da quelli espressamente previsti dalla legge, purché non siano illeciti. Quindi, se un accordo è meritevole di tutela purché non sia illecito, si può constatare che casi simili a quelli analizzati sopra non rientrano nella sfera di illiceità, e quindi sono validi. 31 Quando il requisito della patrimonialità della prestazione manca del tutto (sia in senso oggettivo, sia in senso soggettivo), le norme sulle obbligazioni non trovano applicazione. Ciò può verificarsi: 1. quando la legge pone a carico di un soggetto determinati obblighi di comportamento che non hanno carattere patrimoniale -> es. obblighi di fedeltà, di coabitazione e di assistenza morale imposti ai coniugi ex art. 143, che se violati comportano conseguenze giuridiche (separazione con addebito), ma che non sono obbligazioni; 2. quando, a fronte della promessa di una prestazione, manca il carattere di patrimonialità, sia in senso soggettivo, sia in senso oggettivo: ciò accade in caso di cd. promesse di cortesia, che non vincolano il promittente e non danno luogo ad alcun risarcimento in caso di inadempimento -> es. un musicista promette al vicino psicoterapeuta, di impegnarsi a rispettare il silenzio nell’orario in cui questo riceve i propri clienti; in tal caso, le parti non hanno previsto né un corrispettivo, né una penale in caso di inosservanza, pertanto, manca il requisito di patrimonialità della prestazione anche in senso soggettivo, e non può sorgere il rapporto obbligatorio. NB. La promessa di cortesia è sempre una promessa gratuita, ma non si può dire che ogni promessa gratuita sia una promessa di cortesia: esistono casi in cui viene promessa, a titolo gratuito, una prestazione avente oggettivamente carattere patrimoniale -> es. deposito gratuito, mandato gratuito, donazione (ex art. 769 la donazione può consistere non solo nel trasferimento di un diritto, ma anche nell’assunzione di un’obbligazione nei confronti del donatario). In questi casi, si ha un rapporto obbligatorio, e non una promessa di cortesia. Requisito dell’interesse del creditore L’interesse può anche essere di tipo non patrimoniale: è necessario che la prestazione del debitore abbia carattere patrimoniale, ma non è necessario, che l’interesse del creditore alla prestazione abbia di carattere patrimoniale -> es. quando un soggetto va al cinema riceva dall’esercente una prestazione (proiezione del film) che è suscettibile di valutazione economica (prezzo del biglietto), ma l’interesse a ricevere la prestazione non ha natura patrimoniale. Requisiti aggiuntivi Sebbene l’art. 1174 si limiti a richiedere i due requisiti di cui sopra, la prestazione, per poter formare oggetto di obbl., deve presentare tre ulteriori requisiti di carattere generale. Essa deve infatti essere: 3. possibile: deve essere oggettivamente suscettibile di esecuzione, sin dal momento della nascita del rapporto obbligatorio. L’impossibilità può essere: - materiale: quando in natura la prestazione non può essere eseguita -> es. la prestazione che ha per oggetto la consegna di una cosa in natura inesistente o il compimento di un’azione materialmente irrealizzabile; - giuridica: quando in natura la prestazione potrebbe essere eseguita, ma la legge ne vieta l’esecuzione -> es. la prestazione che ha per oggetto un bene che la legge considera incommerciabile, come nel caso di obbl. di trasferire la proprietà di un immobile sul quale siano stati commessi abusi edilizi insanabili; 4. lecita: non può avere ad oggetto un comportamento contrario a norme imperative, al buon costume o all’ordine pubblico; 5. determinata o quantomeno determinabile: sin dal momento della conclusione del contratto dal quale deriva il rapporto obbligatorio, la prestazione deve essere specificata in tutti i suoi elementi oggettivi (determinata), oppure devono almeno sussistere i criteri per poter determinare e stabilire il contenuto dell’obbligo assunto (determinabile). Collegate a questo tema sono le norme, in materia contrattuale, contenute agli artt. 1346 (= l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile) e 1418 c.2 (= che considera fra le cause di nullità del contratto, la mancanza dei requisiti contenuti nell’art. 1346). 32 Oggetto della prestazione La prestazione che forma oggetto dell’obbl. a sua volta ha un oggetto: un bene, un servizio o, più in generale, una utilità avuta di mira dal creditore, corrispondente all’interesse del creditore stesso. La prestazione può essere di tre tipi: 1) dare; 2) fare; 3) non fare. Prestazione di dare Le obbl. di dare possono consistere: - nell’ obbligo di pagare una somma di danaro derivante da a) contratto (es. l’obbl. del compratore di pagare al venditore il prezzo pattuito, o l’obbl. di pagamento del canone di locazione; b) fatto illecito; c) etc.; - nell’obbligo di consegnare un bene, si distingue in: • obbl. di consegnare una cosa specifica e determinata (es. un immobile determinato in un contratto); • obbl. di consegnare una cosa determinata solo nel genere (es. consegnare un certo quantitativo di una determinata merce) -> NB. i prodotti in serie e nuovi di fabbrica (es. auto non ancora immatricolata) nascono sempre come cose determinate solo nel genere, perché sono tutti uguali, ma una volta che immessi nel traffico giuridico, diventano determinati (es. l’auto viene immatricolata); ciò accade anche quando sono usati (rileva, in questo caso, il loro stato di usura e di conservazione); - nell’obbligo di restituire un bene: può essere configurabile come a) obbl. derivante da contratto (es. da un contratto di locazione); b) obbl. derivante da altre fonti (es. pagamento dell’indebito: chi ha ricevuto un pagamento non dovuto deve restituirla). Il fatto che l’obbl. di dare abbia ad oggetto una cosa generica o specifica rileva anche sotto il profilo della disciplina applicabile: - ex art. 1178 quando l'obbl. ha per oggetto la prestazione di cose determinate soltanto nel genere (cose generiche), il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media. Questa è una regola generale che però si applica soltanto in mancanza di un accordo tra le parti -> es. in un contratto le parti possono prevedere che a carico di colui che è tenuto a consegnare le cose generiche, vi sia l’obbligo di consegnare cose di alta qualità, e non solo di qualità non inferiore alla media; - ex art. 1177 l’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna. L’obbl. di custodia è accessoria rispetto a quella di consegnare la cosa determinata, e implica il dovere del debitore di custodirla con la diligenza del buon padre di famiglia: quindi, se la cosa va distrutta o sottratta prima della consegna (es. per incendio o furto), il debitore ne risponde, a meno che non riesca a provare di averla custodita con tutte le cautele che nel caso concreto la diligenza del buon padre di famiglia impone La regola dell’art. 1177 trova applicazione in tutti i casi in cui un soggetto ha ricevuto in consegna una cosa è tenuto a restituirla: si applica nei casi in cui viene concluso un contratto d’opera che, per essere eseguito, presuppone la consegna di una cosa al prestatore d’opera -> es. quando si portano gli abiti in tintoria, si conclude un contratto d’opera che ha come oggetto principale la pulitura degli stessi, e in forza del contratto, il prestatore d’opera, assume anche l’obbligo di restituire la cosa; se il bene viene distrutto, il prestatore ne risponde, salvo non dimostri che il fanno non è a lui imputabile. I prestatori d’opera vengono ritenuti responsabili anche in casi meno eclatanti. • la Cassazione ha ritenuto il proprietario di un autolavaggio responsabile per inadempimento dell’obbl. di custodia quando è stata rubata un’automobile parcheggiata sul piazzale dello stesso, nonostante l’avesse chiusa a chiave, perché aveva depositato la chiave in una bacheca in un locale accessibile a chiunque; • la Cassazione ha ritenuto responsabile per inadempimento dell’obbl. di custodia la tintoria nella quale si è verificato un incendio doloso (derivante da un atto vandalico posto in essere da terzi ignoti), perché la tintoria non è riuscita a provare di aver adottato tutte le misure per evitare tali atti. 35 concludere il contratto definitivo (come convenuto davanti al notaio), il promissario acquirente (C.), ex art. 2932, potrà chiedere al giudice di emettere una sentenza costitutiva con la quale, dovendosi produrre gli stessi effetti del contratto di compravendita non conclusa, verrà disposto il trasferimento della proprietà dell’immobile al promissario acquirente, sotto condizione del pagamento del prezzo convenuto. NB. Con l’esecuzione in forma specifica, la parte non inadempiente, non deve chiedere al giudice di condannare la controparte a concludere il contratto definitivo (questa è una delle eventualità processuali); ma deve chiedere al giudice di emettere una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto non concluso -> nell’es. l’esecuzione in forma specifica comporta che con la sentenza costitutiva si produca il trasferimento della proprietà verso il pagamento del prezzo. L’art. 2932 c.1 richiede due requisiti necessari perché possa esserci l’esecuzione in forma specifica: 1. l’esecuzione deve essere possibile. La possibilità può mancare per: - ragioni di fatto: quando la cosa promessa in vendita con il preliminare è perita e non esiste più o, più in generale, quando la prestazione promessa è divenuta impossibile; - ragioni di diritto: es. quando la cosa promessa in vendita non appartiene al promittente venditore (cd. contratto preliminare di vendita di cosa altrui); quando la cosa appartenente al promittente venditore al momento del preliminare sia stata nel frattempo venduta a un terzo, a meno che il preliminare non sia stato trascritto, in modo da essere opponibile al terzo; quando viene promessa in vendita una cosa incommerciabile (es. un immobile abusivo); 2. l’esecuzione non deve essere esclusa dal titolo: occorre che nel contratto non vi sia una clausola che, per il caso di inadempimento, escluda espressamente per ciascuna delle parti, di azionare il rimedio dell’esecuzione in forma specifica. In questi casi ci saranno comunque dei rimedi: risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell’obbl. di contrarre, e risarcimento degli eventuali danni subìti a causa dell’inadempienza. Prestazione di non fare (o negativa) Si tratta di un obbl. che prevede un comportamento omissivo, che si traduce in un divieto per il debitore di compiere una certa attività (= il debitore è adempiente semplicemente astenendosi dal compiere gli atti). Talvolta questa costituisce l’obbl. principale, o anche l’unica, dovuta; altre volte, si presenta come un’obbl. accessoria. Prestazione di non fare come obbl. principale: - es. patto di non concorrenza, ex art. 2596, con il quale un imprenditore si obbliga verso un altro imprenditore a non porre in essere condotte che costituiscono atti di concorrenza; - es. divieto di alienazione, ex art. 1379, si ha quando un soggetto si obbliga verso un altro soggetto a non alienare un determinato bene; per essere valido 1) deve essere convenuto entro convenienti limiti di tempo (es. non deve essere perpetuo) e 2) deve corrispondere a un apprezzabile interesse di una delle parti; - es. divieto convenzionale di locare (talvolta contenuto in alcuni regolamenti condominiali): riguarda la concessione in locazione della propria unità immobiliare a terzi che esercitino attività comportanti o un notevole afflusso, o passaggio di persone, o particolare rumore, con conseguente disturbo della quiete del palazzo (es. apertura di uno studio medico). Questi divieti non sono sempre validi perché comportano una limitazione ai diritti individuali dei singoli proprietari delle unità immobiliari: sono validi e vincolanti solo ed esclusivamente se contenuti in un regolamento condominiale cd. contrattuale, cioè approvato all’unanimità e non a semplice maggioranza (solitamente questi regolamenti sono decisi dal costruttore dell’edificio, che li farà approvare ai singoli acquirenti delle singole unità immobiliari). Prestazione di non fare come obbl. accessoria: - es. contratto di agenzia, ex art. 1742, l’obbl. principale assunta dall’agente di commercio è quella di promuovere affari per conto del preponente in una zona determinata; ma allo stesso tempo, egli è anche obbligato a non trattare affari nella zona assegnatagli per conto di altri imprenditori concorrenti con lo stesso preponente (obbl. di non fare); 36 - es. contratto di deposito, ex art. 1766, in forza del quale sorge a carico del depositario l’obbl. principale di custodire la cosa, ma anche l’obbligo di non servirsi della cosa depositata (obbl. di non fare). L’art. 1222, norma di carattere generale, esclude l’applicabilità della disciplina della mora del debitore relativamente alle obbl. di non fare -> la ragione è che, per queste obbl. che hanno ad oggetto un comportamento omissivo, è inconcepibile il concetto di ritardo. Quindi, nel momento in cui il debitore di non fare compie l’atto vietato, si rende inadempiente, e ciò comporta l’obbligo di risarcire il danno. Obbligazioni semplici e complesse L’obbl. è semplice quando, fin dall’inizio, ha ad oggetto un’unica prestazione; mentre l’obbl. è oggettivamente complessa quando ha ad oggetto due o più prestazioni. Le due o più prestazioni possono essere dedotte in via cumulativa, o in via alternativa. Obbligazione cumulativa Ha ad oggetto più prestazioni, che devono essere tutte eseguire dal debitore. Nella pratica, quasi tutti i rapporti obbligatori rilevano una complessità, perché in genere il debitore è obbligato ad una prestazione principale e ad una serie di prestazioni accessorie: - es. ex art. 1177 obbl. di custodire una cosa determinata fino al momento della consegna -> si ha una prestazione di fare accessoria ad una prestazione di dare; - es. dell’agente di commercio -> si ha una prestazione di non fare accessoria ad una prestazione di fare principale. In tal caso, il debitore che non esegue una delle prestazioni dovute è da considerarsi inadempiente, e quindi dovrà risarcire il danno ex art. 1218; inoltre, se si tratta di prestazioni contrattuali, se l’inadempimento non è di scarsa importanza nell’economia generale del contratto (art. 1455), può condurre alla risoluzione dello stesso. Obbligazione alternativa (artt. da 1285 a 1291) Ha ad oggetto due o più prestazioni in alternativa tra loro; in tal caso, ex art. 1285 il debitore si libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte in obbligazione, ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell’una e parte dell’altra -> sono dovute due o più prestazioni, ma un solo adempimento (= soltanto una deve essere eseguita): - es. T., dopo aver danneggiato un bene di C., riconosce la propria resp. e, con un contratto di transazione si impegna, in via alternativa a riparare direttamente il danno, oppure a corrispondere al danneggiato una somma pari al costo delle riparazioni; - es. T., proprietario di un terreno per il quale è previsto un frazionamento in due lotti, con un contratto preliminare, promette di vendere a C. l’uno o l’altro lotto una volta effettuato il frazionamento -> cd. vendita alternativa; - es. il testatore lascia a C., a titolo di legato, le azioni che ha della società Alfa, o in alternativa le quote della società Beta -> cd. legato alternativo. Ex art. 1286 la facoltà di scelta tra le diverse prestazioni da eseguire spetta al debitore, a meno che le parti l’abbiano attribuita al creditore o a un terzo -> l’atto di scelta della prestazione ha natura giuridica di un negozio unilaterale di tipo recettizio (= diviene efficace quando viene comunicato al destinatario). L’effetto giuridico che si produce con la scelta è quello della cd. concentrazione dell’obbligazione: con la scelta, l’obbl. da alternativa diventa semplice, e quindi viene ad avere ad oggetto un’unica prestazione (quella scelta) che il debitore dovrà eseguire per liberarsi. Qualora prima della scelta una delle prestazioni diventi impossibile, l’obbl. si concentra nella prestazione rimasta possibile; mentre, qualora l’impossibilità si verifichi dopo la concentrazione dell’obbl., per causa non imputabile a nessuna delle parti, si avrà estinzione dell’obbl., con conseguente liberazione del debitore. 37 Obbligazione facoltativa (≠ obbl. alternativa) Ha ad oggetto una prestazione (è un’obbl. semplice), ma il debitore ha la facoltà di liberarsi eseguendo una diversa prestazione, che non rientra nell’oggetto del rapporto obbligatorio (≠ l’obbl. alternativa che, finché non avviene la scelta, è oggettivamente complessa) -> es. legato di cosa altrui ex art. 651: quando oggetto di legato è una cosa non appartenente al testatore al momento dell’apertura della successione, ma ad un terzo, se il legato di cosa altrui è valido (= deve emergere la consapevolezza del testatore dell’altruità della cosa), l’onerato è obbligato a procurare al legatario la proprietà della cosa, quindi a rivolgersi al terzo per farsi trasferire la proprietà della cosa (prestazione dovuta); ma, siccome il terzo non è vincolato dal testamento, l’onerato ha facoltà di liberarsi pagando al legatario il giusto prezzo della cosa. Differenze di disciplina rispetto alle obbl. alternative: - nell’obbl. facoltativa, il creditore può pretendere dal debitore soltanto l’esecuzione della prestazione che forma oggetto di obbl., perché l’altra non è dovuta; - nell’obbl. facoltativa, in caso di inadempimento del debitore (che non esegue né la prestazione dovuta, né la facoltativa), il risarcimento del danno sarà parametrato in base alla sola prestazione dovuta, e non in base alla facoltativa; - nell’obbl. facoltativa, se la prestazione dovuta diventa impossibile per causa non imputabile al debitore, si ha estinzione dell’obbl., e non ha alcuna rilevanza che persista la possibilità di eseguire la prestazione facoltativa (perché questa non forma oggetto di obbl.). Correttezza e buona fede oggettiva In ogni rapporto obbligatorio, sulle parti incombe una generale obbligazione accessoria: ex art. 1175 il debitore e il creditore devono comportarsi secondo la regola della correttezza. La legge, tuttavia, non specifica cosa debba intendersi per correttezza, né quale sia il comportamento imposto, o vietato, alle parti per essere adempienti: ci si trova davanti ad una clausola generale (come quella sulla buona fede o sulla diligenza) che si limita a fornire al giudice un criterio per valutare nel singolo caso concreto quale sia stata la condotta delle parti. Quindi questa obbl., che non ha un contenuto predeterminabile, assume un significato che, nella sostanza, coincide con il dovere di buona fede in senso oggettivo, principio applicato in ambito contrattuale4 -> pertanto, sul piano sistematico, l’obbligo di correttezza dilata il principio di buona fede oggettiva oltre l’ambito del contratto, e per questo motivo, è possibile valutare il comportamento del creditore e del debitore sul parametro della buona fede oggettiva, indipendentemente dalla fonte da cui è sorta l’obbl. (= anche se non è sorta da contratto). In termini generali, correttezza o buona fede oggettiva tra creditore e debitore, significa che entrambi devono comportarsi lealmente, e che l’uno deve cooperare per soddisfare l’interesse dell’altro. Per decenni, la norma dell’art. 1175, come la norma dell’art. 1375 (obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto), è rimasta sostanzialmente inapplicata da parte della giurisprudenza. Tuttavia, dal 2006, la giurisprudenza ha iniziato ad attribuire all’obbl. di correttezza l’importante ruolo di dovere giuridico autonomo a carico delle parti, che esiste indipendentemente da specifici obblighi contrattuali o previsti dalla legge, con la conseguenza che, la violazione di tale obbligo costituisce di per sé inadempimento, e quindi l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato. Nello specifico, la Cassazione afferma che la correttezza è un obbligo di solidarietà, che trova fondamento nell’art. 2 Cost., e che impone a ciascuna parte di tenere tutti quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali o di legge, non rappresentano un apprezzabile sacrificio, e siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte -> a tal proposito si è parlato di obblighi di protezione, che comportano dei doveri ulteriori o accessori rispetto all’obbl. principale. In quest’ottica, la correttezza viene ad assumere una funzione integrativa del rapporto obbligatorio, imponendo a tutte le parti di osservare doveri ulteriori rispetto a quelli nascenti o dal titolo del rapporto obbligatorio, o da specifiche previsioni di legge. A tal proposito vengono in rilievo gli obblighi di informazione non previsti dalla legge o dal contratto: ogni parte deve dare all’altra tutte le informazioni idonee a preservare gli interessi di quest’ultima -> 4 Il dovere di buona fede è previsto sia nella fase delle trattative precontrattuali (art. 1337), sia in tema di interpretazione del contratto (art. 1366), sia in tema di esecuzione del contratto (art. 1375), sia in tema di pendenza della condizione (art. 1358), sia in relazione all’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.2). 40 La quietanza Il debitore che ha eseguito la prestazione (personalmente o per mezzo di ausiliario) ha diritto di ottenere dal creditore la quietanza -> ex art. 1199 c.1 il creditore che riceve il pagamento, deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza. La nozione di quietanza è condivisa da tutta la giurisprudenza: è la dichiarazione del creditore che attesta l’avvenuto pagamento o, più in generale, l’avvenuta esecuzione della prestazione da parte del debitore -> ha la natura giuridica di una dichiarazione di scienza. Tale dichiarazione ha il valore probatorio della confessione stragiudiziale, e ciò significa che costituisce piena prova dell’avvenuto adempimento. A tal proposito va ricordato il principio, pacifico in giurisprudenza, per cui il creditore che agisce per l’adempimento / per la risoluzione del contratto / per il risarcimento del danno, è tenuto soltanto a provare la fonte del suo diritto (= quindi, di essere creditore), e può limitarsi alla mera allegazione (= affermazione) dell’inadempimento della controparte; mentre grava sul debitore convenuto l’onere di sprovare l’avvenuto adempimento (= fatto estintivo della pretesa dell’attore). Da ciò ne deriva che se il debitore dovesse essere in grado di provare l’avvenuto adempimento, anche se questo è effettivamente avvenuto, la domanda del creditore deve essere accolta, ed è per questo che il debitore ha l’interesse di precostituirsi una prova documentale dell’adempimento, interesse tutelato dal diritto di ottenere la quietanza. Per quanto riguarda la forma, la quietanza deve risultare da una dichiarazione scritta; ciò che conta ai fini dell’efficacia probatoria è che la quietanza risulti provenire dal creditore, ma non occorre che egli l’abbia sottoscritta -> es. carta intestata del creditore, scrittura di pugno, timbri, etc. Per quel che riguarda il contenuto, la quietanza deve necessariamente contenere l’indicazione della prestazione eseguita (es. l’indicazione della somma pagata dal debitore). A differenza di quel che si pensa, la quietanza non comporta necessariamente la prova della avvenuta estinzione dell’obbl., perché costituisce piena prova della corretta esecuzione della prestazione indicata, ma non è detto che tale esecuzione sia idonea ad estinguere l’obbl. e liberi il debitore (es. se T. è debitore di €1000 verso C., e gli paga solo €500, C. rilascia quietanza solo per i €500 ricevuti) -> il termine giuridico “quietanza” equivale a quello di “ricevuta”. Al principio per cui la quietanza non fa presumere il pagamento di prestazioni diverse o più ampie, vi è una sola deroga -> ex art. 1199 c.2 il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi. Perché si possa presumere l’estinzione dell’obbl., occorre una particolare tipologia di quietanza: la cd. quietanza liberatoria o a saldo che, oltre ad attestare l’esecuzione di una certa prestazione da parte del debitore, contiene un’ulteriore dichiarazione con la quale il debitore riconosce l’avvenuta estinzione del debito, e il creditore dichiara di rinunciare a qualsiasi altra pretesa nei confronti del debitore stesso -> in mancanza di questa ulteriore dichiarazione, che fa diventare la quietanza pura e semplice in liberatoria, non si ha estinzione del rapporto obbligatorio. NB. Nonostante l’art. 1199 c.1 faccia riferimento al pagamento, non si riferisce soltanto alle obbl. pecuniarie, ma si estende ad ogni ipotesi di adempimento -> es. cd. verbale di consegna dell’opera da parte dell’appaltatore, firmato dal committente, che fornisce la prova che l’appaltatore ha realizzato e consegnato l’opera oggetto del contratto di appalto (prestazioni di fare e di consegnare). Adempimento del terzo (art. 1180) Anche un terzo estraneo al rapporto obbligatorio può essere legittimato ad eseguire la prestazione cui è tenuto il debitore -> un terzo, a nome proprio, si presenta spontaneamente dal creditore per eseguire la prestazione cui è tenuto il debitore. Le questioni che si pongono sono due: 1. occorre sapere se e quando il terzo sia legittimato all’adempimento e, per converso, se e quando il creditore possa rifiutare l’adempimento del terzo; 2. occorre capire, una volta che il terzo abbia adempiuto, quali siano i diritti che questi può eventualmente vantare nei confronti del debitore (rapporti interni fra terzo e debitore). 41 (1) Ex art. 1180 l’obbligazione può essere adempiuta da un terzo anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione. Tuttavia, il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione. Quindi, l’adempimento del terzo è, in linea di principio, possibile, e ha efficacia liberatoria per il debitore; tuttavia, il creditore ha la possibilità di rifiutare l’adempimento del terzo, pretendendo che sia il debitore ad eseguire la prestazione. Ciò può verificarsi in due ipotesi: 1. quando il creditore ha un obiettivo interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione, ossia quando la prestazione dovuta è infungibile -> es. un noto pittore si impegna a fare un ritratto. Pertanto, se la prestazione è fungibile e, in particolare se consiste nel pagamento di una somma di danaro, il creditore non può legittimamente rifiutare la prestazione che gli venga offerta dal terzo, perché gli è del tutto indifferente quale sia il soggetto che materialmente esegue la prestazione; 2. quando il debitore ha preventivamente manifestato al creditore la sua opposizione all’adempimento altrui (casi scolastici) -> es. T. dice al cameriere che non vuole che nessun’altro dei suoi amici paghi il conto del ristorante. NB. Il creditore ha la facoltà di rifiutare l’adempimento del terzo, non l’obbligo, quindi, se lo vorrà, potrà disattendere all’indicazione del debitore, e ottenere così l’adempimento del terzo. (2) Bisogna comprendere se, una volta adempiuto, il terzo possa ottenere il rimborso dal debitore. A tal riguardo esiste uno strumento di carattere generale, ossia la surrogazione -> ex art. 1201 il creditore, ricevendo il pagamento del terzo, può surrogarlo nei propri diritti: in tal modo, il terzo che ha pagato subentra nella posizione del creditore, e ha diritto di pretendere dal debitore il rimborso di quanto pagato (= il debitore è liberato nei confronti del creditore originario, ma diviene obbligato nei confronti del terzo). La surrogazione, però, va fatta in modo presso e contemporaneamente al pagamento (cd. surrogazione per quietanza). Bisogna comprendere se il terzo che non è stato surrogato possa pretendere il rimborso, e a tal proposito si avranno soluzioni diverse sulla base della ragione che ha spinto il terzo a adempiere: 1. se ha adempiuto per ragioni di liberalità o cortesia, non può pretendere il rimborso perché l’adempimento costituisce una donazione indiretta (= liberalità posta in essere attraverso atti diversi dal contratto tipico di donazione)5 -> es. appartamento acquistato dal figlio ma pagato direttamente dal genitore; 2. se ha adempiuto in ragione di un precedente accordo tra debitore e terzo in forza del quale il terzo doveva eseguire l’adempimento si applica la disciplina di cui all’art. 17206, con la conseguenza che se il mandatario ha anticipato di tasca propria quanto necessario per soddisfare il creditore, avrà diritto al rimborso -> es. mandato senza rappresentanza, in forza del quale il terzo mandatario si è assunto il compito di pagare il debitore del mandante; 3. se ha adempiuto in ragione di un precedente accordo di accollo interno, il rapporto interno tra debitore e terzo accollante sarà regolato dal contratto di accollo, il quale, a seconda dei casi, può prevedere o meno un diritto al rimborso; 4. se ha adempiuto in forza di una gestione di affari altrui di tipo non rappresentativo, manca un precedente accordo tra debitore e terzo, pertanto, si applica l’art. 2031, e a carico del debitore sorge l’obbl. di tenere indenne il gestore, e quindi di rimborsarlo; 5. se ha adempiuto per ragioni economiche (quindi in mancanza di un precedente accordo, in mancanza di liberalità e in mancanza della negotiorum gestio), la Cassazione con sentenza n. 2675/2016, si è espressa ritenendo che il terzo possa agire contro il debitore per ottenere l’indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 -> es. un’impresa che, avendo interesse ad aiutare un’altra impresa collegata alla stessa, paga un debito di quest’ultima; un socio che vuole salvare dal fallimento la propria società, pagandone i debiti. 5 ex art. 809, tale donazione può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli, può essere impugnata con l’azione di riduzione dai legittimari del terzo nel caso in cui la liberalità abbia comportato una lesione della quota di legittima e, inoltre, si applicano le norme in tema di collazione. 6 ex art. 1720 il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte. 42 Qualora il terzo abbia pagato il debito altrui credendosi erroneamente debitore, ex art. 2036: - se il terzo ha pagato, credendosi debitore, in base ad un errore scusabile, potrà chiedere la restituzione al creditore alle condizioni di cui all’art. 2036 (disciplina dell’indebito soggettivo); - in mancanza di un errore scusabile, ex ultimo comma, il terzo subentra nei diritti del creditore -> quindi, non si si applica la disciplina dell’indebito soggettivo, ma si ha un’ipotesi di surrogazione legale, la quale comporta che il terzo che ha pagato il debito altrui credendosi erroneamente debitori diventa il nuovo creditore (= modificazione soggettiva dal lato attivo del rapporto obbligatorio). Adempimento del terzo ≠ adempimento per mezzo di un terzo L’istituto dell’adempimento del terzo (art. 1180) non va confuso con l’adempimento per mezzo di un terzo, dove l’adempimento è riferibile direttamente al debitore che si avvale di un terzo per eseguire la prestazione. Questa differenza rileva sotto diversi profili: - la surrogazione, ex art. 1201, potrà realizzarsi solo in presenza dell’adempimento del terzo ex art. 1180, e cioè quando il terzo paga a nome proprio il debito altrui; mentre non può verificarsi quando il pagamento è stato eseguito a nome del debitore; - quando si è in presenza dell’adempimento del terzo, sarà questi ad aver diritto di ottenere la quietanza, che potrà eventualmente contenere la dichiarazione del creditore di voler surrogare il terzo nella posizione attiva; mentre, quando il debitore adempie per mezzo di un terzo, il diritto di ottenere la quietanza spetta allo stesso debitore. (2) Legittimazione della persona che riceve la prestazione Essere legittimati a ricevere l’adempimento significa poter ricevere la prestazione con effetto estintivo dell’obbl. -> se l’adempimento viene effettuato in favore di un soggetto legittimato a riceverlo, l’adempimento è esatto e, quindi, libera il debitore; se viene effettuato in favore di un soggetto privo di legittimazione a ricevere, il debitore non è liberato, e potrà, infatti, essere costretto a adempiere una seconda volta. Ovviamente, l’adempimento eseguito nei confronti di un soggetto non legittimato a riceverlo è un indebito, e il debitore potrà esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti del non legittimato. Adempimento al creditore Il soggetto legittimato è, in linea di principio, il creditore; tuttavia, in alcuni casi egli è privo di legittimazione. Ipotesi in cui il creditore non è legittimato a ricevere l’adempimento: (1) Creditore incapace -> ex art. 1190 il pagamento fatto al creditore incapace di riceverlo, o meglio al rappresentante di un credito incapace (es. genitori del minore, curatore, tutore, etc.), non libera il debitore (che quindi potrà essere costretto a pagare una seconda volta), se questi non prova che ciò che fu pagato è stato rivolto a vantaggio dell’incapace (es. il denaro è stato depositato in un c/c cointestato all’incapace). È controverso se l’art. 1190 si riferisca alla sola incapacità legale del creditore o anche alla incapacità naturale (di intendere e di volere): - secondo un primo orientamento, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 1190 anche l’incapacità naturale del creditore, pertanto, non sarebbe liberatorio il pagamento effettuato nelle mani di un creditore, che, pur essendo legalmente capace, non è di fatto capace di intendere o di volere. - secondo altro orientamento, preferibile, si ritiene non condivisibile la precedente tesi, perché il debitore, normalmente, non può verificare se, e in che misura, il creditore sia di fatto capace di intendere e di volere, perché molto spesso tale incapacità non è così evidente e pacifica (molto spesso si ricorre a perizie che possono dare risultati contrastanti). Tutt’al più si può ammettere l’applicazione dell’art. 428, in tema di incapacità naturale, e ritenere che il pagamento eseguito in favore di un soggetto incapace di intendere e di volere sia inefficace solo nelle ipotesi in cui il debitore sia in mala fede e abbia, quindi, conoscenza del fatto che il creditore non fosse capace. (2) Creditore fallito -> il pagamento non può essere effettuato in favore del creditore che, con la dichiarazione di fallimento, abbia perso la legittimazione a ricevere; ma dovrà essere effettuato in favore del curatore fallimentare. 45 REQUISITI OGGETTIVI (1) Modalità di esecuzione della prestazione Esecuzione per intero ed esecuzione parziale La prestazione deve essere eseguita per intero, infatti, ex art. 1181 il creditore può sempre rifiutare un adempimento parziale anche nel caso in cui la prestazione sia divisibile (es. pagamento somma). Il creditore ha la facoltà di rifiutare8, e può avere tale interesse al fine di a) considerare il debitore come inadempiente per l’intero, b) approfittare dell’occasione per chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento e, quindi, c) ottenere lo scioglimento di un vincolo contrattuale non voluto nemmeno dal debitore. Ovviamente, anche l’esercizio del potere del creditore di rifiutare il pagamento parziale va subordinato al rispetto della regola della correttezza e della buona fede oggettiva, con la conseguenza che, davanti ad una trascurabile difformità tra prestazione offerta e prestazione dovuta, il rifiuto del creditore potrebbe considerarsi illegittimo, e potrebbe essergli preclusa la possibilità di risoluzione del contratto per grave inadempimento del debitore. Es. T. (locatore) vuole vendere l’immobile locato a C. (conduttore) come libero (= non occupato dal conduttore), dato che un immobile libero, sul mercato, vale il 20/30% in più rispetto ad un immobile locato -> questo perché se un immobile è locato, l’acquirente deve rispettare il contratto di locazione nel quale subentra e, quindi, la platea dei potenziali acquirenti dell’immobile si restringe a coloro i quali non vogliono utilizzarlo direttamente, ma vogliono fare un investimento. Se il contratto scade dopo diversi anni, per ottenere l’immobile libero, il locatore può: - raggiungere un accordo con il conduttore e risolvere consensualmente il contratto di loc.; - attendere una morosità del conduttore nel pagamento del canone: ex art. 5 l. 392/1978, in caso di immobili ad uso abitativo, il mancato pagamento di una sola mensilità del canone costituisce, una volta decorsi 20 gg dalla scadenza del termine pattuito, inadempimento grave che, come tale, legittima il locatore a chiedere la risoluzione per inadempimento (procedimento di convalida di sfratto per morosità). Se alla scadenza del termine per il pagamento del canone il conduttore offre al locatore una somma parziale (un acconto sul canone dovuto), il creditore potrebbe avere interesse a rifiutare il pagamento parziale ex art. 1181 (per ottenere la risoluzione). Ma, se il locatore, subito dopo il rifiuto, agisce in giudizio con la domanda di convalida di sfratto per morosità, chiedendo la risoluzione del contratto adducendo il mancato pagamento dell’intera mensilità, potrebbe dirsi che stia agendo in contrasto con la regola della correttezza, abusando del proprio potere di rifiuto, e la conseguenza potrebbe essere il rigetto della domanda. Su questa linea si è posta anche la Cassazione che, con sentenza 20893/2019, ha stabilito che il rifiuto dell’adempimento parziale è legittimo ex art. 1181, ma non può costituire, di per sé, elemento giustificativo della risoluzione del contratto per inadempimento -> il rifiuto dell’adempimento parziale può legittimare il creditore esclusivamente ad agire in giudizio per ottenere l’intero, ma non per ottenere la risoluzione del contratto. La richiesta di risoluzione può essere giustificata solo in presenza di altre e pregresse inadempienze (va valutata l’importanza dell’adempimento, art. 1455). Regola della diligenza Poi, ex art. 1176 c.1 nell’adempiere l’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia -> se non viene osservata tale regole, si ha colpa del debitore. Questa regola è seguita da una regola più specifica che si occupa dei casi in cui si debbano adempiere obbl. inerenti all’esercizio di una attività professionale (o anche imprenditoriale, es. bancaria): ex c.2 la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata -> è richiesta una diligenza qualificata e specifica (e non quella dell’uomo medio), il cui grado varia a seconda del tipo di attività dovuta e svolta dal debitore. L’art. 1176 pone una clausola generale, e non descrive in modo preciso il comportamento imposto, limitandosi a fornire al giudice un criterio per valutare la condotta nel singolo caso concreto; pertanto, 8 Essendo una facoltà, può anche non avvalersene e accettare un pagamento parziale (es. acconto), salvo il diritto ad ottenere la parte rimanente della prestazione. 46 la diligenza è un’obbl. che non ha un contenuto predeterminabile, ma che va valutata di volta in volta in base alle circostanze del caso concreto. Profili della diligenza sono la cura, la cautela e la perizia che devono essere usate dal debitore nell’esecuzione della prestazione -> la loro violazione darà luogo a colpa, che può consistere in: - negligenza: trascuratezza, disattenzione, superficialità o dimenticanza, diverse a seconda del tipo di attività professionale svolta dal debitore. Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha provveduto a tipizzare gli obblighi di diligenza incombenti su diverse categorie professionali: • es. avvocato -> l’obbligo di diligenza qualificata si traduce in varie attività esigibili dal creditore/cliente nei confronti del professionista, sia al momento di conferimento del mandato, sia durante lo svolgimento del rapporto professionale. Costituisce negligenza dell’avvocato: l’omesso deposito di un atto difensivo entro il termine perentorio; la mancata o la tardiva impugnazione che comporta il passaggio in giudicato della sentenza sfavorevole al proprio assistito; etc. (questi sono atti dovuti); ma anche la mancata informazione o la mancata dissuasione del cliente (es. il non dissuadere il cliente dal voler intentare una causa del tutto infondata); • es. notaio -> la diligenza richiesta non riguarda solo l’attività di redazione di un atto, ma si estende a tutte le attività preparatorie e successive all’atto. Costituisce negligenza del notaio: l’omessa visura ipotecaria e catastale (= prima di procedere al trasferimento della proprietà di un immobile, deve verificare che questo sia libero e disponibile, quindi che non vi siano diritti reali minori, pesi, ipoteche); la ritardata trascrizione dell’atto da lui rogato; la mancata redazione dell’inventario dei beni ereditati entro il termine stabilito (3 mesi, prorogabile di 3); • es. tecnici progettisti -> costituisce negligenza la redazione di un progetto che in concreto risulta irrealizzabile perché in contrasto con prescrizioni urbanistiche; - imprudenza: avventatezza, fretta ingiustificata, mancata cautela (raramente viene in rilievo); - imperizia: mancanza di abilità tecnica, di cultura, di capacità professionale, da valutare in relazione alle regole previste per l’attività professionale svolta (anche se non codificate). L’art. 2236 prevede una deroga: se la prestazione dovuta dal professionista implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (es. intervento chirurgico), il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave (= non risponde per colpa lieve). La Corte costituzionale ha precisato che tale limitazione vale soltanto quando venga in rilievo la colpa per imperizia del professionista, e non anche quando venga in rilevo la colpa per imprudenza e negligenza. Il criterio della diligenza nell’adempimento è formulato dal cc. come un criterio generale, e dunque dovrebbe valere per qualsiasi tipo di obbl.; tuttavia, assume specifica rilevanza soltanto in relazione alle obbl. di mezzi -> infatti, in tal caso il debitore si considera adempiente se esegue la prestazione con il dovuto grado di diligenza (anche se non si verifica il risultato utile per il creditore), e inadempiente se versa in colpa (= la diligenza è un parametro fondamentale per valutare l’esattezza dell’adempimento). Invece, per le altre obbligazioni (di dare, di risultato, di contrarre e di non fare) la diligenza, sempre dovuta, non è un criterio idoneo e sufficiente a valutare l’esattezza della prestazione, perché in questi casi, il debitore è inadempiente se, nonostante la diligenza, non si verifica il risultato utile per il creditore -> in questi casi, il debitore si libera da resp. dimostrando che l’inadempimento è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile (art. 1218), e non dimostrando la propria diligenza. Quindi, l’ambito di applicazione dell’art. 1176, in particolare del c.2, è abbastanza ridotto. 47 (2) Tempo di esecuzione della prestazione Il tempo di esecuzione della prestazione (artt. 1183-1187) rappresenta il termine di adempimento dell’obbl., cioè il termine entro il quale, o durante il quale, la prestazione deve essere eseguita. In presenza di una obbl. derivante da contratto bisogna distinguere tra i concetti di: - termine di adempimento dell’obbligazione, al quale si riferiscono le norme di cui sopra; - termine di efficacia del contratto dal quale deriva l'obbligazione: infatti, un contratto può essere sottoposto a termine iniziale o finale. Tale termine è un elemento accidentale del contratto, che ha la funzione di delimitare il momento a partire dal quale (momento iniziale), o sino al quale (momento finale), il contratto produce i suoi effetti, e uno di questi effetti è quello di rendere dovuta la prestazione -> es. i contratti di assicurazione prevedono un termine iniziale e un termine finale di efficacia, e se entro l’arco temporale di durata della polizza si verifica l’evento assicurato (es. incendio), l’assicuratore dovrà pagare l’indennizzo al danneggiato/assicurato; l’obbligo di pagamento deriva, oltre che dal verificarsi dell’evento, anche dal contratto, e deve essere adempiuta entro un certo termine indicato nello stesso. Quando un’obbl. ha fonte in un contratto sottoposto a termine iniziale di efficacia, non si è in presenza di una obbl. a termine (= obbl. esistente, ma non ancora esigibile dal creditore), ma di una obbl. futura (non ancora sorta), perché fino a quando non cade il termine iniziale, il contratto non produce i suoi effetti, e quindi non sorgono le obbl. previste dal contratto stesso. La conseguenza è che le norme dettate in tema di termine dell’obbligazione, o di tempo dell'adempimento, in linea di principio non sono applicabili al termine del contratto. Determinazione del termine di adempimento dell’obbligazione Ex art. 1183 c.1 se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente. Qualora tuttavia, in virtù degli usi, o per natura della prestazione, ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo tra le parti, è stabilito dal giudice; ex c.2 se il termine per l’adempimento è rimesso alla volontà del debitore, spetta comunque al giudice stabilirlo secondo le circostanze. Se è rimesso alla volontà del creditore, il termine può essere fissato su istanza del debitore che intende liberarsi. In forza di quanto risulta questa norma, in concreto, possono profilarsi quattro diverse situazioni: 1. Termine stabilito dal titolo (cioè dalle parti interessate) -> es. in una clausola contrattuale le parti individuano il termine delle varie obbl. che derivano dal contratto. Le parti sono libere di determinare, in piena autonomia, il tempo dell’adempimento; tuttavia, esiste una importante deroga, apportata dal d.lgs. 231/20029 il quale prevede una regola specifica che riguarda solo le cd. transazioni commerciali, ossia i contratti dai quali deriva un’obbl. di pagare una somma a titolo di corrispettivo per la fornitura di merci, o la prestazione di servizi stipulati tra imprenditori, o tra liberi professionisti, o tra imprenditori e liberi professionisti, o tra imprenditori/liberi professionisti e PA -> campo di applicazione molto ampio, perché pur essendo limitato alle sole obbl. pecuniarie, in realtà si riferisce a qualsiasi contratto stipulato tra questi soggetti. In questi casi, è nullo ogni accordo sulla data del pagamento che risulti gravemente iniquo a danno del creditore (es. clausole che stabiliscono termini di pagamento molto ampi) -> lo scopo è quello di contrastare situazioni di abuso a danno di piccole-medio imprese o di liberi professionisti: infatti, i contraenti forti (grandi imprese, PA) normalmente impongono tempi di pagamento molto ampi, mettendo in difficoltà la controparte che deve eseguire il servizio o la fornitura di merci, per poi incassare a distanza di molti mesi. Il d.lgs. 231/2002 dispone che qualora la clausola contrattuale preveda un termine gravemente iniquo e dunque sia nulla, o qualora il termine per il pagamento non sia stabilito nel contratto, per il pagamento vada applicato il termine legale di 30 gg, decorrente dal ricevimento della fattura da parte di chi ha fornito la merce o reso il servizio -> decorso inutilmente tale termine, decorrono in favore del creditore, automaticamente e senza bisogno di costituzione in mora, gli interessi a un tasso di molto superiore a quello legale. 9 Emanato in attuazione della direttiva n.2000/35 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. 50 Una volta verificatosi il fatto che comporta per il debitore la decadenza dal beneficio del termine, la decadenza non opera in maniera automatica, ma deve essere fatta valere dal creditore, che ha l’onere di effettuare una richiesta scritta di pagamento immediato al debitore (atto unilaterale recettizio, che quindi produce effetti dal momento in cui viene ricevuto dal debitore) -> è rimessa al creditore la scelta se far valere o meno la decadenza del debitore dal beneficio del termine. La mora del debitore Quando il debitore non esegue la prestazione entro il termine stabilito, si verifica una situazione di ritardo nell’esecuzione della prestazione, che, in presenza di alcuni presupposti, può essere configurato come una particolare ipotesi di inadempimento che prende il nome di mora del debitore. Va tenuto presente che, per definizione, la mora costituisce un ritardo, ma che il ritardo non necessariamente costituisce mora del debitore: per poter considerare il debitore in mora non è sufficiente il mancato rispetto del termine dell’obbligazione, ma ex art. 1219 c.1, occorre un atto formale, ossia la costituzione in mora che consiste in un’intimazione o richiesta scritta12 di adempiere rivolta dal creditore al debitore -> cd. mora ex persona (= per provocarla è necessario l’intervento della persona del creditore). Tuttavia, in alcuni casi, la formale costituzione in mora ex art. 1219 c.1 è superflua, e si parla della cd. mora automatica (o mora ex re) -> ex art. 1219 c.2 non è necessaria la costituzione in mora: 1. quando il debito deriva da fatto illecito; 2. quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l'obbligazione; 3. quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore (es. in caso di obbligazioni pecuniarie ex art. 1182). A questi casi di mora automatica va aggiunto quello del d.lgs. 231/2002 (in tema di transazioni commerciali) -> qualora la clausola contrattuale preveda un termine gravemente iniquo e dunque sia nulla, o qualora il termine per il pagamento non sia stabilito nel contratto, per il pagamento si applica il termine legale di 30 gg, decorrente dal ricevimento della fattura da parte di chi ha fornito la merce o reso il servizio -> e decorso inutilmente tale termine, decorrono in favore del creditore, automaticamente e senza bisogno di costituzione in mora, gli interessi a un tasso di molto superiore a quello legale (attualmente il tasso ammonta all’8%) -> i casi di mora automatica sono 4. NB Il ritardo costituisce inadempimento solo nei casi di mora automatica, mentre, in ogni altro caso, costituisce inadempimento solo se, e solo da quando, il creditore abbia costituito in mora il debitore attraverso l’intimidazione o richiesta scritta di pagamento. La ragione per cui l'art. 1219 richiede la costituzione in mora costituisce il retaggio di un antico favor debitoris: il ritardo del debitore nell’adempimento si presume tollerato dal creditore, sul quale, quindi, incombe l'onere (per vincere la presunzione) di attivarsi inviando formalmente al debitore la richiesta della prestazione. Gli effetti della mora si producono soltanto quando ne ricorrano i presupposti, quindi, o quando c’è stata l’intimazione scritta, o quando si versi in una delle ipotesi di mora automatica; ovviamente questi effetti non si producono in presenza di un semplice ritardo. Gli effetti sono tre: 1. la cd. perpetuatio obligationis*, ossia l’aggravamento del rischio del debitore; 2. l’obbligo del risarcimento del danno causato dal ritardo; 3. l’interruzione della prescrizione ex art. 2943 (= dal gg della costituzione in mora il termine di prescrizione ricomincia a decorrere da 0). *Perpetuatio obligationis -> ex art. 1221 c.1 il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (quindi ne risponde ugualmente, in deroga alla regola generale di cui all’art. 1256); la ratio di questa previsione risiede nel fatto che il debitore, non avendo eseguito tempestivamente la prestazione, si è posto da solo nelle condizioni di non poterla eseguire. 12 L’atto con il quale il debitore (o il suo avvocato) richiede il pagamento deve essere un atto scritto, che può consistere in una lettera raccomandata, in una PEC, in una domanda giudiziale contenente una richiesta di adempimento, o anche una domanda arbitrale; conseguentemente, non è idoneo a costituire in mora il debitore un qualsiasi sollecito di pagamento (es. una serie di telefonate). 51 Sempre ex c.1, però, il debitore in mora, in caso di impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile, può liberarsi provando che l'oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore; ciò può verificarsi quando l’obbl. consiste nella consegna di una cosa determinata che sia perita per caso fortuito o forza maggiore dopo la costituzione in mora -> es. al momento della cessazione del contratto di locazione, il conduttore non restituisce il bene al locatore; ma successivamente la restituzione diventa impossibile a causa di una valanga che distrugge il bene locato (che sarebbe perito anche se consegnato tempestivamente al locatore). Infine, questa prova liberatoria viene esclusa se la cosa perita per causa non imputabile al debitore sia stata illecitamente sottratta -> ex art. 1221 c.2 in qualunque modo sia perita o smarrita una cosa illecitamente sottratta, la perdita di essa non libera chi l'ha sottratta dall'obbligo di restituirne il valore (es. un ladro risponde sempre della mancata restituzione della cosa, anche se la stessa perisce per caso fortuito, e se sarebbe cmq perita presso il creditore). (3) Luogo di esecuzione della prestazione Per aversi esatto adempimento il debitore deve osservare le regole che riguardano il luogo ove la prestazione deve essere eseguita. La determinazione del luogo dell’adempimento produce effetti sia sul piano sostanziale, che sul piano processuale: - sul piano sostanziale, permette di individuare il soggetto che dovrà sostenere i costi legati al trasposto delle cose oggetto della prestazione, oppure il soggetto che dovrà recarsi dall’altro ai fini dell’esecuzione (e sopportare il costo dello spostamento, anche in termini di tempo); - sul piano processuale, rileva ai fini della competenza territoriale dell’autorità giudiziaria, infatti, nelle cause relative ai rapporti obbligatori, ex art. 20 cpc., è territorialmente competente il giudice del luogo in cui è sorta, o in cui deve eseguirsi, l'obbl. dedotta in giudizio: e il luogo in cui deve eseguirsi l’obbl. è il luogo dell’adempimento di cui all’art. 1182. Questi fori concorrono con il foro generale di cui all’art. 18 cpc. (quello della residenza o del domicilio del convenuto) -> es. in un contratto fra una società di Ud e una di Roma si conviene che la prestazione debba essere eseguita a Ud. Se sorge una controversia, e la società di Ud vuole convenire l’altra società in giudizio (perché inadempiente), secondo la regola generale, il foro competente è quello della sede del convenuto (Roma), ma trattandosi di una causa in materia di obbl., in alternativa, è competente anche il giudice del luogo in cui deve eseguirsi l’obbl. (Udine); pertanto, la società di Ud può convenire la società di Roma davanti al tribunale di Ud, risparmiando costi e tempi. Determinazione del luogo Ex art. 1182 c.1 la regola generale è quella dell’autonomia privata (= il luogo dell’adempimento è quello stabilito dalle parti nel titolo dell’obbl.), ma, se il titolo dell’obbl. non dispone nulla con riferimento al luogo, si applicano in ordine gerarchico gli altri tre criteri menzionati dalla norma, e il luogo viene determinato in base agli usi, alla natura della prestazione, oppure ad altre circostanze. Per quel che riguarda gli usi, parte della dottrina ritiene che rilevino sia gli usi normativi (= la consuetudine), sia gli usi negoziali (= prassi che pur non presentando i caratteri della consuetudine risultano consolidate, o nel contesto socio-economico in cui si inserisce l'operazione contrattuale, o nell'ambito dei rapporti che abitualmente intercorrono tra le parti interessate); invece, la giurisprudenza ritiene che rilevino soltanto gli usi normativi. Gli altri due criteri sono vaghi, e la loro valutazione è legata al singolo caso concreto (e quindi alla discrezionalità dell’interprete); tuttavia, in alcuni casi, la determinazione del luogo dell’adempimento in base alla natura della prestazione è frequente e agevole -> es. l’obbl. di ristrutturare un bene immobile, assunta da un’impresa edile in forza di un contratto di appalto, va adempiuta, e non può che essere adempiuta, presso l’immobile stesso (il luogo è implicito, non serve specificarlo). Se nessuno dei criteri individuati dal c.1 può trovare applicazione, subentrano le regole suppletive dettate dai commi successivi: - ex c.2 l'obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel luogo in cui si trovava la cosa quando l'obbligazione è sorta -> es. nel luogo in cui è stato concluso il contratto dal quale deriva l’obbl. di consegnare una cosa determinata (NB. in tema di vendita di cose mobili, l’art. 1510 detta regole speciali); 52 - ex c.3 l'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza; se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando è sorta l'obbligazione e ciò rende più gravoso l'adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio -> questo criterio (del domicilio del creditore) si applica solo alle obbl. di valuta (che hanno ad oggetto, fin dall’origine, una determinata somma di denaro), e non alle obbl. di valore (tra le quali quelle aventi ad oggetto il risarcimento del danno, per inadempimento o per fatto illecito); - ex c.4 negli altri casi l'obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza -> si tratta di una regola di chiusura, che vale per tutti i casi in cui non sia stato determinato, o non sia determinabile, il luogo dell'adempimento dell’obbl. (4) Identità della prestazione Ex art. 1197 c.1 il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta; questa fattispecie è detta prestazione in luogo dell’adempimento, o cd. datio in solutum (DIS) -> es. un debitore di una somma di danaro in crisi di liquidità, e quindi non in grado di eseguire la prestazione dovuta, chiede al proprio debitore di accettare, in sostituzione del danaro, un pacchetto azionario di sua proprietà. La prestazione dovuta, e quella diversa consentita dal creditore possono avere qualsiasi oggetto (prestazione in dare in luogo di una diversa prestazione di dare; prestazione di fare in luogo di una prestazione di dare, etc.); il consenso del creditore è elemento essenziale, anche se la diversa prestazione è di valore superiore rispetto alla dovuta, e ciò indica l’esistenza di un contratto tra creditore e debitore -> la DIS ha natura giuridica di contratto13. Sempre il c.1 della norma dispone che, quando il creditore consente di ricevere una prestazione diversa, il debitore è liberato dall’obbl. originaria, non nel momento in cui il creditore consente a ricevere la diversa prestazione (= momento di conclusione del contratto di DIS), ma quando la diversa prestazione viene materialmente eseguita -> pertanto, fino a quando non viene materialmente eseguita la nuova prestazione, quella dovuta dal debitore rimane quella originaria. In altri termini, il consenso del creditore non è sufficiente ad estinguere l’obbl., ma attribuisce al creditore la facoltà di estinguere l’obbl. con una prestazione diversa da quella originaria, che rimane pur sempre quella dovuta. Il fatto che fino al momento in cui non viene materialmente eseguita la nuova prestazione, quella dovuta dal debitore rimane quella originaria, comporta delle conseguenze: - in caso di inadempimento (= debitore che non esegue alcuna prestazione), l’unica prestazione di cui il creditore potrà pretendere l’esecuzione sarà quella originaria; - se prima che sia eseguita la diversa prestazione, quella originaria diventa impossibile per causa non imputabile al debitore, si ha estinzione dell’obbl., anche se la diversa prestazione pattuita in luogo dell’adempimento è ancora possibile. Questa situazione è simile a quella che si verifica in caso di obbligazioni facoltative, ma vi è una differenza: mentre nella DIS la possibilità per il debitore di liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta costituisce il frutto di un accordo successivo alla nascita del rapporto obbligatorio, nell’obbl. facoltativa questa possibilità sussiste fin dalla nascita del rapporto obbligatorio, in forza di una apposita pattuizione contenuta o nel contratto da cui nasce l’obbl., o in forza di una norma di legge, come accade nel legato di cosa altrui (vedi sopra). Il fatto che affinché la DIS diventi efficace nel senso di liberare il debitore dalla obbl. originaria, occorra l’esecuzione materiale della diversa prestazione, ha indotto parte della dottrina a qualificare la DIS come contratto reale (= contratti che si perfezionano con la consegna della cosa). Tuttavia, occorre tenere presente che, con la DIS, la nuova prestazione che il creditore consente di ricevere non è necessariamente una prestazione di dare, ma può essere anche di fare o non fare, e quindi non suscettibile di consegna. Pertanto, è possibile accogliere tale orientamento soltanto in senso lato: la DIS non è un contratto che si perfeziona con la consegna di una cosa, ma, più in generale, produce l’effetto liberatorio con l’effettiva esecuzione della prestazione consentita dal creditore. 13 Si richiamano le norme generali sul contratto es. quella sulla forma: ex art.1325, n.4, la forma, in linea di principio, è libera, salvo, a pena di nullità, l’obbligatorietà della forma scritta se oggetto è un bene immobile. 55 semplice offerta alla buona della prestazione; ovviamente, la mora non viene evitata se il creditore rifiuta la prestazione per un motivo legittimo; 2. poi, può provocare la mora il creditore*, che ex art. 1206 può aversi in due casi: a. se il creditore rifiuta illegittimamente di ricevere la prestazione offertagli dal debitore; b. se il creditore non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere la prestazione, cioè se tiene un comportamento che non mette il debitore in condizione di eseguire la prestazione (onere della collaborazione del creditore); 3. infine, se l’inadempimento del creditore persiste, può ottenere la propria liberazione dal debito; infatti, va tenuto presente che, eccetto quando la prestazione diventa impossibile per causa non imputabile al debitore, il debitore che ha costituito in mora il creditore continua ad essere tenuto ad eseguire la sua prestazione -> es. in caso di obbl. pecuniarie, tra gli effetti della mora del debitore vi è quello per cui dal gg della mora del creditore non sono più dovuti gli interessi, ma la somma dovuta continua a dover essere pagata, quindi, il debitore continua ad essere vincolato dal rapporto obbligatorio. La liberazione dal debito, ex artt. 1210 ss., può verificarsi con il deposito della somma dovuta ad una banca, o con il deposito delle altre cose mobili nel luogo indicato dal giudice, oppure, con la consegna ad un sequestratario nominato dal giudice delle cose immobili. Il deposito va effettuato con minuziose formalità, e libera il debitore quando è accettato dal creditore, o quando è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato. Quindi, quando manca l’accettazione del creditore tanto all’offerta formale quanto al successivo deposito, gli effetti dell’offerta e gli effetti del deposito, si producono soltanto dal momento in cui passa in giudicato la sentenza accerta che il rifiuto del creditore a ricevere la prestazione è ingiustificato (se la sentenza accerta che il rifiuto era legittimo, es. perché la prestazione offerta non era quella effettivamente dovuta, questi effetti non si producono). *Costituzione in mora del creditore Per costituire in mora il creditore, il debitore, tramite un pu., deve effettuare un’offerta formale (/offerta solenne), i cui requisiti di validità, ex art. 1208, sono diretti ad assicurare non solo la corrispondenza fra prestazione offerta e prestazione dovuta, ma anche il rispetto di tutte le altre regole sull’esatto adempimento (tempo, luogo, soggetti, etc.). L’offerta solenne può essere effettuata in due modi, a seconda del tipo di obbl.: - in caso di obbl. pecuniarie o di consegna di cose mobili al domicilio del creditore, l’offerta deve essere reale: il pu., su richiesta del debitore, deve presentarsi dal creditore con il danaro o con le cose mobili; - in caso di obbl. di consegna di beni immobili o cose mobili in un luogo diverso dal domicilio del creditore o obbl. di fare, l’offerta deve essere fatta per intimazione a ricevere: il debitore, per mezzo di un uff. giudiz., deve notificare al creditore la richiesta di ricevere la prestazione. Per le sole obbl. di fare, l’art. 1217 c.2 ammette che in alternativa all’offerta per intimazione, questa sia fatta nelle forme d’uso (meno formale). Una volta fatta l’offerta 1) il creditore può accettarla, e allora il debitore sarà liberato, ma può anche accadere che 2) il creditore rifiutarla, e in tal caso, è necessario un controllo del giudice, che accerti, con sentenza, l’esistenza dei requisiti dell’offerta, e quindi l’illegittimità del rifiuto del creditore (= in questo caso il creditore sarà considerato in mora sin dal momento in cui l’offerta è stata rifiutata). Ex art. 1207 gli effetti della costituzione in mora del creditore sono: 1. l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore è considerata a carico del creditore -> il debitore conserva il diritto alla controprestazione, (es. al pagamento del prezzo della cosa perita), anche se il creditore non potrà più ricevere la prestazione, in quanto diventata impossibile; 2. non sono più dovuti dal debitore interessi sulle somme di danaro; 3. sono dovuti dal creditore sia il rimborso per le spese di custodia della cosa che il debitore abbia dovuto affrontare a casa dell’illegittimo rifiuto del creditore di ricevere la prestazione, sia il risarcimento dei danni che il debitore abbia subìto a causa della mora del creditore. 56 Con riferimento al primo effetto. Va tenuto presente che, da un lato, ex art. 1218, il creditore sopporta sempre il rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore -> se il debitore prova che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile non è inadempiente, quindi, il rischio incombe sul creditore, a meno che il debitore sia in mora quando la prestazione diventi impossibile (regola della perpetuatio obligationis). D’altra parte, va tenuto conto che, per evitare la propria mora è sufficiente, per il debitore, effettuare un’offerta alla buona della prestazione (art. 1220), e non una formale (quella che mette in mora il creditore). NB Se un’offerta alla buona impedisce la mora del debitore (e quindi l’applicazione della regola della perpetuatio obligationis), è applicabile la regola generale dell’art. 1218 (rischio della sopravvenuta impossibilità a carico del creditore), ma allora ci si chiede a cosa serve l’offerta formale ai fini del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore. Va considerato che il debitore potrebbe avere interesse a non accontentarsi di evitare la propria mora, e quindi effettuare l’offerta formale mettendo in mora il creditore, nei casi di contratti a prestazioni corrispettive in cui vuole continuare ad esigere dal creditore la controprestazione anche se la propria prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile -> es. T. deve consegnare al domicilio di C. un quadro che questi ha acquistato, e deve riscuoterne il prezzo; ma C., creditore della consegna del quadro, rifiuta illegittimamente di riceverlo: - se C. viene messo in mora tramite offerta reale, T. (debitore della consegna, ma creditore del prezzo) conserva il diritto ad esigere il pagamento del prezzo anche se il quadro viene distrutto per incendio fortuito -> infatti, quando il debitore (C.) è in mora, il creditore (T.) continua ad esigere la propria prestazione, non trovando applicazione l’art. 1463 che prevede la risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore, che precluderebbe a T. di esigere il pagamento; - se, invece, T. pone in essere un’offerta alla buona, e la prestazione diventa impossibile per causa a lui non imputabile, l’offerta alla buona consente a T. di non essere considerato in mora e di essere liberato dall’obbl. per sopravenuta impossibilità, ma non di esigere la controprestazione, perché il contratto si risolve per sopravvenuta impossibilità ex art. 1463. 57 L’ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE L’adempimento rappresenta il tipico e fisiologico fatto estintivo dell’obbl., proprio perché l’esatta realizzazione della prestazione dovuta consente al creditore di ottenere quanto perseguito. Ma il legislatore ha disciplinato alcune ipotesi in cui, pur in mancanza dell’adempimento, il rapporto obbligatorio si estingue ugualmente -> si parla di modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, disciplinati ex artt. da 1230 a 1259; questi si distinguono in: - modi satisfattori: procurano al creditore una qualche utilità, anche se diversa dal conseguimento della prestazione dovuta (NB. solo l’adempimento è pienamente satisfattorio) -> a) compensazione; b) confusione; - modi non satisfattori: non procurano al creditore alcuna utilità -> a) novazione; b) remissione; c) sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore. Tuttavia, questi non sono gli unici modi di estinzione dell’obbl. diversi dall’adempimento. Altro esempio è la prescrizione (libro VI) -> se un diritto di credito si estingue per prescrizione, e il creditore rimane inerte per un dato termine individuato dalla legge, anche il corrispondente debito viene meno. Inoltre, l’obbl. contrattuale si estingue quando viene meno il contratto dal quale l’obbl. deriva (es. per annullamento, rescissione, risoluzione, scioglimento contratto, avveramento condizione risolutivo, se ammesso recesso unilaterale). Invece, per regola generale, la morte di una delle parti del rapporto non costituisce causa di estinzione dell’obbl.: crediti e debiti si trasmettono agli eredi, salvo i rapporti intrasmissibili agli stessi (quelli aventi carattere strettamente personale). COMPENSAZIONE Ex art. 1241 quando due persone sono obbligate l’una versa l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. In questa situazione due soggetti sono reciprocamente, e in forza di due rapporti patrimoniali distinti, creditore e debitore l’uno dell’altro -> es. T. deve €100.000 a C. in forza del contratto X, e al contempo C. deve €100.000 a T. in forza del contratto Y. La compensazione per quantità corrispondenti opera anche quando le somme rispettivamente dovute sono diverse, con la conseguenza che il debitore della somma maggiore si libera pagando la differenza tra la somma originariamente dovuta e quella che risulta a seguito della compensazione -> es. se T. deve a C. €100.000 e C. gli deve €30.000, la compensazione si verifica per €30.000, quindi, T. dovrà a C. soltanto €70.000. Requisito indispensabile perché possa parlarsi di compensazione in senso tecnico (e quindi perché possa applicarsi la relativa disciplina) è che i reciproci debiti abbiano la propria fonte in rapporti giuridici diversi: requisito della cd. autonomia dei rapporti (= non corrispettività delle obbligazioni) La giurisprudenza ritiene che quando reciproci debiti derivano dal medesimo rapporto vi sia cd. compensazione impropria (che consiste in un mero conteggio di dare e avere tra le parti) -> es. in forza di un contratto di appalto, l’appaltatore chiede il pagamento del corrispettivo; tuttavia, l’opera è stata realizzata in ritardo, e il committente, a sua volta, in forza di una clausola contenuta nel suddetto contratto, richiede il pagamento della penale. In tal caso vi è un unico rapporto tra le parti (contratto di appalto), pertanto, non trova applicazione la disciplina della compensazione (non operano limiti e divieti, vedi sotto), e in caso di controversia tra le parti, il giudice può determinare la somma che all’esito del conteggio risulterà dovuta da una delle parti all’altra, senza che sia necessaria l’eccezione di parte in senso tecnico (da proporsi, a pena di decadenza, con comparsa di risposta da depositarsi in cancelleria almeno 20 gg prima della prima udienza). Compensazione legale Compensazione che opera in modo automatico, purché ricorrano i requisiti di cui all’art. 1243 c.1: 1. omogeneità: i reciproci debiti devono avere entrambi per oggetto somme di danaro, o eventualmente quantità di cose fungibili dello stesso genere; 2. liquidità: entrambi i liquidi debbono essere determinati nel loro ammontare; 3. esigibilità: i debiti non debbono essere sottoposti a condizione sospensiva, o a termine non ancora scaduto. Non sono mai esigibili i debiti nati da obbl. naturali, perché il creditore non può mai pretenderne l’adempimento (vedi sopra). 60 Elementi della novazione 1. cd. aliquid novi, ossia la diversità della nuova obbl. rispetto a quella originaria; 2. cd. animus novandi (o intendo novativo), ossia la volontà delle parti di estinguere, come conseguenza dell’accordo, l’obbl. originaria, e di sostituirla con una nuova. 1) Aliquid novi (elemento oggettivo) La nuova obbl. può essere diversa da quella originaria per (a) l’oggetto o per (b) il titolo. (a) Se la nuova obbl. è diversa per oggetto si parla di novazione reale: in tal caso, le parti sostituiscono la prestazione originariamente dovuta con una diversa; le prestazioni possono avere qualsiasi oggetto (= DIS) -> es. prestazione di dare sostituita con una prestazione di fare. Gli effetti però differiscono da quelli della DIS: - per effetto della DIS (che ha natura di contratto), il debitore non è liberato dall’obbligo di eseguire la prestazione originaria, ma si libera solo eseguendo la diversa prestazione consentita dal creditore; - per effetto della novazione reale, invece, il debitore è liberato immediatamente dalla obbl. originaria e, al posto di questa, è obbligato ad eseguire la nuova prestazione. (b) Se la nuova obbl. è diversa per titolo si parla di novazione causale: in tal caso cambia il titolo (o causa) dell’obbl. -> es. nella prassi bancaria può accadere che si convenga una novazione di un debito nascente da fideiussione con un debito derivante da mutuo garantito da ipoteca -> T. firma una fideiussione in favore di una banca, e a garanzia del debito di C.; C., debitore principale, non paga, e la banca si rivolge a T., che però non ha la liquidità necessaria per soddisfare la banca stessa; allora, fideiussore e banca possono pattuire di novare il debito nascente dalla fideiussione con un debito derivante da un mutuo garantito da ipoteca su un bene di T. Dal punto di vista del debitore, l’interesse è quello di vedere rateizzato il proprio debito, mentre la banca può avervi interesse perché consegue una garanzia reale (ipoteca) al posto di una reale (fideiussione). !! Dal punto di vista oggettivo, non vi è novazione qualora le parti pattuiscano novazioni che attengano alle modalità di attuazione dell’obbl. (es. se modificano il tempo in cui adempiere); né quando le parti trovino un accordo per modificare soltanto il quantum della prestazione dovuta (es. se conduttore e locatore stipulano un accordo di riduzione del canone). 2) Animus novandi (elemento soggettivo) Elemento che distingue la novazione reale dalla DIS: si tratta della volontà del debitore e del creditore di estinguere l’obbl. originaria, che deve sussistere in capo ad entrambi e deve risultare in modo non equivoco (art. 1230 c.2) -> quindi, se la volontà di estinguere la precedente obbl. non è desumibile con certezza non si sarà in presenza di novazione, ma di DIS e quindi l’obbl. originaria non sarà estinta. Vizi del titolo originario Ex art. 1234 c.1 la novazione è senza effetto se non esisteva l’obbligazione originaria; ex c.2 qualora l’obbligazione originaria derivi da un titolo annullabile, la novazione è valida se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario. Se l’obbl. originaria non esisteva (es. era contemplata in un contratto nullo), siccome questa costituisce la ragione giustificativa della nuova obbl. convenuta con la novazione, in mancanza dell’obbl. originaria, la novazione non può che essere senza effetto, e la conseguenza di ciò è che il creditore non potrà pretendere l’adempimento né della prestazione originaria né di quella nuova. Se l’obbl. originaria derivava da un titolo annullabile (es. per dolo o violenza morale), l’obbl. esiste perché il contratto annullabile è efficace fino a quando non viene annullato con sentenza, ma l’annullamento del contratto travolge anche la novazione, a meno che il debitore non abbia assunto il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario -> in tal caso, la novazione comporta una convalida del titolo originario. Il caso in cui vi sia novazione di una obbl. già estinta per prescrizione non è regolato dalla legge, e deve applicarsi per analogia l’art. 1234 c.2 -> poiché è possibile rinunciare alla prescrizione, anche tacitamente, una volta che questa si è compiuta (e non preventivamente), ben si può ritenere che, se il debitore era consapevole della ormai maturata prescrizione e, nonostante ciò, ha concluso la novazione, la novazione sia valida ed efficace. 61 Contratto novativo invalido o inefficace Il contratto di novazione può essere, per ragioni autonome (non legate al titolo originario), invalido o inefficace (es. contratto sottoposto ad una condizione risolutiva che si verifica, facendo venire retroattivamente meno l’efficacia della novazione stessa) -> in questi casi, secondo la giurisprudenza, viene meno la nuova obbl. convenuta con quel contratto, e quindi rivive l’obbl. originaria. REMISSIONE DEL DEBITO La remissione del debito è la rinuncia del creditore al proprio diritto. Tale rinuncia può consistere in una dichiarazione espressa, o in una dichiarazione implicita e, quindi, risultare da un comportamento concludente del creditore (l’art. 1237 individua nella volontaria restituzione al debitore dell’originale del documento dal quale risulta il credito, un comportamento che costituisce prova della liberazione del debitore). Il creditore può rinunciare ad un proprio diritto di credito per diverse ragioni: - per liberalità in senso lato (= il creditore rimette il debito per beneficiare il debitore) -> si ha donazione indiretta, quindi, ex art. 809 la remissione è soggetta a revocazione per ingratitudine/per sopravvenienza di figli, a riduzione da parte dei legittimari, o a collazione; - per un suo interesse patrimoniale -> es. il creditore è un socio, e il debitore è una società della quale egli è socio, allora, per salvare la società dal fallimento, il creditore rimette il debito verso la propria società; - per esigenze di risparmio -> es. le spese dell’esazione dei crediti nei confronti dei debitori insolventi, o quasi insolventi, superano l’incasso che il creditore potrebbe ricavare. La remissione è un atto unilaterale del creditore, in particolare una dichiarazione unilaterale di rinunzia che ha come effetto l’estinzione dell’obbl.; essendo un atto unilaterale, è un atto recettizio, con la conseguenza che la remissione produce effetti nel momento in cui la dichiarazione del creditore è portata a conoscenza del debitore (art. 1334). La Cassazione ritiene che, sebbene la remissione del debito sia un atto unilaterale del creditore, sia ammissibile che la figura della remissione si presenti secondo lo schema del contratto qualora il debitore chieda al creditore di rinunziare al proprio diritto, e il creditore accetti. La remissione non produce sempre e inevitabilmente l’estinzione dell’obbl. -> ex art. 1236 la dichiarazione del creditore di rimettere il debito non estingue l’obbl. se il debitore dichiara in un congruo termine di non volerne approfittare. Questa possibilità riconosciuta dalla legge al debitore costituisce l’espressione di un principio generale di diritto civile, secondo il quale nessuno può essere costretto a vedersi modificata, neppure in senso favorevole, la propria situazione patrimoniale contro la sua volontà (es. il legatario può rinunziare al legato; il destinatario di una proposta di contratto con obbl. soltanto a carico del proponente può essere rinunziato). In caso di rinunzia, la remissione perde efficacia sin dall’inizio, come se non si fosse mai verificata, e quindi l’obbl. non si estingue. I motivi per cui il debitore rifiuta la remissione possono essere svariati, in genere lo fa per ragioni personali (es. perché lo considera lesivo del proprio prestigio). Se il debito al quale si riferisce la remissione è stato garantito da una fideiussione, ex art. 1239, la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori; al contrario, se il creditore dichiara di rinunziare solo alle garanzie che assistono al credito si applica l’art. 1238: la rinunzia alle garanzie dell'obbligazione non fa presumere la remissione del debito. Remissione ≠ pactum de non petendo Il cd. pactum de non petendo è un contratto fra debitore e creditore in forza del quale il creditore si obbliga nei confronti del debitore a non richiedere l’adempimento, o a non richiederlo prima di un certo tempo. La differenza tra questo e la remissione risiede negli effetti: il pactum de non petendo non estingue né l’obbl., né le garanzie che eventualmente l’assistono, perché semplicemente il creditore si impegna a non esercitare il proprio diritto. Ne esistono due varianti: 1. pactum de non petendo con il quale il creditore si obbliga a non esigere l’adempimento per un determinato periodo di tempo -> sul piano degli effetti questo patto si risolve in una proroga del termine di adempimento dell’obbl. (= modificazione della modalità cronologica di adempimento); 62 2. pactum de non petendo in perpetuo, con il quale il creditore si impegna definitivamente a non esigere il credito -> sul piano degli effetti, secondo alcuni, questa variante dovrebbe qualificarsi come una remissione del debito, ma non è così perché con questo patto il creditore si obbliga a non esigere l’adempimento, e quindi in realtà non vi è estinzione del rapporto obbligatorio, anche se comunque il debitore potrà non adempiere. La conseguenza è che se il debitore, nonostante il patto, sceglie spontaneamente di eseguire la prestazione, questa non costituirà indebito (c’è ancora il rapporto obbl., quindi, il pagamento rimane dovuto). SOPRAVVENUTA IMPOSSIBILITÀ DELLA PRESTAZIONE PER CAUSA NON IMPUTABILE AL DEBITORE Ex art. 1256 c.1 l'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile -> cd. impossibilità definitiva della prestazione (vs. impossibilità temporanea, prevista al c.2, vedi sotto). Questa norma è strettamente collegata alla norma generale sull’inadempimento -> ex art. 1218 il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Dal combinato disposto dell’art. 1256 c.1 e dell’art. 1218 emerge che, quando il debitore non esegue esattamente la prestazione si prefigurano due alternative: 1. può essere considerato inadempiente ex art. 1218, e quindi essere tenuto al risarcimento del danno; in tal caso, si applicano anche gli altri rimedi sanzionatori previsti dalla legge -> es. se l’obbl. non adempiuta deriva da un contratto con prestazioni corrispettive, sarà possibile applicare le norme sulla risoluzione del contatto per inadempimento (artt. 1453 ss.), tra le quali anche l’art. 1455 che richiede, por potersi avere la risoluzione, che l’inadempimento sia di non scarsa importanza ai fini dell’interesse del creditore; 2. può estinguersi l’obbl. ex art. 1256 se riesce a fornire la prova che la mancata esecuzione è dipesa da impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a lui non imputabile; in tal caso, il debitore è liberato (non è inadempiente) a meno non sia già in mora (in tal caso il debitore, ex art.1222, è considerato inadempiente). Inoltre, l’art. 1256 è collegato anche all’art. 1463 (in tema di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione) -> nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata (perché il contratto si risolve) per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta (quando si applica l’art. 1256 c.1) non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito. Impossibilità e non imputabilità Per comprendere, in concreto, quando possa esserci impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile dal debitore, vanno esaminati i concetti di 1) impossibilità della prestazione, e di 2) non imputabilità al debitore della stessa. 1) Impossibilità della prestazione, che può essere: - materiale: si ha quando in natura la prestazione non può più essere eseguita -> es. quando deve essere consegnata una cosa determinata e infungibile che è andata distrutta, o è stata sottratta da terzi; - giuridica: si ha quando la prestazione in natura potrebbe essere eseguita ma la legge ne vieta l'esecuzione -> es. la cosa oggetto di obbligazione diventa incommerciabile in forza di un provvedimento dell'autorità (cd. factum principis), ciò spesso è accaduto con riferimento a prodotti farmaceutici vietati perché dannosi o pericolosi per la salute. Affinché il debitore possa essere liberato occorre che l'impossibilità della prestazione, materiale o giuridica, abbia tre requisiti. Essa deve essere a) sopravvenuta; b) oggettiva; e c) assoluta. 65 Impossibilità sopravvenuta parziale Ex art. 1258 c.1 se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. In tal caso, si verifica una modificazione quantitativa della prestazione, e quindi l'obbligazione si estingue per la parte divenuta impossibile, mentre per la parte rimanente (quella rimasta possibile) il debitore rimane obbligato -> es. se un soggetto ha ricevuto in deposito una partita di merci all'interno di un magazzino scoppia un incendio fortuito che distrugge parte di queste, il debitore della prestazione di restituzione si libererà consegnando le merci che si sono salvate. Questa regola va coordinata con l’art. 1464 (in tema di risoluzione del contratto) -> quando la prestazione di una parte (derivante da un contratto a prestazioni corrispettive) è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte (1) ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, (2) e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale (in questo secondo caso, si scioglie integralmente il vincolo contrattuale). Onere della prova e ripartizione del rischio per l'inadempimento Ex art. 1218, il debitore che non esegue esattamente la prestazione è considerato inadempiente; tuttavia, egli può liberarsi provando che 1) la prestazione sia divenuta impossibile, e che 2) l’impossibilità sia derivata da causa a lui non imputabile -> provando ciò, l’obbl. si estingue. Dato che l’onere di fornire la prova della sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile grava sul debitore, è possibile constatare che la disciplina dell'onere della prova in tema di inadempimento, così come prevista dall’art. 1218, favorisce il creditore19. Infatti, al debitore viene addossato: 1) il rischio di trovarsi, al momento dell'adempimento, in una situazione di soggettiva impossibilità di adempiere (irrilevante); 2) il rischio di un’oggettiva impossibilità che non sia in grado di provare essere dovuta a causa a lui non imputabile. Mentre, sul creditore grava il solo rischio di un’impossibilità oggettiva che il debitore riesca a dimostrare non essere imputabile a sé. La scelta di favorire il creditore è dovuta al fatto che il nostro sistema impone al debitore di prodigare il massimo sforzo per adempiere, perché l'adempimento non è un fatto utile soltanto al singolo creditore ma all'intero sistema economico (= maggiore è il numero/entità di obbl. adempiute, maggiore è il beneficio che ne ricava l'intero sistema economico). Inoltre, adempire le obbligazioni significa contribuire alla creazione della ricchezza (es. incrementare la circolazione dei beni, accrescere la produzione di beni di servizi): in tempo di crisi, vi sono molte obbl. inadempiute (soprattutto pecuniarie), e ciò genera un effetto negativo sul piano generale causando inadempimenti a catena (se T. non incassa quanto gli spetta dal suo debitore, a sua volta non pagherà il suo creditore) -> si genera un effetto recessivo. Clausole di esonero da responsabilità (o di limitazione della responsabilità) La ripartizione del rischio per l'inadempimento così come attuata dall'art. 1218, entro certi limiti, può essere modificata per volontà delle parti attraverso le cd. clausole di esonero da responsabilità - > sono clausole frequenti nei contratti in serie20. La funzione di queste clausole e quella di trasferire, in tutto o in parte, i rischi che l’art. 1218 addossa al debitore sul creditore (consumatore dei prodotti o utente dei servizi) -> es. clausola che esonera il debitore da resp. in caso di furto o di danneggiamento delle cose depositate; o che lo esonera da resp. dovuta allo sciopero dei propri dipendenti; o che lo esonera da resp. per eventi che, siccome prevedibili ed evitabili, esporrebbero il debitore a responsabilità. Ex art. 1229, le clausole di esonero da resp., per essere valide devono osservare un duplice limite: (1) Ex c.1 è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave -> il debitore può essere preventivamente esonerato da resp. per impossibilità sopravvenuta della prestazione, o la sua resp. può essere, per es., circoscritta ad un 19 Da molti anni, in giurisprudenza, è pacifico che in giudizio il creditore possa limitarsi, una volta fornita la prova della fonte del diritto di credito, ad affermare/allegare l’inadempimento del debitore; e che gravi sul debitore l'onere di fornire la prova del fatto estintivo della pretesa del creditore (e quindi che vi è stato esatto adempimento, o che, in caso di mancata esecuzione della prestazione, vi è stata sopravvenuta impossibilità derivante da causa a lui non imputabile). 20 Quelli predisposti da imprese per il collocamento sul mercato dei loro beni o servizi. 66 predeterminato importo, solo se l'impossibilità sopravvenuta deriva da una sua lieve mancanza di diligenza (colpa lieve), ciò invece non è possibile se l'impossibilità è stata causata volontariamente dal debitore, quindi per dolo o colpa grave. La ratio risiede nell’esigenza di assicurare al creditore un minimo e inderogabile impegno diligente da parte del debitore. Un caso in cui, nella pratica, viene in rilievo la clausola di limitazione della resp. del debitore è il caso delle responsabilità delle banche in caso di furto subito nelle cassette di sicurezza -> le banche, per tentare di aggirare la nullità prevista dall’art. 1229, hanno inserito nei formulari il divieto per il cliente di introdurre all'interno della cassetta di sicurezza beni di valore superiore ad una certa somma (di solito molto modesta): le banche sostengono che ciò non sia una esclusione/limitazione della loro resp., ma una limitazione dell’oggetto del contratto, e quindi, se vengono rubati beni dal valore superiore rispetto a quello pattuito, negano la loro resp. (e quindi il risarcimento). La Cassazione ha affermato che, siccome la cassetta di sicurezza è funzionalmente destinata a consentire la custodia di beni che abbiano un valore anche elevato, il divieto di depositare beni che abbiano un valore superiore a quello modesto contenuto nei formulari, non ha altro scopo se non quello di limitare la resp. della banca anche nei casi di furto avvenuto a causa di dolo o colpa grave della banca stessa (nell’adempimento della sua obbl. di custodia) -> quindi, ove risulti che il furto sia dovuto a dolo (es. dipendente infedele complice dei ladri), o a colpa grave della banca, la clausola del contratto di apertura della cassetta di sicurezza è da considerarsi nulla ex art. 1229 c.1. (2) Ex c.2 è nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore e dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico -> le clausole di esonero non valgono neppure in caso di colpa lieve se il fatto del debitore costituisce violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (= ossia norme poste a tutela della vita e dell’integrità fisica della persona e in genere a tutela dei diritti della personalità (es. sono sempre nulle le clausole contenute nel contratto di trasporto che limitano la resp. del vettore per i sinistri che comportano lesioni al viaggiatore; sono nulle quelle che limitano la resp. del gestore di un maneggio per i danni subiti da allievi principianti). NB. Le clausole di esonero da resp., anche quando sono valide ex art. 1229, sono pur sempre vessatorie secondo l'art. 1341 c.2, con la conseguenza che debbono, a pena di inefficacia, essere specificamente approvate per iscritto dall'aderente se contenute in un contratto in serie. Inoltre, se si tratta di un contratto concluso fra un professionista ed un consumatore, ex art. 36 cod. consumo, è sancita la vessatorietà, pressoché assoluta, delle clausole con le quali si esclude, o si limita, la resp. del professionista in caso di morte o di danno alla persona del consumatore. Pertanto, l’autonomia privata, con queste clausole, può incidere sulla ripartizione del rischio per inadempimento di cui all’art. 1218, ma vi sono numerosissimi limiti posti dalla legge per la validità di queste clausole.
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