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APPUNTI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE II, Appunti di Diritto Processuale Civile

appunti sui procedimenti speciali: dal procedimento di ingiunzione fino all'esecuzione forzata e singoli procedimenti di espropriazione

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 22/09/2022

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Cindy00_ 🇮🇹

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Scarica APPUNTI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE II e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE Il procedimento di ingiunzione è disciplinato al 4° libro del codice di procedura civile. il procedimento sommario di cognizione ad esempio si trova nel 4° libro. In questo libro ci sono altri procedimenti simili al procedimento di ingiunzione, i procedimenti cautelari, le regole comuni ai procedimenti di volontaria giurisdizione,… si tratta di un libro in cui sono contenuti procedimenti diversi con funzioni e struttura differente., Il procedimento di ingiunzione è di cognizione, mentre quelli cautelari sono diversi. Questa caratteristica del quarto libro che mette ‘tutto assieme’ è sempre stata molto criticata dal punto di vista sistematico. Ci sono dei procedimenti speciali che sono disciplinati fuori dal codice di procedura civile. La tendenza al ‘disordine’ è diventata più grave e sono nati dei procedimenti speciali. Ogni volta che il legislatore interviene su certi settori del contenzioso di regola introduce anche delle norme di rito ad hoc, fatte per quel tipo di procedimento. Questo ha una logica comprensibile: alcuni settori hanno una loro peculiarità e ha senso che abbiano una disciplina specifica. A lungo andare però questa scelta crea non pochi problemi; da un lato infatti si tratta di discipline incomplete (eccezion fatta per il rito ordinario di cognizione). In molti casi peraltro, dall’altro lato, il fatto che vi siano delle discipline separate non ha dei benefici oggettivi che spieghino perché dividere. Ci occupiamo del procedimenti di ingiunzione, di quello per convalida di sfratto, separazione e divorzio (+ strumenti alternativi), procedimenti di volontaria giurisdizione, interdizione, inabilitazione, procedimenti provvisori e cautelari. Il procedimento di ingiunzione è un procedimento a cognizione e ha la finalità di accertare rapidamente i diritti con funzione esecutiva, serve al titolare del diritto per procurarsi celermente un titolo esecutivo perché ciò che il più delle volte realmente interessa è proprio procurarsi un titolo esecutivo, perché solo così si può ottenere materialmente ciò che si vuole. Come si fa? Il procedimento è di cognizione sommaria, caratterizzato da una natura a due fasi: una prima fase è senza contraddittorio e la seconda fase è a contradditorio pieno con le forme del procedimento ordinario. Quando si può ricorrere al procedimento di ingiunzione? ART.633 pone dei limiti, stabilisce dei requisiti per accedere al procedimento di ingiunzione: ➢ La domanda può essere proposta solo dal creditore. Chi dice che X gli debba qualcosa può usare questo strumento. Viceversa chi vuole contestare di ‘dovere’ il pagamento non può utilizzare il procedimento di ingiunzione ➢ Il credito deve avere ad oggetto il pagamento di una somma di denaro liquida, consegna di cose fungibili, o cosa mobile determinata. Ho venduto la merce a X, il prezzo era 5000 euro, posso usare questo procedimento. ➢ Del diritto si deve dare prova scritta. La nozione di prova scritta che viene utilizzata per questo procedimento è più ampia di quella del procedimento ordinario di cognizione. Alcuni documenti che non sono prove scritte nell’ordinario di cognizione qui lo sono. Ad esempio l’estratto autentico delle scritture contabili è prova scritta. Gli avvocati e notai possono chiedere il decreto ingiuntivo predisponendo una proposta di parcella del compenso dovuto e facendola valutare dall’ordine professionale di appartenenza. Questo procedimento monitorio è strutturato come un procedimento documentale. L’attore deve dichiararsi creditore e provare per iscritto la sua pretesa. In presenza di questi presupposti si concede il decreto ingiuntivo. In altri procedimenti monitori l’attore si limita a dire che è creditore senza provare nulla e sulla base di ciò si concede un provvedimento monitorio. C’è questo allargamento della nozione di prova scritta, il che da un lato questo vale solo per la fase monitoria, quindi senza contradditorio. Se c’è anche la seconda fase la prova sarà degradata al valore che ha nell’ordinario di cognizione. Dall’altro lato la giurisprudenza ammette come prova la semplice fattura senza nemmeno richiedere che vengano depositati gli estratti delle scritture contabili. Se il giudice accoglie il ricorso per ingiunzione sulla base del parere favorevole dell’ordine di appartenenza deve attenersi al parere. Alle volte il diritto dedotto in giudizio dipende da una controprestazione e in questo caso bisogna offrire al giudice gli elementi necessari per rendere l’adempimento presumibile. La domanda va proposta allo stesso giudice che sarebbe competente qualora si utilizzasse il rito ordinario di cognizione in composizione sempre monocratica. Per le parcelle degli avvocati anche all’ufficio che ha deciso la causa o a quello del luogo dove c’è il consiglio dell’ordine che ha rilasciato il parere. Procedimento Come si propone la domanda? Con ricorso (perché non c’è contradditorio) cui vanno allegati i documenti a sostegno della domanda. Se la domanda ha ad oggetto cose fungibili il creditore deve anche dichiarare la somma che è disposto ad accettare in sostituzione. A fronte di questa domanda il giudice può accoglierla o respingerla. Se accoglie pronuncia decreto ingiuntivo altrimenti se rigetta pronuncia decreto di rigetto. Terzo opzione è che il giudice chieda all’attore un’integrazione della prova. Il rigetto del ricorso non preclude la riproposizione della domanda, scelta rischiosa perché è chiaro che dopo un rigetto è probabile che ne segua un secondo rischiando di utilizzare risorse in modo vano. Non è prevista la possibilità di impugnare il decreto di rigetto del ricorso. È legittima l’assenza dell’impugnazione? Si, perché l’attore se non vuole riproporre la domanda ha un’alternativa e cioè utilizzare il rito ordinario di cognizione. Mettiamo che il giudice accolga la domanda, pronuncia un decreto ingiuntivo con obbligo di opporsi entro un termine di regola di 40 gg dalla notifica. Se entro 40 gg non adempie si procederà ad esecuzione forzata. Il termine può essere ridotto a 10 gg o aumentato a 60 gg. Questo di regola ! ci sono dei casi in cui il giudice concede il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, quando: ➢ Intanto lo dichiara provvisoriamente esecutivo se il ricorrente lo chiede ➢ Dopodiché ci sono due famiglie: o Quando il giudice deve concederla. Deve concederla se il credito è fondato su cambiale, assegno o atto pubblico o Quando il giudice può concederla. Può concederla quando c’è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo oppure se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore che comprova il diritto. In questi casi di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo il giudice può imporre una cauzione e il giudice può esonerare dal rispetto del termine ex ART.482. Ragioniamo sulle ipotesi in cui deve essere concessa la provvisoria esecuzione. La cambiale, l’assegno e l’atto del notaio sono tutoli esecutivi e consentono l’esecuzione forzata. Ma se così è, perché fare un decreto ingiuntivo e procurarsi un altro titolo esecutivo se ne abbiamo già uno? Ci sono due risposte: la prima è che la cambiale e l’assegno sono titoli esecutivi a tempo e consentono di iniziare l’esecuzione solo dopo un certo tempo dopo la loro emissione. La seconda ragione è che questi 3 consentono di intraprendere l’esecuzione forzata ma il decreto ingiuntivo consente anche di iscrivere ipoteca giudiziale, una garanzia con cui si vincola un immobile al credito. Dopodiché bisogna notificare il decreto ingiuntivo. La notifica va effettuata entro 60 gg dalla pronuncia del decreto, pena la sua efficacia. Se ciò accade l’altra parte che per caso è venuta a sapere della sua esistenza 1. Il giudice respinga l’opposizione. Se così è il decreto, che non fosse dichiarato esecutivo, diventa esecutivo. Se era già esecutiva continua a poter essere utilizzato come titolo esecutivo. 2. Opposizione sia accolta solo in parte. in questo caso il decreto ingiuntivo viene revocato perché porta un credito eccessivo, ma si forma contestualmente un altro titolo esecutivo (la sentenza) con il credito giusto e gli atti di esecuzione già compiuti si conservano. È importante questa ultima cosa perché l’esecuzione forzata si svolge in presenza sempre di un titolo esecutivo. Se c’è un vuoto di titolo è un problema per il creditore che perderebbe gli effetti conservativi dell’esecuzione forzata. Poter conservare gli atti di esecuzione già compiuti parano il creditore da questo rischio. 3. Opposizione viene integralmente accolta. Il decreto è revocato ma il prosieguo dipende dalle ragioni dell’accoglimento che può avvenire per ragioni di rito o di merito. Se l’opposizione viene accolta per ragioni di rito il decreto viene revocato ma è possibile che il processo prosegua altrove, in particolare se il giudice si è detto incompetente. In questo ultimo caso si può usare l’ordinanza ex.ART.186-ter che inserisce nell’ordinario di cognizione le dinamiche del decreto. Il creditore può riassumere e dire di avere un credito che risulta da prova scritta e chiede questa ordinanza. C’è anche la possibilità di proporre opposizione tardiva, ART.650 (quella tempestiva è quella entro i 40 gg di regola o diverso termine indicato dal giudice). Questa si utilizza quando l’ingiunto non ha avuto tempestiva conoscenza del decreto per irregolarità della notificazione, caso fortuito o forza maggiore. A questa eventualità va equiparata quella in cui l’intimato pur avendo avuto conoscenza del decreto per caso fortuito o di forza maggiore. Oppure può esserci il caso della irregolarità della notificazione. Non si capisce bene la differenza tra irregolarità e nullità della notificazione: non si conosce bene il contenuto della irregolarità. Qualcuno ritiene che qualsiasi discostamento dalla forma prevista dal legislatore, ma non si capisce bene. Comunque il 650 dice che decorsi 10 gg dal primo atto di esecuzione non si può proporre esecuzione tardiva. (vedi documento Ricorso 1) ! Lezione del 04/03/2022 in cui corregge i due compiti TRIBUNALE DI TORINO RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO Il sottoscritto avv. Salvatore Santa, nato a … il …, codice fiscale …, partita IVA …, residente a Torino … ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Torino …, fax …, che si difende personalmente ai sensi dell’art. 86 c.p.c. ESPONE - il sottoscritto tra il 2020 e il 2021 ha assistito il sig. Eusebio Dolce, nato a … il …, codice fiscale …, residente a Vercelli …, nella controversia contro il sig. Franco Amaro avente ad oggetto il risarcimento dei danni cagionati alla proprietà del Dolce in Bardonecchia (TO) (v. doc. 1 – 10); - il sig. Dolce ha revocato il mandato allo scrivente nel settembre 2021 (doc. 11), salvo poi concludere un accordo con il sig. Amaro in forza del quale ha ottenuto la corresponsione di € 30.000, ossia poco meno degli € 35.000 domandati in giudizio; - l’esponente, a fronte dell’attività svolta, è creditore della complessiva somma di € 6.000 per compenso professionale, rimborso delle spese vive ed accessori di legge, già detratto l’acconto di € 1.500 versato dal sig. Dolce a maggio 2020; - l’esponente ha predisposto la proposta di parcella inviata al sig. Dolce nel novembre 2021 (doc. 12), senza ottenere riscontro alcuno e si è pertanto visto costretto a chiedere all’Ordine degli avvocati di Torino la “taratura” della parcella; - la parcella è stata opinata in conformità dall’Ordine degli avvocati di Torino in data 17 gennaio 2022 (doc. 13); - il successivo sollecito di pagamento, inviato con lettera raccomandata, è rimasto senza esito (doc. 14); - il credito ha ad oggetto una somma liquida di denaro e pertanto il ricorso va accolto ai sensi dell’art. 636 c.p.c.; - il fatto che il sig. Dolce ad oggi non abbia saldato il dovuto nonostante le ripetute intimazioni e financo il parere favorevole dell’Ordine degli avvocati di Torino denota l’esistenza per lo scrivente del pericolo di un grave pregiudizio nel ritardo, onde il decreto ingiuntivo richiesto può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo ex art. 642, comma 2°, c.p.c.; - il tribunale di Torino è competente ai sensi dell’art. 637, u.c., c.p.c. Tutto ciò premesso, l’avv. Salvatore Santa RICORRE al Tribunale di Torino affinché voglia ingiungere al sig. Eusebio Dolce, generalizzato come sopra, di pagare immediatamente la somma di € 6.000 oltre agli interessi legali dovuti dalla domanda al saldo e oltre alle spese del presente procedimento. Si producono: 1. – 10. copia degli atti di causa 11. raccomandata a.r. con la quale Eusebio Dolce revoca il mandato all’avv. Santa 12. raccomandata a.r. con la quale l’avv. Santa ha inviato una proposta di parcella al sig. Dolce 13. copia della parcella con parere conforme dell’Ordine degli avvocati di Torino 14. raccomandata a.r. con la quale l’avv. Santa intima il pagamento in data 24 gennaio 2022 Ai fini del contributo unificato, si dichiara che il valore della controversia è di € 6.000. Torino, 25 febbraio 2022. (scrivere poi, come lo si trova da Moodle, quali sono le richieste dell’esercizio) (vedi documento Ricorso 2) TRIBUNALE DI TORINO RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO La Attrezzature Industriali Bianzè s.p.a. (d’ora innanzi AIB s.p.a.) in persona dell’amministratore delegato Giorgio Bolla, con sede in Novara …, partita IVA …, rappresentata e difesa dall’avv. Laura Savio del foro di Torino ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questa in Torino …, fax …, ai sensi della procura che si deposita unitamente al presente ricorso (doc. 1) ESPONE - la Jona Logistica s.r.l. con sede in Asti …, partita IVA …, nel settembre 2021 ha richiesto alla scrivente società la fornitura di tre carrelli elevatori elettrici di seconda mano modello …, al prezzo unitario di € 8.000: lo stesso titolare della Jona ha infatti sottoscritto il modulo d’ordine che si produce come doc. 2; - dopo il pagamento di un acconto di € 4.000, i tre carrelli sono stati regolarmente consegnati a ottobre 2021, come risulta dal documento di trasporto che si produce come doc. 3; - il saldo, secondo quanto previsto nel modulo d’ordine, avrebbe dovuto avvenire entro fine novembre 2021, ma la Jona Logistica non ha pagato alcunché; - la controparte risulta pertanto ad oggi debitrice di € 20.000 (8.000 € per 3 carrelli, dedotto l’acconto di € 4.000); - il credito è portato dalla fattura n. …, che si produce come doc. 4 - lo scrivente avvocato ha inviato un sollecito di pagamento con PEC del 22 gennaio 2022, rimasto senza esito (doc. 5); - il credito ha ad oggetto una somma liquida di denaro; - la società esponente ha prodotto documentazione sottoscritta dalla debitrice che comprova il diritto fatto valere, ovvero il modulo d’ordine sub doc. 2, dal quale si evince che il prezzo è quello indicato nel presente ricorso, pertanto il decreto ingiuntivo richiesto può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo ex art. 642, comma 2°, c.p.c. Tutto ciò premesso, la AIB s.p.a. come sopra rappresentata e difesa RICORRE al Tribunale di Torino affinché voglia ingiungere alla Jona Logistica s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Asti …, partita IVA …, di pagare immediatamente la somma di € 20.000 oltre agli interessi moratori di cui al d.lgs. 2001 dal 1° dicembre 2021 al saldo e oltre alle spese del presente procedimento. Si producono: 1. procura alle liti 2. modulo d’ordine a firma Jona del settembre 2021 3. documento di trasporto dell’ottobre 2021 4. fattura AIB s.p.a. 5. PEC del 22 gennaio 2022 6. nota spese Ai fini del contributo unificato, si dichiara che il valore della controversia è di € 20.000. Torino, 25 febbraio 2022. PROCEDIMENTO DI CONVALIDA DI LICENZA O DI SFRATTO Procedimento di cognizione sommario che serve ad ottenere rapidamente un titolo esecutivo al pari del procedimento di ingiunzione. Procedimento bifasico perché abbiamo una prima fase in cui viene subito instaurato il contraddittorio, ma la seconda fase si svolge solo se il convenuto si oppone all’accoglimento della domanda, e la caratteristica principale è che l’inattività del convenuto viene sanzionata con la parziale morosità un termine per il saldo del dovuto, pronunciando un’ordinanza di pagamento di somme non contestate; se entro il termine la morosità non viene completamente sanata viene convalidato lo sfratto. Comparizione in udienza: ciò che conta è che l’intimato compaia all’udienza, non è necessario che si costituisca. Comparire significa essere presente in udienza; costituirsi significa dare segno di voler prendere parte attiva al processo depositando in cancelleria un atto con cui si prende contatto con l’ufficio. La costituzione non è necessaria per l’intimato. Serie di questioni problematiche: • Se l’intimato non compare, il giudice deve sempre e comunque convalidare lo sfratto? Oppure deve effettuare alcuni controlli? C’è un largo consenso sul fatto che il giudice prima di convalidare lo sfratto debba verificare la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione: competenza, che siano state rispettate le condizioni speciali di ammissibilità della domanda. Ciò su cui non c’è consenso è se il giudice debba in generale chiedersi e sulla base di cosa, se la domanda è fondata nel merito oppure no. Questo dibattito nasce da un’insofferenza verso questo procedimento da parte di chi è molto affezionato all’idea di tutelare i contumaci, idea abbastanza diffusa nel nostro ordinamento. Chi è favorevole alla tutela del contumace, mal sopporta questo procedimento per cui basta non comparire in udienza per vedersi chiudere il processo. Chi la pensa così dice che il giudice evidentemente non può accertare i fatti perché il procedimento non è fatto per prevedere un’istruttoria; però il giudice deve chiedersi se il diritto comunque sussiste sulla base di quanto risulta agli atti. In pratica secondo Carratta e chi la pensa come lui, la mancata comparizione dell’intimato non comporta la convalida realmente, ma la semplice non contestazione dei fatti affermati dall’attore alla luce della quale il giudice deve stabilire se il proprietario locatore ha ragione o no, e se ritiene che abbia ragione convalida. Altri invece, come Luiso e la giurisprudenza ritengono che la mancata comparizione abbia una valenza a suo modo negoziale, per cui chi non compare o non si oppone, tacitamente accetta non i fatti, ma la sussistenza del diritto al rilascio dell’immobile. Fuori al quadro problematico: opposizione dopo la convalida: lo prevede l’art. 668 che regola l’opposizione dopo la convalida che ricorda l’opposizione tardiva del decreto ingiuntivo. La norma dice: “se l’intimazione di licenza o sfratto, è stata convalidata in assenza dell’intimato, questi può fare opposizione dicendo di non averne avuto conoscenza, per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o per caso di forza maggiore”. La norma si occupa del caso in cui l’intimato non sia venuto a sapere che si doveva difendere. Ci può anche essere un altro caso in cui l’intimato non si è difeso senza colpa, ed è l’eventualità di chi è venuto a sapere che doveva comparire ed opporsi, ma poi per qualche ragione non imputabile non è riuscito a farlo. l’art. 668 non prende in considerazione questa ipotesi, e si dovrebbe dire che il giudice ha fatto bene convalidare lo sfratto e non è concessa l’opposizione tardiva. Negli anni ’70 la corte costituzione ha dichiarato la norma illegittima nella parte in cui non consente l’opposizione dopo la convalida anche per chi non è potuto comparire all’udienza per caso fortuito o per forza maggiore. Termine di 10 gg dall’inizio dell’esecuzione (uguale al procedimento di ingiunzione). Come si propone l’opposizione? Con le forme dell’art. 645, opposizione a decreto ingiuntivo. Il giudice per gravi motivi può sospendere l’esecuzione, valutazione discrezionale. Non sono previsti altri mezzi di impugnazione. Da ciò ricaviamo che la convalida passa subito in giudicato. In alcuni casi la giurisprudenza e la dottrina ammettono che l’ordinanza di convalida venga impugnata con l’appello: normalmente la legge non lo prevede e poi dobbiamo fare attenzione perché questo procedimento funziona se l’inerzia viene sanzionata. Normalmente lo si ammette se l’ordinanza di convalida è stata resa al di fuori dei presupposti di legge. In realtà quando si parla di al di fuori dei presupposti di legge, si fa riferimento a due cose: la comparizione e l’opposizione. Le sentenze dicono: la convalida può essere concessa solo se l’intimato non è comparso, o comparendo non si è opposto, altrimenti non si può concedere. Se queste due condizioni non sono verificate ed il giudice si è sbagliato ed ha concesso la convalida per errore in presenza di comparizione ed opposizione deve essere concesso l’appello. Ragioniamo: pensiamo che il procedimento si svolga come dovrebbe, il conduttore è comparso e si è opposto. In questi casi il giudice deve valutare se l’opposizione è fondata su prova scritta e poi disporre il mutamento del rito; se lo concede si apre la fase a cognizione piena che si conclude con una sentenza di primo grado, che è impugnabile con l’appello. Il giudice benché l’intimato sia comparso e si sia opposto ha commesso un errore, però l’errore del giudice non può privare l’intimato di un mezzo di impugnazione. In quel caso viene resa un’ordinanza di convalida, al di fuori dei presupposti di legge, e quindi quell’ordinanza di convalida in realtà è sostanzialmente una sentenza e quindi impugnabile con l’appello. A questa eventualità viene equipara quella più rara di locatore non comparso in udienza. O il locatore non c’è o il conduttore è comparso e si è opposto, allora se viene convalidato lo sfratto si può impugnare con appello. Esaminiamo un caso concreto che ha dato luogo ad una decisione importante: Tizio intima lo sfratto per morosità, Caio riceve la notifica della citazione qualche giorno dopo va da Tizio e gli dice di dover pagare il dovuto. Tizio dice a Caio, a posto, mi hai pagato fine, non stare a venire in udienza a dire che hai pagato perché intanto come sai le norme sullo sfratto dicono che il giudice convalida solo se io locatore compaio in udienza e dichiaro che la morosità continua a persistere, ma io dirò che è stata sanata e quindi a posto. Il giorno dell’udienza controlla che tutto sia in regola, la morosità persiste e allora convalido lo sfratto. Caio cosa può fare? Ha ottenuto un’ordinanza di convalida che non è impugnabile in nessun modo. Revocazione per dolo di una parte a danno dell’altra, però rimane un problema che non c’è la sentenza perché l’art. 395 dice “le sentenze” e invece quella di convalida è un’ordinanza, e allora? È incostituzionale la norma, il 395 nella parte in cui fa riferimento solo alle sentenze e non alle ordinazione, violazione dell’articolo 3. La corte costituzionale ha dichiaro illegittimo l’articolo 395 due volte: la prima nell’89 perché non era possibile proporre la revocazione per errore di fatto e la seconda volta nel ’95 nel nostro caso perché non era possibile la revocazione per dolo di una parte a danno dell’altra. La prima volta era stata già dichiarata l’illegittimità dell’art 404 che si occupa dell’opposizione di terzo. Queste 3 sentenze della corte costituzionale sono importanti perché intervengono su revocazione ed opposizione di terzo per estenderne l’applicabilità all’ordinanza di convalida. Ordinanza che svolge le stesse funzioni della sentenza. I casi in cui il giudice decide la causa con ordinanza sono cresciuti negli anni, ad esempio incompetenza, pensiamo al procedimento sommario di cognizione. Dopo questi interventi gli interpreti sono arrivati a concludere che quando un provvedimento viene reso correttamente dal giudice con le forme di ordinanza, ma è nella sostanza una sentenza questi mezzi di impugnazione devono essere concessi. Procedimenti cautelari e possessori Vediamo com’è disciplinato il rito cautelare uniforme, procedimento che si segue in materia cautelare. La tutela cautelare che è strumentale. Per quale ragione è offerta una tutela cautelare? Perché il processo di cognizione che serve ad accertare esistenza e inesistenza dei diritti ha una sua durata fisiologica, serve quindi un lasso di tempo non irrisorio. In più ci sono processi di cognizione anche inefficienti, patologia dell’ordinamento italiano, quando i processi durano troppo. Talvolta si verificano delle circostanze che mettono a rischio la soddisfazione concreta di chi ha ragione, in particolare chi si rende attore nel processo potrebbe non avere il tempo di attendere il tempo fisiologico che serve al giudice per decidere; in questi casi la tutela cautelare offre una risposta molto rapida, provvisoria finalizzata ad evitare che i tempi del processo vadano a danno di chi ha ragione. La costituzione riconosce il diritto di agire in giudizio, art 24, non parla esplicitamente di tutela cautelare, ma la corte costituzionale ha affermato, in più occasioni, che la tutela costituzionale del diritto d’azione comprende anche la tutela cautelare, perché senza di essa il diritto d’azione sembrerebbe tutelato solo sulla carta. Quali sono le circostanze che possono mettere a repentaglio le ragioni dell’attore? Esempio 1: T mi deve 100mila euro, non paga e io chiedo al giudice che lo condanni a pagarmi la somma. Io vengo a sapere che questa persona in questo periodo sta vendendo tutti gli immobili che ha e quindi il suo patrimonio sta diventando sempre meno facilmente aggregabile, così io rischio di non poter aggredire il suo patrimonio; Esempio 2: T deve a C gli alimenti, T non versa gli alimenti e C agisce in giudizio perché lo condanni agli alimenti però non può sostentarsi di aria per anni e quindi si può accedere alla tutela cautelare; Esempio 3: malati che vogliono una cura; La tutela cautelare è una forma di tutela che è molto utilizzata in concreto, e riuscire ad ottenerla segna la differenza tra una vittoria, ed una vittoria di pirlo (aver vinto senza però ottenere nulla perché non ho utilizzato la tutela cautelare). In origine questi erano strumenti disciplinati in maniera autonoma, qualche anno fa è stato inventato il rito cautelare uniforme che regolano il procedimento. Queste norme sono state inserite agli art dal 699-bis in poi. A cosa si applicano queste regole? A tutte le misure cautelari previste nel libro IV, e anche alle misure cautelari previste altrove salvo che non ci siano delle deroghe. Ci dice quale sia il giudice competente in materia cautelare: non tutti i giudici possono concedere tutela cautelare, in particolare il giudice di pace e gli arbitri non possono tranne casi in cui esplicitamente la legge lo prevede (deliberazione delle delibere assembleari). Il fatto che gli arbitri non possano concederla è considerata da anni un limite serio del nostro ordinamento che da un lato dissuade dal ricorrere all’arbitrato, e dall’altro induce con controversie internazionali a fare l’arbitrato altrove. Perché il fatto che non possano concedere tutela cautelare è un limite? Perché a volte ottenere questa tutela è una necessità e allora se le parti hanno deciso di devolvere la controversia agli arbitri e poi l’attore scopre di aver bisogno della tutela cautelare che fa? Si deve rivolgere al giudice; avremmo due procedimenti paralleli. In futuro si vuole superare questo limite perché nella riforma Cartabia è prevista una deroga per prevedere l’attribuzione agli arbitri di concedere tutela cautelare su scelta delle parti. Gli arbitri potranno concedere tutela cautelare, ma l’impugnazione dovrà essere proposta al giudice. Ad oggi gli arbitri non possono concedere tutela cautelare, in futuro se le parti vorranno gli arbitri potranno concederla. Allora a chi si propone la domanda cautelare? Se il processo di cognizione non è ancora iniziato, si propone al giudice che sarebbe competente per il merito. Se è competente il giudice di pace, chiedo tutela cautelare al tribunale del territorio in cui sta il giudice di pace. Se la causa è devoluta agli arbitri, la domanda è devoluta al tribunale che sarebbe competente se non ci fosse la competenza degli arbitri. Se la causa deve essere decida da un giudice straniero, la si può chiedere al giudice competente in base al luogo di esecuzione. Esempio: io sto per fare causa a T che è domiciliato in Francia e quindi devo rivolgermi al giudice francese, (criterio base residenza o domicilio del convenuto) lui si rende nullatenente ed ha beni immobile a Torino, allora io mi rivolgo al tribunale di Torino perché qui c’è l’immobile da sequestrare. Se invece il giudizio di cognizione è già pendente la domanda si propone al giudice che se ne sta già occupando, che sta trattando il merito, che è il giudice unico se si tratta del tribunale monocratico, il giudice istruttore se si tratta del tribunale collegiale. Se non è stato ancora scelto un giudice istruttore ci si rivolge al presidente, stessa cosa se il processo è stato sospeso o interrotto. Se la causa pende davanti al giudice di pace ci si rivolge al tribunale; se è pendente davanti al giudice straniero ci si rivolge al giudice del luogo dove va eseguita la misura. Se è già stata emessa la sentenza, ma non è ancora passata in giudicato ci si può rivolgere al giudice che ha emesso la sentenza, caso in cui la sentenza è stata emessa, non è stata impugnata, ma è ancora pendente il termine per impugnarla, ci si rivolge al giudice che l’ha emessa. Se invece è già stata impugnata ci si rivolge al giudice che si sta occupando dell’impugnazione, ad esempio la corte d’appello. Tutto ciò per quanto riguarda la competenza. La domanda si propone con ricorso, una volta proposto il presidente dell’ufficio designa il giudice che si occuperà della cautelare. Non è detto che il contraddittorio venga instaurato immediatamente. L’articolo 669-sexties dice che se la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice concede il provvedimento con decreto motivato, ove occorre assume sommarie informazioni e poi fissa l’udienza di comparizione, 15 gg, all’esito della quale deciderà se occorrerà o meno se dare ordinanza. Cosa significa quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento? Il provvedimento cautelare dopo essere stato ottenuto deve essere attuato, esempio: il giudice ha concesso il sequestro, bisogna trovare i beni da sequestrare ed assoggettarli a sequestro. Immaginiamo che T abbia ricevuto un orologio da me e non me lo rende, io vengo a sapere che in questo momento è a casa della persona, mi rivolgo al giudice e chiedo un provvedimento di sequestro. In più se convochiamo qui la controparte e le chiediamo di difendersi e poi il giudice decide se sequestrato o no, io l’orologio non lo vedo più, allora visto questa situazione grava, il giudice conceda il provvedimento senza contraddittorio e da qui a 15 gg si darà modo alla controparte di difendersi, però l’attuazione del provvedimento avviene in questo modo, a sorpresa. Quando il giudice si convince che le cose stanno così, concede la misura con decreto, nel caso occorra assume sommarie informazioni, ma molto sommariamente, e poi deve fissare l’udienza entro 15 gg e il provvedimento sarà confermato, revocato o modificato. Salva questa possibilità viene fissata un’udienza di comparizione con decreto, che va notificato insieme al ricorso alla controparte entro 8 gg e poi il giudice tiene questa udienza e decide. Cosa succede all’udienza? Il giudice deve: sentire le parti per assicurare il contraddittorio, e poi può rendersi necessario anche compiere atti di istruzione ad esempio il malato che vuole una cura si rivolge al giudice, lui deve compiere atti di Il reclamo (art 669-terdecies): mezzo di impugnazione tipico di questi procedimenti cautelari che può essere proposto sia contro i provvedimenti di accoglimento che contro quelli di rigetto. In ordine era previsto solo per quelli di accoglimento, poi intervenne la corte costituzionale dichiarandone l’incostituzionalità perché la corte disse: “attenzione non è che in caso di rigetto la domanda è liberamente proponibile, ma solo se ci sono circostanze nuove, fatti ragioni di diritto non dedotti in giudizio nel primo procedimento”. Termine di 15 gg dalla pronuncia in udienza, perché le parti hanno l’onere di essere presenti in udienza o dalla comunicazione della cancelleria. A chi si propone? Se il provvedimento cautelare è stato reso dal giudice del tribunale (sempre monocratico in materia cautelare) si propone al collegio; se invece il provvedimento è stato reso dalla corte d’appello si propone reclamo ad un’altra sezione della corte d’appello. Nel caso del tribunale collegiale il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare non può fare parte del collegio che decide sul reclamo. Il procedimento è de formalizzato anche qui, regolato dagli art 737/738, norme dettate per il rito camerale. Il giudice del reclamo deve considerare sia circostanze che motivi sopravvenuti e la parte interessata li deve far valere in sede di reclamo. Il collegio può istruire la causa, e quindi il collegio fa un lavoro analogo a quello che fa il giudice di appello (ci sono punti di contatto tra reclamo e appello), però ci sono anche delle differenze ed una è che al giudice del reclamo è proibito rimettere la causa al primo giudice. Il giudice del reclamo deve adottare una decisione, con ordinanza, sostitutiva di quelle del primo giudice e questa non è ulteriormente impugnabile. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento; il presidente della corte può sospendere l’efficacia del provvedimento reclamato con ordinanza non impugnabile. Ricapitoliamo: procedimento in corso di causa: chiedo che T venga condannato a pagarmi 100mila euro, mi accorgo poi che T sta diventando insolvente, propongo allora un ricorso per avere tutela cautelare allo stesso giudice, e se si dichiara insolvente richiedo il sequestro. Il giudice valuta se concedere il provvedimento senza contraddittorio, improbabile, concede eventualmente il provvedimento con ordinanza. Questo lo fa il giudice monocratico. Se ho ottenuto il sequestro la mia controparte può proporre reclamo, in questo caso deciderà il collegio di cui non fa parte il giudice che ha concesso il sequestro, può ribaltare la decisione, rigettare la domanda cautelare e a questo punto io non posso fare più nulla, non vengo ancora condannato alle spese e quindi sarà il giudice della cognizione alla fine a stabilirlo. Procedimento ante causam: T ha un’azienda a fianco di casa mia e inizia a sotterrare bidoni con sostanze strane in cortine, io ho paura che stia inquinando tutto, mi rivolgo al tribunale e chiedo un provvedimento ex art 700, il giudice non lo concede dicendo che non c’è nulla di pericoloso; io propongo reclamo, il collegio da ragione a me e concede il 700, a questo punto io che non ho ancora iniziato il giudizio di merito, posso non iniziarlo mai. Il collegio condanna il signore alle spese, sarà lui che se ritiene di non aver fatto nulla di male ad iniziare un processo. Attuazione dei provvedimenti cautelari (art 669-duodecies): si seguono in quanto compatibili le forme previste per l’esecuzione forzata quando i provvedimenti cautelari si devono attuare su somme di denaro o altri beni con finalità conservative; ad esempio, bisogna sequestrare del denaro e io ricorro alle stesse forme che utilizzerei per pignorare quel denaro. La differenza è solo che nell’esecuzione forzata i beni vengono individuati, assoggettati a esecuzione e poi se si tratta di espropriazione vengono venduti e il ricavato viene dato ai creditori; qui ci si ferma prima, i beni vengono individuati, assoggettati al sequestro e poi tenuti al sicuro in attesa di sapere di chi siano. Se invece bisogna attuare un obbligo di fare o non fare, l’attuazione avviene sotto il controllo del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, e non del giudice dell’esecuzione. Precisazione importante perché esiste anche un’esecuzione degli obblighi di consegna, rilascio, fare e non fare che avviene sotto la vigilanza del giudice dell’esecuzione. Qui invece, avviene sotto la vigilanza del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, il quale se ci sono difficoltà o contestazioni, interviene con ordinanza sul contraddittorio già instaurato. Parallelismo tra attuazione dei provvedimenti cautelari ed esecuzione delle sentenze però per quanto riguarda consegna, rilascio, fare e non fare vigila il giudice cautelare e non quello dell’esecuzione. Sequestri e provvedimenti d’urgenza I sequestri sono misure conservative che mantengono lo status quo in attesa dell’esito del processo di cognizione e richiedono l’instaurazione del giudizio di merito (ricordiamo che dopo la riforma 2005 le misure anticipatore non richiedono più l’instaurazione del giudizio di merito, ma il sequestro continua a richiederla, pena l’inefficacia del provvedimento, perché misura conservativa). Sono disciplinati dalle norme del rito cautelare uniforme più alcune norme ad hoc contenute negli articoli dal 670 seguenti. Vediamo 3 tipologie di sequestro: Quello giudiziario: disciplinato all’art 670. A cosa serve? Due ipotesi: quello di cose e quello di prove. Esaminiamo sequestro giudizio di cose art 670 n. 1 dice “beni mobili, immobili, aziende o tre università di beni quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o gestione provvisoria”. Il n. 2 dice “di libri, registri, documenti, modelli, campioni quando è controverso il diritto all’esibizione o alla comunicazione, ed è opportuno provvedere alla custodia temporanea”. Vengono prese in considerazione cose, ma non in quanto cose, ma in quanto fonti di prova. Occupiamoci del n.1: i beni che possono essere sequestrati sono di varie tipologie, perché dovrebbero essere assoggettati al sequestro? Il sequestro giudiziario serve a prevenire vari rischi: quello di alienazione, danneggiamento o distruzione della cosa, e quello di gestione deteriore della cosa. Pensiamo ai beni mobili, è prevista la regola possesso vale titolo, cioè se io acquisto in buona fede un bene mobile da uno che non è proprietario e ne ottengo la consegna, divento proprietario della cosa a titolo originario, il che significa che il vero proprietario non può più rivendicare la proprietà della cosa da me. Per prevenire questo rischio si può ricorrere al sequestro giudiziario: chi pretende di essere proprietario di una cosa mobile, se riesce a persuadere il giudice che c’è un vero rischio di alienazione, può ottenere il sequestro. Così il bene viene messo al sicuro e non ci sarà più qualcuno in grado di venderlo, consegnarlo ad un’acquirente di buona fede. Questo per i beni immobili non vale, perché si applicano le regole in tema di trascrizione, quindi chi desidera può trascrivere domanda giudiziale sull’immobile e così prevenire il rischio che il bene venga venduto a qualcuno in corso di causa senza che l’esito della causa sia opponibile all’acquirente. Però c’è anche il rischio di danneggiamento o distruzione, immaginiamo un tale che ha trascritto una domanda fondata su un contratto preliminare, art 2932 c.c, che consente di chiedere al giudice una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo non concluso. Questo rischio di cattiva gestione c’è per le aziende, caso: io sono titolare di un’azienda e la affitto al signor bianchi che gestisce un ristorante, e mi paga un canone periodico. Vengo a sapere che B non lo gestisce in maniera consona, io posso chiedere la risoluzione per contratto d’affitto di azienda, e quando il giudice deciderà che c’è un grave inadempimento di B, io rientrerò in possesso dell’azienda, però nel frattempo il ristorante resta chiuso, e io mi trovo con un’azienda rovinata e quindi chiedo al giudice un sequestro giudiziario. L’art 670 parla di sequestro quando è controversa la proprietà o il possesso della cosa, è opinione comune che in questa espressione rientri sia la vera e propria controversia sul diritto, sia tutte le controversie che hanno ad oggetto la consegna di una cosa determinata. Questo per spiegare il perché dell’esempio sull’azienda. Il sequestro è funzionale a cosa? Alla fruttuosità dell’esecuzione per rilascio di immobili o consegna di mobili. Questa esecuzione deve poter avvenire e deve poi consentire al proprietario di rientrare in possesso di una cosa integra. Il sequestro dice l’art 675 va eseguito entro 30 gg dalla pronuncia a pena di inefficacia, regola a sé stante che si somma a quella vista ieri sulla necessità di instaurare il giudizio di merito. Altra causa di inefficacia speciale del provvedimento cautelare che vale solo per il sequestro. L’articolo 675 parla di esecuzione entro 30gg dalla pronuncia del sequestro, (questo però non è più in linea con l’art 669-octies che dice che il giudizio va instaurato entro 60 gg dalla pronuncia del provvedimento cautelare, se è avvenuto in udienza, viceversa dalla sua comunicazione, cioè da quando l’attore sa che ha ottenuto il provvedimento cautelare. Il termine per instaurare il giudizio di merito decorre da quando l’attore è a conoscenza dell'accoglimento della domanda). Qua si parla di 30 gg e non di 60 e poi di pronuncia e non di comunicazione. Qualcuno si è chiesto se questa norma vada riletta alla luce dell’introduzione del cautelare uniforme. La risposta è no, perché si tratta di una regola ulteriore non sovrapponibile e poi ancora prima dell’introduzione del rito cautelare uniforme la corte costituzionale venne interpretata perché c'era anche chi si chiedeva se questa regola fosse illegittima perché contrastante con l’art 24 costituzione, perché si diceva che non fosse giusto che il termine di 30 gg a pena di inefficacia decorra senza essere sicuri che l’attore sappia di aver ottenuto il provvedimento cautelare. Il termine deve decorrere da quando l’attore è informato. La corte costituzionale disse essere una ragionevole certa discrezionale del legislatore e quindi l’art continua a parlare di inefficacia decorsi i 30 gg dalla pronuncia del sequestro. Il giudice quando dispone il sequestro giudiziario nomina un custode, qualcuno si deve occupare di tenere sotto chiave la cosa sequestrata e il giudice stabilisce anche come debba essere tenuta sotto controllo. Può anche il giudice nominare custode uno dei contendenti, quindi l’attore che ha chiesto il sequestro oppure può anche essere il convenuto a chiederlo. L’art 676 lascia il giudice libero di scegliere queste soluzioni, nominando custode chi offre maggiori garanzie eventualmente da cauzione. Cosa cambia se il giudice nomina custode il convenuto? Questo non è corretto, i giudici sono prudenti nel nominare custode la parte colpita dal sequestro, ma poi se il convenuto nel cautelare viene nominato custode, le cose per lui cambiano giuridicamente perché il soggetto in possesso del bene se lo danneggia, se lo aliena prima del sequestro incorre in responsabilità civile. Come si attua il sequestro giudiziario? Con le forme dell’esecuzione forzata, con consegna o con rilascio. Se è per consegna, l’ufficiale giudiziario va a prendere la cosa e la da al custode, se è per rilascio, l’ufficiale giudiziario si reca presso l’immobile e lo mette nella disponibilità del custode. Viene omessa la notificazione del precetto dell’avviso di rilascio. Il giudice in qualunque momento può ordinare a chi detiene il bene di mostrarlo ed esibirlo e di consentire l’immissione del possesso nel custode. Sequestro giudiziario di prove: inizialmente potrebbe sembrare di essere uguale a quello del n.1, le cose elencate sono comunque cose mobili. In realtà questo sequestro dà luogo ad un acceso dibattito perché la norma parla di controversia sul diritto all’esibizione o alla pubblicazione. C’è qualcuno che con un approccio formale, basato su argomenti solidi, dice che quel sequestro si può ottenere solo quando attore e convenuto discutono sul se il documento vado esibito o no. A norma del 670 se il convenuto dice non v’è dubbio l’attore ha diritto all’esibizione, il sequestro non può essere concesso perché non c’è controversia sul diritto all’esibizione. Immaginiamo una situazione del genere: io so che Rossi, controparte, è in possesso di un documento che mi da ragione, e ovviamente non me lo fa vedere e nemmeno al giudice, io chiedo al giudice di ordinare a Rossi di esibire il documento, il signor Rossi dice che non lo fa, cosa succede? L’opinione prevalente in Italia è che non ci sia possibilità di esecuzione coattiva. Se il signor Rossi dice no, nessuno lo può andare a prendere. Chi sostiene questa tesi, cioè che l’esibizione non è suscettibile d’esecuzione coattiva dice: non è che con il sequestro giudiziario si può aggirare questo fatto, quindi se Rossi non esibisce il giudice a monte non deve neanche concedere il sequestro, perché altrimenti si aggirerebbe l’assenza del divieto di esecuzione coattiva dell’ordine di esibizione, potrebbe qualcuno pensare a questo escamotage: io chiedo il sequestro della prova che è eseguibile coattivamente, danno la prova in mano al custode, poi chiedo l’esibizione, il giudice la concede, e il custode che è terzo ovviamente la fa vedere. Una parte consistente degli interpreti dice che non si può, capiamo perciò che tutto ciò porta ad un risultato paradossale e cioè: è molto più conveniente in termini processuali dire “certo che hai diritto all’esibizione, ma non te lo do”, che dire “contesto che tu abbia diritto all’esibizione”, perché mi viene così concesso il sequestro contro, e a quel punto poi il custode l’elemento lo esibisce, invece io dico proprio di no allora mi sottraggo anche al sequestro e il giudice il documento non lo vedrà mai. Quello conservativo: art 671, consente il sequestro su istanza del creditore che ha fondato timore (periculum in mora) di perdere la garanzia del credito; in tal caso il giudice può autorizzare il sequestro conservativo di mobili, immobili, somme, cose a lui dovute nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. Periculum in mora abbiamo detto che varia da una misura cautelare all’altra; nel sequestro giudiziario è un generico pericolo che rende opportuna la custodia della gestione temporanea della cosa; qui invece è timore di perdere la garanzia del credito, da cosa può derivare? E deve essere accertato. Questo fondato timore può discendere o da fattori soggettivi, cioè il debitore sta vendendo tutto; oppure sta vendendo gli unici immobili che ha oppure può derivare da fattori oggettivi, obiettivamente il debitore non ha quasi nulla. Sui fattori soggettivi ricordiamo l’alienazione degli immobili perché la giurisprudenza dice costantemente che il fondato timore risarcimento, però intanto lui non riesce a vivere. Questo soggetto non ha tempo di aspettare che il giudice pronunci sentenza, qui abbiamo il pregiudizio irreparabile. Cosa fa il giudice nel momento in cui accoglie la domanda fondata sull’art 700, concede i provvedimenti che secondo le circostanze appaiono più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (ciò mette in luce la sua natura anticipatoria). Questi provvedimenti d’urgenza sono atipici e sono anticipatori strumentali. Attenzione però perché la giurisprudenza dice “attenzione, non è che il giudice fa tutto ciò che vuole indipendentemente dalla domanda”. La norma non dice, il giudice concede i provvedimenti che appaiono …, ma dice chi ha fondato motivo di temere può chiedere i provvedimenti che appaiono … Quindi se io ho chiesto una certa cosa al giudice, lui non me ne può concedere un’altra secondo lui più idonea, e non è nemmeno ammissibile che si dica al giudice “fai tu cosa credi sia meglio per il mio problema”. Esempio: io ritengo di essere proprietario dell’orologio nelle mani di R, situazione finale perché io voglio tutelare il mio diritto di proprietà, rischio di subire un pregiudizio irreparabile e allora chiedo un 700, giusto? No perché l’art 700 dice fuori dai casi previsti dalla legge, e se c’è quindi il sequestro allora non si può chiedere il provvedimento d’urgenza. Altro esempio: c’è un vicino che tutte le sere suona la batteria al piano terra dalle 22 alle 02 di notte e io non riesco a dormire, posso ottenere un provvedimento d’urgenza? Sì, perché c’è un pregiudizio imminente ed irreparabile. Istruzione preventiva A che cosa serve? In origine ha una funzione unicamente cautelare, cui si è aggiunto uno strumento che non è più cautelare. Consente di istruire preventivamente, prima del processo. È utile perchè magari nel corso del giudizio di cognizione o prima del giudizio di cognizione capiti qualcosa che rende difficile raccogliere la prova e di ricostruire la situazione di fatto: es. immaginiamo di avere un garage che è a rischio di crollo. Vogliamo far valere le nostre ragioni nei confronti di chi l’ha costruito. Chiaro che se il processo di cognizione dura 2-3 anni noi dobbiamo intervenire subito. Occorre mettere al sicuro la prova in vista del giudizio di cognizione. Le tre possibilità che abbiamo sono; assumere preventivamente la prova, di effettuare preventivamente un’ispezione, accertamento tecnico preventivo. Questi strumenti hanno effetti solo processuali ! pensiamo alla differenza con il sequestro: con il sequestro il proprietario si vede togliere il bene e il bene viene messo al sicuro. Ovvio che questa misura è molto invasiva. L’istruzione preventiva è meno invasiva perchè ha delle ripercussioni solo sul processo. Ecco che quindi le cautele nel concedere questi provvedimento sono inferiori, nello specifico si deve valutare la possibile rilevanza della prova: il giudice si chiede quanto e se la prova può essere utile nel processo di cognizione. C’è invece sempre la necessitò di un periculum in mora, rischi che si potrebbero concretizzare qualora non venisse concesso il provvedimento di istruzione preventiva. Il rito cautelare uniforme si applica solo in parte: ART.669-septies + è stato dichiarato illegittimo l’ART. 695 nella parte in cui non consente il reclamo contro l’ordinanza di rigetto. Se la misura di istruzione preventiva viene negata, vista la sua natura cautelare, C’è il rischio che il futuro attore non riesca a tutelarsi idoneamente nel processo di cognizione. Mentre l’accoglimento della misura non crea problemi, il rigetto rischia di incidere in modo irrimediabile sulla possibilità di far valere i diritti in giudizio. Assunzione di testimoni a futura memoria. ART.692, si parla del fondato motivo di temere che vengano a mancare dei testimoni (periculum) che possono essere necessari in una causa (necessità). In questo caso ci si rivolge al giudice competente per il merito e se l’urgenza è eccezionale ci si può rivolgere anche al giudice del luogo ove deve avvenire l’assunzione. Si devono indicare i motivi dell’urgenza, i fatti su cui si deve interrogare il testimone e, sommariamente, quali sono la domanda e le eccezioni per il cui accoglimento la prova è rilevante. Il giudice che assume la prova in questo caso può essere anche il giudice di pace. Il giudice fissa l’udienza di comparizione della controparte (perché la priva va assunta in contradditorio con la contro parte) e il termine per notificare il ricorso e il decreto. L’ART. 698 preclude di produrre o richiamare i verbali delle prove prima che il giudice del giudizio di merito abbia dichiarato la prova ammissibile. Delle ragioni di urgenza potrebbe emergere anche al corso di causa e la richiesta andrà fatta al giudice di merito che si pronuncerà sul punto con ordinanza. Accertamento tecnico preventivo e Ispezione giudiziale. È regolato come quello appena visto ma ha una importanza pratica decisamente superiore e un impiego maggiore. Capita spesso che qualcuno abbia urgenza di far verificare lo sato dei luoghi, o qualità o la condizione delle cose. O ancora la condizione della persona dell’istante. La corte costituzionale è intervenuta dicendo che la norma è incostituzionale nella misura in cui non consente di effettuare accertamento anche sulla persona della contro parte se questa vi consente ! sappiamo che l’ispezione di persone può avvenire solo con il consenso della persona da ispezionare. Tuttavia se il giudice dispone una ispezione sulla persona e questa rifiuta sappiamo che da questo rifiuto si traggono argomenti di prova. In questo caso, mentre alcuni sostengono che valga lo stessi, altri valorizzano la pronuncia della Corte Costituzionale per dire che non ci sono conseguenze in caso di rifiuto, nemmeno sul piano degli argomenti di prova. Dal punto di vista dell’accertamento tecnico preventivo il problema chiaramente si pone solo per la controparte. L’ART.696 menziona l’urgenza: siamo in presenza di provvedimento con natura cautelare. In origine, l’ART.696 menzionava solo l’accertamento dello stato dei luoghi e della condizione delle cose, facendo riferimento ad una ‘fotografia’ della situazione. Consentiva al tecnico di descrivere i luoghi, le cose, le persone. Questo veniva ritenuto insoddisfacente e in generale l’accertamento tecnico preventivo era percepito come affetto da limiti perché sembrava che questo strumento spesso prevenisse alla radice la lite davanti al giudice del merito perché ci sono liti nelle quali le parti non concordano sulla soluzione di questioni tecniche non giuridiche e nient’altro. Con la riforma del 2005 si è intervenuti: 1. Da un lato ampliando l’ATP e inserendovi la possibilità di effettuare anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica. Si è detto di andare oltre la semplice ‘fotografia’ e di lasciare libero il ctu anche in relazione alle cause e ai danni. 2. Nuovo istituto che si è affiancato all’ATP nel 696-bis che è la consulenza tecnica preventiva Questo intervento non ha persuaso molti perché lo si è ritenuto pasticciato: si sono allargate le maglie dell’ATP che resta utilizzabile solo in caso di urgenza e dall’altro abbiamo una ctu preventiva che potrebbe soppiantare del tutto l’altro istituto. Abbiamo aree di sovrapposizione che crea difficoltà applicative. Comunque sia nell’accertamento tecnico preventivo anzitutto il giudice incontra le parti e decide se disporre l’ATP e se decide di sì nomina il consulente tecnico e si pronuncia sull’inizio delle operazioni. Ultimate le operazioni il ctu deposita le sue conclusioni e basta. Con questa riforma è stata introdotta la ctu preventiva che si può ottenere anche al di fuori delle condizioni di cui all’ART.696 comma 1, ovvero senza urgenza e senza periculum in mora. Questa quindi non ha natura cautelare. La stessa rubrica dell’articolo dice che la ctu preventiva è ai fini della composizione della lite, quindi con finalità conciliative. Con essa si possono anche accertare crediti derivanti da mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali oppure da fatto illecito. Il ctu prima di depositare la relazione finale deve tentare la conciliazione. Se le parti si mettono d’accordo viene redatto un verbale e il giudice gli attribuisce efficacia esecutiva con decreto, e diventa idoneo a iscriversi a ipoteca. Se la conciliazione non riesce il ctu deposita la sua relazione e basta. Che problemi solleva questo strumento? Una parte della giurisprudenza non è propensa a concedere la ctu preventiva quando la controversia verte su questioni di diritto. In alcuni casi è ovvio in effetti: pensiamo al caso in cui le parti sono contrapposte solo su questioni di diritto (come si interpreta la norma X? Si può applicare la norma X o la Y?). Qui la ctu è impossibile perché si tratta di stretto diritto che il giudice deve risolvere in autonomia. Diverso è nel momento in cui sono controverse sia questioni di fatto che questioni di diritto. Una parte della giurisprudenza afferma che se sono controverse anche questioni di diritto non si può concedere la ctu preventiva perché non può assolvere alla finalità conciliativa che le è propria. Però così si da nelle mani di un convenuto uno strumento dilatorio potente che potrebbe inventarsi una qualunque questione di diritto al solo fine di non ricorrere alla ctu preventiva. Secondo problema: si può fare reclamo contro chi nega la ctu preventiva? Se andiamo a vedere quello che nel 2008 la corte costituzionale affermò sembrerebbe che il reclamo non sia esperibile perché al ctu preventiva non ha natura cautelare. La efficacia conciliativa dello strumento è tale che negli anni il legislatore ha deciso di renderlo obbligatorio. Lo ha reso una condizione per potersi rivolgere al giudice. Azioni possessorie. Sono disciplinate nel codice civile (ARTT.1168-1170). Sono varie: 1. Anzitutto c’è l’azione di reintegrazione che spetta a chi è stato spogliato del possesso in maniera violenta o clandestina, oppure privato della detenzione salvo che questa fosse stata ottenuta per ragioni di ospitalità. La giurisprudenza è stata chiamata a dire che cosa significhi ‘spoglio violento o clandestino’ ! da tempo dice che quando lo spoglio avviene senza il consenso esplicito del possessore è uno spoglio violento. Può esercitarsi entro un anno dallo spoglio o dalla sua scoperta. 2. Azione di manutenzione. Spetta a chi è stato molestato nel possesso e a chi è stato vittima di spoglio non violento e non clandestino (che in pratica non esiste). L’azione può essere esercitata se il possesso dura da oltre un anno continuo e interrotto e non è stato acquisito in modo violento Vediamo come si sviluppa il procedimento. È bifasico: si propone la domanda con ricorso al giudice ai sensi dell’ART.21 cpc che provvede ai sensi del 669-bis e seguenti (=rito cautelare uniforme), ivi compresa la norma sul reclamo. Questa prima fase si conclude con ordinanza reclamabile. Dopo che si è esaurita questa fase interdittale si può svolgere il giudizio di merito possessorio. Cos’è il merito possessorio? L’azione possessoria è volta a tutelare un diritto sostanziale che è il possesso. La prima fase del procedimento è sommaria e si svolge con le forme del rito cautelare. Di regola al cautelare segue il giudizio di merito. Quindi nel nostro caso dovrebbe seguire il giudizio di merito sull’esistenza del possesso = il merito possessorio. Un tempo si riteneva che non esistesse perché il merito possessorio andava a guardare il proprietario e non chi fosse il possessore. Altri autori invece erano convinti che esistesse il merito possessorio. Questa seconda tesi ormai è quella che si è affermata perché nel riscrivere le norme sui procedimenti possessori queste sono state riformulate in modo tale che l’esistenza del merito possessorio non può essere messa in discussione. È così perché oggi è previsto che se una delle parti lo chiede entro 60 gg dalla comunicazione del provvedimento interdittale il giudice fissa davanti a se l’udienza per la prosecuzione del giudizio. Alla fine del giudizi di merito possessorio si stabilisce se questo diritto di possesso esiste ed è stato violato. Cosa succede se il giudizio di merito possessorio non si svolge (ovvero se le parti non lo chiedono)? Ci sono due alternative: 1. Visto che l’ordinanza resa in fase interdittale è anticipatorio non perde di efficacia e chiunque potrà instaurare il giudizio di merito. 2. Questo è un procedimento differente in cui l’ordinanza resa al termine della prima fase interdittale se non viene chiesta la celebrazione del merito si consolida e acquista efficacia di giudicato. Ci sono degli elementi che fanno propendere per la prima e altri che fanno propendere per la seconda: a favore della seconda anzitutto c’è il fatto che a differenza dei cautelare anticipatori qui non esiste una domanda cautelare autonoma rispetto alla domanda di cognizione. Qui all’inizio del giudizio possessorio si propone l’azione di merito che mira ad ottenere un procedimento di cognizione, semplicemente la parti si accontentano della cognizione sommaria. Ci sono peraltro delle analogie con provvedimenti idonei al giudicato pur non essendo sentenze, come ad esempio l’Ìart.186-quater. Cosa non fila? Il fatto che ciascuna delle parti entro 60 gg può chiedere la celebrazione del giudizio di merito che non è coerente con questo quadro: non è che ciascuna delle parti ha interesse e può chiedere che si svolga il giudizio di merito, ma sarà semmai la parte che ha perso. Cosa succede se vi è uno spossessamento nel corso del giudizio petitorio? Se succede questo l’azione possessoria è comunque ammessa però deve essere proposta al giudice davanti al quale pende il petitorio. Se servono dei provvedimenti temporanei indispensabili ci si può rivolgere al giudice che sarebbe competente. E se c’è stato lo spoglio e uno dei due vuole opporre il suo diritto di proprietà? Il convenuto nell’azione possessoria non può proporre il giudizio petitorio finché il giudizio possessorio non è definito e la decisione non è eseguita. Questa regola è problematica sotto vari profili: anzitutto riflettiamo sulla regola latina ‘spoliatus ante omnia restituendus’ = l’ART. 705 dice solo questo? No, dice ‘finché il giudizio non è definito e la decisione non è stata eseguita’, il che comporta che bisogna aspettare parecchio tempo. Un secondo profilo problematico: X mi ruba una ruspa. Io la trovo poi per caso e me la riprendo in modo violento o clandestino. Il ladro mi conviene con una possessoria. Io non posso dire che la ruspa è mia perchè quello è diritto di proprietà. Avrei, rinvenuta la ruspa, dovuto rivolgermi al giudice. Non è giusta come cosa perché disposta dal giudice tutelare e non dal tribunale, non con sentenza ma con decreto motivato immediatamente efficace. Il decreto è impugnabile, l’impugnazione va proposta alla corte d’appello e si svolge con le forme dei procedimenti in camera di consiglio. La corte d’appello decide con decreto motivato contro cui si può andare in cassazione. Infine la revoca può avvenire anche d’ufficio, ART.413 del cc. Questi due procedimenti sono di volontaria giurisdizione, o almeno sicuramente lo è quello di amministrazione di sostegno, mentre quello di interdizione è un po’ un ibrido. Comunque sono disciplinati in modo peculiare e si concludono con dei provvedimenti che hanno un grado di stabilità superiore di quelli in camera di consiglio e danno tutti luogo al ricorso in cassazione. Separazione e divorzio È una materia che è stata oggetto di molti interventi nel corso degli anni che non sono stati particolarmente significativi. Questi procedimenti sono disciplinati in parte nel codice di procedura civile e in parte in una legge speciale che è la Legge sul divorzio che conteneva quelle disposizioni processuali che dovevano essere una soluzione temporanea perché si auspicava l’approvazione di un nuovo codice di procedura. Questo non è mai avvenuto e queste norme hanno continuato ad essere messe a punto ma a rimanere sparse. In più negli anni si sono aggiunte norme che riguardano la tutela dei minori nei contesti di separazione e divorzio. Questo ha reso il quadro molto frammentario e ha dato luogo a critiche. Quando l’anno scorso si è formata una commissione per mettere a punto gli interventi di efficientamento del procedimento civile, la commissione si è resa conto che la situazione del processo si famiglia era caotica e così ha partorito una proposta di riforma organica molto articolata e incisiva che dovrebbe cambiare moltissimo. Questa ha ultimato i lavori, ha consegnato la relazione al ministro, il governo è intervenuto sul disegno di legge delega e si è arrivati alla legge delega che dovrebbe essere di efficientamento del processo civile. La riforma del processo di famiglia con tutto ciò centra poco però si è fatto. Si è intervenuti lungo due direttrici: una procedurale, si vuole introdurre una specie di rito della famiglia uniformando tutto dando maggior rilievo e disciplinando meglio dei profili negletti come la tutela dei minori. Il processo della famiglia al momento in che stato è? In questa legge delega ci sono delle modifiche che non sono di legge delega, c’è poi una commissione che sta lavorando per l’attuazione della delega e che si dice sia avanti con i lavori. Poi c’è un’altra parte della delega che può essere attuata in più tempo ed è la parte ordinamentale che interviene sul tribunale per i minorenni = un giudice specializzato che si occupa di alcune materie in cui è necessario tutelare il minore. Abbiamo questo giudice che si occupa di materie molto vicine a quelle che tratta il giudice civile quando si occupa della crisi della famiglia. il fatto che ci siano questi due giudici ha sempre creato dei problemi di coordinamento. Il tribunale dei minorenni ha poi composizione discussa: giudici togati + giudici onorari con composizione pari in cui i giudici onorari hanno specifiche professionalità. Questo ha creato infinite dispute perché succedeva che il tribunale per i minorenni non disponesse mai consulenza tecnica essendo che c’erano i giudici onorari. Grossi problemi perché c’è lesione del diritto di difesa dal momento che le parti non potevano nominare consulenti tecnici di parte. Separazione. Partiamo a vederla per come è oggi. La separazione è divisa in due tipologie: contenziosa, che si utilizza quando i coniugi non sono d’accordo e si chiama giudiziale. La seconda non è contenziosa e si chiama consensuale, il giudice semplicemente controlla l’accordo delle parti. A queste due separazioni si è aggiunta quella stragiudiziale (d.l. 132/14). Iniziamo dalla separazione. Questa c’è sempre stata, a differenza del divorzio. Ci si è sempre potuti separare per intollerabilità della convivenza o rischio di pregiudizi nell’educazione della prole. A rigore dovremmo concludere che la separazione è possibile solo in presenza di presupposti di fatto che il giudice deve accertare. Tuttavia la nostra giurisprudenza di fatto non ha mai accertato l’intollerabilità della convivenza. Altra affermazione che la giurisprudenza fa è che dal momento che qui c’è un tentativo di conciliazione, il fallimento della conciliazione denota la intollerabilità della convivenza. A chi ci si rivolge? Al tribunale del luogo di ultima residenza comune dei coniugi o del coniuge convenuto. Si reputa che il procedimento debba essere instaurato dal coniuge in prima persona assistito da avvocato e che non si possa designare rappresentante sostanziale. Il PM deve intervenire. Il procedimento inizia con ricorso, ART.706 cpc ! il ricorso deve indicare l’esistenza di eventuali figli comuni, è necessario produrre le ultime dichiarazioni dei redditi. Depositato il ricorso entro 5 gg il presidente del tribunale fissa udienza che deve essere entro 90 gg dal ricorso e il termine entro cui il convenuto deve costituirsi. Perché indicare l’esistenza di figli? Quando c’è una crisi nella coppia il giudice deve anche tutelare i figli minori. Da questo punto di vista il giudice tutela degli interessi, ovvero gli interessi dei figli. All’interno di un procedimento di separazione c’è una domanda che riguarda un mutamento di status: i coniugi si vogliono separare. Poi ci possono essere delle domande ulteriori, eventuali che riguardano gli aspetti economici come l’assegno di mantenimento oppure l’addebito di separazione. I coniugi fanno valere quindi dei diritti nel processo, in alcuni casi disponibili e in altri casi no. Se i diritti sono disponibili opera il principio della domanda e sono ammesse anche le prove dispositive come confessione e giuramento. Se i diritti sono indisponibili le prove dispositive non sono ammesse e saranno liberamente valutabili. E poi ci sono i profili legati ai figli e in sostanza valgono delle regole di volontaria giurisdizione, il giudice li tutela anche se nessuno glielo chiede e quindi non opera nemmeno il principio della domanda. La conclusione è che se ad esempio un conige non chiede l’assegno di mantenimento il giudice non gliel’ho può accordare. Se viene indicata l’esistenza di figli comuni ma senza richieste in merito, il giudice comunque si pronuncerà su collocazione, visite, mantenimento dei figli. L’ultima considerazione è che di questi procedimenti in prima battuta si occupa il presidente del tribunale. Egli può essere o il presidente del tribunale oppure il presidente della sezione. Notificato il ricorso si svolge un’udienza detta presidenziale. Nel corso di questa il presidente deve tentare la conciliazione. Cosa significa? Ci sono due accezioni: 1. Si può pensare ad una conciliazione massima, cioè ad una ri conciliazione = i due decidono che la convivenza è tollerabile e la separazione si estingue. 2. Ci può essere una conciliazione minore nella quale comunque i coniugi restano dell’idea di separarsi però convengono le condizioni della separazione. Se si raggiunge questa seconda conciliazione, ben più realistica il procedimento viene mutato in separazione consensuale volto ad omologare l’accordo intervenuto tra i coniugi. Le parti devono comparire personalmente all’udienza presidenziale. Se il coniuge che ha proposto al domanda non compare, la domanda non ha effetto. Se non compare l’altro il presidente può decidere di riordinare la notificazione del ricorso. Questo tentativo di conciliazione vede il presidente che deve sentire prima i coniugi separatamente e poi assieme. Se il tentativo di conciliazione fallisce vanno emanati, anche d’ufficio, i provvedimenti temporanei e urgenti opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi = provvedimenti/ordinanza presidenziali. Prima il presidente può svolgere una istruzione sommaria e poi si prosegue davanti al giudice istruttore. Soffermiamoci sui provvedimenti presidenziali che regolano la vita dei coniugi anche per un lungo lasso di tempo. Questa ordinanza è immediatamente esecutiva e rimane efficace anche in caso di estinzione del processo (cosa anomala). Come mai? Da un lato perché se c’è una crisi della famiglia è opportuno che il giudice dia delle regole in fretta e poi questa regola sull’estinzione denota che il legislatore cerca di favorire la riconciliazione fra i coniugi. A meno che nel corso della successiva fase del giudizio il giudice istruttore non revochi/modifichi l’ordinanza oppure non ci sia reclamo. Revoca dell’ordinanza ! la legge non limita la possibilità di revocare o modificare l’ordinanza presidenziale all’eventualità di fatti nuovi. Quindi il giudice istruttore lo può fare liberamente perché l’udienza presidenziale si conclude con la pronuncia dell’ordinanza dopo l’assunzione di sommarie informazioni ma magari il giudice istruttore si fa un’idea più precisa dei fatti e vuole intervenire sull’ordinanza. Reclamo ! è stato introdotto alcuni anni fa e ha dato luogo a molte discussioni. Le corti d’appello, che sono competenti a decidere sul reclamo hanno adottato un atteggiamento difensivo cercando di evitare un incremento eccessivo del loro carico di lavoro. Da un lato hanno adottato delle interpretazioni restrittive su ciò che si può dedurre a fondamento del reclamo (solo revisione del materiale e non si possono prendere in esame circostanze nuove le quali vanno sottoposte al giudice istruttore). Inoltre ci si è chiesti: l’ordinanza resa dal giudice istruttore è reclamabile a propria volta? Le corti d’appello hanno affermato la tesi negativa. Infine ci si è chiesti se l’ordinanza resa dalla corte d’appello è a propria volta revocabile e modificabile come quella presidenziale. La risposta è sì. Davanti al giudice istruttore si svolge un ordinario processo di cognizione che terminerà con sentenza impugnabile. Ma come si arriva davanti al giudice istruttore? Occorre notificare l’ordinanza presidenziale se il convenuto non è comparso, poi il presidente concede i termini per difendersi che sono quelli del 163-bis dimezzati e fissa anche i termini per le memorie integrative che hanno contenuto analogo all’atto di citazione = non è necessario nella prima fase del procedimento svolgere tutte le difese. Prima di questa prima udienza c’è la possibilità di integrare le domande allineandosi all’ordinario di cognizione con quel che ne consegue in termini di preclusioni, sia per l’attore che per il convenuto. Da qui in avanti si seguono le norme del rito ordinario con giudice collegiale. Si arriva alla pronuncia della sentenza, ma potrebbe esserci una sentenza non definitiva che è quella che incide sullo status, in cui viene pronunciata la separazione personale. La pronuncia di questa sentenza è doverosa laddove il processo prosegua per l’addebito, affidamento dei figli e questioni economiche. In questo modo si cerca di favorire la formazione del giudicato sulla separazione al fine di consentire la proposizione della domanda sul divorzio (dalla separazione deve decorrere un lasso di tempo per poi divorziare: 1 anno). Poi c’è un’altra regola: contro la sentenza non definitiva è consentito solo l’appello immediato. L’appello è deciso in camera di consiglio, ulteriore intervento acceleratorio. Questa regola ha creato problemi perché la norma dice ‘è deciso in camera di consiglio’, ma vuol dire che la corte d’appello segue il procedimento lì per decidere o qualcosa di più? Se la corte lo usa per decidere l’appello lo si propone con citazione, nel secondo caso invece ricorso. Cosa succede se ci si sbaglia? Conversione dell’atto processuale: la citazione diventa ricorso e viceversa e bisogna vedere il ‘quando’. E poi, questa regola è riferita solo alla sentenza non definitiva di separazione…e quindi quella definitiva? Non c’è scritto come si impugna e quindi ci si basa su una legge dell’87 che modificò il procedimento di divorzio e all’ART.23 dice ‘fino all’entrata in vigore del testo del nuovo codice di procedura civile, ai giudizi di separazione personale si applicano le regole dell’ART.4 della legge sul divorzio’ ! ovvero in camera di consiglio. Cosa succede nel corso del giudizio di separazione? Il giudice istruttore dovrà istruire la causa. C’è poi una attività che il giudice deve svolgere e cioè l’ascolto del minore. Nel nostro ordinamento non è stato in cima alle preoccupazioni del giudice. Un po’ per ragioni culturali e un po’ per carenza di risorse e peraltro servono delle competenze che magari il giudice non ha. Purtroppo però dobbiamo rispettare la convenzione di New York sui diritti dei minori che dice che il minore deve poter esprimere la sua opinione e abbiamo anche delle norme sull’ascolto inserite nel codice civile in particolare. Consapevoli di ciò i relatori della riforma del 2021 hanno delegato anche per il riordino delle norme in tema di ascolto del minore. Quando il giudice deve ascoltare il minore? ART.337-octies. Può essere su istanza di parte ma anche d’ufficio e tutte le volte in cui il minore sia capace di discernimento. I minori capaci di discernimento sono di solito quelli che hanno 12 anni e per i minori di 12 si deve valutare caso per caso. Fino ai 6 anni non si procede mai all’ascolto. Il giudice quindi deve ascoltare il minore e tenere in considerazione la sua opinione. Se non lo fa si verifica una nullità e quindi la sentenza deve essere impugnata con successo. L’ascolto dovrebbe avvenire anche nel procedimento in cui si omologa la separazione. Anche qui si deve ascoltare il minore a meno che non sia in contrasto con l’interesse stesso del minore o manifestamente superfluo. Sulla base di ciò l’ascolto di fatto non avviene mai perché la giurisprudenza dice che in questi casi l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore e quindi se c’è accordo in linea di massima non si ascolta, a meno che non vi siano delle oggettive anomalie nell’accordo (es. il minore non vede mai la mamma o il papà). Si tratta di una interpretazione forzata perché tanto in quei casi comunque il giudice non omologherebbe. L’ascolto può essere effettuato dal giudice direttamente o si può mandare qualcuno = ascolto indiretto con motivazione annessa però. Come si ascolta il minore? I genitori, le parti, i difensori, sono ammessi a partecipare se autorizzati dal giudice. vuol dire che il giudice può stabilire che né le parti né i difensori parteciperanno. In questi casi le parti possono indicare al giudice argomenti e temi di approfondimento. L’andamento dell’ascolto è verbalizzato anche dando conto del contegno del minore. Si ritiene così rispettato il principio del contraddittorio. L’ascolto serve a consentire al minore di esprimere la propria opinione e non ad accertare i fatti e quindi non è un mezzo di prova. Serve solo a capire cosa pensa il minore. Curatore speciale. In questi giudizi di separazione (e anche di divorzio) c’è l’esigenza di ascoltare il minore. Ogni tanto ci sono delle situazioni di conflittualità o gravità tale da ritenere che ci possa essere grave conflitto di interessi tra i genitori e il minore. Ma gli interessi del minore devono essere protetti e quindi, chi si può fare curatore di quegli interessi? Vero che il giudice li tutela di ufficio ma ci serve qualcuno che può con minori vincoli tutelare nettamente il minore. Questo è il curatore speciale che ogni tanto viene nominato ai sensi dell’ART.80, norma generale e non si occupa nello specifico del curatore speciale del minore. L’utilizzo del curatore speciale è importante e infatti la riforma del 2021 è intervenuta modificando subito l’ART.80 del codice. Al momento i curatori speciali dei minori non sono pagati (scelta deprecabile). I tribunali tendono a nominare curatori degli avvocati, in modo che questi possano patrocinare la causa a spese Perché è corsia preferenziale? Perché questo decreto del giudice è esecutivo contro i terzi cui viene notificato, quindi si passa un pezzo, che è la parte di esecuzione forzata che qui andrebbe effettuata con l’espropriazione dei crediti. Qui direttamente il giudice ordina questo, il coniuge notifica il decreto al datore di lavoro del soggetto inadempiente e a quel punto un terzo dello stipendio del soggetto verrà devoluto direttamente al coniuge che mantiene i figli. Soluzioni simili per il caso in cui un coniuge sia inadempiente all’obbligo di mantenere l’altro. La signora Rossi non paga l’assegno al marito, il giudice che pronuncia la separazione può imporre una garanzia e la sentenza è titolo per iscrivere ipoteca. Se l’obbligo di mantenimento non viene adempiuto, il signor Rossi chiede al giudice che disponga il sequestro dei beni della signora Rossi (forma di sequestro conservativo), oppure ordini ai terzi il pagamento diretto delle somme di cui sono debitori anche periodicamente, cioè lo stipendio. Anche qui provvedimento modificabile e revocabile per giusti motivi sopravvenuti. Procedimenti di divorzio Si può chiamare anche cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Anche qui si parla di venir meno della comunione spirituale e materiale dei coniugi. Nel nostro ordinamento non è ammesso il divorzio immediato, bisogna prima separarsi e poi divorziare, i tempi di attesa nel corso degli anni sono stati diminuiti fino alla riforma del “divorzio breve”, per cui ad oggi si devono aspettare 6 mesi se la separazione è stata consensuale, altrimenti 12 se è stata giudiziale. Con la riforma Cartabia arriva una novità in più: prevede (legge delega quindi dobbiamo aspettare che venga esercitata la delega) che si possa chiedere immediatamente sia la separazione che il divorzio, però la domanda di divorzio inizialmente non è procedibile fino a che la sentenza di separazione non è passata in giudicato. Rossi chiede separazione e quindi divorzio, si tiene la prima udienza, abbiamo i provvedimenti provvisori, poi viene presto pronunciata la sentenza di separazione non definitiva (quella solo sullo status), questa sentenza è impugnabile solo con l’appello immediato, nel giro di un mese passa in giudicato, a questo punto il giudice che si sta ancora occupando della separazione inizia immediatamente ad occuparsi anche del divorzio. A quel punto il giudice della separazione controlla che siano passati 6 mesi e allora io pronuncio la sentenza non definitiva di divorzio e così lo scioglimento del matrimonio si ottiene in tempi brevi. Oggi, senza riforma Cartabia da attuare, io ottengo subito la sentenza di separazione e poi devo iniziare un altro giudizio per il divorzio. Il divorzio può essere contenzioso o su domanda congiunta: la domanda congiunta non da luogo ad un’omologazione come nel caso della separazione consensuale, quindi non si può chiamare così, viene comunque pronunciata una sentenza che contiene il recepimento delle condizioni del divorzio e pronuncia il divorzio, ma il giudice decide con un suo provvedimento, non si limita a recepire un accordo dei coniugi. Come si svolge il procedimento? Art 4 legge sul divorzio: la domanda si propone con risorse davanti al tribunale del luogo di residenza del convenuto. Il presidente del tribunale fissa udienza che si deve tenere entro 90 gg e fissa il termine per notificare ricorso e decreto che si costituirà con memoria difensiva. Si tiene udienza presidenziale nella quale i coniugi devono comparire personalmente. Se il ricorrente non si presenta la domanda non ha effetto ed il procedimento si estingue; se invece non è presente l’altro coniuge il giudice decide se sia opportuno rinnovare la notificazione. Nell’udienza si svolge il giudizio di conciliazione. Poi il presidente pronuncia i provvedimenti temporanei ed urgenti, che sono reclamabili alla corte d’appello, e che conservano efficacia in caso di estinzione del processo ai sensi del 189 delle disposizioni di attuazione. Il giudice istruttore può modificare l’ordinanza presidenziale; viene fissata l’udienza dal presidente di comparizione con i termini dell’art 163-bis dimezzati. Il procedimento si svolge con le forme ordinarie. La sentenza di divorzio da chi può essere impugnata? Anche dal pubblico ministero ma per tutelare gli interessi dei figli minori, provvisoriamente esecutiva per i profili economici, ma non provvisoriamente efficace per il mutamento di status. L’appello viene deciso in camera di consiglio. Divorzio a domanda congiunta: il parallelo non è pieno perché in caso di divorzio il giudice non omologa l’accordo dei coniugi, ma recepisce solo le conclusioni dei coniugi in una sentenza. Il ricorso è congiunto: si propone nel luogo di residenza di uno dei due coniugi, il tribunale decide in camera di consiglio, dopo lo svolgimento di un’udienza in cui si svolge anche il tentativo di conciliazione, che è tentativo di super conciliazione perché non riesce mai. Il tribunale pronuncia la sentenza di divorzio: è impugnabile? Capiamo che signor Rossi e signora hanno chiesto di divorziare alle tali condizioni, se il tribunale pronuncia divorzio a quelle condizioni, loro possono impugnare? Alcuni sostengono di no perché dicono che per impugnare una sentenza occorre essere soccombenti, ma la soccombenza dove sta? tesi minoritaria riconosce la possibilità di impugnare sulla base della considerazione che non essendo ancora efficace la sentenza ci possa essere la possibilità di cambiare idea. La sentenza di rigetto è impugnabile sicuramente da tutti e due i coniugi perché sono soccombenti. Notiamo che una sentenza di rigetto è sentenza rarissima in questo ambito perché è difficile immaginare un caso in cui il tribunale pienamente in sé rifiuta il divorzio a due che vogliono divorziare. Caso di impugnazione che può esserci è quello in cui per svista o per errore grossolano il tribunale pronunci il divorzio, ma a condizioni diverse da quelle stabilite dai coniugi. C’è poi eventualità più frequente per cui le condizioni riguardanti i figli non siano ritenute dal tribunale in linea con gli interessi dei figli che hanno la priorità. In questo caso, non si può pronunciare il divorzio puramente a condizioni differenti rispetto a quelle chieste dai coniugi, il tribunale deve disporre mutamento di rito e passare al rito contenzioso. Non è espressamente previsto il mutamento del rito nell’altro senso. Mettiamo caso che l’accordo di divorzio sia affetto da un vizio del consenso, è rilevante? No, perché mentre nella separazione consensuale vi è l’omologa di un accordo e quindi la fonte dei fatti tra i coniugi è l’accordo il giudice mette solo un sigillo, qui la fonte è solo la sentenza non c’è un accordo omologato e quindi se la sentenza passa in giudicato il vizio del consenso non può più essere fatto valere. Le sezioni unite però poco tempo fa hanno preso posizione in senso opposto, hanno detto “il giudice omologa un accordo dei coniugi nella separazione, qui accetta lo stesso accordo quindi i vizi vanno trattati allo stesso modo”. Modifiche delle condizioni di divorzio si possono avere con le stesse forme previste per la separazione, e reazioni ad inadempimenti e violazioni anche. Strumenti alternativi: la mediazione famigliare, viene citata qua e là nel codice, non è disciplinata in maniera organica. La riforma Cartabia prevede che un minimo di disciplina ci sia. La mediazione famigliare non è uno strumento pieno di risoluzione delle controversie come si evince dall’art 337-octies: “il giudice sentite le parti e ottenuto il consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art 337-ter per consentire che i coniugi avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo”. La mediazione famigliare è utile, riduce la conflittualità tra i coniugi, consente il passaggio al rito consensuale, però da solo non mette fine alla lite. Lo stesso non si può dire della negoziazione assistita e degli accordi davanti all’ufficiale di stato civile. Questi sono procedimenti introdotti nel 2014 con decreto legge convertito e sono importanti perché ormai una parte significativa delle separazioni e divorzi non arriva più davanti al giudice. Come funziona il procedimento di negoziazione assistita? Bisognerebbe concludere un accordo. Dovrebbe perché in realtà quasi mai la convenzione viene conclusa, non ci sono controlli a riguardo perché i controlli riguardano solo l’accordo sulla separazione e divorzio nessuno chiede di vedere la convenzione di negoziazione assistita e spesso non si fa neanche la negoziazione assistita. Cosa può riguardare questo accordo? Il decreto n. 132/2014 dice la separazione personale, lo scioglimento del matrimonio, la modifica delle condizioni di separazione e divorzio. La riforma Cartabia prende atto di critiche mosse a questa norma ed estende la possibilità di utilizzare questo strumento a tutte le controversie che riguardano le coppie non sposate e anche nelle cause di alimenti. I procedimento è differente nella parte finale, a seconda che ci siano figli minori o meno. In origine si voleva introdurre questo procedimento solo per le coppie con figli minori. Poi si sono inclusi anche i figli minori ed equiparati (maggiorenni incapaci, affetti da handicap grave, ovvero non economicamente autosufficienti). In cosa consisterono le differenze? Se non ci sono figli minori o equiparati l’accordo viene trasmesso al procuratore del tribunale che verifica l’assenza di irregolarità e se non ci sono concede il nulla osta; esempio di omologazione però vediamo che ci troviamo in un caso interessante in cui l’attività svolta sarebbe un’attività di volontaria giurisdizione peccato che il controllo è demandato al p.m. e non al giudice. Il pubblico ministero verifica solo l’assenza di irregolarità, cioè che i coniugi siano assistiti ciascuno dal suo avvocato, che se stanno divorziando siano già separati, che si siano rivolti effettivamente alla procura giusta, solo controlli formali che se hanno esito positivo viene concessa l’omologazione. Se invece ci sono i figli minori, il pubblico ministero non si deve limitare al controllo formale, ma anche che l’accordo corrisponda agli interessi dei figli, nel qual caso lo omologa, ma in questo caso il provvedimento si chiama di autorizzazione. Se il procuratore della repubblica ritiene che l’accordo non risponda agli interessi dei figli minori, non concede l’autorizzazione, bensì trasmette il fascicolo al presidente del tribunale. Dopodiché i coniugi vengono convocati in tribunale, e il tribunale “provvede senza ritardo”, cosa voglia dire è discusso, ad oggi l’opinione consolidata è che il tribunale disponga di un autonomo potere di autorizzare l’accordo anche in contrasto con il parere del p.m. Quali sono gli aspetti critici di questa disciplina? Il principale sta nell’aver individuato come principale figura di controllo il procuratore della repubblica perché esse hanno parecchio da fare e non hanno mai destinato comprensibilmente molte risorse agli affari civili, la procura della repubblica si occupa essenzialmente della materia penale. Questo nuovo istituto ha reso necessario da un lato, destinare qualcuno al controllo degli accordi che sono parecchi e dall’altro, ha fatto sì che si dovesse sopperire una certa carenza di professionalità del procuratore della repubblica che non era abituato a fare questo lavoro. Una volta ottenuta l’omologazione l’avvocato trasmette allo stato civile l’accordo autenticato e per evitare che ci sia gente divorziata o separa che non risulta come tale, si è introdotta una sanzione dura per gli avvocati che tardano a trasmettere l’accordo, fino a 10mila euro di sanzione pecuniaria. L’accordo munito di nulla osta o autorizzato è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione, cessazione degli effetti civili, separazione e divorzio, quello che si può fare con questi provvedimenti giudiziali si può fare anche con gli accordi raggiunti in negoziazione assistita, che sono impugnabili per vizi del consenso, come gli accordi di separazione consensuale, e che consentono una successiva modifica delle condizioni di separazione e divorzio perché ci troviamo in una situazione equipara alla separazione consensuale. Art 12 decreto n. 132/2014, disciplina altro procedimento per risolvere le liti di famiglia, non sono previsti ampliamenti della riforma Cartabia: procedimento che si svolge interamente davanti all’ufficiale dello stato civile con l’assistenza facoltativa dell’avvocato, non ci sono neanche più gli avvocati. L’accordo viene concluso davanti all’ufficiale di stato civile, e questo accordo a seconda dei casi o è subito efficace o lo diventa dopo un secondo appuntamento davanti all’ufficiale di stato civile. Se l ‘accordo è di modifica delle condizioni è sufficiente presentarsi una volta; se invece è di separazione o divorzio, l’ufficiale di stato civile deve invitare i coniugi a tornare dopo 30 gg per confermare la loro volontà di separarsi o divorziare. Dopodiché se i coniugi ricompaiono e confermano la loro volontà l’accordo diventa efficace, se invece almeno uno dei coniugi non si presenta o non conferma l’accordo viene posto nel nulla. Questo procedimento iper semplificato non si può utilizzare in presenza di figli minori e l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. Questa espressione ha dato luogo a incertezze interpretative perché ci si è chiesti se l’assegno di mantenimento fosse un patto di separazione patrimoniale? Se la risposta è sì il procedimento diventa molto meno utilizzabile perché viene utilizzato solo dalle coppie che non hanno figli minori e non hanno nemmeno esigenza di pattuire un assegno. Si è arrivati a concludere che l’accordo può contenere la pattuizione relativa all’assegno di mantenimento dell’altro coniuge sulla base di questo semplice argomento, l’art 12 dice che con questo procedimento si possono modificare le condizioni di separazione divorzio, ma visto che comunque questo procedimento non si può utilizzare in presenza di figli minori, quali sarebbero queste condizioni che si modificano? L’unica condizione che si può ipotizzare di modificare è quella che riguarda l’assegno. Questo procedimento è molto snello, non prevede l’assistenza obbligatoria dell’avvocato, ha costi irrisori e quindi questo è il procedimento che davvero ha ridotto il carico di lavoro dei tribunali. Riforma Cartabia La riforma in materia di famiglia è incisiva. Si andrà ad introdurre il rito della famiglia che sarà inserita nel secondo libro del codice di procedura civile. In più ci sarà anche una riforma ordinamentale. Questo intervento non è acceleratoria ma opera un riordino importante e opportuno visto che come si è visto il campo delle liti di famiglia presenta norme variegate contenute un po’ nel codice un po’ in leggi speciali, associazioni. Il giudice informerà le parti della possibilità della mediazione familiare. Non ci sono obblighi di mediazione in questo ambito. Tra gli ausiliari del giudice segnaliamo il coordinatore genitoriale e delle regole in materia di consulenza tecnica di ufficio. La legge delega prevede di regolamentare la consulenza tecnica psicologica, formando una lista degli esperti in materia per assicurare il rispetto di determinati standard qualitativi. Si è intervenuti così perché nel campo del contenzioso di famiglia alcune posizioni dei CTU sono problematiche perché danno luogo a contenzioso. O vanno oltre il mandato ricevuto o sottopongono al giudice dei punti di vista che si basano su tesi non accettate dalla comunità scientifica. La riforma cerca di assicurare maggiore standard qualitativo per la consulenza tecnica psicologica. Appello. La legge delega prevede che si introduca una autonoma regolamentazione per il giudizio d’appello. Si sa che cambierà la disciplina del reclamo contro il giudice tutelare: monocratica per quelli aventi contenuto patrimoniale gestorio e in composizione collegiale in tutti gli altri casi. Cosa succede della separazione consensuale e del divorzio a domanda congiunta? Dovrà introdursi un unico rito per separazione, divorzio e anche per l’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio con richiesta condivisa. Il rito sarà modellato su quello della separazione consensuale. E stessa cosa per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni. Attuazione delle misure. La legge delega, lettera ff, lettera ii, lettera ll. Stiamo di nuovo parlando di quella esecuzione che segue una corsia preferenziale )per le vie breve) che consente di ottenere direttamente dal terzo il versamento del necessario per i bisogni della famiglia. questo stesso riordino dovrà interesse anche il 709-ter (lettera mm). NEGOZIAZIONE – lezione 07/04/2022 Gli avvocati non fanno solo processi ma anche molte negoziazioni. La negoziazione è connaturata nell’attività dell’avvocato. A lungo gli avvocati hanno condotto trattative sempre avendo in mente il processo. Anche il linguaggio che gli avvocati usano per gestire le trattative è sempre avversariale. Poco a poco di è sviluppato uno stile proprio anche se fino a poco tempo fa non esisteva l’idea che la negoziazione fosse un qualcosa da imparare. Oggi invece imparare a negoziare è diventato fondamentale. È successo perché in molte parti del mondo il processo ha iniziato a mostrare i propri limiti: genera costi, dispendio di energie, è incerto rispetto al risultato, ha tempi lunghi. Crea difficoltà per le aziende e per i privati. Ciò ha portato a cercare sistemi diversi di risoluzione del conflitto che aiutino a costruire accordi. Si sono sviluppate delle soluzioni che hanno iniziato ad essere viste come sistemi per deflazionare il mondo del processo. C’è stato un incontro di interessi degli operatori che volevano risolvere i problemi delle persone e le istituzioni che seguirono la strada per risolvere l’ingolfamento del sistema giudiziario. Si tratta di metodi nati peraltro in modo del tutto naturale. Le norme in campo processuale sono la cornice: quello che ci sta all’interno è il lavoro di tutti i giorni. La negoziazione è il modo per arrivare all’accordo ed è poi la legge che mi dice come formalizzare l’accordo; separazione consensuale, negoziazione assistita, possibilità di andare davanti al sindaco. La negoziazione assistita prevede la competenza di negoziazione di cui la legge ci da la cornica ma il cui contenuto è competenza degli avvocati. Cosa vuol dire negoziare? L’idea di base è che per aiutare le parti a trovare un accordo non ci si può porre come ci si pine per aiutare le parti a litigare. S devono adottare dinamiche diverse evitando il conflitto. La negoziazione avversariale è quella ispirata alla dinamica del processo ! quando lavoro così costruirò delle accuso, negherò quello che ha detto controparte e creo un clima che facilmente genere l’escalation del conflitto. Questo metodo ha dei limiti: si trovano delle soluzioni un po’ limitate e alla fine si giunge sempre a processo. In tutto questo arriva la pratica collaborativa = tecniche per aiutare le parti e negoziare accordi meno sofferti. Negoziazione basata sugli interessi. Metodo di negoziazione più diffuso e praticato. Metodo nato ad Harvard. I 5 principi fondamentali sono: 1. Ascolto attivo. Noi di istinto in una discussione ascoltiamo l’altra parte solo per costruire la tesi contraria. L’ascolto deve diventare una cosa che aiuta la parte al fine di capire gli interessi delle parti 2. Distinzione fra gli interessi e le posizioni. Le posizioni sono la tesi e l’antitesi che non possono coesistere. Gli interessi che sono alla base possono essere più ampi e gestibili, attengono ai bisogni della persona. 3. Separare le persone dal problema. Quando conduco un processo l’altro è un nemico. Le mie difese vanno contro di lui in teoria, ma nella negoziazione basata sugli interessi se le parti non vanno d’accordo il problema è di tutti e due. Ci si deve concentrare assieme sul problema 4. Brainstorming. Capito il problema. Ascoltare le storie e ragionato sugli interessi delle parti, a quel punto ipotizziamo tutte le soluzioni possibili. Se ci si pone così i modi di risoluzione de, problema sono molti di più 5. Utilizzare criteri oggettivi. Le parti tendono a dare una visione soggettiva agli elementi che portano nel litigio. Laddove sia possibile avere un riferimento esterno lo devo portare nella trattativa. Si tratta sicuramente di un metodo contro intuitivo, perché è naturale che la trattativa ci renda difensivi. Significa sapere leggere il linguaggio verbale e corporeo e imparare a controllare il medesimo. L’obiettivo della negoziazione non è trovare un vincitore e un vinto ma una soluzione per tutti = win win. Si parla anche di negoziazione integrativa a confronto di quella distributiva del processo. Pratica collaborativa. È una applicazione specifica della negoziazione e nasce dall’idea di dire di creare intenzionalmente un clima di fiducia in cui si possa giungere ad una soluzione. Il presupposto è che NON si vada a processo e si lavori sulla base della buona fede, correttezza e trasparenza. Con il tempo il metodo è diventato multi disciplinare. Più cerchiamo un accordo più assolviamo alla funzione sociale dell’avvocato che mira alla costruzione di un equilibrio sociale. Si deve sempre mantenere l’oralità per tutelare la riservatezza delle parti. Se le parti finiscono a processo non devono temere che quanto detto in fase di negoziazione possa essere usato contro di loro. ESECUZIONE FORZATA L’esecuzione forzata è disciplinata nel III libro del codice civile ed è un punto dolente del nostro sistema. È inefficiente anche per ragioni che esulano dalla organizzazione del servizio di giustizia. L’espropriazione forzata ha delle difficoltà dovute alle problematiche del mercato. Fatta questa premessa si può dire che l’esecuzione forzata serve a far ottenere materialmente e coattivamente al titolare di un diritto ciò che gli spetta. Per attuare materialmente e coattivamente i diritti può darsi che sia necessario fare uso della forza. Tizio deve andarsi dall’immobile che gli ho dato in locazione, qualcuno gli chiederà di andarsene ma l’estrema ratio è che verrà rimosso di peso. Questo ovviamente è un passaggio delicato e il legislatore è prudente nel concedere la tutela esecutiva, in alcuni campi più che in altri. Il massimo della prudenza sta nella liberazione degli immobili. Ci va cautela da parte del legislatore. Una cautela generalizzata è quella di concedere l’accesso a questa tutela quando è sufficientemente certo che il creditore ha ragione. Come si fa ad avere sufficiente certezza che il creditore sia creditore? Occorre che io disponga di un titolo per procedere all’esecuzione forzata inteso come un documento dal quale risulta che ho diritto a quella prestazione. Il grado di certezza è variabile e in alcuni casi è basso. Si capisce che la scelta del legislatore è di opportunità. Capiamo così anche il rapporto tra la tutela esecutiva e la tutela dichiarativa = non è indispensabile ricorrere prima per forza alla dichiarativa per procurarsi un titolo esecutivo. Non si può dire che cronologicamente venga sempre prima la dichiarativa e poi l’esecutiva. (Es. sono creditore, ricorro all’ingiunzione, ottengo decreto ingiuntivo esecutivo, siamo nel processo di cognizione e poi faccio ricorso alla tutela esecutiva ! qui la dichiarativa viene prima dell’esecutiva). Non significa che non si sceglie la tutela dichiarativa in primis questa sia preclusa, ma vuole solo dire che questa viene chiesta in corso di processo. ART.24 della Cost. e l’ART.6 della CEDU garantiscono anche l’accesso alla tutela esecutiva. Forme dell’esecuzione forzata. Distinguiamo tra esecuzione diretta e indiretta. La diretta si ha quando c’è un progetto pubblico, che chiamiamo ordine esecutivo, che si sostituisce all’inadempiente e pine in essere le attività che questi avrebbe dovuto svolgere. La diretta per sua natura è possibile solo se l’obbligo è fungibile (= non mi interessa chi adempie). Attenzione: cosa fungibile è diverso da obbligo fungibile. Se l’obbligo fosse infungibile non sarebbe possibile. Come si ottiene l’esecuzione diretta? Di regola avviene per equivalente = i beni del debitore vengono espropriati e il creditore ricevere denaro. Questa si chiama esecuzione per espropriazione e si fa quando il debito è in denaro. L’esecuzione diretta in forma specifica si ha quando il titolare ottiene esattamente quello che gli spetta (es. buttare giù il muro). L’esecuzione indiretta sia ha quando l’obbligato è indotto ad adempiere sotto sanzioni, che possono essere civili o penali. In Italia raramente si viene assoggettati a sanzioni penali. La indiretta non è utile solo quando la diretta è impossibile ma è necessaria anche in una gamma di casi in cui la diretta è possibile ma concretamente non funziona. La possibilità di impiegare le misure è stata estesa. L’esecuzione indiretta ha pro e contro. Sicuramente esistono dei limiti: causa lavoro ulteriore per gli uffici giudiziali, ci sono poi dei casi in cui comunque con misure civili funziona poco (persona molto ricca che non se ne fa nulla delle sanzioni civili), e poi queste sanzioni non sono un mero indennizzo per il danno che subisce il creditore ma hanno funzione deterrente e sono vere e proprie pene… ma il danneggiato non dovrebbe potersi arricchire. Ovviamente queste misure sono strumentali alla tutela del diritto e non fini a se stesse. Se emergesse che il diritto non esistesse l’inadempiente non deve essere sanzionato. L’esecuzione forzata si svolge ad impulso di parte e su domanda di parte. E’ il creditore che decide di ricorrervi e anche a quale tipo ricorrere. Per compiere questa scelta si deve chiedere all’organo esecutivo di procedere. In particolare l’esecuzione forzata viene richiesta direttamente all’ufficiale giudiziario anche solo verbalmente e il giudice subentra poi in un secondo momento. Prima di procedere ad esecuzione forzata si deve avvertire il debitore dandogli un’ultima occasione per compiere quanto serve. Le parti sono creditore e debitore e questa è l’unica terminologia possibile. L’esecuzione forzata non serve a capire chi ha ragione o meno ma a far avere al creditore ciò che gli spetta. Si parte dal presupposto che il creditore abbia ragione. Se il debitore ritiene che il diritto non esista allora si inizia un procedimento ‘satellite’ in cui può contestare questo aprendosi una sorta di parentesi di cognizione. Concentriamoci sul titolo esecutivo. Il diritto di procedere ad esecuzione forzata è attestato da un titolo esecutivo. Ci occupiamo del titolo esecutivo sotto due punti di vista: Documentale e sostanziale. Sostanziale ! diritto a procedere ad esecuzione forzata. Si tratta di fattispecie tassative. La legge stabilisce in quali casi si dispone di un titolo esecutivo. I titoli esecutivi più importanti sono elencati nel codice. ART.474 cpc. Queste norme delineano un titolo esecutivo. Chi dispone di un titolo esecutivo può ricorrere all’esecuzione forzata, si tratta di condizione necessaria e sufficiente. Chi dispone del diritto a procedere ad esecuzione forzata intraprende legittimamente l’esecuzione. questo non significa che l’esecuzione forzata sia giusta, perché serve a tutelare un diritto sostanziale sottostante. Questo diritto potrebbe anche non esserci: l’esecuzione potrebbe essere legittima ma ingiusta. Ad esempio la sentenza di primo grado è titolo esecutivo, ma la stessa è ancora impugnabile. ART.474. afferma che l’esecuzione forzata può aversi solo con titolo esecutivo per diritto certo liquido ed esigibile. Chiaro significa che dal titolo deve risultare chiaramente il comportamento da tenere. ‘x deve fare tutto quanto necessario’ = non è certo. La somma di denaro deve essere determinata o facilmente determinabile sulla base di calcoli matematici. Viceversa, la sentenza di condanna generica ‘x ha danneggiato y e deve risarcire il danno che mi riservo di determinare’ = no esecuzione forzata. Il diritto deve essere esigibile: se c’è un termine questo deve essere scaduto. Es. licenza per finita locazione prima della scadenza. Ci sono dei casi in cui il titolo richiede il versamento di una cauzione (es. provvisorietà esecutività del decreto ingiuntivo). non può negare una misura sulla sola base del vizio. Occorre che sia la contro parte a rilevare il vizio. Secondo una opinion d’ufficio per esempio non si può nemmeno rilevare che il titolo non esiste più. Secondo altra opinione si sostiene che almeno l’inesistenza totale possa essere rilevata d’ufficio. Secondo questo ultimo se il giudice non controllo o controlla male si può denunciare opposizione per dire che il controllo è stato fatto male. Questo determina maggiori oneri a carico del debitore. Il diritto di difesa è rispettato qui così come il principio del contraddittorio anche se qui molti sostengono che abbia portata sui generis. Il principio garantisce che creditore e debitorie possano in condizioni di parità partecipare all’attività che il giudice compie per stabilire quali misure adottare. I processo esecutivo è caratterizzato da libertà di forme. molte domande sono proposte oralmente in udienza o con ricorso. Il giudice nell’esecutivo non pronuncia sentenza (tipico provvedimento che fornisce tutela dichiarativa) ma delle ordinanze o dei decreti quando provvede in assenza di contraddittorio. Queste saranno modificabili dal giudice fino a quando non siano state eseguite. Non c’è contumacia perché nell’esecuzione forzata ha interesse al procedimento solo una parte, ovvero il creditore. Conseguenza: l’inerzia del debitore non ha conseguenze. Il creditore non può restare inerte e se non compie gli atti che deve allora il processo si estingue. È necessario, quando l’esecuzione inizia, che il creditore si faccia assistere da avvocato. Il debitore nei fatti non è tenuto, ma se decide di prendere parte attiva al processo necessità anche lui del difensore. Il processo esecutivo comporta spese, molto significative. Tutte le spese sono addossate all’esecutato. L’entità dipende dal tipo di esecuzione, nel caso per esempio di espropriazione immobiliare si tratta di un processo molto costoso. In prima battuta sono sostenute dal creditore e poi sono addossate all’esecutato. Si tratta di una previsione basata sulla base del principio di causalità = vanno a carico di chi ha reso necessario il ricorso alla tutela esecutiva. Giudice. Chi è il giudice dell’esecuzione? Il tribunale. Dal momento che il carico sui tribunali è notevole, si sono attuate delle scelte utili a ridurre la pressione sui tribunali. Un ambito è quello dell’espropriazione forzata degli immobili ove il tribunale può ampiamente delegare a dei professionisti che fanno le veci del tribunale per gran parte. si è immaginato di attribuire al giudice di pace competenza in materia esecutiva per espropriazione di beni mobili. L’entrata in vigore è stata differita e si ritiene che il legislatore non voglia davvero farlo. Territoriale. Sul piano territoriale a chi ci si rivolge? ➢ Mobili e immobili ! luogo dove si trova la cosa ➢ Autoveicoli ! residenza, domicilio, dimora o sede del debitore ➢ Fare e non fare ! luogo ove l’obbligo va adempiuto ➢ Crediti ! importantissima perché è quella che funziona meglio. Con essa si ottiene che il debitore del proprio debitore ci paghi anziché pagare il debitore. I debitori dei debitori possono essere ovunque (es. datore di lavoro, banche) e un tempo si guardava alla sede del terzo debitore il che rendeva l’esecuzione disagevole perché il creditore doveva fare molte esecuzioni forzate. Ora si guarda alla residenza, dimora o sede del debitore se non è una PA. ➢ Se è debitore la PA. Se il debitore è la PA si guarda alla sede dell’avvocatura dello stato nel cui distretto risiede il debitore. La competenza territoriale è inderogabile e può essere rilevata anche dall’ufficiale giudiziario. Queste regole sono regole che riguardano la competenza per l’esecuzione e non sono quelle che riguardano la competenza per le opposizioni in materia esecutiva. Per le opposizioni si guarda anche al valore, ragion per cui le opposizioni possono essere decise dal giudice di pace, questo sul piano verticale. Non c’è disallineamento sul piano orizzontale perché sul piano territoriale si deve svolgere opposizione davanti al giudice competente per l’esecuzione. ESPROPRIAZIONE FORZATA Ci siamo detti che è la tipologia di esecuzione cui si fa ricorso più spesso e serve quando il creditore ha diritto di ottenere una somma di danaro. È una esecuzione per equivalente = si cercano dei beni, li si vende e viene consegnato il ricavato al creditore. Qui il creditore non ‘si prende’ i beni del debitore, ma prende il ricavato. Non è escluso che possa prendere i beni in natura. Questa consegna in natura detta assegnazione che può avvenire solo a certe condizioni e solo se il creditore vuole. In sostanza lo Stato sta dicendo che offre un servizio al creditore, ovvero di liquidare il patrimonio del debitore senza obbligare il creditore a prendersi i beni. Infatti il creditore non espropria i beni del debitore ma li fa espropriare. Abbiamo un rapporto a tre lati: creditore si rivolge allo Stato, lo Stato quando riceve la richiesta esercita un potere nei confronti del debitore e lo assoggetta a espropriazione. Come si svolge espropriazione? Si articola di regola in tre fasi: 1. Pignoramento. Si individuano i beni da assoggettare a espropriazione. Questi vengono vincolati affinché non siano più sottratti; 2. Vendita. Individuati e pignorati i beni si richiede che questi siano venduti. Questa fase è più o meno agevole a seconda del bene e del momento. La fase si chiude nella trasformazione dei beni in danaro; 3. Distribuzione. Il danaro ricavato dalla vendita viene dato a chi ha diritto di riceverlo. La distribuzione è semplice quando abbiamo un creditore e un debitore. Quando sono di più, tutti hanno i propri diritti da tutelare. Lì si deve stabilire a chi dare il ricavato della vendita, se si deve pagare prima qualcuno e poi si deve avere cura di trattare le persone che si trovano nella stessa situazione di privilegio allo stesso modo = parcondicio. Le regole da seguire nell’espropriazioni variano a seconda del tipo di bene da espropriare. Ci sono delle regole per i mobili, immobili e crediti. Ci sono poi delle ulteriori regole da osservare in alcuni casi particolari e si combinano con le precedenti: se i beni sono in comunione ci sono delle regole in più. Poi ci sono delle regole ancora ulteriori se i beni non sono di proprietà del debitore, in quei casi in cui si può aggredire il bene di un altro se qualcuno non adempie (es. ipoteca). Pignoramento. Il pignoramento è l’atto che segna l’inizio dell’esecuzione forzata per espropriazione. È il primo atto. Serve ad evitare che il bene venga sottratto alla garanzia del credito e per ottenere questo risultato occorre che le forme del pignoramento si adattino al tipo di bene da pignorare e alle regole sulla circolazione di quella tipologia di beni. Il pignoramento andrà trascritto seguendo al regola prevista per i beni immobili (per i mobili invece vale la regola del possesso vale titolo). Aldilà delle caratteristiche singolari del pignoramento per le varie tipologie di beni iniziamo ad esaminare l’ART.492 ! le regole comuni a tutte le forme di pignoramento sono enunciate qui. È un atto dell’ufficiale giudiziario che lo compie non di sua iniziativa ma su istanza del creditore. Ingiurrà il debitore di astenersi da qualsiasi atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni e i frutti. Si invita poi il debitore a depositare in cancelleria la dichiarazione di residenza: questo è un primo indice per capire se il debitore vuole prendere parte attiva all’espropriazione o meno. Se la dichiarazione manca, le eventuali notifiche si possono eseguire presso la cancelleria. Deve poi avvisare il debitore che può chiedere la conversione del pignoramento, con cui si chiede di sostituire del danaro alle cose che sono state pignorate. Se il debitore ha il denaro necessario allora perchè arrivare fino a farsi pignorare il bene? In linea di massima infatti non ce l’ha ma attraverso la conversione cerca di versarla a rate: l’istanza di conversione va depositata in cancelleria e assieme ad essa si deposita 1/6 del danaro che soddisferebbe il credito. Il giudice poi determina esattamente quanto dovuto dal debitore e gli da un termine per procedere al saldo. Se versa il dovuto, anche a rate, i beni pignorati sono liberati. Se invece il pagamento non avviene e il debitore smette di versare, l’espropriazione dovrà procedere e gli acconti versati saranno dati a favore dei creditori. Di tanto in tanto il legislatore interviene in questo campo stabilendo delle agevolazioni per i debitori, come le proroghe per il versamento delle rate in tempi di Covid. Può darsi che i beni appiano insufficienti per soddisfare i creditori. In questi casi l’ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni pignorabili, dove si trovano o chi sono i terzi debitori laddove il debitore primo dichiari l’esistenza non di beni ma di crediti. Questa richiesta è significativa oggi perché l’omessa o la falsa dichiarazione sono sanzionate penalmente. Come fa l’ufficiale giudiziario a invitare il debitore a dichiarare l’esistenza di altri beni? Il pignoramento mobiliare si esegue con accesso diretto dell’ufficiale giudiziario al luogo in cui i beni si trovano. Al di fuori del caso del pignoramento mobiliare non c’è contatto tra ufficiale e debitore. Alcuni autori sostengono che in questi casi l’ufficiale giudiziario non può rivolgere l’invito al debitore il che depotenzia molto l’istituto: l’invito è uno strumento efficace e diventa utilizzabile solo con il pignoramento mobiliare che è molto inefficace invece come pignoramento. Altri sostengono che invece questo istituto dell’invito possa utilizzarsi anche con altre tipologie di pignoramento su richiesta del creditore. È una soluzione in astratto preferibile e in concreto difficile da attuare nel senso che implica molto più lavoro per l’ufficiale giudiziario. Cosa succede se il debitore risponde positivamente e indica altri beni aggredibili? Se il debitore dichiara l’esistenza di cose mobili aggredibili, questo si considerano immediatamente pignorate e l’ufficiale deve impadronirsene subito. Se il debitore invece dice di essere proprietario di un immobile l’ufficiale lo dice al creditore che deve predisporre l’atto di pignoramento e fare sì che questo venga trascritto. Dalla trascrizione l’immobile si considera pignorato. Se invece dice di essere titolare di un credito si deve predisporre un atto da notificare al debitore del debitore. il debitore diventa custode qualora il terzo adempia prima della notifica: non può disporne ma deve conservarlo in attesa delle indicazioni del giudice. ART.492 consente al creditore che ha ottenuto il pignoramento qualora intervengano altri creditori di chiedere all’ufficiale giudiziario di rivolgere agli altri creditori l’invito. Questo fa sorgere per il creditore che per primo ha chiesto pignoramento l’interesse ad individuare altri beni aggredibili. Se questo succede si consente a questo creditore di interpellare il debitore e chiedergli se ci sono altri beni da aggredire. Ultima possibilità è quella di chiedere all’ufficiale giudiziario facendosi carico dei costi di invitare il debitore qualora sia un imprenditore di indicare dove stanno le scritture contabili per farle esaminare da un professionista e vedere se magari indicano altri beni e crediti. È chiaro che ci sono dei beni migliori di altri per l’espropriazione forzata: la forma più conveniente per il creditore è quella di crediti perché con essa il creditore ottiene che un soggetto solvibile paghi direttamente il creditore in luogo dell’esecutato. Altre forme sono meno sicure e paganti: i mobili ad esempio creano difficoltà perché è difficile trovare beni di valore e gli immobili sono molto costosi. Chi sceglie cosa espropriare? Il creditore sceglie se richiedere un pignoramento mobiliare, immobiliare oppure presso terzi. In questa dinamica i beni più facili da individuare sono gli immobili che non ‘scappano’. Questo fa capire perché la giurisprudenza sia favorevole a riconoscere il sequestro conservativo laddove il possibile debitore sta cercando di vendere i suoi beni immobili. Per i crediti fino a non molti anni fa l’individuazione dei possibili crediti era assai difficoltosa. Nel 2014 si è introdotta la ricerca telematica dei beni da pignorare, strumento con cui si può chiedere di analizzare le banche dati pubbliche per cercare beni o crediti aggredibili. La novità è significativa per i crediti perché tra queste banche dati ce ne è una, non liberamente accessibile, ovvero l’anagrafe dei rapporti finanziari ! in questo modo si può immediatamente capire quali sono tutti i rapporti di tipo bancario che ha il debitore. Unico difetto: l’ART.492 prevede di chiedere l’autorizzazione al presidente del tribunale del luogo di residenza del debitore per accedervi. Quali sono gli effetti del pignoramento? Riguardano sia l’espropriazione forzata sia le esecuzioni concorsuali (es. fallimento). Le regole in materia di effetti del pignoramento sono volte a prevenire due rischi: materiale e giuridico (che circoli e venga sottratto alla garanzia). Come prevenirli: ART.2912 afferma che il pignoramento si estende anche a frutti, accessori e pertinenze. Il bene pignorato è affidato ad un custode che deve amministrare il bene stesso nell’interesse dei creditori. In alcuni casi il custode può essere il debitore stesso che viene comunque spossessato. Gli atti di disposizione del bene sono inefficaci ! regola apparentemente semplice ma che necessita di riflessione. ART.2913 dice che gli atti di disposizione del bene sono inefficaci nei confronti di alcuni soggetti, e non dice che sono nulli. Si tratta di una differenza importante: atto nullo significa che non produce effetti in assoluto, se è inefficace significa che è valido ed efficace salvo che nei confronti di alcuni. Quindi, se mi viene pignorato un immobile posso venderlo? Si, ma la vendita è inefficace nei confronti di quelli di cui all’ART.2913. Per questi soggetti cosa significa che l’atto è inefficace? Due risposte possibili: la tesi prevalente è che il debitore può vendere l’immobile ma per questi soggetti è come se non lo avessi mai venduto. La tesi minoritaria è che l’inefficacia sia processuale, ovvero che l’atto di disposizione è inefficace nel senso che il bene che vendo a Tizio diventa suo per tutti, ma i soggetti sono legittimati ad aggredire il bene benché sia di Tizio, un po’ come se fosse ipotecato. Secondo questa tesi se X vende a Y un immobile pignorato, l’immobile diventa di Y per tutti anche per il creditore che ha eseguito il pignoramento. Per la tesi prevalente invece se è X che vende a Y per il creditore che ha eseguito l’immobile non è mai di Y ma sempre di X. L’assegnazione può essere satisfattiva (creditore diventa proprietario del bene e il suo credito si estingue o si riduce) oppure l’assegnazione risulta in forma di vendita laddove il valore del bene sia superiore al creditor con conseguente distribuzione del ricavato di avanzo: questo andrà a beneficio degli altri creditori oppure del debitore se non ce ne sono. La vendita ha modalità differenti a seconda del bene espropriato. Può avvenire con incanto (=all’asta) oppure senza incanto. I beni mobili possono anche essere venduti tramite concessionario e se nessuno lo compra si riduce il prezzo. Ci sono varie procedure che stabiliscono chi si aggiudica il bene e l’aggiudicatario deve pagare il dovuto. Se non lo fa il bene viene rivenduto a suo danno: si rimette in vendita, se però dalla seconda vendita si ricava di meno la differenza ce la mette l’aggiudicatario resosi inadempiente. Il giudice dell’esecuzione può disporre la chiusura anticipata dell’esecuzione quando non risulta possibile a suo parere conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori. Nell’espropriazione forzata chiaramente il creditore procedente deve anticipare tutte le spese quindi non è giusto che il giudice dell’esecuzione chiuda il procedimento benché ci sia un creditore che è disposto a pagare per andare avanti, la scelta andrebbe rimessa al creditore. La norma è stata criticata ma in realtà questo 164-bis si basa su una esigenza pubblicistica: l’esistenza di una irragionevole esecuzione forzata non va solo a danno dei creditori ma anche per il sistema della giustizia nel complesso. Effetti della vendita forzata. Il bene viene trasferito a titolo derivativo all’acquirente. Non si acquista a titolo originario però all’acquirente non sono opponibili i diritti di terzi che non sono opponibili al pignorante e agli intervenuti. Ci sono dei rischi dell’acquistare in espropriazione forzata e cioè che la vendita forzata avviene senza garanzia per i vizi, ART.2992 cc. La giurisprudenza fa però salva la possibilità per l’acquirente di far valere le pretese fondate sull’acquisto dell’aliud pro alio = bene talmente diverso da quello promesso da non essere in grado di soddisfare la sua funzione socio economica. Non è ammessa impugnazione per causa di lesione e queste stesse norme si applicano sia alla vendita che all’assegnazione. Ultima cosa che vediamo su vendita e assegnazione è che esiste una salvaguardia per l’acquirente da azioni che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione che non hanno effetto nei confronti dell’acquirente o dell’assegnatario, fatta salva la collusione con il creditore procedente, ART.292 cc. Ultima fase – distribuire il ricavato Viene distribuito il prezzo e eventuali rendite della cosa pignorata. Poi ci può essere il risarcimento del danno da parte dell’aggiudicatario. Poi ci può essere un conguaglio in caso di assegnazione. Come avviene la distribuzione? Si deve seguire un ordine: per prima cosa vanno pagate le spese di procedura. Poi si devono pagare i creditori muniti di prelazione. I creditori nello stesso grado partecipano alla distribuzione proporzionalmente. Poi si pagano i chirografari e poi quelli tardivi. Se avanza qualcosa ritorna al debitore. come si distribuisce? In pase al piano. Se vi sono contrasti sorge una controversia distributiva che può comportare la necessità di sospendere. La controversia distributiva può riguardare l’an, il quantum, o l’esistenza della prelazione. Fino al 2006 in caso di controversia si doveva instaurare un ordinario giudizio di cognizione che si concludeva con sentenza idonea al giudicato. Oggi le cose sono diverse: il giudice dell’esecuzione sente le parti, istruisce sommariamente la questione e decide con ordinanza impugnabile con opposizione. Questa scelta del 2006 ha dato luogo a dei dubbi: 1. Se non ci sono contestazioni, il debitore può riprendersi i soldi dai creditori che se li sono visti versare in sede di distribuzione? L’opinione prevalente è che il debitore non contesti avrebbe lo stesso valore del giudicato. Parte minoritaria dice che se il debitore paga spontaneamente, l’ordinamento gli riconosce tutela? Si, può agire nella ripetizione dell’indebito. Ma alla luce di ciò, come è possibile che trattiamo peggio chi paga forzosamente. 2. Se la contestazione c’è la decisione del giudice presa a seguito dell’opposizione agli atti esecutivi vale al di fuori del processo esecutivo? Il fatto che ci sia una decisione del giudice con opposizione agli atti esecutivi e non una decisione con sentenza, quindi strutturalmente volta a risolvere un problema, una controversia endo esecutiva, fa pensare che il provvedimento reso per risolvere controversia distributiva sia efficace solo all’interno dell’esecuzione stessa. Non c’è giudicato spendibile in altri processi. C’è chi è di diverso avviso e per questo sostiene che la sentenza sia appellabile. La giurisprudenza aderisce a questa tesi minoritaria. Aderire a questo orientamento ha effetti deflattivi del contenzioso. 3. Se un creditore non dice niente in sede distributiva, può poi, fuori dall’esecutivo, fare valere errori di distribuzione? Non ci sono regole che consentono di contestare gli esiti del riparto e quindi tutti sono d’accordo nel dire che se i due creditori che hanno partecipato non fanno valere le loro pretese distributive non possono agire uno contro l’altro per ottenere versamento dell’eccedenza. Singole forme di espropriazione forzata – Mobiliare Il pignoramento di regola viene chiesto oralmente. L’ug va a casa del debitore o in altri luoghi e può cercare anche sulla persona del debitore dei beni pignorabili. Con questo si possono pignorare anche cose mobili di cui il debitore ha disponibilità diretta sia pur chiedendo prima autorizzazione del giudice. Sono beni che il debitore può sempre prendere senza controllo: es. cassetta di sicurezza in banca. Chiaramente si devono pignorare cose che siano del debitore e a tal fine si presume che ciò che sta a casa del debitore o in luogo suo riferibile sia suo. Intanto lui pignora ma può darsi che in corso di esecuzione si faccia avanti un terzo che vanta diritto di proprietà su un bene. Se succede questo nasce una controversia è diversa ed è una opposizione di terzo all’esecuzione. Non tutti i mobili sono pignorabili: c’è tutta una lista. Alcuni beni sono pignorabili solo in una certa misura come ad esempio i beni indispensabili per l’esercizio di una professione nel limite di un quinto. Si deve seguire un ordine nella scelta delle cose da pignorare e privilegiare ciò che è di più facile pignoramento: denaro, beni preziosi e titolo di credito. Le cose pignorate vanne descritte dall’ug e vanno stimate. Volendo il creditore può chiedere la presenza di uno stimatore. Le cose che vengono individuate sono messe in custodia. Il debitore non può essere custode delle cose mobili senza il consenso del creditore e viceversa. Proposta l’istanza di vendita il giudice dispone la vendita con o senza incanto. Se questa fallisce il prezzo si ribassa di un quinto e se ne tenta una nuova. La distribuzione è semplificata: i creditori concordano un paino e lo sottopongono al giudice che sente il debitore e se tutto va bene si procede alla distribuzione amichevole. Se i creditori non si mettono d’accordo il giudice predispone il piano e lo sottopone ai creditori. Singole forme di espropriazione forzata – Di autoveicoli Segue le regole della mobiliare ma si tratta di mobili registrati e quindi occorre trascrivere il pignoramento nei pubblici registri. Un tempo era molto difficile perché si faceva con le stesse forme della mobiliare che necessita che l’ug si impadronisca della cosa. Alcuni anni fa si è introdotto il 521-bis che facilita la vita ai creditori che possono notificare il pignoramento e trascriverlo. Poi si deve trovare il veicolo, ma intanto è pignorato. Il debitore deve consegnarlo entro 10 gg. Se non lo fa e venisse fermato la polizia se la prende e la consegna lei. Il termine per proporre istanza di vendita decorre da quanto il veicolo è consegnato all’istituto. Singole forme di espropriazione forzata – Presso terzi o di crediti Riguarda non solo il credito. Il pignoramento si esegue di nuovo notificando un atto come per gli autoveicoli, ma deve essere notificato non solo al debitore ma anche al terzo. Questo atto di pignoramento oltre agli elementi del pignoramento deve indicare: il credito per cui si procede, il titolo esecutivo deve essere individuato e gli estremi dell’atto di precetto, le cose che secondo me creditore sono dovute dal terzo anche genericamente con l’intimazione di non disporne senza ordine del giudice, dichiarazione di residenza o domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente e infine la citazione al debitore a comparire davanti al giudice e al terzo affinché comunichi entro 10 gg al creditore che cosa deve. Il terzo va avvisato che se non rende la dichiarazione il giudice fisserà nuova udienza per sentire che cosa abbia da dire il terzo. Ma il terzo va avvisato che, se non rende dichiarazione prima dell’udienza verrà fissata udienza fissata ad hoc. In tale udienza se il terzo non compare (…) Dal momento della notificazione il terzo è custode e l’adempimento non è liberatorio. Quindi cosa può succedere qui: che il terzo dichiara e la dichiarazione non sia contestata. Qui il giudice assegna il creditore. Potrebbe essere che il terzo non renda dichiarazione e si fissa udienza ad hoc. Può essere poi che il terzo dichiari e la dichiarazione sia contestata. Se la dichiarazione è resa con lettera il giudice fissa udienza, se invece è resa in udienza si deve risolvere la controversia. Notificato l’atto di pignoramento il creditore lo deposita in cancelleria con i documenti e si tiene l’udienza in cui è stato citato a comparire il debitore e va esaminata la dichiarazione del terzo. Nella dichiarazione si indica il debito, se ci sono delle cessioni, se sono già stati eseguiti dei pignoramenti. Perché? I crediti non sono tutti pignorabili e nella stessa misura, ma si tutela il debitore da eccessivi pignoramenti che lo metterebbero in condizione di non sopravvivere. Quali sono i limiti? I crediti alimentari sono impignorabili tranne che per soddisfare altri crediti alimentari, gli stipendi solo entro il 5 (anche di più se ci sono obblighi alimentari e in ogni caso non oltre la metà), anche per le pensioni ci sono dei limiti quantitativi. Lo Stato si è dato dei limiti maggiori. Questa è la ragione per cui il terzo deve dichiarare tutto essendo che si deve stare attenti a non superare i limiti. Cosa succede del credito? Se è scaduto o esigibile entro 90 gg il credito è assegnato al creditore pro solvendo. Se il credito scadrà tra più di 90 gg è assegnato ai creditori se vogliono altrimenti è venduto pro soluto. L’ordinanza di assegnazione del credito è titolo esecutivo contro il terzo debitore. cosa succede se il terzo non rende la dichiarazione? Ulteriore udienza e se ancora non dichiara il credito si considera non contestato. Ha ancora una possibilità di tutela con opposizione agli atti se prova che per caso fortuito o di forza maggiore non ha avuto contezza dell’esecuzione. Se la dichiarazione invece viene contestata il giudice su istanza di parte compie i necessari accertamenti in contraddittorio fra le parti e con il terzo e poi pronuncia una ordinanza. Questa produce effetti ai fini del procedimento in corso che vuol dire che non ha effetti in altri processi e non è idonea a regolare definitivamente i rapporti fra le parti. Singole forme di espropriazione forzata – Immobiliare È particolarmente lunga e costosa ma spesso è l’unica possibile perché gli immobili sono facilmente individuabili e il creditore è ‘costretto’ ad aggredire questi beni. Come si fa ad eseguire il pignoramento immobiliare? Notificando un atto scritto da parte dell’ufficiale giudiziario, consegnato anche al conservatore ai fini della trascrizione. L’atto di pignoramento deve indicare gli estremi dell’immobile in modo da rendere possibile la trascrizione. Al momento del pignoramento il debitore è costituito custode del bene, senza compenso. Quindi il debitore diventa onerato a conservare il bene in buono stato e a fare tutto quanto necessario perché il bene non venga sottratto alla garanzia del credito. Deve anche custodire frutti e accessori eventualmente. È possibile nominare un altro custode: occorre che la sostituzione sia chiesta dal creditore e in questo caso il giudice deve sostituire il debitore come custode se l’immobile non è occupato dal debitore stesso, se è da lui occupato la scelta della sostituzione è discrezionale. Se il debitore viene meno ai suoi obblighi la sostituzione è indispensabile. L’ordinanza con cui il giudice sostituisce il custode ai sensi dell’ART.559 non è impugnabile. Per alcuni significa che non si può lamentare alcune errore commesso dal giudice nel prendere questi provvedimenti sulla custodia, altri sostengono che voglia dire che non è possibile contestare nel merito l’opportunità della decisione del giudice ma è possibile proporre opposizione per ragioni formali (es. il giudice ha pronunciato senza avere il potere di farlo). Si evince che c’è una possibile tensione tra creditore e debitore in merito all’identità del custode e se l’immobile è abitato dal debitore c’è una preferenza per fa coincidere la posizione del debitore con il custode. Perchè il debitore dovrebbe avere interesse alla custodia e quali sono le ragioni per cui il creditore potrebbe preferire custode diverso? Le regole tese a tutelare il creditore tengono conto del fatto che molti esecutati si vedono tolta l’abitazione. Viceversa il creditore potrebbe volere qualcun altro perché c’è il rischio che il debitore faccia resistenza passiva, creando ostacoli e ritardi per far giungere l’espropriazione a compimento il più tardi possibile. Invece il debitore dovrebbe, non solo conservare l’integrità dell’immobile vigilare su di esso ma anche ad esempio far visitare l’immobile a potenziali acquirenti e facilitare l’acquisto. L’AR.T560 consapevole che questo sia un punto critico, afferma che se il debitore non consente diligentemente di far visitare l’immobile il giudice deve ordinarne l’immediata liberazione. Attenzione: La custodia dell’immobile e l’occupazione sono diversi. Il custode ha i compiti di gli stessi poteri e doveri del debitore. nel caso in cui l’espropriazione contro il terzo sia intrapresa perché ul bene è ipotecato il terzo può pagare e surrogarsi ex lege, chiedere la liberazione del bene dell’ipoteca o rilasciare il bene ai creditori. Il terzo proprietario può difendersi come se fosse debitore MA nell’esecuzione può fare valere sia delle difese cd ex causa debitoris (=al posto del debitore) che ex causa propria. Esecuzione in forma specifica (in vista del workshop) Serve ad ottenere esattamente quello che gli spetta, non un equivalente ma esattamente la cosa. Ci sono varie forme di esecuzione in forma specifica: per consegna (mobili), per rilascio (immobili) e degli obblighi di fare e on fare (per tutto ciò che non è consegna o rilascio). L’esecuzione in forma specifica non è ammessa sempre ma solo a fronte dell’inadempimento di questi obblighi. Il ricorso all’esecuzione in forma specifica nella maggior parte dei casi si basa a monte su una scelta discrezionale del creditore ! il creditore, spesso, può scegliere se chiedere un provvedimento del giudice che gli consente di accedere all’esecuzione in forma specifica oppure un diverso provvedimento per accedere all’esecuzione per espropriazione. Esecuzione in forma specifica: per consegna e rilascio Serve per ottenere l’adempimento dell’obbligo di consegnare una cosa determinata oppure il rilascio di un bene immobile. Cosa potrebbe succedere se fosse consentita l’esecuzione per consegna di denaro? Che il creditore utilizzerebbe questa forma di consegna, sostenendo che gli spettano proprio quei soldi, ed otterremmo che l’ufficiale giudiziario in quel modo si impadronisca della somma e la dia interamente a cui. Questo non va bene perché si violerebbe il principio della parcondicio creditorum. Con l’esecuzione per consegna e rilascio si ottiene che venga modificato il potere di fatto sulla cosa, il bene è nella mia disponibilità, ma non si modifica la titolarità dei diritti sulla cosa. Esempio, se io ottengo il rilascio dell’immobile perché il conduttore non paga il canone, l’esecuzione per rilascio non altera la titolarità del diritto sull’immobile, ma lo rimette nelle mie mani. Viceversa, se un bene immobile viene espropriato non viene solo modificato il potere di fatto sul bene, ma anche la titolarità del diritto di proprietà perché essa passa all’acquirente. Ricordiamo che l’esecuzione per consegna e rilascio, in particolare la seconda, è considerata socialmente delicata e il legislatore è un po’ più prudente nel concederla, consente questa tipologia di esecuzione solo per i titoli giudiziali ed atto pubblico, non con semplice scritta privata autenticata. Nel precetto bisogna indicare i beni da consegnare o rilasciare, e se il titolo indica un termine, il precetto va intimato facendo riferimento a questo termine. Decorso il termine indicato, l’ufficiale giudiziario se deve eseguire per consegna, si reca nel luogo in cui le cose si trovino, le cerca, le prende e le consegna al creditore o suo delegato. L’art 606 richiama l’art 513 (norme sull’esecuzione forzata), questo richiamo è considerato riferito alla possibilità di vincere la resistenza del debitore (se il del non vuole fare entrare in casa l’ufficiale giudiziario che dovrebbe cercare quel bene, l’ufficiale può chiedere l’intervento della forza pubblica). Non si ritiene che il riferimento sia fatto anche ai luoghi di cui al 513 riferibili al debitore, è opinione diffusa che l’ufficiale possa cercare le cose ovunque si trovino. Esecuzione per rilascio: l’ufficiale deve notificare un preavviso in cui avverte l’obbligato che un giorno si presenterà in loco. L’obbligato viene avvertito esplicitamente, almeno con 10 gg di preavviso. Nel giorno stabilito l’ufficiale si reca in loco e può chiedere l’intervento della forza pubblica (art 513) e quindi lui immette il creditore o delegato in possesso dell’immobile, dandogli le chiavi ad esempio. Problema spinoso per anni: gli obbligati non rilasciavano l’immobile e lasciano nell’immobile molti materiali. Ad oggi c’è una regola in base alla quale se nell’immobile ci sono beni mobili l’ufficiale giudiziario deve in prima battuta intimare di portarsi via gli oggetti, se questi non provvede, se i beni hanno un valore tale che giustificano la loro custodia vengono affidati ad un custode che li fa vendere e pagare le spese di custodia; se hanno un valore irrisorio si sgombera tutto. Se devono essere sostenute delle spese, alla fine del procedimento verranno poste dal giudice a carico dell’esecutato sulla base del principio di causalità, cioè sei tu che non adempiendo spontaneamente hai reso necessario il ricorso all’esecuzione per rilascio e di conseguenza devi rimborsare i costi. Esecuzione di obblighi di fare e di non fare: è l’obbligo di tenere un certo comportamento diverso da quelli visti finora. L’obbligo di pagare una somma di denaro si potrebbe considerare obbligo di fare, ma in realtà così non è, stessa cosa per l’obbligo di rilasciare un’immobile. Per gli altri obblighi di fare e non fare c’è questo strumento: abbiamo due articoli che parlano dell’adempimento degli obblighi di fare e non fare, art 2931 c.c. e art 2933. L’art 2931 dice: “se non è adempiuto un obbligo di fare l’avente diritto può ottenere che sia eseguito a spese dell’obbligato”. L’art 2933 c.c dice: “se non è adempiuto un obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere che quanto fatto venga disfatto dall’obbligato o a sue spese”. In un caso si ottiene che ciò che andava fatto venga fatto da qualcun altro a spese dell’obbligato. Esempio murare una finestra oppure demolire un cancello che impedisce l’accesso ad un determinato terreno. Può essere eseguita una sentenza ma anche gli altri titoli riconosciuti dalla legge. L’esecuzione forzata in esame si considera consentita, secondo opinione tradizionale, solo sulla base di titoli esecutivi giudiziali. Deve essere notificato il titolo esecutivo e l’atto di precetto, il procedimento inizia con ricorso al GE in base al luogo in cui la misura deve essere adempiuta, nel quale si chiede che siano determinate le concrete modalità dell’esecuzione in forma specifica. Il giudice sente l’obbligato, dopodiché designa un ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione, e le persone che sono tenute a provvedere al compimento delle opere non eseguite o alla distruzione di quelle compiute in caso di inadempienza del soggetto obbligato. Inoltre, su istanza dell UG incaricato può impartire con decreto le opportune disposizioni che occorrono per superare le difficoltà sorte nell’esecuzione. L’esecuzione degli obblighi di fare e non fare da luogo spesso a contenzioso, perché? Perché nel momento in cui il giudice determina le modalità di esecuzione cosa accade? In cosa dovrebbe consistere questa determinazione delle modalità di esecuzione? Esempio di prima: c’è una sentenza che condanna il convenuto di una certa causa ad abbattere un edificio, lui non lo fa e allora il giudice determina le modalità di esecuzione. In altri casi il titolo esecutivo è piuttosto vago perché nel processo di cognizione il giudice non ha determinato esattamente cosa va fatto/disfatto con il dovuto grado di dettaglio. Si creano dei vuoti che poi chi ha vinto il processo di cognizione cerca di colmare rivolgendosi al giudice di esecuzione. Talvolta il giudice dell’esecuzione eccede e va oltre quello che è il suo compito andando ad integrare il titolo esecutivo e questo genera il contenzioso perché l’obbligato potrebbe dire “il giudice dell’esecuzione è andato oltre quello previsto dal titolo”. Questo si ripercuote anche sul tipo di difesa che l’obbligato può svolgere perché se il giudice dell’esecuzione prende solo decisioni opportune nella definizione delle modalità di esecuzione ci si può lamentare con l’opposizione agli atti esecutivi che riguarda solo una decisione operativa all’interno del giudizio; viceversa, se c’è una controversia sulla portata del titolo l’opposizione è diversa e si chiama opposizione all’esecuzione. Se il giudice anziché limitarsi a stabilire modalità esecutive integra il titolo si discute se sia necessaria un’opposizione dell’uno o dell’altro tipo, o addirittura se il giudice non pronunci un provvedimento completamente al di fuori della sua portata che deve essere considerata una sentenza nulla con cui il giudice dell’esecuzione si sostituisce a quello della cognizione. L’argomento è controverso e la soluzione preferibile è quella di utilizzare le opposizioni esecutive per evitare spiazzamento della parte che ha interesse ad impugnare. È più tutelante per chi vuole lamentare l’errore commesso dal giudice utilizzare gli strumenti propri che sono le opposizioni esecutive. Esecuzione indiretta, art 614-bis: grande novità introdotta nell’ordinamento che colma un vuoto di tutela che per tanti anni c’è stato. Ci sono obblighi per i quali il ricorso ad esecuzione forzata è inefficiente, esempio che avevamo fatto del tizio che parcheggia dove non deve l’auto. Servivano strumenti di una certa deterrenza, ed è stato introdotto l’art 614-bis. Tale norma è stata inserita dalla legge 69/2009 che ha previsto uno strumento di coercizione indiretta al fine di incentivare l'adempimento spontaneo degli obblighi che non risultano facilmente coercibili. La norma, infatti, prevede in capo al soggetto inadempiente l'obbligo di pagare una somma di denaro, al fine di indurlo a realizzare la sua obbligazione. Il giudice, previa richiesta della parte, unitamente al provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di una somma di denaro, fissa una somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. In origine consentiva l’utilizzo dell’esecuzione indiretta in un numero di casi minore, poi è stato ampliato. La norma consente di inserire questo provvedimento volto all’adempimento spontaneo in qualunque provvedimento di condanna, non necessariamente una sentenza. Ad esempio nella tutela possessoria potrebbe essere inserita una misura coercitiva indiretta. L’art 614-bis parla di condanna, che è provvedimento che viene adottato dal giudice della cognizione, quindi l’art descrive un giudice della cognizione che nello stabilire che va tenuto un certo comportamento aggiunge anche la minaccia dell’esecuzione diretta. Questa impostazione è stata criticata da alcuni autori, Luiso, perché dice che la misura costruita così è inappropriata perché avrebbe fatto meglio ad attribuire questo compito al giudice dell’esecuzione. La riforma Cartabia interviene sul punto dando un po’ di ragione a Luiso. L’art 614-bis stabilisce che, il giudice non può concedere la misura ex art 614-bis d’ufficio. Quindi il provvedimento deve essere pronunciato su istanza di parte e salvo che cio risulti manifestamente iniquo. In realtà ci sono ambiti nei quali la giurisprudenza ammette con larghezza la pronuncia ufficiosa, in particolare tutte le volte che vengono tutelati gli interessi dei minori. È opinione diffusa che questa richiesta della misura dell’art 614-bis non sia in senso proprio una domanda giudiziale, ma viene considerata una misura processuale a sostegno della domanda vera e propria. Questo fatto che la richiesta dell’art 614-bis è importante perché fa si che non valgano le preclusioni del processo di cognizione per la proposizione di nuove domande. Una critica mossa alla norma è che essa non soddisferebbe il principio di legalità perché l’art 614-bis non contiene criteri precisi per quantificare il massimo della sanzione che il giudice può stabilire anche se la norma indica i criteri per quantificarla (valore della controversia, natura della prestazione, danno accertato o prevedibile e «ogni altra circostanza utile»). Immaginiamo che la misura venga concessa e poi si verifichi un inadempimento; a questo punto chi ha diritto alla prestazione come può fare per avere i suoi soldi? In astratto ci sono due strade: una lunga, ricorso alla tutela di cognizione, cioè si potrebbe dire “ok caro titolare del diritto, tu avresti diritto ad avere quella somma di denaro però non c’è un titolo esecutivo dal quale evincere subito che quella somma ti è dovuta. Quindi rivolgiti al giudice di cognizione ottiene un titolo e a quel punto avrai una sentenza di condanna al pagamento e se non ti vengono dati spontaneamente, potrai ricorrere all’esecuzione forzata”, strada troppo lunga, e troppo inefficiente che non viene percorsa. L’opinione diffusa è la via breve, ovvero, l’obbligato ha parcheggiato 5 volte la macchina dove non doveva, i titolare del diritto gli notifica un atto di precetto dicendo “pagami 500 euro senno inizio l’espropriazione forzata”, a quel punto sarà lui a dover provare di non aver parcheggiato. L’onere di prendere iniziativa viene ribaltata sull’obbligato. Il creditore può procedere ad esecuzione forzata immediatamente, senza chiedere nuovamente tutela di cognizione. Come interviene la riforma Cartabia: -Inserire nell’art 614-bis criteri per la determinazione dell’ammontare della sanzione; -Il giudice dovrà stabilire il termine di durata delle misure di coercizione diretta; -Dovrà essere prevista la possibilità che il giudice di esecuzione disponga queste misure quando il ittiolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento. Uso frequente in alcuni campi, es.: -condominio, obbligo dell’amministratore di comunicare ai creditori i dati dei condomini morosi (art. 63 disp. att. c.c.) -obblighi familiari relativi ai minori, nei quali, vista la necessità di tutelare il superiore interesse del minore anche d’ufficio, si ammette la pronuncia del provvedimento in mancanza di istanza di parte (nonostante quanto prevede l’art. 614 bis). giurisprudenza non è tanto d’accordo. Quando viene proposto ricorso il giudice fissa con decreto un’udienza di comparizione delle parti ed un termine per notificare il ricorso alle parti. L’udienza è camerale e perché c’è questa udienza? Questa udienza serve perché quando il debitore propone sospensione dell’esecuzione vuole che l’esecuzione si fermi e quindi lui deve pronunciarsi sulla necessità di sospendere l’esecuzione. Quindi il giudice sente le parti nell’udienza, decide se sospendere l’esecuzione e poi se il suo ufficio è competente per il merito assegna un termine per introdurre il giudizio di merito previa iscrizione al ruolo con termini dimezzati; se invece la causa è di un altro ufficio, cioè del giudice di pace, lui assume un termine per riassumere il giudizio di fronte al giudice di pace. Contro chi si propone opposizione? Questa opposizione viene proposta da un soggetto che è o precettato o esecutato; il debitore propone opposizione contro il creditore procedente e poi contro gli intervenuti, se ci sono. Alcuni però dicono che l’opposizione va proposta solo contro quelli intervenuti ma muniti di titolo esecutivo perché per evitare l’esecuzione bisogna contrastare solo i creditori muniti di titolo; altri dicono che bisogna proporre opposizione anche contro quelli privi di titolo. I sostenitori della prima tesi aggiungono che quelli privi di titolo possono intervenire con un intervento adesivo, per aiutare i creditori con titolo. Se l’opposizione è proposta in un’espropriazione contro il terzo proprietario bisogna sempre coinvolgere entrambi i soggetti. Termini per proporre opposizione ad esecuzione: l’art 615 per espropriazione forzata dice che l’opposizione va proposta prima che venga disposta la vendita, dopo è inammissibile, a meno che non si fondi su fatti sopravvenuti oppure per cause non imputabili. Sembra che quelle ragioni viste prima si possano far valere nell’espropriazione forzata solo fino a che non è disposta la vendita. In realtà è opinione diffusa che dopo che è disposta la vendita non è più possibile opposizione all’esecuzione, ma è ancora possibile la controversia distributiva e quindi il fatto che il diritto da tutelare non ci sia può essere posto dal debitore a fondamento di una controversia distributiva anche dopo che è stata disposta la vendita. Ci si chiede se può essere proposta una domanda riconvenzionale, immaginiamo che il debitore propone opposizione dicendo di aver già pagato 100mila euro, a questo punto il creditore può proporre una domanda riconvenzionale dicendo “tu mi devi altri 100mila euro per altra ragione”, secondo opinione prevalente può difendersi in questo modo, però è un’iniziativa poco utile perché l’esecuzione è stata intrapresa sulla base di un titolo da cui risulta l’esistenza di un diritto. Poi sta bene che il creditore possa essere creditore anche di altre somma, ma se per quelle somme non dispone di altro titolo esecutivo nella nostra esecuzione forzata si crea un buco perché vuol dire che fino a quel punto il creditore ha dato impulso all’esecuzione forzata sulla base di un titolo errato. Onere della prova, com’è regolato nell’opposizione: regolato dalle regole ordinarie quindi è sempre il creditore a dover provare di essere creditore e a dover provare di aver titolo per procedere ad esecuzione forzata, questo sembra svantaggioso per il creditore, però poi non è così perché in alcuni casi l’onere è automaticamente soddisfatto, ed in altri è molto saviamente soddisfatto. Se poi il titolo è stragiudiziale spesso la prova è già nelle mani del creditore, cioè il debitore dice “io non devo”, il creditore deve provare di essere creditore e lo può fare sulla base dell’atto pubblico. Una piccola difficoltà in più c’è solo quando ci sono titolo stragiudiziali e viene contestata l’autenticità del titolo. Se l’opposizione ad esecuzione viene respinta, l’opposizione prosegue, ed in più abbiamo un accertamento idoneo al giudicato che ha degli effetti preclusivi, quindi se il giudice dell’opposizione nel merito dice “no non ha pagato il debitore”, lui non potrà più sostenere di aver pagato. Se invece l’opposizione è accolta in linea di massima l’esecuzione forzata viene travolta. Ci sono variabili da considerare ad esempio se il giudice dell’opposizione dichiara che il bene X è impignorabile questo potrebbe non far venire meno l’esecuzione nel caso in cui siano stati pignorati due bene X e Y, se X è impignorabile viene restituito al debitore, però Y continuerà ad essere assoggettato all’espropriazione. Quanto agli effetti preclusivi dell’accoglimento dell’opposizione: se viene accertata l’impignorabilità del bene, quel creditore non potrà più provare a pignorare il bene; se viene accertata l’inesistenza del titolo, il creditore dovrà procurarsi un altro titolo; se viene accertata l’inesistenza del diritto, il creditore non potrà far più nulla. Il giudizio di opposizione nel merito all’esecuzione si conclude con una sentenza che per qualche anno è stata dichiarata non impugnabile dal legislatore, ma dal 2009 è stata reintrodotta l’impugnabilità con l’appello, e quindi questa sentenza resa nel giudizio di opposizione è appellabile e poi la sentenza resa in appello sarà ricorribile per cassazione. Questa è una differenza rispetto all’opposizione agli atti esecutivi perché nell’opposizione agli atti esecutivi continua a essere prevista la non appellabilità e quindi è possibile solo il ricorso per cassazione.
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