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Appunti e sbobine Tecnologia Meccanica - Ingegneria Gestionale UNIPI, Appunti di Tecnologia Meccanica

Appunti e sbobine presi a lezione del corso di Tecnologia Meccanica (Ingegneria Gestionale UNIPI)

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 29/08/2023

Nico_Villano
Nico_Villano 🇮🇹

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Scarica Appunti e sbobine Tecnologia Meccanica - Ingegneria Gestionale UNIPI e più Appunti in PDF di Tecnologia Meccanica solo su Docsity! Tecnologia Meccanica 29/09/2020 Introduzione al corso Ogni prodotto ha delle proprie componenti: alcuni singoli, altri assemblati tra loro, altri fatti manualmente. Per realizzare uno stesso prodotto possono essere utilizzati materiali diversi, a seconda dell’utilizzo che deve essere fatto. Il progettista definisce il disegno (specifica) dal quale parte il progetto concettuale. Il progettista realizza il disegno utilizzando il CAD. Egli deve tener conto anche alla manutenzione dell’oggetto da costruire. Questi sono criteri detti DFX (Design for manufactory). È necessario quindi far notare le esigenze durante la fase di progettazione. Oltre al CAD esiste il CAE: mentre il CAD è una progettazione gestita dal computer, il CAE serve per fare simulazioni di vario tipo, dando un’analisi dinamica inserendo masse, temperature, vincoli ecc. Oltre questi due, esiste il CAM, in cui si impostano i dati della progettazione, utilizzando in input il file CAD. Il CAM genera il programma per una macchina automatica (es. stampa 3D). I processi che verranno trattati sono quelli di fusione (in cui si parte da un negativo dell’oggetto riempito dal metallo). La forma in terra viene creata grazie a un modello positivo che rimane per ogni processo, mentre la parte del negativo viene rotta. Si può avere anche esempi di processo con forma e modelli entrambi da perdere. Si possono avere processi di deformazione plastica effettuando estrusioni, trafilature e laminazioni. Infine vengono studiate anche le lavorazioni per asportazioni di truciolo. 29/09/2021 I principi fondamentali del processo di taglio Alcuni esempi sono portati sulla sinistra: a) Tornitura: ho un pezzo che gira e con un tool (utensile) asporta materiale. Il movimento può essere posseduto o dal pezzo o dall’utensile, l’importante è che ci sia moto relativo che produce la velocità di taglio, la quale permette di ottenere l’asportazione di truciolo b) In questo caso il pezzo gira e l’utensile si muove perpendicolarmente all’asse del pezzo. Come si può intuire, per tornitura si può ottenere pezzi che hanno forme assial simmetriche. Se il pezzo è invece prismatico si usano utensili che permettono la fresatura (milling) che si possono ritrovare nelle figure c e d. In questo caso ho una fresa rotante, con un pezzo che viaggia; la fresa asporta materiale. Nella figura a sinistra visualizzo i particolari: la superficie sembra una filettatura e in effetti è così. L’elica che si crea però ha un passo talmente basso che le passate sono così vicine da far sì che le creste e le valli generano una superficie liscia. L’asportazione di truciolo è il modo per ottenere le migliori qualità superficiali, ottenendo pezzi molto lisci. Generalità sul processo di taglio Gli attori in gioco sono il pezzo grezzo, da lavorare, l’utensile, cioè quello del materiale, la macchina utensile, che deve sostenere il pezzo e l’attrezzatura, cioè elementi aggiuntivi che aiutano nel bloccaggio del pezzo. Nell’asportazione di truciolo vado sempre a togliere del sovrametallo, quindi il pezzo grezzo deve essere più grande di quello che mi serve. Dato che si sta togliendo metallo, ci sono forze in gioco: togliendo da 1 a 10 mm di sovrametallo ad una velocità relativa di 100 m/min, si arriva ad utilizzare una forza di “100 kg”. Questo significa che per tenere fermo il pezzo devo esercitare una forza di 100 kg. Taglio ortogonale L’utensile si sposta verso l’alto nella figura; il truciolo scorre sulla faccia dell’utensile. Il fianco è invece quella parte di pezzo che vede la superficie lavorata. Nella vista tridimensionale si può notare lo spigolo del tagliente dell’utensile (linea che viene fuori dall’intersezione dei due piani). Si parla di taglio ortogonale puro quando il vettore velocità è ortogonale al tagliente. Lo spigolo tagliente (linea nella figura a destra) degenera in un punto nella figura a sinistra. L’utensile ha una forma convessa, per evitare strisciamento con il pezzo, durante l’indentazione. Il truciolo scorre frenato dall’attrito, dato che si sta spingendo con l’utensile contro il truciolo stesso. Se ho un certo sovrametallo s, lo spessore del truciolo sarà s1, dove s1>s. Il truciolo tende ad inspessirsi perché la velocità di scorrimento del truciolo sull’utensile è minore della velocità di scorrimento dell’utensile sule pezzo. Quindi si va ad accumulare materiale. s/s1 è chiamato rapporto di taglio (c). Nella figura a sinistra ho una stessa rappresentazione, solo in una vista diversa. Si identificano diversi angoli: • Angolo di spoglia superiore (Rake angle): nella figura è identificato con la lettera α. Questo angolo ha lo scopo di facilitare la penetrazione dell’utensili all’interno del materiale. Se avessi la lama di un coltello avrei una zona rossa molto più sottile, con un angolo molto più grande (un Anche in questo caso ho gli angoli di spoglia superiore ed inferiore. Più frequentemente gli utensili sono fatti nel secondo modo (seconda figura della seconda figura): in questo caso hanno un porta utensile, un porta placchetta e una placchetta. In questo caso la parte che si va ad usurare è la placchetta, che posso andare a sostituire una volta che si usura (mentre nel primo caso quando l’utensile si usura lo devo affilare nuovamente o cambiarlo). Oggigiorno si utilizzano molto più questa tipologia di utensili perché i materiali degli utensili è molto duro, quindi difficile da lavorare; è molto più facile sostituire la placchetta. Zone di sviluppo di calore nel processo di taglio Ci sono 3 zone che producono calore durante la lavorazione. Questo calore si sviluppa sempre in presenza di attriti. Quando si va a deformare il truciolo ci sono attriti interni che si contrappongono alla deformazione. Ci sono quindi 3 zone di sviluppo del calore: a) La deformazione plastica provoca lo sviluppo del calore a causa degli attriti interni ai metalli. b) Sviluppo del calore legato allo strusciamento del truciolo sull’utensile c) Sviluppo del calore legato allo strusciamento del pezzo con l’utensile Dato che pezzo e utensile sono metallici, il calore si diffonde in tutte le direzioni, poiché sono buonissimi conduttori. Una parte di calore viene presa dal pezzo, una parte dall’utensile e una parte è prodotta dal truciolo (70%). Il calore va a peggiorare la durezza dell’utensile, quindi l’utensile si usura di più. Una mappa di temperatura è riportata di fianco. Come mai l’utensile è più caldo del truciolo se abbiamo detto che la maggior parte del calore va via col truciolo? Perché il truciolo se ne va ed è sempre rinnovato, mentre l’utensile continua a ricevere questo calore. Dato che è necessario refrigerare il tutto, oltre all’olio lubrificante (che mi comporta meno attriti), si utilizza acqua per raffreddare. Inoltre si nota che sempre il punto di massimo calore è sulla faccia dell’utensile; questo perché un po’ la punta disperde il calore e un po’perché ho il truciolo caldo che struscia sull’utensile. Questo fatto è importante poiché questa zona è molto soggetta ad usura (La figura fa riferimento ad una velocità di circa 170 m/min). L’esigenza è quella di operare a velocità di taglio più elevate possibile perché la velocità di taglio è direttamente correlata con la produttività (lavoro tanti pezzi). Con maggiori velocità ovviamente ci saranno maggiori problemi di usura. I fluidi da taglio Si parla di liquidi che si usano per i tagli; si usano per lubrificazione e raffreddamento. Dato che si usano oli e acqua, si parla di emulsioni a base acquosa. Questi fluidi hanno alcuni benefici: ➢ Riduzione delle forze e potenze di taglio (potenza erogata attraverso la corrente elettrica che alimenta la macchina) ➢ Aumento della durata dell’utensile ➢ Migliora la finitura superficiale perché lubrificando l’utensile scorre meglio sul pezzo ➢ Riduzione delle deformazioni termiche del pezzo, perché si raffredda il pezzo ➢ Facilità di rimozione del truciolo Allo stesso tempo si hanno due problemi principali: il primo legato agli effetti fisiologici sull’operatore (perché alcune sostanze sono nocive) e al costo di smaltimento ecologico (poiché questi liquidi devono essere smaltiti in modo corretto). Dove far andare il getto d’acqua Come si può notare nella figura di fianco il getto di fluido deve andare a toccare la superficie in cui si genera più calore, cioè dove c’è l’interazione. Non ha senso spruzzare il liquido sul pezzo o sull’utensile. Vista in dettaglio del taglio obliquo Si inizia a guardare il meccanismo nel suo insieme. Per capire il funzionamento si deve capire la cinematica di questo processo, andando a definire i vari moti. Ci sono 3 moti: • Moto di taglio: moto che produce la velocità di taglio. L’utensile è fermo mentre il pezzo ruota attorno al loro asse. A destra avrò la superficie lavorata, a sinistra ho la superficie da lavorare e il cono che si genera è la superficie di lavorazione. Come si fa ad avere una situazione di moto ortogonale? Se avessi un tagliente dritto invece che un tagliente inclinato, saremmo in condizioni di moto di taglio ortogonale. Sono in una situazione di taglio ortogonale anche se ho un utensile a coltello. In generale non ho moto di taglio ortogonale • Moto di appostamento: moto in cui si colloca l’utensile nella posizione in cui farà la lavorazione, andando a “p” di profondità. • Moto di alimentazione: moto che fa sì che l’utensile, spostandosi verso sinistra, trovi sempre nuovo materiale. Quando si effettua una lavorazione vanno sempre scelti questi tre parametri, che si concretizzano nel definire v (velocità di taglio), p (profondità di passata), a (avanzamento). Si definisce ora la sezione di truciolo come l’area del parallelogramma visto in figura. Come base si ha l’avanzamento a, mentre l’altezza è p. Si nota che l’area di questo parallelogramma è indipendente dall’angolo χ in figura. Si definisce poi parametro di produttività il prodotto dei tre parametri, il quale mi va a definire la sezione di truciolo prodotta al secondo. Come detto in precedenza, ci sono due taglieri, uno principale e uno secondario: il tagliente principale è quello che lavora (spostandoci verso sinistra lavora il tagliente che è a sinistra). L’altra superficie non lavora, ma influenza comunque la lavorazione. Si introducono ora gli angoli che sono in figura: • Angolo di registrazione: inclinazione del tagliente principale rispetto alla superficie lavorata. È l’angolo con il quale il pezzo vede l’utensile e dipende da come è inclinato il pezzo • Angolo di inclinazione: angolo con cui l’utensile viene inclinato Allo stesso modo questi angoli si hanno sul secondo tagliente. Inoltre il naso dell’utensile non è fatto a punta, ma i due taglienti sono raccordati. Di quanto si sposta l’utensile tra un giro e l’altro? Si sposta di “a” mm/giro. Il raggio di raccordo tra i taglienti è R, quindi la distanza tra questi cerchi è pari ad a. Guardando a livello microscopio, si nota come l’utensile vada a generare una superficie come quella in figura. La superficie che si ottiene è l’inviluppo (il negativo) delle diverse posizioni dell’utensile. Queste protuberanze rappresentano la micro geometria superficiale, in cui la distanza di questi parametri è la rugosità: 𝑅𝑡 = 𝑟 − 𝐴𝐶 = 𝑟 − (𝑟2 − 𝑎2)1/2 Dove 𝑅𝑡 è la rugosità totale. Andando a sviluppare si ottiene: 𝑅𝑡 = (𝑎2/8𝑟) 103 𝜇𝑚 𝑅𝑎 = 𝑅𝑡/4 Si ha come obiettivo quello di avere una rugosità totale minima; si può notare che questo avviene quando l’avanzamento è basso: più sono vicini questi cerchi, più si abbassa la cresta. Si ottiene una finitura migliore con un avanzamento più basso possibile. L’avanzamento però si vorrebbe tenere più alto possibile, perché si produce di più: quello che si fa è quindi considerare il valore di massimo avanzamento che mi fa rispettare la rugosità richiesta dal disegno. Forze di taglio Si ha una forza di taglio sull’utensile che viene scomposta in 3 componente: • 𝐹𝑡: 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑎𝑙𝑙′𝑎𝑣𝑎𝑛𝑧𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 • 𝐹𝑐: 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑡𝑎𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑛𝑜𝑟𝑚𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑓𝑖𝑐𝑖𝑒. • 𝐹𝑟: 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑛𝑜𝑟𝑚𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑙𝑙′𝑎𝑠𝑠𝑒 La risultante è la somma di queste tre; guardando la figura in basso a destra, la risultante è la forza R. Le forze di taglio tendono a diminuire con l’aumentare della velocità di taglio. Nella figura a in basso si ha l’andamento delle forze di taglio. A parità di utensile che ha angoli ψ e ψ’ fissi, gli angoli χ e χ’ possono cambiare e sono gli angoli di registrazione. Angolo alfa È l’angolo di spoglia inferiore, cioè un angolo fisico dell’utensile. L’angolo alfa si misurerebbe rispetto alla verticale, ma quello che interessa a noi è un “alfa apparente”. Nei processi di tornitura infatti ho una composizione di due moti: il pezzo che ruota e l’utensile che si sposta. Si va quindi a portare via materiale in maniera inclinata, cioè un’elica. Di quanto è inclinata questa elica? In una rotazione completa l’utensile vede una lunghezza pari a Dpi; si sposta, allo stesso modo di “a” mm. L’angolo di elica è quindi definito come: 𝑡𝑎𝑛𝜑 = 𝑎 𝜋𝐷 L’angolo alfa è angolo che serve per far sì che il fianco dell’utensile strusci contro la superficie lavorata ed è dell’ordine di circa 3-6 gradi. È necessario che alfa sia sempre maggiore a φ. Questo problema è chiamato problema di tallonamento. Perché alfa non si prende più grande? Se vado ad aumentare alfa ottengo un utensile più sottile, quindi più soggetto a rischi di rottura. Angolo gamma Al diminuire di gamma aumenta la sezione resistente, a parità di distanza dal pezzo. Gamma può essere positivo e negativo: se gamma è negativo l’utensile diventa molto più robusto, ma è molto sfavorevole il taglio perché il truciolo tende ad andare verso l’alto. Abbiamo infatti visto che Fz cresce con l’angolo gamma. Alfa e gamma quindi si tengono minimi per mantenere buona la robustezza dell’utensile. Come si può notare dalla figura di fianco, inoltre, se ho un angolo gamma positivo vado a strappare il materiale, mentre se ho gamma negativo, il materiale viene compresso su se stesso, cosa molto più conveniente per andare a tagliare il pezzo. I materiali ceramici dell’utensili lavorano molto bene a compressione. Angolo psi È l’angolo tra l’asse dell’utensile e la proiezione del tagliente principale. In figura si considerano tre casi: • Psi = 0: è il caso dell’utensile a coltello. È utile se devo realizzare un piccolo spallamento. In questo caso ho una forza di repulsione (Fy=forza che si esercita quando l’utensile cerca di entrare nel pezzo) minima. • Psi > 0: si utilizza perché ho un utensile più robusto. Al crescere dell’angolo psi, aumenta Fy a discapito della Fx che diminuisce. • Psi < 0: si utilizza quando dobbiamo fare uno spallamento, per “lisciare lo spallamento” con più facilità quando faccio l’ultima passata. La sezione di truciolo rimane sempre quella, a prescindere dall’angolo psi. Quello che cambia, variando l’angolo psi è la forma della striscia. Se avessi psi maggiore (caso in figura) avrei una sezione di truciolo sempre uguale, ma sarebbe meno spessa e più lunga. Ho quindi uno spessore minore e una lunghezza del tagliente maggiore. Aumentare psi ha il vantaggio di sollecitare meno l’utensile perché la stessa forza va a sollecitare una parte di utensile maggiore. Anche analiticamente ci si può convincere di ciò, infatti: • 𝑠 = 𝑎 𝑐𝑜𝑠𝜓 • 𝑙 = 𝑝 cos 𝜓 Angolo lambda Se lambda fosse 0 il tagliente sarebbe parallelo al piano di riferimento (sarebbe nel piano di riferimento). Anche l’angolo lambda fa sollecitare l’utensile a trazione, se questo è positivo (caso a) oppure a compressione, se questo è negativo (caso b). Nei materiali ceramici, come per gamma, lambda è negativo. Inoltre l’angolo lambda mi influenza la direzione di deflusso del truciolo: • Lambda positivo: il truciolo si allontana dal pezzo, se ne va verso l’esterno • Lambda negativo: il truciolo tende ad andare verso l’interno, provocando danni al pezzo Nella figura a sinistra, psi è supposto 0. Un caso particolare è lambda pari a 0. In questo caso ho il tagliente nel piano di riferimento e il truciolo rimane dov’è. Mano a mano che aumento lambda, il truciolo si allontana dal pezzo. Angoli di registrazione Nella seconda figura è mostrato il profilo teorico del pezzo. Come già detto, l’altezza delle creste mi identifica la rugosità totale; dati gli angoli di registrazione si può ricavare la seguente relazione: 𝑅𝑡 ∗ = 𝑎 𝑐𝑜𝑡𝑔 𝜒 + 𝑐𝑜𝑡𝑔 𝜒′ 𝑅𝑎 ∗ = 𝑅𝑡 ∗ 4 [𝜇𝑚] All’aumentare del passo, la rugosità aumenta; inoltre diminuendo chi, la cotangente aumenta e quindi la rugosità diminuisce. È quindi conveniente avere chi piccolo e a piccolo per avere una migliore finitura. Avevamo già visto che 𝑅𝑎 ∗ = 𝑎2 32𝑟 𝑅𝑡 ∗ = 𝑎2 8𝑟 Dove r è il raggio di raccordo. Nella formula più lunga precedente è quella in cui si considera raggio di raccordo pari a 0 (cosa non vera nella realtà). L’avanzamento è direttamente proporzionale alla produttività, ma inversamente proporzionale alla qualità di finitura. Si ricorda che Rt è la rugosità totale, quando si mette l’asterisco significa rugosità teorica, infine Ra è la rugosità media. Come detto, il raggio di raccordo non esiste nella realtà; anche se ci fosse idealmente uno spigolo, una volta iniziato a lavorare ci sarebbe un raccordo. L’angolo beta è l’angolo tra il piano della faccia e il piano del fianco dell’utensile, mentre gamma è l’angolo tra la faccia e la normale al pezzo. Anche avendo un gamma positivo, andando a zoomare, per effetto del raggio di raccordo si ha, localmente, un gamma negativo (proprio perché non ho uno spigolo, ma una parte ottusa). Quindi ho comunque una situazione non ideale, che mi porta ad avere aumento delle forze di taglio. A questo proposito si parla di una profondità minima che l’utensile è in grado di asportare. Con una profondità minima l’utensile non è in grado di formare il truciolo, ma semplicemente lo schiaccia. Questo valore di profondità minima si chiama minimum uncut chip thikness. L’effetto di ricalco dell’utensile in caso di profondità minima non rispettata, si definisce plowing. Inserti e placchette La figura c mostra il porta utensile/toolholder. Le pasticche che si vedono sono le placchette/insert. Nella figura a e b si ritrovano 2 metodi per fissare le placchette. Nella figura a si ha una staffa clamp, con una vite che tende a schiacciare la placchetta. Sotto ci può essere uno shin, cioè un rialzo per adattare la placchetta. Nella figura b ho una placchetta forata; all’interno del foro si inserisce un bullone e si ferma. Questo tipo è più comune. gamma Le polveri hanno forme diverse, come mostrato in figura, con dimensioni diverse, forme regolari o irregolari e superfici lisce o meno. Le dimensioni si misurano sotto forma di distribuzione: su un asse cartesiano si mette sulle x le dimensioni e sulle y il numero di polveri. Per misurare le dimensioni si usano dei setacci, attraverso il numero di mesh (maglie del setaccio): prendo un setaccio e vado a misurare, vedo che mi resta il 10% del totale, lo vado a riportare nell’istogramma/diagramma che si dicevo prima. Poi prendo un setaccio con altre dimensioni e continuo il processo (dalla dimensione più grande a quella più piccola). La finitura superficiale mi definisce quanto la polvere scorre bene su se stessa. Di fianco sono riportati dei metodi per ottenere le polveri: ➢ Atomizzazione: con un secchio si cola il metallo fuso, dopodiché si va ad atomizzare, cioè si va a sparare con uno spray gocce di metallo liquido, facendo solidificare le goccioline liquide. ➢ Frantumazione: si frantuma attraverso due rulli che ruotano in senso opposto e lasciano una piccola fessura. Questo funziona con materiali abbastanza fragili. ➢ Mechanichal alloying: schiacciare il materiale Una volta ottenuta le polveri devo andarle a compattarle: ho uno stampo che raccoglie il materiale e viene eseguito il compattamento attraverso la pressione. Si parla di materiale green perché deve ancora essere cotto. Il compattamento fa sì che si riesca a riempire i vuoti, per cui è una fase molto importante. Più si compatta, più si aumenta la densità e, aumentando la densità, aumentano tutte le proprietà. Per vari materiali ho range di pressioni tipiche applicate. La compattazione può essere isostatica, andando a iniettare la pressione in una camera, quindi con una pressione omogenea in tutte le direzioni. Nella figura a sinistra si mostrano varie tecniche di metallurgia delle polveri, cioè varie capabilities (in questo caso si confrontano dimensione e complessità della forma). Si arriva quindi alla fase di sinterizzazione: la temperatura di sinterizzazione è l’80% della temperatura di fusione. Ci avviciniamo molto perché a quella temperatura i metalli accelerano i propri processi di diffusione (cioè si scioglie più velocemente all’interno di altri metalli). Compattando posso avere la compenetrazione delle polveri oppure si va a creare un neck (un collo) tra una polvere e l’altra, come mostrato in figura. Per i carburi, in modo specifico, si parte dal Triossido di tungsteno, a cui viene fatta una riduzione a 950°, ottenendo polvere di tungsteno e Nerofumo (C). Grazie a un riscaldamento a 1500° e a una macinazione, si crea la reazione di carburazione, ottenendo il carburo di tungsteno. A questo punto posso aggiungere gli altri carburi come descritti a inizio paragrafo. A questo punto ho la polvere finita, si va a comprimere a freddo, passando poi per la sinterizzazione che permette di formare i legami. Le placchette di questo materiale sono di colore diversi perché vengono rivestiti da altri materiali. Esempi di fissaggio meccanico della placchetta allo stelo: di fianco sono riportati 3 esempi di fissaggio meccanico della placchetta. Designazione unificata dei carburi sinterizzati: secondo la norma ISO, i carburi metallici sinterizzati sono divisi in base alla loro applicazione in 3 gruppi: 1. Gruppo K: placchette in carburo di tungsteno immerso in una matrice di cobalto 2. Gruppo M: placchette in carburo di tungsteno con percentuali di titanio. Si usa per lavorare ghise e acciai 3. Gruppo P: placchette in carburo di tungsteno con percentuali di titanio, tantalio e niobio. Si usano per le lavorazioni di ghise a truciolo lungo o acciai al carbonio I P sono materiali più resistenti all’usura, nei K aumenta la tenacità. Il processo di rivestimento delle placchette ha l’obiettivo di indurire e di ridurre l’attrito. I metodi per rivestire sono 2: il PVD e il CVD. Si va a depositare uno strato estremamente sottile di rivestimento, sparando particelle che vanno ad aderire alla superficie (nel caso del PVD → deposizione fisica). Nel caso del CVD, si va a favorire una semplice reazione chimica, creando le condizioni grazie all’aumento di temperatura. Materiali ceramici Hanno la particolarità di essere particolarmente duri e refrattari, cioè fondere a temperature estremamente elevate. Sono costituiti da Al2O3 ed hanno particolare resistenza alla compressione, resistendo poi a elevate temperature. La differenza con i carburi, i ceramici sono molto fragili, cioè in caso di urto si rompono. Costano però molto meno dei carburi. Gli utensili ceramici, come già detto, hanno lambda negativo proprio per favorire la compressione. Utensili in CBN Si utilizza il nitruro di boro cubico, materiale particolarmente duro (solo il diamante è più duro). Il problema è che è particolarmente costoso. Il maggiore costo può essere compensato con la sostituzione della rettifica con la tornitura. Cermets Sono ottenuti sinterizzando una componente ceramica ed una componente metallica, combinando i vantaggi delle due categorie. Il problema è che i materiali ceramici non si fanno bagnare: se faccio colare metallo liquido sopra della ceramica, il metallo non si lega. Quello che si fa è appunto la sinterizzazione. Diamante È uno degli stadi del carbonio, materiale più duro noto. Il suo uso è limitato dall’estrema fragilità della sua struttura. Il diamante ottenuto partendo dal carbonio vengono inseriti in una matrice di rame per fare la lavorazione: non sono belli da vedere essendo pietruzze grigie scure. Servono per lavorazioni di materiali a loro volta molto duri, ma non è molto buono per alte produttività, perché la durezza a caldo è limitata (500 °C). Forme di usura sugli utensili Ci possono essere vari tipi di deformazioni; le prime due verticali (usura su fianco e la craterizzazione) sono le forme di usura che si verificano sempre. L’utensile si usura sempre sul fianco perché struscia con la parte lavorata: infatti l’utensile non ha in contatto puntiforme con il pezzo. L’usura in cratere invece si ha perché si ha la zona di massimo riscaldamento e quindi di massima usura (materiale che si scioglie). In aggiunta a queste due deformazioni, si possono avere una vasta gamma di altre situazioni in cui si usura il pezzo. Se si verificano quelle altre forme di deformazione significa che abbiamo commesso degli errori sulla scelta dell’utensile. In fase di utilizzo si opera su base statistica: io so quanto ci mette l’utensile a usurarsi, dopodiché si sostituisce l’utensile. La base statistica è definita dal costruttore in base a delle prove. Da qui ritroviamo la legge di Taylor: fissata la velocità di taglio, so quanto dura l’utensile. Come si fa a dire che un utensile è effettivamente usurato? Si va a quantificare l’usura sul fianco e l’usura sul petto. Il tratteggiato in figura identifica l’utensile iniziale, senza usura. Dopo che è passato un tempo t, l’utensile è arretrato in quel modo. Si ha quindi un’altezza massima VB (=usura sul fianco): di solito si guarda il VBmedio. Per oggettivare l’usura sulla faccia si va a guardare quanto è il valore più profondo della fossa che si è formata? Si identifica quindi il KT, cioè il valore della profondità del cratere. Questo parametro da solo non basta, infatti si definisce il KM come la distanza tra il centro del cratere e la punta dell’utensile. Quello che interessa è il rapporto KT/KM perché interessa la combinazione delle due: l’effetto del cratere è quello di andare a indebolire la punta, quindi io posso accettare che il cratere diventi più profondo, a patto che sia più lontano possibile dalla punta. Usura sul fianco Sulla sinistra è riportata la curva di usura in base al parametro VBmax. I puntini dove ci sono le foto, sono i momenti in cui si ferma la lavorazione e si controlla. L’usura progredisce più velocemente all’inizio, rallentando piano piano. Si dice che si il costruttore fa le varie misurazioni e successivamente dà la legge di usura, cioè quanto è il VBmax. Usura sul petto Come si è fatto per la prima prova, si può cambiare la velocità di taglio senza alterare gli altri valori, ripetendo la lavorazione. Considero quindi i grafici riportati: sulle ordinate ho il KT, cioè la profondità massima dell’usura sul Si può trovare il valore minimo della velocità, come mostrato in figura. Questa si chiama velocità economica ed è quella che rende minimo il costo totale. Muovendomi a destra o a sinistra aumento il costo totale per un motivo e per un altro. Massima produzione Per l’aumento della produttività ho dette relazioni analoghe. In questo caso non ho più una relazione in base ai costi, ma in base al tempo totale di lavorazione. In questo caso ci sarà un valore ottimo di velocità che va a minimizzare il tempo totale. Questo valore di velocità è chiamato velocità produttiva. Se mi sposto verso destra non ho vantaggio perché pur essendo vero che produco più truciolo, aumento il numero di utensili da usare, perché ho maggiore usura. Quindi perdo tempo per il cambio utensile. Se mi sposto verso sinistra diminuisco la velocità, quindi produco di meno. Più costa la macchina, minore è il tempo di cambio utensile automatizzato: questo è il campo di miglioramento. Quale delle due velocità scegliere? La velocità prduttiva è sempre maggiore della velocità economica. Quindi non ha nessun senso operare al di fuori della zona tratteggiata in figura. Se voglio spendere il meno possibile, mi metto nella situazione di velocità economica. Se voglio produrre il più possibile mi metto nella situazione di velocità produttiva. Come si può pensare, andando a mettere in grafico anche l’avanzamento, con avanzamento minore aumenta anche il costo totale. Le lavorazioni per asportazione di truciolo Le lavorazioni di tornitura Oltre alle informazioni che abbiamo acquisito fin’ora, si aggiungono dettagli sul processo di lavorazione. Come sappiamo c’è un elemento assial simmetrico che ruota; il pezzo è sostenuto dalla piattaforma autocentrante, con griffe (in figura 3 a 120°) che vano a centrare il pezzo e a tenerlo fermo. Come sappiamo c’è l’utensile che porta il diametro a ridursi. Si descrivono le possibili lavorazioni sul tornio. Cilindratura esterna Si ottiene la riduzione d diametro. Il pezzo ruota generando una cera velocità di taglio (𝑣 = 𝜋 𝑑 𝑛/1000 [m/min]). La placchetta in questo caso è quadrata, quindi l’angolo tra i taglienti è 90°, messa a 45°. La cilindratura esterna si può avere anche in altri casi, ad esempio con una placchetta trangolare (quindi angolo di 60° tra i taglienti). Se l’utensile è posizionato a coltello, l’angolo xi è 0. Sfacciatura Non è una lavorazione cilindrica, ma piana. Il moto di avanzamento è perpendicolare all’asse della macchina. La velocità di taglio qui non è costante, ma va a diminuire (pur essendo la formula sempre la stessa) L’asse dell’utensile in figura è parallelo all’asse della maccina, ma può essere anche perpendicolare. Tornitura di superfici esterne di forma complessa Posso fare un pezzo alla volta; se ci sono macchine a controllo numerico basta anche solo impostare i valori e la macchina capisce dove e quando tagliare. L’utensile nella macchina a controllo numerico ha due motori: con la composizione de due moti posso generare superfici coniche. In questo caso ho bisogno di un utensile che abbia psi negativo, in modo tale che l’utensile, finita la lavorazione, “uscendo dal pezzo” va a raschiare la superficie irregolare che si era creata. Le superfici curvilinee non possono essere ottenute con le macchine tradizionali. Con le macchine a controllo numerico posso usare placchette tonde. Esecuzione di tornitura interna Si parla di cilindratura interne, usando sempre utensili mono tagliente. Ci sono degli accorgimenti: l’utensile non fora, quindi deve gia essere presente un foro. Inoltre deve esserci un utensile lungo (il collo dell’utensile). La base dell’utensile poi non può essere quadrata perché altrimenti avrei una collizione con la base del foro che sto lavorando: non ho una sezione quadrata, ma tonda. Filettatura esterna In questo caso sto usando un utensile con placchetta di forma o integrale: a differenza delle placchette, in cui quando un tagliente è usurato la giro e successivamente smaltisco l’intera placchetta, con gli utensili integrali quando si usurano si affilano. La placchetta di forma è usata per filettatura interna o esterna. Quando si parla di filettatura, l’avanzamento è il passo della filettatura. La placchetta della filettatura non è esattamente trangolare. Se la facessi trangolare, la placchetta non riuscirebbe ad arrivare fino in fondo; con quella precisamente triangolare dovrei fare una gola di scarico. La filettatura può essere fatta con una o più passate, in base a quanto profonda deve essee la filettatura. Ci sono 3 modi: • Incremento radiale: faccio una passata, poi entro un po’ nella successiva passata entro più in profondità e così via • Incremento parallelo al fianco del filetto: si dà un incremeneto al fianco del filetto (se voglio dare una buona qualità ad un fianco del filetto) • Incremento bilaterale: si dà incremento a entrambi i fianchi del filetto. Si utilizza questo metodo quando voglio aumentare la qualità in entrambi i fianchi del filetto Esecuzione di gola esterna L’utensile per gola è standardizzato, cioè la geometria della placchetta è standard. La particolarità di questo utensile è che il moto di alimentazione è ortogonale all’asse di tornitura. Sono nella precisa situazione di moto di taglio ortogonale in quanto il tagliente è ortogonale alla velocità di taglio. Dovendo fare una gola di due mm di larghezza non posso usare un utensile da 3 mm. Posso realizzarlo con utesili di 2 mm oppure usando utensili di 1 mm. In questo ultimo caso, dato che il moto di alimentazione è ortogonale all’asse, l’utensile entrerà, affonderà di un mm, poi uscirà, si sposterà e rientrerà nuovamente per fare il secondo mm. Con questo utensile posso penetrare fino ad arrivare all’asse del pezzo: in questo caso sto facendo un’operazione di troncatura (figura a destra). Gli uensili per le gole esterne hanno bisogno di un angolo di spoglia laterale. Per la lavorazione della gola interna la situazione è esattamente la stessa. Zigrinatura L’utensile è sempre un utensile duro due cilindri sagomati) e viene schiacciato sul pezzo, andando ad incidere il pezzo, in quanto l’utensile è molto più duro del pezzo. Le lavorazioni di Foratura Ho una punta ad elica che penetra nell’asse del pezzo (per quanto riguarda la foratura coassiale). Ho sempre l’autocentrante con le 3 griffe; dall’altro lato ho una controtesta su cui è montata una contropunta con una punta. La particolarità è che la punta sta ferma ed è il pezzo che gira. Tipologie di fori a) Foro cilindrico senza tolleranze b) Foro filettato c) Foro cilindrico con tolleranza sul diametro d) Foro conico e) Foro cilindrico con svasatura cilindrica f) Foro cilindrico con svasatura conica Le tolleranze possono essere di diverso tipo. Nel disegno si parla di tolleranze generali di lavorazioni: questo significa che tutti i valori che sono espressi nel disegno posseggono una tolleranza implicita di lavorazione. Questa tolleranza è una quota proporzionale (in percentuale) al valore stesso: se scrivo 20, riesco a rispettare quella “tolleranza implicita” senza fare niente di particolare perché è la tolleranza generale che la macchina riesce a rispettare. Se voglio delle tolleranze generali più strette vanno specificate. 𝐶 = 𝑎𝐷2 8000 𝑝𝑡 (𝑁𝑚) La forza in questione si può calcolare come pressione di taglio (che dipende dal materiale) per superficie: 𝑃2 = 𝑝𝑡 𝑆 Dove la sezione di truciolo è nuovamente l’area di un parallelogramma: ognuno dei due taglienti asporta a/2 moltiplicato per D/2: 𝑆 = 𝑎 𝐷 4 Il braccio a cui si fa riferimento per calcolare la coppia è sempre D/2. La potenza necessaria dipende quindi linearmente dall’avanzamento e quadraticamente dal diametro: quindi più è grande la punta che si mette nel trapano, meno a fondo questo riesce ad andare perché ha meno potenza. Altri utensili per la foratura Oltre alla punta esistono altri utensili. Esempi sono le punte da centri o la punta doppia (utensile speciale). La punta da centri è quella da usare ogni volta che c’è da fare una foratura. Questo perché la punta a elica è vincolata all’estremità, gira e, per la forza centrifuga, si inflette ed è molto imprecisa: non garantisce la posizione del foro. La punta da centri ha un asse molto più robusto, creando un foro con angolo di 118° e permettendomi di garantire un buon posizionamento. In particolare per forare si deve prima effettuare una centratura, poi una foratu ed infine una allargatura. Per fare l’allargatura, si utilizzano gli allargatori. Questi hanno tre o quattro taglienti, con una sezione resistente molto maggiore e sulla punta i taglienti arrivano fino a un certo punto in quanto l’obiettivo è quello di allargare un foro già esistente. Una sezione robusta consente di avere una qualità migliore per quanto riguarda, ad esempio la cilindricità (tutti i punti della superficie sono compresi tra due cilindri) o la circolarità (in quanto dato che la punta si inflette, vibrerà e creerà dei “lobi”). Gli alesatori sono strumenti ancora diversi; posseggono molti più taglienti con pochissima sporgenza. Questo significa che la sezione resistente è molto più grande, con taglienti che lavorano tutta la superficie laterale e tra un vano e l’altro si raccoglie il truciolo. In questo caso si migliora la circolarità: mentre con l’allargatore si allarga il foro, con l’alesatore si va a togliere un po’ di materiale per eliminare tutti gli errori che si erano creati, portando alla tolleranza richiesta. L’alesatore ha un codolo che può essere cilindrico con una sezione quadrata [a mano] (con due accorgimenti: sezione quadrata sul codolo in cui viene inserito un giramaschi e una conicità sul primo tratto della punta per creare un po’ di gioco per entrare nel foro) oppure conico [a macchina] (qui non ho bisogno di gioco perché è la macchina che tiene rigido l’alesatore). I denti possono essere dritti (di solito con elica positiva) o elicoidali (di solito con elica negativa: se avessi un’elica positiva, una volta che entro nel foro questa tenderebbe a farmi avvitare l’utensile dentro il foro più velocemente di come vorrebbe avanzare il mandrino. Questo comporta la tendenza al volersi staccare dal mandrino poiché è presenta una vibrazione assiale. Con l’elica negativa l’utensile non tende ad avvitarsi, anzi è bloccato più rigidamente rispetto alla macchina). Se ho un’elica negativa il truciolo non viene spinto verso l’esterno, ma rimane dentro; dato che però devo asportare poco truciolo, questo rimane dentro le fessure. Se il foro è cieco come faccio a lavorarlo con l’alesatore (cioè resco a lavorarlo fino alla fine della cava)? No, infatti se ho un foro cieco andrà prevista una gola di scarico. La punta doppia è un utensile speciale (= non in catalogo ma fatto su misura) in cui una parte della punta ha due taglienti dritti. Questa punta realizza un foro con due diametri: questo processo si chiama lamatura. Altre punte sono ad esempio quella a gradini (utensile speciale che combina foratura e allargatura), il perforatore con utensili in carburi (al posto deu due taglienti ho due placchette; il limite riguarda le dimensioni perché non posso fare placchette troppo piccole) e la punta ad elica con canali per il fluido (con canali che permettono il raffreddamento). Le punte si realizzano per deformazione plastica a caldo. Esistono poi altri tipi di allargatori chiamati svasatori, con vari taglienti conici. Nella figura è un utensile per la lamatura. Un utensile particolare è mostrato nella figura a sinistra (Testa ad alesare). Questo è un utensile monotagliente montato perpendicolarmente ad una parte cilindrica. Quest’utensile fa come una tornitura interna, con la differenza che in questo caso ruota l’utensile mentre il pezzo sta fermo. Questo utensile serve quando dobbiamo fare fori di diametro molto grande. Inoltre ha il vantaggio che lo spostamento di questo utensile è dovuto ad un sistema di regolazione attraverso una vite (quindi posso avere un grande range di diametri). Inoltre, alesando, si può impostare una dimensione tollerata. Rullatura di fori Questo utensile va a ricalcare il materiale, non lo asporta. Alla periferia ha dei cilindretti molto duri che vengono premuti sulla superficie, deformandola. Il primo vantaggio è l’avere una superficie più liscia e la schiaccia. Il fatto che la superficie sia schiacciata è favorevole perché nella superficie si hanno sempre delle micro crepe che possono provocare anche rotture. Schiacciando il materiale si tende a mantenere la crepa chiusa. Maschiatura Il maschio è l’utensile che ci permette di ottenere una filettatura interna. Possiede sempre un attacco per il giramaschi e dei solchi per ospitare il truciolo. Il maschio ha già il profilo della filettatura segnato, creando il profilo avvitandosi e portando via materiale. Il maschio può essere utilizzato a mano in quanto ho poco materiale da asportare e quindi le forze di taglio sono basse. Il profilo dei denti può essere di tre tipi; si identificano infatti gli sbozzatori, gli intermedi e i finitori, utilizzati per asportare più o meno truciolo. Il maschio può essere anche “a rullare”: non vado ad asportare materiale poiché quello che tolgo dalle cave del filetto lo posso usare per creare le creste del filetto. Mentre ruota infatti il maschio ha un profilo che aumenta di dimensione, schiacciando il materiale. Il vantaggio è soprattutto per la resistenza meccanica: se facessi la lavorazione asportando truciolo le fibre del materiale verrebbero tagliate. Andando a spingere il materiale, invece, le fibre non le trancio, ma è il materiale stesso che mi dà la forma del filetto, quindi una filettatura più resistente. Sequenze di operazioni di foratura a) Foro cilindrico: centratura, foratura, allargatura b) Foro filettato: centratura, foratura, eventuale allargatura, filettatura c) Foro cilindrico con tolleranza sul diametro: centratura, foratura, allargatura, alesatura d) Foro conico con tolleranza: centratura, foratura, allargatura, alesatura conica e) Foro cilindrico con svasatura cilindrica: centratura, foratura, allargatura (svasatura) f) Foro cilindrico con svasatura conica: centratura, foratura, allargatura (svasatura) Le lavorazioni di Fresatura Si ha un utensile rotante con il vantaggio che attraverso lo spostamento dello stesso, si riesce a generare superfici prismatiche, spianature ecc. In questo caso l’utensile ruota non per fare i fori, ma spostandosi spiana. Anche in questo caso le frese possono essere con inserti o integrali. Il tagliente è parallelo allo spostamento e quindi si identificano i vari angoli alfe, beta e gamma. Le frese possono essere a disco in cui si ha un albero che entra nel foro centrale della fresa, oppure a bottone, che viene afferrata da un’estremità: in questo caso si parla di frese cilindrico-frontale perché lavorano su più superfici. Geometria dei denti della fresa In questo caso stiamo considerando la involute gear cutter, cioè frese ad evolvente di cerchio (è sagomata e ha la forma del negativo delle ruote dentate: infatti questa deve garantire quella geometria, altrimenti la ruota struscia e non rotola). Valutazione della forza e della potenza di taglio nel caso di fresatura periferica Mentre taglia il dente forma una virgola (che sia in corcondanza o in opposizione). Il moto rotatorio si compone del dente che gira e dell’avanzamento del pezzo. Devo tenere conto dell’avanzamento per dente: questo è ricavabile sapendo il numero di denti e sapendo il numero di giri del mandrino. La relazione è: 𝑉𝑎 = 𝑎𝑧 ∗ 𝑛 ∗ 𝑍 Va è la velocità di avanzamento, az è l’avanzamento per dente, n è il numero di giri/min e Z è il numero di denti. Se il mandrino gira velocissimo ho un avanzamento minimo. Quello che interessa sapere è qual è la forza massima, che si trova nel momento in cui ho sezione massima. La sezione massima si identifica come: 𝑠𝑚𝑎𝑥 = 𝑎𝑧 ∗ 𝑠𝑖𝑛𝜑 Dove l’angolo phi è l’angolo di contatto tra dente e pezzo. Il seno di phi dipende dalla profondità P e dal diametro D. Quindi approssimando il seno di phi, riscriviamo la formula precedente come: 𝑠𝑚𝑎𝑥 = 2𝑉𝑎 𝑛 𝑍 √ 𝑝 𝐷 Quindi una fresa maggiore mi darà una forza maggiore. Questa sezione la moltiplichiamo per lo spessore della fresa, trovando la sezione di truciolo reale: 𝑆𝑚𝑎𝑥 = 𝑠𝑚𝑎𝑥 ∗ 𝑙 Quindi ricaviamo la forza come: 𝑇𝑚𝑎𝑥 = 𝑝𝑡 𝑆𝑚𝑎𝑥 = 𝑝𝑡 𝑙 2𝑉𝑎 𝑛 𝑍 √ 𝑝 𝐷 (𝑁) Se voglio ricavare la potenza: 𝑊𝑚𝑎𝑥 = 𝑇𝑚𝑎𝑥 ∗ 𝑣 60 ∗ 1000 (𝑘𝑊) Valutazione della forza e della potenza di taglio nel caso di fresatura frontale In questo caso si taglia solo frontalmente (es. fresa a candela). Il dente trova ua quantità di truciolo costante, togliendo una quantità di truciolo pari all’avanzamento. Si va a togliore una sezione di un parallelogramma che ha come base 𝑎𝑧 e come altezza la profondità di passata. La sezione di truciolo è quindi: 𝑆 = 𝑝𝑎𝑧 La forza dipende dal numero di denti in presa, i quali dipendono dall’arco di contatto. Si deve conoscere l’arco di contatto e il numero totale di denti. Quindi la forza sarà: 𝑇 = 𝑝𝑡 𝑍𝑖 𝑆 (𝑁) Vado a sostituire e ricavo: 𝑇 = 𝑝𝑡 𝑍𝑖 𝑝 𝑎𝑧 (𝑁) E come prima si può ricavare la potenza 𝑊 = 𝑇𝑣 60 ∗ 1000 (𝑘𝑊) Dove v è la velocotà di taglio. La fresa non si mette centrata, ma si mette leggermente sopostata, in modo da avere una risultante sbilanciata come per lavorare in opposizione. Le lavorazioni a moto di taglio rettilineo La stozzatura Se devo fare un foro quadrato o esagonale non riesco ad ottenerle con gli utensili che abbiamo studiato fin’ora. Per realizzare delle geometrie a spigolo vivo si utilizzano utensili monotaglienti che si muovono parallelamente all’asse dle foro. L’utensile per stozzare non fora, quindi prima si realizza il preforo e successivamente si va ad utilizzare l’utensile per stozzatura. Anche in questo caso abbiamo i soliti angoli alpha, beta e gamma dell’utensile. L’utensile può essere integrale o con inserti. L’utensile avanza con una sua velocità di taglio e al termine di ogni passata l’utensile riavanza di una quantità pari alla velocità di passata, quindi con un moto rettilinio e intermittente. Se si realizza la stozzatura su fori ciechi, è necessario creare una gola di scarico. La brocciatura A differenze dell’utensile della stozzatura, basta fare una sola passata. Questo utensile, che può essere integrale o con inserti, con una sola passata entra in un foro preesistente e genera l’intera geometria. La broccia si differenzia da tutti gli altri utensili in quanto è un utensile per produzione in serie (speciale). Si utilizzano se devo realizzare molti pezzi. La broccia ha un codolo d’attacco (esistono brocce per trazione o per compressione); poi c’è una parte di guida in cui si imbocca il foro. Si ha poi un susseguirsi di denti: il dente successivo, rispetto al precedente, sporhe un po’ di più. Si dividono in denti sgrossatori (servono per togliere parecchio materiale) e finitori (tolgono meno materiale per avere un risultato di migliore qualità). C’è poi una serie di denti calibratori che non hanno incremento: questi servono quando vado ad affilare l’utensile. Infatti così come le frese, anche qui andando ad affilare non avrei più un diametro conforme e se non avessi i denti calibratori, con l’ultimo dente non raggiungerei la dimensione del foro che mi serve. Quindi il primo dei denti calibratori mi diventa l’ultimo dei denti finitori. Le brocce sono per interni (per realizzar fori che non sono tondi) e per esterni (andando a sagomare il pezzo). Nell’ultima figura della pagina precedente si può notare come entrino in presa più denti insieme, lavorando un tratto di lunghezza pari ad l. Si deve distanziare un dente dall’altro di p: idealmente si vorrebbe che il passo sia più piccolo possibile perché più la broccia è lunga e più costa. Il problema è che non può essere troppo piccolo perché tra dente e dente deve passarci il truciolo. Non posso però fare la cava troppo profonda, altrimenti la sezione resistente della broccia diventa troppo piccola. Per realizzare una broccia, si deve lavorare per asportazione di truciolo; è fatta di un materiale molto dura e per essere indurita ulteriormente si procede con trattamenti termici. Dato che è molto dura, è molto fragile. È un utensile molto costoso e come benefici economico, rispetto alla tornitura, è che risparmio tempi di lavorazione. La differenza me la potrebbe dare i tempi attivi di una tornitura rispetto ai tempi attivi di una brocciatura; inoltre il vntaggio della brocciatura è che mi permette di rispettare una tolleranza. Per calcolare lo spazio tra dente e dente si deve stimare il volume del truciolo: il volume del truciolo è la lunghezza l moltiplicato per i (incremento) moltiplicato per il p (passo). Si ipotizza un tasso di riempimento della cava del 60%. Inoltre si deve evitare che un dente entri ed esca nello stesso momento, generando il solito fenomeno degli urti, quindi l non deve essere multiplo di P. Il passo, empiricamente viene considerato come: 𝑃 = 1.5 ∗ √𝑙 Le lavorazioni per rettifica Il progettista e l’addetto alla lavorazione negoziano per capire qual è il compromesso tra precisione ed economicità della lavorazione. Si parla di utensili di rettifica quando non si riesce più a contare i taglienti: si parla di utensili multitaglienti (per ora abbiamo visto i monotaglienti e i politaglienti). Si parla di lavorazioni con polveri dure. Le lavorazioni di rettifica possono riguardare qualunque tipo di superficie. Si parla di superfici cilindriche/coniche esterne/interne, spallamenti, superfici piane e filettature. Una finitura dà un grado di 1 micron circa con le macchine convenzionali. Con la rettifica si arriva anche alla frazione di micron. L’utensile è fatto di grani (grain) e spazi vuoti (pore); questi grani sono uniti grazie ad un collante (bond). Un grano è un poliedro con una superficie convessa, quindi con angoli maggiori di 90°, quindi si ha sempre un angolo di spoglia gamma negativo. Dato che ogni granello è piccolo (un decimo di mm) i processo di asportazione è lento. Se la sezione di truciolo è piccola, per aumentare il volume di materiale devo aumentare la velocità di taglio, infatti l’utensile gira molto velocemente. In generale si deve asportare qualche materiale (qualche centesimo di mm). Con velocità di taglio elevate però avrà temperature elevante. Lo sviluppo del calore è un problema sia per l’usura dell’utensile, sia perché il calore fa dilatare il pezzo e dato che stiamo facendo lavorazioni di estrema precisione anche minime variazioni dovute alla dilatazione sono un problema. La quota diventa più piccola di quello che doveva essere perché, dilatandosi, ho asportato maggiore quantità del pezzo, ma una volta che il pezzo si raffredda la quota sarà minore. Il motivo principale per cui si ricorre alla rettifica è per avere una precisione migliore possibile; un secondo motivo riguarda la durezza. Le mole abrasive infatti si usano molto per lavorare materiali particolarmente duri (sicuramente dovremmo lavorare utensili). Ci sono poi una serie di leve grazie alle quali si riesce a diminuire la rotazione dei giri. Il moto di taglio è posseduto dal pezzo in quanto il pezzo stesso è messo in rotazione, mentre l’utensile sta fermo sulla torretta portautensili. Il carro ha una serie di slitte, cioè una seire di oggetti scorrevoli. Da qui posso regolare in altezza l’utensile. Il carro è collegato a sua volta al cambio: quindi il motore dà un moto alla rotazione e un moto viene dato al carro per spostarsi. Le guide sono quelle dove si fa scorrere le slitte. Si ha poi un accoppiamento vite-madrevite: questo è il meccanismo che permette di trasformare un moto rotatorio (derivante dal motore elettrico) in un moto traslatorio. Sottoforma di schema, la macchina a tornio è rappresentabile come in figura. All’esame può essere chiesto uno schema simile, ma adattato ad un caso particolare. Si identificano vari elementi che andiamo a esaminare: ➢ Basamento: tutte le macchine sono fatte in ghisa: grazie alla presenza di carbonio smorza molto bene le vibrazioni. La struttura sotto deve essere assolutamente rigida. Altro elemento smorzante è la gomma, quindi possono essere presenti elementi gommati. La ghisa è anche un materiale che si cola bene ➢ Testa: si ospita il motore elettrico che trasmette il moto al mandrino al quale posso andare a collegare una attrezzatura (es. piattaforma autocentrante). Il mandrino porta in rotazione il pezzo. ➢ Cambio velocità taglio: permette di impostare la velocità di rotazione ➢ Cambio avanzamento: avrò un numero discreto di cambio di velocità di avanzamento. Questi cambi trasmettono e cambiano il moto alla barra/vite madre, fino al carro. Quindi mentre il mandrino trasferisce il moto di alimentazione, il carro trafserisce il moto di avanzamento. Il moto di appostamento è dato dalle slitte ➢ Slitte: sistema vite-madrevite per cui si riesce a far avanzare la madrevita, facendo spostare l’utensile dal pezzo più in alto o più in basso, più a destra o più a sinistra. Attraverso le leve sposto un albero. A seconda di dove è messo l’albero prendo il moto da una o da un’altra ruota dentata. Cambio quindi il rapporto di trasmissione perché mi sposto da una ruota più grande a una più piccola e viceversa. L’albero è fermo, quando muovo le leve si sposta un blocco di ruote. Attraverso il collegamento vite-madrevite, ruotando a mano, si ottiene il moto longitudinale. Con questo sistema si regola la posizione della contropunta per bloccare il pezzo. Come funziona il sistema vite-madrevite associato al carro: la madrevite è solidale al carro e quando si mette in rotazione la vite, la madrevite trasla e il carro si sposta. La vite madre ha il problema dell’attrito: ogni volta che la vite ruota ci sarà usura non omogenea. Quindi a parità di rotazione non è più costante l’avanzamento del carro. Questo sistema si usa il meno possibile, solo quando è necessario (cioè quando c’è da fare delle filettature poiché questo sistema mi assicura che il passo sia costante e maggiora precisione in caso di più passate). Quando non devo fare filettatura si va ad utilizzare il sistema a barra: alla barra viene trasmesso un moto rotatorio e, dato che la barra è collegata ad una ruota conica, si trasmette il moto perpendicolarmente ad un’altra ruota che a sua volta trasmette il moto traslatorio alla barra. Ci può anche essere il tornio con asse verticale. Il pezzo ruota su una piattaforma e l’utensile sta fermo come sempre. Piattaforma autocentrante Si riesce a centrare il pezzo grazie alla piattaforma autocentrante. Il problema dell’autocentrante è che solo una parte del pezzo è libera da poter essere lavorata. La soluzione è montare il pezzo tra le punte (punta e contropunta). La contropunta lo spinge contro il pezzo mantenendolo fermo. In questo caso però ho il problema di mettere in rotazione il pezzo, perché prima avevo le griffe che mettevano in rotazione tramite la forza premente. Si usa quindi il trascinatore frontale: abbiamo sia una punta che tiene fermo il pezzo sia 3 coltelli che deformano (poco) elasticamente il pezzo. I coltelli sono collegati a delle molle in modo che i adeguino alla forma del pezzo. In questo modo attraverso una forza premente si trasmette il moto. Piattaforma a morsetti indipendneti In questo caso ogni morsetto è indipendente dall’altro, quindi posso bloccare elementi eccentrici o irregolari. Griffe tornibili Queste griffe consentono un riposizionamento del pezzo preciso. Le griffe tornibili sono griffe in cui si va a fare una lavorazione per cui le tornisco in modo da avere un raggio di curvatura simile al raggio di curvatura del pezzo. Le griffe sono tornite con il raggio uguale a quelle del mio pezzo. Questa lavorazione si fa solo se necessario, poiché a forza di lavorarlo, questo materiale dovrà essere sostituito. Spina Esempio di attrezzatura speciale. È una specie di albero molto piccolo che viene infilato all’interno di un pezzo con geometria strana e attraverso un bullone viene bloccato. La spina può essere bloccata tra punta e contropunta. Oppure può essere bloccata con la brida e menabrida (come in figura): la menabrida fa girare la brida, che a sua volta è bloccata al pezzo,quindi fa girare il pezzo. La brida e la menabrida, a differenza della spina, non sono attrezzature speciali. (l’immagine è nella pag. precedente) Lunetta fissa e mobile Si usa quando ho un pezzo particolarmente snello, cioè un pezzo che ha un rapport lunghezza/diametro maggiore di 5. Questo pezzo rischia di flettersi per la forza che viene data dall’utensile. L’inflessione è temporanea, quindi come faccio ad accorgermi che il pezzo ha avuto una inflessione durante la lavorazione? Alla fine della lavorazione avrò un pezzo a botte, cioè la parte centrale sarà maggiore (in diametro) della parte periferica. Questo perché nella parte dove si sposta di più si toglie meno materiale. La lunetta è un appoggio intermedio che permette di evitare questa inflessione. Il pezzo viene appoggiato nella lunetta, la quale viene montata sul carro (lunetta mobile) o al tornio (lunetta fissa), sostenendo il pezzo. Il mandrino passante È un mandrino forato in cui si fa passare una barra bloccata dall’autocentrante. L’utensile lavora la barra che poi può essere troncata e la parte restante dentro il mandrillo spinta nuovamente vicino all’utensile per la lavorazione. La tracciatura La tracciatura è un’incisione che vado a fare con una punta che va ad incidere il pezzo. Dovendo fare un foro sull’asse di un pezzo si monta sull’autocentrante. Si usa la tracciatura quando il foro è eccentrico. Con la tracciatura vado a identificare dove devo fare il foro, facendo una croce con due linee incise. Questo si fa perché il trapano non ha la possibilità di trovare questi assi attraverso un movimento controllato degli assi sulla macchina: per dare uno spostamento all’utensile sul tornio infatti utilizzo le guide. Quindi è necessaria la tracciatura quando devo fare le forature. Per questa operazione ci serviamo del piano di riscontro, del truscino e del blocchetto a V. Il blocchetto a V serve per tenere bloccato il blocchetto cilindrico. I trapani più comuni I trapani hanno tutti l’asse verticale e ne esistono di 4 tipi. Hanno tutti il motore elettrico e si può impostare la velocità della punta. Il pezzo viene appoggiato su una tavola; il trapano ha una colonna in cui posso regolare l’altezza della tavola. I uattro tipi di trapano sono: rotismi: queste ruote vengono accoppiate con la tavola porta pezzo, in modo tale che il moto preso dalla manovella mi faccia girare queste ruote. Ecco quindi che posso contemporaneamente ruotare e traslare il pezzo. Posso andare a realizzare profili a elica che derivano dalla composizione del moto traslatorio e del moto rotatorio (con il divisore che dà l’angolazione giusta). La morsa e le staffe Tra le attrezzature per trapano e fresatrice c’è la morsa. Hanno due ganasce che tengono fermo il pezzo. Altra attrezzatura importante sono le staffe. Questa è l’attrezzatura più usata per montare un pezzo. Il pricipio usato è quella della leva: da una parte vado a bloccare il pezzo schiacciandolo verso il basso (mettendo magare degli spessori rettificati in basso o dei puntali [basso a destra]) e una volta serrate le vite il pezzo resta fermo. È molto più conveniente bloccare il pezzo con le staffe, rispetto alle morse: per bloccarlo con le morse dovrei prima bloccare la morsa, imbullonandola. L’alesatrice È una variante della fresatrice. Possiede un mandreino rotante che permette di fare spianature: a differenza della fresatrice ha delle flessibilità in più in quanto è realizzata e specializzata per fare fori di diametri grandi. Una seconda caratteristica è che l’alesatrice è una fresatrice più precisa. È una macchina particolarmente costosa, quindi si utilizza solo in caso di necessità (fori particolarmente grandi ed estrema precisione ): se devo fare dei fori tollerati uso l’alesatore, non l’alesatrice. Nella fresatrice il moto verticale era posseduta dal pezzo; qui la possibilità di traslare verticalmente ce l’ha l’utensile. Il moto verticale dell’utensile lo abbiamo perché il pezzo da lavorare può essere di grandi dimensioni, quindi mi devo spostare in alto e in basso (non mi sposto con la tavola, ma con l’utensile). Altra particolarità è che esiste un contromontante (con controtesta e lunetta per sostenere la barra di alesatura): montante e contromontante sono collegati tra loro attraverso uno dei due motori elettrici. In particolare un motore elettrico è adibito al moto di taglio e al moto di avanzamento (quello sul cambio) mentre l’altro motore serve per un secondo moto di avanzamento verticale che mette in collegamento montante e contromontante. Il movimento è innestato sempre e solo in un asse alla volta: non ho combinazioni di moti. Come si può notare dalla figura a sinistra, il pezzo è bloccato sulla tavola porta pezzo e una volta regolata l’altezza, vado a realizzare il foro con ottima precisione. L’avanzamento è dato o dalla barra (mandrino) oppure dal pezzo. Nella seconda immagine si può notare una squadra: questa è una attrezzatura usata per bloccare il pezzo. In questo caso ho un’alesatuda con utensile su piattaforma oppure un’alesatura con barra di alesatura. La barra di alesatura serve per avere corse più lunghe (senza barra di alesatura rischierei che il pezzo di vada ad inflettere). Ancora in figura si ritrova la macchina che lavora come fresa. La fresatura può essere con fresa sul mandrino o con testa a squadra, con un inclinazione di 90°. Infine posso anche fare una foratura oppure una filettatura interna ed esterna con il moto di alimentazione posseduto dal pezzo. Si può fare anche una stozzatura, trasformando il moto rotatorio in un moto rettilineo alterativo. La testa a stozzare si può montare anche sulla fresatrice. L’alesatrice si può usare anche per fare sfacciature con avanzamento radiale dell’utensile. In questo caso si fa la sfacciatura con un incremento delraggio dell’utensile. La stozzatrice (shaping) Abbiamo la solita tavolo porta pezzo con la possibilità di ruotare il pezzo (come possiamo vedere dai tratteggi verticali). L’utensile possiede sia moto di taglio che moto di appostamento, adattando la testa alle varie altezze del pezzo. Come abbiamo detto, abbiamo un moto di avanzamento intermittente, questo significa che ad ogni passata il pezzo si sposta con il cambio avanzamenti e l’utensile porta via ogni volta parte del metallo. La testa a stozzare che si ha in alto è possibile andarla ad usare anche in una fresatrice o sulla alesatrice. Una macchina simile alla stozzatrice è la piallatrice. La differenza è che nella pillatrice si va a rimuovere una grossa quantità di materiale. L’utensile viene collocato nella posizione corretta e il pezzo si lascia “sbucciare” dall’utensile. Alternativa alla piallatura è la limatura. Nella limatrice il pezzo sta fermo e l’utensile si sposta. Montaggio di mole Si riprende il discorso per spiegare meglio come funziona il meccanismo di montaggio della mola. I dischetti di materiale vengono creati incollando i grani di polveri con un po’ di aria dentro: è necessario andare a distribuire la pressione su un’area ampia per non far rompere la mole. Se si creano delle crepe mentre la mola gira a velocità molto elevate, la forza centrifuga fa sì che la mola si spacchi. Per motivi di sicurezza la mola è sempre coprerta da un carter. Un altro problema è quello della ravvivatura: è il problema di quando si impasta la mola. La ravvivatura ha lo scopo di riportare la mola nelle condizioni originali e viene effettuata direttamente sulla macchina rettificatrice: sulla mola in rotazione si fa agire u utensile diamantato che tornisce la mola stessa. Un altro problema è quello dell’equilibratura della mola: la mola non avrà mai un momento di inerzia perfettamente omogeneo, quindi si vanno ad apporre delle piccole masse sulla flangia per equilibrare il peso. Per quanto riguarda le mole, si parla di grind duration (rapporto di rettifica): è la quantità di materiale dell’utensile consumato rispetto al materiale asportato: materiale più duri avranno un rapporto di rettifica più basso. Di solito il rapporto è 1:1000. La rettificatrice universale È una macchina molto versatile, in grado di fare effettivamente tutto. Abbiamo il solito basamento con la tavola porta pezzo. C’è poi una testa portamola su cui viene mnontata la mola. Il pezzo è sulla tavola portapezzo, la quale si muove di moto rettilineo alternativo. Abbiamo un moto di taglio (posseduto dalla mola) e solitamente due moti di alimentazione: il pezzo deve sia ruotare che spostarsi. Posso avere varie rettifiche, tra la rettifiche planari, a quelle cilindriche ecc. Esempi di lavorazioni effettuabili Un pezzo cilindrico è montato tra le punte come nella fresatrice, quindi con una tavola porta pezzo e una testa con controtesta; il pezzo deve ruotare. Come ruota il pezzo? Ho una testa motorizzata che mette in rotazione il pezzo: un motore muove quindi la mola e un altro muove il pezzo. Inoltre, il moto è eccentrico.Per la rettifica conica devo andare a inclinare la testa dell’angolo pari alla conicità. distacco parte da dove c’è un difetto. Ottengo lo spostamento di una dislocazione spostando un legame alla volta, propagando il difetto. Questo vale non solo con la deformazione a taglio, ma con tutte le deformazioni. I materiali però sono in generale policristallini. Per spiegare il concetto considero nuovamente il caso di un metallo liquido (in cui la struttura cristallina non c’è, infatti c’è la dilatazione e distanziamento degli atomi). Quando questo solidifica, non lo fa istantaneamente, ma ci saranno zone in cui gli atomi iniziano ad avvicinarsi, con alcuni di questi atomi che saranno più ordinati perché dei punti solidificano prima di altri. Si continuano quindi a costruire dei cristalli in maniera disordinata, formando la struttura policristallina. Con un raffreddamento lento, generalmente si avrà una grana molto grossolana, mentre se ho un raffreddamento rapido avrò una grana piccola perché ho più punti di inversione. Lo scorrimento segue la direzione del cirstallo e dentro un cristallo l’orientamento è uguale. Lo scorrimento avviene a livello di ogni singolo grano. Lo scorrimento è quindi limitato perché le deformazioni di un cristallo vanno ad impattare la posizione di altri cristalli. Quindi inizialmente le deformazioni sono più fattibili; a mano a mano che deformo inizia ad essere sempre più difficile. Se poi un materiale ha una grana grossa, le deformazioni saranno più grandi perché ho meno confini: materiali con grana grossa sono più deformabili. Deformazione plastica Andando a schiacciare un materiale si va a cambiare la forma dei grani in base alla deformazione macroscopica. Questo avviane a causa dello scorrimento: la deformazione plastica quindi deforma non solo la struttura macroscopica, ma anche il modo in cui i grani sono orientati, cambiando quindi le proprietà meccaniche di resistenza alle sollecitazioni (la figura deformata in figura ad esempio sarà molto resistente allo stiramento dopo la deformazione). Se, partendo da un blocco, lo vado a schiacciare, ottengo una lamiera (processo di laminazione). In questo caso i grani si sono stirati, quindi resisterà molto quando verrà stirato da una parte all’altra, ma tra un grano e l’altro lavora male: quando lo schiaccio, quindi, si strappa. Nel grafico di fianco vediamo sulle ascisse la temperatura. Esiste una temperatura di ricristallizzazione: è la temperatura di reset della struttura cristallina. Come si può notare, scaldando il materiale si ha un distanziamento delle distanze atomiche; quando si raggiunge la temperatura di ricristallizzazione gli atomi sono talmente lontani che cominciano ad avere un po’ di mobilità. Questa mobilità è tale da far cambiare la struttura cristallina: i cristalli vanno a ricomporsi. Non solo: aumentando la temperatura, i grani si accrescono disponendosi in maniera più ordinata, quindi ho meno confini tra i grani. Un materiale con grani più grandi è più deformabili. (tutto questo discorso riguarda temperature al di sotto della temperatura di fusione: anche se la distanza atomica aumenta, il metallo in questione è sempre nello stato solido). Ci sono però delle tensioni residue: quando il materiale si raffredda gli atomi tendono a compattarsi. Una parte tende a tirare a sé la parte vicina e, all’interno del materiale, ci sono delle zone che tirano di più e zone che tirano di meno. Il reticolo cristallino viene cioè stirato con appunto la creazioni di tensioni interne. Si parla di tensioni residue perché si formano nel momento in cui vado a raffreddare: succede quindi che quando vado a riscaldare il metallo, queste forze cominciano ad agire, spostando atomi, finchè non si azzerano (grafico rosso). L’azzeramento di queste forze si ha quando arriviamo alla temperatura di ricristallizzazione. Nel mezzo al grafico si hanno proprietà come la resistenza e la durezza: queste fino alla temperatura di ricristallizzazioni sono alte, mentre diminuiscono sempre di più una volta raggiunta la temperatura di ricristallizzazione. Opposte a queste, c’è la proprietà di duttilità, che è la proprietà di “facilità” di deformazione. Durezza e resistenza sono in contrapposizione con la duttilità (più un materiale è duro, più è difficile da lavorare). Anche duttilità e resistenza dipendono dalla grana. Questo grafico vale per tutti i metalli. Si parla di lavorazioni a caldo o a freddo in base al rapporto tra la temperatura e la temperatura di fusione; in particolare: ➢ Lavorazioni a freddo: T/Tm < 0.3 ➢ Lavorazioni a media temperatura: 0.3 < T/Tm < 0.5 ➢ Lavorazioni a caldo: T/Tm > 0.6 Dove la temperatura di mezzo (a 0.5) è circa la temperatura di ricristallizzazione. Le proprietà meccaniche dei materiali Prova di trazione Stiamo parlando a livello macroscopico. Proviamo a tirare con una macchina un provino: applicando una forza crescente si ottiene un grafico simile a quello rosso. Mano a mano che si tira il provino questo si allungherà finchè non si genererà una stizione e continuando ad allungare la strizione aumenta, fino a rompersi. Questo è l’allungamento a rottura. La prova è standardizzata: si realizza un provino con determinate caratteristiche geometriche. Dopodiché si fanno varie prove con provini di diverso materiale. In questo modo si riesce ad avere dei valori di riferimento per quel materiale. Guardo il grafico sulla sinistra: sull’asse delle ordinate ho le forze che applico (P). Questa forza è applicata in modo xcrescente. Sulle ascisse ho l’allungamento. I materiali metallici si comportano tutti in questo modo: in una prima zona l’andameno è lineare quindi l’allungamento è costante. Fino al limite elastico, se lascio il metallo, questo ritorna nella posizione di partenza. Dopo il limite elastico se la quota parte di allungamento mi comporta una deformazione. Insistendo ancora, il materiale si rompe. Per deformare il materiale ci interessa come si comporta il materiale nella zona “Plastic”. Introduco quindi alcuni parametri: ➢ Engineering Stress (Tensione): 𝜎 = 𝑃 𝐴𝑜 ➢ Engineering Strain (Deformazione): 𝑒 = 𝑙−𝑙0 𝑙0 Sigma è la tensione che agisce sul materiale e ha le dimensioni di una pressione in quanto è una forza su area. e è invece l’allungamento percentuale: è un valore adimensionale. Quando applico uno sforzo la deformazione non solo è lineare, ma è anche elastica, quindi rilasciando la forza il provino torna nella sua posizione iniziale. Il campo elastico arriva fino alla tensione di snervamento (sigma = y). Esiste anche una 𝜎𝑝 definita come limite della funzione di linearità: da qui in poi la curva inizia ad incurvarsi, ma comunque mantiene le proprietà elastiche. Dopo il limite di snervamento il materiale inizia a deformarsi plasticamente: il materiale continua ad allungarsi ma la deformazione che subisce è una deformazione permanente. Quando supero quindi il limite di deformazione, il provino ripercorre a ritroso la deformazione elastica (in maniera parallela) ma non recupera la deformazione plastica. Al punto di massimo avviene la formazione di una prima strizione: se inizio a ridurre la tensione, pur non aumentando il carico la superficie diminuisce, quindi la sigma aumenta. Il materiale è sollecitato sempre di più finchè non si raggiunge la tensione di rottura. Questo punto di massimo è il punto di tensione limite a rottura, definito dcome UTS: per deformare un materiale senza romperlo dobbiamo mantenerci al di sotto dell’UTS, ma al di sopra della tensione di snervamento. Definiamo poi il modulo elastico come: 𝐸 = 𝜎 𝑒 Questa quantità si misuea in GPa. Analizzo i grafici di fianco: nel grafico a ho il carico che applichiamo e l’allungamento. Nel grafico b non considero il delta lunghezza, ma considero la e. Nel grafico c vado a mettere dentro la tensione vero: vado cioè a considerare P/A invece di P/A0: in questo caso il grafico continua a crescere. Ci permette di valutare l’effettivo valore del grafico. Nel grafico d si fa un ulteriore passo, definendo epsilon come: 𝜀 = ln ( 𝑙 𝑙0 ) Questa quantità è definito come allungamento reale: quando si va a deformare il provino si allunga progressivamente qualcosa che si è già allungato precedentemente. Sto praticamente integrando da l0 ad l la quantità e: questo è l’epsilon che cerchiamo. In prima approssimazione quindi si va ad usare la e, man mano che si va avanti si deve considerare la epsilon. La tensione agisce internamente al materiale. Passando in un diagramma logaritrmico, si ottiene l’andamento in figura d. Il coefficiente angolare della retta è n: questo valore si usa per descrivere il comportamento in campo elastico dei materiali. L’andamento della curva, specialmente della parte elastica, si va a descrivere con la seguente equazione: 𝜎 = 𝐾𝜀𝑛 Dove K (in MPa) è il coefficiente di tensione e n è un coefficiente, come definito prima (circa 0.3-0.5). Il comportamento meccanico di un metallo si può esprimere con questi due coefficiente. Nella tabella a sinistra si riportano alcuni esempi di calcoli; in basso invece si hanno le curve corrette. Sono curve sperimentali ottenute dopo la correzione, considerando il true stress e il true strain. Le curve sono più lunghe se il materiale è più deformabili (con allunameto maggiore). Si nota come ci sono materiali più e meno resistenti, con le varie tensioni che possono sopportare. Questa prova dà un risultato, ma non sono troppo confrontabili questi confrontabili, dipendono molto da vari fattori. Ci sono prove direttamente confrontabili, ma a volte non è così. La resistenza alla fatica I materiali metallici hanno un gran numero di difetti al loro interno. Questi divetti sono origini di numerosi microintagli all’interno del metallo. Andando a deformare il metalo le microcrepe si aprono sempre di più: quando si inizia ad aumentare la vita di beni che sono stati deformati, questre microcrepe diventano rilevanti in quanto il materiale si rompe. Questa è la fatica: le rotture per fatica si generano non tanto per il carico elevato, quanto per la combinazione tra carico e ciclicità del carico, cioè quante volte applico un carico ripetitivo. Si scopre che per gli acciai esiste un valore della tensione al di sotto del quale le crepe rimangono costanti. Le crepe vengono messe in movimento se supero una tensione limite; se non supero quella tensione limite, le crepe non si propagano. Lo stesso fenomeno non è considerabile per gli allumini. Questo concetto è importante per il dimensionamento: il carico a fatica è circa il 40-60% del carico limite UTS. Quindi il costruttore non dovrà usare il valore di UTS, ma si devono usare le curve SN, come in figura. In figura a destra ci sono le resistenze a fatica dei altri materiali. Si considera comunque un 50% delle tensioni UTS. La viscosità I materiali hanno una viscosità interna. La viscosità si avverte durante un movimento: possono avere quindi un cedimento specialmente se sottoposti a temperature più elevate. Metodi di rottura dei materiali Il caso a è il caso di un materiale duttile in cui, avendo una strizione, in un certo momento ho un cedimento improvviso. Nel caso b ho un problema di compressione: è più facile per un materiale resistere alla compressione rispetto alla trazione. Mentre con la trazione il cedimento si ha per rottura, con la compressione prima della rottura ho un imbozzamento. Questo succede sempre a causa di imperfezioni che cedono.Per materiali fragili succede come in figura c, cioè partono delle crepe. Per materiali molto duttili possiamo avere rotture per strappi come nel caso d. L’obiettivo nostro è ovviamente deformare i materiali senza arrivare alla rottura. I tipi di rottura per trazione Il caso classico è il c, cioè ho un materiale duttile che presenta a mano a mano una strizione e poi si rompe. Il caso a è il caso di un materiale fragile che non presenta strizioni, ma ho una rottura più istantanea: è una rottura non duttile, non ho deformazione. Nel caso b ho una rottura per effetto degli scorrimenti, quindi ho una rottura a taglio. Infine per materiali particolarmente duttili ottengo il caso d, in cui si continua a ridurre la sezione fino ad avere un unico punto di contatto prima della rottura. Rottura intergranulare Gli atomi tendono a ordinarsi in maniera regolare e ogni grano si distingue dall’altro per l’orientamento dei cristalli. C’è quindi un bordo tra i grani in cui le forze non sono così grandi, quindi si staccano i bordi e abbiamo una rotture intergranulare. Rotture interne alla grana Posso avere materiale fragile che si rompe istantaneamente senza progressione. In questo caso le rotture sono interne alla grana. Inclusione dura Ho un materiale poco duro all’esterno, con un’inclusione dura all’interno. È possibile che in alcuni materiali si formino queste inclusioni: queste strutture dure, che magari si generano dopo processi di fusione, lavorano il materiale quando vado a schiacciare il materiale. Un’inclusione soffice va bene, mentre un’inclusione dura provoca lacerazioni perché muove il materiale dall’interno. Influenza della fatica sulle lavorazione La fatica è influenzata dal tipo di lavorazione. Lavorando in un certo modo il materiale, cioè, posso andare a eliminare le crepe. Ad esempio: con una colatura ho resistenze alla fatica molto basse. Mano a mano che passo alla sgrossatura o alla finitura si iniziano ad avere resistenze a fatica maggiori. Facndo poi rettifiche con polveri sempre più piccole (lucidando la superficie) miglioro moltissimo la reisstenza a fatica del materiale. Lucidando un materiale quindi si ha una migliore resistenza alla fatica. Da cosa scaturisce la fatica? Se ho una micro crepa e vado a deformare il materiale, le linee di forza generate si vanno a concentrare in corrispondenza della discontinuità. L’estremità della crepa è dove si vanno ad addensare le linee di forza. Questo è il motivo per cui si cerca sempre di raccordare gli spigoli vivi: agli spigoli vivi si vanno ad addensare le linee di forza. La resistenza a piegatura Se prendo un pezzo e applico un momento alle due estremità, questa sollecitazione esterna comportano la creazione di tensioni interne che servono per bilanciare il momento. Nella parte inferiore del pezzo infatti sto applicando delle sollecitazioni di compressione, mentre nella parte superiore del pezzo, sto applicando delle sollecitazioni di trazione (si stira). L’effetto di queste forze, con il braccio, crea il momento che si contrappone a quello che impongo io. Ci sarà poi una parte massimamente carica (quella inferiore) e una minimamente carica (quella superiore); c’è quindi anche un asse neutro che non è soggetto a sollecitazioni. Insistendo con la deformazione, arrivo a deformare plasticamente il materiale sia nella parte superiore che nella parte inferiore. La deformazione però avviene solo nella parte superiore ed inferiore: la parte nel mezzo non è stata obbligata a deformarsi. Scaricando il pezzo, all’interno restano delle tensioni dovute al fatto che il materiale si è deformato sopra e sotto e queste superfici tenderebbero a restare così. Dato che la parte centrale però non è stata deformata, viene applicata una sollecitazione contraria. Queste tensioni sono chiamate tensioni residue e devono dare come risultante pari a 0. Processo di pallinatura: serve per indurre delle tensioni di compressione. Si blocca il pezzo nelle direzioni laterali e si sparano delle palline per comprimere il pezzo. Questo comporta la formazione di tensioni di compressioe che vanno a riempire le crepe preesistenti. Le tensioni residue si possono sviluppare quando lavoro il pezzo: magari facendo un piccolo taglio si strappa completamente il pezzo o cose del genere. Proprietà fisiche dei materiali Le proprietà fisiche e meccaniche sono importanti per la scelata dei materiali. Nel diagramma possiamo notare la resistenza e la rigidità specifica (rapportatata alla densità). Un altro parametro di scelta è la resistenza alla temperatura. Ogni metallo, al crescere della temperatura, ha minore resistenza. Anche la durezza è minore all’aumentare della temperatura. Per aumentare il carico che il materiale riesce a sopportare dobbiamo aumentare la quantità del materiale. Struttura e trattamento a termico Il trattamento termico è un raffreddamento rapido: in questo caso la lega è più resistente e più rigida. Si aumentano le proprietà del materiale; l’aumento è a discapito della duttilità. Quindi aumento le proprietà a discapito della capacità di deformarsi. Ad esempio, in una ruota dentata voglio l’indurimento superficiale perché non voglio avere strusciamento ma rotolamento di un profilo sull’altro. Quindi ho bisogno di aumentare la durezza; ma aumentando la durezza abbiamo detto che aumento la rigidità, perché perde la capacità di deformarsi. Come si fa a far coesistere queste due cose? L’ideale è avere il trattamento termico solo all’esterno del materiale, mentre all’interno no. Questo è effettivamente quello che succede: la “pelle” del pezzo si raffredda molto velocemente, mentre all’interno il materiale si raffredda, ma lentamente. In figura si vede che aumentando la percentuale di carbonio si aumenta la distanza tra gli atomi. Se la quantità di carbonio è minore dello 0.022% ho una composizione di ferrite pura. Le altre intersezioni che si vedono si chiamano Eutetoidi: la differenza è che l’eutetico è una lega che si comporta come un metallo puro, mentre l’eutetoide è una situazione in cui ho un cambiamento istantaneo relativo alle fasi, non un cambiamento di stato. L’eurettoidico è la conformazione ferrite+cementite: questa conformazione si chiama perlite a causa della colorazione. Ghise Si parla di acciai se ci troviamo al di sotto della percentuale 2.2 (in peso di carbonio). Sopra oil 2.2% di carbonio si parla di ghise: più si aggiunge carbonio e più il materiale diventa duro, creando quindi la ghisa. Le ghise hanno vantaggi dal punto di vista della colabilità, si lavorano bene per fusione. La grafite inoltre truciola bene. Ci sono vari tipi di ghise: se il carbonio non forma cementite ma rimane sottoforma di grafite, si possono avere situazioni di grafite stabile (grani di ferro alpha), grafite nodulare oppure grafite molto malleabile. Il carbonio come detto si va ad inserire nella matrice regolare degli atomi di ferro. Se però facciamo una tempra, raffreddandola velocemente, il carbonio non ce la fa a distribuirsi in modo uniforme e regolare, ma viene segregato dalla matrice. Ci sono casi in cui i granelli di carbonio rimangono in maniera interstiziale in tutta la matrice. Un caso particolare è la martensite, cioè l’acciaio super duro. Come detto all’aumentare della percentuale di carbonio aumenta la durezza in maniera lineare se effettuo un raffreddamento lento. Si ottiene la martensite quando vado ad effettuare un raffreddamento rapido. Questo mi dà durezza molto più elevata. Trattamenti termici La variabile del trattamento termico è l’andamento della temperatura del raffreddamento, cioè quanto velocemente si raffredda. All’aumentare della temperatura la durezza diminuisce, quindi a man mano otteniamo grana più grande. La grana è uno degli elementi che determina la resistenza. Una volta ottenuta la martensite, essendo molto dura, è anche molto fragile. C’è da mettere quindi un invecchiamento del materiale, mettendolo in forno con almeno 200°, facendo sì che la grana diventi più grande. Diagrammi TTT (Tempo-temperatura-trasformzaione) Invece di avere la composizione, ho il tempo. nel diagramma in basso a destra si vede in quanto tempo vado a raffreddare. Se raffreddiamo più velocemente di 140° al secondo riusciamo ad ottenere martensite. Altrimenti, andando al di sopra di 35° al secondo (quindi andiamo più lentamente) otteniamo la perlite. Se restiamo nel mezzo otteniamo strutture a metà. Queste curve hanno questo nome perché mi fanno vedere il tipo di trasformazione che cambia in base al tempo e alla temperatura. Nella figura a destra invece si vede come cambia la tensione di snervamento in base alla temperatura di invecchiamento. I procedimenti di fabbricazione per fusione Il processo di fusione è molto più semplice rispetto a quello di asportazione di truciolo. In questo processo si parte da un elemento cavo (=negativo del pezzo) che ci permetterà di avere il pezzo che vogliamo. La qualità che si ottiene è tale da dover però fare altre lavorazioni. Si esegue un pezzo per fusione quando questo ha una geometria complicata e sarebbe troppo complesso da realizzarlo per asportazione di truciolo. Altra caratteristica è che le lavorazioni per fusione si addicono molto a lavorazioni di serie. I metodi di formatura, cioè di preparazione della forma, si distinguono in tre gurppi: • Forma transitoria • Forma permanente • Modello permanente Questi processi di fonderia coprono tutta la gamma di capabilities, quindi si possono realizzare pezzi piccoli e grandi. La parte che si deve asportare alle interfacce è il sovrametallo. Formatura in terra con staffe Si prende a riferimento un processo di forma transitoria. Immagino di dover realizzare il modello in figura. Le appendici che escono dal modello sono le portate d’anima e vengono aggiunte perché servono per realizzare il pezzo. Il modello è fatto in legno e sarà il nostro positivo. Questo modello si metterà dentro la sabbia, messa precedentemente in una formina. Levandolo dalla sabbia rimane il negativo del pezzo. Quando andiamo a colare dentro il negativo, si ottiene il positivo in metallo. La forma, quando dobbiamo prendere il pezzo, verrà rotta, quindi ne va rifatta una ogni volta. Ci sono altri due elementi: il sistema di colata e la materozza. Il sistema di colata è la parte che devo aggiungere al pezzo per far si che la colata arrivi al pezzo; si prevedono degli spazi vuoti per far arrivare il metallo fuso. La materozza è un sistema progettato e dimensionato per evitare che si formino difetti sul pezzo. Tutte queste attività (decidere le staffe, progettare la materozza, progettare il sistema di colata, dare la forma al modello…) definiscono il ciclo di fusione. Quando ho da realizzare un pezzo che è forato al suo interno, vado ad aggiungere un’anima: questo è un oggetto di forma cilindrica. Vado quindi a mettere il modello nella forma, lo levo e rimarà tutta la forma: dentro questo vuoto si va a mettere l’anima che formerà uno spazio vuoto una volta che il metallo sarà colato sopra. Per poter estrarre l’anima ho solitamente un guscio fatto di due metà, altrimenti per tirare fuori l’anima andrei a distruggere quello che ho appena creato. Il modello è infatti fatto di due parti: una parte mi deve formare la semimetà di sopra e una la semimetà di sotto. Attività per realizzare il pezzo Scelta del piano di divisione Un primo problema riguarda la scelta del piano di divisione. Un pezzo si realizza con due semistampi; c’è sempre un momento in cui devo risolvere il problema del sottosquadro. Un’indicazione è quella di partire da piani di simmetria. Si considera il piano 1 in figura. Quando vado a estrarre il pezzo (in base ad una direzione di estrazione) una parte esce tranquillamente, mentre l’altra parte va a distruggere tutto perché è in sottosquadro. Conisdero il piano 2. La parte forata mi provocherebbe sottosquadro, ma si risolve il problema con l’anima. Ho in sottosquadro le parti C e D. Considero il piano 3. Scelgo come direzione di estrazione quella in basso: in questo caso la parte che andrei a danneggiare sarebbe “la cava sulla destra tra i punti C e D”. Il piano 3 è comunque il piano migliore dei tre Ci sono però dei mdi per andare a risolvere questi problemi.Un primo modo è quello di fare la modifica del progetto. Si va a modificare il disegno. Il fatto di fare una modifica è negativo: il progettista avrebbe dovuto avere le conoscenze per capire che quel modo di disegnare non è economico. Doveva prevedere i problemi di produzione. Altre soluzioni riguardano l’utilizzo di tasselli. Si crea un modello, con una parte aggiuntiva chiamata portata d’anima: questa serve perché si va ad inserire nella forma il modello (sempre fatto di due semimodelli). Si estrae il semimodello (di sotto) ottenendo una cavità che contiene a sua volta una parte, cioè il modello, e una parte che andrò a riempire, prima di colare il metallo, con il tassello. In questo modo, così come si vede nella seconda figura, si ha la cavità. Altro modo per risolvere il problema è quello dei modelli scomponibili. Vado a fare la mia parte di modello in due I dendriti sono quindi quella parte di metallo che ha temperatura di solidificazione più alta, quindi è quella parte che solidifica prima. La generazione dei dendriti la abbiamo sempre a causa del fatto che ho delle leghe e non dei metalli puri. Un materiale con grana più piccola ha meno capacità di essere deformato; grana più grande mi dà modulo elastico minore e maggiore allungamento percentuale. Nei metalli puri l’accrescimento segue il flusso termico ordinato; tutto avviene in maniera regolare. Al microscopio si vedrebbe quello che abbiamo in figura a, b e c. Questo grafico mi mostra l’andamento della temperatura in funzione della distanza. Quando inizio a fare la colata ho una temperatura ambiente (room temperature). C’è poi un salto termico che permette lo scambio di calore (delta T) alla parete esterna e alla parete interna. Avrò poi un aumento della temperatura in base alla distanza e arrivando nel punto di fusione ho il momento in cui da solido passo a liquido. Solubilità dell’idrogeno L’idrogeno è l’elemento con l’atomo più piccolo. Si parla quindi di diffusione quando ho gli atomi di un elemento che entrano nell’altro (come già abbiamo visto). Due metalli quindi si saldano tra loro perché c’è una tendenza a diffondersi con dovute temperature. L’atomo di idrogeno, essendo molto piccolo, si va a diffondere molto volentieri tra gli atomi. La particolarità è che la solubilità dell’idrogeno cresce bruscamente durante la fusione. È molto facile quindi far entrare idrogeno nella nostra struttura al punto di fusione. Il problema è che l’idrogeno infagilisce la struttura. I coefficienti di espansione termica Questi coefficineti identificano la contrazione volumetrica. La contrazione si ha in fase di solidificazione, ma anche in fase liquida e solida. Tutto questo va considerato nell’accomodamento della forma: la forma va fatta più grande. Valutazione approssimata del modulo di raffreddamento di una piastra di dimensioni infinite Come si va a mettere le materozze? Come sappiamo, cedono il metallo e devono solidificare per ultime. Dobbiamo assicurare la solidificazione direzionale, cioè dobbiamo controllare il modo in cui il pezzo solidifica (quindi la parte che solidifica prima e quella che solidifica dopo). La parte che solidifica dopo andrà a fare da materozza alla parte che solidifica prima. La materozza verrà posizionata nella parte che solidifica dopo. Come sappiamo ci sono 3 forme di scambio termico (coduzione, convezione e irraggiamento) che sono presenti nella fase di raffreddamento. Si va a semplificare il concetto di raffreddamento introducendo il modulo di raffreddamento: si considera il rapporto del volume rispetto alla superficie. Si va a ipotizzare che un oggetto si raffredda in base al rapporto volume/superficie. Questo perché il volume di un corpo è proporzionale alla sua massa (quindi alla quantità di calore immagazzinato), mentre la superficie è proporzionale alla capacità di scambiare calore. Il modulo mi dice quanto quell’oggetto scambia calore. Quello che vado a fare scomporre l’oggetto in oggetti più semplici. Ad esempio, la geometria che ha il massimo modulo di raffreddamento, a parità di massa, è la sfera; aggiungendo sppigoli vado sempre a diminuire il modulo (quindi quell’oggetto si raffredderà prima). Chi ha modulo di raffreddamento più basso si raffredda prima, chi ha modulo di raffreddamento più alto si raffredda dopo. Tutto ciò è ovviamente una semplificazione approssimata, ma i risultati, pur avendo degli errori, sono comunque molto efficaci. Posso andare a semplificare ulteriormente i calcoli: vado ad identificare un cubetto all’interno della piastra. Questo elemento ha lo spigolo esattamente uguale alla piastra; come superficie di scambio termico ha le sei facce del cubo. Queste facce scambiano calore in funzione del gradiente termico, cioè il calore viene ceduto dove ho un elevato salto di temperatura. Quindi lo scambio termico è tutto concentrato sulle facce che vanno sull’esterno. Quindi il modulo di raffreddamento del cubo è: 𝑀𝑐𝑢𝑏𝑜 = 𝑆3 2𝑆2 = 1 2 𝑆 Estendendo il concetto a tutta la piastra posso dire che: 𝑀𝑝𝑖𝑎𝑠𝑡𝑟𝑎~𝑀𝑐𝑢𝑏𝑜 = 1 2 𝑆 Ci saranno cioè degli alri cubettini che scambiano, ma posso trascurare gli effetti bordo. Il modulo di raffreddamento esprime il concetto per cui quando i dendriti sono cresciuti fino a metà del mio spessore, ho ottenuto la solidificazione completa. Estendendo questo ragionamenti alle altre forme ottengo i moduli nella seconda figura in pagina precedente. I processi di fusione in forma transitoria In generale i processi per fusione sono comunque complicati perché si parla di oggetti complicati. In basso abbiamo il diagramma di flusso del processo di produzione per fusione. Con sand si intende la terra da fonderia, con pattern si intende il pattern, con core si intendono le anime. Una classificazione dei processi di formatura in forma transitoria riguarda il meccanismo di indurimento; questo infatti può essere: ➢ Meccanico: agglomerazione della terra da fonderia. In figura ho il modello in legno fatto di due metà. Si usa metà modello, si mette sopra la terra, si capovolge e si va ad aggiungere l’altra metà. Si mettono le materozze e si aggiunge l’altra terra. Si va poi a tirare fuori la forma; nella cavità creata si va ad inserire l’anima che abbiamo realizzato. Abbiamo la forma con l’anima, si cola quindi il metallo e viene fuori il pezzo. Si vanno a mettere dei pesi sopra la gabbia perché si deve andare a contrastare la spinta metallostatica. Da una parte abbiamo la massa della terra e la massa della staffa che agiscono verso il basso, dall’altra parte abbiamo la pressione che va ad agire sulla superficie. Come abbiamo detto il meccanismo di indurimento meccanico viene effettuato con terra sintetica a verde o a secco. Questa terra sintetica è fatta di sabbia refrattaria, resistente ad alte temperature, con un legante, solitamente argilla che fa da collante. Un altro materiale che può essere usato è il gesso: il problema del gesso (che comunque permette di ottenere oggetti molto lisci) è che bisogna far evaporare l’acqua ed è difficile da controllare l’umidità. Macchine che si usano nella fusione a conchiglia Ci sono due tipologie di macchine: conchiglia sotto pressione e a camera fredda. Il vantaggio di una conchiglia in forma permanente è che non devo rifare la conchiglia. Quello che ci permette di aumentare la produttività è il tempo di riempimento della foma e la solidificazione ➢ Macchina a conchiglia sotto pressione: invece di lasciar fluire la lega, si va ad iniettare la lega. C’è un pistone che spinge la lega e si va ad iniettare. Questa operazione non si può fare in una forma trasitoria perché se andassi ad usare la pressione romperei la forma in terre. L’altro vantaggio è il tempo di raffreddamento minore, dovuto al fatto che la conchiglia è in metallo. Altro elemento che mi fa aumentare la produzione è l’automazione, riguardante l’apertura e chiusura delle due semiconchiglie: la conchiglia si apre e il pezzo cade. Le due conchiglie sono attaccate alla macchina, con una fissa e l’altra mobile. Le conchiglie infatti sono l’utensile e si deve permettere di poterle sostituirle in tempi rapidi. ➢ Macchina a camera fredda: la differenza è che invece di avere la camera calda (zona in cui porto in fusione il metallo e lo inietto) ho solo un pistone che inietta il fluido all’interno della conchiglia. Il riempimento del pistone avviene attraverso la colatura del metallo fuso che viene prelevato dal forno. Di lato ho il meccanismo di funzionamento degli estrattori. Schema di una conchiglia per colata sotto pressione Identifico con i numeri le varie parti: 1. Canale di iniezione della lega liquida 2. Semiconchiglia fissa 3. Semiconchiglia mobile 4. Estrattore 5. Piastra porta estrattori 6. Fine corsa regolabile 7. Getto 8. Tassello mobile per sottosquadro Conchiglie a gravità La colata avviene dall’alto (sconsigliabile dato che il metallo solidifica velocemente inglobato in una superficie meno dura), lateralmente o ancora dall’alto con basculamento (è come riempire il boccale di birra e non ho il problema precedente). Per avvitare la conchiglia, cioè per aprirla e chiuderla, si usano delle viti che girano. Scelta del tipo di formatura Viene fatta in base ad un insieme di criteri: ➢ Dimensioni, peso e forma del pezzo ➢ Tipo di lega ➢ Finitura e precisione desiderta ➢ Quantità da produrre I primi 3 riguardano la capacità di soddisfare la specifica, mentre la quantità da produrre è un criterio economico. Come si può notare dalla figura la funzione di costo è composta da una parte iniziale fissa (a 0 pezzi comunque sopporto un certo costo) e una parte che dipende dal numero di pezzi. La formatura in sabbia ha un costo fisso molto basso; il costo di una conchiglia a gravità è già più elevato mentre la pendenza (costo a pezzo) mi si abbassa. Con la presso-fusione ho un costo fisso alto (= costo della macchina) ma la pendenza è molto bassa, quindi la convenienza si vede su grandi numeri. Criteri da soddisfare per evitare che si verifichino dei problemi in produzione (criteri di Design for Manufacturing) I principali difetti in fonderia sono elencati di seguito: 1. Escrescenze metalliche:sono delle bave che vengono fuori dal fatto che il metallo si è infiltrato in uno spazio vuoto. Il problema delle bave riguarda non solo il fatto che dovrò fare operazioni aggiuntive per andarle ad eliminare: se il metallo si è infiltrato significa che le semiforme non erano perfettamente chiuse, quindi posso avere dei problemi dimensionali da altre parti. Quando ho delle bave ho fatto un errore di progettazione. Un'altra escrescenza metallica è il distacco di sabbia: qui significa che la sabbia non era giustamente compattata. 2. Cavità: il problema riguarda le soffiature, cioè il metallo solidifica prima che l’aria sia uscita. Si formano quindi delle bolle d’aria. Si possono formare internamente durante il moto turbolento della lega. Abbiamo poi anche le cavità di ritiro dovuta alla solidificazione irregolare del metallo. 3. Soluzioni di continuità: una tipologia di difetti è la frattura a freddo. Succede che il pezzo dopo che il metallo è solidificato, si rompe, attraverso una frattura. Questo accade quando ho l’esistenza di forti tensioni interne e/o un materiale fragile. Simile è il caso delle cricche in cui ho delle zone massicce che provocano la propagazione di crepe che si vanno a diffondere. Quando ho degli spigoli, quando si raffreddano è possibile che partano delle crepe che tende a propagarsi quando il pezzo viene sollecitate. Le tensioni saranno massime all’apice di queste crepe quando vado a caricare il pezzo. Il pezzo si autosollecita a causa del fatto che ci sono dei raffreddamenti differenziali, quindi non uniformi (questo infatti provoca tensioni interne). Ho poi il problema della ripresa: un ramo del flusso veniva dall’alto, un altro ramo veniva dal basso, quindi ho due fronti che si incontrano quando si era formata una superficie già solidificata. ➢ Superfici difettose: un esempio è la superficie a buccia d’arancia che è un fenomeno simile alla soffiatura superficiale. I grani grandi tendono a generare imperfezioni più grandi, mentre con grani piccoli ho una migliore finitura. Se ho dei grani irregolari permettono di interconnettersi meglio, quindi una terra più compatta. La terra di fonderia è fatta per il 90% da silice, per il 3% di acqua e per il 7% di argilla. La migliore configurazione si ha con insieme di grani grandi e grani fini cosi si lascia la minima quantità di aria. ➢ Pezzo incompleto: quando magari non è entrato abbastanza metallo oppure quando si è raffreddato prima il metallo. ➢ Fuori staffa: se non blocco bene una parte rispetto all’altra, non combaceranno. Le due metà non saranno mai perfettamente combacianti, ma ho delle tolleranze. Se le parti non sono funzionali non è troppo importante. ➢ Inclusioni o anomalie strutturali: un esempio è la goccia fredda, che mi comporta la creazioni di parti particolarmente dure all’interno del pezzo. È come se avessi un materiale diversi, sempre dovuto ad una solidificazione troppo brusca. Avere un raffreddamento rapido ad un estremità è un problema perché mi comporta una disconformità della struttura. Questo è un difetto di produzione. Design for manufacturing È un insieme di regole per progettare particolari meccanici in modo da ridurre i costi di lavorazione. Nel grafico ho sulle ascisse le varie fasi dello sviluppo del prodotto. Le varie funzioni invece sono: ➢ Il costo di sviluppo di un prodotto: parte molto basso, poi si alza durante lo sviluppo del prodotto, perché vado a comprare macchinari ecc, finchè va a scemare piano piano 1. Suddivisione del getto in forme semplici: scomporre il pezzo in forme geometriche semplici 2. Calcolo dei moduli di raffreddamento: attraverso i processi già visti. Se si hanno sistemi CAD si possono fare calcoli esatti 3. Controllo della direzionalità della solidificazione: si deve verificare che M1 magari sia maggiore di M2 e di M3, quindi si va a disporre la materozza su M1. Se le direzioni sono più di una, come in figura, si devono prevedere due materozze. 4. Posizionamento e dimensionamento della materozza: se si verificasse il caso detto in precedenza, in cui ho una piastra troppo lunga e non posso sapere se la colata arrivi fino in fondo, vado a considerare dei valori di riferimento. Ad esempio, si può dire che nella parte di estremità, fino a due volte e mezzo dello spessore si può dire che quella parte che solidifica per prima non ha problemi. La distanza che la materozza riesce a raggiungere si chiama raggio di influenza; questo valore è definito come k*S dove k è un valore che dipende dal materiale. Se ho una piastra che ha una lunghezza superiore, la materozza non è adeguata; quindi dobbiamo mettere ad esempio la materozza nel mezzo oppure mettere due materozze. Un altro metodo è quello di inserire un raffreddatore: questo è un elemento che incrementa la velocità di solidificazione. Se ho una forma in terra, si può mettere all’estremità degli elementi (come rottame, chiodi, ferro) che si inseriscono nella forma. Quando la lega entra in contatto con questi elementi, solidifica più velocemente. Questo è preferibile rispetto all’aggiunta della materozza perché usando una materozza comporta utilizzo di più metallo da colare e più energia. 5. Il diagramma del Caine: strumento che deve essere applicato per evitare i problemi di solidificazione. I pezzi sono definiti sani se cascano nella zona del grafico mostrato. Sull’asse x abbiamo il rapporto tra i moduli di raffreddamento della materozza e del pezzo, mentre sull’asse y abbiamo il rapporto tra i volumi di raffreddamento della materozza e del pezzo. Dal grafico si evince che è bene trovarci in una zona con x > c e y > b, cioè il modulo di raffreddamento della materozza deve essere abbastanza più grande di quello del pezzo e il volume della materozza deve essere abbastanza più grande di quello del pezzo. Troviamo quindi l’equazione dell’iperbole mostrata in figura, dove: • a = coefficiente sperimentale, circa pari a 0,1 • b = coefficiente di ritiro volumetrico • c = coefficiente di trasmissione del calore Esistono anche materozze cieche: queste non sono materozze a cielo aperto, quindi non ho la pressione atmosferica che spinge. Si usano quando solitamente serve una seconda materozza. Di materozze ne esistono di vario tipo: ci possono essere materozze cilindriche a cielo aperto, emisferiche a cielo aperto, ovali a cielo aperto e cieche. Il problema della materozza è riuscirla a collocare in uno spazio corretto: per questo motivo ogni tipo di materozza ha dei propri valori di volume e diametro. È preferibile una materozza sferica o semisferica. Sono poi standardizzati i collari di raccordo tra materozzo e pezzo. Scelta e dimensionamento dei sistemi di colata Innanzitutto bisogna operare in regime laminare (come sappiamo, ricavabile dal numero di Reynolds). Questo regime è prefiribile perché non abbiamo velocità elevate e rischi di cambi di forma.Vogliamo avere poi rapidità nel riempimento assicurando una buona distribuzione. Per dimensionare il sistema di colata ci sono 2 formule sperimentali: ➢ 𝑇 = 3.2 𝐺0.5 (𝐷𝑖𝑒𝑡𝑒𝑟𝑡) ➢ 𝑇 = 3.2 𝑠 𝐺0.4 (𝑁𝑖𝑒𝑙𝑠𝑒𝑛) Dove T è il tempo di colata (in secondi), G è il peso del getto (in kg) e s è lo spessore medio del getto (in cm). Si considera che per un oggetto di 4 kg è necessario impiegare circa 6 secondi. La velocità del getto dipende dall’altezza a cui viene colato, infatti: 𝑉 = √2 𝑔 ℎ Questa è la velocità con la quale il metallo scorre. Dato che vogliamo un regime laminare, gli attacchi di colata sono più di uno e sono solitamente triangolari. La portata di liquido k è definita come: 𝑘 = 𝐺/𝑇 Data la definizione di portata, vado a calcolare la sezione: 𝑆 = 𝑘 𝑉 𝛾 Attraverso la sezione vado a dimensionare la colata. Nella figura, la sezione totale è la somma delle due sezioni degli attacchi di colata. Il canale di colata deve essere a sezione decrescente (dall’alto verso il basso) per garantire che il fluido sia pressurizzato e non passi aria. Non si cola poi direttamente nel canale di colata, ma nel bacino di colata; questo per due motivi. In primo luogo si cola ad una altezza maggiore, quindi se colassi direttamente nel canale avrei una velocità maggiore; facendolo prima andare sul bacino di colata, la velocità si riazzera. Il secondo vantaggio riguarda il fatto che si purifica la lega da varie scoree che vanno a galleggiare sul bacino e si possono togliere. Le formule che servono per fare i conti sono: • Teorema di Bernoulli: ℎ + 𝑝 𝑔𝜌 + 𝑣2 2𝑔 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 • Continuità • Numero di Reynolds:𝑅𝑒 = 𝑣𝐷𝜌 𝜂 • Rapporto tra sezioni ed altezze: 𝐴1 𝐴2 = √ ℎ2 ℎ1 • Regola di Chvorinov:𝑇𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑑𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝐶 ( 𝑉𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝐴𝑟𝑒𝑎 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑓𝑖𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒 ) 𝑛 In prima approssimazione si può considerare, nell’ultima relazione, n=2 e le costanti C variano in base al materiale da fondere e alla sabbia/metallo. La deformazione plastica Riprendo la curva che già avevo affrontato. Questa curva si ottiene sperimentalmente ed ha tutte le caratteristiche che si osservano quando si sottopone un provino metallico alla prova di trazione. Data la forza che applichiamo, sapendo il modulo elastico, possiamo sapere di quanto il nostro materiale si è allungato. Inoltre sappiamo dopo quanto sforzo si rompe, quando finisce il limite di proporzionalità (cioè quando rilasciando il pezzo, questo non ritorna come era prima). Quando raggiungo il limite di snervamento si staccano gli atomi che si spostano su piani di scorrimento. Il moto delle dislocazioni mi aiuta a completare questo scorrimento, attraverso quindi i difetti che si hanno nel reticolo. Il fenomeno dell’incrudimento Quando inizio a deformare io utilizzo la capacità del metallo di deformarsi: oltre un limite però inizia difficile andare a deformare un pezzo. Questo è il fenomeno dell’incrudimento: fa sì che lo sforzo di deformazione continua a crescere. Durante la deformazione plastica la densità delle dislocazioni aumenta di vari ordini di grandezza, generando tuttavia campi di deformazione plastica tali da impedire il movimento. Queste tensioni generano l’incurvamento dei piano di scorrimento e degli altri a questi adiacenti, cosicché tutta la massa del cristallo risulta distorta. All’aumentare della deformazione lo scorrimento può avvenire solo su quei piai che richiedono tensioni tangenziali maggiori; questo fenomeno è responsabile dell’andamento crescente della curva sforzo deformazione in campo plastico. Se prendo un metallo e lo deformo all’inizio avrò una determinata funzione; se provo successivamente provo di nuovo a deformarlo lo troverò più rigido e meno deformabile. Se si va a lavorare a freddo si incrementa l’incrudimento. Tutto questo potrebbe essere annullato con la temperatura: andando cioè a scaldare il metallo vado a togliere le tensioni residue. Si stima ora il lavoro delle forze esterne: 𝑝 𝐴0 𝐿0 = 𝐴0 𝐿0 𝑌 𝜀1 Il lavoro esterno (a sinistra) serve per compiere un lavoro delle tensioni interne (a destra: si moltiplica per il volume perché 𝑊𝑖 visto in precedenza è il lavoro per unità di volume) che servono per conseguire la deformazione. Si ipotizza un materiale perfettamente plastico, quindi la curva sforzo-deformazione è una retta. Finchè, cioè sono al di sotto della tensione di snervamento, non succede nulla e quando supero la tensione di snervamento il materiale istantaneamente si deforma (si sta cioè trascurando l’incrudimento). 𝜀1 abbiamo visto in precedenza che può essere calcolato coma 𝑙𝑛 𝐴0 𝐴𝑓 , che per semplicità si chiamerà 𝑙𝑛 𝑅. Quindi dalla relazione precedente vediamo che: 𝑝 = 𝑌 ln 𝑅 Quindi ho ricavato la pressione da applicare in funzione di quanto stiamo ottenendo. La semplificazione fatta non è così drastica: andiamo ora a considerare il materiale con incrudimento. Si va a cercare non la Y di snervamento, ma una Ym, cioè una tensione media che tiene conto del fatto che il materiale si comporta come nel grafico sforzo-deformazione. Considerando il grafico si nota infatti che nel materiale ci saranno parti che hanno una tensione maggiore e parti che hanno una tensione minore. La tensione media si va a considerare facendo l’integrale della curva e dividendo per 𝜀1: 𝑌𝑚 = ∫ 𝜎 𝑑𝜀 𝜀1 0 𝜀1 = 𝐾 𝜀1 𝑛 𝑛 + 1 Attrito Applicando una pressione p si produce una tensione si scorrimento che dipende dal coefficiente di attrito. La forza di attrito come sappiamo si oppone al moto: 𝜇 = 𝜏 𝑝 Schiacciando un materiale, se non ci fosse attrito, questo scorrerebbe perfettamete. Considerando un po’ di attrito il materiale si deforma più di quanto scorre, mentre in caso di attrito adesivo il materiale non scorre e si deforma completamente (il cilindro perde la forma cilindrica sempre di più). La distribuzione delle tensioni normali, inoltre non è più costante, ma ho tensioni massime al centro. La tensione tangenziale τ dipende da come viene lubrificata la superficie, infatti: 𝜏 = 𝑚∗ ∗ 𝑘 Dove 𝑚∗ è un coefficiente che dipende dal tipo di lubrificazione e varia da 0 a 1. Slab-analysis A livello di modello matematico si può studiare quello che si diceva prima riguardante la distribuzione delle tensioni normali. Si parla di meccanica dei continui, in particolare del metodo slab-analysis applicato al caso di compressione tra piani paralleli. Considero un blocco che ha un’altezza h e una base b. Si conisdera solo il piano, cioè il caso bidimensionale. La pressione p che viene esercitata sul blocchetto mi genera una forza di attrito μp. Vado a studiare che tensioni agiscono sul volumetto di materiale di larghezza infinitesima. A differenza della prova di trazione, qui ho una tensione 𝜎𝑥 che è applicata verso destra, mentre dalla parte opposta ho una tensione che non è esattamente uguale e contraria, ma presenta una piccola variazione: 𝜎𝑥 + 𝑑𝜎𝑥. La variazione della tensione orizzontale dipende dalle tensioni di attrito μp. Risolvendo i vari integrali (tra 0 e b/2) si arriva a definire l’andamento delle pressioni (figura in basso). Le pressioni hanno espressioni del tipo: 𝑝 = 2𝑘 𝑒 𝜇𝑏 ℎ Dove b e h sono i parametri geometrici. Più alto è l’attrito e maggiore è b, più la curva va verso l’alto, cioè il massimo è sempre più marcato aumentando l’attrito. K è invece la tensione di deformazione a taglio, cioè il coefficiente di snervamento della tensione tangenziale (come se fosse Y ma per la tensione tangenziale). Criterio di cresca Le tensioni normali e tangenziali sono legate, quindi quando si sviluppa una si sviluppa l’altra. Se io ho uno stato di sollecitazione secondo direzioni diverse, viene favorita la direzione tangenziale. La tensione tangenziale che si sviluppa è data dalla metà della differenza tra la tensione massima e quella minima. Nell’esempio precedente avevamo solo una tensione, quindi la tensone tangenziale vale sigma/2. Il metodo upper-bound “Upper” è il limite superiore, “bound” è il confine inferiore. Upper-bound significa caso peggiore: il valore che ci dà questo metodo sicuramente non verrà superato perché le ipotesi che si fanno sono molto forti. Si ipotizza di scomporre il pezzo in 4 prismi di sezione triagolare. Lavoriamo sempre in ambito bidimensionale. Quando vado a schiacciare con una pressione p si ipotizza che ho solo scorrimento lungo le facce tra questi prismi. Quindi 1 e 3 si avvicinano tra loro e 2 e 4 si allontanano. Questa ipotesi è forte perché lo scorrimento sarà distribuito un po’ in tutto il materiale. Avrò quindi una tensione di snervamento a taglio da superare. Imposto l’equazione: 2𝑉0 𝑝 𝑏 = 4𝑘 𝑂𝐴̅̅ ̅̅ 𝑉𝑂𝐴 Ho eguagliato la potenze, perché ho delle forze moltiplicate le velocità: da una parte ho la potenza esterna, dall’altra ho la potenza interna. Dato la velocità di avvicinamento, posso ricavarmi la velocità di scorrimento, ricavandomi quanto è lungo il segmento OA con il teorema d1i pitagora: 𝑂𝐴̅̅ ̅̅ = 1 2 (ℎ2 + 𝑏2)1/2 Il teorema di pitagora lo devo applicare anche sui vettori velocità. Sostituendo ricavo: 𝑝 2𝑘 = 1 2 ( ℎ 𝑏 + 𝑏 ℎ ) Questo è il limite superiore della pressione da applicare in questo caso. Quando si va nel dettaglio però è necessario ottimizzare il processo. Schema semplificato dei passi necessari per l’applicazione del FEM L’ottimizzazione non la posso fare matematicamente, altrimenti le formule verrebbero troppo complicate. Ma la stessa teoria vista prima rimane valida, è solo necessario scalarla. Si va ad applicare quella teoria a elementi del mio prodotto, parlando di metodi a elementi finiti (FEM). Vengono applicate le leggi della meccanica dei continui. Questo è un modello che va a studiare la deformazione attraverso simulazioni al cad. Il software mi rilascia una mappa delle deformazioni: a livello intuitivo si va a scomporre l’oggetto in tanti nodi. Ad ogni nodo è applicata una pressione p; la legge di deformazione rimane sempre valida. Ho quindi una matrice di pressioni che darà una matrice di deformazioni delta con una matrice di costanti k che caratterizzano il comportamento del materiale. Nella seconda figura ho infatti una visione al cad in cui si vede le zone in cui viene esercitata una tensione maggiore. Più sono complicate le forme maggiore è la difficoltà con cui il cad riesce a calcolare le tensioni. Il processo di laminazione È il processo di schiacciamento. Attraverso un processo di laminazione si può ottenere una lastra (per poi trasformarla a sua volta magari in una lamiera o il foglio di alluminio). Si parte da una fusione continua di metallo riciclato (rottami ecc), ottenendo dei pezzi massicci di metallo; per arrivare al risultato finale si passa per semilavorati. Si arriva quindi a creare barre, lamiere, profilati, blumi e vergelle. La laminazione può essere a caldo o a freddo; solitamente è a caldo perché devo lavorare materiali molto grosso. Il processo di laminazione Richiama il processo di deformazione. Una lamiera viene fatta passare in mezzo a dei rulli e la sezione diminuisce. In generale quindi si può applicare il processo di schiacciamento, potendo quindi applicare i metodi visti fin’ora. Logicamente il blocchetto, perdendo sezione, si allungherà in maniera inversamente proporzionale alla riduzione di altezza a causa della costanza del volume. Quindi il materiale entra con una certa velocità ed uscirà con una velocità maggiore. Dopo il cilindro, la velocità è più veloce, quindi ci sarà un punto in cui la velocità periferica del rullo è uguale alla velocità del cilindro. La distribuzione delle pressione è come quella che abbiamo previsto: andranno da un minimo (dove non c’è contatto) fino ad arrivare ad un massimo (dove c’è il contatto). Per chiarezza di rappresentazione l’angolo alpha è molto grande; in realtà l’angolo alpha è molto piccolo. Se voglio produrre di più devo avere una potenza maggiore; se voglio schiacciare di più devo aumentare la coppia. In particolare questa coppia è la risultante di tutte le forze di schiacciamento, quindi: 𝑇 = 𝐹 𝐿 2 Dove L/2 è metà dell’arco di contatto che dipende dal rapporto di riduzione che vogliamo avere. L’angolo alpha Se ho delle ruote grandi riesco a superare meglio un ostacolo; se ho ruote più piccole ho più rischio di impuntamento. È il classico problema di imbocco. Ho due forze che si oppongono: la forza effettiva è la forza di contatto, che sarà normale alla superficie. Questa si può scomporre in una componente orizzontale e una verticale. A questa forza normale corrisponde una forza di attrito che dipende dal coefficiente di attrito: anche questa la posso scomporre nelle componenti orizzontale e verticale. Il cilindro viene trascinato in avanti quando la componente 𝑭𝑻𝑶 della forza di attrito è maggiore della 𝑭𝑵𝑶. Quindi considerando l’angolo alpha come l’angolo che determina il punto di contatto e l’angolo ρ, cioè angolo di attrito. Si scrivono le seguenti relazioni: 𝐹𝑇𝑂 > 𝐹𝑁𝑂 𝐹𝑇𝑂 = 𝐹𝑇 𝑐𝑜𝑠𝛼 𝐹𝑁𝑂 = 𝐹𝑁 𝑠𝑖𝑛𝛼 𝐹𝑇 𝑐𝑜𝑠𝛼 > 𝐹𝑁 𝑠𝑖𝑛𝛼 𝜇 > 𝑡𝑎𝑛𝛼 𝐸𝑠𝑠𝑒𝑛𝑑𝑜 𝜇 = 𝑡𝑎𝑛𝜌 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝜌 > 𝛼 L’angolo alpha dipenderà dall’altezza in ingrezzo e l’altezza in uscita, oltre che al raggio del cilindro. Dato che il raggio del cilindro è molto grande rispetto alla riduzione che otteniamo, l’angolo alpha è molto piccolo, quindi possiamo fare la seguente approssimazione: 𝑡𝑎𝑛𝛼 ~ 𝛼 ~ √ ∆ℎ 𝑅 𝐸𝑠𝑠𝑒𝑛𝑑𝑜 𝜇 > 𝑡𝑎𝑛𝛼 𝑣𝑎𝑙𝑒 𝑐ℎ𝑒 ∆ℎ < 𝜇2 𝑅 Quindi posso aumentare lo spessore della lamiera con cilindri più grandi e aumentando l’attrito. La calibratura Per schiacciamento si possono ottenere tutte le geometrie che si vogliono. Avendo dei cilindri sagomanti posso creare forme più o meno cave. Posso creare anche delle piccole sfere partendo sempre dallo schiacciamento o dalla laminazione. Ad ogni passaggio, in questo caso ho una variazione della sezione, la quale si riduce con un certo rapporto di allungamento. Fase dopo fase, l’allungamento successivo è dato dall’allungamento precedente moltiplicato la sezione precedente. Moltiplicando tutti i coefficienti, ottengo espressioni del tipo in figura, arrivando poi a definire: (𝜆𝑚)𝑛 = 𝜆𝑡 = 𝐴0 𝐴𝑛 𝜆𝑚 = √ 𝐴0 𝐴𝑛 𝑛 = √𝜆𝑡 𝑛 → 𝑛 = ln 𝐴0 − ln 𝐴𝑛 ln 𝜆𝑚 = ln 𝜆𝑡 ln 𝜆𝑚 Dove 𝐿1, 𝐴1, 𝐿0 𝑒 𝐴0 sono le lunghezze e le sezioni del laminato prime e dopo la laminazione, 𝜆𝑚 è il valore dell’allungamento medio (1.25-1.8), 𝜆𝑡 è valore dell’allungemento totale e 𝜆𝑖 è il valore dell’allungamento nei vari passaggi. Un esempio di pezzo che si ottiene con la calibratura è il tondino di ferro, inserito all’interno del cemento per formare il cemento armato. Si danno deformazioni in tutte le direzioni, non tutte da una parte, per arrivare al risultato desiderabile con la migliore resistenza ottenibili. La calibratura è quindi un processo di laminazione ma sagomando, dando una sezione voluta al mio pezzo. Principio di funzionamento del laminatoio obliquo È un metodo per fare i tubi: è sempre simile alla laminazione, con la differenza che ora i cilindri ruotano nello stesso senso e hanno un asse inclinato, cioè sono sghembi. I cilindri sono sghembi perché devono dare una risultante di avanzamento: il cilindro che passa in mezzo ai due rulli diminuisce nella sezione progressivamente. Nel punto di massimo schiacciamento, la massima forza si va a concentrare sull’asse del cilindro, quindi devo schiacciare i due rulli con una forza tale da superare la tensione di rottura. In questo modo si forma una lacerazione al centro. Si infila quindi una spina che ha la funzione di andare ad allarghare la lacerazione appena innescata. Principio di funzionamento del laminatoio a passo di pellegrino Ho sempre il concetto di laminazione con due rulli contro rotante. Per ottenere un grande schiacciamento il cilindro, nell’arco di un giro, aumenta il raggio dello schiacciamento. C’è una specie di dente che si appiglia al materiale e lo fa andare avanti e indietro: entra il tubo forato dalla lavorazione vista prima in mezzo a questi due rulli che hanno raggio crescente, andando ad assottigliare la parete del tubo contro una spina che viene messa interna al pezzo. Processo di rullatura Si basa sul fatto che è molto conveniente andare a formare filetti attraverso una compressione. Infatti senza andare ad asportare truciolo, posso, attraverso il processo di rullatura, andare a comprimere il materiale, andando a formare le creste con il materiale che viene spinto fuori dalle valli. Questo permette di avere anche una direzionalità del materiale migliore, quindi una resistenza maggiore. L’estrusione e la trafilatura L’estrusione permette di ottenere, come la laminazione, sezioni variabili. Il concetto è quello di obbligare il materiale a passare attraverso una matrice che gli dà le forma. Nella calibratura il profilo ottenuto è ricavato direttamente sul cilindro stesso; qui invece schiaccio il materiale che prende varie forme. Si parla di estrusione o trafilatura in base al fatto che il materiale lo tiri o lo spinga. Nella figura a destra si può vedere come cambiano le costanti in base al materiale e alla temperatura. Nella matrice di estrusione ho un tratto convergente di imbocco in cui ho una gradualità della compressione. Dopodiché ho un tratto di calibrazione: per un certo tratto il materiale trova sezione costante. Dopo il tratto di calibrazione, c’è un relief angle, cioè un angolo di sformo, di uscita. Il materiale quando fuoriesce recupera un po’ della sua compressione, cioè si dilata un po’ perché non è più sotto pressione.Se ho delle geometrie asimmetriche i pezzi si incurvano a causa dell’attrito. Produzione di fili Il processo è a freddo, quindi è possibile usare il diamante come materiale. La filiera è infatti composta da due parti: una parte diamantata più pregiata e una parte di supporto esterno. Così come per l’estrusione, anche qui il materiale entra ed esce in vari fori (sempre più piccoli) prima di diventare della dimensione desiderata. Avendo le riduzioni, avrò le velocità che aumentano. Il limite riguarda logicamente il fatto che la tensione che devo applicare sul materiale non può essere troppo elevata altrimenti si spezza il filo. È importante anche il processo di lubrificazione (per ridurre l’attrito e la possibilità che si strappi il filo) ed essendo un processo a freddo non abbiamo problemi a lubrificare. Come si calcola la forza La tensione di deformazione dipende dal flow stress, dalla riduzione, l’attrito e l’angolo della filiera: 𝜎 = 𝜎𝑓 (1 − ( 𝐴0 𝐴𝑓 ) 𝜇 cot 𝛼 ) (1 + tan 𝛼 𝜇 ) Questa espressione la vado a dividere in tre parti: ➢ Caso ideale senza attrito: 𝜎′ = 𝜎𝑓 ln 𝐴0 𝐴𝑓 Maggiore è il rapporto di estrusione, maggiore è la forza da applicare. Un materiale più resistente mi richiede una forza maggiore. ➢ Caso con attrito: 𝜎′′ = 𝜎𝑓 ln 𝐴0 𝐴𝑓 ( 𝜇 𝛼 ) Dove alpha è l’angolo della filiera. L’attrito fa aumentare la tensione, ma se l’angolo di attrito è più piccolo, l’attrito diminuisce. ➢ Termine legato alla distorsione interna del materiale:𝜎′′′ = 𝜎𝑓 2 3 𝛼 Questo termine cresce con l’aumentare di alpha. Questo termine mi tiene conto della difficoltà di deformazione del materiale Questa scomposizione mi evidenza la deformazione pura, la componente “attrito” e la componente legata alla distorsione interna del materiale. La somma di questi tre termini mi porta all’espressione vista in precedenza. La cosa interessante da notare è che nella seconda espressione alpha è al denominatore, mentre nella terza è al numeratore; questo significa che bisogna vedere dove le curve della tensione hanno un minimo. Gli andamenti sono quelli mostrato in figura. Queste curve dipendono dal rapporto di riduzione: maggiore è il rapporto, maggiore è la tensione. Inoltre, sempre dal grafico, si intuisce che se vogliamo ridurre di più è consigliabile un alpha più grande, se vogliamo diminuire di meno è consigliabile un alpha più piccolo. Considero il caso senza attrito. La tensione che vado ad applicare dovrebbe superare la tensione di snervamento, ma senza far rompere il materiale, quindi 𝜎 = 𝜎𝑓. Andando a sostituire, posso considerare i vari passaggi: 𝜎 = 𝜎𝑓 ln 𝐴0 𝐴𝑓 = 𝜎𝑓 → ln 𝐴0 𝐴𝑓 = 1 → 𝐴0 𝐴𝑓 = 𝑒 → 𝐴0 − 𝐴𝑓 𝐴0 = 1 − 1 𝑒 = 63% Significa che quando tiro il materiale la forza che devo applicare è al limite della tensione di snervamento: quindi il rapporto di riduzione teorico massimo è del 63%. Lo stampaggio e la fucinatura Per deformazione plastica si possono ottenere anche oggetti singoli. Molti oggetti sono fatti anche in plastica e poi magari rivestiti in metallo: queste hanno un costo al kg più basso e hanno una leggerezza maggiore. Per lo stampaggio si parla per lo più di oggetti indefiniti: mentre per una fusione deformeremo il materiale allo stato liquido, se fosse un’asportazione di truciolo si andrebbe a sottrarre materiale, in una deformazione plastica si va a deformare allo stato solido. Confronto tra processi alternativi Il processo a è un processo per fusione, con il materiale abbastanza isotropo, quindi non ho direzionalità. Nel b ho un laminato, in cui andando a lavorare il pezzo ho tagliato le fibre. L’ultimo caso è fucinato, in cui le fibre seguono l’andamento del pezzo. Nella fucinatura si va a schiacciare il metallo: ho dei punzoni di forma generica, schiacciando progressivamente un pezzo cambiandogli la forma a migliorando le proprietà meccaniche. Solitamente è un processo che viene effettuato a caldo, quindi i pezzi sono portati a temperatura molto alta. Le macchine per la fucinatura Ci sono due tipi di macchine: i magli e le presse. I magli sfruttano il principio dell’energia cinetica. Si può avere un maglio a semplice effetto (l’energia è data da un motore elettrico che serve per tirare su la mazza), a doppio effetto (con un pistone idraulico che aggiunge un ulteriore spinta alla mazza durante la fase di caduta) e a contraccolpo (in cui sia mazza che incudine si spostano). Per le presse posso avere un sistema biella manovella, una pressa a vite, una pressa idraulica o attraverso una ginocchiera. Il pezzo viene collocato negli stampi: i due semistampi devono avere un sistema si attacco rapido (lo stampo funge da utensile). Gli stampi sono intercambiabili, ma perfettamente allineati. Gli stampi sono blocchi di acciaio e sono messi in una slitta che si muove. La pressa in figura è una pressa ad eccentrico, quindi abbiamo bisogno di un motore eccentrico che permette di far girare l’albero di manovella il quale fa andare su e giù la biella. È necessario avere anche un freno ed una frizione, la quale ha la funzione di connettere l’albero al sistema di rotazione. Abbiamo poi il volano, cioè una massa rotante necessaria perché ho una forza che cambia. Quando la biella e la manovella sono allineate avrei una forza teoricamente infinita. La forza non è costante, ma diventa massima quando si sta chiudendo lo stampo. Il grafico in basso ci confronta la caratteristica della macchina con la forza richiesta dall’operazione. Quando la forza è massima si vede che la macchina riesce a fare il meglio di sé. Di lato abbiamo la pressa meccanica a vite; il principio è più o meno lo stesso. Anche qui ho un volano con la frizione che si collegano alla vite. La differenza è che al fine corsa ho un sistema di sicurezza meccanico, sicuramente preferibile ad un sistema elettrico. L’ultima pressa è quella idraulica: è quella più utilizzata e si basa su un circuito in cui l’olio è portato in pressione da una pompa. Ho delle valvole che aprono e chiudono il passaggio dell’olio, in maniera che questo vada da una parte o dall’altra dei pistoni. La pressione del liquido si trasforma in una forza che viene esercitata. Il vantaggio di questo sistema è che si riesce a controllare punto per punto la forza e la corsa, quindi sono enormemente più versatili. Per i magli si parla di energia disponibile sotto forma di energia potenziale. Per le presse invece si parla di forza disponibile. Gli altri parametri disponibili riguardano le velocità e il rendimento. 1. Scelta del piano di bava: quando ho un pezzo assial simmetrico, si potrà lavorare per tornitura, che è una lavorazione molto più economica rispetto alla fresatrice (quindi è preferibile la figura a destra). Sarebbe inoltre meglio se si riuscisse a concentrare tutte le lavorazioni sui due semi stampi. Si vuole inoltre che le fibre si muovano tutte nella stessa direzione. 2. Calcolo dei soprametalli: il sovrametallo varia in funzione di vari fattori, ma è comunque proporzionale alle dimensioni del pezzo. Anche il ritiro di ogni punto del pezzo, le tolleranze dimensionali e l’ossidazione alle alte temperature sono fattori che influenzano la quantità di sovrametallo. 3. Angoli di sformo: dipendono dall’angolo di attrito. Occorre evitare la presenza di pareti perpendicolari al piano di bava; attraverso gli angoli di sformo si favorisce la fuoriuscita del pezzo. 4. La scelta dei raggi di raccordo: hanno una doppia funzione. Servono infatti ad evitare le concentrazioni di tensioni e quindi di cricche e per evitare il distacco del materriale durante il riempimento. Il raggio di raccordo varia in base al rapporto altezza/base. Se non prevedo il raggio di raccordo si genera il tipico difetto di sopradosso, cioè il materiale che sta scorrendo non riesce a seguire il cambiamento di direzione è troppo brusco. Anche il canale di bava è standardizzato per quanto riguarda le misure. Dati la lunghezza e l’altezza del canale, si ricavano i vari raggi. Questo canale deve avere un volume tale da raccogliere il materiale in eccesso che dovrà riempire i due terzi del canale di bava. Per il dimensionamento degli stami devo considerare che il materiale si vada a ritirare in base al salto termico che abbiamo dato. Ci sono quindi varie tabelle che per ogni materiale, dato il salto termico abbiamo il ritiro medio percentuale. Flow-chart di un programma Quando ho pezzi particolarmente complicati comportano l’uso di stampi intermedi. Dato un pezzo finale devo capire se sono in grado di ottenere questo pezzo in un solo passaggio oppure ho bisogno di fare sbozzati intermedi. Si può andare a stimare l’andamento del materiale in funzione del raggio, andando a disegnare a mano una prima forma intermedia del disegno. Si può anche andare ad ipotizzare dei volumi intermedi, come mostrato in figura. Difetti nello stampaggio Ciclo di stampaggio Come prima cosa si devono tagliare gli spezzoni e portare ad una determinata temperatura. Vado poi a procedere con lo stampaggio, dopodiché vado a eliminare le bave e a fare qualche trattamento termico se necessario. Infine si va ad effettuare la pulitura superficiale e la coniatura. Nella figura posso vedere come si possono ottenere oggetti per stampaggio anche senza bave. Coniatura È un processo di deformazione a freddo, infatti le variazioni di quota sono molto piccole. Le pressioni esercitate sono molto elevate, ma si ottengono elevate precisioni e finiture. La ricalcatura Il concetto è sempre molto simile: ho sempre un punzone e una matrice. In questo caso però vado a deformare solo un’estremità oppure una parte intermedia. Questo mi permette di ottenere un pezzo rapidamente e con una elevatissima resistenza. Quello che si va a fare per ricalcatura sono solitamente le chiavi inglesi o altre chiavi. Elettroricalcatura Processo molto simile in cui l’unica differenza è che il riscaldamento si ottiene tramite il passaggio della corrente. Lavorazione delle lamiere È un’attività che si svolge prevalentemente a freddo: questo perché si aumentano le proprietà meccaniche. La curva sforza-deformazione aumenta la sua pendenza, perdendo duttilità ma guadagnando resistenza a rottura. Anche in questo caso quindi ho il doppio vantaggio di cambiare la forma del pezzo e di migliorare le proprietà del materiale. La tranciatura È il processo di creare dei fori o altro, andando a staccare materiale. Si parte da una lamiera (cioè il prodotto di una laminazione) che si mette sopra una matrice. La lamiera viene spinta attraverso una matrice, andando a staccare il materiale che viene evacuato. Sia la matrice sia il punzone devono essere a spigolo vivo: il materiale non deve avere la capacità di stirarsi. In un primo momento però quando vado a sollecitare il materiale un po’ lo stiro perché il materiale è sollecitato esternamente. Internamente si sviluppa una sollecitazione: quello che si vorrebbe è una sollecitazione a taglio puro (che in prima approssimazione avviene), cioè il materiale tranciato scorre su sé stesso. Questa sollecitazione è diversa dalla sollecitazione di trazione o di compressione. Inizialmente il punzone comprime la superficie, quindi ho uno stiramento verso il basso; si inizia a creare quindi una parte di frattura graduale finchè, quando la sezione resistente diventa troppo piccola, il materiale si rompe di getto. Il profilo del tranciato quindi appare diviso in 3 parti: nella prima parte si evidenzia una bava; nella seconda una superficie rugosa mentre nella ternza una superficie liscia e arrotondata perché la rottura è stata di getto. Il materiale asportato ha una largezza uguale a quella della matrice, quindi scorrendo si formano delle righe verticali. Il punzone continua a spingere finchè non si trova un angolo di sformo che permette al pezzo di staccarsi dalla matrice. Il carico di rottura per trazione sappiamo essere pari a UTS; il carico di rottura tangenziale si considera come parte del carico a rottura, in particolare: 𝐹 = 0.7 𝑇𝐿 (𝑈𝑇𝑆) Questa tensione tangenziale agisce sulla superficie di frattura che vale T (cioè lo spessore della lamiera) moltiplicata per L (il perimetro del nostro tracciato). In figura si vede come il minimo gioco (che ci deve comunque essere) tra matrice e punzone influisce sulla tranciatura. In ùparticolare ci sono valori ottimali del gioco, ma aumentando il gioco la frattura è meno regolare. Quindi minore è il gioco maggiore è la qualità del lavorato. Nella figura a destra si riportano i valori della microdurezza: anche qui dopo la deformazione aumenta l’incrudimento, quindi le zone che si sono deformate di più sono quelle più dure. In figura è riportato l’andamento qualitativo della forza di tranciatura: inizialmente aumenta la forza, finché non inizio a propagarsi la superficie di frattura. Da qui la sezione resistente diminuisce, quindi la forza diminuisce; quando ho tranciato completamente il pezzo ho comunque una forza che il punzone deve continuare ad esercitare perché c’è un grande attrito tra il pezzo tranciato e la matrice. Il pistone spinge finché non si arriva all’angolo di sformo. Perché l’angolo di sformo non parte subito dall’inizio, in modo da evitare lo sforzo del punzone? Perché la matrice si usurerebbe troppo perché ho una sezione resistente minore. Farei quindi pezzi fuori tolleranze. Parlando anche in questo caso di produzioni massive, è necessario avere un guida lamiera che mi sposta la lamiera in avanti. Ci posso avere anche un estrattore che facilita a staccare la parte esterna della lamiera dal punzone. Il codolo può essere a mano o attaccato a una macchina; le bussole (in genere bronzine) servono per evitare di far usurare l’usura o la piastra. In inglese c’è una differenza di termini: si parla di punching se la tranciatura prevede la creazione di un foro o di una geometria esterna; si parla di blanking se la tranciatura prevede l’eliminazione di una parte esterna, punzone rigido che impedisce contrazioni di diametro. L’elemento quindi si allunga verticalmente con riduzione di spessore. Problema imbottitura Le lamiere sappiamo che si ottengono grazie alla laminazione, quindi grazie ad un lingotto di materiale che viene schiacciato progressivamente. La laminazione è un processo longitudinale, quindi le lamiere hanno una direzionalità. Questa direzionalità nell’imbottitura non è gradita perché ho bisogno di stirare la lamiera in maniera uguale in tutte le direzioni. Quindi avrò delle ondulazioni della lamiera perché avrò delle direzioni in cui la lamiera si deformerà di più. Come rendere le lamiere isotrope: si va a compensare la direzione di laminazione, alternando la laminazione di queste lamiere stirandole nelle diverse direzioni. Per capire se il processo di laminazione ha prodotto una lamiera isotropa si effettua un test. Test della anisotropia Si vanno a ricavare provini per sottoporli ad una prova di trazione. Questi provini li vado a prendere in vari direzioni (0°, 45° e 90°). Vado a vedere 2 parametri: ➢ Anisotropia normale: vado a vedere quanto la lamiera è anisotropa in senso normale. 𝑅 = 𝐷𝑒𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑎𝑟𝑔ℎ𝑒𝑧𝑧𝑎 𝐷𝑒𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑠𝑜𝑟𝑒 = 𝜀𝑤 𝜀𝑡 Vado a calcolare quanto si stringe il provino rispetto a quanto si riduce di spessore. ➢ Anisotropia media: vado a vedere la media dell’allungamento nelle 4 direzioni. 𝑅𝑎𝑣𝑔 = 𝑅0 + 2𝑅45 + 𝑅90 4 C’è poi un altro parametro interessante da tenere in considerazione, cioè il limite di imbottitura. Questo è: 𝐿𝐷𝑅 = 𝑀𝑎𝑠𝑠𝑖𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑎𝑚𝑒𝑡𝑟𝑜 𝑣𝑢𝑜𝑡𝑜 𝐷𝑖𝑎𝑚𝑒𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑢𝑛𝑧𝑜𝑛𝑒 = 𝐷𝑜 𝐷𝑝 È il limite che si può ottenere di riduzione del diametro: c’è una correlazione tra il LDR rispetto al anisotropia media. I materiali che hanno un maggiore rapporto di anisotropia media riescono ad ottenere imbottiture più profonde. Un altro parametro è la anisotropia planare. Questo parametro si calcola come: ∆𝑅 = 𝑅0 + 𝑅90 − 2𝑅45 2 Questo parametro va a evidenziare le differenze tra i provini presi in ortogonale e in obliquo. Più basso è il delta R minore è la probabilità di difetti; all’aumentare di delta R aumenta il problema dell’orecchio. Parametri dello stampo di imbuttitura (ciclo) 1. Gioco tra matrice e punzone: per una regola pratica, il gioco deve essere 𝑔 = 𝑠 + 𝑘 ∗ √10 𝑠, dove s è lo spessore della lamiera 2. Raggio di arrotondamento della matrice: 𝑟𝑚 = 𝑘√(𝐷 − 𝑑) ∗ 𝑠, dove D è il diametro della lamiera di partenza e d è il diametro del punzone 3. Raggio di arrotondamento del punzone: 5𝑠 < 𝑟𝑝 < 0.3𝑑 4. Lubrificazione: il processo è a freddo quindi non abbiamo problemi ad usare olii per evitare l’usura 5. Pressione del premilamiera: il valore ottimo è il compomesso tra il pericolo di rottura a trazione e quello di formazione di pieghe Calcolo della forza di imbottitura Si suppone di avere uno schema come quello in figura. La forza dipenderà dal tipo di materiale, dalla lubrificazione, dalla velocità e dalla pressione. Si calcola solitamente come: 𝑃 = 𝜋 𝑑 𝑠 𝑚 𝑅𝑚 Dove 𝑅𝑚 è la resistenza a trazione del materiale, mentre m è il coefficiente funzione del rapporto di riduzione dei diametri. Quindi se m è 1 e sigma è pari alla resistenza a trazione, la lamiera si rompe. Calcolo del disco primitivo Si va a fare la somma di tutte le aree che dobbiamo ottenere, quindi: 𝜋 𝐷2 4 = ∑ 𝑆𝑖 Per avere imbuttiture molto profonde posso fare più passaggi. Caso lattina alluminio Si è studiato a fondo per riuscire ad avere il massimo volume con il minimo utilizzo di materiale e il minimo spessore. Si parte infatti da un dischetto (ottenuto per tranciatura); si inizia con l’imbuttitura facendo 2 fasi. Successivamente si va a stirare, poi si crea una piegatura sul fondo che serve ad avere rigidezza. Imbuttitura di pezzi di forma complessa In un processo di imbuttitura posso avere 2 casi di deformazione, come mostrato in figura. Nel caso ideale dell’imbuttitura tutta la variazione di forma è bidimensionale, quindi il cerchio diventa un ellisse (l’area che vado a prendere da una parte la perdo dall’altra). Questo è il caso ideale perché mantengo lo spessore stabilito. Posso avere però il caso dello stiramento cioè ho un allungamento in entrambe le direzioni, quindi sto diminuendo lo spessore. C’è da prestare attenzione perché c’è un limite alla curva di deformabilità. Nel caso della trazione abbiamo visto una sollecitazione monodimensionale; qui ho il caso di sollecitazione bidimensionale. Nell’imbuttitura sono nel quadrante in cui 𝜀1 è positivo e 𝜀2 è negativo (perché mi si sta comprimendo). Dall’altra parte, nello stiramento, il grado di deformazione è minore. In ogni caso, mi devo tenere al di sotto di queste curve per avere dei pezzi sani. In caso di pezzi di forma complessi, posso utilizzare il rompigrinze. Prova Erichsen di imbutibilità È una prova standardizzata che consiste nel far applicare una certa corsa, dando una certa profondità al punzone, andando a vedere cosa succede alla lamiera. Si va a vedere come si rompe la lamiera: ad esempio se una lamiera si muove circonferenzialmente significa che la lamiera era isotropa. Se lo strappo è longitudinale significa che la lamiera non è isotropa. I processi di saldatura e taglio La saldatura è un modo per unire due parti in modo permanenti. Le due parti diventano come se fosse un pezzo unico, si parla cioè di assemblaggio permanente. Si possono avere due metalli affinio diversi (metallo base) su cui abbiamo un giunto saldato. Le saldature si classificano in base alla posizione: 1. In piano 2. Verticale 3. Frontale 4. Sopratesta Mentre i modi per poter unore i pezzi si classificano nel modo seguente: 1. Di testa 2. A L 3. Di spigolo 4. A T 5. A sovrapposizione Saldature autogene Le saldature autogene sono quelle in cui il metallo d’apporto che può esserci o non esserci, fonde completamente. Le due parti che si deve unire e il metallo d’apporto passano allo stato fuso, si mescolano e si solidificano. Le saldature autogene possono essere per fusione (a gas, ad arco elettrico, a plasma, a laser) o per pressione a resistenza elettrica (per punti, a rulli, a scintillio), con le relative caratteristiche. La saldatura a gas (per fusione) Ho una fiama che produce calore dando origine ad una reazione esotermica. Ho due bombole collegate al dardo: una di acetilene e una di ossigeno. La fiamma ottimale si ha se i due gas arrivano nella quantità corretta; si sviluppano, in particolare una reazione primaria e due reazioni secondarie (mostrate in figura). Le reazioni primarie avvengono nel dardo, quelle secondarie nel fiocco. Si deve pilotare la fiamma in modo da far andare il pezzo nella zona con massima temperatura. In particolare, come si può vedere dal grafico in figura, non è vero che avvicinando di più la fiamma si ottiene un riscaldamento maggiore. Il materiale d’apporto può essere una bacchetta di metallo che viene reso fuso grazie alla fiamma. Quando siamo in presenza di spessori sottili, si può non usare il metallo d’apporto; in altri casi però dobbiamo sempre usarlo. Come detto si possono usare bachette o fili. Con questo processo è opportuno usare polveri o paste disossidanti che reagiscono con l’ossido del metallo base trasformandolo in prodotto fusibile alla temperatura di saldatura. Problema delle inclusioni: problema fondamentale della saldatura. Se il metallo contiene delle impurità o scoree, con il calore è probabile che si creino dei difetti. Solitamente le scoree galleggiano, quindi si cerca di purificare il metallo con le polveri.
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