Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti diritto processuale civile, Appunti di Diritto Processuale Civile

Appunti di tutte le lezione aa.2022/2023 del corso di diritto processuale civile

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 24/04/2023

beaamarchesi.28
beaamarchesi.28 🇮🇹

4.6

(23)

16 documenti

1 / 73

Toggle sidebar

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti diritto processuale civile e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1 DIRITTO PROCESSUALE CIVILE LEZIONE 1 – 07/10 Cos’è il diritto processuale civile? È un diritto in senso oggettivo, un insieme di norme e di regole che disciplinano un determinato aspetto della vita di una comunità. Il processo civile è il modo e l’insieme di atti ordinata in cui si svolge una funzione dello stato: l’idea di processo richiama quella di procedere verso una meta che consente lo svolgimento di una funzione. Il termine processo non viene utilizzato solo nelle materie processuali ma anche nelle materie non processuali. La teoria giuridica afferma che quando si parla di processo s’intende una serie di atti che hanno la partecipazione anche dei soggetti su cui la funzione incide. La funzione giurisdizionale civile è una delle 3 funzioni dello Stato moderno: - funzione legislativa à lo Stato detta norme che disciplinano i comportamenti dei consociati e l’azione dello Stato medesimo; - funzione esecutiva à lo Stato dà applicazione alle norme che disciplinano la sua azione; - funzione giurisdizionale à lo Stato risolve i conflitti che si generano intorno all’applicazione in concreto delle norme. Il senso della ripartizione nell’800 aveva la funzione di spiegare quello che lo Stato fa e ha una funzione politica. La funzione giurisdizionale civile è la funzione di risoluzione delle controversie che sorgono tra i consociati intorno all’applicazione o violazione delle norme dettate dalla funzione legislativa à funzione necessaria: a pena di privare di effettività quelle norme o di incentivare il ricorso alla violenza e all’arbitrio. Lo Stato al riserva a sé e lo offre ai cittadini come servizio compensando così il divieto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (à ne cives ad arma ruant = serve per non farsi giustizia da sé). Non c’è obbligo di tutelare le proprie ragioni (à principio della domanda) ma vi è il divieto di tutelare con forza. La preoccupazione principale dello Stato è quella che non scoppino dei conflitti tra i cittadini. Lo Stato accetta di regola la risoluzione delle controversie bonaria, affidando l’esercizio della funzione giurisdizionale ai privati nell’arbitrato che precede, storicamente, il processo civile statale. La funzione giurisdizionale in materia civile consiste nella soluzione dei conflitti che sorgono tra i privati intorno alla concreta applicazione di una norma che disciplina i loro rapporti: per lo più si tratta di norme dalle quali deriva in capo ad una parte il dovere di tenere un certo comportamento in favore dell’altra ed in capo a questa il diritto soggettivo a che quel comportamento sia tenuto. La controversia giuridica ha per oggetto l’esistenza di un diritto soggettivo. Questo conflitto è comunemente detto lite à vi possono essere: • liti da pretesa contestante • liti pretesa insoddisfatte 2 Componendo il conflitto, si dice di solito che la giurisdizione civile “tutela” i diritti soggettivi e li attua nel suo complesso. Lo Stato per risolvere i conflitti “utilizza” i suoi organi per lo più attraverso un giudice di cui sono garantite per legge idoneità tecnica, indipendenza ed imparzialità. Il giudice risolve questi conflitti affermando, per primo, chi ha ragione tra le parti della controversia, dice se il diritto soggettivo esiste o meno; per stabilire chi ha ragione, egli indaga su fatti in base alle prove disponibili ed applica il diritto. La controversia si conclude con la sentenza, ossia l’atto di cognizione. Questa decisione non può essere data da chiunque, l’opinione del giudice è vincolante ed è investita di efficacia autoritaria à è LEGGE! Il dictum del giudice è incontrovertibile; il rectius è destinato a divenire incontrovertibile a un certo punto. La decisione non potrebbe bastare perché la parte intorto non adegua il proprio comportamento a quanto dictum, il giudice esegue con la forza. Si ha il processo di esecuzione forzata. Il titolo esecutivo è l’equivalente al giudicato. Questo completa il quadro delle attività che il giudice compie. È visibile il collegamento tra il diritto processuale civile e il diritto civile: il primo è diritto pubblico: è strumento del secondo dove in una società in cui tutti si comportassero secondo diritto, forse non servirebbe. Il Codice civile entra in vigore nel 1942, nel periodo fascista ma non ha una rilevanza tale da influenzare i canoni e gli ideali: approvato con r.d. 28 ottobre 1940 n°1441. Non ha subito drastiche potature dalla Corte costituzionale e gode di una buona “reputazione” tra gli studiosi, che tendono a collocare altrove i noti mali del processo civile. È ispirato ai canoni chiovendani dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza, nonostante i numerosi compromessi ne abbiano alterato il disegno originario. Le fonti complementari sono trascurabili. Ha subito varie modifiche: • 1950 • 1973 • IMPORTANTE à oggetto di una legge delega recente, legge 26 novembre 2021 n°206 e attualmente approvata. LEZIONE 2 – 10/10 Processo civile à processo di cognizione Processo di cognizione ordinario Si dice che il processo civile serve alla soluzione di controversie tra du parti intorno all’esistenza di un diritto. Ha almeno 3 soggetti protagonisti ( à actus trium personarum): - Due parti litiganti - Giudice che deve risolvere la lite tra di essi 5 Ø art.112 c.p.c. à il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa: non deve andare oltre la domanda delle parti; Ø art. 2907 c.c. à alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del p.m.; Ø art. 24 co 1 Cost. à tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Il principio della domanda è costituzionalizzato. Principio del contraddittorio Il processo inizia con la domanda che è rivolta: - al giudice che deve risolvere la controversia - al convenuto che dev’essere contrario e in grado di influire sul possibile contenuto della sentenza. Tra la domanda e la sentenza vi è una serie di atti che sono ispirati a questo principio: tutte le parti, non solo l’attore, ma anche il convenuto, devono avere ragionevoli ed uguali possibilità di far sentire la propria voce prima della sentenza. È un principio strettamente legato a un’idea di parità perché in astratto è l’essere ascoltati ma se questa la si concede solo formalmente in maniera inferiore rispetto a quello dell’altra parte. La ratio è quella di prendere una decisione più ponderata e controllata. Nel processo ordinario, il contraddittorio è garantito dalla notificazione dell’atto introduttivo (con bando delle notificazioni che non assicurano effettiva conoscibilità) ed in genere dall’uguale possibilità di conoscere gli atti del processo (niente atti segreti), da un’uguale possibilità scritti difensivi (tempi ragionevoli per predisporre la comparsa di risposta), da un’uguale possibilità di dedurre prove dirette e contrarie, e dal divieto di pronunce a sorpresa. Le fonti sono: Ø art. 101 co 1 c.p.c. à il giudice non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata [o] non è comparsa (N.B. il principio impone che contraddire sia possibile, ma non osta alla contumacia volontaria; non è cioè necessario che il convenuto contraddica effettivamente). Le pronunce a sorpresa sono vietate: A e B litigano sull’adempimento di un contratto, magari con domande reciproche, il giudice rileva che è nullo à potrebbero venire fuori dal rilievo d’ufficio di una questione a cui le parti non hanno pensato. Queste questioni possono essere poste a fondamento della decisione, ma il giudice deve stimolare le parti alla discussione su di esse, prima di farlo. Il divieto di pronunce a sorprese vuole tutelare la bontà della decisione in sé; Ø art. 24 co 2 Cost. à la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento; Ø art. 111 co 2 Cost à ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità (N.B. rispetto al comma 4: anche il processo civile è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova); Ø art. 2909 c.c. à l’accertamento contenuto nella sentenza […] fa stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa, dal che indirettamente si ricava che la sentenza non può mai pregiudicare i terzi che non sono stati messi in condizione di partecipare al processo 6 L’oggetto del processo Il diritto soggettivo da far valere è l’oggetto del processo; 3 precisazioni: 1) questa è la regola: quando la legge lo prevede in forma espressa, il processo civile può anche avere ad oggetto una controversia intorno a qualcosa di diversa; i diritti soggettivi possono sempre formare oggetto del processo; 2) il diritto soggettivo affermato dall’attore è e resta l’oggetto del processo, anche se dichiarato inesistente in sentenza; 3) non rilevano come possibili oggetti di processo né diritti molto generici né i diritti personalissimi, che rilevano incidentalmente nel processo civile di risarcimento del danno à non si prestano a formare direttamente oggetto perché nel processo il diritto soggettivo è discusso in termini di titolarità: entrano nel processo se c’è una loro lesione e chi afferma ciò chiede il risarcimento del danno. Il giudice per accertarsi che sia stato leso il diritto soggettivo deve porsi delle domande: chi è stato leso e se è stato leso il diritto. LEZIONE 4 – 17/10 Per diritti soggettivi intendiamo quelli riconosciuti tali dal diritto civile: si tratta dei diritto di credito e dei diritti reali. Si possono promuovere: Ø per accertare il diritto di proprietà dell’attore su di una cosa, contestato dal convenuto. La lite è risolta dal giudice affermando se il diritto di proprietà sussiste o meno in capo all’attore (mero accertamento: il giudice all’esito del giudizio pronuncia un accertamento e quindi non ci sono ulteriori provvedimenti da adottare: le parti hanno bisogno solo di un chiarimento) à art.949 e 1079 c.c. Ø per accertare un qualunque diritto di credito ad una somma di denaro, o cose fungibili, quale che ne sia il titolo o causa petendi. La lite è risolta dal giudice, non solo affermando se il diritto di credito esiste, ma eventualmente anche ordinandone l’adempimento (condanna: contenuto della sentenza e quindi non si chiede al giudice solo di accertare ma il titolare del diritto di credito richiede il pagamento da parte del titolare dell’obbligo à il giudice deve accertare e deve condannare l’altra parte a adempiere); Ø per accertare un qualunque diritto di credito (in senso lato: art.948 c.c.) alla consegna di una cosa mobile o immobile, quale che ne sia il titolo; anche qui la lite è risolta, se il diritto esiste, con una pronuncia di condanna; Ø per accertare un qualunque diritto ad un facere fungibile, quale che ne sia il titolo; anche qui la lite è risolta, se il diritto esiste, con una pronuncia di condanna; Ø per accertare un qualunque diritto ad un non facere o ad un facere infungibile; qui, di solito si agisce in risarcimento; l’art.614 – bis c.p.c. consente tuttavia, se il diritto esiste, la pronuncia di un ordine di adempimento, assistito dalla previsione di una sanzione pecuniaria in caso di successiva inosservanza (non si tratta di diritti coercibili). Una forma di diritto ad un non facere è il diritto alla cessazione di un comportamento altrui (art. 948 c.c.) à azione di rivendicazione [*] 7 Ø per accertare, nei casi previsti dalla legge un diritto potestativo ad esercizio giudiziale, ad una modificazione giuridica. Qui, la lite è risolta con una sentenza che, se il diritto esiste, procura la modificazione giuridica (sentenza costitutiva) à art. 2932 c.c. (*) LEZIONE 5 - 21/10 [*] Art. 948 c.c.: “Il proprietario può rivendicare la cosa, da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprio spese, o, in mancanza a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno. Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa. L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione.” I punti 2, 3 e 4 sono diritti di credito o prestazioni di diritto di facere ma a questi numeri corrispondono tipologie di procedure esecutive diverse. Al punto 5 si arriva a condannare a prestazioni di fare infungibili o di non fare, che è sempre da considerare infungibile perché quello che interessa al creditore è un fare di quel soggetto. Si può chiedere al giudice una condanna a un fare infungibile? Fino al 2009 non si poteva, adesso ci sono delle strade indirette e la ragione per cui non si può è una ragione interessante: la prestazione è infungibile e non è sostituibile e immaginare di fare a qualcuno violenza perché presti una prestazione infungibile, è una crudeltà; la volontà delle persone è coercibile fino a un certo punto. Se i metodi di coazione indiretta violenta sono da rifiutare, ci sono alcune norme che lo prevedono come l’art. 949 c.c. e ciò significa che il giudice prende atto e attua un’azione di mero accertamento. La causa per il risarcimento del danno potrebbe essere una via ma è difficile provare il danno mentre la clausola penale è più facile da provare. Le tutele risarcitorie sono sempre possibili. Si può agire per chiedere la condanna a quel determinato comportamento? C’è una norma specifica, ossia l’art. 614 – bis che spiega che anche un diritto di non facere o di facere fungibile può essere soggetto a condanna. Si può chiedere al giudice che ordini e preveda che nel caso in cui il soggetto non farà dovrà pagare o una determinata somma per ogni giorno di ritardo oppure una somma una tantum: bisogna chiedere nell’atto di citazione la condanna. Si può disporre un limite massimo della somma da dare e si può chiedere al giudice di fissare la somma. Si tratta di una misura di coercizione indiretta. Resta il fatto che l’oggetto del processo e la sua successiva conclusione del punto 5 hanno una differenza di fondo che è non eliminabile rispetto ai punti precedenti. 10 2) se, dopo la decisione, il diritto accertato permane insoddisfatto, la sua soddisfazione può ottenersi dall’ufficio con l’uso controllato della forza; dopo il processo civile, si apre il processo esecutivo, ideale seguito delle pronunce di condanna. Incontrovertibilità significa che non si può discutere e la domanda che ci si pone è “che cosa succede se il giudice in quella sentenza ha commesso un errore manifesto?” la soluzione data dal giudice alla controversia, con sentenza divenuta cosa giudicata, è tendenzialmente incontrovertibile, indipendentemente dal sempre possibile errore di giudizio del giudice. Non importa se la sentenza sia errata à res iudicata facit de albo nigrum Anche se c’è un errore dopo la cosa giudicata, non è più errore. Quando una sentenza viene pronunciata e presenta degli errori, si può impugnare. Per scongiurare l’errore del giudice, il legislatore mette a disposizione delle parti i mezzi di impugnazione: si tratta della possibilità di ottenere un nuovo giudizio, più o meno ampio, che si sostituisca al primo, presuntivamente errato, ovvero ne emendi gli errori. Se la parti non promuovono i mezzi di impugnazione ordinari (la cui promozione è dato un termine decadenziale decorrente dalla pronuncia sentenza presuntivamente errata), ovvero dopo che questi sono stati esperiti, la decisione diviene appunto cosa giudicata ed incontrovertibile, e l’eventuale errore resta irrilevante. Se il giudice decide secondo equità e non secondo diritto, le parti non possono lamentarsi e un mezzo di impugnazione è l’appello, ossia uno strumento per lamentare che il giudice ha commesso degli errori durante la sentenza e viene utilizzato per lo più nelle sentenze di primo grado. Se la sentenza è emessa dal giudice di pace, la sentenza non può essere impugnata. L’appello può essere utilizzato con la Corte d’Appello come organo. Tutte le sentenze di primo grado sono soggette ad appello se pronunciata la sentenza di primo grado in tribunale allora l’appello di porta in Corte d’Appello; se la sentenza di primo grado, appellabile, l’ha pronunciata il giudice di pace allora l’appello contro la sentenza si porta al tribunale d’appello. Normalmente, la Corte d’Appello è competente per gli appelli ma non tutti sono di sua competenza perché le sentenze del giudice di pace si appellano in tribunale e nello stesso tempo non tutte le competenze della Corte d’Appello sono appelli. L’appello è un mezzo di impugnazione o gravame e lo propone la parte e solo essa che è soccombente e che ritiene che la sua soccombenza sia dovuta da un errore della sentenza. Se la parte è risultata soccombente può impugnare con appello: è un’azione facoltativa. C’è un termine entro il quale ci si può appellare e sono 2: Ø termine lungo à 6 mesi Ø termine breve à 30 giorni. Perché ci sono due termini per l’impugnazione? Perché sono alternativi: il termine lungo decorre sempre dalla pubblicazione della sentenza perché quando la sentenza viene ad esistenza, viene ad esistenza è perché è stata pubblicata con la deposizione in cancelleria; il termine breve può essere fatto decorre dall’altra parte con la notificazione della sentenza, eliminando il termine lungo. Se la parte non impugna, la sentenza passa in giudicato arrivando alla cosa giudicata. La sentenza di primo grado passa in giudicato quando è decorso il termine per l’appello e la sentenza diventa incontrovertibile. 11 L’appello è mezzo di impugnazione a critica libera, ossia qualsiasi errore che il giudice di primo grado ha commesso si può denunciare al giudice d’appello con motivo. Gli errori che possono essere denunciati non hanno limite e quindi possono essere tutti i tipi di errore. La causa passa al giudice d’appello e produce una sentenza: la sentenza d’appello sostituisce la sentenza di primo grado e ha natura o effetto sostitutivo, la sostituisce anche quando non c’è niente da dire, anche se l’appello finisce con una conferma. È importante a tutti i fini, per lo più formali. Il giudice d’appello non ripete tutto e non produce una sentenza di condanna. Esistono anche degli esiti diversi come quando la parte appellante propone qualcosa che non va dopo il termine, questo è l’appello tardivo e non comporta una sostituzione della sentenza di primo grado lasciandola inalterata; oppure può essere quando l’appello si sostituisce finendo con un appello di distinzione e la sentenza di primo grado passa in giudicato. La regola è che quando l’appello è proposto ed arriva a sentenza, questa si sostituisce. Tutte le sentenze d’appello sono ricorribili con ricorso per cassazione: è un’impugnazione diversa. Anche l’errore della sentenza d’appello è denunciabile però il legislatore non fa di questo altro mezzo di impugnazione uno strumento ampio quanto l’appello ma bisogna che si debbano rinunciare solo errori particolari, si tratta di un mezzo di impugnazione a critica vincolata. Il ricorso per cassazione non è obbligatorio anche se è più frequente e anche in questo caso ci sono dei termini: termine lungo è di 6 mesi e il termine breve è di 60 giorni. Se non si fa ricorso per cassazione, la sentenza d’appello passa in giudicato. Se si fa il ricorso, la sentenza non passa in giudicato e bisogna aspettare che finisca il procedimento. È oggetto di una garanzia costituzionale: contro le decisioni dei giudici civili è sempre ammesso il ricordo per cassazione, il legislatore ordinario non lo può togliere e non si può denunciare per qualsiasi cosa ma per violazione di legge. Il Codice di procedura civile è più esplicito e la violazione di legge la declina in 5 vizi (art. 360 c.p.c.); il giudice di cassazione è un giudice del diritto e mai del fatto, guarda la sentenza e da per veri i fatti ricostruiti dal giudice d’appello e verifica se il giudice d’appello sulla postulazione di quei fatti abbia correttamente ragionato. Si dice che la cassazione ha una funzione filogenetica ossia di custodia delle leggi. Il compito della cassazione è eliminare la sentenza da cassare e quello che attua dopo può essere diverso a secondo dei casi. Il rigetto è la decisione più semplice perché la Corte di cassazione lascia inalterata la sentenza d’appello che poi passa in giudicato. È a efficacia rescindente. Ci sono anche gli accorgimenti: la Corte di Cassazione trova che il vizio denunciato ci sia e toglie di mezzo la sentenza. La causa può finire in vari modi: 1) la Corte di Cassazione cassa quando fin dall’inizio la causa non poteva essere cominciata o proseguita; 2) nessuna sentenza passa in giudicato; 3) la cassazione afferma che c’è l’errore e quindi la causa deve tornare alla Corte d’appello perché possa decidere senza errore: detta un principio di diritto, cioè dà le istruzioni al giudice del rinvio perché adotti una nuova decisione rispettando le indicazioni della 12 sentenza à giudizio di rinvio, si torna in Corte d’appello e questo giudizio lo promuovono le parti, entro 3 mesi si può iniziare il giudizio di rinvio; 4) la cassazione accoglie il ricorso e decide lei à può farlo quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatti: il merito della causa è deciso dalla Corte di cassazione e nasce già per cosa giudicata e decide anche il merito della causa. All’art.323 c’è un elenco di mezzi di impugnazione: 1. appello 2. ricordo per cassazione 3. regolamento di competenza à sono le norme di competenza che servono all’attore. È un mezzo di impugnazione che si usa contro le decisioni del tribunale in materia di competenza, ossia tutte le sentenze pronunciate dal tribunale del primo grado possono presentare delle eccezioni come quando il giudice si ritiene incompetente fa un’ordinanza e si spoglia della causa. Un soggetto può impugnare l’ordinanza oppure il regolamento di competenza che dichiara l’incompetenza del giudice. È competente la Corte di Cassazione per accorciare il percorso in fondo preliminare. 4. revocazione 5. opposizione di terzi LEZIONE 8 – 31/10 Può esistere anche la soccombenza parziale: possono impugnare entrambi le parti. È possibile che l’errore venga gradualmente tolto? Si la fiducia è discretamente ben riposta perché nell’esercizio complessivo della giurisdizione è piuttosto probabile che vengano rimossi dei vecchi errori che non se ne crea uno nuovo per varie ragioni: I. i magistrati che decidono nel grado di impugnazione decidono in composizione collegiale; II. il tribunale decide in forma monocratica, ossia il giudice è uno; III. l’appello è collegiale quindi la Corte d’appello giudica con 3 membri IV. è previsto dalla legge che ci sia un magistrato relatore che studia il caso, fa la relazione agli altri magistrati e poi decidono la sentenza insieme; V. il sistema delle impugnazioni funziona secondo cui chi impugna debba denunciare in modo chiaro quello che secondo lui non va nella sentenza e quindi deve redigere i motivi di impugnazioni. Vi è un ulteriore problema: il sistema è ben fatto, perché non si possono aggiungere ulteriori mezzi di impugnazione? In passato ci sono stati dei sistemi che prevedevano sempre la possibilità di rimozione del giudicato passato ma sistemi moderni non prevedono ciò perché non esiste solo la giustizia della sentenza come valore ma bisogna mediare tra la giustizia della sentenza e la certezza dei rapporti giuridici. È importante anche la certezza perché o è tale nel senso incontrovertibile o se non lo è crea disagi alla circolazione dei beni giuridici. Questo equilibrio lo si trova o in appello a critica libera o per ricorso per cassazione a critica vincolata. 15 Quanto appena visto si può mettere in diretta correlazione con l’inidoneità delle singole questioni a costituire autonomo oggetto del processo, illustrata in precedenza. Tuttavia, la regola che il giudicato si forma solo sul diritto che forma oggetto del processo, e non sulle questioni risolte per decidere su tale diritto, vale anche quando accade che, per decidere sul diritto che forma oggetto del processo occorre conoscere dall’esistenza di tale diritto. Anche in questo caso, la questione pregiudiziale è risolta senza efficacia di giudicato o incidenter tantum. Es: A lamenta che B abbia danneggiato un bene x di sua proprietà e agisce ex art.2043 per il risarcimento del danno. Il giudice, per accertare l’esistenza del diritto di credito risarcitorio di A, deve anche accertare che A è proprietario del bene x. Su tale accertamento, il giudicato non si forma: anche di un altro processo, non essendo dedotta in giudizio in via principale, non è oggetto di decisione con efficacia di giudicato, nemmeno se vi fosse contestazione. Deve notarsi che anche questa conclusione è contestata da una parte di dottrina e giurisprudenza: anch’essa pare ben fondata però sull’art. 34 c.p.c. Art.34 c.p.c.: “Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui.” à se non c’è domanda di una delle parti, non si può decidere con efficacia di giudicato di competenza del giudice. La questione pregiudiziale potrebbe formare da sola oggetto di processo. Incidentalmente significa anche senza efficacia di giudicato. LEZIONE 10 – 07/11 Domanda di accertamento incidentale Nondimeno, quando la questione pregiudiziale è di per sé idonea a formare oggetto di un processo autonomo, qualunque delle parti può chiedere al giudice che egli la decida con efficacia di giudicato, anziché incidenter tantum, come sarebbe la regola in assenza di domanda. Ciò risulta indirettamente dall’art.34 c.p.c. che, trattando di competenza, implicitamente riconosce la possibilità di questa domanda di accertamento incidentale, e che è una norma molto importante, perché permette di argomentare a contrario che, fino a che una simile domanda non c’è. Qualche volta è la legge che chiede al giudice di accertare la questione pregiudiziale non come incidente di percorso ma se sorge questa questione il giudice deve accertare con efficacia di giudicato. Art.124 c.c.: “Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l’unione civile tra persone dello stesso sesso dell’altro coniuge: se si oppone la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere preventivamente giudicata” à esempio di accertamento incidentale. La questione del primo matrimonio sarebbe potenzialmente accertabile solo incidentalmente e potrebbe accadere che il giudice accoglie la domanda del coniuge confermando la nullità del matrimonio ma se la nullità del primo matrimonio è stata accertata con efficacia di giudicato, 16 potrà essere accertata anche la validità del secondo matrimonio. Il giudice è obbligato di accertare con efficacia di giudicato per evitare che ci siano dei contrasti. C’è un caso molto importante che riguarda l’eccezione di compensazione, disciplinata all’art.35 c.c. Pregiudizialità tecnica vs pregiudizialità logica Le questioni pregiudiziali di cui si è parlato finora vengono dette in rapporto di pregiudizialità tecnica rispetto all’oggetto principale, da una certa corrente di pensiero, che distingue da esse altre questioni pregiudiziali logiche, in cui il legame di pregiudizialità sarebbe più intenso, ed il giudicato si estenderebbe automaticamente, senza necessità di una domanda di accertamento incidentale. In particolare, sarebbe questione logicamente pregiudiziale, sempre coperta da giudicato, la questione relativa alla validità del rapporto giuridico fondamentale, dal quale scaturisce il diritto oggetto del processo. A agisce in giudizio contro B per il pagamento della prima rata di prezzo dovuta da B in dipendenza di un contratto di vendita; il giudice, per decidere della domanda, deve conoscere della validità del contratto; il pensiero critico ritiene che tale validità sia decisa con efficacia di giudicato, sicché nel giudizio successivo instaurato da A per la seconda rata di prezzo, il secondo giudice è tenuto a ritenere valido il contratto, e non può più porsi la questione della sua nullità. La dottrina tradizionale rifiuta questa distinzione, e ritiene che, anche sue queste questioni, il giudicato si formi solo in presenza di apposita domanda. Ratio del giudicato La ratio del giudicato sostanziale è piuttosto evidente. Se questo non ci fosse, le liti non potrebbero mai ritenersi del tutto risolte, gli accertamenti giurisdizionali sarebbero sempre convertibili e la certezza dei rapporti giuridici ne sarebbe gravemente compromessa (chi mai riuscirebbe a vendere un bene, la cui proprietà, contestata, sia pur stata affermata con sentenza, se tale sentenza fosse controvertibile ad infinitum?). il giudicato risponde, almeno in parte, a ragioni di economia processuale. Per quale ragione, tuttavia, il legislatore predilige una ricostruzione “restrittiva” dei limiti oggettivi del giudicato, com’è quella implicita nell’art.34 c.p.c., almeno per i casi di pregiudizialità tecnica? Litispendenza Per la stessa ragione per la quale vieta un nuovo processo sul diritto già giudicato (effetto negativo del giudicato), il legislatore vieta anche l’instaurazione di un secondo processo sul medesimo diritto, se questo è già stato dedotto in un altro processo, tuttora pendente. In virtù dell’art.39 c.p.c., il secondo processo è inammissibile e deve arrestarsi, per evitare di riprodurre due decisioni contrastanti, e comunque per evitare lo spreco di energie giurisdizionali. Si tratta del fenomeno della litispendenza (in senso patologico). La decisione è resa con ordinanza soggetta a regolamento di competenza. Essa equivale ad un rigetto della domanda per inammissibilità, analogamente a quanto accade in caso di violazione del ne bis in indem. Per stabilire la lite proposta prima occorre guardare, nel processo ordinario, alla data di notificazione dell’atto di citazione. Poco diversamente stabilisce l’art.273 c.c. 17 Il vizio di litispendenza è rilevabile d’ufficio (a prescindere dall’eccezione di parte) dal giudice di ogni stato e grado del processo. Questo induce a ritenere che anche l’eccezione di giudicato sia rilevabile d’ufficio allo stesso modo (la conclusione era tuttavia un tempo disputata). [*] LEZIONE 11 – 11/11 Il termine litispendenza si utilizza in due accezioni: 1) litispendenza in senso patologico à è la situazione che appartiene alla patologia del processo ed è quella in cui due giudizi sullo stesso oggetto pendono contemporaneamente su due giudici diversi. È il significato presente nel codice all’art.39 c.c. 2) litispendenza in senso fisiologico à significa pendenza della lite, la causa pende quando inizia e finisce di pendere con la pubblicazione della sentenza e se non vi è la pubblicazione della sentenza la lite continua a pendere fino alla pronuncia dell’ultima decisione. [*] Fino al 2009 l’ordinanza del giudice a fine processo era la sentenza, chiudendo il processo prima aperto. Il provvedimento è impugnabile solo che non è soggetto all’appello ma al regolamento di competenza, previsto dall’art.42 c.c. POSSIBILE DOMANDA DI ESAME! L’eccezione di giudicato è una difesa del convenuto in cui si lamenta che esiste un giudicato anteriore. Non è disciplinato da nessuna norma. L’eccezione di giudicato è rilevabile d’ufficio oppure no? È un problema molto importante fin dal 1990 secondo cui il legislatore afferma che se c’è eccezione non rilevabile d’ufficio, il convenuto deve farla subito al primo atto. L’art.39 comma 3 c.c. afferma che se il legislatore ha stabilito che la litispendenza è rilevabile d’ufficio allora sussiste una similitudine della ratio tale da rendere l’eccezione di giudicato rilevabile d’ufficio (à argomento per analogia). Prima del 2005 la giurisprudenza faceva la distinzione sul fatto che il giudicato interno è rilevabile d’ufficio mentre il giudicato esterno è riservato alle parti: il giudicato esterno si forma un giudicato in un processo precedente e poi in quello successivo si evoca, si è formato in un giudizio anteriore; il giudicato interno si forma all’interno dello stesso giudizio. Se il convenuto impugna solo alcune decisioni, la sentenza su una delle domande passa in giudicato. Oggi entrambi i tipi di giudicato sono rilevabili d’ufficio per evitare discussioni in cassazione. La giurisprudenza faceva questa distinzione perché c’è un aspetto di fatto che differenza le due situazioni: se non lo dice il convenuto che il giudicato è rilevabile d’ufficio come fa a saperlo il giudice? Per il giudicato interno è facile perché è rilevabile dagli atti del processo, mentre per il giudicato esterno il giudice potrebbe saperlo di suo ma se non risulta da atti non può utilizzare. Questa si chiama divieto di scienza privata, ossia il giudice non può decidere sulla base delle cose che sa ma che non risultano dagli atti. Il giudice può rilevare d’ufficio un giudicato anche se non glielo dice il convenuto a patto che lo possa rilevare dagli atti anche se il convenuto non l’ha formalmente invocato. 20 giudicato. Questi terzi sono quelli che assumono posizione giuridica incompatibile, l’esatto contrario di quanto dice la sentenza. Ad esempio, terzi che si rietine proprietario del bene: C ad esempio non è vincolato dal giudicato sulla proprietà del bene x reso tra A e B. Se C ritiene essere proprietario, può agire in giudizio senza restrizioni derivanti dal primo processo. In più, può anche fare opposizione ordinaria di terzo che è di due specie: la prima gli permette di fare opposizione - è mascherata da impugnazione per far iniziare nuovo processo (artt. 105 e 404 cpc). Ci sono rare situazioni in cui si dice che giudicato a valor erga omnes; è raro perché c’è rischio di violazioni di diritti di difesa o altrui. Art 123 cpi (codice industriale) che riguarda giudicati di nullità dei brevetti - qui ha efficacia nei confronti di tutti. Questa stessa cosa si dice anche a proposito degli stati/ status; la giurisprudenza non dà indicazioni chiare, però tratta di quelle situazioni di accertamenti di figlio legittimo, genitore ecc. Ricordiamo anche art 2377 co 7 cc, norma in materia di impugnazione di delibere assembleari in s.p.a - vi è delibera adottata da società che vincola tutti i soci, però la delibera potrebbe essere contraria a statuto o legge. Se è così, può essere impugnata dai soci contrari entro un certo periodo e con un certo quorum. Se un socio dissenziente impugna e ottiene l’accoglimento, la delibera viene tolta e il giudicato vinicola tutti i soci. Art 1306 cc “la sentenza pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o creditori. Gli altri debitori possono opporla al creditore…”. Il creditore qui ha vantaggio di rivolgersi a qualsiasi debitore e si evita così di rivolgersi a più persone al processo. Sii arriva a condanna, Tizio si rifà a Caio ma il patrimonio di Caio è vuoto. Tizio si rifà allora a Sempronio e questo può beneficiare del giudicato precedente? No. Tizio agisce contro Caio e Sempronio e la sua domanda di risarcimento del danno è stata rigettata. Il giudice accerta che Caio non ha partecipato a quel danno, ma solo Sempronio. Qui S non può invocare giudicato precedente perché riguarda un particolare debitore, ovvero Caio. Negli altri casi di obbligazione solidale non funziona così. LEZIONE 13 – 18/11 Il problema maggiore concerne i terzi titolari di rapporti giuridici dipendenti e non incompatibili (es: il subcontraente, rispetto alla lite sul contratto principale; il fideiussore, rispetto alla lite sul debito principale; l’assicuratore r.c., rispetto alla lite sull’esistenza del danno; il sindaco responsabile per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori, rispetto alla lite sulla responsabilità gestoria ecc.). Qui il diritto positivo offre indicazioni non univoche: l’art.1595 c.c. che governa il subconduttore, l’art.1485 c.c., l’art.404 c.2 c.c., lo stesso art.1306 c.c. In tema sono state prospettate tutte le soluzioni: quella dell’efficacia riflessa generalizzata; quella dell’efficacia ex art.1485 c.c. generalizzata; quella dell’inefficacia sempre, salvo sia diversamente disposto, forse più rispettosa del contraddittorio: quella della generalizzazione dell’art.1595 c.c. alle ipotesi in cui le parti del rapporto pregiudiziale potrebbero disporre, a livello di diritto sostanziale, del rapporto, con efficacia vincolante per il terzo. I creditori, salvi i limiti dell’art.2901 c.c. e art.404 c.2 c.p.c., sembrano invece vincolati sempre, così come i terzi interessati di fatto. 21 Art.1595 c.c.: stabilisce il diritto del locatore principale di agire direttamente nei confronti del sublocatore quando quest’ultimo è inadempiente al contratto di sublocazione. Precisa che la nullità o la risoluzione del contratto principale ha effetti anche nei confronti del contratto di sublocazione, dal momento che i due contratti sono evidentemente legati l’uno all’altro. Art.1485 c.c.: il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritto sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore. Qualora perda il giudizio, non può chiedere in un successivo giudizio al venditore tenuto alla garanzia se il venditore dimostra che se fosse convenuto in giudizio, lo avrebbe vinto. Spoiler chiamata in garanzia (art.106 c.p.c.) Ci sono dei casi in cui il convenuto se per difendersi nel giudizio ha bisogno di coinvolgere un terzo, lo può fare: il convenuto ha, nei confronti del terzo, da far valere un diritto subordinato. Non è obbligatoria ma se un soggetto la fa, il terzo è obbligato ad andare in giudizio; se non la fa, vuol dire che si avanzerà come domanda dopo. Per tutto il vasto campo in cui non si dice nulla, la regola generale qual è? Un terzo “normale” come si regola? La fideiussione, che è uno degli esempi più classici dei limiti della cosa giudicata, è un rapporto dipendente perché c’è un rapporto subordinato tra i due soggetti. Se non vi è una regola specifica vale la regola generale cioè che il giudicato vale solo tra le parti, eredi e aventi causa. Sull’efficacia di giudicati per i terzi ci sono molte incertezze. Dai creditori si vede come sia nettamente semplice dire che nei confronti delle parti si, nei confronti di tutti gli altri no; questi pongono un problema importante. Il creditore non è terzo perché c’è l’art.404 c.2 c.p.c. che dimostra: “Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti. Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno (tempo max di 30 gg)”. Se quella sentenza è una sentenza fatta come si deve e quindi non è corrotta, ne è vincolato il creditore e non la può impugnare. Si tratta di un’opposizione revocatoria, in quanto presenta delle analogie con l’acto pauliana per quanto concerne il meccanismo perché colpisce il debitore che si disfa dei propri beni attraverso un atto negoziale nei confronti di un terzo ma se questa reca un pregiudizio al creditore e la vendita è diretta a un terzo, compratore colluso, e conosce queste pregiudizio allora il creditore può agire con sentenza modificativa rispetto a lui perché l’atto traslativo è valido ma è inefficace nei confronti del terzo che ha ottenuto la sentenza. ESEMPI DI CASI DI LEGAL ENGLISH Collateral estoppel: Ted, imprenditore immobiliare, comincia una stipula un contratto con parecchi investitori che ha ad oggetto la realizzazione di molte proprietà immobiliari. 22 Alice, un’investitrice, non è stata pagata da Ted come lei avrebbe voluto e gli fa causa perché non ha ricevuto gli utili e lo cita per inadempimento contrattuale sostenendo che Ted l’ha privata della sua piena quota di utili. La giuria da ragione ad Alice sulla base delle allegazioni e il tribunale pronuncia la sentenza secondo i ritrovamenti della giuria à viene accolta la domanda di Alice. Bob, un altro investitore, cita Ted per le stesse ragioni perché gli era stato privato il ritiro dei suoi profitti; Ted risponde che i calcoli sono perfetti. In Italia la soluzione quale sarebbe? Si potrebbe invocare l’art.1306: se uno dei debitori solidali ha vinto, anche gli altri creditori possono far valere quella sentenza nei confronti dello stesso debitore. Ma in questo caso non si tratta di diritto di credito, in quanto Bob ha un credito pacificamente diverso rispetto a quello di Alice. Nel secondo giudizio verrebbe da dire che non è nessun vincolo in quanto il diritto è diverso e diversi sono i soggetti. In America, secondo l’istituto della collateral estoppel (istituto che non opera in Italia), che comporta il contrario di quello che succede in Italia, Ted sarebbe precluso perché ha già litigato su quella questione che era stata necessaria per pronunciare la sentenza nei confronti di Alice e quindi non si può pronunciare anche per Bob, che vince automaticamente il giudizio. Res judicata: Alice conviene in giudizio con Ted ma in questo caso vince lui. Mesi più tardi, Alice chiama in giudizio Ted per frode sostenendo che il contratto era annullabile e fa un secondo giudizio chiedendo la stessa somma ma allegando una ragione diversa, ossia l’annullamento del contratto: sostiene che Ted l’h convinta con la frode a stipulare il contratto mentendo a proposito di quanto avrebbe guadagnato. Alice sostiene che Ted deve pagarla comunque: lei quel diritto l’aveva già fatto valere, sta agendo per la seconda volta in item. Non gli si può richiedere la stessa somma perché non gli si doveva. La Corte rigetta la domanda perché anche se c’è una differente ragione giuridica della domanda, quel soggetto avrebbe potuto essere sollevato nella causa originale. LA DOMANDA GIUDIZIALE Il termine azione è il potere del soggetto di agire in giudizio o il fatto di agire in giudizio, ossia domandare in giudizio tutela del proprio diritto soggettivo, per ottenere dal giudice un provvedimento di merito sul diritto soggettivo controverso. Bisogna tenere separati il diritto soggettivo da tutelare e il diritto pubblico di agire in giudizio. L’azione è correttamente esercitata in presenza dei presupposti processuali (= condizioni di decidibilità della causa nel merito). A seconda del provvedimento richiesto, si distinguono: Ø azioni di mero accertamento Ø azioni di condanna Ø azioni costitutive 25 Ø la condanna con riserva delle eccezioni, o dell’esame della domanda riconvenzionale, nei casi degli artt. 35 e 36 c.p.c. à c’è un creditore che chiede condanna e un convenuto che svolge delle eccezioni, ossia delle difese, sostenendo che non ci sono gli elementi: il giudice prima esamina la condanna e pronuncia la condanna ma si riserva di verificare le eccezioni. Art.35: “Quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre, l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione; altrimenti provvede a norma dell’articolo precedente” à non fa valere un diritto di credito; c’è contestazione sia sulla domanda sia sulle eccezioni. Si capisce che sull’eccezione di compensazione il legislatore vuole una decisione con efficacia di giudicato e lo si capisce perché lo tratta come una domanda stabilendo che debba necessariamente finire, il credito eccepito in compensazione dev’essere eccepito con efficacia di giudicato; Art.36: “Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizione dei due articoli precedenti” à si riserva di esaminare la domanda. LEZIONE 15 – 25/11 Il problema della sentenza condizionata è simile a quella della condanna di futuro[*] à si condanna a pagare un soggetto sotto una certa condizione. L’efficacia di sentenza di condanna è subordinata al verificarsi di una condizione sospensiva: non acquista subito la sua efficacia di titolo esecutivo ma solo quando si presenterà. La legge non prevede la figura in termini generali. Con la risoluzione esecutiva il diritto esiste ma cesserà di esistere quando si presenterà un certo evento. Dal punto di vista del legislatore, se un diritto esiste sotto condizione risolutiva, oggi esiste; il giudice che decide secondo la situazione giuridica esistente, se trova che il diritto esiste accerta questo diritto e poi pronuncerà sentenza, nel caso, e la condizione risolutiva non lo riguarda: è una condanna normale. La condizione sospensiva propone problemi come quelli delle condanne in futuro: può darsi che si arriverà al termine, il diritto sarà soddisfatto non litigiosamente. Per la sentenza di condanna sotto condizione sospensiva è la stessa cosa con l’aggravante che non si sa se il diritto esisterà e per il legislatore è una condizione più inutile. È anche complicata l’esecuzione di quella sentenza, che si può notare nell’art.416 – bis c.p.c. perché nella sentenza di condanna in futuro l’ufficiale giudiziario non crea gravi difficoltà sapendo che c’è una scadenza, ma se è subordinata a una condizione l’ufficiale giudiziario non può sapere e non consente di pronunciarla se non in una caso dell’art.614 – bis c.p.c.: se ci sarà inadempimento per ogni giorno di ritardo quella sentenza acquisterà titolo esecutivo prefissata dal 26 giudice. La sentenza è condizionata a monte dall’inadempimento di una prestazione. C’è una figura di una sentenza condizionale che è abituale, ossia la domanda di regresso: è una domanda condizionata non all’accoglimento della domanda proposta dell’attore ma matura se e nella misura in cui il debitore che paga di più del dovuto, paga più del dovuto. Il diritto di regresso è un diritto per un condebitore di rivalersi verso gli altri condebitori solidali nel caso in cui il primo abbia effettuato per l’intero il pagamento al comune creditore. Con l’azione di regresso, chi ha pagato chiede il rimborso delle quote corrispondenti alle parti di debito che gravano sugli altri. Azioni costitutive Tenendo presente la differenza fondamentale fra diritti potestativi ad esercizio giudiziale e stragiudiziale, va precisato che le azioni costitutive hanno le seguenti caratteristiche generali: Ø sono eccezionali (art.2908 c.c.), derogando alla tendenziale dichiaratività della giurisdizione; Ø le sentenze che accolgono contengono anch’essere un accertamento (del diritto potestativo, di regola), ed un quid pluris, la produzione di un effetto giuridico sostanziale nuovo, di regola prodotto ex nunc à sul piano sostanziale tra le parti; Ø le sentenze che le rigettano nel merito sono di mero accertamento (che non esiste il diritto potestativo) e non producono alcuna modificazione giuridica. Azione di mero accertamento vs azione costitutiva Non è frutto di una scelta dell’attore che agendo flegga l’una o l’altra di queste azioni ma è il risultato e non necessariamente bisogna indicare l’azione ma vengono fatte a posteriori rispetto a quello che l’attore ha domandato. Si ipotizzi il caso di A che ha concluso con B per scrittura privata l’acquisto di un immobile e che vede B ora rifiutarsi di andare dal notaio a stipulare il rogito. Egli è già proprietario, ma ha bisogno di un titolo per la trascrizione. La sentenza è il titolo per la trascrizione; non deve fare un’azione costitutiva ex art.2932 c.c., bensì un’azione di accertamento mero della proprietà o di verificazione della scrittura privata. Se facesse l’azione ex art.2932 c.c., il giudice dovrebbe rigettarla nel merito, con sentenza che dichiarerebbe l’inesistenza dell’obbligo di B di stipulare alcune contratto definitivo di vendita (sentenza che non impedirebbe una successiva azione di accertamento della proprietà; ma c’è il rischio che nel frattempo il bene sia stato alienato ad altri, e costoro abbiano iscritto il titolo, in modo opponibile ad A). Domanda giudiziale Come si esercita l’azione? L’azione civile, a seconda del diritto fatto valere e del provvedimento richiesto, può essere di mero accertamento, di condanna o costitutiva. L’azione civile di cognizione si esercita con la domanda giudiziale. Nel processo di rito ordinario, la domanda giudiziale è contenuta in un atto, l’atto di citazione, che è atto dell’attore ed è il primo atto del processo. 27 Tutto ciò vale, indipendentemente dall’azione esercitata. Né vi è un onere di precisare formalmente quale tipo di azione si esercita: nella domanda I) si identifica il diritto controverso à il diritto fatto valere; II) si precisa il provvedimento che si vuole pronunciato (la qualificazione del tipo di azione esercitata è un posterius). Con la domanda giudiziale si deve individuare il diritto controverso: 1) chi ritenga di avere un diritto contestato o insoddisfatto, può chiedere al giudice che lo tuteli, con un provvedimento di mero accertamento, condanna o costitutivo; 2) questo potere si chiama azione e si esercita con la domanda. Così stando le cose, è ovvio che l’azione (la domanda giudiziale), per essere correttamente esercitata, deve individuare il diritto controverso: se così non fosse, il giudice non potrebbe dire se esiste o non esiste nella sentenza (che da questo punto di vista è un po’ la risposta alla domanda, l’atto con cui il giudice adempie al dovere che gli incombe di fronte all’azione); non potrebbe valutare la propria competenza, la litispendenza, l’esistenza di precedenti giudicati. Che la domanda giudiziale debba individuare il diritto controverso che forma oggetto del processo, appare manifesto dall’art.163 nn.2,3 e 4, c.p.c., che impongono all’attore di precisare: i. persone à soggetto attivo e soggetto passivo del diritto fatto valere, attore e convenuto. Quando i soggetti si presentano a parti invertite, quelli sono: prese due cause, le parti siano le stesse anche se a parti invertite, non importa il ruolo formale; ii. petitum à la cosa ad oggetto della domanda e del diritto (petitum o petitum mediato); iii. causa petendi à titolo/ragioni: l’insieme dai fatti che ne costituiscono le ragioni; il complesso dei fatti costitutivi per effetto dei quali sorge, secondo il diritto privato oggettivo, il diritto soggettivo controverso. Non è a rigore necessaria l’esposizione degli elementi di diritto: essa può aiutare, anche con funzione di sintesi, all’individuazione del diritto, ma non è richiesta: iura novit curia. LEZIONE 16 – 28/11 Causa petendi Art.163 n°4: l’esposizione dei fatti (e degli elementi di diritto) che costituiscono le ragioni della domanda à rispetto a ciascun ipotetico diritto che possa esser fatto valere in un processo, bisogna guardare la norma che lo attribuisce e l’insieme dei fatti in presenza dei quali il diritto sorge allora quell’insieme sarà la causa petendi. È necessario che siano indicati gli elementi di diritto? Gli elementi di diritto non sono altro che le norme giuridiche che stabiliscono che quell’effetto sorge: la qualificazione dal punto di vista giuridico è ritenuta superflua dal legislatore e non è mai necessario ai fini della identificazione della domanda ma ci vogliono perché citati dal n°4 dell’art.163. 30 LEZIONE 17 – 02/12 È definizione di cui non c’è traccia nel Codice civile e c’è l’art.163 n°4 che senza distinzione afferma che nell’atto di citazione bisogna illustrare la causa petendi. La teoria dell’identificazione della domanda a 3 elementi funziona non per tutte le domande ma soltanto per alcune: queste sono quelle eterodeterminate. Piccolo elemento di complessità che non si aggiunge sempre è che alcune volte occorre l’identificazione del petitum per quanto riguarda il tipo giuridico. Se due domande autodeterminate hanno cause petendi diverse, le due domande sono la stessa domanda e se c’è stato un giudicato sul diritto che ha considerato solo una certa causa petendi, se il diritto è autodeterminato è precluso dal giudicato perché la causa petendi non partecipa alla domanda. Quando un giudizio è cominciato per una domanda autodeterminata su una certa causa petendi, non si può proporre una domanda diversa ma in una domanda autodeterminata il cambio della causa petendi è irrilevante perché non si sta facendo una nuova domanda dato che la causa petendi non influisce sulla domanda stessa. La parte più problematica di questa distinzione si ha quando si tratta di stabilire quali sono le domande autodeterminate e quali eterodeterminate: ci sono delle “aree sicure”, come la domanda di proprietà, le domande volte a fare valere un diritto di credito; c’è una ragione perché la diversità sta nei fatti e hanno una loro giustificazione. Distinguere tra le une e le altre, di solito si cita un brocardo latino: se anche un soggetto assommasse a sé due o più titoli di proprietà su un certo bene ma sempre uno è l’obbligo di chi gli sta difronte, quando il diritto riguarda una cosa determinata. Le domande autodeterminate sono quelle secondo cui il petitum non è ripetibile nel tempo e allora la distinzione suggerisce il buon senso perché se la distinzione è quella dettata sopra, allora è ragionevole porre quell’attore un onere di dedurre tutte le cause petendi perché altrimenti se le domande si identificassero sulla base del singolo titolo ci sarebbe il rischio di una frammentazione del giudizio. L’idea della domanda autodeterminata è che la domanda si identifica indipendentemente della causa petendi. Il brocardo latino va avanti affermando che si possono avere più debiti più spesso: se qualcuno deve a qualcun altro un certa somma di denaro sulla base di una pluralità di obbligazioni, il petitum si può ripetere più volte nel tempo (a differenza della cosa) à bisogna spiegare il titolo se no la domanda viene rigettata. Caso di annullamento del contratto: Tizio chiede l’annullamento di un contratto per errore, il giudice rigetta la domanda perché trova che quell’errore non abbia le caratteristiche richieste; Tizio ci riprova per dolo dopo un po’ di anni: è la stessa domanda o è diversa? Il titolo è lo stesso e il soggetto pure ma la causa petendi è diversa. Non sta cambiando domanda ma sta modificando la stessa domanda autodeterminata. Quello che è più complesso capire è come identificare le due domande, autodeterminate ed eterodeterminate: è una distinzione di buon senso anche se non fondata su delle norme giuridiche. 31 Casi problematici: iura novit curia In linea di principio, gli elementi di diritto (à norme) che fondano la pretesa dell’attore non interferiscono con l’identificazione della domanda. Anche perché la qualificazione del diritto data da chi agisce non è vincolante per il giudice, che potrebbe anche accogliere la domanda sulla base di differenti argomentazioni giuridici. Vi è dunque identità tra due domande, aventi i medesimi fatti costitutivi, indipendentemente dalla diversità della motivazione in diritto fornita dall’attore (ad es., se l’attore redige due atti identici in punto di fatto, chiedendo il risarcimento di uno stesso danno, invocando prima l’art.2043 c.c. e poi – non essendo nel primo giudizio riuscito a provare la colpa – l’art.2051 c.c. e la pericolosità dell’attività à è rilevante la causalità tra la cosa in custodia e il danno). Questa realtà si esprime sulla base del brocardo iura novit curia, ossia il diritto lo conosce il tribunale: il soggetto non si deve preoccupare di allegare le norme giuridiche per ottenere giustizia perché è il giudice che applica la legge dello Stato. L’altro aspetto di questo brocardo è che le norme non devono essere mai provate: le prove hanno sempre ad oggetto i fatti e non le norme. Le conseguenze relative alla iura novit curia sono: Ø se non si allegano le norme giuridiche non importa perché tanto le sa il giudice interpellato; Ø se non si allegano alcune norme, si possono cambiare. Le difese del convenuto Le scelte del convenuto Di fronte all’azione, con la quale l’attore chiede al giudice la tutela di un suo diritto soggettivo, nei confronti del convenuto, e che dunque può essere visto come mezzo di attacco dell’attore, il convenuto, in omaggio al principio del contraddittorio, è chiamato a difendersi. Egli può tenere diversi atteggiamenti: 1) può non fare nulla à si disinteressa del processo e rimane contumace; non si costituisce, non chiede nulla al giudice (ciò non significa che, automaticamente, il giudice darà ragione all’attore: il processo contumaciale si svolge pressoché normalmente); oppure 2) si costituisce e assume sue conclusioni à ipotesi di gran lunga più frequente. Prima di scegliere una delle due strade deve sapere quante chance ha di vincere il convenuto e cosa succede nel caso in cui prenda la scelta contumaciale. La contumacia, nel nostro ordinamento, è paragonata a una ficta contestatio: la legge la considera alla stregua di una contestazione di tutto però il vantaggio è corto perché sarà l’attore a selezionare le prove quindi se non partecipa, è l’istruzione che comanda il convenuto ed è facile che le cose finiscano male per egli. Deve guardarsi da questo quando c’è il rischio che se non partecipa il giudice da ragione alla controparte perché nel processo il giudice ascolterà solo una voce. In altri ordinamenti, la contumacia è ficta confessio: lo considera alla stregue di una confessione dei fatti espressi dall’attore; se il convenuto si disinteressa del processo allora vuol dire che egli concorda con i fatti raccontati dall’attore ma ciò non significa che l’attore vince il processo. La domanda non è concludente perché nonostante quei fatti quell’attore che chiede non ottiene. Allora il convenuto dovrebbe scegliere sempre di costituirsi? No, perché la contumacia ha un vantaggio: non è costosa, ossia non bisogna pagare l’avvocato. Se si resta contumaci, si è comunque vincti perché bisogna pagare le spese per l’avvocato della 32 controparte anche se il processo sarà più breve. L’art.46 c.p.c. prevede delle sanzioni nel caso in cui un soggetto resiste in mala fede, ossia convenuto che si costituisce per delle tesi che sono temerarie (= sostenendo, difendendosi per cose insostenibili). Se il convenuto si trova in una situazione di difesa molto debole, la contumacia è una buona scelta; in un caso in cui ha molte possibilità di vincita, si deve costituire; nel caso in cui ha delle possibilità ma non elevate di vincita, può sia costituirsi sia non costituirsi. Il convenuto non contumace Se sceglie di costituirsi (ciò che fa depositando uno scritto omologo dell’atto di citazione), il convenuto dispone di diverse possibilità di concludere: i. in teoria, ma accade molto di rado, essendo contro il proprio interesse, potrebbe concludere per l’accoglimento della domanda dell’attore (una sostanziale variante di questo atteggiamento è quello del convenuto che “si rimette a giustizia”: non contesta nulla della domanda avversaria, e superfluamente chiede al giudice di deciderla “secondo giustizia”); ii. in alternativa, e molto frequentemente, il convenuto concluderà per il rigetto della domanda dell’attore. Secondo alcuni attori, in entrambi questi casi il convenuto farebbe a sua volta una domanda, analoga (e speculare, almeno nell’ipotesi 2) a quella dell’attore. Si parla di domanda del convenuto, ciò che è importante a determinati effetti, ma può essere qui complessivamente trascurato. Art.216 – bis c.p.c.: “La parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. L’istanza per la verificazione può anche proporsi in via principale con citazione, quando la parte dimostra di avervi interesse, ma, se il convenuto riconosce la scrittura le spese sono poste a carico dell’attore”. LEZIONE 18 – 05/12 Tipi di difesa del convenuto Il convenuto che chiede il rigetto della domanda dell’attore può sostenere tale richiesta con diversi mezzi di difesa (la distinzione è importante soprattutto agli effetti dell’onere della prova e delle preclusioni): Ø eccezioni o difese processuali (rito) à il convenuto contesta il corretto esercizio dell’azione da parte dell’attore, lamentando il difetto di presupposti processuali. Se non propone eccezioni processuali, significa che al convenuto il processo pare correttamente instaurato; ciò non toglie che la maggior parte dei difetti in questione siano rilevabili d’ufficio dal giudice adito. Le difese di rito sono: - litispendenza 35 che sono disponibili, di conseguenza, spetta a lui se avvalersene oppure no; l’eccezione di annullabilità è lo stesso: la legge prevede che un determinato soggetto può far annullare il contratto perché è una sua scelta. Questa tesi del contro diritto, l’eccezione è riservata alla parte però non è sempre così: ci sono dell’eccezioni riservate alla parte che si fatica ad inquadrare in questa tesi. È difficile ragionare secondo questa tesi perché non sembra un criterio generale a tutte le eccezioni per le quali la legge prevede espressamente la riserva di parte. Qualcun altro ha sostenuto che l’art.112, co.2 c.p.c. aiuta a porre una regola generale alle eccezioni riservate alla parte perché sulle eccezioni il giudice non può pronunciare d’ufficio perché la regola è che siano riservate alla parte e tale regola la suggerisce la virgola presente nel secondo comma dell’art.112 c.p.c.: “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”. La tesi che ha prevalso in giurisprudenza negli ultimi anni è quella secondo cui l’eccezione riservata alla parte è l’eccezione riservata alla regola, cioè che le eccezioni sono normalmente rilevabili d’ufficio, salvo che sia disposto il contrario e salvo che quell’eccezione contenga in sé l’esercizio di un diritto à tesi utilizzata dalla giurisprudenza. Immaginiamo che dopo tutto quello detto, ci sia un attore che racconta nel suo atto di citazione di aver venduto un bene e di averglielo consegnato successivamente e di non esser stato pagato: di questi 3 fatti, stipula del contratto, consegna del bene e mancato pagamento, quali di questi porta l’onere di prova? È la stipula del contratto. Sulla consegna si è incerti perché a rigore nei contratti di vendita dipende. Finché si tratta di individuare i fatti estintivi e modificativi la cosa è piuttosto semplice perché quei fatti intervengono, dal punto di vista temporale, in un momento successivo per renderli più facilmente individuabili. I fatti impeditivi, sono quei fatti rispetto ai quali l’art.2697 non è chiaro, sono coevi alla fattispecie costitutiva e spesso è difficile individuarlo e si rischia di confonderlo con la stessa fattispecie: ad esempio l’art.1490 da a chi ha acquistato un bene viziato, il rimedio è o la risoluzione del contratto o la modificazione del prezzo. Per far sì che questo rimedio sorga occorre che il soggetto non conoscesse il vizio. Chi agisce in giudizio, i fatti costitutivi sono la stipulazione e il vizio; l’ignoranza del vizio è un fatto costitutivo o bisogna dire che la conoscenza del vizio è un fatto impeditivo? È importante porsi questa domanda se alla fine il giudice nei fatti non è sicuro e allora il caso si risolve sulla base della regola dell’onere della prova ma per applicare questa regola si deve sapere a monte se il fatto è costitutivo oppure no perché se si considera l’ignoranza del vizio un fatto costitutivo del diritto alla garanzia, allora è onere dell’attore dimostrare che non sapesse; se invece si considera l’ignoranza del vizio è un fatto impeditivo allora è il convenuto che allega la conoscenza del vizio a doverla dimostrare. L’onere della prova dipende dalla posizione di quel fatto all’interno della fattispecie. Come si risolve questo dilemma? Non c’è una risposta sicura ma ci sono dei criteri: I. a seconda di com’è strutturata e disciplinata la fattispecie; II. criterio probabilistico à ciò che accade di solito può aiutare; III. i fatti negativi non devono essere provati à l’onere della prova può benissimo cadere anche su fatti negativi; IV. criterio della vicinanza della prova à il giudice si chiede chi sia nelle migliori condizioni per provare: è un’inversione logica. 36 La conoscenza ha uno strumento di prova abbastanza semplice che è quello della comunicazione. In assenza di previsioni legali (emblematicamente negli artt. 1242, 1421, 2938 e 2969 c.c.) non è affatto semplice stabilire quando l’eccezione sia dell’uno o dell’altro tipo. Per lo più, si tende a ritenere che la rilevabilità d’ufficio costituisca la regola, salvi che l’eccezione sottenda un diritto potestativo o un potere del convenuto, come caso dell’annullabilità. Secondo un’altra tesi, l’eccezione sarebbe in senso stretto tutte le volte che essa non esclude la spontanea attuazione dell’obbligo da parte dell’interessato (vi si aggiungono le eccezioni ex art. 1944 c.c. e art.1460 c.c.). Difese di diritto à il convenuto mira a contestare le ragioni giuridiche dell’attore. Senza contestare i fatti, o comunque ipotizzando veri i fatti, egli difende un diverso punto di vista, secondo cui, dia fatti allegati dall’attore, non sorge alcun diritto, o non sorge comunque il diritto affermato dall’attore stesso. Non c’è prova nel senso che le prove riguardano i fatti e non c’è niente da provare ma c’è da stabilire quale sia la giusta interpretazione di una norma. Domanda riconvenzionale à non rientra stricto sensu tra i mezzi di difesa del convenuto, e più o meno aggiungersi ad essi, ed a rigore può anche aggiungersi ad una eccezionale conclusione del convenuto in favore dell’accoglimento della domanda dell’attore, la domanda riconvenzionale. Nel nostro processo civile è data al convenuto la possibilità di rendersi a sua volta attore, profittando della pendenza del processo instaurato dalla controparte, e proporre in esso, a sua volta una domanda nei confronti dell’attore. Discussi sono i limiti di ammissibilità di tale domanda: non è chiaro se essa debba necessariamente risultare in qualche modo connessa a quell’attore (arg. ex art.36 c.p.c.: tesi elasticamente prevalente in giurisprudenza), o – fermo il rispetto delle norme sulla competenza – ciò non sia invece necessario (arg. ex art.104 c.p.c.). Con la sola eccezione di essere proposta in un processo già pendente, e non nell’atto di citazione, bensì nella comparsa di risposta la domanda riconvenzionale è per ogni altro aspetto identica alla domanda giudiziale principale: anch’essa costituisce l’atto di esercizio di un’autonoma azione, con la quale il convenuto domanda tutela di un suo diritto, produttiva di suoi effetti processuali e sostanziali ecc. Questi strumenti possono servire anche all’attore, tranne le eccezioni processuali. Esiste anche la contro eccezione, ossia l’allegazione di un fatto ulteriore che impedisce l’effetto dell’eccezione ( es.: l’interruzione della prescrizione). 37 LEZIONE 20 – 06/02 Effetti della domanda à domanda d’esame Sono di 2 specie: Ø effetti processuali à sono gli effetti che la domanda giudiziale incide sul processo, disciplinati dal c.p.c. Si studiano man mano che li si incontra perché sono molti e frammentati e li si studia quando si studiano i vari istituti relativi ad essi Es: effetto che funge da discriminante da determinare l’inizio della litis pendenza che determina il fatto che è stata proposta una domanda giudiziale. Altro esempio sono i provvedimenti cautelari possono essere ottenuti prima dell’inizio del processo. Causa di merito à entro 60 gg bisogna depositare la notificazione di un atto che impedisce che il procedimento cautelare perda efficacia. Quando un processo è già cominciato se il diritto controverso viene ceduto nel corso del processo, il soggetto ne paga le conseguenze; se invece viene conseguito prima del processo non vi sono conseguenze; Ø effetti sostanziali à sono effetti che la domanda produce sui rapporti giuridici sostanziali, nelle relazioni tra privati e sono disciplinati nel c.c. Certi effetti della domanda giudiziale li abbiamo incontrato nel diritto privato. Es: art.1148 c.c., il possesso à chi è possessore non proprietario potrebbe essere costretto, su reazione del proprietario, di restituire la cosa al legittimo proprietario. Deve questo possessore restituire anche i frutti che nel frattempo li ha percepiti oppure no? C’è una regola che distingue in base alla buona fede del possessore e l’art.1148 detta tale regola: il possessore in buona fede deve restituire tutti i frutti naturali dal giorno della domanda giudiziale, mentre il possessore in mala fede deve restituire dal giorno di possesso. Perché tale regola? Perché il legislatore fa una scelta: la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione. Es: art.1219 c.c., costituzione in mora (non è un vero effetto) à dal giorno della mora si producono determinati effetti in danno del debitore. Ci vuole un intimazione per iscritto da parte del creditore al debitore. La domanda contiene anche un intimazione a adempiere. Dal punto di vista pratico non è importante perché quando si arriva in giudizio le intimazioni stragiudiziali a adempiere sono state già fatte. Quell’effetto si produce anche se la domanda giudiziale è stata fatta davanti a un giudice incompetente. Es: art.1283 c.c., anatocismo à interessi già scaduti producono altri interessi dalla domanda giudiziale a meno che siano scaduti da almeno 6 mesi: determinare la capacità interessi che prima non erano. Es: art.1284 c.c., saggio degli interessi à dal giorno della domanda giudiziale, gli interessi non sono dovuti dello 0.8% ma maggiore e vengono calcolati sulla base di un saggio legale degli interessi (circa il 7%). Es: art.1286 c.c., obbligazione alternativa à obbligazione per effetto della quale il debitore può adempiere prestando una prestazione oppure un’altra. 40 LEZIONE 22 – 13/02 [*]Editio actionis Funzione dell’atto di citazione, come atto di esercizio dell’azione, è quella di identificare l’azione esercitata, il che fa attraverso la domanda. L’atto deve contenere: Ø art.163, n°2: le generalità dell’attore e del convenuto (personae); Ø art.163, n°3: la determinazione della cosa oggetto della domanda (petitum mediato); Ø art.163, n°4: l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui la domanda si fonda (causa petendi) e le conclusioni (petitum immediato). Naturalmente, con l’atto di citazione la domanda, oltre che identificata, può essere anche argomentata e difesa: l’atto può dunque contenere richieste di prova e indicazioni di documenti che dimostrano le ragioni dell’attore, l’esistenza del diritto (art.163, n°5) à le prove servono per persuadere il giudice Il n°5 non appartiene più alla causa petendi ma le prove servono per dimostrare i fatti al giudice come giustificazione. In più le prove, nell’atto di citazione, possono anche non esserci: se non ci sono non è grave perché nel processo ci saranno altre occasioni per inserirle à l’atto di citazione non è nullo perché la nullità è data dal difetti di uno degli elementi della causa petendi. Vocatio in ius Funzione dell’atto di citazione è anche quella di citare in giudizio la controparte. Ecco perché esso è notificato alla controparte e deve contenere: Ø art.163, n°1: indicazione del giudice adito dall’ufficio giudiziario che l’attore investe della controversia, ritenendolo competente e dinanzi al quale l’attore depositerà l’atto di citazione à organo giurisdizionale; Ø art.163, n°7: indicazione della data della prima udienza del giudizio (fissata nel rispetto dei termini dilatori dell’art.163-bis: oggi, di regola, 120 gg), con l’invito a costituirsi in giudizio e a presentarsi a tale udienza, e la specificazione delle conseguenze in suo danno in difetto; nonché, dal 2022, l’avviso dell’obbligo di patrocinio e della possibilità di far ricorso al patrocinio a spese dello Stato à il convenuto deve dare risposta entro 70 gg dall’inizio dell’udienza (prima era 20 ma con la riforma Cartabia è cambiato). Dal 2022 (art.163, n°3 bis), l’atto deve altresì contenere l’indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento. Procura alle liti L’atto di citazione deve essere sottoscritto da un avvocato (solo in casi eccezionali, può essere sottoscritto direttamente dalla parte) à difesa tecnica: - la difesa è un diritto - è anche un obbligo à art.82 c.p.c., serve per garantire un giudizio equo - è anche un dovere à buona organizzazione del giudizio L’avvocato deriva il proprio potere di sottoscrizione dall’esistenza di una procura, che gli attribuisce anche il potere di compiere in nome e per contro della parte tutti gli atti processuali che non sono ad essa espressamente riservati dalla legge à regola di residualità. Ci sono certi atti che la legge prevede uno per uno che l’avvocato non può fare a meno che non abbia una procura che specificamente la autorizza e l’avvocato non ha il potere di compiere che sono esclusi ma in linea di massima sono esclusi gli atti che implicano una disposizione del diritto 41 in contesa, per esempio l’avvocato nono può dire sì o no ad una proposta conciliativa di controparte perché non è un atto processuale; oppure non può rendere un interrogatorio formale. La procura può essere sottoscritta dalla parte dinnanzi ad un notaio, in tal caso, può esser sia generale, ossia data per una pluralità indefinita dei giudizi e dev’essere redatta da un notaio o per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, che speciale, ovvero sottoscritta dalla parte dinanzi al medesimo avvocato che ne certifica la autenticità apponendovi una sottoscrizione olografa “per autentica” (in tal caso, la procura dev’essere speciale, conferita cioè per quel solo giudizio, e dev’essere redatta in calce o a margine dell’atto di citazione; si noti fin d’ora che l’art.83, c.3, c.p.c. detta anche una norma per la sottoscrizione della procura con firma digitale e per l’autenticazione digitale della procura sottoscritta dalla parte con firma olografa). La procura vale per i gradi successivi? Serve una nuova procura per fare un altro appello à se non è espressamente previsto come costume, vale solo per il grado legato alla procura. LEZIONE 23 – 17/02 [*]Nullità dell’atto di citazione: editio actionis Se nell’atto di citazione manca qualcosa, dispone l’art.164 c.p.c., come segue: Ø se il vizio riguarda l’insufficiente indicazione dei nn. 3 e 4 (quanto ai fatti), e il convenuto si costituisce, il giudice, col provvedimento di cui all’art.171 – bis, assegna un termine per l’integrazione (differendo l’udienza): gli effetti sostanziali della domanda si producono dal deposito dell’atto di integrazione; in difetto di integrazione, il processo si estingue (art.307, co.3) à il giudice dev’essere bravo ad accorgersene perché in questo provvedimento arriva abbastanza presto: la notificazione c’è stata, l’udienza è a 120 gg dalla data, il convenuto deve costituirsi 70 gg prima, entro 50 gg il convenuto deve rispondere, il giudice ha 15 gg di tempo di fare il provvedimento in cui dichiara la nullità dell’atto di citazione; se il convenuto si è costituito, può guardarsi anche dalla comparsa di risposta allora questa sarà una guida importante per lui perché il convenuto potrebbe essersi lamentato se l’atto di citazione è nullo oppure il convenuto potrebbe non essersi costituito, rimanendo in contumace. Il giudice dev’essere rapido perché poi da quel provvedimento dipendono una serie di attività future di termini a catena tali per cui inserire una volta in tempo; Ø se il convenuto non si costituisce, il giudice, col provvedimento di cui all’art.171 – bis, assegna un termine perentorio per il rinnovo dell’atto di citazione all’attore, con emenda dei vizi (differendo l’udienza): gli effetti sostanziali si producono dalla notifica della nuova citazione; in difetto di rinnovo, il processo si estingue se l’attore non integra o non rinnova (art.307, co3) à sanatoria ex nunc. N.B: il vizio inerente alle personae è trattato, ai fini normativi, come un vizio inerente alla vocatio in ius. N.B: se la domanda è autodeterminata, una parte della dottrina ritiene che la citazione non sia nulla, in difetto di indicazioni della causa petendi, perché tale difetto non impedisce di identificare il diritto controverso. N.B: il difetto degli elementi di diritto non è sanzionabile (iura novit curia) à nel confronto tra art.163, co4, e l’art.164. 42 Se il vizio riguarda le personae, o la vocatio in ius (mancata indicazione del giudice adito à qualche volta accade che qualcuno “sbaglia a fare copia in colla”; mancata indicazione della data di udienza; violazione dell’art.163 – bis; difetto di avvertimenti ed informazioni difensive à nullità afferenti alla editio), e: 1) il convenuto riesce comunque a costituirsi: la nullità è sanata, con effetti sostanziali della domanda salvi ex tunc (in caso di mancata indicazione dell’udienza, violazione dell’art.163 – bis e violazione dell’avvertimento, il convenuto può chiedere una nuova prima udienza) à il vizio è che gli sia stato dato meno di 120 gg; 2) il convenuto non si costituisce: il giudice, col provvedimento di cui all’art.171 – bis, ordina la rinnovazione della citazione, con emenda dei vizi, in un termine perentorio; se la citazione è rinnovata, la nullità è sanata ex tunc (= dal primo atto di citazione); in caso contrario, il processo si estingue ex art.307, co.4 Quello che determina la traduzione degli effetti sostanziali è l’atto di citazione in quanto contenente un indizio corretto Costituzione dell’attore Notificato l’atto di citazione, entro 10 gg, l’attore deve costituirsi in giudizio (art.165). A tal scopo, l’attore deve depositare (ormai solo telematicamente: art.196 quater disp. att.) l’originale dell’atto di citazione notificato, la nota di iscrizione a ruolo (l’atto con cui si chiede al cancelliere l’iscrizione a ruolo della causa), e il proprio fascicolo, contenente procura e documenti (à quando si notifica l’atto di citazione, non si notificano i documenti per antica tradizione per far si che l’ufficiale giudiziale potesse viaggiare più leggero). All’atto della costituzione, deve anche eleggere domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito (di solito, l’elezione è nella procura o nell’atto di citazione: in difetto di elezione, le comunicazioni e notificazioni, in corso di processo, gli saranno fatte presso la cancelleria). Se i destinatari sono più, la costituzione deve farsi entro 10 gg dalla prima notificazione, ma l’originale può essere inserito nel fascicolo fino a 10 gg dopo l’ultima notificazione. In difetto di costituzione tempestiva, si applicano le regole degli artt. 171 e 290 c.p.c. L’attore deve pagare la tassa che costituisce il costo per lui, difronte allo Stato, per lo svolgimento della funzione giurisdizionale civile: aumentato progressivamente con l’aumento del valore della causa à tramite bollettino LEZIONE 24 – 20/02 Nomina del giudice e fissazione dell’udienza Con la costituzione dell’attore, l’ufficio viene a conoscenza della pendenza del giudizio e la registra nei propri ruoli (la lite pende dalla notificazione: art.39 c.3). A questo punto, il cancellerie forma il fascicolo d’ufficio (anch’esso analogico, nel disegno originario del codice, ma ormai solo telematico), vi inserisce la nota d’iscrizione al ruolo e il fascicolo di parte, e presenta il tutto al presidente del tribunale, che (entro 2 gg, con decreto) nomina il magistrato - persona fisica che deve istituire (e, se la causa non è collegiale, decidere) la causa medesima (artt.168 e 168 – bis). Se il tribunale è diviso in sezioni, il presidente non nomina il magistrato ma indica la sezione di riferimento al caso. Il magistrato – persona fisica riceve allora il fascicolo (o comunque vi accede) e verifica la data d’udienza fissata dall’attore. Se in quella data egli tiene udienza, nulla quaestio; se non la tiene, 45 ugualmente la bontà delle ragioni dell’altra parte, nonché la bontà, a monte, della sua versione di fatto, secondo le regole normali. Si dice che la contumacia non è intesa come ficta confessio, non è cioè assimilata ad una confessione su tutto; anzi, il contumace si ritiene di regola assimilabile ad un soggetto che contesta tutto (ficta contestatio), sì che gli oneri dell’altra parte sono massimamente estesi (impossibilità di invocare l’art.115 c.1, ult. parte). Tuttavia, di fatto, l’inerzia difensiva del contumace lo danneggia non poco. Nella pratica, è raro che la parte non contumace perda nel merito il processo contumaciale. Eccezioni al normale sviluppo del processo contumaciale sono: Ø gli atti che contengono domande nuove o riconvenzionali nei confronti del contumace devono essergli notificati, anche se normalmente non lo sarebbero (art.170) (il legislatore vuole che, di fronte ad un mutamento dell’oggetto del processo, il contumace sia messo in condizione di rivedere la propria) Ø l’ordinanza che ammette il giuramento o l’interrogatorio formale dev’essere notificata al contumace (si tratta di mezzi di prova che richiedono la partecipazione personale della parte, e prevedono conseguenze in suo danno in difetto); Ø gli atti in allegato ai quali vengono prodotte scritture private proveniente dal contumace, o asseritamente tali, e i verbali delle udienze nei quali simili scritture private vengono depositate, devono essere notificati al contumace, perché egli possa decidere di costituirsi e disconoscerle; Ø in generale, la costituzione del contumace è possibile in ogni momento, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni (che è l’ultima udienza), ma restano ferme le decadenze maturate in suo danno nel frattempo(es: quelle dell’art.183); Ø se poi addirittura il contumace, costituendosi tardivamente, dimostra di non aver potuto costituirsi in tempo per causa a lui non imputabile, egli deve essere ammesso a difese complete, senza preclusioni. Dopo lo scambio di atto di citazione e comparsa di risposta (atti introduttivi), e la costituzione delle parti, la fase di introduzione della causa è completa, quella di trattazione è ben avviata. Il processo prosegue essenzialmente come concatenazione di atti ulteriori di parte, atti del giudice e udienze (l’art.180 è un po’ ingannevole). Per gli atti di parte, salve diverse previsioni, che spesso contemplano la scrittura e la sottoscrizione, vige il generale principio di libertà delle forme (art.121) (à art.156), salvo il rispetto della lingua italiana (art.122) ed il nuovo dovere di chiarezza e sinteticità. Gli atti si scambiano, di regola, nel disegno del c.p.c., mediamente deposito in cancelleria (art.170; in verità, esiste oggi un obbligo di deposito in forma telematica, ex art.190 quater disp, att.). Il giudice nominato ex art.168 - bis, tendenzialmente immutabile per il tutto il processo, dirige il processo stesso, fissando udienze e termini secondo quanto previsto dalla legge. Gli atti (analogici o digitali) con i quali regola il processo e decide gli incidenti che sorgono nel corso di esso sono decreti e ordinanze, tendenzialmente sempre revocabili: se non sono pronunciati in udienza, sono comunicati alle parti. Nelle udienze, il giudice e i difensori si incontrano in tribunale. Di regola, le udienze civili non sono pubbliche, salvo quella di discussione. Se ne redige il processo verbale (artt.126 - 130), sottoscritto dal cancelliere. 46 LEZIONE 27 – 06/03 Le udienze civili Quanto allo svolgimento delle udienze, il legislatore ha introdotto ora gli artt. 127 bis e 127 ter c.p.c. per consentire al giudice di far svolgere udienze telematiche ed udienze scritte (con termine per note inferiori a 15 giorni), se non è necessaria la presenza di soggetti diversi da parti, difensori, p.m. o ausiliari del giudice. Allo svolgimento telematico o per iscritto ciascuna parte può opporsi (nel primo caso, il giudice può anche disporre che la parte opponente compaia in presenza e le altre si colleghino telematicamente). Lo svolgimento per iscritto diviene obbligatorio per il giudice, se ne facciano richiesta concorde le parti costituite. Verifiche preliminari (art.171 bis c.p.c.) Il giudice designato si trova a questo punto chiamato a verificare fuori udienza la regolare instaurazione del contraddittorio, adottando un conseguente provvedimento (15 gg dopo la scadenza del termine per la costituzione del convenuto). In tale sede trovano spazio i provvedimenti di cui agli artt. 102, 107, 164, 167, 182, 291 e 292, nonché le dichiarazioni di contumacia, il differimento dell’udienza ex art.269, c.2, e la segnalazione di questioni rilevabili d’ufficio o attinenti alle condizioni di procedibilità, o all’opportunità di procedere col rito semplificato. In questi casi, ove necessario, viene fissata una nuova udienza e i termini per le memorie istruttorie decorrono a ritroso dalla nuova data (v. art.5 d.lgs. n. 28/2010). Se non sono adottati provvedimenti ai sensi di tali norme, il giudice si limita a confermare l’udienza indicata o differita ex art.168 bis, c.4, o a differirla ancora fino a un max 45 gg (e i termini per le memorie istruttorie decorrono da essa). Memorie istruttorie È tempo per la parti di provvedere alle memorie istruttorie: Ø la prima può contenere emendationes (passaggio da un fatto costitutivo all’altro, rispetto alle domande autodeterminate: variazioni quantitative del petitum mediato; forse, variazioni del solo petitum immediato, ad es. da accertamento mero a condanna, domande complanari), nuove domande o eccezioni, se conseguenti a domande e eccezioni del convenuto o del terzo, la chiamata di un terzo da parte dell’attore, se conseguente alle difese del convenuto (oltre che altre attività non precluse) Ø la seconda può contenere le eccezioni e le repliche conseguenti (ma non nuove domande o chiamate) e le prove dirette Ø la terza può contenere le repliche conseguenti e le prove contrarie. I termini decorrono a ritroso dall’udienza indicata o differita/rifissata ex art.171 bis (40, 20 e 10 gg). Problematico, stabilire eventuali decadenze per le mere difese e le eccezioni rilevabili d’ufficio. 47 LEZIONE 28 – 10/03 Memorie ex art. 171 ter Art 171 ter “Memorie integrative” “Le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono: 1) almeno quaranta giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché́ precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già̀ proposte. Con la stessa memoria l'attore può̀ chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta; 2) almeno venti giorni prima dell'udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché́ indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali; 3) almeno dieci giorni prima dell'udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria.” Prima memoria ex art. 171 ter n.1: le parti possono precisare e modificare. L’attore può̀ aggiustare il tiro dopo la comparsa di risposta, ma anche il convenuto può̀ fare precisazioni (e.g. se ha eccezioni o domande riconvenzionali le precisa). Il concetto di precisazione è un po’ vago e dottrina e giurisprudenza lo declinano così: • Ammettono la modifica della causa petendi per le domande autodeterminate; • Ammettono la variazione in aumento del petitum quantitativo inizialmente generico della domanda contenuta in atto di citazione o in domanda riconvenzionale; • Specificare meglio la causa petendi; Queste sono emendatio ammesse. Poi la giurisprudenza ha aperto la strada anche alle c.d. domande complanari, che hanno contenuto alternativo (e.g. domande ex art. 2932 o domanda di accertamento della proprietà̀). L’attore, inoltre, può proporre le domande o eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo (che nel frattempo è stato chiamato e il giudice, nel frattempo, ha differito l’udienza e tutte le memorie). Sono ammesse, quindi: • Eccezioni conseguenti ad eccezioni: e.g. eccezione di interruzione della prescrizione; • Domande o eccezioni conseguenti alle eccezioni o alle domande riconvenzionali (o anche mere difese secondo la giurisprudenza): La domanda nuova dell’attore si può̀ fare solo a condizione (mentre l’emendatio è ammessa senza condizioni) che l’esigenza della domanda non sia solo frutto di un ripensamento ma tale esigenza deve trarsi dalla riconvenzionale o dalle eccezioni del convenuto. E.g. reconventio reconventionis: domanda riconvenzionale conseguente a domanda riconvenzionale. • Domande conseguenti a domande nuove; • Eccezioni conseguenti a eccezioni; Queste attività̀ ci si chiede se siano a pena di decadenza, ma la legge non lo dice espressamente. Il sistema suggerisce, dando termini perentori e visto che le attività̀ nei nn. 2 e 3 le attività̀ dei nn. 1 e 2 non compaiono più̀, che siano a pena di decadenza. Altro aspetto da sottolineare è che tali disposizioni parla di eccezioni tout court, senza 50 Questo problema si affianca al fatto che il giudice manca di alcune delle abilità che sono necessarie per conciliare perché occorrono 2 abilità: Ø essere bravi a persuadere Ø conoscere il diritto perché bisogna sapere qual è il probabile esito della lite. Il legislatore questa difficoltà in parte la tiene presente tanto è vero che qualche anno fa in un periodo in cui il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al giudice non c’era, si era stabilito che i tentativi di conciliazione si potevano fare davanti ai mediatori anche se essi mancavano di sapere giuridico. C’è anche l’aspetto di perdita di tempo: molto sostengono che si perde molto tempo per il tentativo di conciliazione. Altro ostacolo è il rischio di una fuga dal diritto. Ci sono degli ordinamenti dove le transazioni in giudizio sono molto frequenti, se così tante composizioni delle liti avvengono contrattualmente questo significa che la maggior parte dei rapporti giuridici finiscono per essere regolati dalle parti e quindi il diritto viene sacrificato generando una tendenza alla fuga dal diritto. D.lgs. 4 marzo 2010, n.28 La conciliazione delle controversie è ora ulteriormente favorita per effetto del d.lgs. in esame, che definisce la conciliazione come la composizione di una controversia a seguito di mediazione, e la mediazione come l’attività svolta da un terzo imparziale e diretta a facilitare la composizione amichevole della controversia, anche mediante formulazione di proposte Il d.lgs. istituisce un registro di organismi presso i quali è sempre possibile tentare la conciliazione in materia di diritti disponibili. L’avvocato è tenuto a informare il cliente della possibilità. In difetto, il contratto è annullabile. L’informazione dev’essere documentata in giudizio. In difetto, l’informazione è data dal giudice alla parte (salvo che egli dichiari l’improcedibilità ex art.5, c.1, d.lgs. cit.). Il tentativo è obbligatorio nei procedimenti ordinari di cognizione in materia di: Ø condominio Ø diritti reali Ø divisione Ø affitto Ø locazioni Ø comodati Ø successioni e patti di famiglia Ø responsabilità auto, medica e stampa Ø contratti assicurativi, bancari e finanziari. In difetto, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda, anche d’ufficio, entro la prima udienza, e fissa un’udienza di lì a più di 4 mesi, assegnando alle parti un termine per promuovere il tentativo, che appunto in 4 mesi si deve concludere. Il verbale di conciliazione, omologato, è titolo esecutivo e per ipoteca. La mancata partecipazione vale argomenti di prova. Se il tentativo non riesce, il mediatore può a determinate condizioni formulare una proposta, che può spiegare effetto ai fini delle spese. Udienza di trattazione: chiarimenti e chiamata del terzo da parte dell’attore Sa la conciliazione non riesce o il tentativo non si può fare, il giudice procede alla trattazione vera e propria, che sembra ormai ridotta ad eventuali richieste di chiarimenti. La fissazione del thema decidendum e del thema probandum, la definizione ultima del diritto controverso, dei fatti 51 costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi del medesimo, delle contestazioni al riguardo e delle richieste istruttorie delle parti, si è in sostanza già compiuta fra il decreto di cui all’art.171 bis e le memorie di parte. Solo se il giudice ritenga di autorizzare la richiesta di chiamata in causa di un terzo formulatagli dall’attore nella prima memoria, deve fissare una nuova udienza “nel rispetto dei termini dell’art.163 bis” (cfr. art.269, c.3; l’attore provvede a citare il terzo per quell’udienza, e il terzo si costituisce a norma dell’art.166; parrebbe che il giudice debba in seguito pronunciare nuovo decreto ex art.171 bis e dare nuovi termini ex art. 171 ter c.p.c. a tutte le parti, ma per queste ultime restano ferme le preclusioni già maturate fra loro). LEZIONE 30 – 17/03 Provvedimenti del giudice all’esito dell’udienza: assunzione probatoria Dopo i chiarimenti, e dopo lo scambio delle memorie, il giudice dispone di un quadro molto chiaro dei fatti allegati dalle parti e delle rispettive domande e conclusioni: è in grado di distinguere i fatti non bisognosi di prova (perché irrilevanti o non contestanti) e quelli bisognosi di prova; conosce le prove che le parti hanno “in mano” e delle quali intendono valersi. Egli, quindi, è in grado di transitare dalla fase di trattazione a quella di istruzione in senso stretto, se necessaria (se cioè, per decidere la causa, è necessario assumere delle prove), o a quella di decisione. Se l’istruzione in senso stretto è necessaria, il giudice pronuncia un’ordinanza, con la quale ammette i mezzi di prova ammissibili e rilevanti, e fissa il calendario delle udienze successive, di assunzione delle prove (e forse pure di remissione della causa in decisione), indicando gl’incombenti da svolgersi (c.d. calendario del processo). La prima udienza di assunzione dovrebbe tenersi entro 90 gg. L’ordinanza può anche esser pronunciata fuori udienza, entro 30 gg dall’udienza (art.183, c.4). Se l’ordinanza prevede mezzi di prova disposti d’ufficio dal giudice, essa non contiene il calendario, ma fissa due termini perché le parti possano dedurre le prove ulteriori che si rendono necessarie in relazione ai medesimi, e poi replicare; su tali nuove richieste, il giudice deve pronunciare una successiva ordinanza fuori udienza, entro 30 gg, che conterrà anche il calendario. Se il convenuto nella comparsa di risposta avesse preso posizione sui fatti dell’attore, quei fatti che il convenuto non ha contestato non sono bisognosi di prova. Il ragionamento che il giudice deve fare è che se i fatti sono provati dai documenti allora non bisogna istruire perché il fatto è già provato. Se questa verifica dovesse dare esito negativo, il giudice fissa direttamente l’udienza di remissione della causa in decisione. Processi senza assunzione probatoria C’è la possibilità che nel processo non ci sia il bisogno di aver alcuna attività di prova costituende. Quando accade? L’ipotesi normale è la causa di puro diritto o cause tutte documentali, ossia le due parti narrano una versione fattuale assolutamente identica ma ne traggono conseguenze giuridiche diverse: cause in cui si fa diritto e non si fa fatto. Si possono ipotizzare anche causa in cui i mezzi di prova non ci siano perché non richiesti e il giudice non ne ha disponibili d’ufficio, allora non c’è istruzione da fare: il giudice decide sulla base 52 della regola dell’onere della prova. Ci sono altre cause che danno conto dell’inciso dell’art.187 secondo cui il giudice non deve ricostruire le prove così tanto per ma la causa verrà decisa in senso sfavorevole all’attore, salva l’eccezionale pronuncia di una sentenza non definitiva. Non c’è necessità di accertare con piglio storico tutto quello che serve al processo. Ritenuta la causa, matura la decisione si fissa l’udienza per la remissione della causa. Assunzione delle prove All’udienza o si arriva per ricorso diretto che, con un provvedimento, la fissa subito dopo dell’udienza cui art.183 oppure ci si arriva con delle udienze istruttorie, fissando poi l’udienza. In queste udienze, si assumono le prove e poi questa istruttoria si chiude quando: 1) sono stati assunti tutti i mezzi di prova à se i fatti sono chiari si deciderà di merito, se non sono chiari si deciderà secondo l’onere della prova; 2) vi è decadenza à quando una delle due parti è decaduta perché non sono stati applicati tutti i mezzi di prova. Quando si richiede l’audizione del teste e la parte che l’ha richiesta non ha intimato il teste, il giudice dichiara la parte decaduta art.208 c.p.c. à udienza fissata per una qualunque assunzione di prova e la parte che l’ha richiesta è assente, a meno che non sia lui stesso o anche la controparte ad affermare a voler utilizzare lo stesso prova (à principio di acquisizione: principio in forza del quale quando una prova entra in processo qualsiasi parte ne può approfittare) 3) il giudice ritiene di aver già chiaro l’accaduto à i testi dell’attore confermano quanto detto dal convenuto e quindi il giudice può anche adire il convenuto con i testi ma tanto vi è già conferma da parte dei testi dell’attore. Udienza di remissione della causa in decisione Prima si chiamava udienza di precisazione delle conclusioni ma ora non viene più utilizzata perché il legislatore ha deciso di toglierla. L’udienza di remissione della causa di decisione si fissa o nell’ordinanza istruttoria o quando la conclusione è nella stessa udienza che il giudice dichiara chiusa l’istruttoria. Quando la si fissa, la si deve accompagnare alla fissazione di 3 termini: Ø 60 gg dalla prima di questa udienza di remissione della causa in decisione à termine dato per i fogli per la precisazione delle conclusioni, che va fatto nei limiti già dedotti negli atti precedenti. Se un soggetto rinuncia a una domanda perché l’istruzione è andata male, può rinunciare da solo oppure deve acquisire il consenso del convenuto? La questione, in giurisprudenza, è risolta in senso molto discutibile, ossia la rinuncia della domanda è consentita dalla legge indipendentemente del consenso dell’altra parte ma in realtà sarebbe giusto acquisire il consenso dell’altra parte; Ø 30 gg e 15 gg dalla prima udienza sono per il deposito di una comparsa conclusionale, ossia riepiloga tutto e contiene in definitiva le decisioni delle parti, se c’è stata istruttoria comprende anche tutti i vari commenti, e la memoria di replica, ossia atto di parte che serve a replicare alle deduzioni avversarie formulate in comparsa conclusionale. Il giudice deve depositare la sentenza nei 30 gg successivi. 55 L’art. 132 c.p.c. riguarda il contenuto della sentenza in cui sono presenti i seguenti elementi: Ø indicazione del giudice che l’ha pronunciata Ø indicazione delle parti e dei loro difensori Ø conclusioni del PM e quelle delle parti Ø concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Ø dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice L’art. 118 disp. att. c.p.c. Stabilisce che le ragioni di diritto il giudice può darle per relationem facendo riferimento a precedenti conformi. La stessa norma consente inoltre per la ricostruzione dei fatti e per le ragioni di diritto di motivare per relationem anche in riferimento ad atti di causa. Non si possono citare autori giuridici nelle sentenze. La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal Presidente e del giudice estensore. Se il Presidente non può sottoscrivere per morte o altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato dell’ impedimento. Se l’estensore non può sottoscrivere la sentenza è sufficiente la sottoscrizione del solo Presidente, purché sia menzionato l’impedimento prima della sottoscrizione. L’art. 133 c.p.c. riguarda la pubblicazione e la comunicazione della sentenza. La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Il cancelliere deve dare atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone data e firma, ed entro 5 giorni ne dà notizia alle parti costituite. Questa è la comunicazione della sentenza, cioè l’avviso del cancelliere che la sentenza è stata pubblicata che contiene anche il testo integrale da qualche anno. Con l’accesso degli avvocati al fascicolo telematico, queste fasi sono state molto semplificate. La comunicazione, inoltre, non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 perché i termini decorrono dalla pubblicazione (in particolare il termine lungo per impugnare). La comunicazione quindi si distingue sia dalla pubblicazione per questo motivo (non decorrono termini per impugnare dalla comunicazione) sia dalla notificazione della sentenza che è un’attività dell’avvocato della parte vittoriosa alla parte soccombente, se vuole, e serve per far decorrere il termine breve per impugnare. Se il termine breve (30 giorni per l’appello e 60 giorni per la Cassazione) non decorre, perché l’avvocato non ha fatto la notifica, decorrerà il termine lungo; se il termine breve decorre allora il termine lungo non serve più. Il giudice adotta provvedimenti di tre tipi: decreto, ordinanza la cui motivazione può anche essere succinta, sentenza. La sentenza è il provvedimento decisorio per eccellenza perché spoglia il giudice del potere decisorio (a differenza dell’ordinanza, sulla quale può ritornare). L’art. 279 tratta dell’ordinanza come forma dei provvedimenti del collegio. Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede solo su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide solo questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa. La possibilità di impugnazione dell’ordinanza sulla competenza con regolamento di competenza ex artt. 42 ss. dimostra che si tratta intrinsecamente di una sentenza. Il collegio pronuncia sentenza: 1. Quando definisce il giudizio decidendo questione di giurisdizione 2. Quando definisce il giudizio decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo preliminare (esclusa la competenza) o questioni preliminari di merito 3. Quando definisce il giudizio decidendo totalmente il merito 56 4. Quando decidendo alcune questioni di cui ai numeri 1,2,3 non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa. E.g. il giudice della prescrizione nell’ordinanza ha fissato l’udienza di remissione perché pensava che la questione preliminare fosse assorbente, poi però nella conclusionale la parte gli fa notare che ha preso un abbaglio perché gli è sfuggito un atto di interruzione della prescrizione che era agli atti. A questo punto egli sta redigendo la sentenza, perché ha trattenuto la causa in decisione, e potrebbe decidere sulla questione di prescrizione che è già matura per la decisione. Si avrà quindi una sentenza non definitiva, perché il giudice non è ancora in grado di stabilire il quantum del credito non prescritto perché a tal fine ha bisogno di istruire. Quando la sentenza non definitiva è pronunciata, il giudice su quella non può più tornare. La parte può poi impugnare subito la sentenza non definitiva o riservarsi di impugnarla. Queste norme valgono sia per il Collegio sia se a decidere è il giudice monocratico. LEZIONE 33 – 27/03 Art.283 c.p.c.: modifica all’inibitoria La sentenza è provvisoriamente esecutiva, ossia se è una sentenza di condanna costituisce immediatamente titolo esecutivo (art.282 c.p.c.). Non si riferisce a tutte le sentenze ma va in base al contenuto. Solo se la sentenza di condanna sono titolo esecutivo. Tutte le sentenze potrebbero anche essere accompagnate a una pronuncia di condanna alle spese, facendo considerare anche la sentenza di rigetto come una sentenza provvisoriamente esecutiva. Tuttavia, la provvisoria esecutività non è senza rimedio, ha una piccola chance di riuscire ad evitare di pagare ed è costituita dalla richiesta di sospensione dell’esecuzione o dell’efficacia esecutiva. La via è promuovere l’appello: se la sentenza è di primo grado la parte può proporre appello e chiedere al giudice d’appello la sospensione dell’efficacia esecutiva però chi propone appello chiede anche al giudice di fissare udienza a breve per pronunciare questa sospensione. L’art.283 c.p.c. è stato modificato dalla Riforma Cartabia ampliando le possibilità di ottenere la provvisoria esecutività. Art.283 c.p.c. : “Il giudice d’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti. L’istanza di cui al primo comma può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità. Se l’istanza prevista dal primo e dal secondo comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una pena pecuniaria non inferiore ad uro 20 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.” Quindi le condizioni previste sono: Ø l’impugnazione deve apparire manifestamente fondata Ø o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile Grande novità della riforma è che il fumus beni iuris e il periculum in mora sono alternate e questa alternanza la si ritrova nel primo comma dell’articolo nella formula “[…] se l’impugnazione appare 57 manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti […]”: se si tratta dell’insolvenza dell’attore c’è il rischio che fallisca l’appellato ma se fallisce viene pagato con la moneta “fallimentare” anche se creditore. Il nuovo procedimento semplificato di cognizione Finora abbiamo trattato del procedimento ordinario di cognizione ma non è l’unico e l’art.281 decies, che è l’articolo di riferimento, sembra quasi suggerire che tende a sostituire il procedimento semplificato. Il procedimento semplificato cambia poco da quello ordinario di cognizione: è un rito semplificato con l’idea di istituire due riti, uno ordinario e l’atro è un rito in cui le cadenze sono meno “ingessate” nel senso che il procedimento è più elastico ed è adatto a grande generalità delle liti conservando viceversa il rito ordinario ad uno in cui lo scritto può essere uno soltanto oppure un paio. Questo rito più semplice, il legislatore lo costringe in 3/4 disposizioni: Ø art.281 decies c.p.c. à “Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudice è introdotto nelle forme del procedimento semplificato. Nelle cause in cui il tribunale giudice in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato.” Se l’attore proponesse un giudizio ordinario quando si dovrebbe procedere con rito semplificato, non sarà sanzionato. Ø art.281 undecies c.p.c. à “La domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell'articolo 125, che deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6) e l'avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell'articolo 163. Il giudice, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell'attore. Tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di quaranta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all'estero. Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio. Se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma.” Il ricorso è un atto che è simile all’atto di citazione ma a differenza di esso non contiene la vocatio, ossia l’indicazione dell’udienza. Altra differenza è che il ricorso si deposita, non lo si notifica il giorno della litispendenza: questo significa che deve farlo al momento del ricorso e quindi il ricorrente non potrà mai essere contumace. Il giudice non deve fissare un’udienza né troppo vicino né troppo lontana perché al convenuto verranno dati 40 giorni per prepararsi all’udienza e poi deve costituirsi. Ø art.281 duodecies c.p.c. à “Alla prima udienza il giudice se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui al primo 60 effettivamente di un rito più agile, ma forse un po’ troppo restrittivo perché rischia di scoraggiare. Il giustificato motivo si deve intendere in modo ragionevole: se il giudice ritiene che ci siano effettive esigenze di puntualizzare anche solo istanze istruttorie, deve ritenere giustificata questa richiesta di termini ulteriori. In tal caso il rito si svolgerà in questo modo: ricorso - comparsa di risposta - udienza - richiesta dei due termini - eventuale concessione dei termini - udienza successiva per discutere sulle prove. È un sistema che in questo modo, anche se sono previste due udienze, non rischia di dilungare troppo i tempi processuali. Ciò che non è chiaro è se il giudice possa pensare a convertire il rito successivamente, se ad esempio a seguito della concessione dei due scritti si accorge che l’istruzione si preannuncia complessa. E’ difficile pensare che a questo punto possa e debba convertire il rito da semplificato a ordinario e dover concedere ulteriori scritti ex art. 171 bis a seguito della conversione. Si arriva quindi all’udienza, a seguito della concessione dei suddetti termini o prima, se tali termini non sono stati concessi, a questo punto si organizza l’istruzione: se non si provvede ai sensi del co.2 (chiamata di un terzo su istanza dell’attore) e del co.4 (i due termini di cui si diceva) e non si ritiene la causa matura per la decisione, se l’istruzione quindi si deve fare, il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione (nella prassi attività queste ultime spesso scisse in due udienze). A seguito dell’istruzione si va a decisione in due forme (art. 281 terdecies): • se ci si trova difronte ad un giudice monocratico si segue il dettato dell’art. 281 sexies e si avrà la precisazione delle conclusioni nell’ultima udienza, seguita dalla discussione e dalla sentenza letta in udienza o depositata nei 30 giorni successivi. • Se si tratta invece di causa in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, si procede a norma dell’art. 275 bis. È prevista però anche l’ipotesi inversa, cioè l’ipotesi in cui il procedimento sia iniziato con rito ordinario ma il giudice ritenga opportuno che avrebbe dovuto essere promosso con rito semplificato (art. 171 bis). Quando il giudice, se il giudizio è iniziato con rito ordinario, verificasse dopo lo scambio dell’atto di citazione e della comparsa di risposta, tra i provvedimenti dell’art. 171 bis, il giudice è chiamato anche a segnalare che, se ritiene, si debba procede con il rito semplificato anziché col rito ordinario. All’udienza dell’art. 183 il giudice potrebbe quindi stabilire di dover procedere con il rito semplificato, ma a questo punto non si avrebbero più differenze tra i due riti avendo le parti già provveduto agli scritti. In tal modo però l’unica differenza è che il giudice impedisce, scegliendo il rito semplificato, ogni scelta quanto al modulo decisorio. Mentre il rito ordinario prevede tre moduli decisori, il rito semplificato ne prevede due. L’istruttoria e le prove (domanda) Nel corso delle precedenti lezioni, abbiamo già incontrato varie volte le prove, esplicandosi la funzione giudiziale attraverso la risoluzione delle controversie, le quali vengono rivolte dal giudice dicendo anzitutto se esiste o no il diritto controverso. Nel far ciò, egli adempie al proprio dovere decisorio. Per adempiervi, non può bastare il proprio accertamento su fattori casuali: deve prima verificare cosa è successo (giudizio di fatto) e poi decidere sulla base delle norme del diritto (giudizio di diritto). Per rendersi conto di cosa è successo, egli si serve delle prove che possono definirsi come i mezzi o strumenti che consentono al giudice di ritenere vere o meno le allegazioni di fatto delle parti. Nel descrivere a grandi linee gli atti introduttivi, si è visto come i termini ultimi per la deduzione di prove nel rito ordinario di promo grado siano posti dall’art. 171 ter. Il giudice decide sulla base delle prove fornitegli dalle parti o dal PM, salvo che la legge disponga diversamente. Questo è il principio dispositivo che vuole tutelare la terzietà e l’imparzialità del giudice. Ci sono poi altri principi che informano la disciplina delle prove: il principio dell’onere della prova, per il quale l’attore deve provare i fatti costitutivi e il convenuto i fatti estintivi, 61 modificativi e impeditivi, il principio della non contestazione, per il quale il giudice può̀ porre a fondamento della decisione i fatti non contestati, il principio di acquisizione, per il quale una volta che un mezzo di prova è acquisito al materiale di causa esso può avvantaggiare e svantaggiare entrambe le parti. Quanto alla classificazione dei mezzi di prova se ne incontrano diverse: • Prove liberamente apprezzabili e legali: le prove sono valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento; quindi, ad es il giudice ritiene vera o no la deposizione del teste a seconda di veri fattori come non risposte e atteggiamenti del teste. Liberamente apprezzabile vuol dire che le prove non hanno un valore predeterminato per il giudice. Le prove legali invece hanno un valore predeterminato dalla legge. Il legislatore prevede all’art. 116 il principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice. • Prove tipiche e atipiche; • Prove disponibili anche d’ufficio e riservate alla parte; • Prove precostituite e costituende; analoga distinzione si fa tal ore tra prove scritte (documentali) e orali; • Prove ammissibili e inammissibili rilevanti e irrilevanti, utili e inutili, verosimili e inverosimili; A queste distinzioni si possono aggiungere quella, essenzialmente descrittiva tra prove dirette come ad es l’ispezione, rappresentative (e.g. testimonianza, documenti, confessioni) e critiche (e.g. presunzioni). Le prove sono gli strumenti che consentono al giudice di persuaderai della verità o meno di un fatto. Quanto alla sedes materiae, la disciplina legale dei mezzi di prova si trova divisa per antica traduzione, talora criticata, tra il Codice di procedura civile e il Codice civile. Nel Codice di procedura civile sono disciplinati per lo più i profili formali della prova: le regole che presiedono al loro ingresso on giudizio, alla loro assunzione, ai provvedimenti del giudice in ordine ad esse. Il c.p.c. risponde cioè alle domande: come si svolge l’istruttoria? Come e quando si propone una istanza istruttoria? Come si assumono la testimonianza, la c.t.u. etc.? Nel Codice civile sono disciplinate per lo più i limiti di ammissibilità della prova e l’efficacia delle prove legali (strettamente collegata alla disponibilità dei diritti: è soprattutto per questo che si spiega i riparti). Il c.c. risponde alle domande: quando si può utilizzare una certa prova, a quali condizioni? L’esito della prova quando vincola o meno il giudice alla ricostruzione dei fatti? LEZIONE 35 – 03/04 Le prove non sono molte: Ø Atto pubblico Ø Scrittura privata Ø Prove documentali Ø Prova testimoniale Ø Presunzioni Ø Confessione e l’interrogatorio formale Ø Giuramento Ø Ispezione Fuori da questo catalogo c’è altro? Altri strumenti che non sono previsti dal legislatore sono utilizzabili? Le prove sono a catalogo a numero chiuso? Le prove atipiche esistono? Esistono punti di vista diversi. Lo strumento delle presunzioni è talmente elastico che consente di fare entrare in questo catalogo quasi tutto come l’uso di prove atipiche nella scrittura privata. Il problema della tipicità o atipicità dei mezzi di prova è un problema più teorico che pratico. 62 Prove orali: testimonianza, confessione e giuramento Si presentano, dal punto di vista materiale, sono molto simili che consistono tutte in qualcuno che dice qualcosa. Vi sono delle differenze però : Ø prova testimoniale à il teste è un terzo che è informato dei fatti di causa ed è un soggetto che deve dire la verità e per cercare di fargli dire la verità è stata messa una sanzione penale secondo la falsa testimonianza; c’è anche una sanzione morale perché giura di dire la verità. Quello che il test dice è valutato secondo il principio di efficacia. C’è un unico limite soggettivo: art.246 c.c. secondo cui non può testimoniare chi ha un interesse nel giudizio e che è parte potenziale nel processo. Prima c’era il limite secondo cui non poteva testimoniare un parente prossimo ad una delle due parti adesso non è più così. Nel caso in cui il terzo non si dovesse presentare vi è sempre una sanzione per ostacolo. Ø confessione à l’interrogatorio formale è lo strumento processuale che cerca di far ottenere una confessione: viene ascoltata la parte ma non ci si può offrire. L’obiettivo dell’interrogatorio formale è la confessione, ossia la dichiarazione di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte. La confessione non è una prova che si può ottenere solo tramite interrogatorio ma può essere presentata tramite documento. Nel nostro sistema, la parte interrogata non ha il dovere di dire la verità però ha il dovere di presentarsi, se non si presenta patisce delle conseguenze nei suoi confronti. Ø giuramento à non bisogna confonderlo con il giuramento del teste. È una prova data dalla parte. È presente nella contumacia perché è uno di quegli atti che viene notificata alla contumacia. Nessuno è tenuto a dire la verità però il nostro il legislatore compensa questa cosa con il falso giuramento ma quando dichiara fatti questo fa prova; anche qui la parte non si può offrire a giurare ma dev’essere la controparte a deferirlo. Il giuramento ha questa particolarità che il falso giuramento è rilevante dal punto di vista penale e proprio per questo il giuramento si sottrae alle regole di preclusione: si può chiedere anche per la prima volta in appello e sempre. Con ciò il legislatore vuole che entrambe le parti ci pensino bene. Esiste anche un giuramento suppletorio da parte del giudice: un fatto è provato ma non del tutto e quindi il giudice invita la parte a supplire alla mancanza attraverso il giuramento; fa prova in favore della parte che dichiara. Chi deferisce il giuramento deve sapere che potrebbe essergli riferito e quindi rischia anch’esso il penale. Prove documentali Dal punto vista materiale, si tratta di documenti ossia qualsiasi cosa materiale idonea a presentare fatti giuridicamente rilevanti, sono più che altro dichiarazione di scienza. Si prove documentali anche i filmati e le foto che bisogna allegarli infondo al documento. Se un soggetto non ha il documento, la parte chiede al giudice di farli mostrare dalla controparte. Scrittura privata Scrittura privata è un documento scritto e sottoscritto da una delle due parti o da più parti se ci sono; se il documento non è sottoscritto non vale come prova e così se è un documento sottoscritto da un terzo. Fa prova fino a querela di falso, ossia che sono prove legali. Di che cosa fa prova? Fa prova della provenienza, estrinseca, della dichiarazione e non fa prova 65 accede e da terzo perde la qualita di terzo e diviene parte: ciò e possibile alle condizioni dell'art. 105. E possibile per chi intende far valere il diritto nei confronti di una o entrambe le parti del processo e che sia un diritto connesso a quello che gia costituisce oggetto della causa. Puo altresi intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un oroono interesse Quello i cui a co. e un intervento di tipo diverso. c.o intervento adesivo-cipendente che e runico caso in cui il orocesso litisconsortile ouo essere anche oggettivamente semplice perche chi intervene non ta domande e quindi non lo arncchisce: mentre gli interventi volontari del primo comma evidentemente ingrassano l'oggetto del proce che se prima era semplice di sicura ora è complesso per effetto del diritto fatto valere da chi interviene. Si parla di interveniente o interventore per chi interviene e si parla di intervento volontario generale perché è il terzo che volontariamente si fa parte del processo e approfitta della pendenza che già c'è per far causa ad una o entrambe le parti (è necessario che la domanda che propone sia connessa all'originalita). Un esempio e auello della delibera assembleare. L'intervento volontario, quindi, è il fenomeno per cui un processo da semplice diventa litisconsortile per effetto della scelta di qualcuno che accede al processo e ne diviene prate. L'art.106 tratta dell'intervento su istanza di parte o coatto coactus tamen volui che si usa per illustrare i vizi della volonta dei negozi giuridici) è conosciuto come chiamata in causa. II convenuto a certe condizioni può chiamare in causa un terzo nella comparsa di risposta e lo stesso può fare l'attore nella prima memoria successiva agli atti introduttivi se l'esigenza sorge dalle difese del convenuto. La chiamata e possiolle ale condizioni o cui alll'art. 106: cioe quando al terzo la causa e comune quindi la chiamata in causa c.d per comunanza) o dal quale pretende di essere garantita (c. chiamata in causa per garanzia). E.g chiamata in giudizio dell'assicuratore, si tratta di una chiamata in causa per garanzia. E.g chiamata in causa del vero obbligato, si tratta di una chiamata in causa per comunanza. usa per comunanza di tutti ali stessi sonetti che notrebhero spiegare intervento volontario ce quindi una tendenziale omogeneità tra la possibile legittimazione attiva all'intervento volontario e la legittimazione passiva all'intervento coatto o chiamata in causa. Anche in questo modo il processo ovo diventare litisconsortile. C'è poi un'altra possibilità non inclusa in queste disposizioni mediante la quale si arriva ad avere un processo litisconsortile, cioè la riunione di due giudizi ai sensi dell'art. 40. Può darsi che due giudizi diversi fra parti connesse iniziano separatamente e siano poi riununiti per l’eccezione di uno dei due convenuti nei gludizi distinti. E.g. due creditori solidali tanno separatamente causa al loro condebitore solidale che, essendo l'unico convenuto in due giudizi distinti, potrebbe fare una eccezione di connessione e chiedere la nunione dei que giudizi ai sensi dell'art. 40 co.2 che è una disposizione dettata in materia di competenze da connessione. Anche in questo caso si può arrivare ad un processo litisconsortile facoltativo, cioè per effetto di una riunione ex art. 40 Ci si può arrivare anche per mezzo della disposizione dell'art. 107, che però è raro. Il testo critica tale articolo, il quale infatti ha un utilizzo limitatissimo nella prassi. L’art.107 consente la possibilità di creare a posteriori un litisconsorzio facoltativo per effetto di un ordine di chiamata in causa che non viene dalle parti ma dal giudice (jussu iudicis cioè per ordine del giudice). Da non confondere con l'art. 102 per cui il litisconsorzio è necessario e il giudice non può fare a meno di integrare il contraddittorio, se non lo facesse violerebbe un presupposto processuale e la sentenza sarebbe nulla o inesistente c comunque sottratta al regime della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame. Con l'art. 107, invece, non si è nel campo del litisconsorzio necessario, ma nell'ambito di situazioni in cui il giudice intravede la possibile opportunità; deve esser fatto solo se presente una ragione di tutela del terzo e non tanto delle parti. Se ci fossero peculiari esigenze di tutela del terzo il giudice può chiamarlo in giudizio, ma se non lo fa la cosa non è censurabile in sede di appello o cassazione e la sentenza pronunciata non è viziata. Se, invece, il giudice ritiene opportuna questa chiamata in causa, da alle parti il termine per effettuare la chiamata in causa e in questo caso le conseguenze sono uguali all'art. 102 perche se le parti non chiamano comunque si arriva al estinzione del processo 66 Le ulteriori quattro disposizioni si possono scindere in due gruppi. Gli artt. 108 e 109 trattano dell' estromissione, che è il fenomeno simile a contrario all'intervento volontario. Si chiama estromissione l'uscita di una parte dal processo, cioe la parte perde la qualita di parte e torna ad esser terza. L'espromissione è possibile in casi eccezionali previsti dai suddetti articoli; ad esempio l'espromissione del garantito che si ha quando, per ragioni di diritto sostanziale, qualcuno è tenuto a garantire qualcun' altro (sono le stesse della chiamata in garanzia) e allora in questo caso il soggetto garantito, a certe condizioni e se le parti non si oppongono, può uscire dal processo che si svolge a Quel punto tra la vane onginana e il garante, il Quale sostene anche la posizione del aaranto e questullimo, se esce, deve farlo consapevole del fatto che la sentenza nei suoi confronti sarà efficace. Si può avere poi l'estromissione dell'obbligato che si verifica in liti fra pretende di, cioè situazioni processuali in cui per varie possibili ragioni si arriva in giudizio ad una situazione di lite che magari all'inizio è trilaterale. Ad es Tizio sostiene di avere credito nei confronti di Caio e anche Sempronio sostiene di avere un credito nei confronti di Caio. Quindi Tizio e Sempronio sono in conflitto perché pensano entrambi di essere creditori e Caio non si ritiene debitore di nessuno. Qui la lite è trilaterale, il processo va avanti come litisconsortile e estromissione non ha rilevanza. Ma da questa sitiazione, se Caio si rendesse conto ab initio o dopo l'istrittoria che deve la res monile o la somma, si rende conto di essere effettivamente debitore ma non è chiaro se lo sia di Tizio o di Sempronio), il legislatore gli consente l'estromissione a patto che depositi ciò che deve presso la cancelleria del giudice in attesa che il giudice stabilisca a chi la somma o la res sia dovuta. L’art.111 prevede un altro caso di estromissione. anche se viene trattato nell'ambito di un fenomeno più ampio che è quello della successione a titolo particolare nel diritto controverso. Non si puo comunque ottenere una estromissione al di fuori dei casi suddetti. Infine, si può essere estromessi solo da un processo litisconsortile, perché è chiaro che in un processo con due parti rimarrebbe una parte sola. Più lasco è invece il legame tra le ultime due disposizioni: gli artt. 110 e 111 e il processo litisconsortile perché essi riguardano un fenomeno che in apparenza col processo litisconsortile centra poco. È il fenomeno della successione del processo. La successione nel processo e la successione a titolo particolare nel diritto controverso sono lievemente diverse: la successione nel processo è trattata dall'art. 110, il quale riguarda successioni c.d a titolo universale, quindi rispetto alle persone fisiche il fenomeno della morte che determina la successione in Universal ius da parte di un soggetto erede. Quando si ha il decesso dell'attore o del convenuto nel processo, l'art. 110 stabilisce che (per garantire la continuità del processo, cioè che la morte di una delle parti nell'immediato determini una caducazione del processo che deve essere ricominciato con perdita degli effetti sostanziali e processuali) il processo continui nei confronti dei successori universali, alla parte deceduta o anche alla parte venuta meno (perchê sussistono fenomeni analoghi alla morte delle persone fisiche che riguardano le persone giuridiche). Tutto ciò avviene dal punto di vista tecnico con l'istituto dell'interruzione del processo che si interrompe per consentire agli eredi di proseguirlo. La successione a titolo particolare invece, salvo il co.2, non riguarda il decesso ma il trasferimento del diritto. Se il diritto controverso è ceduto, il cedente rimane nel processo e il successore a titolo particolare può essere coinvolto: lo si può chiamare in giudizio (e un tipo di chiamata speciale diversa dal 106), può intervenirvi lui (e un tipo di intervento speciale diverso dal 105). Si può ottenere l'estromissione del dante causa. Ma la regola è che il processo prosegua nei confronti delle parti originarie e che la sentenza ha effetti nei confronti di chi acquista lite pendente, che sono trattati come coloro che acquistano post rem iudicata. Il successore a titolo particolare anche nel diritto controverso anche se non interviene o non è chiamato nel processo, è comunque considerato soggetto alla efficacia della sentenza, anzi se è diventato successore a titolo particolare in corso di primo grado, ancorché non sia stato chiamato nel giudizio di primo 67 grado che quindi si è concluso tra le parti originarie, può esser lui ad impugnare la sentenza che ha visto il suo dante causa soccombente. II co.2 riguarda il caso del legato, cioè il caso della successione a titolo particolare ma con morte di una parte, la quale ha disposto con legato a lavore di un soogetto che non e erede. il processo non puo continuare tra le pani onginane perche una delle due è venuta meno, si applica la regola dell'art. 110 quella immediata e, quindi, succede nel processo l'erede, dopodiché l'erede sta li ma se il successore a titolo particolare per il legatario e diverso da lui, l'erede può essere estromesso e il legataric ouo essere chiamato o Intervenire nel grocesso. Gli artt. 110 e 111 attengono anche loro al processo litisconsortile ma il processo può anche non essere mai litisconsortile in questi casi, ma il legame è seppur indiretto abbastanza forte perché quanto meno c'è una pluralità di soggetti coinvolti diacronicamente, perché la cosa coinvolge la a parte originaria dante causa e il suo avente causa a titolo universale per il 110 e per il 111 si propongono istituti tipici del litisconsorzio a tutela del terzo soggetto interessato. Per il successore a titolo universale ci potrebbe anche essere una bilateralita del processo ma nel caso dell’art.111 la pluralità di fatto c’è sempre anche se magari è latente perchè non interviene o non viene chiamato ma c’è sempre un terzo soggetto che è soggetto all'efficacia della sentenza. L'unica norma che non ha legami col processo litisconsortile è l'art. 104 che prevede che contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande. Vediamo affermata in questa disposizione la possibilità che l'attore possa fare più domande nei contronti del convenuto. Q uindi si tratta di cumulo solo oggettivo, la pluralità di parti non c’entra ma in realtà Il cumulo oggettivo è implicato anche nei processi litisconsortili. L'art. 103 prevede che più parti possono agire o essere convenuto nel medesimo processo quanto tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo (quindi petitum e causa petendi) ovvero quando coincidano entrambi ma i soggetti siano diversi. Questi sono i casi di connessione. Anche quando non esiste connessione per oggetto o per il titolo, quindi la connessione sia solo soggettiva è possibile, ai sensi dell'art. 104, porre contro la stessa parte più domande nei confronti del medesimo processo. Questa norma consente anche di fare domande solo soggettivamente connesse e qui l'utilità è più sfuggente e se c'è è molto marginale. È dubbia perché dal punto di vista dell'economia processuale è da dimostrare che il giudice risparmi attività trattando le due cause separatamente. Non è indifferente se la connessione ci sia o no: se si legge il 104 non cambia niente, ma ci sono altre disposizioni che sono rilevanti a questi fini come l’art.40, per il quale due cause promosse separatamente, se sono connesse oggettivamente, possono essere riunite. Il cumulo tra domande non altrimenti connesse il legislatore lo consente come scelta iniziale ma non per effetto di riunione. Altra disposizione interessante al riguardo è l'art. 31. il quale stabilisce che quando sono proposte due domande nei confronti di un soggetto e una di esse è accessoria all'altra l'accessorietà è una forma di connessione per pregiudizialità-dipendenza) per quelle due domande la competenza è garantita sempre in capo allo stesso giudice. Se le domande non hanno profili di connessione, esse sono possibili solo a patto che il giudice sia competente per entrambe. II co.2 dell'art. 104 rinvia al co.2 dell'art. 103: esiste un principio per il quale il giudice al quale sono formulate due domande può separare le cause. Non è quindi indifferente stabilire se la connessione è solo oggettiva o anche soggettiva e ci sono almeno 3 differenze: • Art. 40: solo se c'è connessione oggettiva si può disporre la riunione ex post; • Art.31: agevolazione del simultaneous processes per ragioni di competenza; • Separazione, la quale è possibile sempre ma è di gran lunga più semplice se la connessione non c'è perché dove c'è connessione la separazione e sempre Inopportuna. 70 connessione. Ai sensi dell’art. 104, se le due cause sono connesse e iniziano separatamente si può dare una riunione successiva ex art. 40; mentre se le due cause non connesse iniziano insieme allora l’attore può fare il patto di non violare la competenza ma se iniziano separatamente allora la riunione non può aversi perché l’art. 40 necessita della connessione. Lo stesso vale per l’art. 103 ad excludendum la connessione impropria, ma l’art. 40 necessita della connessione normale, il che significa che i lavoratori dell’esempio, se iniziano le cause separatamente, non possono poi fare eccezione per riunirle ex art. 40, perché l’art. 40 vuole la connessione normale. È quindi vero che l’art. 103 non differenzia tra connessione propria e impropria, così come l’art. 104 non faceva differenza tra connessione soggettiva e cause altrimenti connesse, ma ci sono altre disposizioni che introducono in questa parità di trattamento alcune differenze e una di queste è l’art. 40 che vuole l connessione propria mentre un’altra è l’art. 103 co.2. Nel litisconsorzio facoltativo come nel cumulo oggettivo dell’art. 104 la separazione è sempre possibile: il giudice può disporre nel corso dell’istruzione o della decisione la separazione delle cause, se c’è istanza di tutte ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo nel qual caso viene rimessa al giudice di pace la causa di sua competenza. La separazione, quindi è sempre possibile in teoria ma siccome le condizioni sono espresse in tal modo, più è forte la connessione e meno la separazione è opportuna perché dove c’è la connessione, la trattazione unitaria è quasi sempre consigliabile e non c’è mai un aggravio. Comunque, seppur si può partire identicamente in perfetta parità tra connessione propria e impropria, c’è però indirettamente una differenza nel trattamento perché nella connessione in propria la separazione è in linea di principio più facile e talvolta può essere opportuna. L’art. 31 stabilisce che la domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale finchè sia decisa dallo stesso processo. Riecheggia l’art. 104 ai sensi del quale le domande possono essere diverse a patto che il giudice adito sia territorialmente competente per entrambe; se poi le domande sono connesse la competenza non viene più in evidenza perché l’art. 31 agevola la trattazione del processo simultaneo. L’art. 33 riguarda il litisconsorzio facoltativo (art. 103) e prevede che le cause contro più persone che, a norma degli artt. 18 e 19 dovrebbero essere proposte dinanzi a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo possono essere proposte dinanzi al giudice del luogo di residenza, domicilio o sede di una di esse. Quindi il giudice competente, nell’esempio di Tizio aggredito da sette soggetti, è, tolti i fori di cui all’art. 20, il giudice dei luoghi di residenza o domicilio di uno dei convenuti, mentre gli altri convenuti non possono eccepire l’incompetenza perché l’art. 33 acconsente tale cumulo, favorisce cioè il cumulo soggettivo e oggettivo la deroga alla competenza. L’art. 33 però non consente in tutte le ipotesi dell’art. 103 il processo simultaneo perché necessita della connessione per l’oggetto e per il titolo (la connessione impropria non è, quindi, contemplata) e bisogna che non si versi nel campo di fori esclusivi perché se c’è un foro esclusivo di mezzo l’art. 33 non opera perché opera solo nella misura in cui i fori esclusivi non ci siano e operi il foro generale o, al limite, facoltativo. LEZIONI 38 – 21/04 Chiudiamo il discorso sul litisconsorzio facoltativo. Abbiamo visto le condizioni alle quali può cominciare un processo litisconsortile facoltativo vedendo che ci vuole una connessione tra le plurime cause che si riversano all’interno dell’unico contenitore processuale, connessione che può essere propria o impropria. Riprendendo l’esempio che abbiamo fatto della coobbligazione solidale di tale aggredito da 7 diversi soggetti che vengono tutte convenute per risarcimento danni (esempio di connessione per l’oggetto e per il titolo) c’è questa pluralità di domande, dobbiamo immaginare che ci siano 7 domande diverse, tutte connesse. Parliamo di connessione perché i soggetti sono diversi ma il petitum e la causa petendi sono i medesimi. La cosa che dobbiamo tenere a mente è che le domande conservano la loro individualità. Si parla di principio di autonomia. Cosa vuol dire che conservano la loro individualità? Il giudice le dovrà 71 decidere in quella determinata sentenza (che conterrà 7 capi, uno per ogni domanda) tenendo conto delle eventuali differenze tra loro: alcune domande potrebbero infatti essere accolte e altre no, anche se tutti e 7 i convenuti sono assistiti dallo stesso avvocato, che ha redatto una comparsa di risposta per tutti. Immaginiamo che tutti si siano costituiti negando i fatti raccontati dall’attore con delle mere difese. Poi si istruisce e l’attore indica dei testimoni che convincono il giudice che i convenuti 1,2,3,4 hanno effettivamente partecipato mentre i convenuti 5,6,7 non risultano partecipanti. Rigetterà allora la domanda nei confronti di quei 3 (magari condannando l’attore alle spese per averli coinvolti) ma condannerà i 4. L’utilità del processo simultaneo deriva dal fatto che se ci sono profili comuni saranno tutti apprezzati in modo uguale, per esempio il danno subito dall’attore è uguale, mentre se l’attore avesse coinvolto i convenuti in 7 processi diversi, 7 giudici diversi avrebbero potuto apprezzare diversamente il danno dell’attore. Nel processo simultaneo, il giudice accerta il danno una volta soltanto à economia processuale. Questo non significa che non possano essere scisse le posizioni. Qui viene in considerazione la differenza con i litisconsorti necessari ex 102 perché la situazione giuridica soggettiva è unica quindi la sentenza contiene un capo solo e automaticamente tutto viene apprezzato in modo unitario e uniforme. Tutto questo può cambiare per le prove legali e le eccezioni: cosa succede se uno o più dei 7 convenuti eccepisse fondatamente la prescrizione? Se l’eccezione è fondata solo il soggetto/i soggetti che hanno eccepito la prescrizione trarranno vantaggio dall’effetto estintivo della prescrizione, gli altri no. Quindi ci sarà una condanna ne confronti di certi soggetti perché il diritto di credito è prescritto e nei confronti di altri perché no. L’eccezione vale solo per chi l’ha fatta. Per le prove legali invece, non c’è nessuna norma che lo dice ma lo si può argomentare da alcune norme come 1301,1302,1303 cc, ad esempio, la confessione vincola soltanto chi la presta e nei confronti delle altre parti non ha alcuna efficacia. Anche il giuramento funziona in modo simile, se lo prestano solo alcuni litisconsorti facoltativi, varrà solo nei confronti di chi ha giurato. In definitiva, il gioco delle prove legali e delle eccezioni può determinare una ricostruzione anche diversa di fatti che sono, in realtà, unitari. Il principio di autonomia resta confermato. Gli interventi Intervento volontario art.105 cpc: “Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse”. L’intervento volontario ha 3 specie: l’intervento principale e l’intervento litisconsortile sono disciplinati al primo comma del 105, l’intervento adesivo è disciplinato al secondo comma. Se prendiamo il primo comma la differenza tra intervento principale e litisconsortile sta tutta in quel “in confronto di tutte le parti” (i. principale) “o di alcune di esse” (i. litisconsortile). A. Intervento principale. Un terzo, rispetto ad un processo tra Tizio e Caio, vuole entrare per far valere un suo diritto nei confronti di entrambi, generando una lite cd tra pretendenti, una lite trilaterale. Esempio classico è la lite sulla proprietà del fondo Corneliano. Il terzo (limiti soggettivi del giudicato) è di per sé estraneo alla lite e la sentenza non produce effetti nei suoi confronti, quindi, approfitta della pendenza della lite tra Tizio e Caio per far valere il suo diritto. Intervenendo nel processo ne diviene parte e sarà soggetto, a quel punto, soggetto al giudicato. La sentenza deciderà quindi anche del suo diritto. Si può dire che qui il terzo fa valere un diritto soggettivo diverso da quello già oggetto del processo, la sentenza avrà più capi oppure no? Secondo il Consolo, è giusto dire che questa è una domanda ulteriore perché le domande, rispetto al diritto di proprietà che è un diritto assoluto, erga omnes, sono bilaterali. Il Consolo per spiegarlo usa l’immagine dello spicchio: il diritto di proprietà si irradia nei confronti di tutti, ma nel processo si cala solo quello spicchio, quella relazione bilaterale tra Tizio-che fa valere il suo diritto di proprietà- e Caio. Stessa cosa quando Caio agisce in riconvenzionale nei confronti di Tizio, affermandosi a sua volta come proprietario, in realtà fa valere anche lui un suo spicchio 72 del suo ipotetico diritto di proprietà. Quindi si parla del diritto di proprietà su x affermato da tizio e caio e se c’è un terzo, Sempronio, che interviene nel processo c’è un terzo spicchio, o meglio, un terzo diritto (spicchi di arance diverse, ognuno ha la sua arancia). Che domanda fa Tizio? Come la qualifichiamo? Immaginiamo che Caio sia il possessore: Tizio farà una rivendicazione nei confronti di Caio perché chiederà la consegna del bene. La domanda riconvenzionale di Caio sarà una domanda di mero accertamento della proprietà perché non ha bisogno del possesso, ce l’ha già. Sempronio invece fa 2 domande: nei confronti di Tizio fa un accertamento mero della proprietà e nei confronti di Caio fa una rivendica perché a Caio chiede la consegna e che nei confronti di Tizio e Caio sia accertato il suo diritto di proprietà. B. Intervento litisconsortile. Qui chi interviene fa valere (come nell’intervento principale) un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo. La connessione deve essere propria, per l’oggetto e/o per il titolo, non una connessione impropria come nel litisconsorzio facoltativo ab origine. Si interviene solo contro una delle parti. Immaginiamo due creditori solidali dello stesso debitore: potrebbero agire congiuntamente (litisconsorzio nel lato attivo) oppure potrebbe agire solo uno e l’altro potrebbe intervenire successivamente. Chi interviene non farà alcuna domanda contro il concreditore solidale ma semplicemente sospetta che il concreditore si tenga il tutto, facendo causa da solo, e non gli dia la sua parte. Sappiamo infatti che il debitore si libera pagando anche ad uno solo dei suoi concreditori. Allora l’altro concreditore interviene facendo domanda di condanna per l’intero. Altro esempio: un socio impugna la delibera assembleare e successivamente un altro socio, avendo avuto notizia dell’impugnazione, interviene nel termine di 90 giorni dati per impugnazione di delibera assembleare di società ex 2377 cc. Altrimenti quell’intervento, come impugnazione è tardiva. Qui chi interviene, impugna. Magari fa valere vizi diversi da quelli che ha fatto valere il socio assente/dissenziente che ha iniziato; quindi, non avremo una connessione per il titolo, ma una connessione per l’oggetto perché chiede l’annullamento della delibera. Gli interventi di cui al primo comma dell’art 105 hanno una caratteristica comune: l’interveniente fa una domanda. Qualcuno li chiama interventi innovativi perché innovano o, più semplicemente, ampliano l’oggetto del processo perché chi interviene fa una domanda. C. Intervento adesivo. Qui chi interviene lo fa per sostenere le ragioni di una delle parti, quindi, interviene senza fare domande. Questa è la differenza con gli interventi di cui al primo comma. Interviene in una partita giocata da altri, non chiede niente per sé. Sostiene le ragioni di una delle parti onde ottenere la soccombenza dell’altra. Per fare intervento deve però avere interesse giuridicamente apprezzabile. Qui non c’è una domanda quindi questo non è l’interesse ad agire di cui all’art 100 cpc (“Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”). Resta da chiarire cosa significhi interesse giuridicamente apprezzabile e ci sono varie teorie al riguardo. Caso 1: i terzi che sarebbero soggetti/esposti all’efficacia di giudicato inter alios possono fare intervento adesivo per sostenere le ragioni di una delle parti. Qui il pensiero corre subito al subconduttore che è potenzialmente pregiudicato dal giudizio che tra locatore e conduttore finisse con una pronuncia di nullità o di risoluzione del contratto, per evitarla, può intervenire per sostenere le ragioni del conduttore. Infatti, il legislatore prevedendo che il subconduttore sia uno dei pochi soggetti che subisce gli effetti di un giudizio in cui non partecipa nemmeno, almeno gli consente la possibilità di intervenire. Caso 2: coloro che non sono pienamente soggetti all’efficacia di giudicato ma che hanno una situazione di giudicato secundum eventum litis (a seconda dei casi subiscono determinate conseguenze). Si pensi ai soci: un primo socio fa causa e poi anche un secondo socio vuole l’annullamento ma questo secondo soggetto non abbia le necessarie percentuali per impugnare e allora non può impugnare (nemmeno ab origine instaurando un processo litisconsortile attivo insieme ad un altro perché non può essere attore) ma può intervenire successivamente per sostenere le ragioni, per far valere i suoi argomenti anche se l’impugnazione non è la sua. È
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved