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appunti diritto dell'unione europea, Sbobinature di Diritto dell'Unione Europea

sbobinature di ogni lezione del prof. Pavoni. anno accademico 2022/2023

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 17/08/2023

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Scarica appunti diritto dell'unione europea e più Sbobinature in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! 20.02.2022 Evoluzione storica diritto dell’unione europea 1951 istituita la prima comunità europea -> comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Da anni 50 ad oggi UE si è trasformata radicalmente, vi sono state innovazioni fondamentali ed enormi che riguarda UE e il processo di integrazione europea. Fine seconda guerra mondiale che segna un disastro dell’unione europea. Europa esce da guerra a pezzi. Gli stati europei capiscono che conviene sviluppare forme di cooperazione nei vari settori per coltivare pace delle nazioni e fare si che guerra non ritorni. Il punto fondamentale è capire quale tipo di cooperazione conviene seguire, che forma si vuole perseguire? Che tipo di organizzazioni si vogliono creare? Le organizzazione nazionali che emergono dalla seconda guerra mondiale sono di due tipi. 1. Perseguono un metodo di cooperazione intergovernativa, classica. I tratti salienti di questo metodo sono gli organi che devono essere di stati, ossia le persone che siedono in quegli organi rappresentano gli stati di cui hanno la cittadinanza e non l’interesse generale. Seconda caratteristica è che le decisioni vengono prese alla unanimità, con tutte le sue complicazioni, quindi hanno tutti un potere di veto. Terza caratteristica è che veri e propri poteri vincolanti sono assenti, le decisioni non hanno effetto vincolante e quindi non sono obbligatorie. Questo metodo è seguito in vari campi dopo la seconda guerra mondiale, come ad esempio in campo militare, finalizzate a garantire la difesa collettiva in caso di attacco armato: UEO -> unione europea occidentale; NATO -> organizzazione del trattato del nord Atlantico). In campo economico invece, tra gli stati occidentali, si crea l’occasione vera per cooperazione stati, perchè USA varano il piano Marshall, pacchetto di aiuti agli stati europei per una ripresa post bellica. Questo piano fornisce l’occasione perchè c’è esigenza di gestire in comune aiuti conferiti da USA con piano Marshall. Ci sono 6 stati membri: Germani, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e Belgio. 2. Questi paesi quando gestiscono il piano Marshall optano per una cooperazione più penetrante tra di loro una volta distribuiti i contenuti del piano e daranno vita alla CECA del 1951, e alle due comunità europee istituite nel 1957 (CEE e EURATON). Proseguono su via di una forte operazione tra di loro, andando oltre al piano Marshall. Altri stati europei non inclusi in questi 6 rimangono fuori e non ne vogliono sapere di unirsi -> Regno Unito. Queste tre comunità europee da subito è evidente che il metodo di cooperazione o di integrazione realizzato creando queste tre comunità è qualcosa di diverso da quello che abbiamo chiamato il metodo intergovernativo di cooperazione. Le tre comunità europee sono espressione di un metodo comunitario di operazione. Sono formate In prevalenza da organi di individui e non di stati, ossia gli individui che fanno parte degli organi delle comunità europee non rappresentano il proprio stato di cittadinanza, ma il proprio interesse generale, agiscono in totale indipendenza. Seconda caratteristica è il fatto che in esse le decisioni sono prese a maggioranza, il potere di veto ha poco spazio nell’unione europea. Terza caratteristica è che gli atti adottati sono vincolanti e obbligatori che devono essere rispettati dagli stati membri. Gli atti vincolanti che queste istituzioni possono adottare sono sottoposti ad un sistema di controllo giurisdizionale di legittimità. Da questo disegno degli anni 50 nasce il diritto dell’unione europea. CECA nasce su scia dichiarazione del ministro degli affari esteri francese Schuman del 9 maggio 1950, in cui preconizzò della sua idea di Europa che era quella di un Europa di piccoli passi. Disse che l'Europa sarà fatta con piccole realizzazioni, mettiamo insieme un certo comparto industriale e frazioni della vita economica e poi andiamo avanti verso ulteriori passi. Le risorse di carbone ed acciaio era importanti e gli elementi base per produzione delle armi e si trovano tra Francia e Germania in zone contese per secoli. Mettere insieme francesi e tedeschi nella produzione carbone ed acciaio fu un progresso enorme, perchè significa rimuovere la causa di sanguinosi conflitti del passato. Visto che la CECA aveva funziona ci si espande, con la CEE, una comunità europea generica che riguarda tutti i prodotti economici, non solo il carbone l’acciaio, ma comunque questioni economico-commerciali. La struttura istituzionale fondamentale di queste comunità era composta da quattro organi: • Commissione (compiti esecutivi) • Consiglio (ministri degli stati membri, che ha da solo il potere legislativo) • Assemblea parlamentare (oggi è il parlamento europeo, ma all’inizio è solo un organi consultivo che al più da pareri) • Corte di giustizia Tutte tranne il consiglio erano organi di individui, formati da soggetti indipendenti. Si era voltato pagina rispetto al metodo intergovernativo classico, tuttavia gli stati, che all’inizio erano solo 6 non se la erano sentita di perdere il proprio potere legislativo, dandolo all’assemblea o alla commissione. Mentre il consiglio gli stati mantengono saldamente il potere legislativo. Nei decenni successivi si è modificato e i punti fondamentali di questa evoluzione dell’assetto istituzione è stato l’ampliamento dei poteri del parlamento europeo. Che nasce come assemblea e che non veniva eletto da cittadini europei, ma erano nominati da parlamentari nazionale e che nasce come organo che emette al più delle raccomandazioni o dei pareri non vincolanti. Questo assetto con parlamento senza poteri legislativi testimoniava esistenza di un forte deficit democratico in organizzazioni europeo, ossia assenza di una vera e propria democrazia, di un vero e proprio governo dei cittadini. Tanto che l’organo che avrebbe dovuto rappresentare i cittadini, al massimo dava pareri comunque non vincolanti. Si è cambiato nome,1970-1975 trattati in cui si decide che il parlamento approva il bilancio delle comunità europee (oggi unione europea); il primo europeo che concretamente acquisisce. Il punto di svolta più importante però è una decisione del consiglio del 1976 in cui sostituisce un sistema di suffragi universale diretto per elezione del parlamento europeo. Chiunque abbia diritto di voto in proprio stato membro può votare per lezioni europee per cui si rinnova ogni 5 anni (la prime furono nel 1979). Questo va considerata la svolta più importante per evoluzione del parlamento europeo perchè con ciò il potenziamento del suo ruolo diventa inevitabile e la questione non si può più rinviare. Nelle riforme dei trattati, successive al 1976, si danno poteri legislativi sempre più cospicui al parlamento europeo. • 1986 “Atto unico europeo” -> ampliamento poteri parlamento europeo • 1982 “Trattato Maastricht”-> firma del TUE • 1997 “trattato di Amsterdam” • 2001 “trattato di Nizza” • 2007 “trattato di Lisbona” Prima in maniera blanda e poi come punto di svolta con Maastricht che prevede in maniera legislativa la procedura di codecisione (decisioni prese congiuntamente da consiglio e parlamento che diventa co- legislatore, una sorta di sistema bicamerale). ad Amsterdam si ampliano le materie di codecisione, fino a Lisbona che descrive la procedura legislativa ordinaria e speciali; la prima p quella che si realizza di regola ed è quella in cui un atto viene adottato da consiglio congiuntamente al parlamento europeo; questo significa che la regola attuale è che il parlamento europeo è un co-legislatore insieme al consiglio in tutti i settori del dell’unione europea salve eccezioni. Così che anche in UE il principio della democrazia rappresentativa sia garantito davvero. Un secondo elemento è l’aumento del numero degli stati membri, le modifiche della membership, i successivi è un processo di allargamento che rappresentano sicuramente un trattato distinzione dell’evoluzione dell’UE che ha fatto si che dai 6 stati membri ad un unione di 27. I processi di allargamento sono stati 7: • 1973 Regno Unito, Irlanda e Danimarca • 1981 Grecia • 1986 Spagna e Portogallo • 1995 Austria, Finlandia e Svezia • 2004 Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Cipro e Malta • 2007 Bulgaria e Romania • 2013 Croazia Poi dal 1 febbraio del 2020 si è realizzata la Brexit con uscita del regno unito di Gran Bretagna da UE che ha riportato il numero degli stati membri a 27. Questa espansione delle competenze non è stata gradita da tutti gli stati membri che hanno fatto resistenza che hanno comportato delle conseguenze. Una è il fatto che questa cooperazione non ha riguardato tuti gli stati membri ma si sono affermati forme di integrazione differenziata, per cui in certi settori vanno avanti solo alcuni stati membri e quelli che non sono d'accordo rimangono fuori. Europa che ha un geometria variabile ovvero che non tutte le politiche riguardano lo stesso territorio -> adesione all’euro, non tutti hanno aderito. È al trattato di Maastricht che si deve il termine unione, si decide di istituire l’Unione Europea che viene concepita come una realtà istituzionale che incorpora tre diverse forme di cooperazione in tre settori differenti: 1. Cooperazione con comunità europee -> diritto comunitario 2. In materia di politica estera e di sicurezza comune che non centrano niente che il diritto comunitario classico che riguardava economia e commercio; da qui nasce il secondo pilastro -> PESC 3. Giustizia ed affari interni, come il diritto e la procedura penale, i visti, l’asilo e l’immigrazione -> GAI Qui siamo ben oltre alle comunità storiche che riguardano solo materie economiche e commerciale. La conseguenza è che il diritto comunitario come si era affermato fino ad allora valeva solo per le materie del primo pilastro, mentre gli altri due avevano modelli intergovernativi, per cui si era tornati indietro. Arrivando al 2007 con il trattato di Lisbona, la distinzione in tre pilastri viene abolita. Tutto è riportato in uno stesso trattato, ma ancora oggi, per queste materie le regole che si applicano sono diverse, il vero e proprio diritto 4. Consultivo a condizioni trattati 5. Elegge il presidente La prima e la terza sono le più importanti. Funzione di controllo politico: dispone di una serie di strumenti per acquisire informazioni sull’operato delle altre istituzioni -> “interrogazioni parlamentari” oppure con delle proprie audizioni; oppure su iniziativa delle persone fisiche e giuridica, ossia dei cittadini dell’UE, o comunque vi risiedono, che possono fornire informazioni al parlamento tramite petizioni su qualsiasi materia di interesse dell’UE, o con una denuncia che riguardano casi di violazione del diritto dell’unione europea a cattiva amministrazione nell’applicazione. Il parlamento può istituire una commissione temporanea di commissioni inchiesta. Una recente innovazione è il ricorso al mediatore europeo, organo sussidiario del parlamento, organo monocratico formato da un solo individuo, a cui i cittadini dell’unione può proporre un ricorso per tutti i casi di violazione diritto dell’unione o cattiva amministrazione da parte delle istituzioni. Una cosa che accomuna e caratterizza questi tre strumenti è che essi non sfociano mai in vere decisioni vincolanti, da parte del parlamento o mediatore, ma sono soft in cui si cerca di trovare una soluzione amichevole con la istituzione accusata. Mentre uno strumento importante ed efficace è la mozione di censura che il parlamento può approvare nei conforti della commissione -> opera solo nei rapporti tra parlamento e commissione. Parlamento può censurare la commissione, ovvero può sfiduciare la commissione 8mozione di sfiducia in Italia). Come in Italia, qualora questa mozione venga approvata dal parlamento la conseguenza è che la commissione si dimette collettivamente dalle sue funzioni. Nei 70 anni di storia dell’unione non è mai stata approvata una mozione di censura, ma al massimo minacciata in alcune occasione. Questo perchè si tratta di un atto di portata dirompente, che in caso di adozione produrrebbe conseguenze giuridiche molto gravi, ma dal punto di vista tecnico-giuridico è dovuta dalla maggioranza richiesta per approvarla -> approvata a maggioranza assoluta dei presenti dei membri che lo compongono, quindi di 705, 355 circa; dei presenti serve una maggioranza qualificata dei favorevoli, quindi che i 2/3 di 355 siano a favore. Uno strumento del genere può avere una funzione deterrente e dissuasiva. La mozione di censura è solo contro la commissione e non può usarla contro le altre istituzioni, in particolare contro il consiglio -> perchè non è un organo esecutivo ma è legislatore insieme al parlamento, e sarebbe inconciliabile con la struttura dell’unione europea. la storia ci dice che in assenza di poteri di controllo politico il parlamento ha esercitato un controllo sul consiglio con ricorsi giurisdizionale alla corte di giustizia dell’unione europea. Lo strumento giurisdizionale ha una funzione di supplente nei confronti dello strumento di controllo politico. Il Consiglio (Art. 16 TUE) Ne esistono due, Il Consiglio europeo e Il Consiglio e sono due istituzioni diverse formate da soggetti diversi e che svolgono ruoli diversi; il primo è formato dai capi di stato o di governo. “Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio” È per eccellenza un organo di stati, di cui hanno la nazionalità, non rappresenta i cittadini; è espressione di un governo intergovernativo, dove si fanno gli interessi generali. II comma: Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto. Non è un organo permanente ma si riunisce quando ce ne è bisogno, ed è a composizione variabile -> le persone che siedono nel consiglio variano a seconda della materia dell’ordine del giorno del consiglio. Non esiste una unica formazione, ne esistono 10 e 2 sono previste da art. 16, uno “affari generali” e uno “affari esteri”. Poi ci sono: Economia -> i rappresentanti sono i ministri dell’economia Ambiente -> ministri degli ambienti nazionali Salute -> ministri salute nazionali Un organo importante nel consiglio è la presidenza e la regola è quella per cui sia esercitata a rotazione dallo stato membro -> ciascuno ha diritto a rappresentare 6 mesi di presidenza nel consiglio. Sappiamo che è un co-legislatore, legifera e quindi una questione fondamentale è vedere con quali metodi delibera -> all’interno ci sono 27 ministri (uno per ogni stato) che votano “maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente” (III comma). Per cui la regola è la maggioranza qualificata, salvo eccezioni che riguardano i casi in cui è necessario l’unanimità -> nei decenni il rapporto tra maggioranza qualifica e unanimità si è invertito perchè prima era il contrario per cui la regola era l’unanimità e nelle eccezioni si chiedeva la maggioranza qualificata. È vero che il consiglio è un organo di stati, ma non c’è più la caratteristica del metodo intergovernativo della unanimità delle decisioni. È vero che ci sono meccanismi intergovernativi ma sono stati contaminati dal metodo comunitario che vuole che si cooperi in ogni caso. Ma che cosa si deve intendere per maggioranza qualificata nel consiglio? Ha un significato autonomo del diritto dell’unione europea che ha subito un’evoluzione nel corso della storia. In origine il sistema era poco democratico perchè maggioranza qualificata significava usare un sistema di voto ponderato, ovvero che ad ogni stato veniva attribuito un certo numero di voti; tanto più uno stato era popoloso e importante da punto di vista economico, politico e militare e tanti più voti venivano attribuiti a quello stato. Nel tempo si è dibattuta la necessità di superare questo meccanismo; nell’assetto attuale è stato introdotto il principio per cui ogni ministro nazionale esprime un singolo voto e per maggioranza qualificata “si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio (quorum numerico), con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’Unione (quorum demografico)” (IV comma). Per ridimensionare l’importanza del principio demografico è spiegato nello stesso comma quando si dice: “La minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta” Questa riforma non fu immediatamente operativa, ma nonostante venne istituita nel 2009 fu operativa solo dal “1 novembre 2014”. Le funzioni del consiglio abbiamo detto essere quella legislativa e di bilancio, e da questo punto di vista si può dire che il parlamento alla fine è composto da due camere di cui una è il parlamento e l’altra è il consiglio. Le cose però anche qui si complicano perchè come dice il I comma il consiglio “esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati” funzioni di definizione delle politiche non è una funzione che di solito si attribuisce al legislatore, ma dall’esecutivo -> consiglio è un organo strano per i nostri schemi perchè la sua funzione più importanti è la funzione legislativa, ma in certi casi, quando è previsto dal trattato ha anche poteri esecutivi (organo bicefalo). In certi casi ha compito di adottare atti di esecuzione delle norme legislative dell’unione, quelle che noi chiamiamo atti amministrativi e che sono proprio del potere esecutivo. Alto rappresentante dell’unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Modo di dire ministro degli esteri, ma non volevano che gli organi dell’unione europea avessero gli stessi nomi degli organi degli stati. La maggior parte delle sue funzioni sono esercitate in seno al Consiglio. Delle 10 formazioni del consiglio, l’alto rappresentante presiede il consiglio affari esteri; prevalentemente agisce con il consiglio, ma è al contempo uno dei vice presidenti della commissione europea -> ha un doppio cappello. Guida l’azione sterna dell’unione europea nelle relazioni con il mondo. 27.02.2022 Il Consiglio europeo (Art. 15 TUE) È composto dai capi di stato o di governo degli stati membri -> 27 hanno questa carica, in più c’è un presidente e il presidente della commissione (contaminazione di organi monocratici di organi di individui). Questi hanno come interesse il proprio interesse nazionale. Per quanto riguarda il metodo di voto avviene “per consenso (unanimità) salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente” (IV comma) Eccezione per cui anche nel Consiglio europeo se i trattai lo dispongono si può votare al maggioranza qualificata -> la regola è l’unanimità e in alcune eccezioni di usa ma maggioranza qualificata, caso in cui i due presidenti non votano ma solo i capi di stato e governo. V comma: “Il Consiglio europeo elegge il presidente a maggioranza qualificata” In Italia in cui esiste sia il capo di stato che di governo rappresenta il più importante dal punto di vista politico e quindi il primo ministro, viceversa in uno stato presidenziale come in Francia, questa è rappresentata il capo dello stato e non del governo perchè ha più importanza . In origine il consiglio europeo non esisteva per niente e si è affermato negli anni 60 pre prassi, senza che questa istituzione fosse prevista nei trattati; l’esigenza che ha fatto scattare il ruolo del consiglio europeo fu il fatto che spesso il Consiglio, non fosse dotato della legittimazione politica necessaria per portare avanti certi atti e poter deliberare rispetto a certe materie, per cui serviva i consenso dei massimi vertici politici degli stati membri. Introdurre il massimo livello politico degli stati membri per far si che il processo di integrazione andasse avanti così che ci fosse il consenso delle massime cariche politiche degli stati membri. Dal 1074 in poi l’asceso del consiglio europeo è stato inarrestabile con sempre più poteri e sempre più un ruolo centrale -> organo così importante da punto di vista degli stati membri sta acquisendo sempre maggiori poteri. Ciò è costato dal fatto che dopo trattato di Lisbona il consiglio europeo è diventato una vera e propria istituzione dell’Unione Europea, mentre prima non lo era. I comma: “Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative” Da qui si ricava il punto fondamentale del consiglio europeo per cui deve essere considerata come istanza politica suprema, il vertice dell’UE, che sta al di sopra dell’intera struttura istituzionale. Ha una funzione di impulso politico di carattere fondamentale, è lui che decide le priorità politiche dell’UE, quali sono gli orientamenti politici fondamentali dell’UE. È un organo di indirizzi politico ma di importanza cruciale e perchè la priorità devono essere rispettati dalle istituzioni politiche, le altre istituzioni mettono in opera ciò che il consiglio europeo ha deciso. Il fatto che nono eserciti funzioni legislative è un limite all’importanza di questa istituzione -> non è inserito nel procedimento con cui si adottano gli atti legislativi nell’UE. Ciò nonostante la sua importanza rimane tale e non lo fa sminuire. Esso tuttavia ha dei poteri decisionali, normativi può adottare atti, può prendere decisioni che hanno effetti giuridici che però hanno questa limitazione per cui le sue decisioni non possono essere considerati atti legislativi. Le sue decisioni si possono definire di importanza costituzionale, in particola modo la funzione costituzionale più importante è quella di poter decidere in merito alla revisione dei trattati, alla modifica dei trattati, con procedure semplificate (art. 48 TUE, VI e VII comma). Il consiglio europeo può intervenire in maniera semplificata in due casi specifici: 1. Per modificare le politiche e relazioni dell’UE ai sensi del TFUE MES (meccanismo europeo di stabilità) trattato concluso nel 2012 che fa si che vengano mantenuti i prezzi stabili negli stati membri e non vi siano problemi per le crisi del debito pubblico -> istituisce un fondo salva stati ovvero un fondo alimentato agli stati membri che serve per salvare gli stati membri che stanno per fallire e che hanno problemi con finanza pubblica e deficit. Per creare il MES con un trattato è toccato far passare un principi che sembrava ostare alla creazione del MES, principi che è incluso nel TFUE -> divieto ai stati membri di farsi carico dei debiti degli altri stati membri. Questo era un ostacolo insormontabile perchè il fondo salva stato era fondato su questo principio. Per istituire il MES il consiglio europeo per la prima volta una questa procedura di revisione semplificata per modificare norme del TFUE: Art. 136 III comma: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità” Il fatto che decisioni del consiglio europeo producano effetti giuridici e pregiudicare la posizione delle persone -> nasce un esigenza di controllo perchè questi atti non sono di politica ma sono atti concreti che si ripercuotono su sfera giuridica delle persone. Possibilità di impugnare questi atti del consiglio e di ricorrere contro questa atti del consiglio europeo. Oggi nella azione di annullamento può essere legittimato passivo anche il consiglio europeo -> prima del trattato di Lisbona non si poteva, si potevano impugnare atti contro altre istituzioni ma non contro il consiglio europeo. 2. Nei casi in cui si vota all’unanimità che si passi alla maggioranza qualificata oppure nei casi in cui è possibile ancor adottare atti con procedure legislative speciali il consiglio può decidere che dora in avanti per quella materia non si usa più quella speciale, ma la procedura legislativa ordinaria. La commissione europea (Art. 17 TUE) È l’istituzione che meglio esprime il metodo comunitario, è un organo di individui per eccellenza.. III comma: “La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza” “Il mandato della Commissione è di cinque anni” -> speculare alla legislatura del parlamento europeo; uno dei primi atti che adotta il parlamento europeo quando viene eletto è l’elezione della commissione europea -> rapporto di fiducia data quando viene eletto diritto tolta con la mozione di censura. In origini, con meno strati membri, la prassi voleva che gli stati membri più importanti (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) avevano diritto a due commissari ciascuna, mentre agli altri stati membri uno solo (legato al fatto che rima i paesi più popolati avevano diritto a più voti). Con il trattato di Nizza e dalla commissione del 2004 il numero di commissari è passato a uno per ogni stato membro. Il fatto che questa riforma sia stata posta in essere in concomitanza con commissione del 2044 non è casuale perchè dato che stanno aderendo sempre più stati, se non si rifossero ridotti il numero di commissari si avrebbe perso l’essenza di questo organo e rischiato il funzionamento. Posto in essere il famoso “maxi allargamento dell’UE” per cui entrarono a far parte ben 10 nuovi stati membri. Si è previsto poi (art. 17, V comma) una riduzione del numero dei commissari al di sotto del numero degli stati membri: “A decorrere dal 1° novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai c) misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo” Questa è una questione dell’importanza costituzionale delle decisioni dell’UE; la base giuridica ci deve essere sempre e deve essere sempre specificata espressamente. Se manca l’indicazione di questa base giudica in un atto, questo sarà viziato (difetto di motivazione) e pertanto potrà essere annullato. In più l’atto è viziato anche quando viene indicata una base giuridica sbagliata che non riflette lo scopo e il contenuto dell’atto. In questo caso, se il parlamento prevede una base giuridica sbagliata l’atto viene impugnato dal consiglio e la corte nella sua sentenza dirà se la base giuridica è errata o meno. Come si fa a stabilire quale sia la base giuridica corretta di un atto? A volte può non essere chiaro. La corte di giustizia ha fissato dei criteri chiari, ha detto che va individuata sulla base dello scopo e del contenuto delle misure che si voglio adottare con quell’atto. Può darsi il caos però che perseguano una pluralità di scopi e che abbiano un contenuto eterogeneo -> corte di giustizia dice che va individuata sulla base del centro di gravità dell’atto, ovvero lo scopo fondamentale che essenzialmente persegue quell’atto. Tuttavia in certi casi questi più scopi non ve ne è uno principali, ma appaiono inscindibilmente connessi e legati fra di se in maniera inseparabile -> la corte dice che vanno scelte più basi giuridiche (base giuridica plurima). In questo caso però le due casi giuridiche possono apparire inconciliabili (funziona solo quando c’è coincidenza perfetta fra le due plurime) -> il criterio che la corte ha introdotto è quello per cui in questo caso va preferita la base giuridica che attribuisce maggiori poteri al parlamento europeo. Questo perchè è evidente che la corte vada sempre nella direzione di un più intenso perseguimento del metodo comunitario in cui si predilige il ruolo del parlamento europeo (Commissione vs Consiglio 1989 “caso Erasmus”). Procedura legislativa ordinaria (Art. 294 TFUE) Non si attiva se non vi è una proposta della Commissione (II comma); per questo motivo viene definita come il “motore” dell’UE. Poi ovviamente ci sono le eccezioni per cui non si può parlar di potere esclusivo, di monopolio assoluto della commissione perchè in alcuni casi i trattai prevedono che la proposta possa provenire anche da altre istituzioni oppure in alcuni casi particolari anche da 1/4 degli stati membri. Ciò che manca sono gli atti legislativi di iniziativa popolare, istituto che è importante nel diritto costituzionale italiano. Esiste l’iniziativa dei cittadini dell’UE, che però non è una vera e propria proposta legislativa, ma è un atto con cui almeno 1 milione di cittadini dell’UE, provenienti da vari stati membri, possono sollecitare la commissione presentare una proposta; se la commissione decide di ignorare questa sollecitazione non c’è nessuna conseguenza. Questa proposta viene indirizzata al Parlamento e al Consiglio che devono pronunciarsi sulla proposta. Poi avviene un sistema di ripetute letture della proposta che possono arrivare addirittura a 3 da parte del parlamento europeo e dal consiglio (più che in Italia), passando per una fase intermedia che può intercorrere fra la seconda e la terza lettura -> fase della conciliazione. Queste letture non sono obbligatorie, ne può bastare una, ma il punto è che il procedimento termina quando consiglio e parlamento sono d'accordo sul contenuto dell’atto che deve essere approvato. Viceversa, altro elemento caratterizzante, è che durante l’intera procedura il parlamento gode di un vero e proprio potere di veto, perchè è sempre nella condizione di bloccare l’adozione di un atto. È chiaro che siccome il procedimento richiede che siano d’accordo non solo le tre istituzioni, ma anche tutti i 27 stati membri, spesso è necessaria più di una lettura. Ciò che fanno parlamento e consiglio in queste 3 letture è esprimere la propria posizione, inizialmente sulla proposta della commissione europea -> il parlamento delibera una propria posizione su quella proposta e la trasmette al consiglio (III comma); se il Consiglio approva la posizione del Parlamento europeo, l'atto in questione è adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del Parlamento europeo (IV comma), se il Consiglio non approva la posizione del Parlamento europeo, esso adotta la sua posizione in prima lettura e la trasmette al Parlamento europeo (V comma) -> da qui parte l’esigenza della seconda lettura. La disposizione torna al parlamento con la proposta del consiglio e questo ha tre mesi di tempo per discutere sulla proposta del consiglio. In questi tre mesi il parlamento può approvare la posizione del Consiglio in prima lettura o non pronunciarsi e l'atto in questione si considera adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del Consiglio; può respingere la posizione del Consiglio in prima lettura a maggioranza dei membri che lo compongono e l'atto proposto si considera non adottato; può proporre emendamenti alla posizione del Consiglio in prima lettura a maggioranza dei membri che lo compongono, il testo così emendato è comunicato al Consiglio e alla Commissione che formula un parere su tali emendamenti (VII comma) -> ipotesi più frequente è che in questi tre mesi il parlamento europeo decida di adottare degli emendamenti alla posizione del consiglio. Nella seconda e terza ipotesi la proposta torna al consiglio che deve essere d’accordo con tutti gli emendamenti proposti in quel caso si accordano. Spesso però questi non sono d’accordo, per cui non basta la seconda lettura e quindi occorre la fase di conciliazione, in cui viene creato l’organo del comitato della conciliazione formato da rappresentanti del consiglio e del parlamento individuati dalla commissione e si cerca di conciliare il dissidio; ha il compito di elaborare un progetto comune da sottoporre alla terza lettura del consiglio e del parlamento. Può essere che il dissidio sia instabile e allora il procedimento si arresta perchè l’atto non è adottato, se invece ce la facciamo scatta la terza lettura e il parlamento e il consiglio con diverse delibere devono approvare il progetto comune elaborato dal comitato oppure rigettarlo definitivamente. Procedura legislativa speciale Da qui si evidenzia il fatto che oggi consiglio e parlamento sono in perfetta parità nell’ambito della procedura., non c’è un legislatore che prevale sull’altro, ma infatti si parla di co-legislatori dotati di identici poteri. Questo è l’elemento di distinzione fra procedura ordinaria e speciali -> c’è una delle due istituzioni che prevale sulle altre; il legislatore è solo uno e l’altra si limita a partecipare. In base al tipo di partecipazione del parlamento si distinguono le procedure speciali di consultazione e di approvazione. Abbiamo detto che è vero che sono procedure speciali e che quindi si sua in casi eccezionali, tuttavia ancora oggi l’uso di queste procedure è previsto dai trattati per materie anche estremamente importanti. Consultazione L’elaborazione della disciplina di queste procedura deriva dalla giurisprudenza della corte di giustizia perchè non ci sono norme a riguardo. Qui il parlamento europeo è meramente consultato. In origine questa procedura era l’unica esistente, l’unica in cui si prevedeva una qualche partecipazione del parlamento. Per questo motivo la giurisprudenza della corte è stata estremamente severa e rigorosa in modo da preservare quel poco di potere che il parlamento poteva esercitare in materia di atti adottati, previa consultazione del parlamento. Si tratta di un parere consultivo e quindi è obbligatorio (che deve essere necessariamente rilasciato dal parlamento pena l’annullabilità dell’atto), ma non vincolante nei confronti del consiglio che è solo obbligato a richiedere il suo parere. La corte ha chiarito che è un requisito che interpretato in maniera molto stringente e dice sempre che si deve trattare di una consultazione effettiva e regolare, ovvero che il consiglio non deve limitarsi a chiedere il parere del parlamento, ma deve attendere che il parere sia concretamente rilasciato, prima di deliberare sull’atto (previa consultazione). Questa esigenza va conciliata con l’intenzione del consiglio di mandare avanti la sua iniziativa, e quindi incombe sul parlamento un dovere di rilasciare questo parere entro un termine ragionevole, che dipende dalle circostanze. Quello che è sicuro è il fatto che il parlamento non può rinviare il suo parere sine die (a tempo indefinito), perchè si consentirebbe al parlamento di bloccare il procedimento legislativo dell’UE. Se il parlamento non rispetta questa esigenza del termine ragionevole viene meno al suo dovere e quindi in questo caso il consiglio può deliberare senza attendere senza il suo parere. Approvazione Art. 19 TFUE: “il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale” È una delle clausole di non discriminazione più avanzate in Europa, tanto che gli stati membri hanno voluto tenere la voce grossa per combattere la lotta alle discriminazioni dicendo che è il consiglio che adotta disposizioni riguardo la discriminazione e dicendo che lo fa con l’unanimità. Per farlo si usa la procedura speciale perchè infatti tutto ciò avviene “previa approvazione del parlamento”. Approvazione del parlamento europeo significa che l’atto è deliberato dal consiglio che rimane l’unico legislatore, tuttavia questa delibera del consiglio deve essere approvata dal parlamento europeo; in caso contrario quell’atto non è vincolante e quindi non è adottato. Ancora oggi è prevista per casi quotati. È chiaro però che anche se qui si parla di un atto del consiglio il potere legislativo è essenzialmente condiviso tra le istituzioni, perchè il parlamento può anche rigettare l’atto proposto dal consiglio; tuttavia non si può assolutamente parlare di co-legislatori, di adozione congiunta di atti, perchè il consiglio e del parlamento non sono dotati di pari potere e non sono sullo stesso piano come nella procedure legislativa ordinaria. Questo perchè il parlamento non può influenza il contenuto dell’atto, come si verifica invece nel sistema di letture nel procedimento ordinario. L’atto del consiglio viene approvato o rigettato così com’è senza che il parlamento possa incidere sulle disposizioni specifiche in esso inserite. LE PROCEDURE DELLA P.E.S.C Il settore della PESC non è stato comunitarizzato, cioè la materia della PESC non è stata riportata alle procedure legislative ordinarie o speciali, bensì sono soggette a procedure del tutto tipiche, sui generis. La PESC è un settore particolare per 3 motivi principali: 1. La disciplina si trova quasi interamente all’interno del TUE; 2. Vi sono delle modalità di deliberazione atipiche; 3. Le istituzioni coinvolte. Art. 24, par. 1, TUE La competenza dell'Unione in materia di politica estera e di sicurezza comune riguarda tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell'Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune. La politica estera e di sicurezza comune è soggetta a norme e procedure specifiche. Essa è definita e attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all'unanimità, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. Si dice poi che è esclusa l’adozione di atti legislativi. Le istituzioni maggiormente interessate sono Consiglio e Consiglio europeo, quindi spariscono tutte (o quasi tutte) le istituzioni comunitarie, il Parlamento europeo e in parte anche la Commissione. Il ruolo del Consiglio europeo è formulato in termini molto ampi, si dice all’art. 26 Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune; al par. 2 si legge poi i compiti del Consiglio, Il Consiglio elabora la politica estera e di sicurezza comune e prende le decisioni necessarie per la definizione e l'attuazione di tale politica in base agli orientamenti generali e alle linee strategiche definiti dal Consiglio europeo. Il Consiglio rende quindi operativa quella politica che il Consiglio europeo elabora. Gli orientamenti generali sono atti del Consiglio europeo che si configurano come atti di altissima politica, che definiscono appunto le linee guida sulle quali l’Unione deve muoversi nell’ambito della PESC; le decisioni invece definiscono le azioni che l’Unione deve intraprendere, le posizioni che l’Unione deve assumere e le modalità di attuazione delle decisioni di cui ai punti sopra (art. 25, par. 1, lett. B, TUE). All’art. 30 TUE si legge Ogni Stato membro, l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o l'alto rappresentante con l'appoggio della Commissione, possono sottoporre al Consiglio questioni relative alla politica estera e di sicurezza comune e possono presentare rispettivamente iniziative o proposte al Consiglio, quindi già si vede una differenza importante, oltre che per quanto riguarda le istituzioni coinvolte, anche rispetto alle procedure legislative ordinaria e speciali. Qui siamo nel massimo del metodo intergovernativo, dove addirittura l’iniziativa può essere di un solo Stato o del solo Alto rappresentante. Se già questo serviva a distinguere il fatto che la PESC sia particolarissima, questo è ulteriormente evidenziato in merito alle regole procedurali: all’art. 31 TUE si legge Le decisioni a norma del presente capo sono adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all'unanimità, salvo nei casi in cui il presente capo dispone diversamente. È esclusa l'adozione di atti legislativi, dunque il voto è all’unanimità. Ovviamente è prevista un’eccezione nella quale si vota invece a maggioranza qualificata, tuttavia nella gran parte delle ipotesi in cui si è votato a maggioranza qualificata in passato, vi è comunque stata una votazione all’unanimità a monte da parte di Consiglio e Consiglio europeo, si tratta dei casi in cui il Consiglio adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’Unione, sulla base di una decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell’Unione di cui all’art. 22, par. 1, quindi comunque sulla base di una decisione adottata dal Consiglio europeo. Altri casi in cui si voti a maggioranza qualificata sono quelli in cui si adotti 1) una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest'ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell'alto rappresentante; 2) decisioni relative all'attuazione di una decisione che definisce un'azione o una posizione dell'Unione; 3) si nomini rappresentante speciale ai sensi dell'articolo 33 (art. 31, par. 2 TUE). Parlare di unanimità in merito alla PESC significa che uno Stato può paralizzare l’azione esterna dell’Unione, e quindi fare in modo che l’Unione non riesca a rispondere efficacemente alle istanze. Di conseguenza, si è cercato di trovare una soluzione nella c.d. astensione costruttiva: posto che le astensioni non escludono l’unanimità, si è cercato di indurre i membri del Consiglio contrari ad una proposta ad astenersi, piuttosto che ad esprimere voto contrario. Si tratta di una deroga al principio secondo cui le delibere del Consiglio 1. Obbligo interpretazione conforme: ha i suoi limiti perchè non è che il giudice può distorcere il senso di una legge per interpretarla in maniera conforme alla norma dell’UE ma serve solo a conciliare il diritto dell’UE con il diritto nazionale 2. Principio risarcimento del danno: anche se la norma è prova di efficacia diretta, lo stato membro che l’ha violata è tenuto a risarcire il danno arrecato agli individui a causa di tale violazione. I trattati hanno efficacia diretta se la norma del trattato è chiara, sufficientemente precisa e incondizionata essa potrà essere usata dai giudici per le controversie nazionali. La prima volta che la corte ha riconosciuto l’efficacia diretta come nozione del diritto eu lo ha fatto in riferimento ad una norma dei trattati. Art. 30 TFUE “I dazi doganali all’importazione o esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli stati membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale” I dazi sono delle tasse che chiunque paga quando esporta una merce al di fuori del territorio nazionale o quando la importa; tuttavia esportazione importazione riguardo solo i paesi terzi rispetto all’UE. Questo articolo attribuisce dei diritti agli individui e lo fa in maniera precisa e incondizionata. Questo esempio fa capire che le regole (?) in punto di tutela dei diritto successivi discendenti dal principio di efficacia diretta -> tanto più è ricostruita l’efficacia diretta e tanto più gli individui ricevono tutela di fronte alle autorità nazionali. Art. 157 TFUE “Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.” La corte ha devoto decidere se questa norma abbia efficacia diretta; con il caso Defren del 1976, che era la hostess di una compagnia belga che si lamentava di essere pagata meno dei suoi colleghi Stuart, il giudice belga ha chiesto alla corte se qst articolo potesse essere usata dalla signora Defren e questa risponde di si. Elemento di novità, rispetto al caso prima, è che questa una controversia orizzontale -> la corte riconosce che le Nore dei trattati sono idonee anche effetto diretto orizzontale. Art. 45 TFUE “la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’UE è assicurata” Classica formulazione di una norma a cui la corte ammette efficacia diretta. La corte ha riconosciuto l’efficacia con il caso Angonese del 2000. È un caso italiano e il signor Angonese voleva partecipare ad un concorso per una banca privata del Trentino, ma c’è un requisito per cui bisogna conoscere anche il tedesco (patentino di bilinguismo); lui non lo aveva e la banca lo vuole escludere, tuttavia lui fa notare di aver lavorato in Austria per molti anni e quindi è palese che parli il tedesco -> cita l’art. 45. La corte da ragione ad Angonese dicendo che questo patentino non può valere per chi ha lavorato nell’UE. Quindi riconosce l’efficacia diretta dell’art. 45 e che ancora una volta riconosce l’efficacia in una fattispecie orizzontale che oppone un privato ad una banca comunque privata. Quando si parla di sistema delle fonti è normale parlare dell’esistenza ad una gerarchia. Se davvero è un sistema delle fonti non paragonabile altre organizzazioni internazionali che assomigliano al sistema delle fonti intestata occorre dimostrare che esiste una vera e propria gerarchia. Anche da questo punto di vista l’ordinamento europeo ha fatto passi da giganti rispetto al passato in cui c’era incertezza fra rapporto gerarchici delle fonti. Oggi è possibile delineare una certa gerarchia tra le font del diritto dell’UE. Al primo gradino c’è il diritto primario: 1. trattati fondativi dell’UE (TUE e TFUE) 2. carta diritto fondamentali dell’unione del diritto europeo 3. principi generali del diritto europeo Prima solo i trattati fondativi erano parte del diritto primario, mentre ora sono previsti accanto a questi anche le altre due fonti. Il trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del TUE nel cui primo paragrafo “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati” Ciò rende l’unione europea più vicina ai singoli static he prevedono una carta dei diritti fondamentali. Siamo contenti di questo sviluppo, però non siamo contenti che la carta dfue abbai lo stesso valore dei trattati, che i diritto umani delle persone abbiano lo stesso rango di tutte le altre norme dei trattati. La carta è un diritto costituzionale vero e proprio dell’UE, è una sorta di diritto superprimario e riconosce che qualora in una fattispecie si applichi una norma dei tratti e della carta e vis ia un conflitto fra i due, la carta deve prevalere sulla norma dei trattai -> si fa così in tutte le carte incluse nella costituzioni degli stati. Manca una soluzione di questa questione da parte della corte. Dire così significherebbe dire che la carta non può essere modificata con i procedimenti di revisione previsti dai tratti (come per costituzione italiana). Per quanto riguarda i principi fondamentali del diritto, questi rappresentano una categoria eterogenea di norme; in origine è stata introdotta nell’ordinamento UE per il tramite dei principi generali In origine esisteva un diritto primario e uno secondario (derivato perchè il potere delle istituzioni di adottare questi atti deriva dai trattati e non è originario); con questo termine vi è sempre inteso i cd atti giuridici delle istituzioni dell’UE, che sono il risultato dei procedimenti decisionali (normativa derivata): 1. Regolamenti 2. Direttive 3. Decisioni È stato mantenuto il nome che da sempre è esistito nel diritto dell’UE senza usare il termine “leggi”, anche a costo di generare degli equivoci perchè il più importante si chiama regolamento, dove in Italia è amministrativo e quindi è un atto che sta in basso alla gerarchia, mentre nel diritto dell’UE è una legge ordinaria vera e propria. Idem per le direttive che in Italia sembra un atto non vincolante mentre nel diritto dell’UE tale non è. Esiste una gerarchia tra questi 3 diversi tipi di atti secondari? no, non esiste alcun rapporto gerarchico fra i diversi atti del diritto derivato e quindi una direttiva può derogare o abrogare un regolamento e viceversa. Per sapere quale atto specifico bisogna adottare si segue il criterio per cui per certe materie il tipo di atto da usare è espressamente citato, ma il problema sussiste per quelle numerose disposizioni in cui si dice che l’unione usa delle misure per decidere. Per quanto riguarda ciò però ci sono die limiti e quando un tipo di atto non è espressamente indicato le istituzioni devono sceglierlo nel rispetto del principio di proporzionalità -> se un certo obiettivo può essere realizzato sia con le direttiva che con il regolamento devono scegliere la prima perchè meno invasiva e penetrante rispetto agli ordinamenti interni. Con il tratta di Lisbona è stata introdotta una distinzione che prima non era chiaramente delineata -> nell’ambito del diritto secondario bisogna distinguere degli atti giuridici di base da atti giuridici di esecuzione o attuazione; la complicazione sta nel fatto che con fonti secondarie le istituzioni possono usare sia atti giuridici di base sia una disciplina di esecuzione o attuazione dell’atto giuridico di base. La complicazione è che se si userà atto di base si chiamerà regolamento se di esecuzione si chiamerà regolamento di esecuzione (art. 291-290 TFUE). Il rapporto che intercorre tra regolamento di base e di esecuzione è lo stesso in Italia tra legge ordinaria o regolamenti amministrativi. atto di esecuzione attuazione deve rispettare l’atto di base sennò è annullato. Accanto queste due categoria di diritto primario e secondario che sono sempre esisteva ne è emerso un altro tipo che sta tra i due e cui noi diamo il nome di diritto intermedio -> rappresentato dal diritto internazionali vincolante per l’UE: 1. Norma di diritto internazionale consuetudinario (vincola tutti i soggetti del diritto internazionale) 2. Accordi o trattati dell’unione europea Queste norme vincolano l’UE, fanno parte del diritto delle fonti come fonti intermedie tra il diritto primario e secondario. Le conseguenze sul piano gerarchico è che questo diritto intermedio è superiore al diritto derivato, per tanto un atto dell’UE che viola un accordo dell’UE potrà essere annullato; viceversa il diritto intermedio è subordinato al primario -> trattato UE sia dichiarato invalido perchè contrasta con carta dei diritto fondamentali dell’UE. I TRATTATI Tra questi due tratti non c’è una gerarchia, ma si dice espressamente che hanno lo stesso valore giuridico. È di gran lunga importante il TUE perchè cita le norme fondamentali, mentre il TFUE ha una miriade di norme di dettaglio che riguardano le competenze delle istituzioni. Bisogna includere anche i protocolli allegati ai trattati (37) che costituiscono parte integrante dei tratti e sono a tutti gli effetti diritto primario. Abbiamo detto che UE è un ordinamento a parte e che non può essere considerato nemmeno come uno stato e quindi è evidente che i trattati fondativi non possono essere considerati come comuni accordi internazionali come tutti gli altri, ma sono particolari che istituiscono un organizzazione internazionale sicuramente diversa dalle altre, sui generis. Questa discussione su cosa siano effettivamente i trattati fondativi dell’UE da parte della corte di giustizia che si riferisce a questi non come accordi internazionali qualsiasi, ma come delle vere e proprie carte costituzionali dell’UE -> sembra propendere, quando parla della natura giuridica dei trattati, a vederli come una sorta di costituzione (visione progressista). Fermo questo, rimane che i trattati fondatori dell’UE sono diversi dai soliti trattati internazionali perchè: • implicano limitazione e rinuncia poteri dei singoli stati • i soggetti dell’ordinamento non sono solo i singoli stati, ma anche i cittadini • istituiscono una corte di giustizia dell’UE, organo giurisdizionale con ampli poteri che è sconosciuto agli altri trattai internazionali • I criteri usati dalla corte non sono quelli che comunemente si usano per interpretare i trattati internazionali -> interpretazione teleologica per dare risalto alla necessità di una integrazione sempre più stretta degli stati membri e alle necessità imprescindibili dell’UE. Da poco spazio alla interpretazione letterale. L’interpretazione è poi autonoma del diritto dell’UE che usa per dare impulso al processo di integrazione europea.ultimo criterio interpretativo è il metodo dell’effetto-utile -> quando una norma può essere interpretata in più modi la corte sceglie l’interpretazione che da massima efficacia alla norma i questione e non quella che ne sminuisce l’efficacia (interpretazione effettiva). I trattati internazionali possono essere oggetto di revisione, modifica, adesione da parte di altri stati oppure di recesso; nel diritto dell’UE ciò assume dei connotati particolari e ci fanno comprendere che i trattati dell’UE non possono essere considerati comuni, ma sono qualcosa di diverso. Non saranno una carta costituzionale ma non sono considerabili trattati internazionali. I procedimenti di revisioni dei trattai dell’UE sono peculiari. Art. 48 TUE “I trattati possono essere modificati conformemente a una procedura di revisione ordinaria. Possono inoltre essere modificati conformemente a procedure di revisione semplificate” nell’UE non si segue per forza un procedimento ordinario di modifica ma in certi casi sono previste delle procedure più rapide e snelle di modifica dei trattati dell’UE (semplificate), che non esistono rispetto ai trattati comuni internazionali perchè i poteri degli stati membri sono indebolite rispetto ala consiglio europeo. Mente la procedura di revisione europeo che si usa con i comuni trattati internazionali lascia ampio potere agli stati membri. Ogni modifica apportata con quella ordinaria deve essere ratificata da tutti gli stati membri -> rischio che qualche stato non ratifichi, in passato ciò ha creato problemi Art. 49 TUE procedura per entrare nell’UE: “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parla mento europeo” “Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da essa determinati, formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali” Art. 50 TUE riguarda il recesso dall’UE. Il recesso è un atto con cui uno stato decide di ritirarsi dal trattato e di non farne più parte. Per dimostrare la particolarità dell’UE rispetto alle altre organizzazioni internazionale e altri trattati internazionali le modalità sono disciplinate in maniera peculiare. Da punto di vista cronologico l’uscita della gran Bretagna si è verificata il 31 gennaio 2020 data nella quale si è concluso in accordo di recesso che entrò i vigore il 1 febbraio 2020. Normalmente il recesso è unilaterale, ossia lo stato in questione non fa altro che esprimere la sua volontà di cessare di essere stato parte di un certo trattato; viceversa nell’UE la prima soluzione è quella del recesso concordato per cui lo stato membro recedente e l’UE devono accordarsi sulle modalità del recesso. È comunque possibile quello unilaterale, ma come ultima spiaggia. “Lo Stato membro che decide di recedere notificata le intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione” “I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine” 10.03.2023 Diritti umani fondamentali e principi generali del diritto che entrambi vanno assimilati al diritto primario. Questa è stata una innovazione fondamentale perchè è cruciale provvedere in qualsiasi ordinamento ala tutela dei diritti fondamentali. La traiettoria storica oggi ha condotto all’art. 6 TUE (norma fondamentale) per quanto riguarda la tutela dei diritto umani fondamentali. Ha tre paragrafi he danno conto del fatto che in materia di diritto fonda vi è una pluralità di fonti applicabili direttamente, ma in assoluto la norma è il I comma che conferisce alla carta dei diritti fondamentali dell’UE “lo stesso valore giuridico dei trattati”, quindi come fonte primaria. vi sono una serie manifestazioni che vanno nella direzione di dire che la carta è più importante delle norme dei trattati. Questo sviluppo lo abbiamo avuto con il trattato di Lisbona del 2007 che ha riscritto questo articolo e ha previsto l’efficacia vincolante della Carta allo stesso livello dei trattati -> questo significa che per la prima volta fu proclamata dalle istituzioni nel 2000 a Nizza, tuttavia in quel momento questo carta non aveva valore giuridico vincolante ma era solo un mero documento politico. Il trattato di Lisbona è entrata a gamba tesa in questa materia dicendo che addirittura questa carta abbia efficacia vincolante pari a quella dei trattati. L’impostazione originaria delle comunità europee è impostata verso un’esigenza di occuparsi di materia di carattere economico commerciale; infatti se fosse stata interpretata in maniera restrittiva ci sarebbe stato poco spazio per i diritto umani fondamentali -> i primi tratta non avevano nessun riferimento a ciò. Tuttavia Abbiamo detto che la carta (almeno le norme che prevedono dei veri e propri diritti) serve come parametro di legittimità degli atti delle istituzioni -> opera nei riguardi delle istituzioni UE al fine di controllare per permettere il controllo della legittimità dei loro atti. Parametro generale di legittimità degli atti delle istituzioni -> sempre, in ogni caso, gli atti delle istituzioni possono essere sindacati per i rispetto della carta, senza limitazioni. gli atti delle istituzioni possono essere annullati in tal caso. ci sono numerose sentenze della corte di giustizia che dichiarano invalide certe direttive perchè violano disposizioni della carta (CG, Digital Rights Ireland del 2014 in cui la corte annulla alcune disposizioni di una direttiva sul trattamento dei dati digitali perchè in contrasto con art. 8 della carta) Esigenza per cui è stata introdotta la tutela dei diritto umani è per permettere il controllo di legittimità degli atti dell’unione europea. La questione è se la carta piò operare anche nei confronti degli stati membri dell’UE. La carta rappresenta un limite all’azione degli stati membri? Gli stati sono felici se la corte di giustizia interviene sugli atti del parlamento e consiglio europeo, ma lo sono meno se interferisce sulle leggi nazionali degli stati membri. Art. 51 “Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” Ciò significa che la carta si applica agli stati membri sono quando questi attuano il diritto dell’UE; se si tratta di una legge nazionale che non costituisce attuazione del diritto UE quella legge è esente dal controllo della carta. Si dice che la carta opera rispetto agli stati membri come parametro parziale di legittimità delle leggi degli stati membri. Se questa espressione fosse stata interpretata alla lettera sarebbero state poche le circostanza in cui l’azione degli stati membri viene controllata sulla base della carta, ma la corte di giustizia non ha adottato questa interpretazione, ma una restrittiva dicendo che è sufficiente che esista un collegamento tratta l’azione dello stato membro e una norma del diritto dell’UE. Dire quello che dice la corte e dire quello che dice l’articolo è qualcosa di diverso -> questa giurisprudenza della corte ormai consolidata aumenta i casi in cui gli stati membri sono controllati dalla carta. Ciò significa che se una normativa nazionale è del tuto sganciata al diritto dell’UE la carta non serve per controllarla, ma sarà esente da qualsiasi controllo. Sentenza CG Grogan del 1991 -> la carta non esisteva, ma esisteva la tutela dei diritti umani. Siamo in Irlanda al Trinity college di Dublino e gli studenti stanno svolgendo un’attività di volantinaggio in cui erano scritti gli indirizzi e i numeri di telefono delle cliniche per l’aborto (in Irlanda, fino a qualche mese fa, l’aborto era vietato dalla costituzione, con leggi estremamente severe e punitive). gli studenti vengono sottoposti ad un processo penale. Dicono che non stanno pubblicizzando l’aborto, ma le cliniche, in Inghilterra, in cui si può effettuare l’aborto. Il giudice conferma la legittimità dei provvedimenti penali per gli studenti, problema che però rimane indubbio è se il diritto dell’UE avesse qualcosa a che fare con questa fattispecie. Agli studenti sono convinti che il dell’UE si possono applicare, in particolare alla libera prestazione dei servizi. Quindi invocano il principio generale di espressione come norma del diritto dell’unione europea. Il giudice irlandese si rivolge alla corte di giustizia e le chiede se l’azione di comportamento dell’autorità irlandese fosse compatibile o no al diritto dell’unione europea. La corte risponde con la sentenza dando torto agli studenti e dicendo che il diritto dell’UE non centra nulla, in particolare le norme sulla libera circolazione dei servizi medici sono inapplicabili. Pertanto l’azione dell’autorità irlandese non può essere tutelata alla luce dei diritti umani dell’unione europea. Le norme della carta hanno efficacia diretta? Se la norma è chiara e incondizionata si, in più va considerato il fatto che la carta appare intrinsecamente idonea ad avere efficacia diretta in quanto il suo scopo è attribuire diritti alle persone. Le norme che prevedono dei principi non la hanno e poi ci sono altri problemi per capire se la abbia solo in senso verticale o anche orizzontale. Esiste una giurisprudenza favorevole all’efficacia della carta in entrambi i sensi, però non è stat tutta uniforme -> a fronte di una serie di casi in cui si è riconosciuta l’efficacia diretta (art. 21) con la sentenza CG, Egenberger del 2018 dove la carta riconosce anche l’efficacia diretta orizzontale a non essere discriminati. La corte ha poi riconosciuto l’efficacia diretta anche orizzontale per una serie di diritto sociali contemplati al titolo IV, arti. 31 II paragrafo “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite” Unica battuta di arresto della corte è per converso, nello stesso titolo, l’esclusione dell’efficacia diretta per l’art. 27 che riguarda il diritto dei lavoratori all’informazione e consultazione nell’ambito dell’impresa: “Ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell’Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali” 13.03.2022 Quando si parla di carta dei diritti fondamentali dell’unione europea abbiamo una disposizione, che è l’art. 6 del TUE, che è un punto di riferimento fondamentale, che dice che la carta è una fonte di rango primario, non incorporata nei trattai ma esterna a questi. Ci sono una serie di indicazioni che portano a ritenere la carta addirittura superiore ai trattati. Noi abbiamo capito che la tutela dei diritto fondamentali è emersa con la categoria dei principi generali del diritto; non esistevano norme scritte su questa tutela. È chiaro che nel diritto dell’UE la fonte rappresentata dai principi generali del diritto vada ben al di là dei diritti umani fondamentali; la componente più importante della categoria del principi generali è quella dei principi attinenti alla tutela dei diritto fondamentali. Detto questa altri principi generali si sono affermati nell’ordinamento del’UE e ne costituiscono una fonte -> bisogna essere attenti sul fatto che la categoria dei principi generali del diritto rappresentano categoria eterogenea di fonti. Vi sono una pluralità di principi generali del diritto che vivono nell’ordinamento dell’UE; da un lato ci sono i principi attinenti ai diritti umani fondamentali che oggi hanno un ruolo marginale perchè abbiamo la carta dei diritti fondamentali che è un testo scritto autorevole di riferimento. Esistono due ulteriori categorie di principi generali che possiamo chiamare: 1. Principi generali dell’ordinamento dell’unione europea (proprio dell’UE) 2. Principi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli stati membri Per quanto concerne queste due categorie di principi generali ne parliamo perchè rispetto a queste categorie diverse dai diritto umani non vi esiste una norma nei trattai che ne confermi lo status di diritto primario, ma emerge dalla giurisprudenza della corte, dalla prassi del diritto dell’UE, che tutti i principi generali oggi vadano assimilati al diritto primario. Tra i principi propri del diritto dell’UE in assoluto il più ricorrente nella giurisprudenza della corte di giustizia è il principio generale di non discriminazione (art. 19-20 TFUE). Questo è un principio centrale perchè la giurisprudenza della corte di giustizia relativa a questo principio lo ha interpretato in maniera estensiva -> ritiene vietati dai diritto dell’UE sia le discriminazioni dirette ed esplicite, che sono fondate direttamente sulla cittadinanza o su un altro dei criteri elencati dalla normativa di riferimento, ma anche quelle indirette o occulte, che non si fondano direttamente su un criterio vietato, ma su criteri diversi; la corte dice che questo utilizzo di Questi criteri diversi raggiunge lo stesso obiettivo -> di discriminare o la merce di un altro stato. La corte accoglie sempre l’interpretazioni maggiormente favorevoli all’intensificarsi dell’integrazione europea, deve dare impulso (è raro che la corte accolga un interpretazione che faccia fare un paso indietro). Sembra che questa interpretazione risponda un esigenza imperativa di non discriminazione e alla fine finisca per coprire un po’ tutte le situazioni che riguardano l’ordinamento dell’unione europea; c’è solo un limite. Ciò che il principio generale di discriminazione non copra sono le discriminazioni invertite -> esempio sulla circolazione delle merci; stato membro che richiede una specifica tecnica di una certa merce così che possa circolare senza problemi. Queste restrizioni alla libera circolazione delle merci possono colpire i prodotti nazionali, ma non possono colpire i prodotti degli altri stati membri; si riconosce che queste restrizioni possono essere applicate legittimamente nei confronti delle merci nazionali, ma non nei confronti delle merci proveniente dagli altri stati membri. Una delle numerose restrizione adottate dall’Italia al passato inerente al funzionamento al mercato unico europeo che solleva una questione di queste discriminazioni invertite -> sentenza Zoni del 1988. La restrizione italiana era un provvedimento che all’epoca imponeva che la pasta alimentare commercializzata fosse unicamente introdotta con grano duro. La corte di giustizia nel 1988 ritiene questa misura illecita, contraria alla libera circolazione delle merci, è una restrizione che discrimina i prodotti degli altri stati membri; tuttavia risulta chiaramente da questa sentenza che l’Italia era obbligata a non applicare quella normativa nei confronti della pasta straniera, mentre poteva continuare a richiedere alle imprese italiane di commercializzare solo pasta di grano duro. In questo caso l’applicazione di una normativa interna solo ai prodotti nazionali viene ritenuta una situazione puramente interna. Può apparirci strano ma entra perfettamente nella logica dell’UE, che non si occupa di proteggere i principi generali dei diritto fondamentali, ma se ne occupa solo quando l’azione dello stato membro è collegata al diritto dell’UE. Se l’Italia usa quella normativa solo ai cittadini italiani non c’è alcun collegamento con il diritto dell’UE e quindi viene ritenuta una situazione puramente interna; è evidente che quella situazione non ci piace, perchè è evidente che le imprese italiane sono discriminate rispetto a quelle straniere. In base al diritto dell’UE non si può fare nulla, ma la normativa italiana in questione potrebbe essere impugnata di fronte alle corti costituzionali affinché siano queste a dichiarare l’invalidità erga omnes di quella normativa, ex art. 3 cost. Di principi generali del diritto dell’unione europea ve ne sono tanti altri; un altro importante è quello della leale cooperazione fra gli stati membri e le istituzioni (art. 4 III paragrafo TUE). Questi principi propri del diritto dell’UE sono tutti principi che sono codificati in specifiche disposizioni dei trattati -> vanno assimilati ai trattati perchè quando sono scritti in una norma dei trattati il loro rango di diritto primario è indiscusso, ma il problema sorge dal fatto che numerosi principi propri del diritto dell’UE son ancora oggi rimasti principi non scritti e che quindi non sono fissati in apposite disposizioni di trattati: • Principio di efficacia diretta del diritto dell’UE -> non ci sono norme die trattati che si occupino di questo principio, ma questa non vuol dire che questo principio non esista; esiste, ma non è stato fissato nei trattati. • Principio del primato del diritto dell’UE -> prevalenza del diritto dell’UE sulle norme nazionali • Principio dell’effetto utile -> la norme vanno interpretate in modo da dare loro la massima efficacia • Principio generale di fiducia reciproca e di solidarietà tra gli stati membri -> che tutti gli stati membri facciano fondamento sul fatto che gli altri stati membri rispettino i principi fondamentali Art. 2 TUE che dovrebbe avere un importanza centrale, dovrebbe essere un punto di riferimento per l’unione europea; non parla di principi veri e propri, ma esplicitamente dei valori a cui si ispira, a cui si conforma, su cui si fonda l’unione europea. Questa norma, che sta diventando sempre più importante nella giurisprudenza della corte dice: “Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili coi trattati, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta” Sono sei valori che in certi casi devono essere considerati assimilabili in tutto e per tutti a dei veri principi vincolanti per gli stati membri e le istituzioni -> a prima lettura non parrebbe una fonte di obblighi a carico delle istituzioni e degli stati membri, ma si limita ad elencare i valori fondativi dell’UE. La corte ha detto che quando questi valori sono stati concretizzati in un principio dalle istituzioni allora essi vincolano gli stati membri e le istituzioni -> la corte ha detto he uno stato membro dell’UE può essere condannato per aver violato ex se art. 2 TUE che può essere fonte di obblighi vincolanti per gli stati membri e per le istituzioni; sono principi costituzionali. Ad esempio la corte ha detto che il valore dello Stato di diritto può assumere natura di un vero e proprio principio perchè esso è specificato da talune norme di diritto dell’unione europea; una caratteristica principale di uno stato di diritto è l’indipendenza del potere giudiziario. La corte ha detto che il valore dello stato di diritto diventa un v ero e proprio principio come fonte vincolante del diritto dell’UE quando riguarda il principio dell’indipendenza della magistratura che lo ha ricavato dall’art. 19 il cui II comma dice che “Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione” La corte dice che il valore dello stato di diritto è concretizzato da questa disposizione che prevede il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva che deve necessariamente comprendere la indipendenza della magistratura. Questo significa che la corte può giungere a condannare uno stato membro perchè ha violato il principio dell’indipendenza dei giudici facendo leva su quell’art. 2, che sembra vago, ma che vago non è perchè viene concretizzato, attraverso l’art. 19. Ulteriore sottocategoria dei principi generali del diritto dell’UE sono quelli comuni agli orientamenti degli stati membri. Questa terza categoria è di tutta evidenza che non sono principi veri e propri che si affermano nell’ordinamento dell’UE in maniera autonoma, ma sono principi che il diritto dell’UE trae e ricava dagli ordinamenti nazionali. Si va a vedere il minimo comune denominatore di un principio degli stati membri, se si ritiene che sia comune a tutti, quel principio allora viene applicato anche quale fonte di diritto dell’unione. Gli esempi sono molteplici, spesso si tratta di principi che derivano dalla logica giuridica, o comunque da esigenze di giustizia sostanziale; in realtà nei trattati di questa categoria vi sono pochissimi cenni -> uno importante è in materia di responsabilità extracontrattuale dell’UE (art. 140 TFUE prevede la responsabilità extracontrattuale dell’UE e si dice che in questa materia gli stati membri si regolano conformemente ai principi generali degli stati membri comuni). Risulta dalla prassi e della giurisprudenza della corte che uno di questi principi sia quello di legalità -> significa che i poteri delle autorità pubbliche devono formularsi su delle norme, ci deve essere una base legale sul potere delle autorità. Il principio della certezza del diritto è chiaramente tutelato dal diritto dell’UE e ci sono molte norme pratiche per attuarlo. Il principio del legittimo affidamento. Il principio di proporzionalità. Questo per renderci conto che i principi generali del diritto vanno al di là della materia specifica dei diritto fondamentali e nella giurisprudenza e nella prassi si trovano numerosissimi esempi di ulteriori principi diversi. Non vi sono ostacoli di principio a riconoscimento dell’effetto diretto ai principi generali (tutte e tre le categorie) del diritto dell’UE, perchè vi è una giurisprudenza della corte di giustizia sempre più costante, che va nel senso del riconoscimento dell’efficacia diretta di questi principi generali, sia in fattispecie verticali, che orizzontali, purché ovviamente vi siano tutti i requisiti necessari. In tema di direttive il principi di efficacia diretta incontra un limite importantissimo per cui non hanno efficacia diretta orizzontale, non può essere partecipare da sola ad un accordo. Che si tratti di accordi conclusi solo dall’UE, oppure di accordi misti, il loro rango nel sistema delle fonti è lo stesso, che emerge dall’art. 216 II paragrafo, ovvero intermedio fra i diritto primario e il diritto derivato. Un accordo può essere annullato se viola o una norma dei trattati o della carta dei diritti o dei principi generali, viceversa un atto delle istituzioni di diritto derivato può essere annullato se violano un accordo internazionale. Esiste giurisprudenza su entrambi i punti, ma noi parleremo del problema del rapporto fra atti del diritto derivato e gli accordi internazionali dell’UE -> questione che ci riallaccia l’atteggiamento della corte di giustizia quando si tratta di sindacalizzare gli atti del diritto dell’UE sulla base di fonti esterne del diritto dell’UE, come può essere un accordo. Gli accordi internazionali sono subordinati ai trattati fondamentali e alla carta, ma sono superiori agli atti delle istituzioni di diritto derivato. Questo significa che un accordo dell’UE può costituire parametro di legittimità di un atto di diritto derivato, si può invocare la contrarietà di un atto delle istituzioni al fine di far dichiarare l’invalidità dalla corte di giustizia. Questo principio deriva dal piano logico, tuttavia, la giurisprudenza della corte, sulla possibilità di impugnare atti dell’UE in base ad accordi internazionali è na giurisprudenza restrittiva -> la corte è stata molto stringente quando si è trattato di ammettere la possibilità di controllare gli atti dell’UE in base ad un accordo internazionale perchè la corte ha detto “gli accordi internazionali dell’UE possono costituire un parametro di legittimità degli atti delle istituzioni solo se quell’accordo ha efficacia diretta” La corte ha dato un importanza indebita al requisito dell’efficacia indiretta. Questo è un’operazione che risulta da una giurisprudenza della corte di giustizia estremamente criticabile, perchè chi ce lo dice che il parametro di legittimità di un atto deve avere efficacia diretta -> vuol dire un altra cosa, possibilità del cittadino di invocare dinnanzi ad un giudice. Ciò non significa che si può giustificare la legittimità di un atto solo se lo strumento è invocato in rapporto all’efficacia diretta. La giustifica dovrebbe essere ancorata ad una cosa oggettiva, non ipotetica. Eppure la corte è andata avanti su questa giurisprudenza che oggi appare consolidata. In secondo luogo quello che c’è di controverso in questa giurisprudenza è che quando la corte accerta l’efficacia diretta di una norma di un accordo dell’UE lo fa in base a dei requisiti diversi rispetto a quelli già visti; abbiamo visto che qualsiasi norma di diritto UE affinché abbia efficacia diretta deve essere chiara e incondizionata -> quando la corte invece va a identificare l’efficacia diretta di un accordo dell’UE si occupa di verificare “la natura, lo scopo e la struttura dell’accordo” che può significare tutto e il contrario di tutto. Ad esempio la corte ha escluso l’efficacia diretta della convenzione sul diritto del mare e alle norme degli accordi dell’organizzazione mondiale del commercio; ciò ebbe delle ricadute negative sulle persone che non possono invocare una norma degli accordi in questione per far controllare un atto delle istituzioni, perchè la corte dice che non ha efficacia diretta. Nella sentenza del 2008 la corte dice che la convenzione sui diritti del mare non ha efficacia non per il fatto che le norme invocate non sono sufficientemente chiare e incondizionate, ma che la natura della convenzione sul diritto del mare è tale che essa non può essere interpretata nel senso di attribuire diritti alle persone. La corte dice che i diritti delle persone non c’entrano nulla, almeno in maniera diretta. Idem succede per convenzione sugli accordi internazionali del commercio -> la corte esclude che un impresa risedente nel territorio dell’UE possa impugnare un atto dell’UE perchè gli accordi sono flessibili, che lascia tanto margine di manovra per gli stati. Tutto ciò diventa ancora più controverso se noi consideriamo che ultimamente la corte è andata oltre, per cui esiste giurisprudenza reggente della corte di giustizia in cui viene esclusa l’efficacia diretta degli accordi ambientali conclusi dall’UE con tutte le conseguenze del caso. Un esempio è la sentenza ATA del 2011 in cui la corte dice che il protocollo sulle riduzione di gas serra del 1997 non è una norma con efficacia diretta, pertanto esso non può essere usato per impugnato norme delle istituzioni. Un altro esempio riguarda la convenzione di Odus, città dell’Olanda dove fu concluso un trattato internazionale importante perchè si occupa della informazione ambientale e della partecipazione del pubblico alle decisioni in materia ambientale e dell’accesso alla giustizia ambientale -> si occupa dei diritti partecipativi ambientali. Anche riguardo a ciò la corte ritiene che non va abbia efficacia diretta alla luce della sua natura e del suo scopo. Sotto a questa giurisprudenza della corte c’è il tentativo di falsare nella misura più ampia possibile le proprie norme e di difendere il proprio ordinamento giuridico dinnanzi a minacce esterne come potrebbe essere un trattato internazionale. Questione della mancata adesione dell’unione europea alla convenzione sui diritti umani. Abbiamo visto due esempi in cui la corte di giustizia invece di fare questa giurisprudenza estensiva per dare slancio al diritto dell’UE, si richiude sull’autonomia del proprio sistema giuridico e sposa delle soluzioni che sono volte a difendere il proprio ordinamento giuridico, il proprio assetto. Evidentemente questa questione non ci soddisfa, perchè c’è di mezzo anche la tutela dei diritti umani, e quindi una soluzione estremamente importante sarebbe rappresentata dalla adesione dell’unione europea alla convenzione europea dei diritti umani del 1950. Questo perchè se l’UE aderisse a questa convenzione essa sarebbe soggetta ad un controllo esterno sulla legittimità dei suoi atti, da parte del giudice della CEDU -> caratteristica del trattato sui diritti umani è interpretato da un giudice internazionale che si chiama Corte Europea dei Diritti Umani, con sede a Strasburgo. E ciò sarebbe una garanzia importante per la tutela dei diritti umani dei cittadini. Purtroppo ciò non si è verificato perchè in due distinti paesi la corte di giustizia si è espressa in senso sfavorevole. Da un lato l’UE sarebbe controllata da esternamente dalla CEDU, ma dall’altro, il permanere della situazione attuale provoca in certi casi delle conseguenze paradossali; ossia ad oggi dato che l’UE non può essere citata dinanzi alla CEDU, perchè non ve ne fa parte, un individuo che si sente leso di una violazione della CEDU derivante dall’attività dell’UE cita in giudizio gli stati membri dell’UE o lo stato membro che concretamente ha violato la norma in questione, con la conseguenza che gli stati membri, in numerose circostanze oggi finiscono per subire le conseguenze delle violazioni della CEDU imputabili all’unione europea. Quindi la giurisprudenza è molto abbondante e quindi va in questa direzione. Molte volte si è provato a citare direttamente l’union europea, quando la violazione deriva da un trattato, ma in questo caso la corte dice che il caso è inammissibile perchè l’UE non ne fa parte. Fortunatamente la CEDU ha escogitato delle soluzioni che in qualche modo attenuano queste conseguenze negative, fatto sta che in certi casi la corte ha finito per condannare lo stato membro che si erta reso responsabile di violazioni dovute alle attività dell’UE. 17.03.2023 DIRITTO DERIVATO Per diritto derivato si intendono gli atti giuridici che le istituzioni possono adottare -> ambito attività legislativa delle istituzioni che si traduce in atti giuridici che possono assumere varie denominazioni; ma qui siamo aiutati dal fatto che nell’ambito di queste varie denominazioni ve ne sono alcune che sono quelle più ricorrenti, che sono quelli tipici di diritto derivati in quanto più utilizzati e disciplinati dall’art. 288 del TFUE: “Per esercitare le competenze dell'Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri” L’art. 288 ci da solo una traccia riguardante agli atti di diritto derivato, mentre il resto deriva dalla prassi della corte di giustizia. Questi sono gli atti tipici vincolanti, per ciascuno di questi tre atti le caratteristiche essenziali sono disciplinate dallo stesso articolo, che parla anche di raccomandazioni e pareri come atti tipici, ma si tratta di atti giuridici non vincolanti. C’è un obbligo di motivazione dell’atto usato dalle istituzioni e c’è un obbligo di indicazione del fondamento normativo dell’atto che hanno adottato (base giuridica); in più per gli atti più importanti c’è un obbligo di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Per certi atti di diritto derivato c’è un obbligo di notifica al destinatario, invece di quello di pubblicazione -> atto entra in vigore al momento della sua notifica la destinatario. Per capire se un atto adottato dalle istituzioni sia un regolamento o una direttiva o una decisione non è rilevante il nome dato dalle istituzioni a quell’atto, perchè a volte le istituzioni possono chiamare in un modo un atto ma in realtà alla luce del contenuto non si può chiamare in quel modo ma in un altro -> è irrilevante il nome iuris dato a quell’atto, ma lo è il contenuto. Inc erti casi la corte di giustizia interrogata se un certo atto sia davvero quello che le istituzioni hanno scelto, questa può può smascherare l’atto. Questo permette agli individui di impugnare l’atto -> persone fisiche e giuridiche non possono normalmente impugnare gli atti tipici vincolanti, am se è smascherato, allora l’individuo lo può impugnare. Le istituzioni no hanno una libertà assoluta nella scelta dell’atto, che non può essere arbitraria, ma c’è un limite ex art. 296 TFUE “Qualora i trattati non prevedano il tipo di atto da adottare, le istituzioni lo decidono di volta in volta, nel rispetto delle procedure applicabili e del principio di proporzionalità” Se gli obbiettivi dell’UE possono essere eseguiti con una direttive, le istituzioni nel rispetto di questo principio devono scegliere la direttiva e non il regolamento, in quanto più invasivo. Regolamenti “Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri” Le caratteristiche sono tre: 1. Portata generale: significa che ha un valore normativo, che assomiglia ad una legge generale ed astratta in tutto e per tutto. Non individua destinatari specifici, ma si rivolge alla generalità dei soggetti dell’ordinamento UE -> le istituzioni, gli stati membri e i cittadini degli stati membri (caratteristica che lo distingue dalla direttiva) 2. Totale obbligatorietà: lo stato membro non può applicare selettivamente un regolamento, scegliere solo delle condizioni da rispettare, oppure introdurre delle deroghe, ma deve essere rispettato dagli stati membri nella sua interezza. 3. Diretta applicabilità negli ordinamento degli stati membri: Va distinta dall’efficacia diretta; questa riguarda solo i regolamenti perchè è più invasivo e significa che il regolamento, una volta adottato a livello UE e pubblicato in gazzetta, è immediatamente e automaticamente applicabile negli ordinamento degli stati membri, come se fosse una vera e propria legge nazionale. È fatto quindi divieto agli stati membri di adottare qualsiasi misura di attuazione dei regolamenti UE -> viola gravemente l’art. 188 e quindi una norma di diritto primario. È un caso unico a livello mondiale e non vale per nessun altro atto. Non solo non è necessario adottare atti di recepimento, ma è fatto divieto. In Italia ciò è sottolineato con forza perchè questa si è contraddistinta perchè non riconosceva la diretta applicabilità dei regolamenti -> fino a metà anni 70 era invalsa la prassi per cui tute le volte che l’UE adottava un regolamento seguiva un decreto legislativo italiano di attuazione del regolamento che permetteva di applicarlo in Italia. Questa prassi è andata avanti finché la corte di giustizia dell’UE l’ha dichiarata violante ai trattati (sentenza Variola del 1973). La corte costituzionale italiana (sentenza 232/1975 “I.C.I.C”), conformandosi ala sentenza Variola dichiara incostituzionale un decreto legislativo Italia di attuazione di un regolamento fondandosi sulla norma chiave dei rapporti tra diritto italiano ed europeo (art. 11 cost.). L’efficacia diretta dei regolamento va presunta, sia in verticale sia in orizzontale, salvo prova contraria -> efficacia diretta dei regolamenti rappresenta un corollario dell’applicabilità diretta, la conseguenza necessaria della loro applicabilità diretta. Se ha applicabilità diretta entra negli ordinamento interni, come se fosse una legge nazionale e quindi in quanto tale può essere utilizzata da tutti i soggetti singoli, in ogni fattispecie che sia pertinente. L’efficacia diretta non riguarda solo i regolamenti ma la corte l’ha riconosciuta, sebbene con dei limiti, anche delle direttive -> i due non sono sinonimi ma vanno tenuti distinti Direttive “La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi” È evidente da ciò che la direttiva ha delle caratteristiche diverse dai regolamenti, anche se la corte di giustizia nella sua giurisprudenza ha avvicinato i due atti -> sempre per dare impulso al processo di integrazione del diritto europeo. La prima caratteristica è il fatto che non abbia portata generale come i regolamenti, infatti al contrario ha portata individuale, perchè so rivolge a soggetti specifici che sono gli stati membri -> non per forza ad uno o ad un gruppo, ma la prassi più comune spiega che sono rivolte a tutti gli stati membri, chiamate in maniera impropria generali. Ciò potrebbe confonderci perchè, anche se le direttive normalmente sono rivolte a tutti gli stati membri non hanno portata generale -> non possono essere rivolte ai cittadini. Seconda caratteristica chiara nella prassi del diritto UE è che anche la direttiva ha una integrale obbligatorietà, deve essere rispettata nella sua interezza dagli stati membri, non vi sono clausole che possono essere lasciate inadempiute. Tuttavia questo obbligo discendete dalla direttiva si atteggia in modo diverso rispetto all’obbligo he deriva da un regolamento -> come risulta dal testo questa vincola solo rispetto al risultato da raggiungere ed è lasciata gli stati membri la facoltà di scegliere i mezzi da usare. Ciò implica che a differenza dei regolamenti, le direttiva non hanno applicabilità diretta negli ordinamenti interni; esse devono essere attuate dagli stati membri con norme nazionali che possono essere chiamate di recepimento o di trasposizione e lo deve fare antro un termine fissata dalla stessa direttiva che si chiama termine di recepimento -> in ogni direttiva c’è una clausola finale in cui è scritta il tempo entro il quale la direttiva deve essere attuata. Ciò è l’esatto apposto dai regolamenti, perchè mentre in questo vi è un obbligo non adottare un atto di recepimento, qui vi è un obbligo di adottarne -> qui si viola ‘art. 288 se non si adotta una normativa di recepimento. La corte ha individuato una sola eccezione a questa obbligo, ovvero nel caso in cui il suo ordinamento è già conforme alla direttiva. L’obbligo scatta una volta che il termine di recepimento scade, si parla di obbligo differito nel tempo. La corte di giustizia nel 1997 ha detto che in tendenza del termine di recepimento vige sullo stato l’obbligo di non aggravamento della situazione -> astenersi dall’adottare atti che sono gravemente incompatibili con la direttiva. Tuttavia queste caratteristiche sembrerebbero opporsi al riconoscimento degli effetti diretti delle direttive; in origine erano molte le direttive adottaste dall’UE e succedeva che in molti casi, molti stati lasciavano decorrere il termine di reperimento, lasciando la direttiva inattuata oppure attuavano una normativa di attuazione ce era incompatibile con il diritto dell’UE -> era l’atto maggiormente usato e sistematicamente violato dagli stati membri. Ciò che ha mosso al corte è al consapevolezza che se non avesse fatto qualcosa per rimediare i processo di integrazione europea correva i rischio di incepparsi, la procedura di infrazione non da mai dei benefici agli individui -> sanzioni pecuniarie da parte dello stato membri e agli individui non viene riconosciuto nulla (potevano avere dei diritti bastai sulla direttiva), la corte con la sentenza Van Doyn del 1974 riconosce l’efficacia diretta delle direttive. In un caso successivo che nasce in Italia la corte fornisce una spiegazione del riconoscimento dell’efficacia diretta alle direttive: sentenza Ratti DEL 1979. La direttiva riguardava l’etichettatura delle vernici, il signor Ratti era l’imprenditore e lui si conforma alla direttiva, anche se l’Italia non aveva recepito la direttiva. Questa attività portata avanti, è conforme alla direttiva europea, però viola in diritto penale italiano -> istituito un procedimento penale a carico del signor ratti. Il giudice penale italiano chiede al corte di giustizia se la direttiva sull’etichettatura delle vernici produca effetto diretto. la corte 5 anni dopo dice che anche in vincolante per la corte, he può ben discostarsi. Sono sempre un documento corposo in cui l’avvocato fa una sorta di tesi sull’argomento. questi avvocati generali vengo anch’essi nominati di comune accordo dai governi degli stati membri, non c’è un numero prestabilito (ora sono 11) di cui la prassi vuole che 5 siano necessariamente uno italiano, uno spagnolo, uno francese, uno tedesco e uno polacco che hanno diritto ad un avvocato generale permanente -> causato dal maggiore peso politico che hanno questi stati. Non può essere paragonato a nessun soggetto che agisce nel processo italiano, tipo il PM, che non sono assimilabili a lui -> lo possiamo pensare al massimo come un “amicus umile”, un amico della corte che cerca di aiutarla con le sue sentenze. Tanto che le parti non hanno diritto di replica alle conclusione dell’avvocato generale. Questo perchè appunto non è un magistrato ma un mero assistente della corte. È raro che la corte agisca in un seduta plenaria, mentre normalmente delibera nelle sezioni, composte da 3 o 5 giudici. “Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati” Ciò ci fa capire le funzioni della corte sono si tipo giurisdizionale -> normalmente sono di tipo contenzioso, ossia al corte si occupa di risolvere controversie concrete, nella maggior parte dei casi. Accanto a questa funzione ne esiste una consultiva -> emette dei pareri e non delle sentenze. Il più importante è quello riguardo la compatibilità degli accordi dell’UE con i trattati dell’UE. Tutte le volte che l’UE vuole stipulare un accordo internazionale a si può chiedere un parere alla corte se quell’accordo sia conforme ai trattai dell’UE; se dice che quel trattato con è conforme l’accordo non entra in vigore e non può essere stipulato dall’eu, o nel caso successivo deve essere eliminato in qualche modo (XI paragrafo art. 318). Per quanto riguarda il tribunale dell’UE, questo è diventato importante perchè una massa enorme di ricorsi sono anzitutto esaminati da lui. A differenza della corte, che esiste da sempre, è stato creato solo successivamente, con una decisione del consiglio del 1988 -> all’inizio si chiamava tribunale di primo grado. In realtà dopo la riforma di Lisbona si parla solo di “tribunale” perchè se venisse istituito un tribunale specializzato, il tribunale diventa giudice di secondo grado. Però questa genesi del tribunale ci fa capire che l’esigenza fondamentale per cui è stato istituito il tribunale accanto ala corte è quello di prevedere il principio del doppio grado di giudizio nel’UE -> le sentenze di primo grado devono poter essere impugnate da un altro giudice, mentre prima esisteva un’unica articolazione giudiziaria che era la corte e quindi non c’era spazio per rispettare il principio del doppio grado di giudizio. Inoltre fu istituito per alleggerire il carico di lavoro della corte rischiando di bloccarsi. La creazione del tribunale non ha comportato una piena accettazione da parte del sistema del principio di doppio grado di giudizio, per due motivi: 1. Le sentenze del tribunale sono impugnabili dinnanzi alla corte di giustizia solo per motivi di diritto e non anche per motivi Dif atto. Infatti il fatto rimane quello che è stato accertato dinnanzi al tribunale, in un unico grado di giudizio -> assomiglia più a quello che in Italia è il ricordo per cassazione che si occupa solo dei profili di diritto. 2. La competenza del tribunale è limitata, non ha una competenza a tuto campo, che riguardi tutti i ricorsi che possono essere proposti dinanzi alla corte, ma esamina solo specifiche categorie di ricorso. È possibile attribuire nuove competenze al tribunale, tuttavia ora la competenza di questo è molto limitata. Il tribunale ha una competenza generale senza limiti per i ricorsi proposti da persone fisiche e giuridiche -> se ricorrente è un individuo o un’impresa, qualsiasi ricorso deve essere riportato in primo grado dinanzi al tribunale. Ha invece una competenza più limitata invece per i ricorsi presentati dagli stati membri e dalle istituzioni. Due competenze fondamentali non riguardano il tribunale, non si è ancora deciso di attribuirgli una competenza in materia di “ricorso di infrazione” che serve per far dichiarare che uno stato membro ha infranto qualche del diritto dell’unione europea, che vanno fatti valere per forza di fronte alla corte di giustizia, e la competenza pregiudiziale. Sistema di tutela giurisdizionale dell’UE Finora abbiamo detto die ruoli della CG come istituzioni dell’UE, tuttavia il modo corretto per intendere il sistema di funzionamento della tutela giurisdizionale è che esso si articola su due livelli: uno europeo, che fa capo ala corte di Lussemburgo e uno nazionale che fa carpo ai giudici degli stati membri. Conseguenza è il fatto che i giudici degli stati membri hanno il potere e il dovere di applicare il diritto dell’UE; questo livello nazionale di tutela nazionale giurisdizionale è quello più importante in assoluto -> se il diritto dell’ue viene applicato correttamente e rigorosamente dai ugiudcii nazianli non c’è bisogno di rivolgersi alla CG (ha comptenza meno importante di quella dei giudiizi nazionali). Il fatto che lee posizioni devono essere tutelate in primis dai giudici degli stati membri discende dalla lettera dei trattati. Art. 19 I paragrafo II comma “Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione” Conferisce ai giudici degli stati membri i ruolo fondamentale di tutelare gli individui che hanno posizioni nel diritto dell’UE -> in maniera effettiva, non ci devono essere lacune. I fatto che il ruolo dei giudizi sia cruciale lo vediamo già nella definizione dell’efficacia diretta che permette di impugnare il atto direttamente davanti ai giudici degli stati membri. Il sistema è caratterizzato dalla completezza, ossia che deve essere in grado di fornire tutela a tutte le posizioni soggettive fondate sul diritto dell’UE, senza lacune di tutela. La si ottiene solo combinando due livelli di tutela -> livello europeo e nazionale devono interagire in modo da prestare tutela a tutti i diritto fondati sul diritto dell’UE. Sentenza Levert vs parlamento europeo. Il partito ecologista francese contestava una decisione del parlamento europeo con cui erano state distribuite le somme per la partecipazione alle elezioni politiche europee del 1984 a tutti i partiti europei; loro dicono di aver subito una violazione de loro diritti e quindi citano il parlamento europeo in giudizio davanti alla corte per chiedere di annullare la sua decisione. Il problema all’epoca era che il parlamento non era contemplato fra i possibili convenuti per un azione di annullamento. La corte dice che alla luce del principio della completezza del sistema di tutela giurisdizionale della necessità di tutela effettiva delle situazioni e posizioni dei soggetti in base al diritto dell’UE, questa assenza del parlamento europeo dal novero dei possibili convenuti la chiama una mera lacuna dei trattati e quindi riconosce in questa sentenza che è possibile citare in giudizio il parlamento anche se i trattati non lo prevedevano espressamente -> tutto in nome della completezza della tutela giurisdizionale. In questo sistema su due livelli possiamo intanto isolare delle competenze giurisdizionale dirette ed esclusive della corte di giustizia -> ricorsi che devono essere necessariamente di fronte alla corte di Lussemburgo (a livello europeo i giudizi nazionali non hanno competenze). Parleremo di ricorso “per infrazione”, ossia il ricorso che viene proposto contro gli stati membri considerati inadempienti del diritto dell’UE e serve per far dichiarare alla corte che lo stato membro ha violato il diritto dell’UE. Così come è diretto il “ricorso di annullamento diretto contro atti delle istituzioni europee”, usato quando si vuole chiedere un annullamento degli atti delle istituzioni per cui occorre rivolgersi per forza alla corte di giustizia; i giudici nazionali non hanno competenza i questo campo. Così come sono incompetenti per quanto riguarda le azioni di risarcimento danni contro le istituzioni dell’unione che hanno violato il diritto dell’UE causando danni agli individui; da non confondere con il risarcimento che si chiede ai giudizi nazionali perchè uno stato membro ha violato il diritto dell’UE, che si chiede a carico delle istituzioni dell’UE per una loro violazione. Questi ricorsi per “danni all’unione europea” possono essere chiesti solo alla e dalla corte di giustizia. Questo a livello europeo che fa capo alla corte, mentre tutte le altre situazioni fattispecie possono essere esaminate e decise dai tribunali nazionali. È chiaro che il livello europeo e nazionale non possono operare e agire come se fossero due pianti diversi, ognuno andando per la propria strada -> è nella logica del sistema, ed esiste una importante competenza indiretta della corte di giustizia che è quella concernente la procedura di rinvio pregiudiziale. Per tutela la uniformità del diritto dell’UE, per far si che il diritto dell’UE sia applicato allo stesso modo da tutti giudici dei 27 stati membri, quando un giudice nazionale ha un dubbio sull’interpretazione del diritto UE, esso, a seconda dei casi, può o deve rivolgersi ala corte di giustizia. Si sospende il processo nazionale e si solleva il ricorso pregiudiziale alla corte di giustizia. È una competenza indiretta perchè qui la controversia non nasce dinanzi alla corte di giustizia di Lussemburgo, ma il caos è introdotto e deciso a livello nazionale, la corte di giustizia è interpellata incidentalmente, nell’ambito dell’esame del caso, ma a seguito di un dubbio di un giudice nazionale. La corte emana poi una sentenza stragiudiziale in base della quale il giudice che ha sollevato il caos deve decidere la controversia -> non è la corte che decide il caso, ma fornisce al giudice nazionale tutto ciò che serve per decidere il caso. Questa sentenza stragiudiziale che copre la maggioranza dei casi, ha un ruolo cruciale per far si che i due livelli di tutela giurisdizionale comunichino fra di loro, garantendo così la uniforme interpretazione del diritto dell’UE; senza questa competenza indiretta i casi divergenze interpretative del diritto dell’UE si sprecherebbero, invece così la corte guida l'interpretazione del diritto UE da parte di tutti i 27 stati membri. Queste competenze della corte riguardano il vecchio pilastro comunitario dell’UE, il nocciolo del diritto dell’UE, ovvero tutto ciò che è rivisto nel TUE e nel TFUE ad eccezione della competenza della PESC, per cui la corte è incompetente. Riguardo il terzo pilastro dell’UE, ovvero il diritto del procedura penale, prima del trattato di Lisbona la Corte era largamente incompetente, oggi invece questo limite è venuto meno e quindi la corte è pienamente competente. Anche in questa materia ci sono rimasti dei limiti per la corte, come residuo della vecchia situazione, art. 276 TFUE: “la Corte di giustizia dell'Unione europea non è competente a esaminare la validità o la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno Stato membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna” La corte può occuparsene ma tipo no può decidere un caso che riguardi la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia. Sono stati fatti passi da giganti ma qualche residuo rimane ancora oggi. Ricorso per infrazione Sono 3 le norme del TFUE che se ne occupano (258-259-260). È un ricorso che serve per contestare davanti alla CG che uno stato membro ha violato il diritto dell’UE, mira ad ottenere dalla corte una pronuncia che accerti l’inadempimento del diritto UE da parte dello stato membro convenuto. vi sono due possibili attori: normalmente è la Commissione (commissione vs stato membro), oppure la variante marginalizzata è che sia un altro stato membro (ricorso intestatale per infrazione -> stato vs stato). In queste due varianti il ricorso della commissione è quello più improntate anche perchè nella prassi sono maggiori questi, salvo eccezioni sparite; questo per considerazioni politiche, ovvero per il timore di subire reciprocità. Quindi normalmente è la commissione che si occupa di questo tipo di ricorsi -> commissione europea che ha il ruolo di guardiana dei trattati. Art. 258 TFUE “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni” I poteri della commissione in sede di ricorso per infrazione sono caratterizzati da una considerevole discrezionalità, ovvero è lei che decide in autonomia se conviene attivare la procedura per infrazione, se portare avanti la procedure, se rivolgersi alla corte di giustizia dopo aver esperito una fase preliminare con lo stato. Non si può parlare di un obbligo della commissione di citare in giudizio dello stato membro anche dal punto di vista pratico -> si concentra sui casi più importanti lasciando da parte i casi minori sui generis. Il ricorso in carenza serve per agire contro omissione delle istituzioni che riguardano un obbligo di agire per le istituzioni, ma una libertà -> la mancata apertura di un procedimento per infrazione, l’omissione della commissione non potrà essere oggetto di un ricorso in carenza che non riguarda questo atti perchè sono discrezionali e non obbligatori. La violazione deve provenire da uno stato membro, comprensivo di tutti i suoi organi dello stato, non solo le violazioni dovute ad un atto del governo/parlamento. Non c’è alcuna distinzione in merito agli obblighi, può trattarsi di qualsiasi obbligo -> di diritto primario, violazione dei trattati, della carta, di diritto intermedio, degli accordi dell’UE, o di violazione del diritto derivato. In capo agli stati membri sorge una responsabilità, non per colpa o dolo, ma è una responsabilità oggettiva, pressoché assoluta -> sono rari i casi in cui la corte accetta giustificazione scusanti dell’inadempimento, ma spesso la corte non fa sconti. Sentenza della corte del 2010 “rifiuti in Campania” l’Italia gravemente inadempiente rispetto alle direttive in materia di rifiuti dell’UE, si vede recapitare un ricorso per infrazione; Italia prova a difendersi dicendo il problema della prevalenza della criminalità in Campania che impedirebbe di rispettare le direttive sui rifiuti oppure dice che non hanno le discariche per l’ostilità degli abitanti campani. La corte non accetta queste giustificazioni, is tratta di una responsabilità oggettiva. Un limite importante riguardo a questo ricorso è il fatto che le persone singole fisiche e giuridiche non possono aprire una procedura di infrazione nei confronti di uno stato inadempiente, l’attore è la commissione o un altro stato, il signor rossi non potrà ma essere l’attore -> al massimo gli individui possono annunciare alla commissione una violazione (diritto di petizione/denuncia), ma la commissione può tranquillamente ignorare la sollecitazione e decidere di no aprire la procedura. L’unico strumento diretto per far applicare il diritto dell’UE per cui ne corrispondono gli individui è l’efficacia diretta del diritto dell’UE. si articola su due fasi, una precontenziosa e una contenziosa. Nella prima fase ha più importanza perchè se questa fase non viene esperita dalla corte di giustizia allora la commissione non potrà adire alla corte. Anzitutto la commissione indirizza allo stato membro la lettera di messa in mora che serve per contestare allo stato l’addebito e lo invita a presentare quelle osservazioni di cui parla l’art. 258 entro il termine fissato dalla commissione. Se questa non è soddisfatta delle osservazioni dello stato membro e intende proseguire il processo, essa emana il parere motivato, atto perentorio con cui la commissione fissa definitivamente l’addebito e pattuisce un termine perentorio allo stato entro cui questo deve mettersi in regola e conformarsi al diritto dell’UE; se non o fa entro il termine la commissione può rivolgersi alla corte di giustizia. Questa fase svolge il ruolo fondamentale di pervenire ad una composizione amichevole della controversia, di mettersi d’accordo in maniera amichevole senza il bisogno della corte di giustizia -> serie di scambi con lo stato membro per cercare di evitare il ricorso alla corte di giustizia, che si atteggia come estrema ratio. Nella seconda fase, quella contenziosa, gli avvocati delle parti si fronteggiano davanti alla corte di giustizia a Lussemburgo, l’avvocato generale emette le sue conclusioni e da ultimo la corte emana la sua sentenza. In quanto organo indipendente la corte non deve seguire le conclusioni dell’avvocato genera e nemmeno il parere della commissione. La sentenza che adotta è una sentenza di mero accertamento, per cui la corte si limita a dichiarare che uno stato abbia violati il diritto dell’UE; non è una sentenza costitutiva, tanto meno una sentenza di condanna, ma si limita a dare atto all’inadempimento posto in essere dallo stato membro. Come si fa a garantire l’effettività e l'efficacia di questo rimedio? Come si fa ad indurre lo stato a conformarsi alla sentenza della corte? In origine i trattati non prevedevano nessuno strumento che avesse questa funzione, per cui in realtà il ricorso per infrazione era un’arma spuntata perchè non può mai arrivare un interesse ed individuale che autorizza l’impugnazione da parte di un individuo di un atto che non è formalmente destinatario. La giurisprudenza della CG ha detto che per “diretto” si deve intendere che l’atto deve esso stesso predicare direttamente i diritti dell’individuo e non da misure di attuazione dell’atto adottate dalle istituzioni o dagli stati membri, mentre individuale, con una interpretazione più restrittiva possibile, deve essere il titolo con cui un individuo impugna un certo atto -> sentenza Plauman vs Commissione del 1963; impresa tedesca che agisce contro la commissione per l’annullamento di una sua decisione che aveva vietato alla Germania l’autorizzazione a sospendere la riscossione di dazi su agrumi provenienti da stati terzi; la Plauman può impugnare questa decisione solo se vi sia un interesse individuale. La corte dice che la società non è titolare di un ricorso individuale. La corte individua cosa si intende per interesse individuale: “Chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualora il provvedi mento lo colpisca a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari. Nel caso in esame, il provvedimento impugnato colpisce la ricorrente nella sua qualità di importatrice di clementine, cioè a causa di un'attività commerciale che può essere sempre esercitata da chiunque e che non è quindi atta ad identificare la ricorrente, agli effetti della decisione impugnata, nello stesso modo dei destinatari. La domanda di annullamento è per conseguenza inammissibile.” È una società che sicuramente subisce un danno ma che non può impugnare quella decisione perchè la corte interpreta in maniera restrittiva il principio dell’interesse individuale. Comunque esistono delle sentenze successive in cui la corte ha permesso l’impugnazione in quanto esisteva l’individualità -> Extramet del 1991, era la principale importatrice di calcio metallico e Codormiun 1994, società che opera nella produzione di vini spumanti che agisce contro il consiglio perchè impugna un regolamento. Il regolamento non è destinato agli individui, ma per definizione ha portata generale. In questo caso stabilisce le norme di presentazione di vini e spumanti -> esso riservava la dicitura “Cremant” ai produttori francesi e lussemburghesi. La corte dice che Codorniu possiede un interesse individuale e l’impugnazione è possibile. La circostanza speciale è il fatto che l’impresa ha un marchio sulla dicitura Gran Cremant da tanto tempo; la corte dice che “la Codorniu ha registrato il marchio denominativo «Gran Cremant de Codorniu» in Spagna nel 1924 e che ha fatto uso tradizionalmente di tale marchio sia prima sia dopo tale registrazione. Riservando ai soli produttori francesi e lussemburghesi il diritto di far uso della dicitura «crémant», la disposizione controversa giunge al risultato di impedire alla Codorniu di far uso del suo marchio denominativo”. Da questa giurisprudenza permissive si evince che la corte ha fatto spazio a ipotesi in cui le persone possono dimostrare quando hanno un interesse individuale secondo la sentenza Plauman, ma questa rimangono intatte per cui se non c’è questa caratteristica particolare il ricorso rimane inammissibile. 3. Atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione. Introdotta nel trattato di Lisbona per cui gli individui possono impugnare atti regolamentari (unica volta che si usa questa espressione) rispetto ai quali basta l’interesse diretto e non anche individuale, ma che però non deve importare alcuna misura di esecuzione. Per atti regolamentari la corte ha inteso atti non legislativi di portata generale e quindi atti di diritto derivato molto meno importanti. Dice portata generale perchè se fosse stato atto individuale sarebbe stato già coperto dalla seconda ipotesi. CG, Inuit del 2013, per cui ciò che è in questione è un regolamento legislativo che mette al bando i prodotti derivati dalla foca, per motivi di protezione degli interessi degli animali e dell’ambiente. Una serie di queste imprese impugna questo regolamento del legislativo facendo valere la terza ipotesi e la corte dice che quella domanda è inammissibile -> hanno un interesse diretto, ma non individuale (sarebbe finita come Plauman), però questa azione fallisce perchè per la corte non è un atto regolamentare, mentre questa ipotesi riguarda solo gli atti non legislativi di portata generale. permette di aumentare i ricorsi di annullamento ma solo per atti non legislativi di portata generale. Questa terza possibilità andrebbe ridimensionata perchè non risolve il problema della tutela completa e piena degli individui colpiti dagli atti di diritto derivato. Un problema è il fatto che questa completezza della tutela giurisdizionale del diritto dell’UE non è assoluta, perchè -> tutte le volte che c’è un pregiudizio che deriva da un atto dell’UE i danneggiati dovrebbero avere un rimedio contro quell’atto, ma in realtà non è così a causa di misure molto restrittive. Tutte le volte che si propone un ricorso di annullamento di fronte a CG o un giudice nazionale si devono far valere dei vizi di legittimità dell’atto e dei motivi di validità. II comma: “la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione, ovvero per sviamento di potere” Il vizio relativo alla violazione dei trattati delle regole di diritto inerenti alla loro applicazione è il vizio di gran lunga più importante per raggruppare anche gli altri; l’oggetto del ricorso di annullamento sono atti di diritto derivato, quindi quando si invoca il riscorso ad una norma deve trattarsi di una norma di diritto UE sarà chiaramente superiore all’atto del diritto derivato, quindi primario o intermedio. Ciò finisce ricomprendere anche il vizio di incompetenza, perchè incompetenza significa che l’istituzione che ha adottato l’atto non aveva la competenza per farlo e ciò si ripercuote anche sulla violazione di una norma dei trattati. Violazione delle forme sostanziali si riferisce alla violazione di formalità importanti che vanno rispettate affinché quell’atto sia valido -> violazione obbligo di motivazione o obbligo consultazione del parlamento europeo. sviamento di potere significa che l’UE ha la competenza in materia, ha il potere di applicare quell’atto, ma quel potere viene sviato e usato ad altri fini; anche questo comporta la violazione di una norma dei trattati. Il VI comma disciplina il termine per impugnare un atto di diritto derivato: “I ricorsi previsti dal presente articolo devono essere proposti nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell'atto, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza.” È un termine molto stretto e gli avvocati devono essere vispi. l’art. 264 I comma disciplina in maniera rapida l’efficacia delle sentenze con cui la corte annulla l’atto per uno dei motivi appena ricordati: “Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato” Da punto di vista temporale la nullità ci fa venire in mente la retroattività dell’annullamento alla data in cui l’atto è stato adottato; da un punto di vista personale invece le sentenze hanno portata generale , valgono erga omnes nei confronti di tutti gli stati membri e non solo nei confronti del ricorrente. II comma: “Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi” Questa formula significa che la corte può dire che l’atto che sia stato annullato totalmente o parzialmente non ha efficacia retroattiva, ma vale solo per il futuro -> potere di dichiarare che la sentenza d annullamento abbia effetti ex nunc e non ex tunc (è la sentenza che dice a partire da quale data iniziano gli effetti dell’annullamento). Se si dessero effetti ex nunc alla sentenza violerebbe dire violare il principi di affidamento che gli autori avevano avuto sulla validità dell’atto. 31.03.2023 Ricorso in carenza (art. 265 TFUE) Serve per far accertare ala CG che una istituzione dell’UE ha omesso di agire. È stata carente rispetto ad un atto, comportamento che doveva tenere; per impugnare omissioni delle istituzioni, comportamenti che le istituzioni erano tenute a porre in essere e che invece si sono astenute (carenza = omissione). “Qualora, in violazione dei trattati, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione o la Banca centrale europea si astengano dal pronunciarsi, gli Stati membri e le altre istituzioni dell'Unione possono adire la Corte di giustizia dell'Unione europea per far constatare tale violazione” È un ricorso diretto contro le istituzioni politiche dell’UE, che sono i legittimati passivi; i legittimati attivi sono gli stati membri e le altre istituzioni dell’UE (consiglio vs parlamento). A differenza delle azioni di annullamento qui anche il consiglio europeo può essere attore e non solo convenuto. Questo è un ricorso poco usato, sono più i casi in cui gli individui impugnato un atto concretamente adottato, in cui si usa annullamento. I presupposti sono che deve esistere un obbligo di agire a carico delle istituzioni, non può essere un comportamento discrezionale -> se c’è discrezione quel comportamento non può formare oggetto di un ricorso in carenza, ma ci deve essere un obbligo i agire a circo delle istituzioni (“in violazione dei trattati”). Sappiamo che il ricorso per infrazione è caratter da una amplissima discrezionalità della commissione; se un individuo denuncia che Italia ha violato il diritto dell’UE, la commissione non ha l’obbligo di portare avanti il ricorso, perchè è un potere discrezionale -> caso Star Food del 1989 in cui la CG dice che questo presupposto non è rispettato perchè la società voleva impugnare omissioni della commissione nello svolgimento delle fasi di cui consta la procedura di infrazione. In secondo luogo ci deve essere la violazione di quell’agire; in terzo luogo non si può andare dinanzi alla corte senza aver esortato l’istituzione a mettersi in regola -> sorta di fase precontenziosa, ma chi ha interesse ad agire prima fa una sorta di messa in mora, II comma: “Il ricorso è ricevibile soltanto quando l'istituzione, l'organo o l'organismo in causa siano stati preventivamente richiesti di agire. Se, allo scadere di un termine di due mesi da tale richiesta, l'istituzione, l'organo o l'organismo non hanno preso posizione, il ricorso può essere proposto entro un nuovo termine di due mesi” Prendere una posizione significa anche rifiutarsi di tenere quel comportamento perchè la istituzione si rifiuta. Il III comma riguarda la legittimazione attiva: “Ogni persona fisica o giuridica può adire la Corte alle condizioni stabilite dai commi precedenti per contestare ad una istituzione, organo o organismo dell'Unione di avere omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere” Questa terminologia può far pensare che gli individui possono agire solo quando le istituzioni non hanno emanato una decisione individuali, perchè solo queste sono emanate nei confronti di persone fisiche giuridiche, hanno una portata individuale; tuttavia è intervenuta la CG con una giurisprudenza che ha cercato di uniformare la disciplina dell’azione individuale di annullamento con quella dell’azione individuale per carenza “individui possono agire in carenza anche quando omissione riguarda un atto di portata generale” -> esigenza di giustizia, per allargare la possibilità di ricorso degli individui (T-Port del 1996). Tuttavia deve dimostrare di averte un interesse individuale colpito dalla mancanza di questo atto -> niente di più di quello che la corte ha detto nella sentenza Plauman. Le sentenze al termine della procedura sono di mero accertamento, la corte dichiara solo che l’istituzione ha violato il diritto UE non avendo tenuto un comportamento che essa doveva tenere. Ricorso per risarcimento danni È un ricorso per risarcimento derivante dalla responsabilità extracontrattuale dell’Unione Europea, per cui la corte gli impone un obbligo di risarcire i danni sofferti dagli individui (art. 268 TFUE). Non si tratta solo di annullare un atto, ma è un ricorso ce vuole ottenere un risarcimento danni a carico del bilancio dell’UE, per i danni arrecati agli individui a carico delle istituzioni. Le norme dei trattai qui ci aiutano poco, perchè l’art. 268 rinvia all’art. 340 II e III comma che in realtà ci dice poco di più: “In materia di responsabilità extracontrattuale, l'Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni” Il III comma parla della deroga in merito al fatto che se la BCE è tenuta a risarcire questi danno deve farlo a proprio carico. Lo statuto della corte di giustizia chiarisce i legittimati attivi e passivi -> gli attori nella maggior parte dei casi sono gli individui, le persone fisiche e giuridiche, ma possono essere anche gli stati membri; dal alto passivo è l’unione nel suo complesso che deve risarcire ma si deve agire contro tutte le istituzioni ivi comprese le istituzioni giudiziarie. Ci sono molti casi che riguardano organismi agenzie dell’UE -> no solo le istituzioni ma diritto esempio il mediatore del parlamento europeo, oppure l’agenzia del farmaco dell’UE. Il termine di prescrizione contemplato dallo stato è di 5 anni dal fatto; si potrebbe intendere all’atto illecito o 5 anni da quando si è prodotto il danno. La seconda è più favorevole all’individuo e quella scelta dalla corte. Quanto ai requisiti, sappiamo che questa responsabilità extracontrattuale deve essere disciplinata in conformità ai principi generali degli ordinamenti nazionali degli stati membri (in Italia ex. Art. 2043) -> gli stessi 3 requisiti ex art. 2043 sono quelli che si applicano anche in questi casi contro UE. La corte però ha chiarito meglio la natura dei presupposti dell’azione dei danni contro istituzioni dell’UE -> accanto ai 3 requisiti classici la corte ha aggiunto due ulteriori requisiti che riguardano casi speciali, ovvero i casi in cui le istituzioni europee avevano una certa discrezionalità nella loro azione e soprattutto quando si tratta di attività normativa delle istituzioni. No chiedere un danno perchè la commissione ha irrogato una sanzione spropositata, ma ad esempio nascenti dalle attività legislativa delle istituzioni, derivante da un regolamento o da una direttiva. questo casi occorrono anche: 1. Violazione dell’atto illecito che deve però riguardare una norma preordinata a conferire diritti alle persone, e non una norma qualsiasi 2. Non deve trattarsi di una violazione qualsiasi, ma grave e manifesta. Si capisce che questa responsabilità non scatta in ogni caso, soprattutto nei casi più importanti. Così la corte ha parificato i requisiti della responsabilità extracontrattuale dell’UE ai requisiti della responsabilità Francovich vs gli stati membri. Altra cosa importante è che la corte esclude che ci possa essere una responsabilità senza colpa nel diritto dell’UE -> caso FIAMM del 2008. delle istituzioni europee. Tale prassi rimase in vigore fino al 1989, anno in cui venne approvata legge La Pergola, sostituita dalla successiva legge 11/2005 e dall’atto di legge 234/2012 che disciplina la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea. Mancava però qualcosa di organico che potesse permettere il meccanismo legislativo annuale così è intervenuta una legge “organica” in vigore sin dal 1989 che ha permesso al Parlamento, ogni anno, di approvare uno o più provvedimenti volti a Conformare l’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dall’ordinamento europeo. La legge la Pergola e la legge 11/ 2005 prevedevano un unico strumento legislativo annuale, mentre la legge 234/ 2012 contempla due distinti provvedimenti: • La legge di delegazione europea: deve essere presentata alle Camere ogni anno entro il 28 febbraio; essa contiene disposizioni che autorizzano il governo all’attuazione delle direttive in via regolamentare per le materie che l’art. 117 della Costituzione riservava alla competenza esclusiva dello stato. Pertanto il regolamento nazionale adottato modifica quindi le norme nazionali preesistenti. La legge di delegazione, inoltre, contiene una delega dal Parlamento al Governo ai sensi dell’art. 76 della costituzione. • La legge europea: da attuazione diretta agli obblighi derivanti dal diritto dell’Ue attraverso l’abrogazione o la modifica di disposizioni statali vigenti. Tale metodo viene seguito in 4 fasi: 1. L’abrogazione o modifica delle disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia all’unione. 2. La modifica sull’abrogazione delle disposizioni oggetto di procedura di infrazione o di sentenze della corte di giustizia. 3. Per assicurare l’applicazione di atti dell’Unione Europea. 4. Per dare esecuzione trattati internazionali conclusi dalle relazioni estere. Il metodo della legge europea viene seguito per obblighi puntuali e di semplice definizione, dal momento che implica l’approvazione da parte del Parlamento della specifica modifica legislativa. La legge 234/2012 si occupa anche dell'attuazione del diritto dell'Unione da parte delle Regioni. Ad esse viene riconosciuto un ruolo sempre maggiore sebbene solo lo Stato rimanga responsabile nei confronti dell'Unione per il mancato rispetto del diritto UE. La legge 234/2012 prevede, infatti, che le Regioni e le Province autonome diano attuazione immediata alle direttive, nelle materie di loro competenza, senza attendere un preventivo intervento dello Stato. Ciò non toglie che lo Stato possa determinare i provvedimenti che indichino i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o assicurare l'applicazione di atti dell'Unione nelle materie dell'art. 117 comma 3. Si è evidenziato che SOLO lo Stato è responsabile per inadempimento dei confronti del rispetto dell’applicazione del diritto dell’Unione, pertanto se una regione o una provincia si dimostra inadempiente verso un atto dell’Unione, la tutela costituzionale prevista data allo stato si traduce attraverso uno strumento, ossia la sostituzione. Tale sostituzione può essere preventiva o successiva, nel qual caso, una volta decorso il termine per l'attuazione il Consiglio dei Ministri provvederà direttamente oppure la Commissione. ➢ Questo sistema lo si può ricondurre al ricorso di infrazione. LA DEFINIZIONE DEL PRINCIPIO DEL PRIMATO: il “problema” del principio del primato viene a crearsi nel momento in cui le fonti del diritto dell’Unione devono entrare a far parte dell’ordinamento interno dei singoli stati membri e il problema sta proprio nel determinare quale tipo di rapporto viene a crearsi tra le fonti esterne ed interne nell’ordinamento di uno Stato membro. Come abbiamo esordito nella parte introduttiva, il primato del diritto dell’unione europea può essere definito come la capacità di una norma direttamente efficace di diritto dell’unione di prevalere sulla norma di diritto nazionale incompatibile e con essa contrastante, comportandone la disapplicazione. Per norma direttamente efficace, come abbiamo già visto precedentemente, si intende una norma dotata dei requisiti della chiarezza e della incondizionatezza, individuando quindi chi sia il titolare del diritto, chi sia il titolare dell’obbligo e quale sia il contenuto del diritto o dell’obbligo. Il principio del primato può assumere due configurazioni diverse: 1. Il primato in senso ampio: che garantisce che tutti i cittadini dell’Unione siano tutelati uniformemente dal diritto dell’Unione. 2. Il primato-disapplicazione: che comporta la disapplicazione (non l’incostituzionalità) della disposizione interna incompatibile con la norma di diritto Ue. Per quanto riguarda il principio del primato-disapplicazione, da un punto di vista logico, è strettamente connesso al principio dell’efficacia diretta poiché, se l’efficacia diretta non si saldasse con il primato, la norma del diritto Ue non potrebbe concretamente creare diritti in capo ai soggetti di quegli ordinamenti degli stati membri in cui fossero presenti norme interne incompatibili, facendo variare la norma Ue negli ordinamenti interni degli stati membri. Evoluzione storica: inizialmente il rapporto tra le norme interne ed esterne negli ordinamenti non era competenza della Corte di Giustizia, ma era un problema costituzionale; questo fatto lo si può riscontrare in una sentenza ormai nota: Causa 26/62, Van Gend en Loos c. Amministrazione olandese delle imposte. Il giudice nazionale olandese richiede un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per chiedere se l’art. 12 del trattato CEE abbia effetto interno;In altre parole, si voleva sapere se i cittadini degli Stati membri possano trarre direttamente dei diritti, tutelati da tale articolo, che anche il giudice è tenuto a tutelare. Il governo belga, che interviene in giudizio, ritiene che si rimanga nel campo del diritto costituzionale e che la controversia fosse risolta esclusivamente attraverso le competenze del giudice nazionale olandese, ma questa soluzione porterebbe di fronte a due atti internazionali, entrambi recepiti nell’ordinamento nazionale, per cui sulla base del diritto interno (le le due disposizioni fossero in contrasto tra di loro) prevarrebbe la disposizione del trattato antecedete rispetto a quello successivo. Va poi rilevato che i cittadini degli Stati membri della comunità collaborano, attraverso il Parlamento europeo e il comitato economico e sociale, alle relative attività della comunità stessa. A questo proposito viene evidenziato l’art. 177 TFUE, il quale articolo costituisce la prova del fatto che gli stati hanno riconosciuto al diritto comunitario un’autorità tale da poter essere fatto valere dai loro cittadini davanti a detti giudici, quindi viene riconosciuta automaticamente la funzione della corte di Giustizia. In considerazione di tutte queste circostanze si deve concludere che la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunciato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani; questo ordinamento non riconosce come suoi soggetti del diritto solo gli stati membri, ma anche i loro cittadini. Pertanto, il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emanate dagli stati membri, nello stesso modo in cui si impone ai singoli degli obblighi, attribuisce anche ad essi dei diritti soggettivi. Secondo queste considerazioni, dunque, la Corte rispondendo alla domanda sollevata dal giudice nazionale olandese attraverso il rinvio pregiudiziale, ha affermato come l’art. 12 della CEE ha valore precettivo e attribuisce ai singoli dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. La successiva integrazione (e per questo si evince che il principio del primato si è affermato in via giurisprudenziale) viene data da una seconda sentenza già esaminata: Causa 6/64 Costa c. ENEL. Questa controversia aveva ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale presentata, a norma dell’articolo 117 del trattato CEE, del giudice conciliatore di Milano e diretta ad ottenere l’interpretazione degli articoli 102, 93, 53 e 37 di detto trattato a causa dinanzi ad esso proposta. Il governo italiano sosteneva l’inammissibilità assoluta della questione pregiudiziale del Giudice conciliatore di Milano, affermando che il giudice nazionale è comunque tenuto ad applicare la legge interna (come era accaduto da un antefatto). Antefatto: con la legge 6 dicembre 1962 n. 1643, la Repubblica italiana nazionalizzava la produzione e la distribuzione dell'energia elettrica e creava un ente chiamato E.N.E.L, cui venivano trasferite le aziende delle imprese elettriche. La lite sorge davanti al Giudice conciliatore di Milano in merito ad una bolletta dell'energia elettrica, dal momento che l'avv. Costa, in qualità di utente e di azionista della Società Edison volta colpita dalla nazionalizzazione chiedeva, in via incidentale, al giudice nazionale di applicare l'art. 177 Trattato C.E.E onde ottenere l'interpretazione degli articoli del Trattato che sarebbero stati violati dalla legge di nazionalizzazione. II Giudice di Milano accoglieva l'istanza e ordinava la trasmissione degli atti della causa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l'impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all'ordine comune. Se l'efficacia del diritto comunitario variasse da uno stato all'altro in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del Trattato contemplata nell'art. 5, secondo comma, e causerebbe una discriminazione vietata dall'art. 7. La preminenza del diritto comunitario trova conferma nell'art. 189, a norma del quale i regolamenti sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri; questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento legislativo che prevalesse sui testi comunitari, come infatti dice il testo della disposizione “un atto statale successivo al TCE, ma con esso incompatibile sarebbe privo di efficacia.” Pertanto non vale il principio per cui la lex posterior prevale sulla legge più risalente dal momento che il diritto nato dal Trattato, per la sua natura specifica, non può trovare limite in qualsiasi provvedimento interno poiché se ne perderebbe il fondamento giuridico della stessa comunità. ➢ Si vuole garantire il principio di uniforme applicazione del diritto Ue nella Comunità eu. La giurisprudenza della corte si è ulteriormente evoluta con la sentenza: Causa 11/70, Internationale Handelsgesellschafts avente ad oggetto il rinvio pregiudiziale sull'interpretazione del Regolamento del Consiglio C.E.E. 120/1967 relativo all'organizzazione del settore del mercato dei cereali. Secondo il giudice proponente, la disciplina delle licenze e delle cauzioni sarebbe in contrasto con determinati principi fondamentali del diritto costituzionale nazionale che dovrebbero essere fatti salvi nell'ordinamento comunitario, di guisa che la preminenza del diritto sopranazionale verrebbe meno dinanzi ai principi della legge fondamentale; più precisamente, la disciplina delle cauzioni lederebbe i principi di libertà d'azione e di disposizioni di libertà economica e di proporzionalità. Secondo il giudice proponente, la disciplina delle licenze e delle cauzioni sarebbe in contrasto con determinati principi fondamentali del diritto costituzionale nazionale che dovrebbero essere fatti salvi nell'ordinamento comunitario, di guisa che la preminenza del diritto sopranazionale verrebbe meno dinanzi ai principi della legge fondamentale. Più precisamente, la disciplina delle cauzioni lederebbe i principi di libertà d'azione e di disposizione, di libertà economica e di proporzionalità sanciti, fra l'altro, dagli articoli 2, 1° comma, e 14 della legge fondamentale. L'impegno d'importare o d'esportare derivante dal rilascio delle licenze, unitamente alla cauzione ivi connessa, costituirebbe una intrusione nella libertà di disposizione dei commercianti. Il richiamo a norme o nozioni di diritto nazionale nel valutare la legittimità di atti emananti dalle istituzioni della Comunità menomerebbe l'unità e l'efficacia del diritto comunitario. Con questa sentenza si evince quindi una stretta connessione tra il primato e l’efficacia diretta; ciò non significa che la norma dell’unione priva di effetti diretti non goda anch’essa del principio del primato nei confronti di una probabile norma di diritto interno incompatibile dal momento che, in questi casi, si tratta di un primato in sensi ampio e generico, che comporta anche degli effetti indiretti, come l’obbligo di interpretazione conforme o il risarcimento dei danni o ancora il ricorso per infrazione ai sensi degli art. 258 e seguenti del TFUE. Quindi a cedere di fronte al diritto dell’unione sono le norme interne di qualunque rango. Tuttavia, in alcune sentenze recenti, la Corte di Giustizia sembra più propensa a dissociare il concetto di primato da quello di efficacia diretta, esigendo dal giudice la disapplicazione di norme interne incompatibili con norme dell’Unione senza prendere esplicita posizione sul se norme dell’Ue siano davvero direttamente efficaci; un esempio che fornisce questa tendenza è dato dalla: CG Taricco del 2015 altri avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte ex art. 267 TFUE dal Tribunale di Cuneo nell'ambito di un procedimento penale in materia di frodi IVA ai danni dell'Unione ai sensi dell'art. 325 TFUE. Antefatto: iI Tribunale di Cuneo apre un procedimento con l'imputazione di aver costituito e organizzato, nel corso degli esercizi dal 2005 al 2009, un'associazione per delinquere allo scopo di commettere vari delitti in materia di IVA attraverso frodi "carosello", ossia con la costituzione di società interposte e l'emissione di falsi documenti che avrebbero consentito l'acquisto di beni, segnatamente bottiglie di champagne, in esenzione da IVA. Questa operazione avrebbe permesso alla società Planet srl di disporre di prodotti a un prezzo inferiore a quello di mercato che poteva rivendere ai suoi clienti, in tal modo falsando il mercato. La stessa società Planet avrebbe ricevuto fatture emesse da tali società interposte per operazioni inesistenti e le stesse società avrebbero omesso di presentare la dichiarazione annuale IVA oppure, anche avendola presentata, non avrebbero provveduto ai versamenti di imposta. Dopo una lunga pausa di riflessione, la risoluzione di questo conflitto viene fornita da una sentenza: Sentenza Granital del 1984: La sentenza è originata da una controversia in materia di prelievi agricoli all’importazione. Alcuni regolamenti imponevano di calcolare il prelievo secondo il tasso in vigore alla data dell’accettazione della dichiarazione di importazione. In applicazione di alcune norme italiane successive rispetto ai regolamenti, l’impresa aveva corrisposto prelievi calcolati secondo il tasso più favorevole e quindi applicando le norme italiane. Di fronte all’opposizione di granital contro il provvedimento che lei ingiungeva di versare la differenza, il tribunale di Genova, ritenendo di essere di fronte ad un conflitto tra regolamento e norme di legge successive, solleva la questione di costituzionalità delle norme stesse per violazione dell’art. 11 della Costituzione, ma la corte dichiara inammissibile la questione. L’aspetto di maggiore novità del ragionamento della corte costituzionale rispetto alle pronunce precedenti consiste nel rifiuto di assimilare le norme dell’unione a norme nazionali di legge; da ciò discende l’impossibilità di applicare ai conflitti tra le une e le altre i metodi di risoluzione previsti all’art. 134 della costituzione, poiché trattandosi di norme di ordinamenti diversi, gli eventuali conflitti devono essere risolti attraverso il criterio della competenza. Occorre pertanto stabilire se la materia rientri tra quelle competenze in relazione alle quali ex art. 11 della Costituzione l’Italia ha deciso di limitare la propria sovranità o meno. In caso di esito positivo, allora il compito deve essere svolto dal giudice ordinario e non richiede l’intervento della Corte costituzionale. Qualora risulti che la materia rientra effettivamente nella competenza che i trattati riconoscono alle istituzioni dell’Unione, il giudice nazionale (in questo caso italiano), senza dare importanza all’aspetto cronologico, deve applicare direttamente le norme dell’Unione, lasciando inapplicate le leggi interne incompatibili. Con questa soluzione, però, la corte costituzionale esclude in 2 ipotesi il potere del giudice di applicare immediatamente la norma dell’Unione e di disapplicare eventualmente la legge configgente, esigendo invece che sia sollevata questione di costituzionalità. Si tratta di casi in cui la corte costituzionale si riserva la competenza residua: • L’eventualità di una norma dell’unione contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e ai diritti dell’uomo. • L’eventualità che vengano inserite nell’ordinamento interno norme di legge dirette impedire il rispetto dei principi fondamentali dei trattati. La prima ipotesi riguarda l’eventualità di una norma dell’unione contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e ai diritti dell’uomo. Già dalla sentenza Frontini del 1973 che dalla sentenza Granital, è stato affermato che qualora una norma del diritto dell’Unione violi i diritti fondamentali sanciti nella costituzione, allora il giudice nazionale è chiamato a sollevare la questione di costituzionalità relativamente alla legge di esecuzione dei trattati, in quanto da tale legge deriverebbe l’applicazione in Italia di una norma del genere; come si è detto la riserva è nota in dottrina come teoria dei contro limiti. Questo atteggiamento ci perviene da una prima sentenza (connessa tra l’altro alla sentenza Taricco del 2015): Caso M.A.S. e M.B. Del 2017, avente ad oggetto il rinvio pregiudiziale proposto dalla Corte Costituzionale italiana sull'interpretazione dell'art. 325 TFUE come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza dell'8 settembre 2015, Taricco e altri. La Corte costituzionale italiana solleva dubbi sulla disapplicazione della normativa interna, dal momento che una soluzione del genere non sarebbe compatibile con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. In particolare, secondo tale organo giurisdizionale, questa soluzione potrebbe ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive. Infatti, il regime della prescrizione in materia penale riveste natura sostanziale e, pertanto, rientra nell'ambito di applicazione del principio di legalità, previsto all'articolo 25 della Costituzione italiana. Di conseguenza, tale regime dovrebbe essere disciplinato da norme precise vigenti al momento della commissione del reato considerato. La seconda ipotesi in cui la corte costituzionale si rileva il potere di intervenire, si ha in presenza di norme di legge dirette a impedire il rispetto dei principi fondamentali dei trattati. La corte costituzionale quindi si ritiene competente di esaminare anche questioni di costituzionalità sollevate, con riferimento agli art. 11 e 17 della Costituzione, in situazioni in cui entrino in gioco norme di diritto dell’unione direttamente efficaci: Sentenza Ceramica sant’Agostino s.p.a e bernazzoni s.p.a. Pertanto, le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134 Cost.). La Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.), secondo l'ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea e dall'art. 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito. Il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia (da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017), affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). In linea con questi orientamenti, questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del TFUE. 17.04.2023 Competenze UE Materie in cui UE può adottare atti legislativi o no; più sono ampie quelle dell’UE e più sono ridotte quelle degli stati membri. Ultima riforma trattati (Lisbona 2007) ha rinnovato questa materia mettendo ordine, perchè oggi vi sono serie norme e articoli specifici che si occupano di questo problema (in TUE e TFUE). Il problema delle competenze dell’UE vogliamo trattare due questioni distinte: 1. Problema della delimitazione delle competenze fra UE e stati membri: quali sono i principi che vivono in materia di ripartizione di competenze nelle varie materie. quali sono i principi e le specifiche categorie di competenza -> ce ne sono più perchè la natura delle competenze non è la stessa (esclusiva, concorrente o di mero sostegno) 2. Se UE ha competenza in quella materia dobbiamo vedere quali siano i principi che disciplinano l’esercizio di queste competenze -> principi di sussidiarietà e proporzionalità Principio fondamentale che vale è il principio di attribuzione o delle competenze di attribuzione. Art 5 TUE: I paragrafo “La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione” II paragrafo “In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti” L’UE è un ente diverso da uno stato; questo ha competenza generale su qualsiasi materia, mentre quella dell’UE è di carattere derivato e speciale -> il fatto che UE sia competenze di una certa materia presuppone che stati membri le abbiano attribuito quella competenza. La base giuridica di atto da parte delle istituzioni fa capire sulla base di quale norma l'atto sia stato adottato e quindi se l’UE dispone concretamente di una competenza; senza questa non si può capire quale competenza l’UE stia adottando. Il principio dei poteri impliciti indica che l’UE oltre ai poteri esplicitamente previsti e conferiti dagli stati membri può in taluni casi esercitare competenze e poteri impliciti -> questo principio si è affermato in due modi: 1. In quanto tale, senza disposizioni che lo prevedano espressamente. Sentenza CG in base alla quale UE oltre ai poteri espressamente previsti può esercitare quelli che sono necessari per esercitare quelli previsti. Unica finalità è quella di esercitare al meglio la competenza esplicita. Nasce nel campo della conclusione di accordi internazionale da parte UE in cui essa aveva legiferato sul piano interno. UE adotta un atto in materia di trasporti, che vale solo fra i 27 stati membri -> questo possono concludere accordi internazionale su stessa materia? CG dice di no, che esistenza di normative interne di una certa materia comporta il potere implicito dell’UE di legiferare su quella materia (sent. AETS, 1997). Nella dottrina questo principio viene chiamato anche del parallelismo delle competenze interne ed esterne dell’UE -> dove esiste la competenza interna esiste anche quella interna. Ciò è una deroga ai principi di competenza di attribuzione, che non è assoluto, e va letto alla luce del principio dei poteri impliciti. 2. Art 352 TFUE: “Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. L’UE può esercitare anche tutte le competenze che sono necessarie per realizzare i suoi scopi, anche se quella competenza non è stata espressamente prevista. di esplicito sono solo gli obiettivi dell’UE, che sono estremamente ampi e flessibili -> lunga elencazione delle finalità che è contenuta nell’art. 3 TUE. L’attuazione di un atto fondato sull’art. 352 ha un procedimento legislativo speciale (di approvazione). IV paragrafo “Il presente articolo non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e di sicurezza comune” III paragrafo “Le misure fondate sul presente articolo non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati la escludono” Esistono dei limiti che cercano di porre un margine all’utilizzo frequente da parte istituzioni dell’art. 352. Ostacolo più importante è la necessità della unanimità in sede di consiglio. In passato l’UE ha fatto largo uso della clausola di flessibilità ex art. 352, lo ha usato tantissimo, introducendo in ordinamento europeo serie di competenze che non erano esplicitamente previste dai trattati; esempio in materia di ambiente, di tutela dei consumatori, di politica economica monetaria o di energia. Ciò quando l’UE aveva poche competenze esplicite; mano a mano che UE ha acquisito ulteriori competenze è chiaro che il ricorso all’art., 352 è diventato eccezionale -> oggi sono rari i casi di atti adottati su base art. 352. A questa clausola non si può fare riferimento quanto l’atto prevede una modifica dei trattati. Prima questo articolo non poteva essere usato riguardo alle materia relative alla CEDU; oggi art. 6 tue prevede che UE aderisca alla CEDU -> per cui oggi esisterebbe una competenza esplicita per aderire alla CEDU, ma sappiamo che questo progetto si è arenato Altra questione riguarda il distinguere i vari tipi e categorie dell’UE -> competenze UE non hanno tutte la stessa natura, ma sono diversa a seconda della materia di cui si tratta. Esistono tipi 3 di competenze: • Esclusive • Concorrenti • Per azioni di sostegno Art. 2 TFUE “Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione.” Solo l’unione può legiferare in quella materia e se gli stati membri lo fanno pensa violazione diritto UE e verranno sanzionati; possono farlo solo se sono autorizzati dalle istituzioni e possono attuare atti che UE adotta sulla base di una competenza esclusiva. L’art. 3 TUE fa un elenco tassativo circoscritto delle 5 competenze esclusive dell’unione: a) unione doganale; b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; e) politica commerciale comune. Il nocciolo del discorso per capire perchè le attribuzioni dell’UE sono importanti anche al di là di quelle esclusive riguarda la nozione delle competenze concorrenti. Art. 2 II paragrafo: “Quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l'Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria. Mano a mano che UE legifera in un certo settore gli stati membri perdono il loro diritto di legiferare in quel settore. ciò che la competenza concorrente può determinare è uno svuotamento delle competenze parallele degli stati membri. Capire quanto sia estesa la legislazione del’UE in quel senso -> se UE si occupa interamente quel settore, legifera in maniera esaustiva e dettagliata, il potere parallelo degli stati membri svanisce e viene svuotato -> questo ragionamento lo si riassume dicendo che le competenze concorrenti dell’UE possono trasformarsi in competenze esclusive di fatto. Sono etichettato come concorrenti, am se l’UE le esercita in maniera esaustiva e dettagliata diventano esclusive di fatto. Le competenze concorrenti dell’UE sono un elenco non tassativo previsto all’art. 4: mercato interno; b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato; c) coesione economica, sociale e territoriale; d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare; e) ambiente; f) protezione dei consumatori; del diritto -> significa che le istituzioni politiche devono giustificare le loro misure dicendo che quegli atti sono idonei a raggiungere lo scopo che si prefiggono dimostrare che sono altresì necessari per raggiungere quello scopo. Questa concezione del principio di proporzionalità riguarda sia il contenuto dell’atto, le disposizioni concrete che vengono adottate, che la forma dell’atto -> il tipo di atto che le istituzioni devono adottare. Sappiamo da questo punto di vista, nella scelta dell’atto, rispettare la proporzionalità significa prevenire ad atti non vincolanti se sono sufficienti atti non vincolanti; se per disciplinare un certo settore appare idoneo, sufficiente e necessario una direttiva, le istituzioni devono preferire la direttiva al regolamento. Questo principio risulta anche dall’art. 296 del TFUE. Per quanto riguarda il controllo si ripropongono gli stessi dubbi che si ponevano verso il principio di sussidiarietà, il confine tra diritto e politica è incerto -> la CG non ha sindacato pieno in materia di rispetto del principio di proporzionalità. Vi è giurisprudenza che va esattamente nella stessa direzione che andava per il principio di sussidiarietà; affinché possa essere annullato un atto per violazione del principio di proporzionalità, richiede che le istituzioni siano incorse in un errore manifesto, un manifesto travalicamento della loro discrezionalità. Non è un sindacato giurisdizionale pieno ma si limita agli errori manifesti. UK vs Consiglio, 1996 UK agisce contro consiglio, classico caso di annullamento perchè UK impugna una direttiva del consiglio in materia di orario di lavoro dinnanzi alla CG -> obbligo per tutti gli stati membri di recepire questa direttiva sull’orario di lavoro (ex art. 254). Fra i tanti motivi di invalidità adottati dal UK vi è una violazione del principio di proporzionalità, perchè il regno unito ritiene quella misura non rispetto il principio, non era necessaria per conseguire gli obiettivi delle istituzioni e né era idonea a farlo. L’obiettivo dell’Ue adottando la direttiva voleva proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori. La corte dice che forse misure meno invasive potevano essere a disposizione delle istituzioni, tuttavia le istituzioni non hanno commesso alcuni errori manifesti, alcun travalicamento manifesto della loro discrezionalità quando hanno adottato la direttiva. 21.04.2023 PARTE SPECIALE Il punto di riferimento normativo è la parte terza, al titolo XX del TFUE che è piuttosto breve (artt. 191-193); il 191 si occupa di obiettivi principi in materia ambientale dell’UE; il 192 ci spiega come vengono realizzati e perseguiti quegli obiettivi sulla base di quei principi (base giuridica azione UE in materia ambientale), ci risponde anche al principio di attribuzione, la competenza in materia ambientale dell’unione è attribuita sulla base di questo articolo; si occupa anche delle procedure decisionali in materia ambientale; l’art. 193 è una sorta di clausola di salvaguardia dei poteri degli stati membri in materia ambientale -> a prescindere dal fatto che UE abbia legiferato in un certo settore ambientale, gli stati membri hanno sempre il potere di adottare atti in materia ambientale che prevedano una protezione maggiore. Gli stati membri hanno sempre un potere residuale di adottare atti maggiormente protettivi -> questa clausola di deroga a favore di provvedimenti di maggiore protezione è in tensione con nozione di competenza concorrente. Queste sono le disposizioni più importanti, ma ciò non significa che non ve ne siano altre nei trattati e nella carta dei diritti fondamentali che siano pertinenti in materia di ambiente. Evoluzione storico-giuridica Queste tre norme sono l’approdo di un lungo processo di evoluzione della tutela ambientale in ordinamento dell’UE; in questa evoluzione possono essere distinte varie fasi. Queste disposizione sono state inserite solo nel 1986 con l’atto unico europeo e nei trattai non esistevano disposizioni in materia di tutela ambientale che non era vista come obiettivo dell’UE; noi sappiamo appunto che le comunità iniziali avevano solo obiettivi commerciali e nello schema originale non vi era spazio per la tutela perchè non veniva inquadrata come materia inerente alla instaurazione del mercato all’interno dell’UE -> non vi era spazio per nessun’altra politica che non avesse carattere economico-commerciale. La stessa cosa va detta per la tutela dei diritti umani, in quanto le comunità non se ne occupavano e anche qui è stato un lungo percorso che è sfociato in art. 6 TUE e nella carta dei diritti. Nella prima fase di evoluzione storica va dal 1957 al 1972, vi era questa assenza totale di disposizioni e anche la mancanza di qualsiasi strategia complessiva in materia di tutela ambientale. Fase in cui le istituzioni europee erano disinteressate della materia ambientale e non se preoccupavano. In questo periodo però sono rinvenibili delle direttive dell’UE che disciplinavano materia di interesse per la tutela ambientale -> direttiva sulla etichettatura di sostanze pericolose risale al 1967 (67/584), o una del 1970 relativa all’inquinamento acustico. in assenza di una base giuridica ambientale come potevano essere adottati atti del genere? La base giuridica che veniva scelta era proprio quella inerente al funzionamento del mercato interno; l’UE riteneva che legiferare in questi settori riguardasse anche il funzionamento del mercato interno. In che modo? Ben presto anche in questa fase le istituzioni capirono che armonizzare certe questioni che riguardano la tutela ambientale aveva un impatto anche sul funzionamento del mercato interno -> armonizzare significa disciplinare un argomento per tutti gli stati membri. I 9 stati membri avevano sensibilità diverse in materia ambientale perciò lasciare questa materia in mano agli stati membri, significa che alcuni stati membri adottassero una rigorosa tutela ambientale, mentre altri adottassero standard piuttosto bassi. Questa corsa nello stabilirsi nello stato con normativa più bassa è evidente che ha impatto su libertà concorrenza dell’UE -> perchè vi sia davvero questa libertà fra imprese occorre che standard di produzione ambientale siano armonizzati e resi uniformi così che venga meno questa corsa a stabilirsi in stato membri più blando. Erano atti che non derivavano da un interesse genuino di tutelare l’ambiente, ma si tutela l’ambiente per tutelare la libertà di concorrenza dell’UE. Una seconda fase va dal 1972 al 1987. Il momento in cui nasce il diritto sulla tutela ambientale si ha durante una conferenza dell’ONU a Stoccolma nel 1972. A fronte di questi sviluppi internazionali anche le istituzioni capiscono che tutela ambientale deve diventare un obiettivo centrale delle comunità europee, molto più di quanto fosse stato fino ad allora. In questa stessa data a livello europeo a Parigi i capi stati governo degli stati membri adottano il primo programma di azione in materia ambientale. Questo strumento, non vincolante in se per se, è sempre stato uno strumento chiave per sviluppo politica ambientale perchè in questi programmi d’azione UE fissa obiettivi, strategie e atti che essa vuole adottare in quel periodo di riferimento. Il primo va dal 1973 al 1977 e dice cosa intenda fare UE in quegli anni materia di tutela ambientale. Da qui emergono una massa di nuovi atti di diritto derivato in materia di diritto ambientale, mentre prima erano delle eccezioni motivate dal buon funzionamento del mercato interno, dal 1972 al 1987 sulla base di questi primi PA in materia ambientale l’UE adotta una serie di provvedimenti in settori cruciali della materia ambientali in settori cruciali. La prima direttiva in materia di rifiuti è del 1975, insieme alla direttiva “uccelli” (79/409) che si occupa di conservazione degli uccelli selvatici e gli habitat naturali. Si vede bene il cambio di paradigma per cui prima venivano emanati solo atti che erano in qualche modo collegati al funzionamento del mercato interno, quando invece la direttiva del 79 si occupa di tutelare gli uccelli selvatici e gli habitat naturali, il nesso col funzionamento dei mercati interni sfuma. Direttiva 85/337 in materia di valutazione di impatto ambientale, strumento oggi cruciale viene per la prima volta disciplinato nel 1985. In questa fase ancora però non compare un base giuridica esplicita di materia ambientale, perchè sappiamo che emergerà solo nel 1987 con l’atto unico europeo; questi atti infatti da un lato continuavano ad essere adottati sulla base giuridica del mercato interno, dall’altro l’UE faceva leva sulla clausola poteri impliciti di flessibilità ex. art. 352 TFUE. Non che UE fosse priva di strumenti e fondamenti per poter legiferare in questa campo, preso atto che no si poteva usare sempre il mercato interno le istituzioni fecero leva sul principio dei poteri impliciti. Il titolo XX del TFUE così come lo consociamo oggi deriva dalla introduzione del trattato istitutivo delle comunità europee di un titolo comporto di 3 articoli come è oggi. Atto unico europeo era il primo trattato di modifica dei trattati. È un momento di svolta epocale perchè non c’era più bisogno di forzare altre basi giuridiche per legiferare in materia di ambiente, ma da allora in poi esiste una base giuridica esplicita in materia di ambiente. UE comincia a legiferare a tutto campo in materia ambientale senza alcuna remora e lo fa in misura amplissima dal 1987. La prima direttiva in materia di accesso alle informazioni in materia ambientale; un regolamento del 1990 istituisce l’agenzia moderna dell’ambienti -> organismo specifico che si occupa di materia ambientale, che non è un istituzioni ma è un organismo estremamente importante da punto di vista tecnico e scientifico con sede a Copenaghen. Nello stesso periodo c’è la direttiva 92/42 “habitat” che è relativa alla conservazione degli habitat naturali e della flora e fauna selvatiche -> non fu adottata in base alale norma del mercato interno, ma sulla base giuridica rappresentata dall’attuale art. 192. Una quarta fase va dal 1993 al 1999 in cui si verifica un accrescimento dell’interesse dell’UE rispetto alla materia ambientale che si riflette nelle modifiche apportate ai trattati dal trattato di modifica di Maastricht del 1992 entrato in vigore nel 1993. Nuova fase e impeto della politica ambientale eu può essere vista come un riflesso degli sviluppi internazionali -> conferenza di Rio de Janeiro del 1992 su ambiente e sviluppo con cui le questioni ambientali vengono sempre viste nel prisma del concetto dello sviluppo sostenibile. In tema ambientale diventa una questione sempre maggiormente legata di esigenze di sviluppo sostenibile -> concetto affermato in conferenza ONU del 1992, vengono inseriti nei trattati vari riferimento al concetto di sviluppo sostenibile e vengono introdotti ulteriori principi di tutela ambientale nell’art. 191. Il II paragrafo elenca i principi su cui si fonda la politica ambientale dell’UE, principi che si sono allargati nel corso degli anni, in particola modo nella versione originale manca u riferimento al principio di precauzione. Una quinta fase va dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam nel 1999 fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona del 2009. Anche il trattato di Amsterdam apporta innovazioni in materia di politica ambientale dell’UE -> acquista sempre più importanza il concetto di sviluppo sostenibile, il principio di integrazione diventa il principio generale del diritto europeo ex art. 11 TFUE. Un’altra importante innovazione è l’emersione della carta dei diritti fondamentali dell’unione che viene per la prima volta proclamata a Nizza del 2000 e diventa vincolante nel 2009n per la prima volta con il trattato di Lisbona -> la carta di Nizza prevede un espressa di disposizioni in materia ambientale. Abbiamo visto non tutte le norme della carta corrispondono a dei veri e propri diritti, ma vi sono alcune disposizioni che vanno ritenuti dei principi -> distinzione chiave tra diritti e principi; quando si vuole fare un esempio di una disposizione di una carta che contiene un principio l’art. 37 è sempre uno dei primi candidati che infatti si chiama “tutela dell’ambiente” e da qui si capisce che la formulazione di questa norma non è la classico formulazione che si usa quando si fa un velo e proprio diritto umano, ma si dice solo che: “Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile” Una prima implicazione di questa distinzione riguarda l’efficacia diretta, ma ci aiuta in questo caso il V paragrafo dell’art. 52 della stessa carta: “Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalità di detti atti” -> gli atti che danno attuazione al principio. Mentre le disposizioni della carta che contengono veri e propri diritti costituiscono in se e per se parametro di legittimità degli atti delle istituzioni e degli stati membri, una disposizione come l’art. 37 non costituisce in se per se un parametro di legittimità di qualsiasi atto delle istituzioni, ma solo degli atti che danno attuazione allo stesso -> non posso contestare la legittimità di una direttiva ex art. 37 se quella direttiva non è una direttiva che da attuazione all’art. 37. Invece ogni altra norma che contiene un vero e proprio diritto è un diritto umano e consente ad ogni individuo di contestare la legittimità di ogni atto delle istituzioni che violi questo diritto -> giusitiziabilità dell’art. 37 è molto più limitata perchè può essere invocata solo per atti che mi danno attuazione all’articolo stesso. In assenza di un atto che gli dia attuazione l’art. 37 non può mai essere invocato per contestare la legittimità di una delle istituzioni. Il parametro di legittimità delle norme di principio è più limitato. Questo legame tra tutela diritti umani e ambientali è riconosciuto anche da ordinamento europeo art. 37, ma solo con una disposizione che afferma un principio di un carta e quindi di portata più limitata rispetto alle altre disposizione. Vi sono esempi di giurisprudenza della CG che confermano questo approccio all’art. 37 della carta -> questo legame è stretto perchè si evidenzia il diritto alla salute, collegato al diritto alla vita. Nel contesto della convenzione europeo dei diritto umani emerge un approccio diverso: benché questo trattato europeo così importante non contenga il diritto umano all’ambiente sano, tuttavia la CEDU ha elaborato una giurisprudenza ambientale importante dicendo che perchè il diritto all’ambiente sano non sia esplicitamente tutelato, tuttavia le questioni ambientali possono essere esaminate dalla CEDU sulla base di altri diritto fondamenti contemplati espressamente -> Art. 2 CEDU che prevede il diritto alla vita; ex art. 8 CEDU che riguarda la vita privata e familiare. La corte europea dei diritti umani in un caso famoso del 1994 che riguarda la Spagna riguardo una discarica abusiva che produce una serie di emissioni nocive vicino l’abitazione di una signora che che dice che viola il suo diritto alla vita privata e familiare; la corte le da ragione per cui la Spagna ha violato l’art. 8 della CEDU non riducendo le emissioni e non trasferirlo altrove. Sentenza della corte europea dei diritto umani “Cordella vs Italia” del 2019 che riguarda il caso del disastro ambientale causato nel golfo di Taranto. Cordella è una signora che abita a Taranto che ci ta in giudizio Italia per essere responsabile del disastro ambientale e la corte europea dei diritto umani conclude dicendo che l’Italia ha violato art. 8 CEDU per non aver agito efficacemente in materia di risanamento ambientale causato dall’acciaieria più importante d’Europa. Perchè questa giurisprudenza della corte europea dei diritto umani non abbia rilievo in ordinamento dell’UE? La tutela dell’ambiente nel quadro della CEDU e nella giurisprudenza della corte di Strasburgo rileva anche nell’ordinamento dell’UE almeno sotto due profili: 1. Art. 52 III paragrafo della carta ci dice “Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione” -> quindi se la carta come la CEDU tutela il diritto alla vita e alla vita privata e familiare, l’art. della carta va interpretato alla luce della giurisprudenza della corte europea dei diritto umani, relativa al medesimo diritto (clausola di corrispondenza). Questa nozione di sovranità nazionale su risorse naturali deriva da periodo di uscita dal periodo coloniale -> sviluppato in anni 70 con processo decolonizzazione sud globale per affermare che ciascuno stato indipendente ha determinato poteri su risorse di quel territorio. Da un lato c’è questo principio indipendenza di uno stato anche dal punto di vista economico e riconoscimento a ciò che può succedere in certi frangenti anche per altri stati. Ciascuno stato ha potere di decidere come proteggere ambiente. In più ci sono due doveri: 1. Assicurare che attività non ciascuno danni ad altri stati 2. Andare oltre giurisdizione nazionale (anche atmosfera o oceano -> zone condivise da tutta la comunità) No desumibile quale sia il limite esatto, con avanzare conoscenze scientifiche ci rendiamo sempre conto quanto alcune attività, che non erano considerate dannose producano danni globali. Questa linea divisoria tra potere e responsabilità viene definita da esigenze che richiedono forme di sovranità nazionale. Collaborazione nazionale. Principi 3 e 4 parlano dell’idea di sviluppo e sviluppo sostenibile: 3. Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all'ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future”. Principio di equità intergenerazionale. Non possiamo solo capire quali siano i problemi oggi del presente ma dobbiamo avere una tempistica che tenga conto anche delle necessario future. Il limite del lasso temporale da tenere e come le generazioni future sono protette da diritto internazionale -> questione aperta che fa capire come sia rilevante la questione dei diritti umani. 4. Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell'ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo. Ciascun paese cerca questo equilibrio di sviluppo sostenibile ed è importante che non venga considerato in modo isolato da altre decisioni; ogni processo di sviluppo deve considerare la salvaguardia dell’ambiente. Principio di integrazione ambientale. Per quattro può sembrare non rivoluzionario tutt’oggi crea delle difficoltà per metterlo in atto e rimane sempre una questione a livello di sviluppo di regole e per quanto ci siano sforzi la maggioranza sono norme che ignorano i possibili danno all’ambienti che potrebbero derivare da possibili rapporti commerciale o particolare investimenti in vari settori . Se uno stato non ha tenuto in conto problemi ambiatale nel corso processo sviluppo siamo in una situazione in cui questo principio generale che ci fa capire che la responsabilità insita nel concetto di sovranità nazionale sulle risorse ambientali non è stata rispettata Principio 6-7 ci fanno capire come questo sviluppo non vada visto in modo monolitico ma si tiene conto del fatto che diversi paesi hanno diverse capacità, risorse e pressioni interne per trovare quelli tra questione ambientale e diritto. Per paesi meno sviluppati, che sono i più esposti alla questione ambientale, devono ricevere priorità. Rispetto ai principi prima che riguardano la condotta di uno stato individuale qui si parla di responsabilità collettiva degli stati -> non tutti gli stati hanno stessa capacità di proteggere l’ambiente diventa responsabilità condivisa preoccuparsi che paesi sottosviluppati vengano considerati dai paesi soprasviluppati -> per interesse condiviso protezione ambientale. Riconoscimento anche storico delle differenti capacità. 6. Si accorderà speciale priorità alla situazione ed alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli più vulnerabili sotto il profilo ambientale. Le azioni internazionali in materia di ambiente e di sviluppo dovranno anche prendere in considerazione gli interessi e le esigenze di tutti i paesi. In tutti idratati di diritto internazionale ci sono regole specifiche in cui quest’idea viene poi dettagliata in termini di specifici metodi di solidarietà internazionale, di obblighi dei paesi industrializzati per offrire finanziamenti o collaborazione o sviluppo tecnologico agli altri paesi in via di sviluppo. Questa è una norma condivisa ma quando arrivismo nella realtà arriviamo ad una delle aree di maggior conflitto politico fra i paesi in cui si trova insufficiente messa in atto degli obblighi Das parte dei paesi soprasviluppati. 7. Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l'integrità dell'ecosistema terrestre. In considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le loro società esercitano sull'ambiente globale e le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono. L’idea di cooperazione è un’idea base del diritto internazionale e quando si parla di partnership non è un’idea di creare una cooperazione più intensa in cui ci si rende conto che i partner non hanno le stesse capacità; eppure devono essere visti e si deve collaborare per considerare ciascuno alla pari degli altri. Idea di mantenere eguaglianza fra gli stati e uno stesso potere di contribuire alle decisioni internazionali, pur considerando quella necessità di ricevere supporto finanziario, tecnologico dai paesi sviluppati. Uguaglianza necessario di questa cooperazione per considerare e proteggere e rigenerare la salute e l’indennità della terra e dei sui ecosistemi. Idea di riconoscere che differenti paesi hanno contribuito in maniera diversa ai problemi ecologici che conosciamo oggi -> industrializzati hanno contribuito di più, mente paesi sud globale necessita di un maggior supporto nell’essere capaci far fronte a queste sfide comuni e di fronte alle quali hanno impatti maggiori. Idea centrale è quella di responsabilità condivisa ma differenziata, per cui partnership (tutti paesi devono collaborare) ma con questa differenza di supporto e riconoscimento che alcuni paesi hanno più responsabilità degli altri (anche se responsabilità condivisa). Per quanto riguarda le tecnologie il problema di condividerle riguarda una decisine pubblica, ma ci sono anche altri aspetti che complicano la situazione -> sviluppo tecnologico è nelle mani private e la vera barriera è la protezione proprietà intellettuale e fino a che punto gli obbligazione pubblico dello stato possono interagire con protezione privata che ha riscontri internazionali. Rimane un problema tutt’oggi irrisolto -> in parte perchè riguardo la protezione della proprietà intellettuale spesso gli stati respingono queste proposte. Siamo in una situazione in cui da un lato c’è un riconoscimento della solidarietà per realizzare una protezione ambientale efficace che debba avvenire in tutto il mondo, dall’altra però c’è questo dato standard per cui la protezione della proprietà intellettuale viene protetta in modo più significativo e non si usano le possibilità e possibili eccezioni su cui ci si potrebbe mettere d'accordo per problemi ambientali, ma non si torva accordo tra paesi del nord e del sud globale. Se noi limitiamo troppo la proprietà intellettuale togliamo l’incentivo per settore privato a continuare a gestire nel settore sviluppi tecnologie. Questo per far capire che questi principi hanno da un lato questo ideale ala condivisione per obiettivo protezione ambientale, riconoscimento di necessità di una global partnership che sia una collaborazione ancora più profonda rispetto ad altre aree del diritto internazionale, per cui è riconosciuta una responsabilità diversificata anche se condivisa e poi però al di là di questi principi generali quando si deve concretizzare il tuto non tutti questi principi trovano lo stesso livello di approvazione negli specifici trattati. Principio 15 Ha a che fare con avanzamenti tecnologici ma si riferisce all’idea che nostre conoscenze scientifiche ci fanno capire quali siano le problematiche ambientali e quali siano le soluzioni da adottare. Il fatto che scienza sia sempre in evoluzione fa si che in qualsiasi punto del tempo noi non abbiamo mai una conoscenza scientifica completa, ma spesso la scienza continua ad avanzare anche su un problematiche ambientali conclamate e in molti casi c’è una comprensione sufficiente anche dell’urgenza, ma non necessariamente una conoscenza sintetica completa su problematica e su quali siano le risposte adeguate. In questo caso il principio 15 parla di questa situazione in cui non abbiamo una completa certezza scientifica -> realizzazione comunque di una minaccia di danno grave o irreparabile all’ambiente. “Al fine di proteggere l'ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale” Non usare come scusa mancanza conoscenza scientifica completa per non prendere misure per ‘prevenire danno ambientale. Necessario di trovare misure che siano efficienti dal punto di vista economico, strada che abbia bilancio tra economia e ambiente. Abbiamo anche qui il riferimento al fatto che differenti stati possono avere differenti capacità di avanzare scienza e decidere misure adatte -> no parametro fisso ma a seconda capacità dello stato, la comprensione su quale sia misura efficiente varia da contesto e capacità stato. Ci sono stati sviluppi del diritto ambientale internazionale e su architettura che lo sostiene motivate da questo principio. Il testo parla di precautionary approach e non principal -> USA si sono sempre opposti a idea di precauzione come principi e invece ne vogliono parlare come approach. UE invece da Rio in poi è sempre stata sull’idea che questo sia un principio quindi una fonte specifica del diritto internazionale ed è questa la scelta prevalente anche per il resto della comunità internazionale degli stati. Fa capire coma questa divergenza di opinioni tra i paesi spesso si arriva ad una conclusione, che sia a livello linguistico o che sia a livello giuridico che crea delle perplessità. Si parla di principio 15 e poi nella norma si dice approccio e questa una soluzione che si trova spesso nel diritto internazionale ambientale dove l'idea e quella per cui al posto di avere una norma più chiara a livello giuridico preferiamo trovare una norma che trovi un escamotage per far si che si dica la stessa cosa senza chiarire discordia tra diversi paesi così che i paesi rimangano parte di un accordo internazionale. La scelta è tra una norma poco chiara a livello giuridico contro l’idea di avere una cooperazione più estesa. Questa rimane una logica ripetuta nel tempo in tute le fasi di diritto internazionale ambientale anche a livello di sviluppo di nuovi trattati -> cercare di tenere tutti coinvolti anche a costo di avere delle norme meno chiaro o meno ambiziose o quasi contraddittorie. Comunque per queste norme poco chiare rimane agli stati la possibilità di interpretarle e metterle in atto in modo più chiaro. Principio 16 Riferimento all’idea come paesi prendono decisioni individuali sulla base principi generale che hanno a che fare con loro responsabilità internazionale protezione ambiente. “Le autorità nazionali dovranno adoprarsi a promuovere l'"internalizzazione" dei costi per la tutela ambientale e l'uso di strumenti economici, considerando che, in linea di principio, e' l'inquinatore a dover sostenere il costo dell'inquinamento, tenendo nel debito conto l'interesse pubblico e senza alterare il commercio e le finanze internazionali.” Idea per cui se abbiamo la capa di identificare il responsabile di una particolare problematica ambientale è importante calibrare i costi sia per un interesse pubblico e sia perchè poi ci sono possibili ripercussioni a livello di commercio internazionale. Ancora una volta l’idea di trovare un equilibrio da parte di ciascuno stato per interessi economici e si rifà all’importanza dei costi ambientali come strumento di protezione ambientale. Non c’è una dicotomia scelta per un progresso economico o per la protezione ambientale, ma anche la realizzazione di progressi economici può in effetti direzionare o creare incentivi o creare costi addizionali che danno una corretta corrispondenza con le conseguenze negative sull’ambiente. Una scelta che uno stato potrebbe fare è quella di imporre delle tasse ambientali. Oppure utilizzare strumenti economici positivi, anziché negativi in modo da influenzare le decisioni dei privati o dei produttori e far si che la realtà economica dei costi rispetti il costo ambientale. Intervenire su questione del costo o uso strumenti e con così che eco rispetti gli effetti negativi su ambiente e che indirizzi produttori e consumatori verso attività che abbiamo un riscontro positivo in termini di ambiente. Principio del chi inquina paga Sarebbe possibile risolvere queste tensioni a livello interpretativo e con ulteriori negoziati per assicurare una visione coerente ma la realtà è che non tuti stati hanno la stessa visone o le stesse priorità. Ciò si vede sia a livello internazionale che a livello di sviluppo e messo in atto diritto europeo, sia a livello nazionale. Principio 17 “La valutazione d'impatto ambientale, come strumento nazionale, sarà effettuata nel caso di attività proposte che siano suscettibili di avere effetti negativi rilevanti sull'ambiente e dipendano dalla decisione di un'autorità nazionale competente” Strumento regolatori ambientali che hanno storia del diritto ambientale -> idea di una valutazione previa dell’impatto ambientale. Strumento che deve essere inserito in misure domestiche di cui ciascuno stato, prima di ogni attività proposta, che possa avere impatto avverso e significativo sull’ambiente. Revisione che è sottoposta a processo di autorizzazione da un’autorità nazionale. Strumento che troviamo in legislazione di tutti i paesi del mondo per dire che nelle attività che richiedono autorizzazione di un’autorità pubblica le modalità precede a questo studio di impatto precedente. Principio riconosciuto di diritto generale internazionale e non solo abbiamo l’aspettativa che leggi nazionali dei paesi includano questo tipo si assestamento, ma lo troviamo anche in alcuni trattati internazionali. Non solo aspettativa di ciascun paese perchè l’esercizio sovranità nazionale venga incontro alla protezione dell’ambiente, ma anche a livello di relazioni fra i paesi e assicurarsi che alcune attività che devono essere autorizzate da ciascun paese non abbia effetti negativi sull’ambiente di altri paesi. Come poi venga fatta a livello nazionale ci sono varie modalità e spesso quella più comune riguarda non le autorità pubbliche, ma è qualcosa che viene richiesto da un istruttore privato -> chi propone una particolare attività di sviluppo ha un obbligo di preparare questo studio di impatto. il costo viene appioppata la settore privato che una volta ricevuta l’autorizzazione andrebbe a beneficio economico dell’attività, ma è un potenziale conflitto di interessi -> a livello nazionale la persona che propone l’attività e ha interesse che questa venga permessa è la stessa autorità che prepara uno studio tale per far capire se questa attività abbia un impatto significativo sull’ambiente. Nell’interesse di chi propone l’attività è insito l’interesse che quell’attività sia sostenibile. Non tute autorità dei diversi stati hanno le capacità per riuscire in queste attività. Da un lato un elemento essenziale che comunque deve fare i conti con una pratica che lascia un po’ desiderare. Fino ad oggi non sono state trovate altre soluzioni alternative ma rimane uno strumento concreto per dare al principio generale all’integrazione un’applicazione pratica. Nell’area dei diritti umani ci si è anche arrivati a questo strumento sull’impatto ambientale che possono essere indipendenti della protezione dell’ambiente -> popolazioni indigene. Casi in cui alcune proposte di attività su aree occupate da popolazioni indigene il momento dello studio d’impatto da l’occasione di considerare quali possano essere gli impatti sull’ambiente che poi hanno degli impatti intrinsechi sulla vita, sulla cultura e sulle modalità di vita delle popolazioni indigene. Per quanto questo strumento non sia perfetto e lontano dal principio d’integrazione, al momento non esiste una alternativa, ma anzi si è visto che potrebbe essere uno strumento che contribuisce alla considerazione degli obblighi di diritto ambientale internazionale, ma potrebbe anche contribuire per gli obblighi riguardanti i diritto umani internazionali. Rimane un principio chiaro con moltissimi esempi di condotta, ma che però rimane uno alcuni gruppi di agricoltori, di allevatori e agricoltori che hanno un approccio all’uso delle risorse sicuramente distinto rispetto all’uso di massa. La questione serve a capire a livello di ciascuno stato chi si identifica come comunità locale e quali siano i loro interessi e contributi nella protezione dell’ambiente. Collegati potrebbero essere i loro diritti umani che pur essendo distinti da quelli della popolazione più generale, proprio per questo interesse di relazione dell’ambiente più ristretta e quotidiana, sono più esposti alla degradazione ambientale -> il loro diritto alla salute, all’acqua o al cibo sono più vulnerabili ad essere violabili in caso di degradazione ambientale rispetto a quelli di una popolazione cittadina o altri ambienti rurali. Vediamo quindi un principio che parla dei diritti umani senza usare la parola stessa e che fa riferimento a differenti forme sia di conoscenza che di relazionarsi con l’ambiente e anche un altro modo di capire questa questione dello sviluppo sostenibile -> non tutta la popolazione in toto di un paese può avere la stessa visione di sviluppo sostenibile, di cosa si la natura o lo sviluppo socio-economico; c’è un riconoscimento che dei settori della popolazioni possano avere una vita, un identità, delle culture distinte dal resto della società dello stesso paese e quindi abbiano diritto ad essere riconosciuti e supportati nel continuare le loro pratiche tradizionali che rendono anche un distinto contributo alla protezione dell’ambiente con benefici globali e non solo locali. Tra tuti gli studi su quali siano le zone con più alta varietà biologica sono quasi tutti in zone abitate da popolazioni indigene e comunità locali -> dimostrazioni su quanto queste pratiche tradizionali siano più efficienti di altri per conservare e proteggere l’ambiente. Si vede poi come le zone di maggior diversità culturale e linguistica corrispondano a queste zone di maggior protezione ambientale -> ci fa capire come quest’unione tra vita umana e ambiente si rifletta anche nella cultura del linguaggio e dia questo senso di una fonte di conoscenza alternativa e diversa rispetto ala scienza accademica. 8.05.2023 Abbiamo detto come la data di nascita del diritto ambientale internazionale sia il 1972 con il summit di Stoccolma; intorno a quella data ci sono 4 trattai internazionale che riguardano proprio la protezione della biodiversità. Convenzione gestita dall’UNESCO che riconosce sia un patrimonio culturale, ma anche un patrimonio ambientale, e sempre di più riconce siti che uniscono una protezione culturale che ambientale. In questa convenzione si trovano alcuni obblighi di cooperazione internazionale basati sul riconoscimento di siti che si trovano nel territorio di uno stato membro di cui si riconosce una importanza internazionale -> siti rimangono sotto la sovranità nazionale di quel paese ma nell’esercizio di questa si potrebbe andare ad avere impatti su un elemento che in realtà è di interesse per tutta la comunità internazionale. Da un lato c’è un chiarimento di quella responsabilità della sovranità nazionale sulle risorse culturali, ma nei casi in cui c’è un consenso internazionale sull’importanza di certe aree per la comunità internazionale in quanto tale, allora si riconoscono dei particolari doveri di diritto internazionale. In più ci sono alcuni art della convenzione che offrono supporto internazionale ai paesi che si trovino a sobbarcarsi questa responsabilità anche a beneficio di popolazioni di altri paesi di tutta la comunità internazionale in generale -> questo supporto è particolare per i paesi in via di sviluppo. Il riconoscimento sia per il fatto che spesso le minacce all’ambiente non siano state causate per la maggior parte da Questi paesi e per il riconoscimento delle loro capacità no siano necessariamente allo stesso livello degli altri paesi -> interesse condiviso ad aiutarli e rispettare i propri obblighi internazionali. Trattato che riguarda determinate aree geografiche a cui si riconosce un valore internazionale. Lo stesso tipo di approccio si torva nella convenzione di Ramsar sulle aree di tipo internazionale. Nuovo trattato in cui la comunità internazionale identifica delle zone umide, che sono in un paese ma che hanno importanza internazionale -> all’inizio si penso che l’importanza di queste aree come zone di passaggio per gli uccelli migratori; con avanzare conoscenze scientifiche ci si è resi conto che queste zone sono anche importanti per tutta una serie di processi globali del ciclo dell’acqua, anche in relazione al cambio climatico. è una convenzione che riguarda determinate aree importanti sia per la natura che per altri servizi importanti per l’umanità. Anche qui abbiamo da un alto un chiarimento su quali siano gli obblighi dei paesi che ospitano queste aree umide di importanza internazionale, e dall’altro una serie aree di cooperazione internazionale soprattutto per offrire supporto ai paesi che abbiamo meno capacità di poter rispettare questo obblighi. Queste due convenzioni nei primi anni 70 riguardano al protezione di particolari aree che hanno questo interesse che va al di là di quello locale o nazionale. Altri due trattati importanti si focalizzano sulla protezione di particolari specie animali e in certi casi anche vegetali. Una è su commercio internazionale delle specie in via di estinzione -> il riconoscimento è un altra volta guardare specie animali o vegetali che si trovano in uno stato, ma che sono a rischio di sparizione e quindi danneggerebbero il patrimonio biologico e sono messi in pericolo di estinzione proprio per colpa del commercio internazionale. Il nucleo di interesse alla cooperazione internazionale è la necessario di regolare il commercio che richiede un controllo sia alla fonte per i paesi che ospitano specie in via distinzione che nei paesi che si trovano ad importare queste speci che contengono il mercato che motiva all’uso di questi speci in via di estinzione. L’altra convenzione è quella sulle speci migratorie -> speci che in un certo momento dell’anno si trovano in uno stato, ma migrando si trovano anche in zone di competenza internazionale e poi per un altro periodo si trovano in un altro. Per quanto la costruzione di uno stato possa essere sufficiente per proteggerle in se per se da sola no potrà mai garantire una vera protezione senza la collaborazione di misure protettive di tutti altri paesi che una particolare specie si trova ad attraversare. Da chiarezza di nuovo sul tipo di responsabilità internazionale e come si debba mettere in atto nell’uso della sovranità nazionale, ma tenendo conto che queste speci hanno un interesse internazionale. Abbiamo una lista di specie classifica te in base ad un maggiore o minore pericolo di estinzione e regole più o meno severe vengono adottate nel caso di determinate specie. E poi ci sono altre regole di cooperazione internazionale per dare supporto ai paesi in via di sviluppo per ottemperare ai propri obblighi e anche mobilitare la comunità internazionale per creare delle strutture di monitoraggio e comprensione die problemi che riguardano queste specie, alcune dei quali si sono evolute nel tempo. Se prendiamo insieme questi trattati abbiamo diversi tipi di oggetti del diritto ambientale internazionale, con simile struttura che prevede una serie di obblighi specifici per gli stati individuali, delle forme di cooperazione internazionale sia di supporto che di monitoraggio e delle liste che vengono aggiornaste periodicamente e basate sulle decisioni degli stati membri che specificano gli oggetti di regolazione internazionale. Non tutti gli stati sono parte di questi trattati, alcuni hanno più membri e altri ne hanno meno; per alcuni paesi sono in vigore tutti e 4 i trattai e per altri solo alcuni. Ciascun trattato è uno strumento e se stante in termini politici di decisioni e di monitoraggio. In ogni caso anche sovrapponendo i tipi di protezione che ciascun trattato offre rimangono delle aree della natura che non riconduciamo nell’ambito di nessuno di questi trattati e nei migliori dei casi abbiamo una protezione a macchine. Solo nei primi anni 90 ci si rese conto che questo tipo di protezione internazionale per quanto avesse una sua logica importante che rimaneva valida non dava sufficiente protezione alla biodiversità -> viene negoziato un nuovo trattato sulla biodiversità che ha la caratteristica di avere un approccio molto più comprensivo rispetto ai precedente pur non deviando l’utilità di questi trattati. Nei trattai successivi, come quello sule risorse energetiche per la nutrizione del cibo, da ulteriori norme più specifiche ma sulla base degli stessi obiettivi e approcci che sono stati identificati nella convenzione sulla biodiversità. Il più recente trattato che è stato concluso a marzo del 2023 sulla biodiversità marina anche questo continua a chiarire obblighi internazionali sulla base degli stessi obiettivi e concetti che sono stati per la prima volta identificati sulla convenzione sulla biodiversità. È quindi un trattato che ha influenzato anche i trattati successivi. Il soggetto oggetto di questo trattato è la diversità biologica -> a definizione è nata nel nuovo livello di comprensione sia nella complessità e nella estensione nell’oggetto di protezione nell’ambito del diritto internazionale che si occupa di protezione della natura. Si fa riferimento alla variabilità fra esseri viventi sulla terra di qualsiasi forma e non solo particolari specie, ma si va a guardare anche alle interazioni tra queste diverse forme di vita. A guardare alla diversità non solo a livello do diverse speci, ma anche diversità a livello genetico e a livello di ecosistemi -> convenzione ci da nel diritto internazionale la definizione di risorse genetiche e di ecosistemi. Le prime fanno riferimento al materiale genetico con particolare dettaglio di far riferimento ad un valore potenziale per l’uomo; la seconda si fa riferimento ad una nozione scientifica di comprendere come animali vegetali e microorganismi siano in un sistema dinamico e interrelazionato gli uni con gli altri e anche con l’ambiente non vivente e interagiscono l’uno con l’altra come unità funzionale. Da un lato quello che si cercava di fare con la convenzione sulla biodiversità è quella di definire a livello specifico un oggetto di relazione internazionale più complesse di quello che si era riuscito a calcolare fino a quel momento a livello di specie, cercando di importare le conoscenze scientifiche più avanzate e adeguare il diritto internazionale a queste nozioni di maggiore complessità sia a livello di profondità di comprensione di come funziona la vita sul pianeta terra, ma comprendere anche una questione di intercorrelabilità tra la precedente protezione internazionale che era più a macchie -> il limite dei trattati precedenti era quello di non proteggere le interconnessioni tra le diverse specie all’interno di un ambiente. Anche se riusciamo a proteggere delle specie ma non proteggiamo l’habitat che gli permette di vivere alla fine anche il discorso di proteggere la specie, per quanto riesca di solito non riesce a raggiungere l’obiettivo. Pur portando questa più avanzata comprensione a livello scientifico comunque c’è, sia nella mera definizione di risorse genetiche che di risorse biologiche, questo riferimento ad un utilità per l’uomo -> che sia un uso potenziale. Questione che rimane attuale dalle parti della CVD perchè può essere considerato un riconoscimento pragmatico della realtà e se ci troviamo a sviluppare un trattato internazionale che vincola le creazioni umane e le relazioni tra gli stati lo facciamo ovviamente per proteggere un interesse umano. Più capiamo quale sia il nostro interesse alla protezione della natura e più ci sarà un incentivo alla protezione -> no solo capire gli usi attuali della biodiversità, quali possono essere l’agricoltura, la pesca, l’uso dell’acqua, ma anche gli usi futuri. L’altra fase del dibattito filosofico è dire ma perchè dobbiamo riuscire in un piano specifico con un valore per l’uomo nella biodiversità? Non dovremmo proteggerla in quanto tale per il suo valore intrinseco senza dover andare a cercare una giustificazione? C’è quindi questo approccio filosofico che prescinderebbe da questo punto di vista della relazione fra uomo e biodiversità e vorrebbe una protezione indipendente da qualsiasi uso presente o futuro dall’umanità. Da questo punto di vista il testo può essere interpretato in entrambe i modi -> umanità che prende coscienza di questo valore intrinseco o che abbia un rapporto sia spirituale o culturale con la natura. La realtà è che per quanto spesso un trattato possa sempre essere interpretato in modi diversi poi bisogna andare sempre a vedere alla prassi che nei diversi paesi sia a livello collettivo che a livello individuale e andare a vedere se davvero le decisioni pratiche messe in atto o l’inter di questo trattato sono più una prova di un interpretazione utilitaristica rispetto ad una di protezione della natura. È importante tener presente che questo due possibilità di interpretazione quasi filosofica del trattato coesistono e abbiamo diversi paesi che nel corso delle discussioni su come trattato deba essere interpretato e messo in atto propongono delle diverse visioni che sono contrastate da questa diversa matrice filosofica. Nel testo vediamo questa coesistenza che non è per forza pacifica ed è possibile capire dove ci siano un certo riconoscimento della discrezionalità di ciascun paese nel comprendere nuovi ordini internazionali nel contesto della propria sovranità nazionale e decidere più in un modo che in altro -> più ad una protezione a livello intrinseco che ad una protezione utilitaristica. Anche nei paesi che hanno fato molta enfasi nell’importanza nell’uso del valore dell’umanità come per dire che sia questo motiva l’azione umana -> al di là che uno schieramento possa essere filosofico o spirituale da attenzione al valore umano per motivi di efficienza e maggior possibilità che gli umani possano rapportarti alla protezione della biodiversità in un modo di contribuito agli obiettivi internazionali. Qualsiasi approccio ha i suoi limiti e non c’è nessun approccio che al momento si sia dimostrato il modo assoluto più efficace nella protezione della natura; ciascuno ha avuto i suoi successi e le sue limitazioni. Rimane dibattito aperto anche da un punto di vista di ricerca empirica. Quello che è importante comprendere è questa idea del lavoro umano non è qualcosa di fisso e immutabile, ma quello che si intendeva con il lavoro umano negli anni 90 è diverso da quello che si intendo oggi giorno. Appena qualche anno fa è stato comunicato questo sommario per l’importanza della biodiversità come fattore per lo sviluppo -> si è compreso importanza del cambio climatico come fattore che può limitare se non addirittura arrestare completamente il comportamento umano. La stessa cosa ha senso se noi guardiamo al ruolo della biodiversità nella nostra vita o nella sopravvivenza della nostra esistenza e anche nel contesto del cambio climatico; però questa presa di coscienza e anche alla base scientifica che la sottende non hanno avuto la stessa (?) come per il cambio climatico. Sono più recenti lo sforzo fatto dal società civile e dal settore della ricerca per rendere più comprensibile come al protezione della biodiversità abbiamo lo stessa importanza per la realizzazione dello sviluppo, per la salvaguardia della povertà, ecc… anche a livello di sicurezza nazionale e globale. L’altro aspetto importante che è stato chiarito solo 5 anni fa con uno sforzo sia da parte del programma delle nazioni unite sull’ambiente che dell’organizzazione internazionale sulla sanità è di chiarire tutti i livelli a cui la biodiversità contribuisce alla salute umana, sia quella fisica che quella mentale. Si va da un livello di ecosistema ad un livello genetico per capire l’importanza della biodiversità per la nostra salute umana che anche a vari livelli di interazione. hanno dimostrato che la tempistica per rimettersi da un operazione chirurgica è molto ridotta se l’ospedale è situato vicino ad una foresta biodiversa con diverse speci che stanno crescendo naturalmente. Questo perchè il nostro microbioma interno comunica con i microbi che si trovano nelle zone naturali biodiverse e c’è tutta una serie di interazioni che fanno si che la nostra salute traggano die benefici da questa vicinanza. Questa è una realtà che fa capire altri esempi di malattie infettive o congenite oppure tipo la depressione si a livello di prevenzione che di recupero. Queste sono una base di coscienza del valore umano che derivano dalla biodiversità che è venuto fuori recentemente e che sicuramente non sono di conoscenza comune. Il che crea una barriera perchè gli sforzi di protezione di biodiversità abbiano la sensibilità politica e un livello di finanziamento che vediamo invece assicurato per il cambio climatico. L’importanza di quella definizione quanto fossero fondamentali sia per avviare la meccanica del diritto internazionale rispetto al natura degli anni 90 e quanto ancora ci sia da scoprire sulla questione della nostra dipendenza dalla biodiversità. passiamo a concetti più giuridici costruendo sulle definizioni che troviamo nei primi articoli della convenzione -> il primo punto riporta alla questione di limitare l’uso della sovranità nazionale sulle risposte naturali. Da un lato la convenzione sulla biodiversità riconosce che parte delle risorse naturali sono le risorse biologiche, non sono risorse biologiche, ma derivano da risorse genetiche. Con la definizione di biodiversità e varietà genetica conosce che la sovranità nazionale si estende anche a livello genetico -> quelle che sono le risorse che si trovano in un certo stato sono anche risorse genetiche. un valore economico. Questo rimane un dibattito aperto e rimane da capire fino a che punto questo contributo abbia avuto impatto. Forse l’aspetto più interessante è il riconoscimento di comprendere la questione de benefici che la natura ha per l’uomo in termini di diritto umani fondamentali. Questo è stato il passaggio recente che abbiamo visto nel lavoro nel special relator sui diritti umani delle nazioni unite del 2017 ha pubblicato un rapporto spartiacque in cui parlava dei servizi di ecosistema, ma non solo come benefici come, come una questione economica, ma anche come il condizioni essenziali per la protezione dei diritti umani essenziali. Fino a che punto gli obblighi che troviamo nel contesto della convenzione sulla biodiversità limitano la discrezione degli stati e in che modo questa comprensione del diritto della biodiversità internazionale ci faccia comprendere quali siano gli obblighi internazionali per i diversi stati in questo settore. Vediamo ora quali sono questi obblighi compresi nella convenzione sulla biodiversità. anche solo guardano i nomi degli articoli vediamo una serie di attività, alcune delle quali sono tradizionali -> protezione di aree protette o studi di valutazione ambientale. Altri obblighi invece sono più innovativi almeno nel contesto degli anni 90 quando prese forma il tratto -> art. 6 idea di integrare la biodiversità in altre aree politiche e non solo per la protezione dell’ambiente. Per quanto riguarda la biodiversità siamo un po’ più indietro per colpa del problema di presa di coscienza dell’attività politica. Altri obblighi più innovativi sono tipo quelli di riabilitare ecosistemi degradati -> presa coscienza del fatto che molte aree hanno già perso biodiversità, ma ciò non toglie che ci sono degli obblighi per cercare di ricreare le condizioni di biodiversità ecologica che possono essere state perse nel tempo. Ciò si collega all’idea di adattamento al cambio climatico. Un altro obbligo innovativi è quello di specie aliene invasive -> idea che a volte nella biodiversità stessa si possono creare delle minacce perchè specie che vengono importante o viaggiano da un paese a un altro si possono avvicinare ad un territorio e hanno la capacità di invadere e portare all’estinzione le speci locali per particolari loro capacità. Questo è un interessante problema non solo di gestione ambientale, di individuare minacce alla biodiversità all’interno delle stesse dinamiche nella biodiversità, ma a volte ha riscontri anche in termini di commercio internazionale -> spesso le specie aliene vengono portare con commercio di specie viventi o di prodotti. Un altro obbligo nuovo riguarda la conservazione exsitu -> ha a che fare con zoo o giardini botanici, ma che all’inizio non si pensavano come contributi alla conservazione globale della natura. È un riconoscimento perchè a volte i nostri sforzi possono fallire e il fatto che questo specie si ritrovino a sopravvivere in altre situazioni di studio e anche di condivisione con altri paesi danno una mano di sicurezza e un opportunità di contribuire a risposte di conservazione al di là di quello che si può fare negli stati in cui alcune risorse biologiche si trovino. Hanno un riconoscimento non esplicito del fatto che trovandoci in una situazione di bagaglio coloniale c’è una possibilità di utilizzare queste strutture per contribuire sia a livello globale alla protezione della biodiversità, avanzando la ricerca, ma anche proteggendola da effetti esemplari di specie in via di estinzione, e contribuendo a particolari sforzi in particolari stati che si trovano ad affrontare difficoltà in conservazione in situ. Abbiamo poi all’art. 10 … uso sostenibile -> è una novità perchè i trattai precedenti erano focalizzati solo sull’idea della conservazione equi invece si danno delle limitazioni per quanto generiche, al modo in cui gli stati l’uso delle risorse biologiche; per quanto si lasci un margine di scelta ampio ai vari governi, c’è comunque un inizio di limitazione internazionale nelle opzioni che ciascuno stato ha con l’uso di risorse biologiche. Si guarda non solo all’uso autorizzato dallo stato, ma si va anche a pensare al ruolo di altri attori non statali e al ruolo del governo nei confronti delle compagnie private che utilizzano la biodiversità. C’è questo tipo di mentalità pragmatica dei negoziatori della cvd nell’andare a vedere quali effettivamente siano gli attori che abbiano maggior impatto sulla continuazione della varità di logica e di rassicurarsi che l’azione dello stato non sia solo focalizzata su attori pubblici, ma anche privati. In questo senso troviamo l’articolo sugli incentivi -> non solo prevedere controllo e limitazioni a livello di regolamentazione nazionale, ma anche pensare a degli approcci economici e di incentivo. Idea è quella di dare un sistema più ad ampio raggio delle possibili misure che gli stati possono prendere per assicurare la protezione più effettiva della biodiversità. Questi obblighi spesso sono qualificati; ci sono vari terminologie usate ripetutamente nel trattai per far si che non ci siano mai compiti assoluti o stretti, ma c’è sempre questa protezione del margine di discrezionalità di ciascun paese -> in parte perchè c’è l’idea che si speri che ciascun paese riesca ad identificare un sistema della biodiversità che sia adatto a particolari circostanze ecologiche e socio-culturali. È un modello che troviamo nella convenzione sin dagli anni 90 e in un certo senso è stato adottato anche nel contesto del cambio climatico -> idea che lo stato sia libero di prendere decisioni più vicine alle risorse e anche alle realtà socio-economiche-culturali e che quindi si trovi in una situazione più efficace per la decisione delle misure specifiche di messa in atto del diritto internazionale ambientale. Avendo questo ampio margine di decisone la questione si sposta sul controllare se davvero le decisioni messe in atto di questo paese sono sufficienti e ha un vero impatto sulla realizzazione di questi obiettivi generali; purtroppo nella convenzione non c’è un sistema di monitoraggio centralizzato e nemmeno un istituzione internazionale che vada a verificare se le misure nazionali siano sufficienti e lineari con i principi e gli obblighi generali. È un’eccezione perchè questa è una pratica inclusa in tutti gli altri trattati internazionali, anche quelli precedenti, in cui ognuno ha un istituzione che sta al di sotto della conferenza delle parti e che ha il compito di creare un approccio e capire quali siano i problemi dimessa in atto e identificare in modo cooperativo quali siano le migliori soluzioni per certi problemi. Questo sviluppo istituzionale non c’è stato nella convezione sulla biodiversità, in parte si crede perchè la convenzione ha questa natura espansiva e sia è occupata di talmente tanti settori e questioni da aver lasciato agli stati parti un po’ preoccupati. C’è un trade off tra il tipo e la quantità di questioni che vengo analizzate da un punto di vista di conservazione e uso sostenibile per la biodiversità sotto questo trattato e per l’altro dire che per quanto accettiamo questo margine di interferenza nella vita di ciascuno stato dall’altro non vogliamo essere sottoposti ad un sistema troppo stretto per il controllo delle decisioni. Rimane un dibattito aperto per capire come verificare, se c’è effettivamente un progresso o invece non si riesca a cambiare lo stato attuale che è drammatico. Art. 6 misure generali Da un lato è un obbligo più specifico di integrazione ambientale -> qualcosa che non è così diverso dal principio della convenzione di Rio ma un po’ più specifico perchè è un obbligo pattizio, non è più solo un principio generale; dall’altro c’è questa qualifica “per quanto possibile e per quanto sia appropriato” -> lasciamo allo stato la possibilità di scegliere le decisioni più appropriate in un determinato contesto. L’altro obbligo è quello di sviluppare strategie nazionali sulla biodiversità -> la strategia nazionale è il documento con cui ciascuno stato dichiara come intende ottemperare agli obblighi internazionali in questo contesto, se uno stato sviluppa queste strategie, che vengono aggiornate a scadenza regolare; poi c’è un processo di studio di queste strategie a livello internazionale per cercare di capire in che modo si stanno orientando i governi per ottemperare gli obblighi, in che modo usano le nuove scoperte scientifiche e se infine questi sforzi siano sufficienti o no per rispondere alle varie minacce che vengono verificate periodicamente dalla COP. Art. 8 obblighi sulla conservazione in situ Si vedono obblighi comuni come quello di creare un “sistema di zone protette” e alcune cose meno ovvie come l’idea di “riabilitare e risanare gli ecosistemi degradati” o “prevenire l’introduzione e controllare l’uso di specie aliene”. Anche qui vige la regola “per quanto sia possibile” -> stessa espressione che contribuisce all’idea che questi obblighi siano specifici e vincolanti, ma lasciano molto margine di decisioni ai diversi paesi su come poi metterli in pratica. Art. 14 Riguarda degli specifici obblighi sulla valutazione di impatto ambientale facendo riferimento alla considerazione della biodiversità -> questa valutazione sull’impatto ambientale preesisteva rispetto alla convenzione ma molto spesso si riferivano ad impatti ambientali senza pensare a tutti quei livelli di protezione che invece la convenzione ha reso oggetto di protezione internazionale. Tutta una seria di considerazioni ambientali molto più specifiche di quello che normalmente vengono prese in considerazione a livello di impatto ambientale. anche qui però ci sono alcuni spunti specifici molto più dettagliati di quello che potremmo trovare nella dichiarazione di Rio, ma sempre obblighi che lasciano un significativo margine di apprezzamento per ciascuno stato -> sempre per quanto sia possibile ed appropriato. Idea di come interpretare questo tipo di fraseologia “quando sia possibile”-> da un lato è interpretabile in rispetto alla questione delle diverse capacità degli stati membri del trattato di poter far fronte a questi obblighi con le loro capacità sia scientifiche, che finanziarie, che di tecnologie; questi obblighi per quanto siano gli stessi fra tutti i paesi in realtà l’aspettative di come verrano mesi in atti a livello nazionale è proporzionale alle capacità che sono a disposizione di questi paesi. In più è anche dipendente dall’idea che i paesi industrializzati daranno seguito ai loro obblighi di solidarietà finanziaria e di capacità e tecnologie -> ha anche a fare con il ricevere supporto finanziario e tecnologico da parte dei paesi industrializzati, L’art. 20 che riguarda le risorse finanziarie, fa riferimento al paragrafo IV al fatto che l’adesione che ci si può aspettare da un paese in via di sviluppo per l’adempimento dei propri obblighi derivanti da questo trattato dipende dalla misura in cui i paesi industrializzato abbiamo fornito supporto finanziario. Da un alto abbiamo un chiarimento sui limiti all’utilizzo della sovranità nazionale per ciascun paese che sono gli stessi, ma dall’altro un’apertura dell’aspettativa per cui non tutti gli stati possono ottemperare in modo uguale, sia a livello di tempistica che di ambizione se non si tiene anche conto del fatto che i paesi industrializzati come parte dei loro obblighi di cooperazione internazionale hanno preso questi obblighi specifici. La mancanza di messa in atto di questi obblighi di solidarietà internazionale fa si che si abbia un effetto sulle aspettative di messa in atto da parte dei paesi in via di sviluppo. Guardando sempre l’art. 20 vediamo che anche qui ci sono significative flessibilità su quanto ci si aspetti per i paesi industrializzati a contribuire ai supporti di conservazione degli altri paesi. Una delle questioni ripetuta nel tempo è capire quanto denaro i paesi industrializzati dovrebbero dare agli sforzi globali per la conservazione della biodiversità -> nel tratto non c’è scritto e non c’è nemmeno una formula che ci permetta di dire questa quantità; per certi versi rimane un po’ nelle mani dei paesi donanti. La realtà però negli anni è stata che le risorse donate non fossero mai sufficienti a sopperire ai bisogni dei paesi in via diritto sviluppo ed è per questo che col tempo si sono prese delle decisioni da parte della COP di trovare ameno delle misure quantitative -> non è un obbligo ma è una certa implicazione di ciò che è necessario e cid a una misura per mettere pressione ai paesi donanti e fargli prendere più seriamente questo obbligo. Questo obbligo è stato aggiornato nel tempo e questa questione di un target rimane sempre un aspetto di negoziato da qualsiasi COP e visto come una prova di buona fede da parte dei paesi industrializzati nel continuare questa operazione di conservazione della biodiversità. Ovviamente tra il mettersi d’accordo su un certo target ed effettivamente realizzarlo, soprattuto se manca un sistema di monitoraggio individuale di messa in atto, si rimane sempre in una situazione in cui da un alto si cerca di fare sempre più pressione sulle aspettative, ma dall’altro rimane sempre la possibilità per i paesi donanti di aumentare il loro contributi finanziari. Questa è un altra questione che rimane aperta e che al di la delle flessibilità lasciate a livello di diritto in quanto tale è una questione di politica piuttosto fallimentare -> se c’è questa comprensione che non tuti i paesi possono ottemperare ai loro obblighi di protezione della biodiversità, che è un valore che ha importanza fondamentale per l'umanità, la mancanza di realizzazione di questi obblighi generici di cooperazione finanziaria fa si che tutto questo sforzo rimanga parziale se non limitato. Una questione più recente è su come combinare aspetti di finanziamento di azione in risposta al cambio climatico con quelle sulla biodiversità -> ciascuna di queste due aree ha bisogno di fondi e in realtà c’è una possibilità di combinare azione sinergiche e trovare una modalità per cui i paesi industrializzati utilizzino in modo più armonioso le proprie finanze per l’ambiente cercando di utilizzare lo stesso quantitativo di finanza per un pluralità di obiettivi ambientali internazionali. Anche c’è stato maggior successo dell’incremento finanziario nazionale per il cambio climatico rispetto alla biodiversità e l’UE è stata uno dei gruppi di paesi che ha più supportato questo approccio. Art. 22 relazione tra convenzione biodiversità e altri trattati internazionali Proprio perchè l’oggetto della convenzione sulla biodiversità si è espanso nel tempo, sempre più ci sono state questioni che sono venute a galla che hanno anche a che fare con altri trattai internazionali. “Le disposizioni della presente Convenzione non pregiudicano i diritti e gli obblighi di una Parte contraente derivanti da un accordo internazionale esistente, salvo se l’esercizio di tale diritto o il rispetto di tali obblighi potrebbe causare gravi danni alla diversità biologica o costituire per essa una minaccia” Da un alto c’è uno sforzo di assicurare armonia e non rendere questa convenzione troppo invasiva rispetto ad altri interessi pubblici protetti dai diversi stati, d’altro canto però ci da anche indicazione che non si può usare la scusa che un altro obbligo internazionale vada contro gli obiettivi generali della convenzione. Quest’articolo ci fa capire che le parti della convenzione in caso di un possibile danno o minacci a a biodiversità devono ripensare a come usano i propri diritto e doveri derivanti da altri trattai in modo da trovare anche qui una soluzione coerente che possa ottemperare ad entrambi gli obblighi. In teoria è un’operazione che si può fare a livello di interpretazione giudica, magari in pratica è questione per cui si discute spesso a livello di accettabilità politica dei diversi interessi a cui dare prevalenza. In particolare questa articolo fa riferimento al fatto che per quanto riguarda la biodiversità marina bisogna anche rapportarsi a tutto il sistema di diritti e obblighi in ambito del diritto del mare. Viene fatto questo trattato recente sulla biodiversità marina al di là delle aree marine di protezione nazionale e c’è qualche esempio su come gli stati parte della convenzione abbiano interpretato questa necessità di proteggere la biodiversità e assicurare un uso sostenibile nel contesto di particolari diritti e obblighi che già preesisteva ed erano generali nel contesto della convenzione sul diritto del mare. Esempio per vedere come questa norma generale dia poi vita ad un intero trattato che chiarisca quali siano gli obblighi in materia. Quanto siamo a conoscenza del fatto che la protezione della biodiversità abbia un impatto sui diritti umani sia a livello scientifico, ma soprattuto a livello giuridico. Lo UN special Rapporteur’s report on human rihts and biodiversity è stata la prima affermazione ufficiale nel sistema delle nazioni unite in cui è stato chiarito che la perdita della biodiversità e la perdita dei servizi di ecosistema è una relazione con i diritti umani in certi casi e quindi per quanto gli obblighi nella convenzione sulla biodiversità siano molto aperti e lascino il loro spazio di interpretazione a ciascuno stato, quanto poi si vede che questi sforzi sono insufficienti il diritto internazionale dei diritti umani ci fa capire come non tutte le scelte sian ugualmente accettabili da un punto di vista internazionale e più ampiamente inteso, perchè alcune fallendo nel proteggere la biodiversità portano anche a degli impatti negativi nei diritti umani. Quindi quello il relatore ha fatto è stato mettere cambiamenti climatici, a garantire che la produzione alimentare non sia minacciata e a consentire allo sviluppo economico di procedere in modo sostenibile. L’art 3 elenca i principi fondamentali: 1. Il principio delle comuni ma differenziate responsabilità 2. Il principio intergenerazionale 3. Il principio precauzionale 4. Lo sviluppo sostenibile 5. La promozione di un sistema economica… l’Art. 4 elenca gli obblighi degli stati parti: Art. 4.1 impegno per tutti gli stati: a. “Sviluppare, aggiornare periodicamente, pubblicare […] gli inventari nazionali delle emissioni antropiche dalle fonti e degli assorbimenti dai pozzi di tutti i gas a effetto serra” b. Formulare, attuare, pubblicare e aggiornare regolarmente programmi […] contenenti misure per mitigare i cambiamenti climatici, affrontando le emissioni antropogeniche dalle fonti e gli assorbimenti dai pozzi di tutti i gas a effetto serra c. “Promuovere e collaborare allo sviluppo, all'applicazione e alla diffusione, compreso il trasferimento, di tecnologie, pratiche e processi che controllino, riducano o prevengano le emissioni antropogeniche di gas a effetto serra” Misure di adattamento sono una parte importante per la prevenzione del cambiamento climatico Art. 4.2-4.5 impegni per i paesi sviluppati -> fornire risorse finanziare ai paesi in via di sviluppo… La convenzione prevede la creazioni di istituti 1. Conferenza delle parti (COP) assemblea di tuti i rappresentati delle parti che prendono decisioni importanti per consenso 2. Organi specifici 3. Segretario permanente (si torva a Bon in Germania) Allegati alla convenzione: • Allegati 1: paesi sviluppati e paesi che si trovano in processo transizione verso economia di mercato • Allegato 2: paesi sviluppati (nel 1992 la Cina era considerato un paese in via di sviluppo -> ora è lo stato che emette più gas serra) Il protocollo di Kyoto è stato adottato nel 1997 ed è entrato in vigore nel 2005 (USA all’inizio lo avevano firmato, ma con Bush nel 2001 hanno deciso di non ratificarlo con l’unanimità del senato), 8 anni dopo perchè il protocollo necessitava di almeno 55 nazioni e che queste stesse nazioni complessivamente rappresentassero non meno del 55% delle emissioni globali -> con la rinuncia degli stati uniti abbiamo dovuto aspettare fino a che la Russia ratificasse perchè sennò non riuscivamo ad arrivare al 55%. Nel 2005 la situazione era diversa rispetto al 1997. È stato un successo? Si e no, gli stati dell’UE hanno rispettato gli obblighi fissati e vincolanti però tarda ad entrare in vigore e soprattutto non è presenta la firma degli stati con la maggior emissione dei gas serra -> non è sufficiente che sono una parte degli stati rispetto questi obblighi, ma dovrebbero essere tutti a partecipare. Abbiamo visto che il protocollo di Kyoto non bastava per frenare l’aumento delle temperature globali e ciò si vedeva già dal 2005 per cui vennero fatti due negoziati internazionali “paralleli” -> Doha amendament che doveva coprire il secondo periodo dal 2012 al 2020 entrato in vigore il 31 dicembre di quell’anno. Inutile perchè comunque la situa continuava a cambiare e l’urgenza climatica diventava via via più grave. La seconda strada era per una nuova soluzione che prevedesse anche la partecipazione degli USA -> accordo di Parigi. È stato adottato il 12 dicembre 2015 considerato un momento storco perchè rispetto agli strumenti usati prima imponeva obblighi per tutti gli stati -> per la prima volta un accordo sul clima prevedeva che tutti gli stati membri anche quelli che sono responsabili della maggior emissione di gas serra. Altri dicono però che invece si dovrebbe parlare di “errore storico” o di “opportunità mancata” perchè nonostante ci fosse una sottoscrizione di tutti i i paesi un compromesso è stato quello per cui i contributi individuali agli obblighi di ogni stato non sono giuridicamente vincolanti. L’unico modo di far accettare un nuovo accordo sul clima agli stati uniti e alla Cina e tutti i paesi che emettono maggior livello di gas serra era di accettare il compromesso. È un accordo ibrido che ha alcuni aspetti vincolanti e altri aspetti volontari -> questo contributi nazionali per cui ogni paese decida a livello nazionali con le proprie procedure il suo programma che comunque fa arte del sostengo globale. L’espansione geografica dell’accordo aveva questo prezzo. Possiamo distinguere diversi tipi di disposizioni. • Obiettivi collettivi: art. 2 (par I) dice di mantenere l'aumento della temperatura globale sotto dei 2° rispetto ai livelli preindustriali e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1.5°. L’art 4 dice di raggiungere il picco globale delle emissioni di gas serra il prima possibile e un equilibrio fra emissioni antropogeniche e rimozioni di GHG bella seconda metà di questo secolo • Impegni collettivi per tutti gli stati: L’art. 14 prevede un intervento globale ogni 5 anni per valutare i progressi e fissare gli obiettivi progressivamente ambiziosi con gli NDC (Nationally Determined Contributions). L’art. 13 dice di stabilire un quadro di trasparenza (creare dei meccanismi per poter valutare se almeno a discorso collettivo andavamo a realizzare questi obiettivi) per riferire sui progressi dell’attuazione degli NDC. • Obblighi solo per paesi sviluppati: devono fornire sostegno internazionale continuo e rafforzato agli sforzi e adattamento dei paesi in via di sviluppo con il sostegno finanziario (art. 9), il trasferimento tecnologico (art. 10 par. VI) e il rafforzamento delle capacità (art. 11) • Obblighi per ogni stato individuale: l’art. 4 par II dice che vi è un obbligo di preparare, comunicare e mantenere successivi NDC. Il par III parla dell’obbligo di comunicare un NDC ogni 5 anni che rappresenterà una progressione oltre l’attuale NDC. L’art. 13 par VII b obbliga a fornire regolarmente un inventario per monitorare e3 informazioni nazionali sui gas a effetto serra per monitorare i progressi nell’attuazione del suo NDC. Patto di Glasgow per il clima (COP 26 del 2021) • Rafforzare gli sforzi per costituire resilienza ai cambiamenti climatici ridurre le emissioni di gas serra e fornire finanziamenti per entrambi • Riaffermare l’impegno di fornire 100 miliardi di dollari all’anno dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo • Nel settore pubblico e privato aumentare il supporto per l’adattamento • Ridurre il divario tra i piani di riduzione delle emissioni esistenti e quanto necessario per ridurre le emissioni, in modo che l’aumento della temperatura media globale possa essere limitato a 1.5° • Ridurre gradualmente l’energia a carbone e i sussidi inefficienti per i combustibili fossili (per la prima volta) • Completare il Rulebook dell’AP per la rendicontazione trasparente delle azioni per il clima del supporto… COP 27 di Sharm El-Sheikh del 2022 È stato accordato il implementation plan: • La creazione di un fondo per “Loss and Damage” -> paesi hanno responsabilità per indennizzare i danni che hanno sofferti i paesi in via di sviluppo • Assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo • Comitato di transizione -> raccomandazioni che dovrebbero essere rese operative durante la COP28 • Piano d’azione congiunto per accelerare le soluzioni transformative • Obiettivi di risultato dell’adattamento coinvolgendo attori statali e non statali per raggiungerli entro il 2030 • Riconoscimento della necessità di maggiori finanziamenti per il clima • Progressi nel programma di lavoro sulla mitigazione • Impieghi insufficienti per ridurre le emissioni per mantenere l’obiettivo di 1.5 15.05.2023 Art. 15 Accordo Parigi Parla del Compliance Mechanism ovvero un meccanismo per facilitare l’attuazione e promuovere il rispetto delle disposizioni dell’accordo. È un comitato di esperti con natura e funzione facilitata, che opera in modo trasparente, non antagonistico e non punitivo e che presta attenzione alle capacità e circostanza nazionali delle Parti. Questo meccanismo deve essere molto soft perchè gli stati non vogliono essere controllati troppo. Questo comitato (PAICC) è stato creato nel accordo di Parigi ma poi le regole del comitato sono state stabilite alla COP 24 del 2018; verifica se gli stati rispettano i loro impegni e riferisce tutto alla COP. Regime giuridico a livello UE Secondo dei dati del 2019 il paese con più emissioni di gas serra al mondo è la Cina, responsabile del 29% delle emissioni; al secondo posto stanno gli USA con il 14%. Se guardiamo invece le emissione per-capita al primo posso troviamo l’Arabia Saudita seguita dagli USA, mentre la Cina è in una posizione molto inferiore. Le emissioni dell’Unione Europea riguarda l’8% delle emissioni totali. L’azione dell’UE in quest’ambito si è sviluppata dal 1990 in poi. La base giuridica sono gli artt. 11 e 191-193 del TFUE e con il trattato di Lisbona è stato introdotto nell’art. 191 un obiettivo specifico per cui la politica dell’unione in materia ambientale contribuisce a … L’UE abbiamo visto essere parte dei trattai internazionali sul clima (UNFCCC, Protocollo di Kyoto, Accordo di Parigi) -> ha delle conseguenze giuridiche. Tutti i paesi sono firmatari, ma le loro posizioni e gli obiettivi vengono coordinati a livello dell’unione europea. Anche se l’Italia ha firmato il UNFCC come stato autoritario, e anche gli impegni vengono presi individualmente, questi vengono poi coordinati a livello europeo. Dopo l’adozione della Convenzione Quadro l’UE ha adottato i primi atti per ridurre le emissioni di gas -> direttiva 93/76/EEC del 1993 per limitare le emissioni di diossido di carbonio; dopo il protocollo di Kyoto è stato creato l’ETS (European Emission Trading ) strumento cruciale in ambito di misure climatiche dottato a livello europeo. La prima direttiva su questo tema è stata adottata nel 2003 e sostituisce il sistema per lo scambio di di quote di immissioni di gas a effetto serra nelle comunità. È stata poi modificata nel 2004 da una direttiva e poi nel 2015 da una decisone. Questo sistema è stato creato per ottemperare gli obblighi che UE e gli stati europei avevano preso tramite protocollo di Kyoto -> questo idea degli scambii delle quote di emissione è stato creato. Se poi l’UE ha adottato ETS era per attuare questi obblighi già presi in ambito del protocollo di Kyoto. Idea è quella di creare un sistema in cui gli stati stabiliscono un livello massimo di immissioni e poi decidono che per rimanere sotto questo massimo di emissioni possiamo creare dei cd crediti di emissioni -> solo per le industrie che hanno le più grandi emissioni. Idea è cap and trade -> se sono sotto questo massimo gli enti che emettono grandi quantità di emissioni possono anche scambiare e vendere i crediti e comprarne altri. Per questo è stato creato un mercato preciso per le emission trading -> gli attori di questo sistema possono scambiare. La logica dietro è che se nel totale abbiamo un massimo e andiamo progressivamente ad abbassare quel massimo, se tutto va bene alla fine arriverò ad una riduzione. Vendo i crediti di emissioni che ho prodotto diminuendo le emissioni e con questi soldi questi vengono investiti In fonti rinnovabili di energia. Durante la prima fase (2018-2012) l’UE prendeva di ridurre le emissioni di gas serra con 8% rispetto ai livello del 1990 come previsto dal protocollo di Kyoto. Durante la seconda fase 2012-2020 l’ETS prevedeva di diminuire le emissioni di gas serra con 20% rispetto ai livelli del 1990 come previsto nel Doha Amendament per il secondo periodo di attuazione del protocollo di Kyoto. Per il periodo 2021-2030 l’ETS prevede di diminuire le emissione con 40% rispetto ai livelli del 1990. L’ETS si applica a: • Centrali elettriche • Settori industriali ad alta intensità energetica • Aeromobili che volano tra UE Norvegia e Islanda • Aeromobili che volano verso UE, in Islanda o Norvegia da altre parti del mondo sono esenti di questo sistema fino al 31 dicembre 2023. Il numero totale di quote rilasciate nell’UE si riduce annualmente. l’EU-ETS è il primo sistema internazionale per lo scambio di quote emissione di gas serra e copre quasi 11.000 centrali elettriche, impianti di produzione in UE, uk, Islanda, Norvegia e Liechtenstein, coprendo il 40% delle emissioni di gas serra. Nell’ottobre 2014 i leader dell’UE hanno fissato un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni coperti dall’ETS di almeno il 40% entro il 2030 rispetto al 1990. Hanno adottato un regolamento sulla condivisione sugli sforzi che traduce questo impegno in obiettivi annuali vincolanti per ogni stato membri per il periodo 2021-2030 European Green Deal Nel dicembre del 2019 la commissione ha adottato un serie di proposte per rendere le politiche dell’UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità idonee a: • ridurre le dimissioni nette di gas serra almeno del 55% entro il 2030 • arrivare al net-zero nel 2050 -> arrivare ad una neutralità climatica richiedendo politiche molto ambiziose a livello nazionale • Proposte sull’aumento delle energie rinnovabili • Una strategia di mobilità sostenibile e intelligente Idea di trasformare l’economia dell’UE per un futuro sostenibile La normativa europea sul clima del 2021 è stata adottata sottoforma di regolamento ed è entrata in vigore il 29 luglio. Trasforma l’impegno politico del Green Deal europeo per la neutralità climatica UE entro il 2050 in obbligo vincolante; aumenta l’obiettivo di riduzione delle emissione dell’UE entro il 2030 dal 40% al 55%. Ha come obiettivo le emissioni negative dopo il 2050. Contiene disposizioni più forti sull’adattamento dei cambiamenti climatici. Sarà istituito un comitato consultivo scientifico europeo sul cambiamento climatico per monitorare i progressi e valutare se la politica europea è coerente con questi obiettivi. Nel 2022 i legislatori dell’UE hanno votato su elementi chiave per il pacchetto cd “Fit for 55” di legislazione sull’energia e sul clima -> riforma del sistema di scambio di quota di emissioni (ETS) e gli standard di CO2 per auto e furgoni. Gli obiettivi delle normativa europea sul clima sono positive, ma non sufficienti e non tuti gli stati membri dell’UE hanno adottato programmi adeguati per implementarli. Duarte Aaostinho a.o._v. Austria a Contro-argomenti Base giuridica CESUSENI convenuti et iCI PLUCREIO Violazione dei diritti umani, per non aver MA intrapreso azioni re Il caso è inammissibile EOS (diritto alla vita) Do. 33 Stati cambiamenti 6 minori dal || membridel || climatici; richiedono ME Non Portogallo Consiglio una decisione della ( MOdova dell’Europa CEDU che richieda || Privata e familiare) Nessun obbligo gli Stati di extraterritoriale (i rischi intraprendere Art 14 (non- non erano prevedibili) renna discriminazione) ambiziosa Swiss senior women v. Switzerland (Appl. del26 Nov. 2020; Pendente) Be lc) LUGLIO] Ce u EL ict) NL CLP PCI Stato Politiche climatiche inadeguate violano i Art. 2 Nessun nesso di loro diritti alla vita e Art 8 causalità tra le Donne alla salute, e i ARG politiche climatiche anziane Svizzera tribunali svizzeri (equo svizzere «inadeguate» svizzere hanno violato i loro processo) e il danno subito Art 13 (ricorso diritti a un processo effettivo) equo e a un ricorso effettivo Stato PILE) Base (opta TTI IO] PIET (e I[MIACS IC] Er ci) [SPA Adottando 4 Attore un'azione per il Nessun nesso di individuale, clima insufficiente, causalità tra le affetto da una l'Austria ha violato Art. 2 azioni dell'Austria e forma di SM Austria il suo diritto a una Art. 8 il danno subito o dipendente Man privoe, ia previsto L'attore dalla Ltiretdat ° non è direttamente temperatura RE e individualmente prevedibili per la interessato sua Vita fNiraannaace 022 INETILOLI possibili dello ECC) ECC) IRAN Ave ILE] s principale IAC Il rilascio di nuove licenze per Nessun nesso l'esplorazione di causale tra queste petrolio e gas Art. 2 licenze e rischi per 20NG& A Der Itco ha Art le risorse umane | ii Norvegia violato i diritti 1 a e 6 individui ZIONI AR 13 tribunali nazionali tribunali norvegesi ECHR hanno rispettato i non sono riusciti a criteri legali per un fornire un rimedio ricorso effettivo ... effettivo Il diritto internazionale e il diritto dell’UE prevedono delle misure per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Finora le misure adottate non sono sufficienti per realizzare l’obiettivo di limitare il riscaldamento della temperatura globale al di sotto di 1,5°. Sono necessari più sforzi -> contenziosi climatici possono contribuire a spingere i governi ad accelerare l’azione climatica e la transizione energetica 19.05.2022 Abbiamo già parlato del diritto dell’UE nella prima lezione della parte speciale -> come si è evoluto. Partiamo da una situazione senza riferimento alla tutela ambientale fino alla situazione attuale del 2023 in cui la tutela ambientale rappresenta la comunità assoluta dell’UE come dimostrato dal GreenDeal. Gli artt di riferimento sappiamo che sono compresi nel titolo 20 e sono il 191-192-193. Abbiamo visto la procedura legislativa e decisionale a cui le istituzioni ricorrono per dottare atti di tutela ambientale -> quella ordinaria e in alcuni settori specificamente indicati dal 192 si usa quella speciale di consultazione. Siccome gli stati sono gelosi delle proprie prerogative si ricorre ad una procedura speciale -> deroga al principio per cui oggi in materia ambitale si usa la procedura legislativa ordinaria. Il parlamento deve essere consultato e il suo parere non significa un veto, ma anche se sia negativo il parere può essere superato dal consiglio che procede con adozione dell’atto nonostante il parere negativo del parlamento. L’art. 192 è la base giuridica degli atti in materia di tutela ambientale sulla base del quale vengono tutti adottati; ciò non significa che non esistano altri fondamenti normativi a cui si può ricorrere per adottare misure che riguardano in misura maggiore la tutela dell’ambiente -> in materia di mercato interno anche queste misure possono avere una importanza dal punto di vista ambientale. A volte si pone il dilemma di capire quale sia la base giuridica specifica che deve essere adottata. Se c’è una pluralità di basi giuridica adottabili si va a vedere lo scopo principale della misura; se non è possibile distinguere lo scopo preponderante bisogna scegliere quello che da maggior potere al parlamento. Un altro punto è il problema della natura della competenza ambientale dell’UE; è un applicazione specifica di una questione generale del diritto dell’UE -> varie categorie di competenza dell’UE. Sappiamo che l’UE ha competenze esclusive in quali solo essa può agire in linea di principio, queste competenze esclusive sono espressamente e indicate nei primi artt del TFUE. Poi esiste una competenza esclusiva che riguarda un aspetto specifico della tutela ambientale, ovvero la tutela per la conservazione delle risorse biologiche marine (i pesci e ogni altra risorsa naturale vivente) è inserito nel quadro della politica comune della pesca. Escluso questo pezzetto del diritto ambientale sulla conservazione delle risorse marine, tutto il resto che riguarda il diritto ambientale è oggetto di una competenza concorrente in linea di principio -> art. 4 TFUE che nell’elencare in maniera esemplificativa i settori di competenza concorrenti indica espressamente alla lettera e “ambiente”. La definizione che abbiamo dato di competenza concorrente non si applica take e quale in materia ambientale, ma riguardo alla natura delle competenze dell’UE non significa che UE e stati membri possono senza limite legiferare entrambi, ma mano a mano che UE legifera nel settore di competenza concorrente gli stati membri perdono la competenza di legiferare in quella materia. Se UE si occupa di una materia gli stati membri non possono più adottare atti in quella materia e quindi la competenza concorrente può ben diventare esclusiva di fatto. La conseguenza di questa trasformazione non si applica in materia di tutela ambientale, ma occorre escludere questa conseguenza. UE occupa quel settore, gli stati membri perdono il potere di legiferarlo -> conseguenza grave che non si produce in materia ambientale allorché gli stati membri adottino misure di protezione maggiore di quelle adottate dall’unione. Questo ce lo dice l’art. 193 TFUE -> unico limite è che i provvedimenti degli stati membri devono essere compatibili con i trattati e sono notificati alla commissione. Non vi è una libertà assoluta degli stati membri di proteggere in maniera più rigorosa l’ambiente e questi limiti possono essere oggetto di esame dalla CG; l’unico ricorso con cui uno stato membro può essere portato dinnanzi alla CG si chiama procedura di infrazione. I più importanti principi del diritto ambientale. Come si declina la categoria di fonti del principi in materia ambientali. Questi principi sono più numerosi di quelli che vengono indicati nell’art. 191 del TFUE, in particolare sono oggetto di questi summit si stati in materia ambientali che si sono tradotti in dichiarazioni che elencano i principi fondamentali del diritto internazionale sull’ambiente -> ci sono due punti di riferimento storici fondamentali che sono il 1972 con la conferenza di Stoccolma e nello stesso anno le istituzioni dell’unione decidono di intraprendere delle politiche in materia ambientale; e la conferenza di Rio del 1992. Sappiamo che questi summit si sono tradotti nell’adozione di dichiarazioni che fissano ed elencano i principi fondamentali di diritto internazionale dell’ambiente; sappiamo anche che queste dichiarazioni non sono strumenti giuridici vincolanti, non sono trattati, ma hanno così tanto rilievo per l’evoluzione internazionale e per la ricognizione del diritto consuetudinario internazionale -> in se per se non sono vincolanti ma possono esserlo. Sono dei punti di riferimento fondamentai perchè elencano i principi alla base della tutela ambientale. Quelli della dichiarazione di Rio sono 27 mentre l’art del TFUE contiene solo alcuni die principi indicati nella dichiarazione di Rio -> quelli più importanti sul piano dell’UE e del diritto ambientale complessivamente considerato. Il II paragrafo dell’art. 191 parla della politica della tutela ambientale che mira ad un elevato impatto a livello di tutela e poi 4 principi specifici su cui deve fondarsi l’azione dell’UE in materia ambientale: 1. Precauzione 2. Prevenzione 3. Principio della correzione alla fonte dei danni ambiente 4. Principio chi inquina paga Al di fuori del titolo 20 sull’ambiente vi sono almeno altri 2 principi collocati altrove che però sono estremante pertinenti in materia di tutela ambientale. Il primo è il principio o obiettivo dello sviluppo sostenibile, costituisce oggi un obiettivo dell’UE indicato espressamente nell’art. 3 del TUE in cui possiamo leggere che l’unione mira allo sviluppo sostenibile. Anche sul piano delle relazioni esterne con il resto del mondo (V par). C’è questa diatriba dottrinale se si tratti di un obiettivo o di un principio -> non è risolta perchè in alcune norme lo sviluppo sostenibile si atteggia come un obiettivo, mentre nell’art. 37 della carta dei diritto fondamentali si parla di principio dello sviluppo sostenibile. Sviluppo sostenibile deve essere uno sviluppo economico che si concili con esigenze di protezione sociale e ambientale -> si dice sempre che questa nozione di sviluppo sostenibile contiene tre dimensioni: 1. Economica 2. Sociale (protezione delle persone) 3. Ambientale dal punto di vista giuridico e normativo, questa nozione di sviluppo sostenibile che ha poca rilevanza pratica, ma è importante da punto di vista interpretativo -> ogni azione intrapresa da static he possa avere incidenza su ambiente deve essere letta alla luce di sviluppo sostenibile. Esiste una dimensione normativa importante del principi di sviluppo che viene accolta anche dall’UE -> principio di integrazione. Le esigenze di protezione ambientale debbono essere integrate nel perseguimento di qualsiasi politica da parte dell’UE; per attuare questa nozione di sviluppo sostenibile va integrata nel perseguimento anche di politiche che non hanno niente a che fare con l’ambiente. Questo ce lo dice l’art. 11 del TFUE e dice che “Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.” Lo sviluppo sostenibile è una bussola con cui vengono date specifiche e questa norma del principio di integrazione è sicuramente oggetto di una disposizione vincolante per le istituzioni dell’unioni, che nel perseguire qualsiasi delle politiche che rientrano nelle loro competenze devono far si che vengano integrate considerazioni di protezione ambientale. Questa esigenza di integrazione discende anche da dichiarazione di Rio -> principio 4 “la tutela dell'ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo”; altre parole e altri termini, ma il concetto che si vuole esprimere è lo stesso. Se non lo si fa si viola un principio fondamentale del diritto internazionale e dell’UE. Si può impugnare un’atto dell’UE perchè viola l’art. 11 del TFUE? Il linea di principio si, nulla osta alla possibilità di dire che l’atto deve essere annullato perchè viola i trattati; tuttavia (ciò vale per questo principio specifico e per tutti gli altri principi specifici) la giustiziabilià (quanto sia invocabile dinanzi al giudice) è limitata alla possibilità di ritenere che un atto delle istituzioni sia colpito da un errore di valutazione manifesto. No qualsiasi violazione dell’art 11 ma solo per gli errori manifesti. Sentenza 1998 per il caso Bettati o “safety high pech”: c’è un impugnazione si chiede alla corte di esaminare la validità di una norma contenuto in un regolamento del 94 relativo alle sostanza che riducono la fascia dell’ozono. Si ritiene che l’UE abbia violato il principio di integrazione nel momento in cui ha adottato questo regolamento sulle sostanze che impoveriscono lo strato dell’ozono. in effetti queste norme erano controverse dal punto di vista della tutela ambitale. La CG non annulla il regolamento perchè ritiene che violazioni minoris generis dell’art. 11 non determinano l’annullamento ma solo errori di valutazione manifesti possono determinare l’annullamento. Questo ci dice che nell’attuazione concreta di questi principi vi è un livello insito di discrezionalità politica da parte delle istituzioni -> l’attuazione concreta che dice come vadano concretamente declinati e applicati rientra in un ampio potere discrezionale delle istituzioni che può essere impugnato quando si rileva l’esistenza di un errore di valutazione manifesto. Altri principi fondamentale di diritto dell’UE che riguardano l’esercizio delle competenze dell’unione europea e che sono previsti sulla carta però non sono sindacabili a tutto rango sono quello di sussidiarietà e di proporzionalità. Il risultato pratico è che sono rarissimi i casi in cui un atto UE viene annullato per violazione di qualcuno di questi principi. La stessa cosa vale per i principi ex art 191 II paragrafo del TFUE
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