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Appunti diritto costituzionale Giangaspero 2021, Appunti di Diritto Costituzionale

Appunti sul corso di diritto costituzionale tenuto dal prof. Giangaspero all'Università degli Studi di Trieste nell'anno accademico 2020-2021.

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 07/06/2022

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Scarica Appunti diritto costituzionale Giangaspero 2021 e più Appunti in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! 1 Diritto costituzionale Esame: lezioni + materiale del libro indicato (segnare più avanti) Due significati diversi di diritto: • In senso soggettivo: indica una pretesa (è mio diritto…, ne ho il diritto). • In senso oggettivo: indica un insieme di norme giuridiche, un ordinamento giuridico. Diritto come interesse dell’individuo tutelato e come complesso di regole (ciò che ci interessa). Che cosa sono le regole di diritto? Necessario capire sulla base di quali presupposti si possono identificare come tali e come non. Perché? Possiamo capire in modo consapevole perché alcune vengono considerate tali; ciò dipende dalla funzione di queste regole; il concetto di “regola” (proposizione che hanno struttura simile, inizia con “se” e finisce con “allora”) esprime cose diverse. Regole descrittive: raccontano, spiegano il funzionamento di qualcosa. Proposizioni che descrivono una regolarità. Funzione accessoria: previsione. Queste regole non possono essere provate vere, ma nel momento in cui hanno successo si dicono corroborate; se una regola non si ripete, è falsa. Non interessano al diritto. Regole in senso prescrittivo: servono ad influenzare i comportamenti. Se la condotta non viene influenzata la regola non è falsa, ma violata (e viene quindi seguita da una sanzione). Queste sono le regole di diritto; tutte le regole di diritto sono in senso prescrittivo. Tutte le regole che noi percepiamo come “di diritto” sono in senso prescrittivo; bisogna precisare che in alcuni caso l’oggetto di studio può essere affrontato in altre discipline (es. patente a punti: da giuristi, la regola può essere letta in senso prescrittivo; tuttavia, è possibile condurre studi a carattere descrittivo su rapporto mortalità/introduzione nuova patente ecc.). La stessa realtà può essere studiata dall’interno (giuristi) e dall’esterno (altre discipline). Tutte le regole in senso prescrittivo sono regole di diritto? Esempio: se fai un danno ingiusto, allora devi risarcirlo. Se vedi una persona in difficoltà, devi aiutarla. Entrambe le regole sono in senso prescrittivo, ma solo la prima è regola di diritto. Perché? La regola del provare compassione si rivolge al “foro interno” del soggetto e lì si esaurisce, si riferisce al rapporto tra soggetti. Il diritto nasce invece per regolare una società e le interazioni tra individui; tutte le regole di diritto sono regole di tipo sociale. Le regole di diritto sono “eteronome”, subite dall’individuo, ne disciplinano l’attività; le regole morali sono individuali e soggette alla dimensione intima degli individui. Quali sono i gruppi sociali che possono produrre regole di diritto? Quali caratteristiche devono avere per produrre diritto? Una serie di condizioni: • Dev’esserci un gruppo: un individuo non produce diritto; • Dev’esserci un fine comune da raggiungere: può essere qualunque cosa; • Le regole prodotte, le quali incoraggiano il raggiungimento del fine e scoraggiano forme di ostacolo; i comportamenti ininfluenti non vengono regolati; • Individuazione di autorità: individui che hanno compito di regolazione e agiscono per conto della collettività; • Regole sulla produzione di regole: il gruppo deve essere in grado di aggiornarsi, produrre nuove regole e regolarne la stesura. Queste condizioni sono necessarie ad un gruppo sociale che produce ed individua delle regole: prende il nome di gruppo sociale normativo. L’insieme delle regole viene chiamato ordinamento giuridico del gruppo (stato, mafia, comune, regione, ecc.). Un gruppo sociale deve essere stabile e deve sapere organizzarsi autonomamente per creare un ordinamento giuridico.
 2 Se fai un danno ingiusto, allora devi risarcirlo. Se non paghi il pizzo, io ti brucio il negozio. Non ci sono differenze strutturali tra queste due regole: noi, tuttavia, siamo abituati a considerare diritto la prima e non la seconda, poiché nello stabilire ciò che è diritto e ciò che non lo è noi ci riferiamo all’ordinamento giuridico dello stato. È necessario non assumere punti di vista particolari nella determinazione di ciò che è diritto e ciò che non lo è. Principio della pluralità degli ordinamenti giuridici: i gruppi sociali in grado di produrre regole normative e sociali sono tanti e diversi tra loro. Principio della relatività delle qualificazioni giuridiche: ogni ordinamento giuridico ci dà dei criteri per stabilire ciò che per il gruppo è e non è diritto. Perché adottiamo lo stato come ordinamento giuridico di riferimento? Qualche distinzione: • Ordinamenti giuridici territoriali vs. non territoriali: i primi hanno potestà di governo su un certo territorio, i secondi no; stato vs. chiesa (entrambi originari), ad esempio; • Ordinamenti giuridici originari vs. derivati: si basa sulla forza di un certo ordinamento; un ordinamento giuridico si dice derivato quando è fortemente condizionato da altri ordinamenti giuridici, originario quando non deriva la sua sovranità da nessun altro ordinamento, ha in sé le origini della sua vigenza. Lo stato ha una caratteristica peculiare: è l’unico ordinamento giuridico originario e al contempo territoriale. La combinazione tra originarietà e territorialità (sovranità) rende lo stato l’ordinamento giuridico più forte, la massima autorità agente in un determinato territorio, ed è per questo che noi stabiliamo lo stato come ordinamento giuridico di riferimento. Lo stato detiene quindi la sovranità. La sovranità si distingue in: • Interna: l’ordinamento giuridico dello stato è il più potente a livello territoriale; • Esterna: siccome ogni stato è sovrano internamente, formalmente e giuridicamente ogni stato è pari rispetto agli altri; parità di ogni sovranità statale in quanto ogni stato è sovrano internamente. Lo stato come formazione sovrana è una creatura storicamente determinata: ha infatti cominciato ad esistere quando c’è stata la possibilità di affermare un unico centro di autorità a livello territoriale (prima vigeva il diritto comune), quindi con le monarchie assolute. Quali sono i fini dello stato? Non si sa: lo stato è un ordinamento giuridico molto forte (massimamente autorevole sul territorio), può quindi assumere su di sé tutti i fini che ritiene utili per l’interesse dei cittadini; universalità dei fini dello stato: il fine non determina l’esistenza dello stato. La sovranità è un concetto “storicamente datato”: oggi è, per alcuni aspetti, meno assoluta. L’unione europea limita in alcuni modi la sovranità dello stato, ad esempio con l’eurozona, che toglie la potestà della moneta. L’UE è capace di produrre regole che devono applicarsi direttamente e immediatamente all’interno di ciascuno stato membro: primato del diritto UE sul diritto interno. Nonostante questo l’UE rimane un’organizzazione sovranazionale largamente governata dagli stati e “limitata” da ciò che è previsto dai trattati; limita ma non soppianta la sovranità nazionale. L’UE non acquista statualità in quanto ha caratteristiche peculiari che non le permettono di sostituirsi alla sovranità nazionale. Chi è il titolare ultimo della sovranità? Dal potere assoluto si è andati verso una costituzionalizzazione degli stati; dapprima con costituzioni rappresentative (non democratiche) e si ragiona sulla sovranità della nazione, ossia un’entità astratta che dev’essere rappresentata (dal re ad un parlamento). In Italia la costituzione sancisce che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti espressi dalla costituzione”. Come si esprime? Determinando gli indirizzi politici dello Stato e attraverso la partecipazione politica.
 5 Un documento costituzionale può essere, in base al suo processo di modifica: • Rigido: necessitano processi aggravati per essere modificati, tipicamente novecentesche; • Flessibile: modificabile attraverso il normale procedimento legislativo, tipicamente ottocentesche. Le prime costituzioni sono di tipo flessibile (Statuto Albertino, ad es.), si evolvono successivamente in costituzioni di tipo rigido. Nelle costituzioni di tipo rigido, un giudice ha il potere di dichiarare una legge incostituzionale. Tra le costituzioni rigide troviamo vari gradi di rigidità; la Costituzione italiana può, ad esempio, essere modificata a maggioranza assoluta (metà più uno degli aventi diritto al voto; la maggioranza relativa, o semplice, riguarda invece i votanti). La costituzione degli USA, rigida (in quanto federale), necessita ratifiche dei congressi dei singoli stati (27 emendamenti). Le costituzioni possono inoltre essere definite: • Brevi: normalmente più corte, sono le tipiche costituzioni ottocentesche; tutelavano principalmente diritti di carattere generale; • Lunghe: normalmente più lunghe, sono le tipiche costituzioni novecentesche; tutelavano, oltre ai diritti già garantiti nell’800, diritti strutturalmente diversi. Nel secondo dopoguerra prendono campo costituzioni lunghe e rigide. Esercitazione n°1 Quali sono i beni della vita? Quali sono gli interessi dei singoli? Art. 15: la libertà e la segretezza della corrispondenza. Si adatta al cambiare dei tempi (vd. Internet e social network). Art. 16: le limitazioni della situazione Covid sono formalmente legittime; tuttavia, il largo spazio lasciato ai dpcm, ossia al governo e non alla legge, fa storcere il naso. La Costituzione condanna restrizioni di natura politica (memori del “confino”, un modo di esiliare basato molto più sul caso singolo che su una regola per la collettività). Art. 13 (comma 2): tratta di libertà di attuazione fisica. Art. 32: tutela la salute e prevede la garanzia di cure gratuite agli indigenti (tramite finanziamento o istituzioni). Art. 38: garantisce il diritto all’assistenza in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria, e prevede organi ed istituti creati a tal fine. Le libertà previste dalla colonna destra sono minime, in quanto tutte queste libertà sono garantite esclusivamente dallo stato, che se non le garantisce lascia poco spazio all’individuo. Gli interventi dello Stato sono rivolti ad una particolare fetta di popolazione (con buona ragione): hanno la finalità di aiutare chi è in difficoltà. Questo ha un effetto ridistributivo della ricchezza. Questi diritti hanno ovviamente un costo. Mirano a correggere situazioni di squilibrio. Le libertà previste dalla colonna di sinistra sono altresì garantite dallo stato, che deve garantire però uniformità di trattamento; sono rivolte alla generalità, senza fare differenze tra chi sta peggio e chi meglio. Influenza del “laisser faire”; tutelano una uguale protezione. Libertà di tipo negativo: la situazione del soggetto è affidata al soggetto stesso, le autorità non vi possono interferire; mi difendo contro chi potrebbe arbitrariamente limitare la mia libertà, libertà da condizionamenti esterni. La costituzione del ’48 viene scritta da una giunta eletta a suffragio universale: non poteva quindi non tener conto degli interessi delle fette di popolazione più basse. È la transizione tra stato liberale e socialdemocrazia. Art. 3 comma 1: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni. Eguaglianza formale: necessità di trattamento equo di fronte alla legge. Art. 3 comma 2: è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono la libertà e il realizzarsi dell’eguaglianza. Eguaglianza sostanziale: necessità di trattamento equo de facto. Si pone l’obiettivo di realizzare un’eguaglianza di condizione (economica, sociale) di fatto; privilegia dunque le categorie che partono da uno svantaggio.
 6 La corte costituzionale, nel caso in cui il parlamento mancasse nel garantire i diritti di tipo positivo, non è in grado di obbligare il parlamento a fare qualcosa; può comunque invitare il parlamento ad intervenire o emettere un’ordinanza della corte, in attesa di un intervento parlamentare (usata nel caso Cappato e di una rapina). Si fa quindi leva sulla questione politica dell’opinione pubblica. Decreto legge: disposizione che ha la stessa forza della legge e che sta in piedi da sola per 60 giorni, salvo conversione in legge. In caso di limitazione di diritti fondamentali, si può agire con decreto legge? Sì, poiché se non viene convertito in legge (tramite esclusivo intervento del parlamento, e quindi vale la riserva di legge) decade; il problema in ambito covid sembra essere la grande capacità d’intervento del governo. Inoltre l’utilizzo dei dpcm non richiede l’approvazione del consiglio dei ministri, ma solo del presidente del consiglio dei ministri. Il meccanismo in sé per sé sembra funzionare, tuttavia alcuni interventi sembrano entrare nell’incostituzionalità. Si richiede particolarmente l’utilizzo di decreti legge, che offrono più garanzie dei dpcm. Riserva di legge: un certo diritto può essere solo limitato da un intervento legislativo e non esecutivo. Può essere assoluta nel caso in cui necessiti di prevedere casi e modi, relativa se necessaria per valutare singole casistiche (art. 23, serve legge specifica per prestazione o patrimonio). Riserva di giurisdizione: la concreta limitazione del diritto può avvenire solo tramite l’intervento di un giudice. Un giudice è indipendente e non politico, al contrario del governo. Importanza della motivazione: è contestabile. Necessario vietare qualcosa ai singoli per vietare qualcosa alle associazioni. Stato di emergenza previsto dalla costituzione: • Art. 78: Stato di guerra; • Art. 120: regola rapporto fra stato e ragioni, in particolare potere sostitutivo dello stato sulle regioni in “caso di pericolo grave per l’incolumità pubblica”; • Art. 77: il decreto legge può essere adoperato dallo stato in casi di necessità e urgenza. Evoluzione storica dello Stato Lo stato è una creatura storica; è il più forte ordinamento giuridico su un territorio. La nascita degli ordinamenti giuridici statali non è precisamente identificabile, in quanto processo; nasce in ogni caso dalla realtà pre-statuale del feudalesimo. Il potere veniva esercito in maniera frammentata e confusa, senza una vera autorità dominante. I rapporti feudali erano di natura piramidale, basati sulla concezione di protezione e terra; un rapporto “privatistico”, di scambio, contrattuale. Rapporti “a rete”: ogni gruppo sociale poteva essere sottoposto a più autorità. La posizione dei soggetti era molto diversa da quella che immaginiamo oggi; il diritto era organizzato per fasce di società, ceti aventi ciascuno un proprio ordinamento giuridico (nobiltà, clero, ecc.). I primi stati assoluti nascono per germinazione da questa realtà: uno di questi centri di potere si è allargato e imposto, dando il via ad un processo di concentrazione del potere. Essendo diretto successore del sistema feudale, lo stato assoluto ne conserva delle caratteristiche e vengono chiamati stati patrimoniali: il re è padrone e proprietario del territorio secondo un rapporto di tipo privatistico; c’è sovrapposizione tra patrimonio statale e patrimonio privato del sovrano (le tasse vanno al re). L’organo dello Stato è la Corona, in quanto impersonale e continua. Lo stato assoluto è in questa fase più un’ideologia ed un obiettivo che una realtà: l’opposizione degli altri centri di potere esisteva e condizionava l’opera del re. I compiti dello stato sono minimi: buon governo della produzione e soprattutto protezione dei suoi sottoposti, base dei rapporti privatistici. In virtù di questo, la produzione di regole è altresì minima e basata sulle regole preesistenti, consuetudinarie, e sul diritto romano.
 7 Col tempo l’accentramento di potere si consolida, lo stato assoluto si evolve e con esso la sua autorità ed influenza; questa sua “versione” viene chiamata stato di polizia. Lo stato ha più obiettivi e funzioni, producendo quindi anche più diritto: nasce un sistema delle fonti. La figura del re si distingue da quella dello stato, il sovrano comanda all’interno dell’ordinamento giuridico e le sue finanze diventano private, garantendo così l’esistenza di un patrimonio statale. La gestione di un ordinamento giuridico più complesso richiede inoltre un sistema di gestione degli affari di competenza dello stato. L’autorità reale è definita per discendenza o per “autorità divina”. Il processo di costituzionalizzazione e limitazione dei poteri assoluti ha, al contrario del formarsi degli stati assoluti, tempi e date precisi (dalla rivoluzione francese allo Statuto Albertino della metà dell’800). Le prime costituzioni sono uno strumento che limita il potere preesistente sottoponendolo a delle regole, diventando così Stato di diritto. I protagonisti sociali di questo mutamento sono i borghesi, i quali hanno come finalità e motore l’industria e il commercio. Gli stati liberali dell’800 nascono tutti da una specie di “patto” tra la borghesia e il potere preesistente, più o meno evidente ed esplicitato; da questo deriva la natura dualistica dello stato: si concilia il potere preesistente (reale) con i parlamenti, i quali ne limitano la sfera d’influenza. La natura del potere parlamentare è rappresentativa, costruita “dal basso” (elettiva), sancendo l’introduzione del concetto di rappresentatività nelle costituzioni; naturalmente, siamo ancora lontani dal concetto di democrazia moderna. Sul piano della percezione della costituzione, il principio rappresentativo è “virale”: è su questo che si evolve lo stato liberale, gradualmente si dà sempre più importanza alla rappresentazione; anche il re cerca di far proprio il concetto di rappresentazione, identificandola nella nazione. È interessante una legge del 1861: si stabiliva una formula per la legittimazione delle leggi “Tutti gli atti che debbono essere intitolati in nome del Re lo saranno colla formola seguente: (Il nome del Re) per grazia di Dio e per volontà della nazione”. Le libertà riconosciute erano basate sull’individuo più che sulla collettività: le aggregazioni venivano viste come limitanti alla libertà del singolo. Si stabilisce il principio di uguaglianza formale, ossia uniformità di trattamento in virtù della propria libertà di contratto (eliminazione discriminazioni, più o meno). La posizione dello stato nei confronti dello sviluppo economico: lo stato liberale si fonda sul libero commercio e sul laisser faire, mentalità capitalistica tipica del 1800; si riteneva che l’influenza dello stato avrebbe interferito sulla migliore allocazione delle risorse e delle ricchezze. Le libertà negative (da condizionamenti esterni) garantivano una sfera di protezione individuale, ed erano le libertà richieste e promosse dalla nuova classe dirigente; natura liberistica, il libero incontro tra domanda e offerta è visto come il modo migliore per bilanciare la gestione delle risorse. L’uguaglianza è vista e garantita come divieto di discriminazione. Si parla di Stato minimo, con finalità principalmente garantistiche. Centralità della rappresentanza: i parlamenti rappresentano la nazione (eletti non dalla popolazione, ma da fette ristrette). Lo stato liberale dell’800 è uno stato mono-classe, molte realtà sono tagliate fuori dai circuiti della rappresentanza. La limitazione del potere assoluto avviene tramite la separazione dei poteri: un principio molto forte nello stato liberale, al re è affidato il potere esecutivo, mentre il potere legislativo è spartito di comune accordo tra il sovrano e i parlamenti; la legge è un atto assunto di comune accordo (la legge è creata e proposta dal parlamento e approvata dalla sanzione reale). Il potere esecutivo è vincolato alla legge: principio di legalità (versione ottocentesca); dove la legge non c’è, il re mantiene inalterato il suo potere. Questo garantisce il carattere generale ed astratto della legge, l’unica che può limitare l’individuo e validare potestà pubbliche. Le costituzioni ottocentesche sono estremamente flessibili; tuttavia, la necessità di un comune accordo tra parlamento e potere reale non è negoziabile. La legge può tutto, fuorché intervenire sul meccanismo di produzione della stessa (principio di onnipotenza del legislatore).
 10 stato possibile anche grazie all’utilizzo della controfirma, con cui il governo controfirmante si assumeva le responsabilità politiche degli atti (ormai solo formalmente imputato al Capo dello Stato). Legislazione elettorale 3 elementi: • Le norme che stabiliscono la cittadinanza politica: per l’elettorato attivo si guarda all’art.48, necessari cittadinanza italiana e maggiore età; il voto è personale, eguale, libero, segreto e dovere civico (non giuridico); per l’elettorato passivo le restrizioni sono di età (25 anni alla camera, 40 al senato) e penali, che possono portare ad ineleggibilità (impedimento giuridico precedente all’elezione o sopravvenute) o incompatibilità (impossibilità di cumulare la carica parlamentare con un’altra, come camera e senato, camera e giudice della CC, camera e consigliere reg. ecc. ecc., risolvibile optando per la decadenza dell’una o dell’altra). Diverso l’istituto dell’incandidabilità, ampiamente applicato dopo la legge Severino, di natura morale. • Le regole del sistema elettorale; • La legislazione elettorale di contorno: svolgimento campagne elettorali, finanziamenti, regimi di ineleggibilità e incompatibilità; servono a creare leale competizione elettorale e ad impedire conflitti d’interesse; Sistema maggioritario Un sistema che permette di ottenere collegi su base strettamente maggioritaria, dando rappresentanza a partiti minoritari ma fortemente concentrati a livello territoriale (Südtiroler Volkspartei). Effetti: un piccolo partito dovrà probabilmente accordarsi con più partiti, tendenza verso una composizione parlamentare bipartitica, facilitando la formazione di una maggioranza. Può essere visto come ingiusto, in quanto un partito consistente a livello nazionale ma scarsamente concentrato può trovare minor rappresentanza. Un sistema maggioritario penalizza l’offerta politica (in termini di rappresentatività); in compenso, l’ottenimento di una maggioranza di governo permette di constatare l’effettivo operato del governo eletto (democrazia immediata, investitura diretta del capo di governo). Es. Stati Uniti: i grandi elettori sono eletti su base maggioritaria; può succedere che il Presidente possa vincere con meno voti complessivi. Sistema proporzionale Il loro scopo è creare un parlamento che sia quanto più possibile rappresentativo del peso dei partiti nel Paese (“parlamenti specchio”). Effetti: scarso incentivo alle alleanze, due partiti simili sono distanti prima delle elezioni. Tendenzialmente, si va verso un sistema pluripartitico dove ciascuno tende a massimizzare la sua presenza. È il sistema che più rispecchia l’immagine politica del Paese; tuttavia ciò rende la composizione di un governo più difficile, vista la necessità di alleanze post elezioni. Ciò che si perde in difficoltà, si guadagna in rappresentanza di singoli partiti (democrazia mediata, i partiti organizzano struttura e programma del governo dopo le elezioni). Si basa su collegi plurinominali, ovvero il voto non elegge un solo rappresentante ma multipli. I correttivi Maggioritario a doppio turno di collegio: sistema francese, si ottiene la maggioranza solo in caso di maggioranza assoluta (50+1); nel caso in cui nessuno abbia più del 50% dei voti si effettua un secondo turno di collegio in cui partecipano tutti i candidati, dove subentra il maggioritario “classico”. Ricorre spesso il caso di alleanze volte a vincere la precedente maggioranza relativa. Correttivi dei proporzionali: • Soglie di sbarramento: regole che escludono partiti troppo piccoli (4% in Italia) al fine di diminuire la frammentazione; • Premi di maggioranza: i partiti più consistenti ottengono dei deputati “extra” per facilitare la governabilità.
 11 I sistemi misti in Italia Un crossover tra sistemi. In Italia è una soluzione ricorrente: 1993, legge Mattarella, introduce il primo sistema misto (3/4 seggi parlamento su base maggioritaria, 1/4 su base proporzionale); nel 2005 viene introdotta la legge Calderoli (o “Porcellum”), dichiarata parzialmente incostituzionale nel 2014 a causa di un premio di maggioranza imbarazzante; a seguito di questo nel 2015 è stato proposto l’”Italicum”, la legge Renzi, dichiarata incostituzionale ancora prima di essere approvata; siamo arrivati alla legge Rosato del 2017, che ritorna al sistema misto (1/3 su base maggioritario, 2/3 su base proporzionale). Le leggi Mattarella (1993): per 3/4 maggioritario, per 1/4 proporzionale; la tendenza al sistema maggioritario non ha semplificato il quadro partitico ma ha portato ad una bipolarizzazione tra due candidati alla presidenza del consiglio. 3 legislature: 1994, 1996 e 2001. Legge Calderoli (2005): una legge proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione più forte senza limiti minimi, senza espressione di preferenze nella lista dei candidati. 3 legislature: 2006, 2008 e 2013. Perché è stata definita parzialmente incostituzionale? Liste troppo lunghe senza possibilità di preferenze e soprattutto la possibilità di avere un premio di maggioranza troppo disproporzionale (10 milioni di voti = 314 seggi, 9.9 milioni di voti = 124 seggi), violando il principio di uguaglianza del voto. Grave è soprattutto l’inserimento di un premio di maggioranza in netto contrasto con la natura proporzionale della legge. Inoltre, in senato, il premio di maggioranza non era conferito su base nazionale, ma a ciascuna regione veniva riconosciuto un premio di maggioranza, con il rischio di creare uno squilibrio fortissimo tra le due camere (una coalizione con un gran minor numero di voti potrebbe avere una maggioranza schiacciante perché vincente in più regioni). L. n. 52 del 2015 (Italicum): valeva solo per la camera dei deputati (si puntava, all’epoca, ad eliminare il senato con la riforma Renzi); era una legge a base proporzionale con premio di maggioranza (concesso solo con il raggiungimento del 40% al primo turno) con l’introduzione di una preferenza sulle liste. Se nessuno arrivasse al 40%, sarebbe necessario un secondo turno di ballottaggio per l’ottenimento del premio, senza possibilità di cambiare coalizioni: questo non risolve le possibili criticità della legge Calderoli, in quanto si può ripresentare la stessa situazione. L. n. 156 del 2017 (legge Rosato): propone un sistema misto, 1/3 maggioritario in collegi uninominali e 2/3 proporzionale a liste corte e bloccate, senza preferenze. Sarà necessario adattarla dopo il cambio del numero dei senatori e dei deputati. Sistemi elettorali in sintesi Tutte le forme di governo si reggono sul quadro costituzionale su cui si poggiano e su ciò che vi sta sotto, ovvero il sistema politico. Il nocciolo della forma di governo parlamentare sta nella necessaria relazione fiduciaria tra parlamento e governo: il governo ha possibilità di essere solo grazie alla fiducia del parlamento. Questa forma di governo è molto diffusa e variabile: può dar vita a governi deboli o fortemente decidenti, sulla base del sistema partitico. Uno degli elementi che condizionano l’assetto del quadro politico è la legge elettorale, un meccanismo che trasforma le presenze degli elettori in seggi parlamentari. I sistemi elettorali si reggono sempre su un paradosso: sono fondamentali per la costituzione dei parlamenti ma raramente sono definiti dalle costituzioni; normalmente le leggi elettorali sono leggi ordinarie, approvate con maggioranze semplici. Indicatori delle forme di governo parlamentari Democrazia diretta vs democrazia mediata (vedi sistema maggioritario e proporzionale) Sistemi parlamentari a elemento monocratico “forte” vs sistemi parlamentari a elemento monocratico “debole”: la forza del primo ministro dipende dalla costituzione e dal sistema partitico. Sistemi parlamentari con governi forti sul parlamento vs sistemi parlamentari con governi deboli sul parlamento: misura la forza della maggioranza e dell’opposizione, spesso dipende dal sistema partitico. 12 I “terzi organi”: una forza estranea al sistema politico, come la regina, il presidente della Repubblica; può essere più o meno potente a seconda del quadro politico. Es. potere di nomina del governo: in un sistema pluripartitico il presidente della repubblica italiana ha più potere decisionale rispetto ad un sistema bipartitico; scioglimento anticipato delle camere: più o meno rilevante, in quanto è esercitabile solo durante crisi di governo e impossibilità di formazione di un governo. Grado di razionalizzazione della forma di governo: regolamentazione della relazione tra parlamento e governo al fine di rendere il governo più resistente e meno instabile. Ad esempio, in Germania viene utilizzata la cosiddetta “sfiducia costruttiva”, dando al parlamento il potere di sciogliere il governo se e solo se viene istituito un nuovo governo in modo conseguente. In Italia, all’articolo 94 della costituzione si legge: il governo deve avere la fiducia delle due camere, ciascuna delle due camere accorda o toglie la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale; la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti della camera e non può essere messa in discussione prima di 3 giorni dalla sua presentazione. Tuttavia, queste regole disciplinano il modo in cui il parlamento vota la sfiducia ma non regolano le crisi extraparlamentari (es. dimissioni spontanee del governo), in grado di aggirare le regole di razionalizzazione del governo. Razionalizzazione della forma di governo delle regioni Nella forma di governo regionale non si ha un “terzo organo”, al contrario della forma di governo parlamentare. Nel 1999 è stata formalizzata dalle regioni una forma di governo parlamentare ultra-razionalizzata: viene stabilito nell’articolo 124 che “il presidente della giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale diretto. Il presidente eletto nomina e revoca i componenti della giunta.”. L’articolo 126 aggiunge che “L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della giunta eletto a suffragio diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso, comportano le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio.”: si desume quindi che non si tratta di una forma di governo presidenziale in quanto è possibile presentare una mozione di sfiducia; si tratta di una forma ultra-razionalizzata in quanto la sfiducia comporta lo scioglimento automatico di giunta e consiglio regionale: si tratta di una regola chiamata “simul stabunt, simul cadent”, si conferisce quindi al presidente regionale un potere fortissimo (eletto direttamente e potere di scioglimento). Un potere esecutivo molto forte rispetto al legislativo, da cui deriva un presidente della regione molto forte. Forma di governo semi-presidenziale Il modello di questa forma di governo è quella francese, nata tra gli anni ’50 e ’60, ossia gli anni della guerra d’Algeria, in occasione della formazione della V° repubblica. Il semi-presidenzialismo è diversa dal parlamentarismo? E in che modo? La struttura della forma semi-presidenziale Il presidente della repubblica viene eletto dal popolo: questa innovazione viene introdotta nel ’62, dopo la modifica della costituzione. Il presidente della repubblica deve nominare un governo che abbia necessariamente la fiducia del parlamento; inoltre, il potere esecutivo viene diviso tra presidente della repubblica e governo. Il presidente inoltre non è super partes, ma un politico a tutti gli effetti. Il problema ricorrente in questa forma di governo è il conflitto tra due diverse parti politiche nel potere esecutivo: è il fenomeno della “coabitazione”; il potere esecutivo dipende quindi dall’uniformità politica di presidente e parlamento, con quest’ultimo che vede concentrarsi il potere esecutivo nelle mani nel caso di coabitazione. Si può quindi dire che il tratto fondamentale del semi-presidenzialismo è la divisione del potere esecutivo. 15 Un atto normativo importante per l’individuazione delle fonti del diritto è la Costituzione, la quale è molto specifica sulle fonti delle regole costituzionali ma molto meno sulle fonti dei regolamenti del potere esecutivo (si dice solo che sono emanati dal presidente della repubblica). Per molti anni ci si è rivolti alla legge n°100 del 1926, la cui natura fascista creò un vuoto formale per lungo tempo. La soluzione è arrivata con l’approvazione della legge n°400 del 1988 che con un unico atto legislativo identifica chiaramente i regolamenti del potere esecutivo. Un vuoto ancora da riempire riguarda la natura del dpcm: si tratta di atti di natura regolamentare, amministrativa o di un potere d’ordinanza? L’interpretazione L’interpretazione consiste nell’attribuire un significato ad un testo. In linguaggio giuridico, la “disposizione” è il testo interpretato e la “norma” è il significato attribuito. Interpretando, si ottengono norme da disposizioni. “In claris non fit interpretatio” è sbagliato, poiché anche quando il testo è chiarissimo si interpreta. Esistono interpretazioni vere o false? No, poiché la natura dell’interpretazione è “ascrittiva”, si ascrive un significato. Non sempre disposizione e norma vanno di pari passo (ad esempio una consuetudine, i principi inespressi come la legalità); è anche possibile che da una sola disposizione possono scaturire più norme (più comma, conflitto di interpretazioni). La Corte costituzionale, nei casi di illegittimità costituzionale particolari, emette sentenze interpretative di rigetto o di accoglimento, sentenze che non vincolano l’interpretazione dei giudici. Prima viene emessa una sentenza interpretativa di rigetto, indicando quindi la propria posizione ai giudici; se la questione continua ad emergere, la Corte costituzione emette una sentenza interpretativa di accoglimento andando però non ad eliminare la legge (come accadrebbe con una normale sentenza di accoglimento) ma a renderne le parti controverse illegittime, onde ristabilire la legittimità costituzionale eliminando la norma vista come incostituzionale. Due presupposti per l’interpretazione: • Principio della completezza dell’ordinamento giuridico: il giudice non può rispondere “non lo so”, ma deve risolvere la questione. • Principio della coerenza dell’ordinamento giuridico: l’ordinamento giuridico è coerente al suo interno. Ma chi è che svolge l’attività interpretativa? • Interpretazione dottrinale: riflessione teorica, che avviene a prescindere dalla singola casistica, fatta dagli studiosi del diritto. • Interpretazione giurisprudenziale: l’interpretazione dei giudici e della pubblica amministrazione (circolare di un ministero, ad es.). • Interpretazione autentica: interpretazione fornita da una legge. L’art. 12 comma 1 delle disposizioni preliminari al codice civile (preleggi) recita: “nell’applicare la legge, non si può ad essa altro senso che quello fatta palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla contenzione del legislatore”; intenzione e significato proprio. Significato proprio: non sempre le parole hanno un significato univoco. Si parla di significati letterali, restrittivi ed estensivi come “misura” dell’interpretazione. Intenzione del legislatore: si può guardare all’intenzione del legislatore storico (originalismo o testualismo, ricerca del significato delle parole e della loro scelta al momento della scrittura), o attraverso la “ratio legis”, ricercando quindi il principio dell’intenzione o il principio che vi sta alla base al di là del legislatore. Sulla base della ratio legis si può fare un’interpretazione sistematica, evolutiva o adeguatrice (“adeguare” una legge con scopo diverso ad un sistema di leggi successivo, una legge fascista può essere modernizzata e corretta). 16 L’art. 12 comma 2 delle disposizioni preliminari al codice civile (preleggi) recita: “se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano i casi simili o materie analoghe. Se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.”; se i criteri del comma 1 non sono applicabili e mancano quindi le disposizioni necessarie, si deve ricorrere all’interpretazione analogica o in ultima sede per principi. Interpretazione analogica: si presta ad opinabilità, ciò che mi legittima ad assimilare due casi è la soggettività. Il passaggio più delicato è quindi lo stabilire una somiglianza arbitraria. Si utilizza un ragionamento triangolare: si individua il principio che sta alla base del caso disciplinato e si valuta se è comune al caso non disciplinato. Si esclude l’interpretazione analogica nel penale. Interpretazione per principi: si costruisce una regola da un principio (inespresso o espresso). I criteri delle risoluzioni delle antinomie Le antinomie sono conflitti tra regole che obbligano una scelta. La risoluzione di queste antinomie si articola su 3 criteri. Perché sono necessari tanti criteri? Perché non tutte le fonti del nostro ordinamento giuridico hanno la stessa forza. La Costituzione è come il vertice di una piramide di fonti, che perdono forza in modo verticale. Al di sotto della Costituzione ci sono le leggi ordinarie, regionali e gli atti del governo con forza di legge (decreti legge, decreti legislativi delegati), chiamati fonti primarie. Al di sotto stanno i regolamenti del potere esecutivo, le fonti secondarie. Al di sotto vi sono le consuetudini. Il criterio cronologico di risoluzione delle antinomie aiutano all’interno dei singoli “gradini” (prevede la sua applicazione tra leggi di pari forza), mentre per risolvere conflitti tra “gradini” diversi vengono risolti secondo il criterio gerarchico. Nel caso di una controversia tra fonti “classiche” e fonti a competenza riservata (quindi sullo stesso gradino), come i regolamenti parlamentari, viene applicato il criterio della competenza. Criterio cronologico e abrogazione Tra due regole che hanno la stessa forza, la regola più recente nel tempo va preferita alla precedente, che viene quindi detta abrogata (“aggiornata”; la regola non viene cancellata, in quanto si applica ancora ad eventi accaduti durante il periodo in cui la regola abrogata era in vigore). Abrogazione retroattiva: viene introdotta una regola (legge retroattiva) che si applica anche prima della sua entrata in vigore. L'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile (preleggi) recita che “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”, ma una legge non può limitare l’operato di altre leggi. L’art. 25 comma 2 della Costituzione recita che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”, che prevale per forza sul codice civile, vincolando il legislatore e vietando ad esso di qualificare come reati comportamenti tenuti prima dell’entrata in vigore della legge penale. L’abrogazione è rilevata con effetti per il singolo caso deciso dal giudice, ha efficacia “inter partes”. L’art. 15 delle disposizione preliminari al codice civile (preleggi) recita: “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore (abrogazione espressa), o per incompatibilità con le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera maniera già regolata dalla legge anteriore”. • Abrogazione espressa: “è abrogato l’art. 1, comma 4, della L. 10 gennaio 2010, n° 15”, abrogazione referendaria “Volete voi abrogare la L. 2 gennaio 2015, n° 3?”; • Abrogazione per incompatibilità: caso normale, regola viene aggiornata (è incompatibile con la vecchia regola che va a sostituire); • Abrogazione per ridisciplina dell’intera materia: un’abrogazione che non avviene per incompatibilità, ma per la scelta del legislatore anche a prescindere dalle incompatibilità; nel caso di norme speciali è necessario mantenerle distinte da norme generalizzartici di ridisciplina generale; si guarda alla ratio legis. Quando si va dal generale allo specifico si dice che la regola speciale deroga la regola generale. 17 Criterio gerarchico e invalidità/annullamento È il criterio che permette di risolvere conflitti tra fonti di importanza e forza diverse: tra due regole di forza diversa la regola prodotta dalla fonte più forte prevale sulla regola prodotta da quella più debole. Nel caso in cui una regola più forte sia successiva ad una più debole e datata, si parla di meccanismi simili all’abrogazione. Nel caso contrario, ossia di una regola più debole “nuova” che entra in conflitto con una regola più forte preesistente, si ha un fenomeno chiamato “patologia”; si può risolvere con la “nullità radicale”, tuttavia è rarissimo e succede in casi terribili (molto improbabile). Nella stragrande maggioranza dei casi, la patologia viene affrontata e la regola viene dichiarata invalida ed eventualmente annullata. Questo è possibile grazie a dei meccanismi che sono incaricati di accertare l’invalidità e di performare l’annullamento: la Corte costituzionale si occupa di eventuali leggi incostituzionali (emettendo quindi una sentenza di accoglimento), la Giustizia amministrativa dei regolamenti invalidi. È necessario che questi meccanismi siano attivati, o gli effetti della regola invalida possono essere disastrosi e talvolta irreversibili. L’annullamento comporta il divieto di applicare la regola annullata in ogni caso, anche prima della decisione (effetto “erga omnes”). La retroattività dell’annullamento è sempre possibile, tranne quando sono state già prese delle decisioni da un giudice (sentenza in giudicato), o in caso di prescrizione o decadenza (ovvero in ogni caso di rapporti chiusi, o esauriti, quando è ancora possibile portare il caso davanti ad un giudice si parla di rapporti aperti). I rapporti chiusi fanno eccezione solo nel caso di incostituzionalità della legge alla base della sentenza, “favor libertatis”. Criterio della competenza In una controversia tra una fonte a competenza riservata ed una fonte “classica” di pari forza, la regola incompetente viola sempre il reparto di competenza stabilito dalla regola superiore (art. 64, regolamenti parlamentari, ad es.) ed è di conseguenza ritenuta invalida secondo i meccanismi del criterio gerarchico, a cui fa quindi eco. È il concetto di interposizione normativa. La competenza è ripartita non solo per settori o “oggetti di mondo”, ma anche per livelli di disciplina: è il caso espresso dall’articolo 117.3 della Costituzione (“Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”) riguardo le competenze statali e regionali. Rapporto fra legislazione preesistente e costituzione sopravvenuta Dopo le controversie tra l’art. 21 della Costituzione e l’articolo 113 del testo unico sulla pubblica sicurezza. Sentenza n°1 del 1956 della Corte costituzionale: “Afferma la propria competenza a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge anche se anteriori alla entrata in vigore della Costituzione”. “L'assunto che il nuovo istituto della "illegittimità costituzionale" si riferisca solo alle leggi posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori) non può essere accolto, sia perché, dal lato testuale, tanto l'art. 134 della Costituzione quanto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, è innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali. Tanto nell'uno quanto nell'altro caso la legge costituzionale, per la sua intrinseca natura nel sistema di Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria. Non occorre poi fermarsi ad esaminare se e in quali casi, per le leggi anteriori, il contrasto con norme della Costituzione sopravvenuta possa configurare un problema di abrogazione da risolvere alla stregua dei principi generali fermati nell'art. 15 delle Disposizioni preliminari al Cod. civ. I due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale, e i requisiti richiesti perché si abbia abrogazione per incompatibilità secondo i principi generali sono assai più limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge. Affermata la competenza di questa Corte, si può passare all'esame della questione di legittimità costituzionale proposta con le ordinanze sopra indicate. 20 La Corte Costituzionale come giudice di rinvio La Corte può essere investita (nel caso delle regole europee) solo nel caso di violazione dei principi fondamentali, è quindi tagliata fuori dal dialogo tra giudici e Corte di giustizia. Questo perché la Corte non si è mai qualificata come giudice del rinvio pregiudiziale; non può quindi intervenire nel dialogo tra giudici e Corte di giustizia, ritrovandosi decisioni già concluse che può solo approvare o negare. È stata quindi introdotta la possibilità, da parte della Corte Costituzionale, di sollevare questioni direttamente alla corte di giustizia attraverso il rinvio pregiudiziale. Si è quindi evitato di intervenire sulle leggi di esecuzioni dei trattati. Caso Taricco: una serie di frodi carosello, sulle quali l’UE deteneva parte dell’IVA; visto che era difficile risolvere questi casi prima che cadessero in prescrizione, l’UE chiede che vengano disapplicate le norme che riguardano la prescrizione (sentenza del 2015). Questo entra in conflitto con la irretroattività delle norme penali (un principio costituzionale, un “contro-limite”): la Corte Costituzionale non va ad agire sulla legge di esecuzione del trattato (rendendolo parzialmente incostituzionale), ma pone una questione pregiudiziale di interpretazione (siete proprio sicuri? Perché in questo caso non si può disapplicare). La Corte di giustizia risponde con una sentenza del 2017 (Taricco 2), in cui viene smussata la richiesta, a cui la Corte Costituzionale risponde con la sentenza 115 del 2018. L’intervento della Corte Costituzionale è rilevante e importante per la creazione di un dialogo che altrimenti non ci sarebbe mai stato. La pregiudizialità invertita A partire dal trattato di Lisbona si sono inserite nei trattati disposizioni di garanzia dei diritti fondamentali, che godono dello stesso regime dei regolamenti; si comincia ad avere sovrapposizioni tra queste regole e la Costituzione italiana. Con la sentenza 269 del 2017, la Corte Costituzionale dice che nel caso in cui un giudice si trovi a dover applicare una legge e dubita che questa sia conforme sia alla carta dei diritti fondamentali che alla Costituzione, bisogna riferirsi alla Corte Costituzionale, che risolve la questione e media con la Corte di giustizia. Norma di rinvio dell’art.10 della Costituzione “L’Italia si conforma alle norme internazionali genericamente riconosciute”. Si fa riferimento alle consuetudini internazionali; non si può quindi desumere che non ci si riferisce ai trattati, ma a cose come il trattamento delle sedi diplomatiche ecc. Si considera un rinvio mobile, in quanto si considerano anche le consuetudini affermatesi dopo la stesura della Costituzione. La Corte Costituzionale riconosce le norme internazionali come vincolanti, a patto che non entrino in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Nella sentenza 48 del 1979 viene specificato che le norme precedenti alla Costituzione non creano problemi, mentre per le successive è possibile attivare dei controlimiti. Art. 117 comma 1 della Costituzione (2001) “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.” Prima si sosteneva che l’Italia non fosse vincolata dagli obblighi dei trattati; con questo articolo, si stabilisce che la violazione di un trattato comporta l’illegittimità costituzionale della legge che lo viola. Questo non si applica ai trattati dell’UE (art. 11) né alle consuetudini (art. 10), ma ai trattati internazionali. Con le sentenze 348 e 349 del 2007 la Corte Costituzionale ha stabilito che i trattati che possono essere usati come norma interposta nel giudizio di legittimità costituzionale sono solo quelli che tutelano i diritti fondamentali (come la CEDU). La CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo) ha un giudice, la Corte di Strasburgo; non può produrre regole e non può vincolare il legislatore nazionale, ma può sanzionare uno stato nel caso in cui un privato si sia visto negare i diritti fondamentali. Le disposizioni CEDU sono assimilabili solo se ritenuti in linea coi principi costituzionale.
 21 La legge ordinaria La legge ordinaria è la prima delle fonte primarie (dopo la Costituzione). Procedimento legislativo Il procedimento è una serie coordinata di atti volti alla promulgazione di una legge formale, che sono: l’iniziativa legislativa, la deliberazione legislativa delle Camere e la promulgazione. L’iniziativa legislativa Viene presentato un progetto di legge (disegno, se presentato dal Governo, o proposte di legge), che contiene due parti: • Il testo dell’articolato, che il proponente sottopone all’esame della Camera; • La relazione che accompagna l’articolato e che ne illustra gli scopi e le caratteristiche. L’iniziativa, che non crea mai obbligo di deliberare alla Camera (i parlamentari possono anche ignorare punti o argomenti, “insabbiamento”), può essere: • Governativa: il governo ha potere d’iniziativa su tutte le materie, e su alcune ha l’esclusiva (deleghe soprattutto); iniziativa di uno o più ministri, deliberazione del CdM, autorizzazione del PdR, presentazione alla camera; • Parlamentare: ogni deputato e senatore può proporre un progetto di legge, spesso con iniziativa collettiva dei capi di diversi gruppi parlamentari; • Popolare: iniziativa di almeno 50.000 elettori, disponibile dopo la disciplina della raccolta firme (L.352/1970); • Regionale: iniziativa dei Consigli regionali; • Iniziativa del CNEL: nessun limite formale, più limiti derivati dalla funzionalità dell’organo. L’approvazione delle leggi Sulla base della Costituzione si individuano 3 tipi di approvazione delle leggi, in base al ruolo delle commissioni parlamentari che devono esaminare per prime i progetti di legge (collegi composti da circa 30 deputati o senatori che si costituiscono subito e in proporzione rispetto al parlamento). Procedimento legislativo per commissione referente Il processo legislativo “classico”. Il presidente della Camera individua la commissione competente per materia e il suo presidente (o un relatore) espone le linee generali del progetto con conseguente discussione. Si procede poi alla discussione articolo per articolo e alla votazione di eventuali emendamenti, che si conclude con l’approvazione del testo assieme ad una relazione finale, esposta dal relatore all’aula. Il ruolo delle commissioni permanenti è quello di fare da istruttoria per le decisioni prese in assemblea, emettendo il disegno di legge ed una “relazione” (una presentazione del disegno di legge, della maggioranza e della minoranza); successivamente, l’assemblea si avvale di questo lavoro e prende le decisioni. In aula si procede con tre letture: • La prima lettura, introdotta dai relatori, consiste nella discussione generale; se viene votato un “ordine del giorno di non passaggio agli articoli”, si ha la conclusione negativa del procedimento. Altrimenti, si procede; • La seconda lettura, che prevede la discussione dei singoli articoli, degli emendamenti e l’approvazione del testo definitivo di ogni articolo; ogni parlamentare ha diritto di emendamento, e si votano dapprima le modifiche più sostanziali fino a quelle meno rilevanti. • La terza lettura: l’approvazione finale dell’intero testo di legge, mediante voto palese con procedimento elettronico. È richiesta la maggioranza semplice o relativa. Questo processo è necessario per le leggi di revisione costituzionale. Procedimento legislativo per commissione redigente È un meccanismo previsto dai regolamenti parlamentari; la commissione discute e approva gli emendamenti e licenzia un testo all’assemblea che non lo rivede, ma semplicemente vota sì o no; sono previsti limiti e meccanismi di correzione e conversione simili a quelli utilizzati per la commissione deliberante.
 22 Procedimento legislativo per commissione deliberante Un processo fortemente derogatorio in cui la commissione si sostituisce all’assemblea nelle tre letture. Non è possibile per leggi in materia costituzionale, elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e per le leggi di approvazione dei bilanci (le c.d. riserve d’assemblea). Può anche essere richiesta una conversione del procedimento (da una quota 1/5 della commissione, da una quota 1/10 dell’assemblea, o dal governo). La legge cambia la sua collocazione nel sistema delle fonti a partire del 1800: nello statuto Albertino era “onnipotente”, il vertice del sistema delle fonti, poteva tutto a patto di essere decisa da re e parlamento; era applicabile ad un numero indeterminato di persone e situazioni, legge generale ed astratta (“chi arreca danno ingiusto, è tenuto a risarcirlo”). Con l’avvento delle costituzioni, che ne limita produzione ed applicazione, perde potere. Cambia nella forma e nella natura: nell’800 erano viste come atto normativo unitario per forma (accordo necessario tra re e parlamento) e contenuto (legge generale ed astratta, applicabile a svariate situazioni e persone). Dal punto di vista formale, vengono introdotte diverse istanze (es. art.8, necessario accordo con le rappresentanze religiose) che regolano proprietà procedimentali, area d’azione e modalità delle leggi (leggi atipiche e leggi rinforzate). La promulgazione Il Governo trasmette la legge al PdR, che la promulga rendendola efficace. Effettua un controllo formale (uguale il testo) e sostanziale, ed ha il potere di rinviare la legge con messaggio motivato (una sola volta e per questioni di legittimità costituzionale, il c.d. merito costituzionale). Il Governo controfirma l’atto di promulgazione (e l’eventuale rinvio). Alla promulgazione segue la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e, dopo la c.d. “vacatio legis”, l’entrata in vigore della legge. Riserva di legge ordinaria La riserva di legge è un ambito della tutela dei diritti che viene coperto attraverso una disposizione di legge. Si ha riserva di legge quando una Costituzione prevede che una certa materia sia regolata dalla legge. Tuttavia, nel caso di una costituzione flessibile, la legge non è vincolata e si può quindi rimettere tutto al potere esecutivo, mentre nel caso di una costituzione rigida la legge è vincolata, deve intervenire laddove una materia non sia coperta. Una limitazione dei diritti passa necessariamente per legge e, di conseguenza, per la Costituzione. Riserva di legge assoluta: la Costituzione prevede che una certa materia è integralmente disciplinata dalla legge (es. libertà personale). Riserva di legge relativa: la Costituzione prevede che una certa materia è disciplinata dalla legge almeno nei suoi principi fondamentali; non si esclude che l’esecutivo possa intervenirvi. Nel caso in cui un legislatore voglia disciplinare interamente la materia, questo è possibile. Anche gli atti esecutivi con forza di legge posso intervenire nella materia coperta da riserva di legge relativa. Questo non è consentito nel caso delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionale, delle conversioni dei decreti legge, ecc. (in quanto si valuta l’operato governativo); si parla in questo caso di riserva di legge formale, quando una certa materia può essere regolata soltanto da una legge del parlamento. Riserva di legge rinforzata: la Costituzione prevede che una certa materia sia disciplinata dalla legge e detta dei vincoli di contenuto all’intervento legislativo (consentito nel rispetto dei limiti, come avviene per la libertà di circolazione, quindi). Riserva di legge costituzionale La Costituzione prevede che un determinato ambito sia coperto da una disposizione di legge e dalla Costituzione. Ad es.: leggi sul funzionamento della Corte Costituzionale, come l’art. 68.
 25 Una fonte primaria non può disciplinarne un’altra; tuttavia i rimandi alla Costituzione in questa legge consentono certe limitazione. Punto c) è desumibile dalla sanatoria, punto e) rimanda alla Corte. La legge 400 ha natura più politica che strettamente normativa. Art.134: “la Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni (…)”. La Corte Costituzionale può dichiarare un DL incostituzionale; per molto tempo, la Corte non ha agito a riguardo poiché si muoveva sui presupposti del poter giudicare solo sull’atto impugnato e sulla certezza che la legge di conversione del DL ne avrebbe sanato i vizi. La lentezza della corte dipendeva principalmente dal fatto che ad ogni reiterazione era necessario che ricominciasse il progetto di impugnazione (una decisione richiede sempre almeno 9 mesi). Sentenza n° 360/1996: si decide che nonostante la forma sia differente, la natura pressoché identica del contenuto consente di operare sulle reiterazioni. La reiterazione del DL è incostituzionale perché viola: • Provvisorietà; • Straordinarietà: l’urgenza difficilmente si protrae talmente a lungo e fuori dalle direttive previste; • Retroattività della perdita di efficacia: quando un DL viene reiterato per molto tempo, diventa automaticamente impossibile poter annullarne gli effetti in caso di mancata conversione; • Certezza del diritto: la reiterazione di una procedura provvisoria crea incertezza e insicurezza. Con la sentenza n°360/1996 diminuiscono vertiginosamente gli utilizzi dei DL e la reiterazione viene praticamente azzerata salvo casi legittimi di reiterazione. Sentenza n°171/2007: “Se c’è un’evidente mancanza dei presupposti costituzionali del DL la legge che lo converte è viziata”. Al parlamento è quindi proibito convertire DL che non soddisfino requisiti di necessità ed urgenza; questa soluzione indica come anche il presupposto della sanificazione dei vizi tramite legge di conversione sia superato. Anche gli emendamenti abusivi vengono dichiarati incostituzionali. QUINDI la legge di conversione è limitata allo stesso modo dei DL; è una delle leggi atipiche. Fonti primarie a competenza riservata Es. art.64 della Costituzione: i regolamenti parlamentari della camera dei deputati e del senato, indipendenti l’uno dall’altro e da regolamenti esterni. Questa potestà regolamentare è concessa anche alla Corte Costituzionale e al Presidente della Repubblica. Il governo NON gode di regolamenti di fonti primarie a competenza riservata. I regolamenti parlamentari Sono fonti del diritto a competenza riservata; non sono reputati più “interna corporis acta”, in quanto c’è una norma costituzionale di riferimento (art.64) e perché concernono anche persone esterne. In teoria, anche i regolamenti potrebbero essere sindacati. La Corte Costituzionale, nel concreto, ha negato di poter sindacare su questi regolamenti in quanto si andrebbe a minare il principio d’indipendenza dei regolamenti stessi. Art.72: “Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale.”. Violare il regolamento della camera (ad esempio durante la produzione della legge, “in procedendo”) dà luogo ad interposizione normativa, e quindi alla violazione del suddetto articolo; la Corte costituzionale però se ne lava le mani in virtù del principio di indipendenza del Parlamento ed interviene solo in caso di violazione diretta della Costituzione. I vizi della legge sono conoscibili solo in questo modo, e mai utilizzando i regolamenti come norma interposta.
 26 Referendum abrogativo Art.75: “È indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. art. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali (è sullo stesso piano delle leggi, è una fonte primaria in quanto produce regole “in negativo”). Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80]. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.” È un referendum di natura abrogativa; avviene dopo l’approvazione della legge, si risponde “sì” per l’abrogazione. È necessario il quorum (maggioranza degli aventi diritto), al contrario del referendum costituzionale. È stato possibile usarlo con la legge n°352 del 1970. Il primo è stato quello riguardo la legge sul divorzio del 1974; da lì, ne sono stati fatti 67, molti dei quali falliti per mancanza di quorum. Fasi del progetto referendario, fissate dalla L.352/1970: • Iniziativa: viene assunta da 5 consigli regionali o da 500.000 elettori tramite raccolta firme dal 1° gennaio al 30 settembre; • Controllo sull’iniziativa referendaria: ufficio centrale per il referendum della corte di cassazione; se la prima fase viene superata, si passa alla Corte Costituzionale; sono due controlli differenti, la cassazione si occupa della legalità del referendum, mentre la CC si occupa della ammissibilità del referendum (il referendum colpisce una legge che è effettivamente suscettibile di essere abrogata con referendum?); il referendum costituzionale passa solo attraverso il controllo di legalità; • Indizione del referendum: il PdR cura l’indizione (dal 15 aprile al 15 giugno, a meno che le camere non siano sciolte, in tal caso si congela il procedimento); il referendum è una sorta di contro-potere al parlamento; • Votazione del referendum: per avere effetti, deve portare alle urne la metà degli aventi diritto al voto più uno; • Proclamazione dell’esito del referendum: il PdR dichiara l’avvenuta abrogazione con un dPR (decreto del PdR); nel caso in cui vinca il ”No”, è impossibile proporre lo stesso referendum per 5 anni (sempre previo raggiungimento del quorum); Il controllo dell’ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione verifica in primis che non sia soggetto alla preclusione dei 5 anni; conta le firme in caso di iniziativa popolare; controlla la natura legislativa dell’atto sottoposto a referendum, in quanto questo colpisce atti con valore di legge, e non più alti o bassi. Ha inoltre la possibilità di raggruppare diversi quesiti rivolti ad una singola legge in un unico referendum. Nel caso in cui la legge cambi durante il procedimento referendario, la cassazione ferma il procedimento in quanto si verifica un cambiamento dell’oggetto. Ha inoltre la possibilità di dare un titolo al referendum. Il controllo della Corte Costituzionale esamina il referendum sotto il profilo della sua ammissibilità costituzionale. Con la sentenza n°16 del 1978, la CC ha stabilito quanto segue: • Il referendum non può essere fatto su atti non aventi forza di legge (superiore o inferiore) né su legge atipiche o rinforzate; • I limiti posti dall’art.75 vanno interpretati in senso estensivo; ad es. si escludono tutte le leggi riguardanti i trattati internazionali e non solo le leggi di esecuzione; • Due categorie: leggi a contenuto costituzionalmente vincolato (art.10, ad es.; sarebbe come fare referendum sulla Costituzione) e leggi costituzionalmente obbligatorie (o costituzionalmente necessarie). Queste ultime, di cui sono esempio le leggi elettorali, sono leggi la cui esistenza è necessaria ma la cui redazione del contenuto è affidata al legislatore (e non predeterminato dalla Costituzione). Queste due categorie sono soggette esclusivamente a referendum parziali, coi quali si possono abrogare al massimo dei punti della legge purché dopo l’abrogazione la disciplina che resta possa comunque funzionare (una legge elettorale deve sempre esistere).
 27 I referendum “manipolativi” Sono stati fatti dei referendum che, attraverso l’abrogazione di alcuni punti di una legge, finivano per cambiarne il senso: il caso più eclatante è il referendum elettorale del Senato del 1993. Testo originario: 1. Il senato si elegge per 3/4 dei seggi in collegi uninominali 2. I seggi uninominali si attribuiscono al candidato che ha conseguito la maggioranza dei voti validi a condizione che abbia conseguito almeno il 65% dei voti validi espressi nel collegio 3. Altrimenti, si applica un criterio proporzionale 4. I rimanenti seggi (1/4) si attribuiscono secondo criterio proporzionale Prevedeva degli uninominali, ma funzionava come una proporzionale: non esistono collegi in cui uno riesca a prendere il 65%, tranne in Alto Adige. Abrogando i punti in rosso, la legge introduce un sistema per 3/4 maggioritario “plurality” e per 1/4 proporzionale. Con la legge Mattarella, questo sistema viene introdotto anche alla camera dei deputati. È importante soprattutto porre attenzione alle domande e a come sono poste, in quanto è possibile indirizzare la risposta: attenzione soprattutto a quesiti multipli (sui quali interviene la Corte di Cassazione). Collocazione del referendum abrogativo nel quadro della Costituzione Non è il solo referendum previsto; ma ha una specifica collocazione nella Costituzione. È una fonte del diritto: è equiparato alle leggi (grossomodo); la delibera referendaria è impugnabile dalla CC per l’art.134, nonostante sia già intervenuta, poiché si valuta in primis la legittimità costituzionale del contenuto e solo in seguito gli effetti che il referendum ha. Ha lo stesso valore di una legge ordinaria, se non fosse per il fatto che la CC ha stabilito con la sentenza 199/2012 che è vietato ripristinare subito (fintanto non avvengono nuove elezioni o si riconfigura il parlamento) leggi abrogate con il referendum. Regolamenti del potere esecutivo (fonti secondarie) Premessa: non sono la sola fonte secondaria, ma la tratteremo principalmente. Sono disciplinati dall’art. 17 della legge 400/1988. Problema del fondamento dei poteri regolamentari Si può discutere se nella forma di governo parlamentare è connaturata la possibilità dell’esecutivo di fare norme secondarie (senza quindi previsioni specifiche); il potere normativo dell’esecutivo era, in tempo di regime fascista, pressoché pari a quello di far legge: era disciplinato dalla legge 100/1926, una delle leggi “fascistissime”. Nella costituzione del 48 il potere esecutivo torna al centro del dibattito, sembra che li preveda ma non vengono disciplinati; si richiede quindi una mediazione legale. Quali sono state le norme di riconoscimento (qualifica degli atti del potere esecutivo come atti di natura regolamentare)? Quando entra in vigore la Costituzione si conserva parzialmente la legge 100/1926, e si andava caso per caso a valutare il contenuto dell’atto, formalmente amministrativi ma generali ed astratti. Si risolve tutto con la legge 400/1988. Si abroga la legge 100/1926 e dà una disciplina complessiva degli atti dell’esecutivo che vengono definiti finalmente in base alla forma e vengono tipizzati. Due macrocategorie: • Regolamenti governativi: hanno la forma finale del decreto del Presidente della Repubblica, approvati dal cdm (consiglio dei ministri); • Regolamenti ministeriali (o interministeriali): il potere spetta ad un ministro (o più) dalla legge; non sono approvati dal cdm ma da questi ministri, e vengono emanati con decreto ministeriale o interministeriale.
 30 Il presidente della Repubblica Non necessariamente esiste un terzo organo nelle forme parlamentari; nello stato italiano c’è, ed è il capo dello stato. Nelle forme parlamentari questo terzo organo non è competente a scelte politiche né ne è espressione. Tuttavia, il capo dello stato ha svariate funzioni: in Italia, a certe condizioni, il PdR influisce più di molti altri. Il PdR viene eletto come da art.83: da parlamento in seduta comune con maggioranze gradualmente più basse al fine di garantirne la natura “super partes”. Il suo mandato dura 7 anni: deve essere dissociato dai cicli politici. Può essere rieletto e non può sciogliere le camere quando è vicino alla fine del suo mandato (“semestre bianco”, non vale se gli ultimi mesi del mandato coincidono con gli ultimi mesi della legislatura). È soggetto al principio della “prorogatio”, principio comune a tutti gli organi costituzionali (tranne la CC), che prevede la proroga del mandato fino all'elezione di un nuovo presidente della Repubblica. Il “supplente” del presidente della Repubblica è il presidente del senato. L’art.90 dice: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.” Si tratta di una responsabilità giuridica, non politica. La messa in stato d’accusa è valutata dalla CC in formazione allargata (altri 16 giudici a sorte da elenco fornito dal Parlamento). Mai successo. I reati di cui si parla sono reati propri del PdR o comuni? Propri, particolari del PdR; la fattispecie incriminatrice è da trovarsi nell’art.90, troppo poco specifica, problemi di certezza del diritto e di irretroattività della legge penale, poiché un reato dubbio può essere commesso in buona fede. La irresponsabilità del PdR vale esclusivamente per gli atti commessi nell’esercizio delle sue funzioni. L’art.89: “Nessun atto del PdR è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri atti indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del consiglio dei ministri”. Lo schermo alla responsabilità del PdR è fornito dalla controfirma del governo (come in monarchia costituzionale; tuttavia lì era legato alla sacertà e inviolabilità del sovrano). Ogni atto del PdR è controfirmato (tranne le sue dimissioni e gli atti fatti nel CSM e CSD, oltre chiaramente agli atti orali). Art.87: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere [cfr. art. 74 c.1]. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione [cfr. art. 61 c.1]. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo [cfr. art. 71]. Promulga le leggi [cfr. art. 73, 74, 138 c.2 ] ed emana i decreti aventi valore di legge [cfr. art. 76, 77 ] e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione [cfr. art. 75, 138 c.2 ]. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere [cfr. art. 80]. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere [cfr. art. 78]. Presiede il Consiglio superiore della magistratura [cfr. art. 104 c.2]. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica.” Sono atti molto diversi da loro e sono accomunati dalla dinamica della controfirma. Il PdR può rifiutarsi di firmare un atto se rileva illegittimità. Per altri atti, è il PdR l’autore della proposta (es. nomina giudici CC), e il governo il controfirmante. La “grazia” è anche di competenza del PdR. Si può parlare quindi di atti su proposta (o iniziativa) governativa e atti di iniziativa (o prerogativa) presidenziale, sulla base di firmante e controfirmante. 31 Sempre sulla base di questa distinzione si può parlare di atti complessi eguali, e sono il risultato della convergenza della volontà di PdR e governo, come lo scioglimento anticipato delle camere e la nomina del governo. Gli “atti dovuti” sono una quarta categoria (ad es. quando il PdR deve promulgare una legge dopo il primo rifiuto, o lo scioglimento delle camere a fine legislatura). La formazione del governo Si tratta di un procedimento molto complesso e si snoda per varie fasi non previste dalla Costituzione; ha natura consuetudinaria. Vincoli Scopo del procedimento: ottenere un governo che abbia la fiducia delle camere (art.94). Principi del procedimento: il rapporto di fiducia deve sussistere tra Parlamento e governo (PdR fuori dall’indirizzo politico). Va rispetto il principio di continuità degli organi costituzionali, un governo deve sempre esistere, nel processo di formazione di un nuovo governo il vecchio va in prorogatio. Regole costituzionali: da art.92.1, devono sempre esistere il Presidente del Consiglio, i ministri e il consiglio dei ministri (PdC e ministri insieme). Da art.92.2, il governo deve essere nominato dal PdR. Da art.93, il governo deve entrare in carica con il giuramento e subentra solo in quel momento. Fasi La crisi di governo è un concetto molto tecnico. Avviene quando il governo in carica si dimette, a causa di una mozione di sfiducia (crisi parlamentare) o a causa di crisi politiche (crisi extraparlamentare). Le dimissioni vengono accettate con riserva dal PdR, poiché in caso non si trovasse un nuovo governo quello in carica continua a lavorare. Il PdR scioglie la riserva nel momento in cui esiste la possibilità di formarne uno nuovo. • Consultazioni: non sono presenti in Costituzione. Servono a valutare la possibilità di una maggioranza politica suscettibile di fiducia delle camere. Il PdR consulta tutte le delegazioni dei partiti e i presidenti di Camera e Senato (art.88.1, prevede che nell’ipotesi di scioglimento questo può essere disposto una volta ascoltati). Per prassi si ascoltano anche ex PdR; può anche ascoltare altre persone rilevanti. È consentito non ascoltare quest’ultimi, ma è necessario sentire i primi due. • Incarico (accettato con riserva): non presente in Costituzione. Se c’è possibilità di fare un nuovo governo il PdR non procede alla nomina ma conferisce un incarico (probabilmente) al possibile futuro presidente del consiglio al fine di concretizzare questa possibilità. Non si tratta della nomina, si tratta di sondare le forze politiche al fine di realizzare una maggioranza (un programma politico) e una lista di ministri. Il governo dimissionario è ancora in funzione. L’incarico è conferito oralmente ed accettato con riserva, al fine di garantire il principio di continuità del governo. Se l’incaricato scioglie negativamente la riserva non lascia formalmente traccia, è come se nulla fosse accaduto. • Nomina (dopo che la riserva è sciolta): presente all’art.92 della Costituzione. Se l’incaricato riesce nel suo compito, scioglie la riserva e il PdR accetta le dimissioni del governo uscente e nomina il Presidente del Consiglio e i ministri su proposta del PdC (art.92). L’accettazione delle dimissioni avviene con decreto del Presidente della Repubblica, controfirmato dal Presidente del Consiglio entrante. • Giuramento: presente in Costituzione. Con il giuramento il nuovo governo entra in carica, previa concessione della fiducia (entro 10 gg il governo deve presentarsi; votazione del programma di governo tramite mozione di fiducia motivata, votata per appello nominale). Se il Parlamento non gli concede la fiducia (necessita maggioranza relativa), deve dimettersi. 32 Tutte queste fasi si sono sempre svolte ad ogni legislatura: ciò identifica il procedimento di formazione del governo come consuetudine costituzionale, funzionale all’applicazione della Costituzione. I poteri del PdR: più o meno limitati a seconda degli indirizzi politici del Parlamento; forti maggioranze, poca possibilità di intervento. Quali sono i presupposti per lo scioglimento delle camere? Che ci sia una crisi di governo (un governo dimissionario) e che non sia possibile formare una nuova maggioranza. Altrimenti il PdR non può intervenire: sono atti complessi eguali. Rapporto fiduciario tra governo e parlamento È una condizione necessaria all’esistenza di un governo. La fiducia si vota a maggioranza semplice, così come la sfiducia. Questione di fiducia: nella votazione di un certo atto, il governo può porla Parlamento; in caso di mancata approvazione, il governo si dimette. Porla ha un vantaggio: viene votato prima il testo così com’è, e solo in seguito gli eventuali emendamenti. In caso una legge sia troppo disposta, viene proposto un maxi-emendamento sul quale viene posta la questione di fiducia per forzare la mano. Nel caso il governo si dimetta dopo una mancata approvazione con questione di fiducia, si tratta comunque di una crisi extraparlamentare che però avviene in Parlamento. La mozione di sfiducia (individuale) può essere posta anche nei confronti di un solo ministro. Struttura del governo Art.92: “Il governo della repubblica è composto dal presidente del consiglio dei ministri e dai ministri che insieme formano il consiglio dei ministri.” Art.95: “Il PdCM dirige la politica generale del governo e ne è responsabile (principio monocratico). Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo del governo promuovendo e coordinando l’attività dei ministri (principio collegiale). (Comma 2) I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri.” I principi monocratico e collegiale servono a garantire l’unità del governo e a limitare l’autonomia dei ministri, i quali potrebbero minare proprio l’unità a favore di sé stessi o della propria parte politica. Il PdCM non è molto forte: presiede e non comanda il consiglio dei ministri, non imprime unità ma è incaricato di mantenerla. Non ha potere di revoca dei ministri. È più o meno forte in base alle maggioranze di governo. Vice-pCdM: possibile incarico, solitamente per dare risalto a partito in coalizione della maggioranza. Consiglio di gabinetto: convocabile dal pCdM per riunire i rappresentanti delle coalizioni. Ministro: è a capo di una serie di uffici, a struttura piramidale. Ministro senza portafoglio: non ha una struttura ministeriale (dicastero) alle loro dipendenze ma a quelle della presidenza del consiglio. Es. pari opportunità. Ci possono essere (non devono). Viceministri o sottosegretari di Stato: soggetti che aiutano il ministro nel prendersi la responsabilità di alcuni uffici del ministero. I sottosegretari hanno numero variabile e non hanno voto nel CdM. Nominati con dPR su proposta pCdM dopo delibera CdM Commissari straordinari del governo: si occupano di realizzare specifici obiettivi o specifiche esigenze di coordinamento tra amministrazioni. Organi collegiali: comitati interministeriali, sono assemblee formate da alcuni ministri. L’organizzazione del governo è stata esaustivamente disciplinata dalla L.400/88, che razionalizza anche i poteri del PdCM: convoca il CdM e ne forma l’ordine del giorno; può sospendere l’adozione di atti dei ministri e sottoporli al CdM, adotta direttive politiche ed amministrative in direzione della politica generale del governo e direttive per assicurare imparzialità ed efficienza della pubblica amministrazione; concorda preventivamente le dichiarazioni pubbliche dei ministri 35 Atti parlamentari d’indirizzo: • mozione: presentata dal presidente di un gruppo (o 10 parlamentari della camera o 8 del senato) per determinare una discussione e la deliberazione della camera su questioni che incidono sull’attività del Governo; • risoluzione: può essere proposta anche in commissione per manifestare un orientamento o definire un indirizzo; la possibilità di proporla in commissione apre le porte al rischio di una frantumazione settoriale insito nella possibilità di incidere nelle materie di competenza da parte delle commissioni; • ordine del giorno. • Inchieste parlamentari: ciascuna Camera ha la facoltà di istituire commissioni d’inchiesta su materie di pubblico interesse (oggetto): quando queste si svolgono parallelamente a indagini giudiziarie, l’inchiesta parlamentare volge sulla responsabilità politica, non individuale: i dati dell’una non sono utilizzabili come prova dall’altra. Si parla di Segreto funzionale, espressione dell’autonomia costituzionale della camera. Il processo di bilancio La Repubblica italiana, in quanto Stato Sociale, deve necessariamente gestire la finanza pubblica. Due principi sulle entrate: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”; “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. L’imposizione tributaria è oggetto di una riserva di legge relativa. Art.81 della Costituzione: 1. Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico; principio della tendenza all’equilibrio di bilancio. 2. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. 3. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte; obbligo di copertura delle leggi di spesa. 4. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. 5. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. 6. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale. I risultati della gestione e dell’esercizio finanziario (chiude il 31/12) sono esposti dal Governo nel rendiconto generale dello stato (entro 30/06) previo giudizio della Corte dei conti, che deve essere approvato dal Parlamento con legge.
 36 La Corte costituzionale È necessario, data la natura rigida della Costituzione, un organo che tuteli la rigidità della Costituzione. Quando una CC esiste, ha di solito molti compiti, tra cui sindacare la legittimità costituzionale della legge, il più importante. La CC inoltre giudica i referendum e il PdR nella messa in stato d’accusa. Ha 15 componenti: 5 sono eletti dal parlamento, a scrutinio segreto, con maggioranza dei 2/3 dei componenti dell’assemblea (e, dopo il terzo scrutinio, a maggioranza dei 3/5); poi 5 dal PdR con controfirma del governo; poi 5 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa (3 dal magistrati di Cassazione, 1 dai magistrati del Consiglio di Stato e 1 dalla Corte dei conti). Hanno mandato di 9 anni, non rinnovabile (e senza prorogatio), e incompatibile con qualunque altro ufficio e professione (o impegno politico durante il mandato). Gli è garantita immunità e improcedibilità (la stessa garantita ai parlamentari), inamovibilità (tranne per deliberazione della stessa CC). Le nomine sono convalidate dalla stessa CC, rientrano nella loro professione al termine del mandato; la CC ha un proprio bilancio fissato dal bilancio di Stato. La CC richiede un quorum di undici giudici (9 per deliberazioni non giurisdizionali); la prorogatio si applica solo in giudizi d’accusa, dove un giudice continua ad occuparsi di un giudizio anche dopo la scadenza del suo mandato. Il Presidente della CC è eletto a scrutinio segreto a maggioranza assoluta (al terzo si procede con ballottaggio), il suo mandato è triennale e rinnovabile. Sentenze additive: vengono aggiunge regole. Sentenze sostitutive: vengono sostituite regole. Non c’è un modello unico di CC, ma svariati che operano in modo diverso. Controllo diffuso di legittimità costituzionale: ogni giudice può valutare la costituzionalità di una legge e decidere di disapplicarla. Ciascun giudice disapplica la legge inter partes, ovvero al singolo caso (es. USA; tuttavia l’organo più forte rimane la Corte Suprema). Sindacato accentrato di costituzionalità: prevede un giudice specializzato in questioni di costituzionalità; lo abbiamo in Italia e in Europa. Si arriva a giudizio in Italia: • In via incidentale: in concreto, quando il giudice rileva una possibile incostituzionalità nell’applicazione di una legge; • In via principale: in astratto, se lo Stato o le regioni impugnano leggi appena promulgate dell’organo opposto. Se un giudice rileva durante una processo una possibile incostituzionalità, il processo viene sospeso e invia le carte alla CC. Il provvedimento preso è un’ordinanza di remissione della questione alla Corte costituzionale; fino alla sentenza della CC il processo rimane sospeso. Quali sono i requisiti per i quali una questione possa essere rimessa alla CC? L’ordinanza deve presentare l’oggetto della questione, la rilevanza della questione (il giudice dimostra che non può andare avanti nel suo processo senza prima risolvere la questione di legittimità) e la non manifesta infondatezza della questione (esiste almeno un dubbio di costituzionalità credibile e ammissibile), senza le quali l’ordinanza viene dichiarata inammissibile con un’ordinanza di inammissibilità. Su questioni più complicate si procede con la sentenza di inammissibilità. Se la questione è ammissibile, la Corte procede con sentenze qualora di rigetto, qualora di accoglimento. Viene sempre giudicata l’illegittimità portata dal giudice, NON la legge. Le sentenze di rigetto La questione viene giudicata infondata: il quadro normativo rimane intatto. Non ha effetti sul giudizio a quo. Inoltre non esclude la possibilità che altri giudici (o lo stesso, ma non subito e non durante lo stesso processo) possano risollevare la stessa questione. Caso: questione di illegittimità su art.559 codice penale “La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera” fu giudicata con sent. 64/1961 di rigetto; la sent. 126/1968 sulla medesima questione è invece di accoglimento. Le sentenze interpretative di rigetto Dichiara infondata la questione perché è possibile un’interpretazione conforme alla Costituzione; gli effetti di questa sentenza si limitano al giudizio a quo: non vincola gli altri giudici. La situazione rimane immutata. 37 Le sentenze di accoglimento Dichiara fondata la questione: la regola illegittima non può più ricevere applicazione né in futuro né ai casi aperti in corso (solo i casi chiusi sono esclusi). Ha quindi effetti retroattivi e erga omnes. Le sentenze interpretative di accoglimento Dichiarano incostituzionale una certa interpretazione: la disposizione resta identica, ma vieta erga omnes l’interpretazione in un certo senso. Sent. 8/56 vs. 26/61 esempio classico. Sentenze manipolative Art. 392 de codice di procedura penale (1930): “Nella istruzione sommaria si osservano le regole della istruzione formale in quanto sono applicabili” (tra cui regole su presenza di avvocati, difesa ecc.). La CC fa una sentenza di rigetto (11/65) dichiarando che il giudice può comunque applicare le regole di difesa dell’imputato. Nel momento in cui i giudici non applicano comunque le regole di difesa dell’imputato, la CC fa una sentenza di accoglimento (52/65) parziale: non lascia la disposizione intatta, ma rimuove “in quanto sono applicabili”, eliminando così la possibilità di interpretare direttamente. Art. 724 su bestemmia: la tutela penale è rivolta solo alla religione di stato. La CC rimuove la parte della disposizione rivolta solo alla religione di stato (inveire contro Buddha è un reato); aggiunge quindi una regola, un accoglimento parziale con valenza additiva. L.392/78 art.6 prevedeva che “in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi”; la CC, con una sentenza additiva, aggiunge il convivente more uxorio, giudica la disposizione illegittima “nella parte in cui non” (formula di riconoscimento) prevedeva questa categoria (probabilmente sulla base del principio di eguaglianza). Le sentenze additive introducono nuove norme che si ritiene avrebbero già dovuto esserci. Art.313 co 3, “Per il delitto preveduto dall’articolo 290, quando è commesso contro l’assemblea costituente ovvero contro le assemblee legislative o una di queste, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del ministro della giustizia.”; la CC fa una sentenza sostitutiva, dichiarando che in caso di vilipendio alla CC non si procede con l’autorizzazione del ministero di grazia e giustizia ma si muove direttamente la corte stessa in virtù del principio di autonomia. È sostitutiva: “è incostituzionale nella parte in cui prevede x anziché y”; si sostituisce parte della regola, eliminando una disposizione, con una nuova (parte demolitoria incostituzionale vs. parte ricostruttiva additiva). Quindi la corte può sostituirsi al legislatore? No: la corte si limita a individuare una regola già implicata nel sistema o ricavabile dalle stesse disposizioni (vedi convivente more uxorio) al fine di riempire lacune che altrimenti resterebbero aperte nella disciplina della materia, una legislazione “a rime obbligate”.
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