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Regole per insolvenza civile piccole imprese: pignoramento, liquidazione e concordato, Appunti di Diritto Commerciale

Procedure legaliDiritto civileDiritto commercialeInsolvenza

Le regole e le procedure legali riguardanti l'esecuzione di un'esecuzione forzata, il pignoramento e la liquidazione coatta amministrativa per piccole imprese in stato di insolvenza civile in italia. Viene inoltre discusso del concordato preventivo e delle nuove procedure semplificate introdotte recentemente. Informazioni sui crediti prededucibili, il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive, l'effetto vincolante della maggioranza e le differenze trattamentali tra creditori.

Cosa imparerai

  • Come funziona l'effetto vincolante della maggioranza in una procedura di concordato preventivo?
  • Quali sono i crediti prededucibili in una procedura di concordato preventivo?
  • Quali sono le procedure legali per le esecuzioni forzate per piccole imprese in stato di insolvenza civile?
  • Che cos'è una liquidazione coatta amministrativa?
  • Che cos'è un concordato preventivo?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 12/07/2019

Stefania.giurisprudenza
Stefania.giurisprudenza 🇮🇹

3.9

(10)

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Scarica Regole per insolvenza civile piccole imprese: pignoramento, liquidazione e concordato e più Appunti in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! DIRITTO COMMERCIALE Fallimento: è una procedura concorsuale liquidatoria, finalizzata alla soddisfazione dei creditori mediante la liquidazione del patrimonio dell'imprenditore, a cui si può ricorrere in presenza di determinati requisiti. Si tratta di un fenomeno che ha come punto di riferimento la procedura del fallimento ma anche procedure diverse che non mirano come il fallimento a disciplinare la liquidazione dell’impresa ma alla sua risanazione, e sono tuttavia inserite nell’insieme della disciplina del fallimento. Diritto privato delle obbligazioni: l’obbligazione vincola l’obbligato a dare corso ad un certo adempimento. Da procedura civile si impara che in caso di inadempimento non c’è più da tempo nel nostro ordinamento il soddisfacimento privato (il creditore non può farsi ragione da se pretendendo il soddisfacimento forzato dell’obbligazione, cosa possibile nel passato es. il debitore diventava schiavo). Nel nostro ordinamento attuale il soddisfacimento coatto è affidato all’ordinamento che deve verificare che le ragioni del creditore siano fatte valere in modo corretto e mirato, l’ordinamento ha comunque interesse al fatto che il creditore sia soddisfatto altrimenti nessuno sarebbe disposto ad essere creditore se il rischio di non ricevere il credito fosse alto. La disponibilità a fare credito, quale che sia il titolo di credito, è direttamente proporzionale all’efficacia delle armi per conseguire un soddisfacimento forzato del credito stesso in caso di inadempimento. La procedure civile è la disciplina, tra l’altro, del procedimento attraverso il quale si ottiene il soddisfacimento coattivo dell’obbligazione. Il soddisfacimento dell’obbligazione può essere preteso tramite l’ordinamento se si ha un titolo che afferma indiscutibilmente il diritto a conseguire il credito stesso, si tratta quindi di un documento che attribuisce la possibilità di ottenere il credito. es. la fattura non è un documento sufficientemente attendibile a provare la fondatezza del credito: la fattura potrebbe essere stata pagata, pagata in parte, potrebbe riguardare una prestazione che non è stata eseguita oppure solo in parte. L’ordinamento non si mette in moto quando c’è presupposto incerto come la fattura. Il titolo idoneo a far mettere il moto l’ordinamento si definisce tecnicamente titolo esecutivo e possiamo distinguere: • Titolo esecutivo stragiudizialedocumenti che consentono l’esecuzione forzata anche senza che sia stata instaurata una causa e, quindi, senza bisogno di accertamento del magistrato. Sono documenti a cui la legge conferisce un alto grado di certezza del diritto in esso menzionato e, perciò, almeno in prima battuta, non necessitano dell’accertamento da parte del giudice. Resta ferma, però, la possibilità, per il soggetto obbligato, di proporre opposizione in un momento successivo (cosiddetta opposizione all’esecuzione forzata). I titoli esecutivi stragiudiziali sono i titoli di credito: la cambiale e l’assegno. Sono documenti a cui l’ordinamento attribuisce presunzione di fondatezza tuttavia hanno perso importanza nella prassi e non vengono più utilizzati nelle pratiche commerciali, perché: se si firma una cambiale il pagamento è dovuto a prescindere dalla dimostrazione della sua fondatezza [è un titolo costitutivo del diritto e non solo probatorio] e quindi il debitore dovrà pagarla anche se è stata firmata per una prestazione che poi non è stata fatta o che ha già pagato o è stata già pagata dal obbligato. Dopo aver pagato si potrà fare causa per ripetere quanto pagato (posizione di forte debolezza del debitore), inoltre le cambiali scontano un’imposta di bollo che rappresenta un costo supplementare che le parti non vogliono sostenere. • Titolo esecutivo giudiziale frutto di sentenze passate in giudicato. Per ottenere una sentenza bisogna però fare causa e perché la sentenza passi in giudicato si deve aspettare che sia definita in primo grado, in secondo grado oppure in cassazione (è trascorso il tempo per l’impugnazione). Quindi conseguire il presupposto per poter pretendere l’adempimento coattivo del credito è oneroso e costoso. Probabilmente un operatore che facesse delle considerazioni solo logiche non darebbe credito a nessuno. Perché nel caso di inadempimento occorre instaurare una causa, vincerla, deve passare in giudicato e solo dopo avviare le misure per ottenere l’adempimento coatto. Gli operatori sanno che hanno una certa percentuale di probabilità che i crediti vengano pagati spontaneamente e in base a queste percentuali concedono il prestito oppure no perché non ritengono efficienti gli strumenti attraverso i quali potrebbero ottenere coattivamente il credito. 1° tema l’inadempimento consente al creditore di ottenere il proprio credito in modo coattivo con modalità che però sono costose e inefficienti. 2° temaRapporti tra più creditori dello stesso debitore: es. un soggetto che acquista un’auto a rate, che è ha un immobile in locazione e che ha un prestito in banca. In una condizione di inadempimento quali sono i rapporto tra i creditori? Chi viene pagato e chi no? Vengono pagati nella stessa misura o secondo qualche ordine? Può accadere che i 3 creditori promuovano ciascuno un’esecuzione forzata, soprattutto se ignorano l’esistenza degli altri, sostenendo autonomamente gli oneri e i costi dell’esecuzione stessa. Se sono dinnanzi allo stesso giudice esecutore questo le unisce ma non è detto che accada, perché ad esempio la concessionaria è a Modena mentre l’immobile locato è a Reggio Emilia e allora vengono raddoppiati costi ed oneri dell’esecuzione. Può succedere però che un creditore venga a sapere dell’esecuzione dell’altro, in questo caso in procedura civile è disciplinato l’intervento del creditore nell’esecuzione forzata promossa da un altro, per far valere il proprio credito. Nel momento in cui il presumibile valore della casa non è sufficiente i due creditori possono chiedere di estendere il pignoramento sugli altri beni del debitore. Si tratta di un’attività faticosa perché devono effettuare un’investigazione sui beni del debitore su cui si possono soddisfare: e mentre per le case è semplice perché è sufficiente consultare i registri immobiliari, idem per le auto effettuando una visura pra, per gli altri beni è più difficile (es. BOT in un’altra banca), perché il debitore non è tenuto a rendere pubblico il suo patrimonio. La banca fa per mestiere il finanziatore e quindi ha un apparato informativo efficace che le consente di percepire lo stato di difficoltà del debitore con anticipo. Per questa ragione può avviare prima degli altri creditori una procedura esecutiva e soddisfare il suo credito. Può accadere che altri creditori si informino della procedura esecutiva della banca e si inseriscano oppure non ne vengano a conoscenza e rimangano fuori. Il sistema (di procedura civile) considera fisiologico che i creditori più avveduti ed efficienti siano pagati a discapito degli altri. In procedure civile è fisiologico che il pignoramento consente la soddisfazione del creditore che si chiama del procedente e gli eventuali intervenuti distribuendo tra costoro tutti i beni individuati e pignorati anche se questo non è sufficiente a soddisfare i creditori che non intervenuti per qualsiasi ragione, compreso il fatto che non sono creditori disinformati ma che ad esempio non hanno un titolo esecutivo perché la causa che gli permetterebbe di ottenerlo non è ancora conclusa. Tutto questo è fisiologico fin quando si considera una situazione nella quale la pluralità di creditori fronteggiati dal patrimonio insoddisfacente a pagarli tutti viene considerata una fattispecie non ricorrente ed abitale. Si è portati a pensare che il professionista faccia dei debiti per la sua famiglia e la sua attività però abbia anche dei redditi che complessivamente fronteggino questi debiti. Si è portati a pensare che il consumatore faccia dei debiti acquistando a rate dei beni ma abbia dei redditi capaci di soddisfarli. Cioè non si da per scontato che all’inadempimento corrisponda sempre una situazione di insolvenza, cioè una situazione di deficit patrimoniale. L’inadempimento è spesso causato da questioni finanziarie e non patrimoniali, la differenza risiede nel fatto che la questione finanziaria è data dal confronto tra attività e passività, posso avere un passivo di 200mila però magari ho degli immobili che valgono 5 milioni, quindi non ho fisicamente la liquidità per pagare i debiti. Finché si tratta di un fenomeno finanziario non c’è problema, l’immobile viene messo all’asta, i creditori si soddisfano e il restante del valore dell’immobile rimane nella disponibilità del debitore. Nelle situazioni opposte ho un patrimonio di 2 milioni di euro però ho debiti per 3 milioni di euro il profilo non è finanziario perché anche se i 2 milioni fossero liquidi non sarebbero sufficienti a pagare tutti i debiti, si ha un problema non di liquidità ma di insufficienza del patrimonio attivo a fronteggiare il patrimonio passivo. Quando questa situazione fosse una situazione che possiamo considerare ricorrente non va più bene che i primi sono soddisfatti e gli altri no. Perché in una situazione di insolenza è scontato che ci saranno dei buchi (creditori insoddisfatti) se ho 2 milioni di attività e 3 di passività quando i due milioni finiscono gli ultimi non verranno pagati e non ci sono le condizioni perché il ricavato dei due milioni venga sparito per tutto i creditori perché occorrerebbe che tutti intervenissero nello stesso procedimento esecutivo in cui si mettono all’asta i beni per due milioni, ma è improbabile che i creditori in tutta Italia sappiano del nel codice civile. Nel codice civile la nozione di piccolo imprenditore è una nozione che è incentrata sulla circostanza della prevalenza del lavoro personale dell’imprenditore rispetto agli altri fattori produttivi, per il codice civile è piccolo imprenditore colui che esercita un’attività d’impresa nella quale il proprio apporto è prevalente, dal 2005 in poi questa nozione per quel che ci interessa è inutile. Ci sono due concetti di piccolo imprenditore separati. Dal 2005 in poi si deve andare a guardare l’art. 1 legge fallimentare in base al quale ci sono 3 livelli per valutare se un soggetto è da ritenersi, ai fini del fallimento, piccolo imprenditore a prescindere che la sua attività è prevalente o meno: • PATRIMONIO: aver avuto, nei tre esercizi antecedenti un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro; • FATTURATO: aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro; • DEBITI: avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore A 500mila euro; Questi valori in base al precedente articolo possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento. SECONDA PRECISAZIONE: è ESCLUSO L’IMPREDITORE AGRICOLO, NELL’ART. 1 SI PARLA SOLO DI IMPREDITORE COMMERCIALE (cioè che svolga qualsiasi attività d’impresa che non sia agricola). L’impresa agricola non è soggetta al fallimento per natura e non per dimensione ed è certo che anche l’impresa agricola di rilevanti dimensioni non fallisce. Giustificazione: nel passato l’esercizio dell’attività agricola aveva rischi maggiori rispetto all’attività commerciale e per questa ragione si è deciso di evitare all’imprenditore agricolo il fallimento. Sicuramente oggi il settore agroindustriale non è soggetto ai rischi e alle rigidità che caratterizzavano nel passato l’impresa agricola però non dobbiamo ragionale da manuale ma in base al diritto positivo che ancora stabilisce questa esclusione nonostante ci siano attività agricole che per la loro organizzazione si sono affrancate da quelle peculiarità che un tempo ne giustificavano una disciplina speciale. Quando immaginiamo che vi sia un concorso di creditori e immaginiamo che questi creditori non troveranno soddisfazione (debitore che svolge un’attività commerciale non piccola) non è adeguato il codice di procedura civile ed è necessaria la legge fallimentare. La procedura concorsuale collettiva ha come obiettivo il soddisfacimento dei creditori, tuttavia ci sono casi di insolvenza in cui questo obiettivo non è il primo e l’unico da perseguire, ma bisogna tener conto di altri interessi: es. Alitalia se fallisce l’Italia rimane senza compagnia di bandiera e non può assicurare il servizio di trasporto aereo, ILVA di Taranto se fallisce porta al licenziamento tantissimi dipendenti, Veneto Banca se va in liquidazione coatta amministrativa ciò porterebbe a conseguenze drammatiche sul territorio, una banca che chiude non può più fare credito che non vuol dire solo non poter fare nuovi prestiti ma vuol dire anche di non mantenere più i vecchi e quindi il mutuo che il soggetto avrebbe pagato in 20 anni deve pagarlo subito. Qui abbiamo 3 casi in cui l’ordinamento si è posto un problema: è vero che il soddisfacimento dei creditori è importante ma bisogna prima di tutto: salvaguardare la compagnia di bandiera, le infrastrutture e i prestiti dei consumatori. Bisogna considerare oltre all’interesse dei creditori anche tutti gli altri interessi in gioco. Stato di insolvenza: la valutazione dell’attivo si calcola sottraendo il passivo scorporato il capitale sociale, che è chiamato capitale di rischio proprio perché c’è il rischio che l’attività dell’impresa non riesca a pagarlo. Il capitale sociale è quel cuscinetto che dovrebbe garantire che le passività siano meno delle attività. Il capitale sociale viene pagato se e dopo che vengono pagati tutti gli altri creditori. Struttura patrimoniale dell’impresa: PASSIVO ATTIVO CAPITALE SOCIALE 30 70 100 (valore nominale) sono insolvente se l’attivo non copre il 70 di passivo es. attivo di 60 (valore reale) Se si tratta di imprese particolari non conta solo l’insolvenza ma anche altri interessi che verrebbero sacrificati se vendessi l’attività e pagassi la banca, es. i dipendenti dell’ILVA che rimangono senza lavoro. Queste possibilità sono disciplinate all’interno della legge fallimentare che è realizzata ad hoc per disciplinare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale non piccolo. In fondo alla legge fallimentare ci sono una serie di norme che non sono del fallimento ma di altre procedure che si chiamano liquidazioni coatte amministrative. La legge fallimentare dice, quando c’è un debitore normale l’esecuzione nei sui confronti è fatta da questi 190 articoli, se l’insolvenza riguarda dei debitori particolari per cui la procedura è inadeguata c’è un nucleo di norme che vanno comunque applicate (dal 194 e ss.). Un tempo queste norme avevano un’importanza centrale, oggi hanno un’importanza ridotta. Avevano un’importanza centrale perché rappresentavano la parte comune delle procedure di liquidazione coatta amministrativa che l’ordinamento assegnasse ad imprese per le quali il fallimento fosse considerato inadeguato. Questo nucleo di disposizioni comuni a tutte le procedure di liquidazione coatta amministrativa non stabilisce quali sono queste imprese. Art.194: La liquidazione coatta amministrativa è regolata dalle disposizioni del presente titolo, salvo che le leggi speciali dispongano diversamente. Art.195: stabilisce la procedura da adottare nel caso in cui un’impresa soggetta ad amministrazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento si trova in uno stato di insolvenza. A stabilire per quali imprese insolventi si adottano queste procedure di liquidazione coatta amministrativa diverse dal fallimento sono le leggi speciali. Quindi per queste imprese, che vanno cercate nell’universo dell’ordinamento e non sono scritte nella legge fallimentare, valgono alcune norme comuni contenute nella legge fallimentare. L’art. 195 primo comma ci da una chiave di lettura della ragione per la quale queste liquidazioni coatte amministrative sono state collocate come procedure alternative al fallimento, dice che: “Se un'impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo dove l'impresa ha la sede principale, su richiesta di uno o più creditori, ovvero dell'autorità che ha la vigilanza sull'impresa o di questa stessa, dichiara tale stato con sentenza [..].Con la stessa sentenza o con successivo decreto adotta i provvedimenti conservativi che ritenga opportuni nell'interesse dei creditori fino all'inizio della procedura di liquidazione. La sentenza è comunicata [..] all'autorità competente perché disponga la liquidazione”. Per queste imprese allora il sistema non è: istanza di fallimento, valutazione del tribunale e dichiarazione di insolvenza (come è stabilito nella norma parallela per le imprese normali) ma è istanza di fallimento, dichiarazione di insolvenza e apertura della procedura da parte dell’autorità competente che attua la liquidazione coatta. Perché in questo caso dopo che è stata accertata l’insolvenza il tribunale viene accantonato e la competenza è dell’autorità competente (sono stabilite nelle leggi speciali)? Perché quando abbiamo alitalia, ilva, una banca, il tribunale non va bene a gestire questa insolvenza non perché non è capace ma perché non è legittimato a prendere delle decisioni discrezionali. Non può scegliere se chiudere l’ILVA e licenziare i dipendenti oppure lasciarla aperta e non soddisfare i creditori, il tribunale deve solo applicare la legge non guarda alle conseguenze. È la politica a prendere queste decisioni, e la politica sono appunto le autorità competenti che di norma saranno i ministeri o secondo il genere d’impresa quelle stesse autorità che hanno creato il problema quando hanno consentito a quella impresa di svolgere attività per cui l’insolvenza crea problemi: es. per la banca è competente l’autorità di vigilanza della banca d’Italia che da la licenza alla banca per svolgere la sua attività, ed è questa che poi sarà coinvolta in caso di insolvenza. NON FALLISCONO MA SONO SOTTOPOSTE A LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA: la scelta non è dovuta a caratteristiche genetiche dell’impresa ma a scelte discrezionali del legislatore NORMATIVA DI RIFERIMENT O: AUTORITà COMPETENT E IMPRESA SOCIALE Non è soggetta a fallimento perché chi ne ha dettato la disciplina l’ha mantenuta fuori (decisione opinabile). L’impresa sociale è sottoposta a liquidazione coatta amministrativa Non essere fallibili può essere un vantaggio ma anche uno svantaggio. BANCHE Testo unico bancario (TUB) Banca d’Italia IMPRESE DI RILEVANZA PUBBLICA (es. ILVA) Ministero attività produttive MONTE TITOLI, S.I.M. E S.I.C.A.V intermediari finanziari Testo unico finanziario (TUF) Banca d’Italia ASSICURAZIONI Testo unico delle assicurazioni A tutte queste imprese si applica la disciplina contenuta nell’art.194 e ss. della legge fallimentare, tuttavia questa disciplina ha perso rilevanza con il tempo perché tutte queste categorie di imprese sono state disciplinate da un corpo normativo proprio nel quale sono riprodotti anche gli argomenti disciplinati dagli art.194 e ss.. Questo nucleo ha perso rilevanza perché questi fenomeni sono ridisciplinati in questi testi normativi. Questo assetto potrebbe essere di per se sufficiente, nel corso del tempo però ci sono state delle esigenze che hanno indotto il legislatore a non ritenere sufficienti le discipline espresse da queste norme, per alcune tipologie di imprese queste procedure non sono state ritenute idonee. 1979 LEGGE PRODI Fino al 1979: c’era il fallimento per le imprese normali, e la liquidazione coatta amministrativa per banche, intermediari finanziari e assicurazioni, erano escluse l’impresa sociale e le imprese di rilevanza pubblica che fallivano. Si trattava quindi di una disciplina differenziata per attività e non per dimensioni, falliva anche l’impresa enorme perché sottratte al fallimento erano solo le banche, gli intermediari finanziari e le assicurazioni. Il 1979 è un anno nel quale prende corpo una grande crisi economica nel nostro paese la quale fa si che la percentuale di fallimenti diventi patologica. Il problema si presenta quando iniziano a fallire anche le grandi imprese con moltissimi dipendenti (es. eni- egam). Il primo ministro dell’epoca Prodi propone la c.d. legge prodi , che prevedeva una disciplina specifica per grandi imprese in crisi. Si ritiene che alcune imprese siano troppo grandi per fallire, perché il fallimento produce delle conseguenze disastrose sui livelli occupazionali. Si ritiene quindi che a decidere se queste imprese potessero fallire non debba essere il potere giudiziale (tribunale) ma il potere politico per questa ragione c’è la scissione tra il potere del DIRITTO COMMERCIALE Fallimento: è una procedura concorsuale liquidatoria, finalizzata alla soddisfazione dei creditori mediante la liquidazione del patrimonio dell'imprenditore, a cui si può ricorrere in presenza di determinati requisiti. Si tratta di un fenomeno che ha come punto di riferimento la procedura del fallimento ma anche procedure diverse che non mirano come il fallimento a disciplinare la liquidazione dell’impresa ma alla sua risanazione, e sono tuttavia inserite nell’insieme della disciplina del fallimento. Diritto privato delle obbligazioni: l’obbligazione vincola l’obbligato a dare corso ad un certo adempimento. Da procedura civile si impara che in caso di inadempimento non c’è più da tempo nel nostro ordinamento il soddisfacimento privato (il creditore non può farsi ragione da se pretendendo il soddisfacimento forzato dell’obbligazione, cosa possibile nel passato es. il debitore diventava schiavo). Nel nostro ordinamento attuale il soddisfacimento coatto è affidato all’ordinamento che deve verificare che le ragioni del creditore siano fatte valere in modo corretto e mirato, l’ordinamento ha comunque interesse al fatto che il creditore sia soddisfatto altrimenti nessuno sarebbe disposto ad essere creditore se il rischio di non ricevere il credito fosse alto. La disponibilità a fare credito, quale che sia il titolo di credito, è direttamente proporzionale all’efficacia delle armi per conseguire un soddisfacimento forzato del credito stesso in caso di inadempimento. La procedure civile è la disciplina, tra l’altro, del procedimento attraverso il quale si ottiene il soddisfacimento coattivo dell’obbligazione. Il soddisfacimento dell’obbligazione può essere preteso tramite l’ordinamento se si ha un titolo che afferma indiscutibilmente il diritto a conseguire il credito stesso, si tratta quindi di un documento che attribuisce la possibilità di ottenere il credito. es. la fattura non è un documento sufficientemente attendibile a provare la fondatezza del credito: la fattura potrebbe essere stata pagata, pagata in parte, potrebbe riguardare una prestazione che non è stata eseguita oppure solo in parte. L’ordinamento non si mette in moto quando c’è presupposto incerto come la fattura. Il titolo idoneo a far mettere il moto l’ordinamento si definisce tecnicamente titolo esecutivo e possiamo distinguere: • Titolo esecutivo stragiudizialedocumenti che consentono l’esecuzione forzata anche senza che sia stata instaurata una causa e, quindi, senza bisogno di accertamento del magistrato. Sono documenti a cui la legge conferisce un alto grado di certezza del diritto in esso menzionato e, perciò, almeno in prima battuta, non necessitano dell’accertamento da parte del giudice. Resta ferma, però, la possibilità, per il soggetto obbligato, di proporre opposizione in un momento successivo (cosiddetta opposizione all’esecuzione forzata). I titoli esecutivi stragiudiziali sono i titoli di credito: la cambiale e l’assegno. Sono documenti a cui l’ordinamento attribuisce presunzione di fondatezza tuttavia hanno perso importanza nella prassi e non vengono più utilizzati nelle pratiche commerciali, perché: se si firma una cambiale il pagamento è dovuto a prescindere dalla dimostrazione della sua fondatezza [è un titolo costitutivo del diritto e non solo probatorio] e quindi il debitore dovrà pagarla anche se è stata firmata per una prestazione che poi non è stata fatta o che ha già pagato o è stata già pagata dal obbligato. Dopo aver pagato si potrà fare causa per ripetere quanto pagato (posizione di forte debolezza del debitore), inoltre le cambiali scontano un’imposta di bollo che rappresenta un costo supplementare che le parti non vogliono sostenere. • Titolo esecutivo giudiziale frutto di sentenze passate in giudicato. Per ottenere una sentenza bisogna però fare causa e perché la sentenza passi in giudicato si deve aspettare che sia definita in primo grado, in secondo grado oppure in cassazione (è trascorso il tempo per l’impugnazione). Quindi conseguire il presupposto per poter pretendere l’adempimento coattivo del credito è oneroso e costoso. Probabilmente un operatore che facesse delle considerazioni solo logiche non darebbe credito a nessuno. Perché nel caso di inadempimento occorre instaurare una causa, vincerla, deve passare in giudicato e solo dopo avviare le misure per ottenere l’adempimento coatto. Gli operatori sanno che hanno una certa percentuale di probabilità che i crediti vengano pagati spontaneamente e in base a queste percentuali concedono il prestito oppure no perché non ritengono efficienti gli strumenti attraverso i quali potrebbero ottenere coattivamente il credito. 1° tema l’inadempimento consente al creditore di ottenere il proprio credito in modo coattivo con modalità che però sono costose e inefficienti. 2° temaRapporti tra più creditori dello stesso debitore: es. un soggetto che acquista un’auto a rate, che è ha un immobile in locazione e che ha un prestito in banca. In una condizione di inadempimento quali sono i rapporto tra i creditori? Chi viene pagato e chi no? Vengono pagati nella stessa misura o secondo qualche ordine? Può accadere che i 3 creditori promuovano ciascuno un’esecuzione forzata, soprattutto se ignorano l’esistenza degli altri, sostenendo autonomamente gli oneri e i costi dell’esecuzione stessa. Se sono dinnanzi allo stesso giudice esecutore questo le unisce ma non è detto che accada, perché ad esempio la concessionaria è a Modena mentre l’immobile locato è a Reggio Emilia e allora vengono raddoppiati costi ed oneri dell’esecuzione. Può succedere però che un creditore venga a sapere dell’esecuzione dell’altro, in questo caso in procedura civile è disciplinato l’intervento del creditore nell’esecuzione forzata promossa da un altro, per far valere il proprio credito. Nel momento in cui il presumibile valore della casa non è sufficiente i due creditori possono chiedere di estendere il pignoramento sugli altri beni del debitore. Si tratta di un’attività faticosa perché devono effettuare un’investigazione sui beni del debitore su cui si possono soddisfare: e mentre per le case è semplice perché è sufficiente consultare i registri immobiliari, idem per le auto effettuando una visura pra, per gli altri beni è più difficile (es. BOT in un’altra banca), perché il debitore non è tenuto a rendere pubblico il suo patrimonio. La banca fa per mestiere il finanziatore e quindi ha un apparato informativo efficace che le consente di percepire lo stato di difficoltà del debitore con anticipo. Per questa ragione può avviare prima degli altri creditori una procedura esecutiva e soddisfare il suo credito. Può accadere che altri creditori si informino della procedura esecutiva della banca e si inseriscano oppure non ne vengano a conoscenza e rimangano fuori. Il sistema (di procedura civile) considera fisiologico che i creditori più avveduti ed efficienti siano pagati a discapito degli altri. In procedure civile è fisiologico che il pignoramento consente la soddisfazione del creditore che si chiama del procedente e gli eventuali intervenuti distribuendo tra costoro tutti i beni individuati e pignorati anche se questo non è sufficiente a soddisfare i creditori che non intervenuti per qualsiasi ragione, compreso il fatto che non sono creditori disinformati ma che ad esempio non hanno un titolo esecutivo perché la causa che gli permetterebbe di ottenerlo non è ancora conclusa. Tutto questo è fisiologico fin quando si considera una situazione nella quale la pluralità di creditori fronteggiati dal patrimonio insoddisfacente a pagarli tutti viene considerata una fattispecie non ricorrente ed abitale. Si è portati a pensare che il professionista faccia dei debiti per la sua famiglia e la sua attività però abbia anche dei redditi che complessivamente fronteggino questi debiti. Si è portati a pensare che il consumatore faccia dei debiti acquistando a rate dei beni ma abbia dei redditi capaci di soddisfarli. Cioè non si da per scontato che all’inadempimento corrisponda sempre una situazione di insolvenza, cioè una situazione di deficit patrimoniale. L’inadempimento è spesso causato da questioni finanziarie e non patrimoniali, la differenza risiede nel fatto che la questione finanziaria è data dal confronto tra attività e passività, posso avere un passivo di 200mila però magari ho degli immobili che valgono 5 milioni, quindi non ho fisicamente la liquidità per pagare i debiti. Finché si tratta di un fenomeno finanziario non c’è problema, l’immobile viene messo all’asta, i creditori si soddisfano e il restante del valore dell’immobile rimane nella disponibilità del debitore. Nelle situazioni opposte ho un patrimonio di 2 milioni di euro però ho debiti per 3 milioni di euro il profilo non è finanziario perché anche se i 2 milioni fossero liquidi non sarebbero sufficienti a pagare tutti i debiti, si ha un problema non di liquidità ma di insufficienza del patrimonio attivo a fronteggiare il patrimonio passivo. Quando questa situazione fosse una situazione che possiamo considerare ricorrente non va più bene che i primi sono soddisfatti e gli altri no. Perché in una situazione di insolenza è scontato che ci saranno dei buchi (creditori insoddisfatti) se ho 2 milioni di attività e 3 di passività quando i due milioni finiscono gli ultimi non verranno pagati e non ci sono le condizioni perché il ricavato dei due milioni venga sparito per tutto i creditori perché occorrerebbe che tutti intervenissero nello stesso procedimento esecutivo in cui si mettono all’asta i beni per due milioni, ma è improbabile che i creditori in tutta Italia sappiano del nel codice civile. Nel codice civile la nozione di piccolo imprenditore è una nozione che è incentrata sulla circostanza della prevalenza del lavoro personale dell’imprenditore rispetto agli altri fattori produttivi, per il codice civile è piccolo imprenditore colui che esercita un’attività d’impresa nella quale il proprio apporto è prevalente, dal 2005 in poi questa nozione per quel che ci interessa è inutile. Ci sono due concetti di piccolo imprenditore separati. Dal 2005 in poi si deve andare a guardare l’art. 1 legge fallimentare in base al quale ci sono 3 livelli per valutare se un soggetto è da ritenersi, ai fini del fallimento, piccolo imprenditore a prescindere che la sua attività è prevalente o meno: • PATRIMONIO: aver avuto, nei tre esercizi antecedenti un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro; • FATTURATO: aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro; • DEBITI: avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore A 500mila euro; Questi valori in base al precedente articolo possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento. SECONDA PRECISAZIONE: è ESCLUSO L’IMPREDITORE AGRICOLO, NELL’ART. 1 SI PARLA SOLO DI IMPREDITORE COMMERCIALE (cioè che svolga qualsiasi attività d’impresa che non sia agricola). L’impresa agricola non è soggetta al fallimento per natura e non per dimensione ed è certo che anche l’impresa agricola di rilevanti dimensioni non fallisce. Giustificazione: nel passato l’esercizio dell’attività agricola aveva rischi maggiori rispetto all’attività commerciale e per questa ragione si è deciso di evitare all’imprenditore agricolo il fallimento. Sicuramente oggi il settore agroindustriale non è soggetto ai rischi e alle rigidità che caratterizzavano nel passato l’impresa agricola però non dobbiamo ragionale da manuale ma in base al diritto positivo che ancora stabilisce questa esclusione nonostante ci siano attività agricole che per la loro organizzazione si sono affrancate da quelle peculiarità che un tempo ne giustificavano una disciplina speciale. Quando immaginiamo che vi sia un concorso di creditori e immaginiamo che questi creditori non troveranno soddisfazione (debitore che svolge un’attività commerciale non piccola) non è adeguato il codice di procedura civile ed è necessaria la legge fallimentare. La procedura concorsuale collettiva ha come obiettivo il soddisfacimento dei creditori, tuttavia ci sono casi di insolvenza in cui questo obiettivo non è il primo e l’unico da perseguire, ma bisogna tener conto di altri interessi: es. Alitalia se fallisce l’Italia rimane senza compagnia di bandiera e non può assicurare il servizio di trasporto aereo, ILVA di Taranto se fallisce porta al licenziamento tantissimi dipendenti, Veneto Banca se va in liquidazione coatta amministrativa ciò porterebbe a conseguenze drammatiche sul territorio, una banca che chiude non può più fare credito che non vuol dire solo non poter fare nuovi prestiti ma vuol dire anche di non mantenere più i vecchi e quindi il mutuo che il soggetto avrebbe pagato in 20 anni deve pagarlo subito. Qui abbiamo 3 casi in cui l’ordinamento si è posto un problema: è vero che il soddisfacimento dei creditori è importante ma bisogna prima di tutto: salvaguardare la compagnia di bandiera, le infrastrutture e i prestiti dei consumatori. Bisogna considerare oltre all’interesse dei creditori anche tutti gli altri interessi in gioco. Stato di insolvenza: la valutazione dell’attivo si calcola sottraendo il passivo scorporato il capitale sociale, che è chiamato capitale di rischio proprio perché c’è il rischio che l’attività dell’impresa non riesca a pagarlo. Il capitale sociale è quel cuscinetto che dovrebbe garantire che le passività siano meno delle attività. Il capitale sociale viene pagato se e dopo che vengono pagati tutti gli altri creditori. Struttura patrimoniale dell’impresa: PASSIVO ATTIVO CAPITALE SOCIALE 30 70 100 (valore nominale) sono insolvente se l’attivo non copre il 70 di passivo es. attivo di 60 (valore reale) Se si tratta di imprese particolari non conta solo l’insolvenza ma anche altri interessi che verrebbero sacrificati se vendessi l’attività e pagassi la banca, es. i dipendenti dell’ILVA che rimangono senza lavoro. Queste possibilità sono disciplinate all’interno della legge fallimentare che è realizzata ad hoc per disciplinare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale non piccolo. In fondo alla legge fallimentare ci sono una serie di norme che non sono del fallimento ma di altre procedure che si chiamano liquidazioni coatte amministrative. La legge fallimentare dice, quando c’è un debitore normale l’esecuzione nei sui confronti è fatta da questi 190 articoli, se l’insolvenza riguarda dei debitori particolari per cui la procedura è inadeguata c’è un nucleo di norme che vanno comunque applicate (dal 194 e ss.). Un tempo queste norme avevano un’importanza centrale, oggi hanno un’importanza ridotta. Avevano un’importanza centrale perché rappresentavano la parte comune delle procedure di liquidazione coatta amministrativa che l’ordinamento assegnasse ad imprese per le quali il fallimento fosse considerato inadeguato. Questo nucleo di disposizioni comuni a tutte le procedure di liquidazione coatta amministrativa non stabilisce quali sono queste imprese. Art.194: La liquidazione coatta amministrativa è regolata dalle disposizioni del presente titolo, salvo che le leggi speciali dispongano diversamente. Art.195: stabilisce la procedura da adottare nel caso in cui un’impresa soggetta ad amministrazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento si trova in uno stato di insolvenza. A stabilire per quali imprese insolventi si adottano queste procedure di liquidazione coatta amministrativa diverse dal fallimento sono le leggi speciali. Quindi per queste imprese, che vanno cercate nell’universo dell’ordinamento e non sono scritte nella legge fallimentare, valgono alcune norme comuni contenute nella legge fallimentare. L’art. 195 primo comma ci da una chiave di lettura della ragione per la quale queste liquidazioni coatte amministrative sono state collocate come procedure alternative al fallimento, dice che: “Se un'impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo dove l'impresa ha la sede principale, su richiesta di uno o più creditori, ovvero dell'autorità che ha la vigilanza sull'impresa o di questa stessa, dichiara tale stato con sentenza [..].Con la stessa sentenza o con successivo decreto adotta i provvedimenti conservativi che ritenga opportuni nell'interesse dei creditori fino all'inizio della procedura di liquidazione. La sentenza è comunicata [..] all'autorità competente perché disponga la liquidazione”. Per queste imprese allora il sistema non è: istanza di fallimento, valutazione del tribunale e dichiarazione di insolvenza (come è stabilito nella norma parallela per le imprese normali) ma è istanza di fallimento, dichiarazione di insolvenza e apertura della procedura da parte dell’autorità competente che attua la liquidazione coatta. Perché in questo caso dopo che è stata accertata l’insolvenza il tribunale viene accantonato e la competenza è dell’autorità competente (sono stabilite nelle leggi speciali)? Perché quando abbiamo alitalia, ilva, una banca, il tribunale non va bene a gestire questa insolvenza non perché non è capace ma perché non è legittimato a prendere delle decisioni discrezionali. Non può scegliere se chiudere l’ILVA e licenziare i dipendenti oppure lasciarla aperta e non soddisfare i creditori, il tribunale deve solo applicare la legge non guarda alle conseguenze. È la politica a prendere queste decisioni, e la politica sono appunto le autorità competenti che di norma saranno i ministeri o secondo il genere d’impresa quelle stesse autorità che hanno creato il problema quando hanno consentito a quella impresa di svolgere attività per cui l’insolvenza crea problemi: es. per la banca è competente l’autorità di vigilanza della banca d’Italia che da la licenza alla banca per svolgere la sua attività, ed è questa che poi sarà coinvolta in caso di insolvenza. NON FALLISCONO MA SONO SOTTOPOSTE A LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA: la scelta non è dovuta a caratteristiche genetiche dell’impresa ma a scelte discrezionali del legislatore NORMATIVA DI RIFERIMENT O: AUTORITà COMPETENT E IMPRESA SOCIALE Non è soggetta a fallimento perché chi ne ha dettato la disciplina l’ha mantenuta fuori (decisione opinabile). L’impresa sociale è sottoposta a liquidazione coatta amministrativa Non essere fallibili può essere un vantaggio ma anche uno svantaggio. BANCHE Testo unico bancario (TUB) Banca d’Italia IMPRESE DI RILEVANZA PUBBLICA (es. ILVA) Ministero attività produttive MONTE TITOLI, S.I.M. E S.I.C.A.V intermediari finanziari Testo unico finanziario (TUF) Banca d’Italia ASSICURAZIONI Testo unico delle assicurazioni A tutte queste imprese si applica la disciplina contenuta nell’art.194 e ss. della legge fallimentare, tuttavia questa disciplina ha perso rilevanza con il tempo perché tutte queste categorie di imprese sono state disciplinate da un corpo normativo proprio nel quale sono riprodotti anche gli argomenti disciplinati dagli art.194 e ss.. Questo nucleo ha perso rilevanza perché questi fenomeni sono ridisciplinati in questi testi normativi. Questo assetto potrebbe essere di per se sufficiente, nel corso del tempo però ci sono state delle esigenze che hanno indotto il legislatore a non ritenere sufficienti le discipline espresse da queste norme, per alcune tipologie di imprese queste procedure non sono state ritenute idonee. 1979 LEGGE PRODI Fino al 1979: c’era il fallimento per le imprese normali, e la liquidazione coatta amministrativa per banche, intermediari finanziari e assicurazioni, erano escluse l’impresa sociale e le imprese di rilevanza pubblica che fallivano. Si trattava quindi di una disciplina differenziata per attività e non per dimensioni, falliva anche l’impresa enorme perché sottratte al fallimento erano solo le banche, gli intermediari finanziari e le assicurazioni. Il 1979 è un anno nel quale prende corpo una grande crisi economica nel nostro paese la quale fa si che la percentuale di fallimenti diventi patologica. Il problema si presenta quando iniziano a fallire anche le grandi imprese con moltissimi dipendenti (es. eni- egam). Il primo ministro dell’epoca Prodi propone la c.d. legge prodi , che prevedeva una disciplina specifica per grandi imprese in crisi. Si ritiene che alcune imprese siano troppo grandi per fallire, perché il fallimento produce delle conseguenze disastrose sui livelli occupazionali. Si ritiene quindi che a decidere se queste imprese potessero fallire non debba essere il potere giudiziale (tribunale) ma il potere politico per questa ragione c’è la scissione tra il potere del • accordi di ristrutturazione A cui si sommano altre 4 procedure: • liquidazione coatta amministrativa normale • liquidazione coatta amministrativa imprese di eccezionali dimensioni • liquidazione coatta amministrativa per imprese che svolgono servizi pubblici essenziali • liquidazione coatta amministrativa per imprese che hanno un forte impatto ambientale Tutte queste procedure riguardano solo le imprese commerciali non piccole. Per gli altri non fallibili ci sono delle procedure collettive dette di insolvenza civile, che sono: • liquidazione del patrimonio, • accordi di composizione della crisi • piano del consumatore. Riguardo all’espressione insolvenza civile c’è una complicazione: dire che riguarda le non imprese è sbagliato, piuttosto bisogna dire che riguarda gli enti non fallibili (categoria che comprende le non imprese ma anche delle imprese non fallibili piccole imprese e agricole). Ci sono dei casi in cui le imprese sono soggette alle procedure di insolvenza civile perché non sono fallibili ma possono fare un piano di risanamento e accordo di ristrutturazione che si rivolgono in modo generico alle imprese. Quando parliamo del fallimento intendiamo dire le procedure incluse nella legge fallimentare che sono: fallimento, concordato preventivo, piano di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione. Queste procedure sono dette di tipo comune perché riguardano le imprese normali: sia per attività che per dimensione. Questo panorama copre solo il ramo impresa. Le attività economiche esercitate in forma diversa dall’impresa che fine fanno? E le attività esercitate da imprese che pur essendo di diritto comune non ci entrano a causa di eccezioni1 che fine fanno? Eccezioni piccole imprese e imprese agricole. Le imprese agricole che non necessariamente sono piccole e magari per dimensione meriterebbero un’esecuzione collettiva ma che storicamente sono state sottratte al fallimento, per il fatto che il fallimento era connotato da profili sanzionatori e l’imprenditore agricolo è stato protetto da queste sanzioni perché è più debole, essendo la sua attività economica legata a un ciclo biologico su cui non si può incidere: non si può incidere sui fattori produttivi per accelerare la produzione. A causa di questa debolezza le imprese agricole sono state da sempre incentivate dal punto di vista fiscale, contributivo, previdenziale e sono anche sottratte dal problema del fallimento. Il fallimento infatti era visto come un problema perché spoglia il soggetto di tutti il suo patrimonio (presente e futuro), in altri ordinamenti invece si tiene conto solo del patrimonio presente, inoltre dal punto di vista civile si perdeva il diritto di voto sia passivo che attivo, si trattava quindi di una condizione fortemente infamante. Dal fallimento sono esclusi ovviamente i professionisti che non sono imprenditori, l’imprenditore agricolo e il piccolo imprenditore. Questi soggetti hanno sempre considerato questa caratteristica un colpo di fortuna, poiché c’era la concezione che fallire fosse una sfortuna, tuttavia gradualmente nel corso di tempo è cambiata visione: non è più sicuro che essere soggetti al fallimento sia una disgrazia. Se un professionista ha fatto 10 milioni di debiti e il mio reddito deriva dal mio lavoro di avvocato quando riuscirò ad avere degli incassi per 10 milioni tali da riuscire a pagare i debiti? Mai e quindi il debitore non tornerà mai in una condizione di poter comprare serenamente un bene senza che questo mi sia pignorato o ipotecato. Per tutta la sua vita il debitore avrà i creditori sempre alle costole. L’imprenditore invece può fare un concordato (se la maggioranza dei creditori è d’accordo vincola la minoranzaè un vantaggio per il debitore che non deve mettere d’accordo tutti i creditori come accade per il professionista), pagare il 30% dei debiti e chiudere la questione, oppure un piano di risanamento attestato concordare la percentuale di debiti da pagare e ricominciare. Oggi quindi il fallimento può avere un vantaggio considerato che le sanzioni non sono più infamanti come un tempo e se l’impresa agricola è ad esempio un srl questi si propagano all’impresa e non alla mia persona. I profili infamanti spariscono, l’opportunità di questa genere di istituti si amplifica perché i piani e gli accordi esistono solo dal 2006, aumentano quindi gli istituti funzionali a ristrutturare le imprese. Allora matura un altro genere di ideologia: dobbiamo consentire anche l’impresa piccola o agricola, al professionista e al consumatore di trovare il modo di sdebitarsi e ripartire con la sicurezza che quello che guadagna non sia assorbito dai debiti che ha fatto dal passato. Per far si che anche gli altri esclusi dal fallimento nel 1942 potessero utilizzare gli istituti del tipici fallimento si sarebbe fare una cosa tecnicamente molto semplice: stabilire che tutti sono fallibili [come accade in altri ordinamenti]. Invece si è scelto di rimanere ancorati alla nostra imposizione originaria, per cui tuttora possono fallire soltanto gli imprenditori non piccoli commerciali. Quindi come facciamo a consentire a questi soggetti di avere una via d’uscita alternativa? Negli anni 2000 matura l’idea di introdurre delle discipline che hanno gli stessi obiettivi (di regolamentazione dell’insolvenza o di superamento dell’insolvenza.) che riguardano le imprese ma possono essere utilizzate dai soggetti esclusi dal fallimento. • Piccolo fallimento liquidazione del patrimonio: è rappresentata dall’apprensione del patrimonio dell’insolvenza civile, dalla sua liquidazione e dal soddisfacimento dei creditori, niente meno che il fallimento con una procedura però semplificata (non ci sono tutti gli organi e la complessità previsti nel fallimento classico). • Piccolo concordato accordi di composizione delle crisi: è un accordo in cui la maggioranza dei creditori vincola la minoranza è più semplice perché mentre nel concordato preventivo è presente moltitudine di organi (giudice delegato, commissario giudiziale e comitato dei creditori), qui c’è un solo organo chiamato “organismo di composizione della crisi” che dovrebbe in termine semplificati gestire il concordato. • Concordato unilaterale piano del consumatore: ha lo stesso identico contenuto di un concordato ma non ha bisogno del voto dei creditori, è sufficiente il tribunale che valuti la convenienza della proposta, vale a dire che preveda un soddisfacimento in maniera uguale o superiore al caso in cui si provvedesse all’esecuzione forzata. Si tratta di procedure che non sono altro che quelle che già conosciamo per le imprese però semplificate. Sono chiamate procedure di insolvenza civile perché che si contrappongono alle procedure di insolvenza commerciale. Sembrerebbe quindi che le procedure di insolvenza civile riguardino i civili, quest’espressione però è approssimativa, le queste procedure si applicano ai soggetti non fallibili [che non sono necessariamente solo i civili cioè i consumatori, professionisti, partiti, sindacati, non imprenditori, ma sono anche certi imprenditori che non sono fallibili: i piccoli e gli agricoli]. In questo modo abbiamo una procedura di esecuzione collettiva per qualsiasi soggetto: SOGGETTI FALLIBILI SOGGETTI NON FALLIBILI • FALLIMENTO • CONCORDATO • PIANI • LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO • ACCORDI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI • ACCORDI • LIQUIDAZIONI COATTE AMMINISTRATIVE • AMMINISTRAZIONI STRAORDINARIE • PIANO DEL CONSUMATORE Il fallimento riguarda soltanto le imprese di diritto comune. Quindi concettualmente una categorie fra molte, e quindi sembrerebbe che le procedure fallimentari riguardino una categoria piuttosto ridotta. Questo non è vero per due ragioni: • Ragione pratica: il fenomeno della crisi d’impresa in termini di impatto economico è preponderante tra le imprese di diritto comune (sul nostro territorio abbiamo in maggioranza imprese commerciali medio- grandi che falliscono); • Ragione giuridica: è nata dal fatto che moltissime di queste procedure per certe loro parti rinviano alla legge fallimentare. Per cui anche se c’è la liquidazione coatta di una banca una parte della disciplina è contenuta nella legge fallimentare. Piani, concordato e accordi sono 3 procedure che possono essere viste come il risultato di un’evoluzione che si è concretizzata nel 2005. Prima del 2005 vi erano solo Fallimento, concordato e amministrazione controllata. Nel 2005 l’amministrazione controllata è stata abrogata e non è stata sostituita dai piani e dagli accordi ma ANCHE dai piani e dagli accordi, cioè la procedura dell’amministrazione controllata è stata presa da queste procedure ma altresì da quello che potremo chiamare il nuovo concordato. Anzi potremmo dire che con la riforma 2005 l’amministrazione controllata e il concordato preventivo che c’erano prima sono state uniformate nel NUOVO CONCORDATO. Nel senso che prima l’amministrazione concordata aveva una funzione di risanamento, e il concordato aveva una funzione liquidativa oggi il nuovo concordato ha una funzione di risanamento O liquidativa. Quindi la riforma della legge fallimentare ha prodotto l’unificazione delle procedure precedenti in una sola. Il grosso guaio è stato mantenere la denominazione di concordato preventivo: perché agli occhi dei burocrati il nuovo concordato prendeva la funzione liquidativa del vecchio concordato e non anche quella di risanamento che era tipica dell’amministrazione controllata. Impresa nel settore della cartellonistica stradale governato dagli appalti e vi è una norma del codice degli appalti che impedisce di prendere parte agli appalti e decadono anche quelli vinti se un’impresa è in concordato, ma la norma fa riferimento a quello precedente alla riforma con funzione liquidativa e non quello post-riforma del 2005 che può avere anche una funzione di ristrutturazione come nel caso dell’impresa di cartellonistica stradale. L’impresa quindi perdendo tutti gli appalti è fallita nel giro di pochi mesi, colpa di questa incomprensione frutto dell’omonimia delle procedure. Se quella procedura si sarebbe chiamata procedura di risanamento aziendale questo non sarebbe successo. Questo è un problema che sussiste ancora oggi, tuttora essendo questa procedura denominata concordato ha tantissime norme vecchie che riguardano il concordato liquidativo e che postulavano che la natura fosse liquidativa e non di risanamento, che non vanno bene per i concordati con funzione di risanamento. Nel passaggio della riforma del 2005 non si è perso sulla con l’abrogazione dell’amministrazione controllata perché la sua disciplina è confluita nel nuovo concordato, in più ci sono i piani e gli accordi. Quindi da una procedura di risanamento ce ne sono 3: nuovo concordato, piani e accordi. Questo evidenzia lo sforzo del legislatore di mettere a disposizione strumenti supplementari per rafforzare i tentativi di risanamento dell’impresa. Prima chi voleva risanare l’impresa aveva a disposizione solo l’istituto dell’amministrazione controllata che è stata ritenuta insufficiente: ci sono diversi possibili punto di vista, un punto di vista che aiuta a capire le ragioni delle differenze di disciplina tra il nuovo concordato- piani e accordi è la consapevolezza del legislatore che gli imprenditori non hanno una grande propensione a mettersi nelle mano dell’amministratore anzi se possono lo schivano, perché gli imprenditori svolgano attività discutibili che vengono messe da questa procedura le attività e passività vengono guardate con la lente di ingrandimento, si nota se ad esempio alcuni crediti sono stati sopravvalutati. La differenza alla luce di ciò tra concordato con prospettiva di risanamento, piano e accordo è che nel concordato c’è il tribunale con grani poteri, nell’accordo il suo potere è meno invasivo, nel piano è assente. Se l’imprenditore può scegliere fa il piano e in alternativa l’accordo e solo se costretto un concordato. Un fattore comune tra piano-accordi-concordato è l’attestazione. L’attestazione è un controllo sul bilancio, una verifica sulla reale condizione economico, finanziaria, patrimoniale. Non posso avvalermi si nessuno di concordato preventivo i seguenti soggetti..”. Nel corso del tempo fallire è diventato sempre meno infamante e allora i termine della vicenda si sono invertiti perché essere sottratti al fallimento se consolava perché non si poteva essere dichiarati falliti impediva di utilizzare il concordato preventivo. Inoltre con l’economia moderna odierna l’attenzione del legislatore alla possibilità di utilizzare le procedure rivolte a risanare e ristrutturale l’attività d’impresa piuttosto che liquidarla è andata aumentando: nel 1942 le imprese avevano un certo valore patrimoniale (perché utilizzavano degli istituti che le costringeva ad avere un valore patrimoniale non irrisorio) per cui la loro liquidazione consentiva tendenzialmente un soddisfacimento accettabile per i creditori. Questo tipo di struttura d’impresa è andato cambiando attraverso l’uso di istituti, norme, discipline che di fronte alla cessazione dell’attività d’impresa possono trovare l’impresa stessa priva di un accettabile valore patrimoniale. Es. spesso si utilizza il leasing, i fattori della produzione non sono di proprietà ma solo in uso. Da qui l’esigenza di relegare gli istituti liquidativi ad eccezione e valorizzare gli istituti che mirano a ristrutturare l’impresa fare in modo che la crisi sia risolta con la ripresa e non con la liquidazione. Questo obbiettivo può essere raggiunto agevolando il ricorso alla procedura di amministrazione controllata presente nel vecchio fallimento per risanare le imprese e ne aggiungiamo delle supplementari, quindi aumentiamo la capacità di fuoco delle procedura atte al risanamento dell’impresa relegando le procedura liquidative. Tecniche per perseguire questo obiettivo: • Nella vecchia disciplina del fallimento l’istituto con funzione di ristrutturazione era l’amministrazione controllata: aveva lo svantaggio di durare solo 2 anni: semplicemente per due anni l’imprenditore in amministrazione controllata congelava il passivo e si dedicava a ristrutturare l’impresa, con la spada di Damocle che passati due anni tutto il passivo pregresso sarebbe diventato immediatamente esigibile compresi gli interessi (che in quegli anni erano arrivati al 10%). • La riforma del 2005 ha cercato di rinvigorire l’amministrazione controllata attraverso l’azione di fondere l’amministrazione controllata e il concordato realizzando un nuovo istituto che: non ha un limite di durata per l’esecuzione del programma di ristrutturazione e che può accoppiare alla moratoria dell’amministrazione controllata lo stralcio che era tipico del concordato preventivo. Quindi posso realizzare una fattura in cui dico “ti pago in 5 anni ma solo al 40%”. Questa nuova procedura si chiama concordato preventivo come quella vecchia con conseguente confusione frutto di questa omonimia tra le procedure. Tutte le norme che facevano conseguire dal concordato determinati effetti perché si trattava di una procedura liquidativa sono norme che mantengono questo riferimento nonostante adesso si rivolgano a una procedura che ora non è più necessariamente liquidativo ma può avere anche una funzione di ristrutturazione. Questo fenomeno ha una tale rilevanza sistematica che a distanza 12-13 anni ormai si è riprodotto: abbiamo un sistema che tendenzialmente riproduce la contrapposizione tra concordato preventivo e amministrazione controllata, anche se l’amministrazione controllata non c’è. Questa contrapposizione deriva dalla distinzione del concordato preventivo che è liquidativo e concordato preventivo che gli interpreti e la legge chiamano concordato preventivo in continuità aziendale. Vuol dire che il legislatore si è reso conto che la situazione dell’impresa che va verso il risanamento è molto diversa da quella dell’impresa che va verso la liquidazione e per questa ragione in un caso sono necessarie certe norme mentre nell’altro caso sono necessarie norme diverse (che spesso sono opposte tra loro), per questa ragione si riproduce il caso precedente in cui le imprese in liquidazione vanno in concordato preventivo e quelle che invece vogliono risanarsi fanno domanda di amministrazione controllata. È inutile ispirare ad avere un’unica procedura. Es. se faccio richiesta di concordato per risanare la mia azienda non posso ottemperare alla norma stabilita per il concordato liquidativo per cui devo pagare immediatamente il mutuo ventennale perché in questo caso non sarà mai in grado di ristrutturare la mia azienda. Questa manovra non è stato efficacie e ha creato solo confusione. Sarebbe stato preferibile riformare l’amministrazione controllata consentendo ad esempio di stralciare tutto o in parte i debiti pregressi. • Aggiunta di nuove procedure: PIANI ATTESTATI DI RISANAMENTO ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE. Siccome si tratta di procedure che impongono l’applicazione di certe norme il legislatore è consapevole che non suscitano l’entusiasmo degli imprenditori i quali sarebbero più portati a risolvere le crisi con accordi riservati più duttili che però potrebbero scontrarsi con l’interesse dell’ordinamento [ad esempio non si rispetta la parità di trattamento]. Il legislatore non impone queste procedure ma incentiva e agevola l’imprenditore che invece di risolvere la situazione in modo privato-stragiud--iziale (e quindi opaco) lo fa con una di queste procedure. Il problema è quanti incentivi ci sono in queste procedure tali da persuadere l’imprenditore a risolvere la crisi con procedure approvate dalla legge. Il legislatore è consapevole che l’imprenditore aspirerebbe ad avere meno controlli possibili (per non rispettare ad esempio la par condicio creditorum), quindi il legislatore aumenta gli inc0entivi in relazione all’aumento di controllo: PIANO NO CONTROLLO POCHI INCENTIVI ACCORDO CONTROLLO SOLO ALLA FINE PIù INCENTIVI CONCORDATO CONTROLLO CONTINUO E SPASMODICO MASSIMO DEGLI INCENTIVI La scelta dipende dal momento in cui mi trovo, se mi metto subito in moto posso risolvere con un piano man mano che la situazione degenera potrebbe non essere più sufficiente e quindi è necessario un accordo oppure un concordato. Questo è un fenomeno di grande importanza sistematica che condizione tuttora il processo di riforma fallimentare che è in corso, non si sa se questa riforma vedrà la luce perché a fine anno scadrà la delega del parlamento al governo per la riforma di questa legge bisognerà quindi capire cosa si farà. Le commissioni istituite dal governo precedente e in particolare la commissione Rordorf (prende il nome da Renato Rordolf presidente della suprema corte di cassazione), ha predisposto degli schemi di decreto legislativo delegato e in questi vi è un problema che si chiama: ALLERTA. Questo potrebbe essere il punto su cui naufragherà la riforma. La disciplina di allerta è rappresentata da norme che in presenza di situazioni che mettono a rischio la continuità aziendale impone a un certo numero di soggetti di allertare la comunità economica. Questi soggetti potrebbero essere: INPS, INAIL, AGENZIA DELLE ENTRATE, MEMBRI DEL COLLEGIO SINDACALE (oggi nel libro del collegio sindacale si raccomanda all’organo di amministrazione di pagare i contributi appena può, non ha nessuna efficacia, diverso sarebbe se il collegio sarebbe obbligato a rendere la situazione pubblica). Sono istituti che vedono benissimo quando un’impresa inizia ad avere problemi (es. non versa più i contributi, le ritenute, le imposte perché è il primo modo per finanziarsi quando non si hanno soldi non si può non pagare i dipendenti oppure le materie prime e poi ci vogliono anni perché questi enti vengano a chiedermi i soldi) e rendendo pubblica tempestivamente la difficoltà dell’impresa consentirebbe a tutti di esserne a conoscenza. Per il sistema economico è estremamente utile, mentre per l’impresa no perché perde credibilità: es. perde i fidi della banca. Questa disciplina è oggetto di una discussione tra le associazioni degli imprenditori e il governo riformatore. Le possibilità sono 3: • La riforma passa anche con il dissenso; • La riforma passa togliendo l’allerta; • La riforma non entra in vigore. Il problema principale è vedere fino a dove spingersi per favorire quella che viene chiamata la c.d. emersione precoce, le misure di allerta sono funzionali a consentire l’emersione precoce. PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO: Quando parliamo di un istituto e esponiamo la sua disciplina un approccio corretto è chiedersi “quando” e “a chi si rivolge”: • A chi si rivolge: si fa riferimento al presupposto soggettivo: imprenditori. Questo presupposto crea problemi interpretativi, imprenditore chi? Qui non siamo nell’art. 1 della legge fallimentare, ma all’art. 67 in cui si parla genericamente di imprenditore. Non c’è coincidenza di presupposti soggettivi tra l’istituto del piano e quello del concordato in cui è specificato all’art.1 che possa essere fatto solo dall’imprenditore agricolo non piccolo). • Quando: presupposti oggettivi: problema perché la norma che disciplina questo istituto descrive la situazione che si vuole attuare attraverso l’istituto vale a dire il riequilibrio della situazione finanziaria – cioè risultato - ma non dice il punto di partenza. Si può fare un piano solo se tende al riequilibrio della situazione finanziaria ma quando? In qualsiasi situazione oppure solo in alcune determinate? Puoi farlo se sei già fallito? Se sei in liquidazione? Quando sei in continuità aziendale e c’è uno squilibrio? È ovvio che se c’è una situazione di squilibrio si tenda al riequilibrio è meno ovvio che in una situazione di insolvenza perché questa porterebbe ad una prospettiva liquidativa. La cosa è tuttora dubbia perché certi tribunali rifiutano di concedere questa possibilità quando si è in liquidazione mentre altri dicono che si può fare perché viene revocata la liquidazione si torna a una situazione di gestione ordinaria e quindi può essere fatta. Quali sono le ragioni che possono rendere difficile all’imprenditore in crisi la continuazione dell’attività, cioè ragioni per le quali un’impresa in cui è conosciuta la situazione di crisi avrà difficoltà a continuare l’attività? Qual è la problematicità che emerge per il fatto che l’impresa versa in una condizione di crisi se i clienti acquistano lo stesso prodotto di qualità e i fornitori si fanno pagare subito? IL RISCHIO DELL’AZIONE REVOCATORIA. I piani attestati di risanamento hanno un incentivo, che dipende da un fenomeno fortemente giuridico che non è espressione di questioni concrete ma di una disciplina normativa astratta che in quanto tale potrebbe non esserci, ci sono tante norme presenti in alcuni ordinamenti e assenti in altri, non è un problema di relazioni industriali ed economiche ma un problema di caratteristica della disciplina giuridica della crisi d’impresa che il nostro ordinamento presenta è che rappresenta un ostacolo alla continuazione dell’ attività di un’azienda in crisi. Questa caratteristica si concretizza nell’istituto dell’azione revocatoria. L’azione revocatoria è un istituto penalizzante per il soggetto in difficoltà economica, essendo un istituto penalizzante rimuoverlo rappresenta di per sé una facilitazione, non perché si da qualcosa in più ma perché si toglie qualcosa che danneggia. L’azione revocatoria si studia tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale insieme al sequestro e all’azione surrogatoria. I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale permettono al creditore che aveva fatto affidamento su una certa garanzia patrimoniale del debitore e vede che questa viene ridotta o azzerata può ispirare a ricostituire l’iniziale garanzia patrimoniale sottoponendo a revocatoria gli atti di disposizione che l’hanno azzerata, es. possibilità di revocare la donazione che ha trasferito tutti i beni. Quando si passa dalla considerazione della garanzia patrimoniale verso il singolo debitore alla considerazione della garanzia patrimoniale verso la generalità dei creditori e quindi si prospetta la possibile apertura di una procedura concorsuale l’azione revocatoria diventa un’azione generale che è in condizione di privare di effetti tutti gli atti dispositivi fatti dal fallito: le vendite, i pagamenti e qualsiasi atto che abbia portato ad un impoverimento del suo patrimonio (costituzione di una garanzia, es. ipoteca). Il mondo economico (i clienti, i fornitori, le banche) sa che se dall’attuale crisi dell’impresa dovesse derivare un fallimento gli atti compiuti con questo imprenditore potrebbero essere oggetto a revocatoria e dovrebbe restituire quando ha conseguito da questi atti avendo in cambio moneta fallimentare (un credito chirografo). Con la conseguenza che l’impresa in crisi non riesce a: chiudere affari, trovare clienti, comprare materie prime e trovare banche che concedano prestiti. E questo è il risultato di una struttura normativa che persegue questo effetto (è voluto). Il legislatore nel 1942 in un contesto liberistico aveva l’obiettivo di espellere l’imprenditore in crisi dal mercato attraverso questi istituti che accelerano il fallimento perché precludono all’imprenditore di rimettersi in piedi. L’azione revocatoria è strumento che è funzionale ad impaurire i soggetti con cui l’impresa intrattiene i suoi rapporti commerciali. Allora il primo vantaggio e pressoché unico vantaggio che si consegue utilizzando i piani attestati di risanamento per risolvere la crisi dell’impresa è cento dei crediti. *ARTICOLO INTRODOTTO CON DECRETO LEGGE N.35 DEL 14 MARZO 2005 *ARTICOLO SOSTITUITO DAL DECRETO LEGISLATIVO 12 SETTEMBRE 2007 Per due anni questi istituto contemplava come presupposto soggettivo un debitore, in modo generico. Questo istituto era stato concepito per l’utilizzo di qualsiasi soggetto. Oggi invece è concepito come un istituto che riguarda solo l’imprenditore (anche piccolo e agricolo) perché non è accomunato al fallimento. Cosa vuol dire in stato di crisi non è presente una definizione di “stato di crisi” nella legge fallimentare. È presente una definizione di stato d’insolvenza contenuta nell’art. 5 il quale stabilisce da cosa ricavare l’insolvenza: Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori (es. fuga), i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Cioè si tratta di un fenomeno finanziario non patrimoniale, vale a dire che attiene ai flussi di cassa e non alla consistenza del patrimonio. Si intuisce da un punto di vista terminologico che lo stato di crisi è qualcosa di diverso e meno grave e irreversibile dello stato di insolvenza, si potrebbe però non essere d’accordo sul fatto che lo stato di crisi è una nozione diversa dallo stato d’insolvenza dal punto di vista qualitativo o quantitativo. È una nozione diversa o una più ampia (perché dentro lo stato di crisi ci sta anche lo stato di insolvenza)? Se è diversa e sono in uno stato di insolvenza l’accordo non lo posso fare se invece è una questione più ampia è possibile fare l’accordo. Questo dubbio ha avuto una ricaduta immediata nel 2005 dopo la modifica alla legge fallimentare perché la nozione di stato di crisi è la stessa utilizzata per il concordato preventivo, alcuni tribunali fallimentari hanno stabilito quindi che se un imprenditore era in stato di insolvenza non poteva fare un concordato. Invece nella legge del 1942 prima del 2005 era possibile farlo in base all’art.1 chi fa il fallimento può anche fare un concordato preventivo. Questa discussione ha avuto un tale impatto per cui si è resa necessaria una legge di interpretazione autentica: ai fini dell’applicazione dell’art. 160 sul concordato preventivo per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, vuol dire che lo stato di crisi per il concordato è comprensivo dello stato di insolvenza, in conclusione anche chi è in stato di insolvenza è in stato di crisi e può fare il concordato. In questa legge però non si parla di accordo. E quindi si può porre in modo fallace il problema che con la legge di interpretazione autentica non si è fatto riferimento all’accordo allora vuol dire che per l’accordo lo stato di insolvenza non è compreso nello stato di crisi. Questo ragionamento è sbagliato perché non si può ricavare dal fatto che la norma non parli dell’accordo e la conseguenza e quindi questo non vale, e la ragione di ciò è che la norma di interpretazione autentica non aveva bisogno di parlare dell’accordo perché in quel momento vigeva la versione originaria dell’ art. 182 bis che non parlava di stato di crisi. Si può concludere che nello stato di crisi ci sta anche lo stato di insolvenza, cosa importante per tantissime ragioni; alla fine di questo percorso ci sarà il tribunale perché l’accordo è in parte fuori dal tribunale e in parte dentro. Se non avessimo la ragionevole convinzione che dentro lo stato di crisi c’è anche quello di insolvenza, correremo il rischio di perdere 2 anni per farlo e poi il tribunale non lo omologa dicendo che lo stato di insolvenza non è incluso in quello di crisi. FASI DELL’ACCORDO: • organizzazione dell’accordo • votazione dei creditori avvengono fuori dal tribunale • perfezionamento dell’accordo c.d. omologazione Quest’ultimo passaggio non è gradito all’imprenditore invece ai suoi creditori piace molto perché se c’è un errore nel piano il tribunale non lo omologa. Quindi in caso di fallimento non si potrà mettere in discussione la correttezza giuridica dell’accordo come invece può accadere per il piano. Anche l’accordo deve essere attestato in particolare dall’attestazione deve emergere l’attuabilità del piano garantita da un’attestatore professionale e indipendente il quale garantisce altresì l’integrale pagamento dei creditori estrani all’accordo entro 120gg della omologa. ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE CONCORDATO PREVENTIVO È disciplinato dall’art. 182 e ss. L.F. È disciplinato dall’art.160 ss. L.F. accordo che da esecuzione ad un piano che coinvolge almeno il 60% dei creditori (nel complesso). un accordo con il 50,01% degli ammessi al voto [votanti]. Nel concordato preventivo quindi non rileva il voto di coloro che non sono ammessi a votare. Ciò che discrimina gli ammessi al voto dai non ammessi al voto: la circostanza che siano creditori con garanzia oppure senza garanzia, se sono con garanzia il concordato ne deve prevedere il pagamento e quindi sono disinteressati. Interessati al concordato sono i creditori senza garanzia c.d. chirografari perché subiranno una perdita (verranno pagati solo in parte). LA SITUAZIONE GIURIDICA DELLA MINORANZA è OMOGENEA O ETEROGENEA? Nell’accordo la minoranza deve essere pagata interamente. L’accordo non comporta un effetto vincolante della maggioranza sulla minoranza. È quindi più difficile convincere il creditore a prendere parte all’accordo perché nel caso del concordato il creditore in minoranza rimarrà ugualmente vincolato. nel concordato vale il principio per cui la scelta della maggioranza coinvolge e vincola la minoranza NEGLI ACCORDI VENGONO CONFERMATI GLI INCENTIVI DEL PIANO E IN PIù SE NE AGGIUNGONO ALTRI. I vantaggi per l’imprenditore che fa un accordo: 1. Esenzione della revocatoria FUORI DAL TRIBUNALE IN 2. Esimente per responsabilità penali per bancarotta 3. Vantaggio fiscale in caso di stralcio 4. Vantaggio fiscale per il creditore: la deducibilità immediata della perdita. Per le norme fiscali il creditore dovrebbe aspettare che la perdita si realizzi per poterla dedurre. 5. Il vantaggio più importante che conseguiranno il debitore e il creditore inserendo un piano di ristrutturazione dentro l’accordo invece che dentro il concordato è quello che si chiama PREDEDUZIONE. Vengono rilevati in via anticipata i finanziamenti concessi all’imprenditore per realizzare l’accordo, porta quindi alla produzione un credito che deve essere pagato dell’apertura del concorso (prima degli altri e interamenteè sempre così?). Naturalmente questo vantaggio, che è simile a quello che si verifica in caso di creditori privilegiati, è visto negativamente da parte degli altri creditori. La prededuzione è un istituto introdotto nel 2005 e nel passato aveva avuto solo un’origine giurisprudenziale. In base all’art. 111 della legge fallimentare il fenomeno in forza del quale un credito ha diritto di essere soddisfatto prima di tutti gli altri può rilevare da due origini: • crediti che derivano da finanziamenti concessi in funzione o in occasione di una procedura concorsuale. Se si apre una procedura concorsuale per convincere i finanziatori a concedere i prestiti al fallito bisogna dare delle garanzie. In questa prima fattispecie bisogna solo verificare che ci sia una funzionalità in relazione alla procedura concorsuale. • Nei casi diversi dalle procedure concorsuali previsti da una specifica norma di legge per un’esigenza considerata meritevole di tutela in cui si rende necessario incoraggiare il finanziatore a concedere il finanziamento. Bisogna verificare la portata delle specifiche disposizioni di legge, siccome l’accordo non è una procedura concorsuale si è vincolati ad i requisiti stabiliti nella legge e non ci può accontentare di una generica funzionalità del finanziamento all’accordo. Questo avrebbe una sua logica se il legislatore non avesse commesso un errore che complica la vita agli interpreti ma soprattutto ai professionisti che adoperano frequentemente questo istituto. Perché per pagare subito i creditori che non hanno accettato l’accordo [max 40%] l’imprenditore necessita necessariamente di un finanziamento. Bisognerebbe per questa ragione evitare incertezze prima fra tutte l’incertezza applicativa che riguarda il fatto che la distinzione per cui prededuzione può riguardare due possibilità postula che questi due nuclei rimangano separati. Se è una procedura concorsuale vale il principio generale per cui il finanziamento deve essere funzionale alla procedura, se non è una procedura concorsuale si deve andare a verificare le singole norme. Quando è stata introdotta questa distinzione non presente nella riforma originale si è creata confusione perché questi 5 casi sono norme che sono state inserite nell’ accordo (no procedura concorsuale) ma valgono anche per il concordato preventivo. Questo è un problema perché in teoria nel concordato non si dovrebbero andare a verificare questi 5 casi è sufficiente che vi sia funzionalità tra concordato e finanziamento. Anche se il concordato non ha questi requisiti non è la norma specifica che giustifica la prededuzione ma è il fatto che si tratta di un finanziamento erogato in funzione di una procedura concorsuale. Sarebbe stato più chiaro se fossero state mantenute distinte la regola generale per le procedure concorsuali e la regola che richiede delle specificazioni alle procedure non concorsuali (tra cui l’accordo). La complicazione è presente nel concordato perché ci sono delle regole che si sovrappongono: si applica la regola generale per cui basta la funzionalità oppure la regola speciale per cui è necessaria, ad esempio, anche l’autorizzazione del tribunale. Per paura che la banca non lo approvi rispetto i requisiti specifici e allora a cosa serve la regola generale?L’accordo invece non è non una procedura concorsuale e quindi non c’è una sovrapposizione di norme, è necessario che rientri nei 5 casi previsti dalla legge e non è sufficiente la funzionalità. VANTAGGI COMUNI CON IL PIANO Art. 182 quater primo comma: FINANZIAMENTI IN ESECUZIONE I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell'articolo 111. Questa norma è pericolosa perché è piuttosto generica e non si può essere sicuri che questa genericità permetta di fare qualsiasi cosa. Cosa vuol dire in esecuzione tenendo conto che non sono necessariamente autorizzati (perché nella norma non è scritto). Per cui la prassi è una forma di autolimitazione che suggerisce di limitare il ricorso a questa figura solo nei finanziamenti che sono previsti nell’accordo di ristrutturazione.C’è una certa distanza tra i finanziamenti interinali e quelli in esecuzione perché tra la domanda di omologa e l’esecuzione dell’accordo che interviene in caso di omologa non ci sono altre categorie di finanziamenti perché non ci sono altre fasi. Quando vedremo il concordato in mezzo ci sono l’ammissione al concordato e la votazione dei creditori per cui troveremo una o altre figure di finanziamenti che coprono queste fasi. La prededuzione in termini giuridici è la collocazione preferenziale di un credito rispetto agli altri però non crea nessun problema il fatto che in un certo momento della vita di un’impresa vengono acquisiti dei crediti che saltano davanti agli altri? Bisogna conciliare l’esigenza di dare questa forma di tutela ai creditori che finanziano l’impresa in crisi e tutelare anche le aspettative di chi aveva dei crediti precedenti soprattutto di quei creditori che avevano utilizzato gli strumenti che la legge gli metteva a disposizione per tutelarsi al massimo nei confronti del possibile rischio di insolvenza dell’impresa es. con un’ipoteca. L’art. 111 si dà da fare per contemperare l’esigenze dei creditori vecchi e nuovi prevedendo che la prededuzione sia possibile solo nei casi previsti dalla legge e che in ogni caso non tocchi mai le garanzie speciali: pegno, ipoteca, privilegio speciale. Le garanzie che sono riferite al ricavato di singoli beni rimangono come vincoli che comportano il pagamento preferenziale dei crediti muniti di pegno, ipoteca o privilegio speciale. Quindi con una piccola o grande limitazione alla tutela che viene assicurata ai creditori prededucibili perché ci sono situazioni nella quali il patrimonio è pressoché assorbito interamente da privilegi e quindi il finanziatore, nonostante la prededuzione, decide di non concedere il finanziamento perché c’è un alto rischio di rimanere insoddisfatto. Se i crediti prededucibili sono maggiori dell’attivo rimasto per soddisfarli? Infatti un’impresa che continua l’attività in perdita (es. egam-ilva) è in grado di produrre tanto indebitamento prededucibile, in questo caso quale regola si applica? L’art. 111 nel 2005 è andato a sanare questa lacuna e ha previsto anche questa fattispecie, nello specifico ha riprodotto per i crediti prededucibili la regole previste per i creditori normali. Si utilizzano i gradi di privilegio, quindi non è vero che i prededucibili verranno necessariamente pagati interamente perché vengono prima perché anche tra di loro si riproduce l’ordine di preferenza. Fino ad ora abbiamo analizzato solo effetti incentivanti ma non protettivi. Non abbiamo analizzato degli effetti che mettano tranquillo l’imprenditore dalle possibili aggressioni che potrebbe subire e mettere in discussione la fattibilità del piano. Aggressioni di cui il creditore deve sempre tenere conto perché possono limitare la disponibilità del suo patrimonio rendendo difficile a portare avanti un programmi di risanamento. Se l’imprenditore subisce degli atti di aggressione che creino scompiglio tra i creditori rischia di non riuscire ad ottenere la loro adesione (es. si allarmano perché la banca ottiene un’ipoteca, un creditore sequestra delle somme di denaro, ecc..). Si tratta di aggressioni che richiedono i c.d. effetti protettivi vale a dire che richiedono di poter predisporre, negoziare, concludere l’accordo in una condizione in cui nessuno può avvantaggiarsi con iniziative individuali. Per poter congelare le trattative è necessario fare un concordato che sospende le azioni esecutive e cautelari dei singoli. Se invece l’imprenditore preferisce fare l’accordo uno strumento equivalente a quello previsto nel concordato non è presente, tuttavia il legislatore nel corso del tempo ha consentito all’imprenditore di provare a ottenere degli effetti equivalenti 6. Istanza di sospensione: di azioni esecutive e cautelari. Un’istanza nella quale l’imprenditore dice che non fa il concordato ma il piano e chiede la sospensione di compiere azioni esecutive e cautelari per un termine stabilito. Questa possibilità è stabilita nell’art. 182 bis comma 6: Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo, depositando presso il tribunale competente la documentazione e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell' imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e da una dichiarazione del professionista indipendente circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno negato la propria disponibilità a trattare. L'istanza di sospensione di cui al presente comma e' pubblicata nel registro delle imprese e produce l'effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione. Questa soluzione è sostanzialmente inutile fatta dal legislatore che cerca di accontentare l’imprenditore. Per ottenere un’istanza di sospensione occorra avere una proposta così circostanziata che l’attestatore possa dire che se accettata funziona, ma per realizzare una tale proposta ci vogliono dei mesi di trattative ed è in questo periodo che l’imprenditore è più a rischio e non è protetto. La tutela di questa norma arriva quando non è più funzionale. Sarebbe bello poter “scippare” questo vantaggio dal concordato, quindi l’imprenditore può decidere di fare domanda di concordato ottenendo la sospensione immediata ed intanto inizia ad accordarsi con i creditori, quando l’accordo è pronto rinuncia al concordato e continua con l’accordo. L’imprenditore è in concordato con la riserva mentale che ha intenzione di fare l’accordo. Bisogna vedere in che misura possiamo prevedere l’utilizzo strumentale del concordato per trarne un vantaggio massimo e poi sottrarsi dalle conseguenze negative tipiche del concordato stesso, per intraprendere una strada più vantaggiosa. Il concordato è così flessibile da permettere di partire in un modo e poi cambiare (c.d. PASSARELLA). 29-10 Mentre con gli accordi è possibile intraprendere una strada traversa per ottenere subito degli effetti favoritivi per quanto concerne i piani attestati questo non è possibile: i piani attestati rimangono sempre esposti alle azioni esecutive o cautelari dei creditori che non siano d’accordo con la proposta del debitore. quando passiamo dal 6 al 7 comma c’è una disposizione che evidenzia un problema che oggi è di particolare attualità: quale sia il grado di approssimazione del accordo di ristrutturazione rispetto al concordato. COMMA 6: ISTANZA DI SOSPENSIONE COMMA 7: OMOLOGA Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l'udienza entro il termine di 30gg dal deposito dell'istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell'udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con l’accordo del 60% dei creditori e delle condizioni per l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo e' reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile. Comma 8 Se nel termine che è stato dato dopo la predisposizione di un accordo di ristrutturazione invece che trovare un accordo con i creditori deposito una domanda di concordato si conseguono gli effetti protettivi di cui al comma 6-7. Questa ipotesi viene chiamata passerella: passo da una procedura all’altra per avere gli effetti positivi del concordato. Si chiede al tribunale un’istanza di sospensione, questo da 60gg per trovare l’accordo dei creditori, in questo termine per varie ragioni si può fare una domanda di concordato preventivo e gli effetti che si erano prodotti dall’istanza di sospensione si mantengono e confluiscono nel concordato preventivo. Quali sono questi effetti e in che senso costituiscono un’anticipazione del concordato preventivo, in questo modo in parte è come se l’imprenditore avesse iniziato il concordato preventivo già quando ha presentato l’istanza di sospensione. EFFETTI ISTANZA DI SOSPENSIONE: il divieto di azioni esecutive e il divieto di garanzie se non concordate (vuol dire che se sono concordate sono ammesse). Quando poi nei 60 giorni dovesse essere presentata una domanda di concordato preventivo questi effetti si conservano e poi partono gli effetti del concordato preventivo. Questa circostanza induce a domandarsi se l’accordo di ristrutturazione abbia una natura analoga al concordato preventivo e se tutte e due possono essere chiamate procedure concorsuali. Ciò è importante perché la legge fallimentare detta norme in ordine sparso applicabili solo alle procedure concorsuali, non definendo però quali sono. È pacifico pensare che sia una procedura concorsuale: il fallimento, il concordato, la liquidazione coatta amministrativa perché hanno effetti omogenei: cristallizzazione del passivo, protezione del patrimonio nei confronti di qualsiasi atto aggressivo dei creditori, la privazione del debitore della disponibilità del suo patrimonio (o perché viene affidato a un curatore fallimento o perché l’imprenditore viene affidato un commissario). Quando si passa da fallimento, concordato e liquidazione coatta amministrativa e concordato a altri istituti come l’accordo, il piano non sappiamo se anche questi sono procedure concorsuali. Non sappiamo se hanno dei contenuti e degli effetti abbastanza simili a fallimento, concordato e l.q.a. tali da poterle considerare analoghi. E quindi poter applicare anche a loro la qualifica di procedure concorsuali. Es. quando abbiamo parlato di prededuzione questo tema era rilevante, se l’accordo fosse stata una procedura concorsuale avrebbe seguito l’art. 111 che dice che sono prededucibili tutti i crediti funzionali ad una procedura concorsuale. Tra i fattori che vengono addotti per attribuire o negare all’accordo la qualifica di procedura concorsuale è questo effetto passerella. L’accordo di ristrutturazione è così simile al concordato che praticamente ne presenta un’anticipazione. Il tema è se gli effetti dell’accordo quando viene proposta l’istanza di sospensione sono: il divieto di azioni esecutive e il divieto di garanzie se non concordate, sono una parte rilevante degli effetti concordato per cui possiamo dire che l’accordo ha anticipato il concordato oppure no perché rappresentano una porzione ridotta degli effetti del concordato stesso? Effetti del concordato preventivo: per valutare se questo argomento è convincente per attribuire all’accordo il ruolo di “anticipatore” del concordato: 1. Divieto di azioni esecutive; 2. Divieto di costituzione di garanzie: sono vietate tutte le garanzie non solo quelle concordate; 3. Inapplicabilità della compensazione: non si possono compensare i crediti con i debiti, il credito rimane cristallizzato mentre il debito va pagato al 100% alla scadenza; 4. Privazione della disponibilità del patrimonio: si possono porre in essere solo atti di ordinaria amministrazione; 5. Par condicio creditorum: con il concordato tutti i creditori devono essere trattati allo stesso modo, si può deviare da questo principio solo nell’ambito di classi omogenee. Tra i creditori omogenei di una singola classe il trattamento deve essere analogo. Nell’accordo a questo proposito non c’è nulla, l’accordo vale solo per chi lo firma. Il contenuto di questi effetti è molto più rilevante dei due effetti della sospensione per questo non si può attribuire all’accordo il ruolo di anticipatore degli effetti del concordato. INCENTIVI SUPPLEMENTARI 7. EFFETTI PROTETTIVI IMMEDIATI CONTRO ATTI AGGRESSIVI: Appena si deposita la domanda di concordato in tribunale dalle ore 00:01 si è protetti da tutti gli atti aggressivi dei creditori sia quelli che si manifestano come tali (es. sequestro) ma anche se non si manifestano come tali ma influenzano il patrimonio, es. contestazione. È un vantaggio formidabile. L’imprenditore può “tenere le bocce ferme”. L’indebitamento pregresso viene congelato: i flussi di cassa entrano regolarmente ma non ci sono i deflussi dei debiti pregressi. Il problema, visto anche per l’accordo, è che anche una domanda di concordato suppone delle trattative e ci vuole del tempo, più la proposta è “strong” più sarà difficile che l’accettino. Va realizzato un piano di concordato in modo tale da fare una proposta che sia conforme con i debiti accumulati. Questi effetti protettivi vengono accentuati considerando l’anticipazione che può derivare dal concordato in bianco, non c’è un effettiva immediatezza tra avvio del processo attraverso il quale contrastare una situazione di crisi e presentazione della domanda di concordato infatti gli effetti non sono immediati perché è necessario del tempo per realizzare un piano di concordato: l’imprenditore deve innanzitutto realizzare una situazione economico-patrimoniale aggiornata al fine di realizzare il piano che deve essere attestato (l’attestatore verifica i crediti e i debiti dell’azienda nel dettaglio e il rivaluta non tenendo conto dei criteri utilizzati dall’imprenditore es. crediti non pagati da tempo e per cui c’è scarsa possibilità che siano incassati), la domanda con riserva consente di anticipare i benefici del concordato e avere il tempo per realizzare il piano. 8. CONCORDATO IN BIANCO O CON RISERVA O PRECONCORDATO: (possibile dal 2013) è in bianco perché si può omettere nel piano la proposta ai creditori, perché nelle situazioni di crisi avanzata è necessario del tempo per poterlo realizzare. Il concordato si compone: proposta ai creditori, piano con il quale viene eseguita la proposta e una domanda al tribunale di poter attuare questo istituto. Il concordato in bianco è fatto dalla sola domanda al tribunale della concessione del termine entro il quale si predisporrà un piano e si proporrà ai creditori. Trattandosi di una procedura che è già un concordato produce tutti gli effetti del concordato (li anticipa in particolare il c.d. automatic stay: sospensione delle azioni esecutive-cautelari e iscrizioni ipotecarie). Qual è il costo per ottenere questi effetti in modo anticipato? Nomina del commissario giudiziario e del giudice delegato e solo amministrazione ordinaria. Questi inconvenienti si producono anche con il concordato in bianco. Si devono accettare questi inconvenienti per conseguire i relativi vantaggi. 9. EFFETTO VINCOLANTE DELLA MAGGIORANZA: Il concordato preventivo è vincolate per tutti i creditori se c’è l’accordo della maggioranza, ricordiamo che questo 50,01% è diverso dal 60% dell’accordo perché nel concordato i privilegiati non votano, questo concetto era così presente nella normativa pregressa che fino alla riforma del 2005 l’orientamento giurisprudenziale interpretava la norma per cui il concordato doveva necessariamente prevedere il soddisfacimento del 40% dei creditori e il 100% dei privilegiati era nel senso che soddisfare il 100% dei privilegiati fosse un obbligo ineludibile anche se il privilegio non valesse affatto il 100%. La giurisprudenza faceva il ragionamento per cui considerato il fatto che non votano devono essere soddisfatti al 100%. Tuttavia, sarebbe più corretto dire che se i privilegiati sono pagati al 100% non prendono parte alla decisione perché a loro non interessa ma se non sono totalmente soddisfatti dovrebbero prendere parte alla decisione. Questo è il ragionamento che ha fatto il legislatore della riforma del 2005, il quale ha stabilito che i privilegiati vanno soddisfatti al 100% nel senso che devono ricevere un valore che non sia inferiore a quanto avrebbero ottenuto in sede fallimentare, quindi se nel fallimento non prenderebbero il 100% non bisogna dargli una tale cifra. Art.161 comma 6 L'imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione che deve accompagnare il concordato entro un termine fissato dal giudice, compreso fra 60 e 120 giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre 60 giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all'omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell'articolo 182-bis, primo comma (accordo di ristrutturazione). PASSERELLA AL CONTRARIO: si fa una domanda di concordato in bianco e per farla non c’è bisogno di nulla: deposito i bilanci e domando un termine di 60 o 120 gg prorogabile di 60gg per presentare un piano di concordato. Trattandosi di un concordato si producono gli effetti protettivi. In questo termine invece che depositare la proposta e il piano di concordato si può depositare un accordo di ristrutturazione e fino a quando non viene omologato l’accordo si producono gli effetti del concordato. Ciò vuol dire che questo istituto “cannibalizza” l’istanza di sospensione perché questa non solo è più complicata da realizzare ma produce solo 2 effetti protettivi. Naturalmente si deve accertare l’inconveniente dei commissario giudiziale, giudice delegato e amministrazione ordinaria. Questo è l’istituto largamente più utilizzato nella pratica. Perché gli imprenditori scelgono questi istituti quando la situazione è già grave e quindi non c’è tempo e necessitano di tutti gli effetti protettivi. Art.160 COMMA 1 L’imprenditore commerciale fallibile che si trova in stato di crisi1 può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: a. la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo2, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; b. l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore3; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato; c. la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d. trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. 1Cosa vuol dire stato di crisi? Tenendo conto che il concordato è una grossa agevolazione perché produce l’effetto di vincolare tutti i creditori dissenzienti, può essere utilizzato solo quando l’imprenditore è in stato di crisi (situazione problematica). Questo rappresenta una modifica perché fino al 2005 il concordato rappresentava un’alternativa al fallimento, ergo poteva essere utilizzato solo nelle situazioni di insolvenza. D’altro canto, quando la situazione di crisi era reversibile era presente l’amministrazione controllata (temporanea difficoltà di adempiere). Unificate le procedure il concordato preventivo è diventato utilizzabile alternativamente o per le crisi reversibili o per le crisi irreversibili. Questi due presupposti (insolvenza e temporanea difficoltà di adempiere) sono stati condensati nell’espressione stato di crisi che avrebbe dovuto essere intuibile rappresentava la sintesi di questi due concetti e quindi li comprendeva entrambi. Subito dopo la riforma però, alcune decisioni dei tribunali fallimentari, hanno negato l’ammissibilità al concordato per imprenditori in stato di insolvenza affermando che lo stato di insolvenza è diverso dallo stato di crisi e il concordato era possibile solo in stato di crisi. È stata necessaria una norma di interpretazione autentica contenuta nel comma 3 dell’art. 160 che dice che: per stato di crisi si intende anche lo stato d’insolvenza. 2Accollo: una parte dei creditori li accolla ad es. la capogruppo oppure la controllata. In questo modo si potrebbero creare i presupposti per una disparità di trattamento tra i creditori e quindi i creditori appartenenti alla medesima categoria devono essere soddisfatti dal medesimo soggetto. Non si può creare una differenziazione tra classi omogenee, tra classi distinte si possono fare invece differenziazioni. 3Assuntore: soggetto che assume i debiti della società in concordato e in cambio si prende tutte le attività della società stessa, anche un creditore può fungere da assuntore. I creditori ci guadagnano perché l’assuntore è responsabile dei debiti anche con il suo patrimonio (sommato naturalmente a quello dell’impresa in concordato). I creditori potrebbero rimetterci che se l’assuntore si accolla i debiti e lui è a sua volta in una situazione disastrosa ha più debiti che attivo, la somma dei due patrimoni costituisce per i creditori acquisiti uno svantaggio. Si trovano acquisiti da un soggetto che ha una situazione peggiore dell’impresa in concordato. È il commissario giudiziale che deve fare una relazione ai creditori che mostrerà ai creditori se ciò sia conveniente oppure pregiudizievole. ART. 160 COMMA 2: La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) [REQUISITI DELL’ATTESTATORE]. Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione. Lo stesso professionista che realizza l’attestazione è quello che deve rilasciare l’attestazione di quale sia il valore del bene su cui grava il pegno, ipoteca, privilegio se l’imprenditore imprenditore intende soddisfarlo in misura inferiore alla somma indicata, se l’imprenditore vuole sostenere che il bene vale meno del credito e quindi il credito privilegiato è pari al solo valore del bene. Qui si pone un problema, tanto più con riguardo ai concordati in continuità aziendale (nei quali l’attività continua). Immaginiamo che ci sia un creditore ipotecario che abbia un credito di 1milione sull’azienda ma per l’imprenditore vale solo 300mila perché possa pagarlo solo questa cifra è necessaria un’attestazione speciale. Approvata questa proposta non è detto che si abbia la dimostrazione se il valore di mercato era vero o no perché se l’imprenditore continuerà a operare nella sua azienda lo stabilimento non sarà mai venduto e non ci sarà mai la prova a quanto sarebbe stato venduto. Immaginiamo che un’agenzia immobiliare sia in concordato, ha degli appartamenti finiti su cui c’è un’ipoteca di 1milione di euro a favore di una banca ma secondo l’attestatore questi valgono solo 800mila euro. La società vende gli appartamenti e mai li venderà alla stessa cifra immaginata dall’attestatore (800mila), magari si ricavano 850mila, 700 mila. Se il credito una volta fissato rimane immodificabile e si ricavano solo 700mila euro dalla vendita gli altri 100 mila vanno presi dagli altri creditori. La conseguenza di questo meccanismo è che l’imprenditore e i suoi professionisti preoccupati tenderanno a fare stime prudenti per evitare che questo fenomeno si verifichi. Se invece al contrario si recupera una cifra superiore a quanto stabilito vi è il c.d. diritto di accrescimento il quale prevede che se poi dalla vendita del bene si ricava un valore superiore la differenza va al creditore privilegiato fino ad esaurimento del suo credito. ART.160 COMMA 4 (aggiunto nel 2015): In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all'articolo 186-bis. Dopo 10 anni, abbiamo una marcia indietro non si possono più fare i concordati con qualsiasi contenuto, non siamo alla condizione ante-2005 ma si tratta di una via di mezzo, bisogna pagare almeno il 20% dei creditori. Questo cambio vale solo per il concordato liquidatorio. Questa distinzione si aggiunge a numerose altre che ormai hanno ricostituito quella contrapposizione presente prima della riforma tra concordato preventivo e amministrazione controllata. Adesso abbiamo due sotto procedure che si vanno differenziando tra di loro come erano differenziate tra loro la procedura del vecchio concordato preventivo e l’amministrazione controllata. Art.161: La domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell'anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza. Il piano e la documentazione presentata deve essere allagata all’attestazione del soggetto indipendente Grado di “giurisdizionalizzazione” PIANO ATTESTAZIONE PERFEZIONAMENTO villa donata al coniuge. Quando si fa la proposta concordataria si deve prevedere capitolo finale in cui l’imprenditore può dire che in caso di fallimento non ci sono atti da revocare o azioni di responsabilità da poter far valere, se invece sapessi che questi fenomeni sono esistenti dovrei subito cercare di limitarne gli effetti che saranno messi in evidenza dal commissario. In adunanza i creditori presenti votano, chi non ha votato o gli assenti possano votare entro i 20gg successivi, una volta espressi i voti il commissario giudiziario fa una relazione sulla vicenda al tribunale, se la proposta è stata approvata il commissario giudiziale riferisce che la proposta è stata accettata nonostante lui li abbia scoraggiati a intraprendere la strada del concordato. Il tribunale deve dare una valutazione di legalità, secondo l’interpretazione che si è venuta formando a partire dal 2005 è che il tribunale possa fare una valutazione anche nel merito. Fino al 2005 in sede di omologa il tribunale poteva fare una sua valutazione di convenienza e in ipotesi bocciare un concordato anche se il creditore l’aveva accettato. Oggi questo non è possibile e l’omologazione passa attraverso essenzialmente un controllo di legalità, vale a dire che tutti i profili di carattere normativo vengono analizzati (es. l’indipendenza dell’attestatore). In questo giudizio di legalità c’è anche la risoluzione delle eventuali controversie in materia di sussistenza o entità dei crediti contestati. Nel concordato preventivo non c’è una fase centrale nel fallimento che si chiama accertamento del passivo, cioè verifica da parte del tribunale se certi crediti contestati ci sono o non ci sono, e il loro valore ciò è importante per ricavare la percentuale di soddisfazione dei creditori accertare qual è l’effettiva entità del passivo è fondamentale per calcolare la percentuale in base alla quale potranno essere soddisfatti i creditori e anche per individuare se il concordato è stato approvato oppure no (vale a dire se la maggior parte dei crediti ha accettato la proposta e per fare ciò bisogna sapere la somma totale dei debiti). È il giudice delegato che in sede di adunanza dei creditori risolve provvisoriamente eventuali controversie sulla esistenza e entità dei crediti ai soli fini del voto, è solo lui che decide se il credito esiste e di quale entità questo sia e in base alla sua valutazione un soggetto può votar oppure no e che peso abbia il voto. Ciò non esclude che nell’esecuzione del concordato ci potrà essere una causa e in relazione a come finisce (a vantaggio del creditore o del debitore) cambia il passivo, perché non c’è nel concordato una fase nella quale si definisce l’entità dei crediti e la sussistenza o no dei crediti contestati. Questo origina un tema: il debitore accetta sulla base dei dati che emergono, quindi in base alla possibile percentuale di soddisfazione personale e vota sulla base di ciò ma come abbiamo visto nel concordato non c’è questa fase di accertamento quindi il creditore contestato potrebbe fare causa e vincerla inserendosi e facendo aumentare il passivo e riducendo la percentuale di soddisfazione del creditore che aveva accettato la proposta sulla base del fatto che sarebbe stato soddisfatto in quella misura che poi però si è dimostrata inferiore. Se il voto è dipeso da una informazione della alla fine si è rivelata non veritiera si può fare qualcosa? Gli istituti attraverso i quali rimuovere il provvedimento dell’omologazione sono due: -Annullamento: è la trasposizione delle cause di nullità dei contratti (errore, violenza, dolo..). La legge prevede che se a posteriori si scopra che la proposta di concordato si basava su dati falsi o sull’omissione di fatti determinanti i creditori possono impugnare l’omologazione con l’azione di annullamento. -Risoluzione: è più difficile da comprendere perché nei contratti la risoluzione è collegata all’inadempimento colpevole. Il contratto di concordato invece è soggetto a rivoluzione per il solo fatto di non essere stato adempiuto a prescindere dalla circostanza che sia un inadempimento sia colpevole oppure incolpevole. Che non sia colpa dell’imprenditore molte volte dipende dalla circostanza che l’imprenditore è tagliato fuori: nei concordati liquidativi quando il tribunale omologa il concordato nomina il liquidatore, mettendo da parte il debitore, e quindi se questo non riesce a ricavare la somma prevista la colpa è sua e non dell’imprenditore che non prende parte alla liquidazione. La risoluzione dei concordati nonostante il termine non va avvicinata alla risoluzione dei contratti perché da una parte è legata a un fattore di inadempimento ma dall’altra è scollegata dalla colpevolezza o meno, è sufficiente l’inadempimento oggettivo. In compenso il debitore ha la consolazione che la risoluzione non è ammissibile quando sia passato un anno dall’ultimo adempimento previsto dal concordato. Se l’imprenditore fa un concordato con cui si impegna a pagare i creditori al 50% quindi il debito non è più 4 milioni ma 2, ma poi non adempie, la risoluzione obbliga a pagare il debito stralciato o quello iniziale? Giuridicamente il concordato ha effetti novativi nei confronti dell’obbligazione. Dal 2005 il concordato preventivo non ha più limiti percentuali, se ho concluso un concordato mortificante per i creditori il creditore può non adempiere il concordato, ottenere la risoluzione e pagare l’obbligazione ridotta quando vuole, oggi questo problema viene normalmente risolto in questo modo: il tribunale fallimentare prima di dichiarare il fallimento risolve il concordato e con questa risoluzione ritiene di aver riprodotto l’inadempimento originario e poi dichiara il debitore fallito. Ma se è passato l’anno per chiedere la risoluzione il creditore fallisce con il debito stabilito nel concordato perché questo ormai si è cristallizzato. AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE: Si chiama così per far evitare di fare confusione con l’azione revocatoria prevista nel codice civile. L’azione revocatoria che si trova nella Legge Fallimentare si distingue da quella del c.c. ma a questo proposito gli interpreti non sono d’accordo per alcuni è abissale, per altri è sottile. Alla fine del codice sono collocati i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, sul presupposto dettato dall’art. 2740 c.c. “Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. Ai creditori che hanno l’aspettativa di soddisfarsi sul suo patrimonio vengono attribuiti degli strumenti per conservare la consistenza del patrimonio del debitore che sono: • Sequestro: previsto dall'art. 671 c.p.c. e dall'art. 2905 c.c. si può chiedere sui beni mobili ed immobili del debitore, quando il creditore ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito. Scopo della misura cautelare è di assicurare l’utilità di una futura espropriazione forzata con l’ottenimento del titolo esecutivo, • azione surrogatoria: è l'azione attraverso cui il creditore si sostituisce al suo debitore nell'esercizio delle azioni che quest'ultimo omette di esperire nei confronti dei suoi debitori, • azione revocatoria: è l'azione che permette al creditore di far dichiarare inefficaci gli atti di disposizione che il debitore abbia compiuto in pregiudizio delle sue ragioni. Tizio, creditore, aspetta che Caio, suo debitore, mantenga gli impegni presi nei suoi confronti. Nell'attesa che Caio adempia la sua obbligazione, Tizio teme che Caio stia vendendo beni facenti parte del suo patrimonio per danneggiarlo in maniera che, quando si verificherà l'inadempimento, troverà ben poco del patrimonio di Caio per soddisfare il suo diritto di credito. Per evitare che questo accada, il creditore Tizio agisce con l'azione revocatoria per far dichiarare privi di effetto nei suoi confronti di atti di alienazione compiuti dal suo debitore. In tal modo, in caso di inadempimento, il creditore Tizio potrà comunque agire in esecuzione sui beni del debitore anche se quest'ultimo li aveva già venduti; nei confronti di Tizio, infatti, è come se i beni non fossero mai usciti dal patrimonio del debitore Caio e quindi può soddisfarsi anche sul terzo che ha acquistato il bene, es. la casa, infatti l’atto non è nullo o annullabile ma solo inopponibile al creditore. È come se il debitore non avesse mai venduto il bene e il creditore si soddisfa sul bene anche se è più di sua proprietà e il terzo che ha acquistato subisce l’aggressione del suo patrimonio. Può far valere le azioni che avrebbe potuto far valere se l’immobile non fosse mai stato venduto. Il terzo è vincolato solo in relazione al bene che ha acquistato anche se il bene è perito (quadro scolorito). è un fenomeno simile di quando compro un bene gravato da pegno e ipoteca. Il bene ha quindi un vincolo: se si è consapevoli di questo fatto, così come quando si compra un bene con ipoteca si detrae il valore dell’ipoteca allo stesso modo qui si detrae dal prezzo il valore del credito. Non c’è nella revocatoria ordinaria nessun effetto restitutorio, il bene non tornerà mai nel patrimonio del disponente perché l’atto non è nullo o annullabile. Nella revocatoria fallimentare invece è possibile l’effetto restitutorio, con un effetto economico clamoroso. Nella revocatoria fallimentare se il bene torna indietro sul bene si soddisfano tutti i creditori e non solo uno come nel caso della revocatoria ordinaria. Possono soddisfarsi con questo bene soggetti che mai avrebbero potuto fare la revocatoria ordinaria perché la revocatoria ordinaria può essere chiesta dai creditori che avevano fatto affidamento su quel bene che poi è stato alienato (è sparito) e non tutti i creditori. Precisazione: Abbiamo già parlato di una situazione simile a quella che porta all'esperimento dell'azione revocatoria; ci riferiamo alla simulazione. Con il contratto simulato le parti fingono di alienare un bene, mentre in realtà tale alienazione non avviene o avviene un diverso negozio giuridico. Diversamente accade per gli atti compiuti prima che sia esperita l'azione revocatoria, perché in questo caso gli atti disposizione sono reali e non fittizi. Di conseguenza un creditore che vorrà agire contro una finta alienazione compiuta dal suo debitore al fine di danneggiarlo, non dovrà esercitare l'azione revocatoria ma dovrà esercitare l'azione volta a dichiarare l'esistenza della simulazione. Questa azione già prospetta una difficoltà concettuale nel momento in cui rinuncia a riferire gli effetti della revocatoria a quelle categorie del diritto privato di nullità e annullabilità. L’azione revocatoria ordinaria non produce né l’annullabilità né la nullità dell’atto che quindi mantiene i suoi effetti, per questa ragione nel codice è introdotta una terza categoria che è quella dell’inefficacia, gli interpreti la affinano definendola inopponibilità, questa indica che l’atto non è opponibile al creditore che ha fatto la domanda di revocatoria. L’azione revocatoria ordinaria è contenuta nell’art. 2091 del codice civile. ELEMENTI ESSENZIALI 1. eventus damni: è un elemento essenziale perché si configuri la revocatoria ordinaria. L'atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore. Di conseguenza se il patrimonio del debitore è composto di molti cespiti di rilevante valore, la vendita di alcuni di essi non potrà danneggiare gli interessi del creditore poiché quest'ultimo, in caso di inadempimento, potrà sempre rivalersi sugli altri beni del patrimonio del debitore. Questa esigenza del creditore di tutelare la sua garanzia contrasta con il principio generale di disponibilità del patrimonio che ha qualsiasi soggetto che abbia capacità di agire che solitamente può disporre a suo piacimento dei suoi beni. Il diritto di disposizione del patrimonio va a contrastare con l’aspettativa del creditore di essere soddisfatto su beni su cui aveva fatto affidamento. Solo se l’atto di disposizione ha condizioni pregiudizievoli il creditore può aggredirlo con la revocatoria. Le condizioni pregiudizievoli non riguardano l’impoverimento patrimoniale ma anche l’incremento della difficoltà di soddisfacimento del creditore. Anche la trasformazione di un patrimonio facilmente aggredibile (immobile) con un patrimonio difficilmente aggredibile è un fattore rilevante ai fini della revocatoria ordinaria. 2. consilium fraudis: necessaria consapevolezza da parte del disponente del pregiudizio che l'atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore. Se l'atto è stato compiuto prima che sorgesse il diritto di credito è necessario che l'atto di disposizione fosse dolosamente preordinato al fine di danneggiare il futuro creditore. Il termine fraudis non vuol dire dolo ma bensì consapevolezza. Occorre valutare se e in che misura l’obiettivo del creditore di rendere inopponibile questo atto e quindi di consentirgli di aggredire il bene come se il trasferimento non fosse mai avvenuto richieda o non richieda un coinvolgimento del terzo oppure se l’interesse del terzo sia ininfluente. Se il terzo, proprietario del bene, subisce l’azione della banca che vende all’asta il bene, si soddisfa e lascia la quota eventualmente in più a lui, subisce un grave danno perché risponde con un suo bene di un debito che non è suo, questo suo interesse a sottrarsi all’effetto dell’azione revocatoria è preso in considerazione oppure no? La legge distingue se l’atto di trasferimento è stato fatto a titolo gratuito o oneroso, se è a titolo gratuito la legge si disinteressa dell’interesse del terzo e non è necessario nessun tipo di dimostrazione del coinvolgimento o meno del terzo in questo atto di disposizione. Senza interessarsi degli effetti negativi sul terzo perché la legge dà per scontato che l’interesse del donatario sia un interesse debole perché ha ricevuto qualcosa senza dar nulla in cambio. Questo è un errore molto grave, è una presunzione che fa la norma che non ricorre sempre ed in modo esclusivo perché l’atto a titolo gratuito talora può essere rimosso senza effetti significativi sul beneficiario ma in alcuni casi quando viene rimosso può avere un effetto determinante sul terzo, es. regalo dei soldi a mio figlio e questo li investe quando subisce l’azione del creditore per poterlo soddisfare sarà necessario il disinvestimento e nel caso di ricavi una somma inferiore dovrà mettere la differenza di tasca propria. La revocatoria degli atti a titolo gratuito prescinde dalla consapevolezza del terzo, dalla complicità del terzo, dalla buona fede del terzo, dalla considerazione di qualsiasi profilo che coinvolga il terzo, è sufficiente che ci sia un danno e che ci sia la consapevolezza del terzo. Quando invece ci una scadenza successiva lo deve dare indietro senza alcuna difesa, non conta la buona fede. Dobbiamo verificare se questo automatismo può riguardare fattispecie in cui è ingiusto o ingiustificato che si produca questo effetto in capo a chi ha percepito il pagamento. Alla base dell’art. 65 c’è un postulato implicito che spiega la ragione della previsione ma poi impone di constatare che a questo tipo di postulato non è seguita una disciplina perfettamente coerente. L’art. 65 riguarda i pagamenti anticipati (Anticipati rispetto alla scadenza tutte le volte che la scadenza si sarebbe collocata dopo il fallimento o lo stesso giorno del suo inizio), per i quali è prevista una revocatoria biennale automatica, non c’è alcuna condizione. Questa disciplina è spiegata dal presupposto che l’estinzione anticipata di un debito nasconda la volontà del fallito di preferire tale creditore sottraendolo al concorso con gli altri creditori (con il rischio di non essere soddisfatto in modo integrale) posto che questo debito sarebbe potuto essere pagato alla scadenza. È in effetti possibile che vi siano fattispecie riferibili a questa congettura, alcune di queste potrebbero essere sistematiche, ci sono fattispecie tipiche nelle quale l’imprenditore insolvente o in una prospettiva di insolvenza favorisce taluno anticipando il pagamento dei debiti nei suoi confronti: es. tra controllata e controllante; se avessimo una disciplina che riproduca questi esempi ci renderemo conto che è comprensibile rimuovere gli effetti di questo atto anormale (è anormale pagare debiti non scaduti) e quindi pretendere la restituzione del pagamento ricevuto sottoponendo quel creditore al concorso. Però la norma non prende in esame solo queste fattispecie, questa prevede che per il solo fatto che un pagamento è anticipato questo sarà sottoposto alla disciplina ex art. 65 L.F. a prescindere dalla circostanza che il pagamento anticipato sia stato giustificato dalla volontà di favorire il creditore e anzi nonostante che in ipotesi sia avvenuto esattamente il contrario e ciò che il creditore soddisfatto avrebbe preferito essere pagato alla scadenza. Quando si estingue un debito prima può anche essere perché i tassi si sono abbassati e quindi l’imprenditore decide di farsi dare un finanziamento a un tasso più basso ed estinguere quello con il tasso più alto; un finanziamento per un investimento in relazione ad un affare che però viene meno, il cambio sta peggiorando e conviene quindi estinguere subito il debito. Questi pagamenti finiscono in questa disciplina perché non distingue se l’operazione di pagamento anticipato ha un connotato fraudolento, neutro o addirittura approvabile. Rimane il fatto che interpretata alla lettera questa disposizione ha un ambito di applicazione modesto, non sono numerose le fattispecie nelle quali si va a pagare un debito non ancora scaduto. L’ambito di applicazione di questa norma si allarga molto se consideriamo come la interpreta la giurisprudenza che include oltre al caso in cui si paga un debito prima che scada, anche quelli in cui si paga un debito dopo che era già scaduto ma la sua scadenza originaria sarebbe stata successiva al fallimento, es. perché il debitore ha rinunciato al termine. Può accadere che il recesso oppure la rinuncia al termine siano strumentali per aggirare questa disciplina, ma anche casi invece non fraudolenti. Nonostante le considerazioni fatte sull’art. 64 e 65 sono circa 80 anni che queste norme non cambiano così come l’art. 66: disciplina la revocatoria ordinaria e riprende i termini e presupposti dell’art. 2901 del c.c. è l’esercizio dell’azione revocatoria come disciplinata dal codice ma esercitata in sede fallimentare. Quali sono le ragioni per le quali è previsto che il curatore fallimentare oltre a poter esercitare la revocatoria fallimentare ex art. 64 (atti gratuiti) art. 65 (pagamenti anticipati) art.67 (atti a titolo oneroso) può esercitare anche la revocatoria ordinaria? Tenuto conto che questa è più difficile da esercitare rispetto alla revocatoria fallimentare perché in questo caso si deve dimostrare che l’atto ha prodotto un danno, che il debitore era a conoscenza del danno e in caso di atto a titolo oneroso la malafede del terzo. La ragione è che con la revocatoria fallimentare potrebbero scappare degli atti di disposizione che invece possono essere inclusi nella revocatoria ordinaria che può andare più indietro di due anni. Il tema del tempo chiamato periodo sospetto richiede una precisazione. Con la revocatoria ordinaria si può andare indietro fino a che l’azione non è prescritta (e come sappiamo si prescrive in 5 anni). Quindi l’azione revocatoria ordinaria diventa utile nel momento in cui è rivolta nei confronti di atti di disposizione non soggetti alla revocatoria fallimentare perché anteriore ai 2 anni precedenti, fino ai 5 precedenti. A questo calcolo oggi se ne sovrappone un altro perché il legislatore è intervenuto stabilendo che il soggetto con il quale l’ha compiuto non può rimanere senza certezza fino a 5 anni, quindi la legge ha stabilito che il curatore fallimentare ha 3 anni di tempo dalla dichiarazione del fallimento anche se l’azione non è ancora prescritta termine di decadenza. La prescrizione (estinzione di un diritto provocata dal mancato esercizio prolungato) parte da quando l’atto è stipulato e non da quanto il titolare del diritto di revoca ne viene a conoscenza, non conta il fatto che il curatore abbia acquistato il diritto di revoca successivamente e non era ancora a conoscenza. Ciò rappresenta una forte eccezione al principio generale secondo quale la prescrizione matura in danno di chi consapevole di poter esercitare un certo diritto trascura di farlo. Si tratta quindi di una prescrizione che ha dei connotati simili alla decadenza conta solo il tempo che passa e si prescinde dalla circostanza che il titolare del diritto fosse o non fosse a conoscenza che avrebbe potuto esercitarla. Il curatore fallimentare può revocare con l’azione revocatoria ordinaria gli atti anteriori al biennio non ancora prescritti, in questo panorama si inserisce un’altra particolarità la revocatoria ordinaria ex art. 2901 può essere chiesta solo dal creditore che avesse fatto affidamento sul patrimonio dell’imprenditore che sia poi venuto meno e solo questo può prendere la somma ricavata. La legge quando attribuisce al curatore fallimentare la revocatoria ordinaria sostituendolo ai creditori che avrebbero potuto richiederla, fa si che questo destini il ricavato non solo a coloro che erano legittimati a chiederla ma a tutti i creditori. Lo stesso risultato si sarebbe ottenuto se durante la causa a seguito della revocatoria del singolo l’imprenditore sarebbe fallito e quindi l’azione revocatoria sarebbe stata avocata nelle mani del curatore che al termine avrebbe diviso la somma ricavata tra tutti i creditori. L’azione revocatoria ex art. 66 è un’azione di massa: il curatore fallimentare in rappresentanza di tutti creditori indistintamente promuove certe iniziative per dividere il ricavato dai creditori. Condizioni: • legittimato è il curatore che si sostituisce ad altri possibili legittimati; • del risultato beneficiano tutti i creditori a prescindere dal fatto che questi potessero o non potessero svolgere autonomamente l’azione revocatoria. Siccome la cosa è singolare le azioni di massa sono necessariamente tipiche: o la legge le prevede oppure non se ne possono individuare in via d’interpretazione analogica o estensiva. Sono ad esempio azioni di massa le azioni di responsabilità sociale di una società che fallisce non viene fatta dai creditori ma dal curatore fallimentare e ciò che viene raccolto viene ripartito tra tutti i creditori anche quelli che in mancanza del fallimento non sarebbero stati legittimati a intentare un’azione di responsabilità sociale. Gli atti a titolo oneroso (atti non gratuiti) sono di due tipi: atti anormali (art. 67 primo comma) e atti normali (art. 67 secondo comma) ART. 67 PRIMO COMMA atti anormali: hanno una disciplina diversa perché hanno delle caratteristiche che il rendono sintomatici di una situazione di insolvenza siccome sono sintomatici di questa situazione non è necessario che il curatore ne dia una prova, tutt’al più l’interessato ne può dare una prova contraria. Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore: 1. ATTI SPROPORZIONATI: gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto (notevolmente) ciò che a lui è stato dato o promesso (periodo di revocabilità1 anno dalla dichiarazione di fallimento). 2. PAGAMENTI CON MEZZI ANORMALI: gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, es. un pagamento fatto con materiali, tipico nel caso in cui il debitore è in difficoltà (periodo di revocabilità 1 anno dalla dichiarazione di fallimento). 3. GARANZIA NON CONTESTUALI PER DEBITI PRECEDENTI NON SCADUTI: i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti (periodo di revocabilità 1 anno) 4. GARANZIE NON CONTESTUALI PER DEBITI PRECEDENTI SCADUTI: i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti (periodo di revocabilità 6 mesi). I tempi si dimezzano perché se do una garanzia per un debito già scaduto per lo meno avrò avuto una proroga se invece do una garanzia per un debito non scaduto avrò portato a casa una proroga perché il debito non è ancora scaduto e la circostanza è anche più sintomatica della condizione di difficoltà perché il creditore per un credito ancora non scaduto chiede la garanzia (si da già per presupposto che il debitore non riuscirà a pagare). Questa fattispecie è molto importante perché comprende una categoria di atti (ipoteche giudiziali) che se non ci fosse scritto nella norma non si sarebbe stati disponibili ad inserire in questa disciplina. Le ipoteche giudiziali non sono un atto di disposizione del debitore ma un atto contro di lui, quindi quando si dice che l’azione revocatoria colpisce gli atti disposizione del debitore è impreciso e si dovrebbe dire che l’azione revocatoria colpisce gli atti che gravano sul patrimonio del debitore che li abbia fatti lui o altri legittimati a farlo. *anticresi: il debitore od un terzo si obbliga a consegnare al creditore un immobile a garanzia della realizzazione del suo credito. L'ipoteca prevede il possesso resti in capo al debitore, che gode anche dei frutti del bene ipotecato. Inoltre, l'ipoteca è una causa di prelazione, che attribuisce al creditore ipotecario una posizione di privilegio rispetto agli altri creditori, consistente nella possibilità di soddisfarsi con preferenza sul ricavato della vendita del bene sottoposto a garanzia; l'anticresi è invece un diritto derivante da un contratto e dunque produce un rapporto obbligatorio, non dando luogo ad un diritto reale. Hanno come condizione di revocabilità a meno che la controparte non dimostri la sua buonafede, non sono automatici, ma “semiautomatici”. È il convenuto in revocatoria che deve dimostrare che questo sintomo normalmente espressivo di una situazione di difficoltà del debitore nel caso di specie sia spiegabile in altro modo. ART. 67 COMMA 2 ATTI NORMALI: Sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Lo stato di insolvenza di può desumere da alcune fattispecie come la fuga e in particolare ricorre quando il debitore non fa fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. Ciò evidenzia una situazione di difficoltà finanziaria che vuol dire mancanza di liquidità. Quando l’imprenditore fallisce gli atti compiuti nei 6 mesi anteriori sono revocabili se il curatore dimostri che il suo creditore era a conoscenza della sua difficoltà. La norma parla di atti a titolo oneroso, a prescindere dal tipo di atto non interessa l’atto ma la condizione di soggetto insolvente che rede revocabili gli atti di disposizione compiuti da lui o da terzi sul suo patrimonio a prescindere dalla circostanza che gli atti in sé siano essi stessi pregiudizievoli, neutri o profittevoli. Non si aggredisce l’atto in sé ma la circostanza che si sia compiuto un atto con un soggetto insolvente. Questo pericolo oggi è annacquato da una circostanza di fatto: se compro un bene è raro che l’imprenditore fallisca nel giro di 6 mesi, ci sono dei tempi per richiedere l’istanza di fallimento e poi accertare il fallimento. È improbabile che il fallimento intervenga entro i 6 mesi perché bisogna considerare la tempistica della c.d. istruttoria fallimentare. Con la riforma del diritto fallimentare che dovrebbe entrare in vigore entro fine gennaio 2019, i 6 mesi decorrono dall’istanza di fallimento e non dalla dichiarazione di fallimento. La cosa allora torna ad acquisire la preoccupazione che ha sempre generato perché se sono un imprenditore e la mia condizione di difficoltà finanziaria è nota, nessuno è disposto a fare atti con me che seppur normali possono essere revocati questo era esattamente l’obiettivo della legge fallimentare del 1942, isolare l’imprenditore in difficoltà. In questi si ricomprendono tutti gli atti: pagamenti con mezzi normali, garanzie contestuali, vendite proporzionate, ecc. atti normalissimi che hanno solo il difetto che sono stati conclusi da un imprenditore insolvente. Questi sono atti facilmente concepibili come atti che potrebbero essere travolti da revocatoria, ma qualsiasi atto giuridico produttivo di effetti sul patrimonio del fallimento è revocabile se il curatore consideri conveniente rimuovere, es. esercizio di una prelazione, di un’opzione, ecc. Quando diciamo atti di disposizione del debitore o atti di disposizione che hanno inciso sul patrimonio del debitore incontriamo dei casi nei quali si • le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Il fenomeno delle rimesse bancarie nel 2005 aveva assunto una portata enorme perché la giurisprudenza equiparava le rimesse ai pagamenti e il fatto che i pagamenti così concepiti arrivavano a degli importi complessivi abnomi, si potevano correre grandi rischi senza avere nessun tipo di ripercussione. DARE AVERE SALDO -100 +50 -50 -80 -130 +100 -30 -50 -80 +60 +20 Tot x 1 anno 3 milioni Tot. 210 Come banca in questo periodo ho avuto un rischio massimo di -130 e le rimesse sono pari a 210. Questo è il movimento di una settimana, se guardiamo quello del mese perché prima del 2005 la revocatoria dei pagamenti durava un anno. Il dare era stato 3 milioni ma mai la banca aveva avuto un saldo debitore di 3 milioni. Il tema era come faccio a revocare una banca a 3 milioni quando il massimo rischio che ha avuto è stato 130mila euro? Bisogna definire il significato dei caratteri di consistenza e durevolezza di una rimessa. Se arriviamo a un risultato di scarsa pericolosità tutto rimane fermo se invece si arriva a un risultato di consistente pericolosità si toglie il conto bancario, con un effetto significativo sull’esito del tentativo di superamento della crisi, perché le banche ragioneranno tutte allo stesso modo e quindi l’imprenditore non ha più una banca che lo sostiene. La banca è un soggetto che consente all’imprenditore utilizzando i soldi anche andando a debito ma nei limiti di quello che versa e nei limiti del fido l’imprenditore può versare e prelevare più volte ma tutto si conclude nell’ambito di un rischio massimo assunto, rispetto al quale le rimesse non hanno la stessa natura di un pagamento di una fattura che è definitivo, la rimessa invece è un pagamento provvisorio, si tratta quindi di un rientro effimero, non sono atti estintivi di un’obbligazioni ma anzi rappresentano il presupposto di un nuovo credito, questo fenomeno attribuisce a queste rimesse natura ripristinatoria, se hai un fido di 100 e prelevi 100 e poi versi 50 ti metti nella condizione di poter prelevare di nuovo 50. Si è formato un orientamento giurisprudenziale che diceva che è vero che si è concesso al cliente un fido di 100 vuol dire che quando il cliente è a debito ma versa è il versamento rappresenta la possibilità di tornare a debito e finché rimane nell’ambito del fido nessuno versamento è definito perché è seguito da un prelievo. È l’ultimo versamento ad essere definitivo e ha funzione solutoria e non ripristinatoria. Allo stesso modo sono di natura solutoria le rimesse che ridotto un saldo che era andato oltre il fido e quindi che non dava diritto al riutilizzo, si è riproposto il tema della sommatoria delle rimesse in conto corrente non per tutte le rimesse di questo tipo. In base all’art.67 terzi comma lettera b le rimesse in linea di principio non sono revocabili perché le rimesse producono una riduzione dell’esposizione del cliente che è solo provvisoria perché il cliente può riutilizzarle a meno che ci siano rimesse che producano effettivamente gli effetti di un pagamento e hanno quindi natura solutoria purché abbiano ridotto in modo durevole e duraturo l’esposizione. Deve essere una rimessa che abbia comportato un effetto economico consistente e questo effetto economico deve essere tendenzialmente estintivo come un pagamento. Per cui quando abbiamo un conto corrente con un andamento costante tra versamenti e prelievi e prendono tutte le rimesse si va a vedere quali hanno carattere di consistenza e durevolezza. Tuttavia non ci sono criteri che indichino sulla base di quali elementi attribuiamo natura e consistente e durevole ad una rimessa che la rende soggetta a revocatoria. Oggi dopo 13 anni da che questa riforma è stata introdotta i tribunali si stanno orientando individuando nel 10% del rientro il limite oltre il quale la rimessa ha prodotto una riduzione consistente e sotto il quale invece no cioè il conto è arrivato a un massimo di 170, quando è fallito era a zero quindi è rientrato di 170mila € diciamo che le rimesse superiori a 17mila € abbiano prodotto una riduzione consistente perché sono superiori al 10% mentre quelle di valore inferiore no. I tribunali si vanno orientando a fare una media dei periodi nei quali ciascuna rimessa è rimasta in conto senza essere utilizzata facendo la media viene 4 giorni a quel punto le rimesse rimaste sul conto più di 4 giorni sono durevoli mentre altre sono effimere. La conclusione è che per ognuna di queste fattispecie c’è una consulenza tecnica sicura perché il giudice sulla base di criteri che potrebbero essere questi oppure altri affida a un ctu la ricerca di quali siano le rimesse consistenti e durevoli che sono revocabili, perché in linea di principio le rimesse non lo sarebbero. Secondo molti il disposto dell’art.67 comma 3 lettera b potrebbe essere cancellato alla luce dell’art.70 che tratta la stessa materia tuttavia in questi anni i due articoli non sono mai stati coordinati tra loro. Art. 70 effetti della revocazione. La revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati, procedure di compensazione multilaterale o dalle società fiduciarie previste, si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione. [...]. Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo corrispondente a quanto restituito. In base a questa norma il terzo (che è la banca) deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese e l’ammontare residuo delle stesse, si tratta di quindi di una cosa più semplice. Prendiamo l’inizio del periodo sospetto vediamo nel corso di questo periodo qual è il rischio massimo che la banca ha corso vediamo quando ha prelevato il fallito qual è il credito residuo della banca allora vuol dire che la banca in tutto questo movimento ha portato a casa la differenza tra il rischio massimo che si sarebbe prodotto se il conto sarebbe stato chiuso nel momento di massima esposizione e il rischio effettivo finale che si trova a dover rilevare questo è il c.d. rientro. Cioè l’effetto complessivamente positivo dall’avere mantenuto l’operatività del conto nonostante la conoscenza dello stato di insolvenza. Il che può portare a situazioni nelle quali in cui non ci sia nulla di revocabile es. il fallito ha prelevato e non ha più mosso il conto la differenza tra il massimo dell’esposizione e il periodo finale è 0. Purtroppo questo criterio non viene considerato come assorbente a quello precedente, ma con il limite da porre al risultato di quello precedente, si vede verificare con il conteggio di cui all’art.67 quante sono le rimesse che hanno prodotto una diminuzione consistente e durevole, si sommano e poi la somma si confronta con il rientro, se il rientro è inferiore si taglia la somma delle rimesse sottoposte a revocatoria. Sarebbe stato più semplice utilizzare solo quanto stabilito in questo articolo, se la banca durante il periodo sospetto è riuscita a ridurre la sua esposizione complessiva quelle rimesse sono sottoposte a revocatoria, d’altro canto se la banca ha assunto in un certo momento un rischio di un certo tipo era consapevole che l’imprenditore avrebbe potuto fuggire, non pagare più il conto. c)ESENZIONE PER L’ACQUISTO DELLA PRIMA CASA: le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645 bis del c.c. (entro 3 anni dalla trascrizione stessa), conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado. aggiunto da una modifica successivaovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio. Questa sarebbe dovuta essere una norma volta a tutelare gli acquirenti che acquistavano una prima casa per abitarci (soggetti umili) dell’imprenditore edile poi fallito. Si voleva tutelare del risparmio investito nella prima casa da parti da soggetti “umili” rendendo esenti da revocatoria gli atti di acquisto degli immobili, lo stesso discorso viene fatto per l’imprenditore che acquista un immobile per costituire la sede principale della sua impresa, a condizione che questi soggetti non si siano approfittati della condizione di difficoltà del venditore, quindi si va a guardare il giusto prezzo . Questa norma è interessante dal punto di vista concettuale, ma inutile dal punto di vista pratico perché scritta in modo errato, il fatto che si tratti di un immobile acquistato per uso abitativo non identifica il fenomeno dell’acquisto della prima casa da parte del povero lavoratore, questa norma si applica anche a chi compra un castello, una villa, a patto che ci vada ad abitare, inoltre non si parla neanche di prima casa ma che verrà utilizzata come abitazione principale, quindi l’acquirente potrà avere anche già altre 10 case, per queste ragioni è una norma piuttosto imprecisa. Allo stesso modo la sede potrebbe non essere l’unica ma una delle tante in cui l’imprenditore fissa la sede principale della sua impresa, quindi non si tutela solo il piccolo commerciante. Dal punto di vista sistematico questa norma è importante perché conferma un principio per cui il giusto prezzo in sé non sarebbe un ostacolo alla revocatoria, la circostanza per cui non basta la congruità del prezzo per evitare dalla revocatoria deriva da questa esenzione che pur essendo presupposto che ho pagato un prezzo congruo l’esenzione è possibile solo per gli immobili ad uso abitativo o per sede principale dell’impresa. qualsiasi altra cosa si acquisti pur a prezzo congruo alla luce di ciò è revocabile. d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano attestato di risanamento sono poste ad esenzione senza che si tratti necessariamente di atti al giusto prezzo o pagamenti con mezzi normali, quando parliamo di esenzione dalla revocatoria talvolta l’esenzione è condizionata a un certo equilibrio economico ma in altre non è condizionata a niente (come in questo caso). e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell' amministrazione controllata, nonché dell'accordo di ristrutturazione, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 161; uguale alla precedente ma riguarda gli accordi di ristrutturazione e i concordati preventivi. f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito pagamenti degli stipendi, la ragione di questa esenzione da taluni è individuata come la volontà di tutelare del lavoratore da talaltri è letto come agevolazione per l’imprenditore il quale non si vede scappare i dipendenti timorosi della sua insolvenza. Quello che fa pensare questa norma da un punto di vista sistematico è: ma davvero il pagamento degli stipendi è un atto che si sarebbe prestato ad essere soggetto a revocatoria se non ci fosse stata questa norma oppure allo stesso modo non ci sarebbe stata revocatoria perché comunque i crediti del lavoratore sono superprivilegiati e quindi sarebbero comunque i primi ad essere pagati. In questa condizione prima glieli chiedo e poi li restituisco? Questa domanda sarebbe lecita se noi fossimo sicuri che la revocatoria del pagamento di uno stipendio origina la nascita di un credito della stessa natura di quello estinto o origina la nascita dello stesso credito. Se però dubitassimo che la revocatoria di questi pagamenti facesse nascere lo stesso credito noi diremo intanto di dare indietro la somma soggetta a revocatoria e poi si vedrà in che termini ripagare il privilegio. Sicuro che se non si trattasse di un credito analogo con la stessa natura del precedente ma viene mescolato con gli altri, si preferisce avere subito la cifra e poi pagare il soggetto insieme a tutti gli altri se l’attivo è sufficiente altrimenti la soddisfazione non sarà totale. Questa domanda è lecita perché la revocatoria non è un’azione di nullità o annullamento, quindi Il pagamento fatto non è nullo o annullato e se non è nullo o annullato allora l’effetto estintivo del debito soddisfatto rimane e quindi bisogna cercare se e con quale natura possa attribuirsi alla aspettativa di chi Ammettiamo che ci sia una società che abbia una serie di difficoltà e intende distinguere l’andamento del debito di un’attività di un ramo d’azienda rispetto a quello degli altri, es. un’attività che potrebbe avere molto successo oppure essere un fallimento. FIAT HOLDING SPA 1. VEICOLI INDUSTRIALI 2. UTILITARIE 3. AUTO ELETTRICHE Nel suo bilancio nell’attivo ci sono i valori di queste 3 società, cioè le azioni della società A, B e C. La circostanza che queste 3 società siano società di capitali dà alla holding il beneficio della responsabilità limitata, se ha costituito la società A con un capitale di 10 milioni € se questa va male al massimo ci rimette 10 milioni anche se questa società ha un buco di 50 milioni. Perché nelle società di capitali il socio risponde solo del capitale versato. Non si possono coprire i debiti della A con il patrimonio della società B o C. Se invece fosse stata un’impresa individuale o una unica società con 3 tipologie di attività il bilancio sarebbe stato unico e le perdite di un ramo si sarebbero compensate con i ricavi di un altro ramo. Il modo più tradizionale e efficace di dividere il rischio è quello di costituire tante società per diverse tipologie di attività. Secondo il nostro c.c. con la riforma del 2003 questo risultato tendenzialmente si può raggiungere senza costituire società separate ma costituendo dei patrimoni separati, un patrimonio per le auto elettrice, uno per le utilitarie e uno per i veicoli industriali. La società è solo una ma questi patrimoni sono segregati e ciascuno risponde con i beni che gli sono stati destinati dei soli debiti che si producono nell’esercizio di questa attività unico bilancio nel quale confluiranno i risultati di queste attività economiche e nel momento in cui il risultato di questa attività economica sorpassi il valore dei beni destinati a questa attività quei crediti non possono soddisfarsi dei beni degli altri patrimoni separati. Questo fenomeno dei patrimoni separati nel diritto comune è un fenomeno sconosciuto, da 15 anni non si vedono esempi di società che adottino questo schema. È però un fenomeno che in altri settori è estremamente comune e l’esempio più importante è quello delle società di gestione del risparmio che costituiscono dei fondi comuni di investimento che non sono società, le obbligazioni assunte per l’esercizio di quella attività trovano soddisfazione solo sui beni di quello specifico patrimonio. Art. 67 Siccome il soggetto è uno, al di là della circostanza che l’insolvenza si sia manifestata nell’ambito di un comparto o di un altro, trattandosi di un soggetto unico pur costituito da patrimoni separati i presupposti si esaminano in capo a questo soggetto. Questa norma si spiega con la volontà di non confondere la circostanza che siano patrimoni separati con la circostanza che il soggetto sia unico siccome il soggetto è unico i presupposti soggettivi per l’esercizio dell’azione revocatoria sono in capo a questo soggetto. Art. 68 pagamento di cambiale scaduta: argomento non attuale, le cambiali non si usano più. Quando si utilizzavano frequentemente era sorto questo problema. Le cambiali sono documenti che producono un’inversione dell’onere della prova, rendono astratto il titolo della pretesa, di norma se vanto una pretesa devo spiegare qual è il mio titolo, i titoli di crediti hanno l’utilità e efficienza di esonerare dalla denuncia e dalla dimostrazione del titolo in base al quale si avanza una pretesa pecuniaria, il titolo è incorporato nel documento. Non bisogna dimostrare qual è il fenomeno economico sotteso, per questo i titoli di credito devono avere una forma particolarmente circostanziata perché si tratta del pagamento ineludibile di un debito, nel caso di mancanza di pagamento ci sarà un protesto della cambiale e il pignoramento senza avere l’onere né dichiarare il titolo del credito né tantomeno di dimostrarlo, sarà se mai del debitore l’onere di dimostrare che la cambiale era stata emessa per un pagamento ad esempio già saldato e quindi la cambiale non può essere escussa. Per conseguire questo effetto occorre rispettare delle regole molto dettagliate, tra cui quella del protesto della cambiale, conservo il valore del titolo esecutivo della cambiale se faccio constatare dal un pubblico ufficiale che il pagamento è stato rifiutato. Il pubblico ufficiale non può dare il protesto se l’imprenditore è disposto a pagare, si pensi al caso di un portatore della cambiale dice di non aver accettato il pagamento perché temeva di subire la revocatoria però non ha potuto conseguire il protesto perché l’imprenditore era disposto a pagare ed è stato lui a rifiutare per evitare la revocatoria e il portatore della cambiale è tenuto ad accettare il pagamento per non perdere l’esecutività del titolo. Cosa si fa se l’imprenditore vicino al fallimento vuole pagare? Se non accetto il pagamento non posso avere il protesto e senza protesto la cambiale non può essere usata come titolo esecutivo. Vista questa possibile sfortuna c’era e c’è ancora oggi anche se non è più usata questa fattispecie: In deroga a quanto disposto dall'art. 67, secondo comma (pagamento dei debiti scaduti) non può essere revocato il pagamento di una cambiale, se il possessore di questa doveva accettarlo per non perdere l'azione cambiaria di regresso. In tal caso, l'ultimo obbligato in via di regresso, in confronto del quale il curatore provi che conosceva lo stato di insolvenza del principale obbligato quando ha tratto o girato la cambiale, deve versare la somma riscossa al curatore. Il curatore va a chiedere la somma ai soggetti verso cui si sarebbe potuto eseguire il regresso se la cambiale non fosse stata pagata, questo aspetto è tecnicamente utile ma non rilevante nella prassi perché è difficile per i debitori contrastare l’azione per i creditori e per il pagamento dell’imposta di bollo proporzionale al valore della cambiale. Art. 69 rappresenta una disciplina particolare dell’azione revocatoria che riguarda gli atti compiuti tra coniugi e detta una disciplina particolare dell’azione revocatoria perché da per scontato che tra coniugi ci sia una conoscenza approfondita e risalente dello stato di insolvenza di uno dei due. Gli atti previsti dall'articolo 67, compiuti tra coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale e quelli a titolo gratuito di cui all’art.64 compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale sono revocati se il coniuge non prova che ignorava lo stato d'insolvenza del coniuge fallito. Gli atti a titolo gratuito sono revocabili oltre il periodo sospetto e gli atti a titolo oneroso sono revocabili senza che il curatore dimostri che chi ha ricevuto il pagamento conoscesse lo stato di insolvenza dell’imprenditore fallito, si inverte l’onere della prova. Art. 69 bis la revocatoria si prescrive in 5 anni dal compimento dell’atto e siccome si revocano atti compiuti prima del fallimento per definizione la prescrizione ha già iniziato a decorrere non appena l’atto è stipulato. Anche se l’atto è stato compiuto in epoca recente dopo 3 anni il curatore non la può proporre perché si aggiunge un termine di decadenza triennale. Art. 70 La revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati, procedure di compensazione multilaterale o dalle società previste dall'articolo 1 della L. n.1966/1939 (fiduciarie), si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione. Queste sono situazioni nelle quali chi riceve un pagamento non lo riceve per sé ma istituzionalmente per conto terzi, quindi nel caso di fallimento dell’autore del pagamento il curatore prenderà i soldi dal terzo e non dal soggetto che ha ricevuto il pagamento. Colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito. Immaginiamo un caso nel quale la ceramica fa un pagamento a un fornitore di argilla, dopo due mesi fallisce, il curatore chiede al fornitore di restituire il pagamento, nasce una causa il cui risultato è la condanna al pagamento del fornitore. La norma dice che ci deve restituire quanto aveva ricevuto è poi ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito. Perché c’è bisogno di una norma per consentire di insinuare nel passivo una fattura, che era pacificamente espressiva di un credito commerciale, non ci sarebbe ragione di vietare ciò, non ci sarebbe bisogno di una norma per consentire di fare una cosa ovvia. Il fatto che ci voglia una norma per consentire l’insinuazione al passivo fa pensare che non si tratti dello stesso credito, perché se fosse lo stesso credito sarebbe pacificamente insinuabile. Se ho una fattura che prima viene pagata e poi il pagamento viene revocato questa fatture è naturalmente insinuabile nel fallimento perché il fallimento riguarda tutti i debiti anteriori al fallimento, se fanno una norma apposta la quale dice che quando in virtù della sentenza che revoca il pagamento il soggetto diventa credito fa sospettare che questa norma ci sia perché in mancanza non potrei insinuarmi al passivo, perché si prende in esame il periodo pre-fallimento e non post e se questa norma si spiega con il fatto che questo credito nasce solo al momento della sentenza e non ha niente a che fare da quello espresso dalla fattura, quindi se il primo aveva delle garanzie quello nuovo non le ha più. Questo fenomeno si chiama reviviscenza che vuol dire: il credito che sorge quando si restituisce una somma che mi era stata data in pagamento di un debito fa rivivere quel debito e le garanzie di quel debito oppure quel debito è estinto? Le garanzie sono estinte e per un profilo di ingiustificato arricchimento nel momento in cui mi viene chiesto di restituire una cosa che mi spetta mi si consente di insinuarmi al passivo con un credito altrimenti non insinuabile perché nasce ora e non prima del fallimento. In diritto privato c’è un fenomeno simile nella disciplina delle ipoteche è previsto che se ricevo il pagamento di un credito ipotecario che poi viene annullato il credito risorge con l’ipoteca dal quale era stato assistito a meno che nel frattempo l’ipoteca non sia stata cancellata, il caso riguarda la fattispecie nella quali un pagamento viene dichiarato nullo o annullabili e non un pagamento inefficace e infatti la revocatoria non produce la nullità o annullabilità di un atto che rimane produttivo degli effetti che gli sono propri e viene semplicemente dichiarato inopponibile nei confronti di colui che ha proposto la revocatoria. È per lo più condivisa l’opinione secondo la quale l’art. 70 consente di insinuare un credito che non sarebbe insinuabile perché sorto solo al momento della restituzione e non c’entra con il credito precedente e si perdono anche le garanzie. Comma 3 rientro: Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di (posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque) rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo corrispondente a quanto restituito. Questa norma vista per le rimesse viene ritenuta applicabile anche ai rapporti continuativi o reiterati diversi dal conto corrente bancario e in realtà c’è molta incertezza nell’identificare quali altri rapporti continuavi e reiterati siano soggetti a questa norma, può darsi che qualcuno si provi nello stesso ambito dei rapporti bancari, non il conto corrente bancario ma qualche altro rapporto che abbia le stesse caratteristiche cioè un utilizzo ripetuto che comporta che degli atti ai quali si sarebbe portati a dare la natura di pagamenti in realtà non abbiano effetto estintivo ma simile a quello della rimessa, sono però esenti da un da un certo punto di vista forzato perché riguardano il pagamento di debiti esigibili rileva per i soli 6 mesi anteriori al fallimento è difficile trovare casi concreti rispetto ai quali questo meccanismo possa effettivamente operare. Bisogna trovare degli esempi in cui si susseguono delle operazioni con la scadenza relativamente breve, al di sotto dei 6 mesi.
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