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Appunti economia e marketing dei media e delle industrie creative, Appunti di Storia Dei Media

Appunti dettagliati presi a lezione di economia e marketing dei media e delle industrie creative tenute da Massimo Scaglioni. Anno accademico 23/24

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 18/12/2023

Ross70
Ross70 🇮🇹

4.3

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Scarica Appunti economia e marketing dei media e delle industrie creative e più Appunti in PDF di Storia Dei Media solo su Docsity! 5/10 LUN 11.30 -14.00 GIO 13.00 - 15.20 KEY CONCEPTS - L’APPROCCIO ECONOMICO AI MEDIA Aspetti industriali che riguardano distribuzione dei contenuti mediali, alla luce dei cambiamenti che negli ultimi anni hanno investito l’industria mediale. Acquisizioni e integrazioni di colossi integrati trasversalmente, cioè contengono una varietà di imprese diverse che operano in diverse filiere —> si parla di conglomerati o Media Giants. Alcune fonti di pubblicistica riportano notizie legati all’economia dei media (Variety, o siti ufficiali delle imprese come Comcast che annuncia di aver acquisito il gruppo Sky in Europa o anche Discorvey). Una delle conseguenze che caratterizza oggi l’economia dei media a livello globale è la forte rilevanza di quelle che vengono chiamate proprietà intellettuali (IP —> intelectual properties). Queste IP sono frutto di grandi conglomerati che hanno la possibilità di sviluppare queste IP su mezzi diversi. Siamo di fronte a quella che si definisce Media Franchise (una IP in grado di generare un valore economico molto ampio). Le IP sono la parte di maggior valore della media economy, che è fatta di un valore immateriale. Non a caso, alcune di queste IP sono state acquisite a spese molto elevate, come Star Wars, acquisita da Disney. I Franchise ideali sono IP in grado di generare valore economico per un grande periodo di tempo e attraverso molti territori. Il valore economico non è generato tanto dai film come Star Wars, ma più dal merchandise che include anche, ad esempio, l’industria dei giocattoli. Caso recente di franchise creato quasi a ex novo è Barbie. Ci si occupa di diversi aspetti che hanno a che fare con il sistema dei media, che riguarda sia fattori istituzionali o economici, ma anche come funzionano le industrie mediali con le loro routine produttive, le specificità economiche della media economy, i fattori che differenziano le media economy dal resto delle altre attività produttive, in particolare alcuni aspetti del sistema dei media contemporaneo, soprattutto in ambito degli audiovisivi. Un medium e gli approcci di studio Lo studio dei media ha un approccio multidisciplinare, ogni approccio ha dei campi specifici e preferenziali. L’approccio economico, orientato a studiare l’industria mediale, pone al centro dell’attenzione gli aspetti istituzionali-economici dei media (es: come l’industria dei media si inserisce in un contesto regolamentato, come lo stato va a regolamentare un settore particolarmente rilevante —> quello che si produce con i media ha grande valore nella costruzione delle democrazie, tema dell’ antitrust, attività di alcune autorità come AGCOM) e il mercato, poi c’è anche il tema della struttura stessa degli apparati mediali (organizzazione produttiva e gatekeeping). Si parla di approccio composito, che riguarda il funzionamento delle imprese mediali in generale e dell’industria mediale. L’oggetto dell’economia dei media è “il modo in cui i media soddisfano, con le risorse economiche a disposizione (scarsità —> le risorse non sono infinite) le esigenze di informazione e intrattenimento del pubblico, degli investitori e della società in generale” (R. Picard). I protagonisti sono le imprese mediali (dalle più grandi alle più piccole come Mediaset, Netflix…), che operano in un mercato —> alcuni soggetti (domanda) sono disposti ad acquisire i prodotti o servizi di altri soggetti (offerta). La domanda non è tanto di prodotti, quanto di attenzione, quindi gli acquirenti principali a cui si rivolge un’azienda sono gli investitori pubblicitari. Nel mercato delle attenzioni conterà una dimensione quantitativa. L’economia dei media si occupa sia di questioni macroeconomiche (sistema economico nel suo complesso, ad esempio PIL —> la macroeconomia diventa rilavante perché vi è uno stretto rapporto tra investimenti pubblicitari e PIL: se vi è crollo del PIL, ci saranno meno investimenti pubblicitari, quindi meno risorse alle industrie mediali) che microeconomiche (specifici mercati e specifici consumatori —> ci sono degli agenti economici che si muovono che determinano l’andamento dei mercati). L’economia dei media formula delle ipotesi su come questi diversi attori si incontrano nei diversi contesti. Nell’approccio dell’economia dei media abbiamo a che fare con scenari nazionali e sovranazionali: da un lato un’industria ha una sua dimensione nazionale, in quanto molti contenuti sono legati ad aspetti linguistici nazionali, dall’altro lato, vi è la questione di come le varie normative europee (a livello internazionale) condizionino le normative nazionali. La regolamentazione definisce per alcune imprese (come i broadcaster o le piattaforme SVOD) quanto esse debbano produrre per un contesto internazionale (ci sono delle quote minime —> per proteggere le industrie europee a fronte di una debolezza storica rispetto alla dimensione di produzione internazionale e mondiale). Alle fine degli anni ‘80 è stata definita la regola della “eccezione della produzione culturale” (la cultura eccede dalle norme che normalmente riguardano la regolamentazione degli altri mercati). Nei mercati odierni ci sono sempre più logiche e strategie globali, come Barbie, uscito in un periodo “morto” per la fruizione cinematografica. Vi è poi il fronte della competizione tra i diversi media e dei diversi media: se prendiamo un mercato specifico come la TV, la prima logica di competizione è quella che contrappone chi lavora al suo interno (es: Rai ha avuto ascolti superiori a Mediaset ecc. —> logiche di competizioni interne in uno specifico mezzo). Esistono anche logiche che mettono in competizione anche mezzi diversi (ad esempio canale televisivo e un social network come YT e TikTok). Se prendiamo le risorse pubblicitarie investite nella TV e quelle investite nei social, vedremo che oggi c’è un “quasi equilibrio”, ma negli anni scorsi la pubblicità sui social (nel digitale) aveva di gran lunga superato quella televisiva. Nel corso degli ultimi anni, vi sono diversi elementi che ha reso questa competizione molo più marcata: questioni che hanno a che fare con dimensione sociale e culturale e anche di carattere tecnologico, perché nelle case stanno entrando le “Smart TV”, dove la coesistenza tra contenuti lineari tipici della TV e quelli potenzialmenete infiniti delle piattaforme OTT avviene all’interno di uno stesso ambiente. Netflix ha iniziato a cambiare il propio modello di business: con la pubblicità, ha iniziato a competere direttamente con i broadcasters. Un altro fattore è la misurazione dei contenuti: dal 1994 gli ascolti TV vengono misurati con Auditel, ma ora che esiste la fruizione digitale, la stessa misurazione viene messa in crisi. Come si definisce un’impresa mediale? È un’impresa che ha la specificità di essere attiva nel produrre, confezionare e distribuire contenuti di informazione, educazione e intrattenimento (prodotti culturali) —> si capisce come queste industrie possono occupare posti diversi nella filiera mediale: nella produzione, sono attive aziende come Endemol, Banijay, mentre altre come Mediaset e Sky (broadcaster) sono attive nella fase di confezionamento. Molte posizioni possono essere integrate (Rai e Mediaset producono sia all’esterno che al loro interno). La finalità prima di un’impresa mediale è quella di massimizzazione del profitto (da questo pov, le imprese mediali sono simili alle altre), ma hanno delle specificità. Ci sono delle eccezioni importanti: in quasi tutti i Paesi Europei c’è una partciolare impresa mediale definita negli anni ‘20 come “Public Service Broadcasting” (oggi definita “Public service media” —> broadcaster di servizio pubblico come Rai e BBC). In questi casi, la finalità principale non è il profitto, ma la generazione di effetti positivi per la società, andando a produrre contenuti che il mercato non produrrebbe. Lo Stato entra nella regolamentazione delle imprese mediali, spingendo le aziende a realizzare prodotti di un certo tipo: politiche finalizzate a mantenere viva un’industria cinematografica nazionale, che non sopravvivrebbe nelle logiche di mercato tradizionali. Anche la stampa presenta i cosiddetti “editori impuri”, editori di giornali che in realtà sono aziende attive in altri ambiti del mercato —> stampa è storicamente importante nel forgiare l’opinione pubblica, strumento di costruzione e condizionamento della società. Importante è anche l’aspetto legislativo —> regolamentazione delle imprese mediali attraverso pratiche pubbliche, leggi, regolamenti. La regolamentazione ha come “stella polare” il concetto di Nei contenuti mediali, una dei temi più frequenti è quello della dicotomia tra due valori, culturale ed economico. Si tende a pensare che più sia alto il valore economico, più si abbassa quello culturale —> vi è dunque una contrapposizione, ma non sempre ciò è vero. Questo tema si lega poi alla questione degli interventi pubblici di sostegno all’industria. Per regole europee, non è possibile fare aiuti di Stato, con eccezione del settore culturale: lo Stato può intervenire a sostengo della stampa, cinema, editoria —> lo si può fare perché si tratta di un’industria che genera non solo valore economico ma anche culturale. Queste industrie, anche dal pov della regolamentazione, risentono di questa teoria sviluppata in europa a fine anni ‘80 (1988-1989): “aderiamo pienamente a norme di libero scambio con paesi anche extra UE ma con eccezione culturale”, perché i prodotti culturali hanno due specificità, una del valore culturale e l’altra riguarda la frammentazione della produzione mediale europea, tipica delle culture europee, e questo rende la produzione europea molto più debole rispetto ai grandi paesi con un’unica cultura e lingua (come USA). Il tema della creazione di economie di scala, di imprese di grandi dimensioni, diventa essenziale in economia dei media. L’Europa si troverebbe in posizione di debolezza che riguarda poi soprattutto quei comparti che si caratterizzano per globalità. Se non ci fossero interventi pubblici di sostegno, le industrie nazionali in Europa risentirebbero fortemente della concorrenza. Mancanza di scarsità—> significa mancanza di scarsità di consumo di un prodotto mediale. Per 4. quante volte si consuma un prodotto mediale, la sua disponibilità al consumo non diminuisce. È una differenza fondamentale tra chi produce beni “materiali” e i beni dell’industria mediale (es: quando finisco di mangiare un gelato, poi non esiste più). L’economista Samuelson ha definito questa (la mancanza di scarsità) come la prima caratteristica dei beni pubblici, che si differenziano da quelli privati. Nei media manca la scarsità del consumo perchè essi appartengono ai beni pubblici, cioè che hanno la caratteristica della non escludibilità e non rivalità—> l’uso di quel bene non implica che quel bene non possa più essere più utilizzato successivamente. Non si possono nemmeno escludere gli altri dal consumo. Questa caratteristica si comprende bene se si pensa a quei contenuti che sono tipicamente pubblici, con modalità di consumo che non prevede un contenitore “fisico” per la loro distribuzione (es: porgramma televisivo è un programma di broadcasting, cioè di “distribuzione circolare”, che raggiunge tutti coloro che possiedono un device che riceva quel segnale. Quel device può essere sia tv che device —> non ci sono barriere. Un prodotto che raggiunge chiunque non viene mai consumato ed esaurito totalmente. Dove esiste una distribuzione su supporto materiale, si rende meno forte il tema dell’ escludibilità —> posso ricreare artificialmente l’escludibilità passando da un bene pubblico a uno “semi-pubblico”, cioè la sua “immaterialità” si concretizza poi attraverso pratiche (ad esempio, chi vuole vedere un film in sala, deve pagare il biglietto —> scarsità ricreata artificialmente). È il tipico esempio del broadcasting. Quando il broadcasting televisivo nasce (dopo 2 G. Mondiale 1947-48 UK e USA e 1954 Italia), ha pienamente le caratteristiche di bene pubblico: mi basta avere un device (il mezzo televisivo) per fruire dei programmi Rai. Stessa cosa, negli altri paesi Europei e in parte in USA. Il problema che si pone per questo comparto è quello del possibile fallimento di questo mercato. Il tema di fondo è “come lo finanzi?” Qui ci sono 2 risposte: in Europa si sviluppa la risposta del PBS (televisione e radio di servizio pubblico) —> finanziamento è di un’industria di tipo monopolistico, senza competitors fino agli anni ‘70, basato su raccolta di un canone, una licence fee —> lo Stato ti chiede pagamento annuale di una modesta somma per famiglia, pagamento legato al possesso di un pagamento, raccogliendo così le risorse. Ancora oggi la Rai è per due terzi finanziata dal canone. La risposta americana è quella della TV Commerciale, modello indiretto di finanziamento in cui chi finanzia è l’investitore pubblicitario, in un processo di scambio di due beni (il denaro che gli investitori investono e dall’altro lato l’attenzione). Il terzo modello di business nasce quando la tecnologia consente per la prima volta di poter generare artificialmente la “scarsità” —> c’è un “cancello di ingresso”, un accesso condizionato. Quando la tecnologia consentirà di fare distinzione tra sottoscrittore e non sottoscrittore, nascerà la Pay TV, che gli americani chiamano “Cable TV” (passaggio da modello con le antenne a uno in cui si porta un cavo nelle case di chi sottoscrive l’abbonamento). Questo è il passaggio da bene pubblico a semi-pubblico. Questo è il modello SVOD (modello che si finanzia con le subscriptions). Questi 3 modelli di business comportano 3 modelli organizzativi diversi dell’impresa: il PBS pensa all’audience come “cittadino”, la TV commerciale come “consumatore”, dunque si sviluppa una campagna di marketing per gli investitori (in entrambi i casi non si tratta di “clienti”); sul versante della Pay, il fruitore è invece il “sottoscrittore”, cliente. È l’unico caso in cui fruitore è cliente. La caratteristica di “bene pubblico” ha generato il tema del copyright —> è vero che posso fruire del contenuto quante volte voglio, ma io non posso farmi venditore di esso. Costi marginali ridotti —> nelle industrie mediali si produce un prototipo, una “copia zero” che 5. potrà poi essere riprodotta e poi distribuita (vale per programmi tv, dischi, videogiochi..). Questo aspetto è importante perchè se prendiamo il costo per la realizzazione del prototipo e quello per la distribuzione delle copie, vediamo che il primo assorbe la quasi totalità dell’investimento. I costi di riproduzione, destinati a creare altre copie, così come quelli di distribuzione sono più bassi, tanto da tendere allo zero (questo si verifica tipicamente nel broadcasting: se si realizza il GF, Endemol stabilisce con il commissioner qual è il costo per realizzarlo, che comprenderà costi tecnici per la realizzazione, poi il cast ecc. Ammettiamo che costi circa 1 milione a puntata. Tutto questo costo è assorbito dalla produzione della “copia zero”. Il GF, raggiungerà 2 milioni di spetttaori. Se invece si raggiunge 2 milioni + 1 spettatore, non costa nulla. Non costa nulla nemmeno se se ci sono 2 milioni + un altro milione di spettatori, perché la TV ragiona in termini di massimizzazione dell’ascolto). Non è zero, invece, per quelle aziende che si basano sulla distribuzione di un prodotto fisico, come i giornali. Si può fare distinzione tra costi fissi e costi variabili. L’industria dei media ha dei costi fissi che assorbono la maggior parte dell’investimento, cioè che sono indipendenti dalla quantità prodotta, mentre invece quelli variabili dipendono dalla quantità. Ha senso per le industrie mediali ragionare in termini di massimizzazione del pubblico raggiunto. Più è alto il numero delle copie, più basso è il costo di ogni singola copia. La maggior parte del costo è assorbito da un costo fisso che si va a ripartire su un numero di copie che raggiungono i fruitori. I rendimenti crescono sulla base della scal —> più cresce la scala, e quindi le dimensioni , più crescono i rendimenti. Quello stesso costo ripartito su più copie mi dà molto più vantaggio, perché queste copie possono essere acquistate o generare più valore, perché colgo attenzione degli investitori pubblicitari. Questo discorso è legato a un aspetto fondamentale delle economie dei media, ovvero il concetto di economia di scala, che si genera in relazione alla crescita della produzione. I vantaggi della crescita della produzione dipendono dal fatto che l’industria dei media è un’industria che si basa su creazione di prototipi, cioè di proprietà intellettuali immateriali: nel momento in cui ho generato PI, il costo per andarla a riprodurre più volteè molto marginale ed inferiore. Minore flessibilità della produzione, maggiore flessibilità nella distribuzione—> la produzione 6. mediale è una produzione di “copie zero” e questi prodotti, una volta realizzati, il prodotto si adatta poco al feedback del mercato una volta che è stato distribuito. Una volta che il prodotto è realizzato, posso decidere come distribuirlo ma non posso più cambiarlo. La distribuzione, può adattarsi alle caratteristiche dei consumatori in termini di modi di accesso e di tempi . Alcuni prodotti, però, una volta chiusi, non sono più modificabili. Il giornale, una volta chiuso, viene stampato e distribuito (non modificabile), mentre sulla copia online si può intervenire, così come nei film scripted. In un prodotto unscripted di intrattenimento, invece, la possibilità di intervenire nella fase di distribuzione è più praticabile e gli addetti alla produzione possono ragionare e intervenire sul prodotto anche durante il percorso distributivo (se non si raggiungono gli obiettivi prefissati, si può intervenire grazie a figure professionali che hanno questo ruolo di modificare la scaletta del programma. Ci sono figure che sono a cavallo tra marketing e produzione, che provano a tradurre le indicazioni che vengono dal marketing in chiave operativa —> attività di intervento immediato sul prodotto a partire da una serie di insights provenienti dalla ricerca. Si chiama attività di “doctoring”). La cosa importante in un’analisi di questo tipo sono le consapevolezze riguardo alle problematiche: le criticità stanno nel prodotto in sè o nella distribuzione? Nel cinema, il meccanismo delle “finestre” di distribuzione, fino a qualche anno fa, era ben scandito e definito: c’è la prima finestra “theatrical” (in sala), che durava 4-5 settimane o meno se “va male”; poi c’è la finestra pay-per-view (dvd o altro), poi pay-tv e infine free-to-air. Tutto questo processo si è ridotto molto a causa delle nascite delle OTT (alcuni grandi conglomerati hanno anche aperto le proprie piattaforme, come Disney+) e della pandemia di Covid-19, quando le major hanno rilasciato i loro contenuti direttamente in piattaforma. Forte incertezza e alto rischio economico —> l’industria mediale, più di altre, è caratterizzata dal 7. rischio. Sul mercato si genera un effetto di “curva” in cui si ha un numero ridotto di prodotti (circa 20%) che genera l’80% del fatturato (legge del 20/80, legge Pareto). Su 100 film, 20 producono l’80% del fatturato, tutti gli altri sono “coda”. È un mercato di best-seller o di blockbuster, con tanti prodotti e pochi successi. Se le major americane producono un numero limitato di film, molti non saranno di grande successo, ma 1 o 2 devono necessariamente esserlo. L’industria mediale ha sviluppato, quindi, nel corso degli anni, delle strategie per fronteggiare l’incertezza. Come si fa a muoversi evitando il fallimento? Da questo pov, si tratta di un’industria molto conservativa che si muove su tendenze consolidate. Ci sono poi delle tecniche: le major, quando vendono i propri film ai broadcaster, non li vendono singolarmente, ma tramite pacchetti e ciò consente di equilibrare il divario a livello di successo tra i singoli prodotti. Un’altra modalità di ricorso alla “sicurezza” è l’utilizzo di format (di grande successo), oppure sviluppo di prodotti legati a IP (franchising mediali di grande successo come Marvel e Star Wars —> quando vado poi a riprodurre un altro film di questo genere ho alta probabilità che sia un successo). Sono rilevanti anche la promozione (vedi “Barbie” —> moltissime partnership, un’estate intera di promozione. I promo sono uno strumento di vendita e di comunicazione, quindi a seconda di dove vado a promuoverlo, adotterò strategie diverse), il marketing e la ricerca. Dualità di prodotto —> “two sided markets”. Le industrie dei media sono imprese che lavorano su 8. due versanti: sono dei mediatori che mettono in contatto due mondi, realizzando due prodotti distinti contemporaneamente e che sono allo stesso tempo fra loro collegati. Da un lato ci sono i contenuti mediali destinati alla fruizione (film, serie TV… —> però non sempre il fruitore è il cliente), dall’altro l’audience misurata e raccolta (destinata agli investitori pubblicitari). Quello che caratterizza l’industria mediale è una forma di remunerazione congiunta —> collega questi due mercati (dei contenuti e delle audience misurate) in modo diverso a seconda dei modelli di business. I due versanti non vanno per conto proprio, non sono autonomi, ciò che si fa da un lato influenza anche l’altro. Si generano delle esternalità di rete, cioè degli effetti congiunti —> quello che faccio su un versante avrà delle conseguenze anche sull’altro. C’è connessione dal pov della raccolta di risorse di finanziamento fra il lato pubblicitario e il prezzo del prodotto stesso—> se io alzo l’affollamento pubblicitario, posso ridurre il costo dal lato del fruitore, tanto fino ad azzerarlo (modello di business della TV commerciale —> prevede che questi due versanti dal pov della raccolta delle risorse, sono collegati in modo che uno sussidi anche l’altro —> la raccolta pubblicitaria va a sussidiare al 100% il versante dal lato del fruitore, tanto che il fruitore non spende nulla). Questo modello di remunerazione congiunta prevede che si raggiunga un equilibrio fra le due parti: i quotidiani, ad esempio, raccolgono i propri finanziamenti sia lato utente che lato pubblicità. Le due cose sono strettamente correlate —> se vendo prodotto a un mio fruitore, posso aumentare la pubblicità fino a un certo punto, perché per il fruitore è un elemento negativo. A questi mercati congiunti si aggiunge un ulteriore elemento, quando si attiva il finanziamento pubblico —> che si attiva in virtù del valore culturale per quelli che si chiamano “beni di merito”. Può essere intervento diretto (lo Stato raccoglie un canone, licence fee, che poi gira alla TV di servizio pubblico, oppure mediante tasse va a finanziare direttamente la produzione cinematografica) oppure un intervento di finanziamento indiretto (nel cinema, una legge del 2016 ha dato molto spazio a modalità di finanziamento indiretto puntando sui cosiddetti “tax credits” —> sconti fiscali per quelle industrie che producono contenuti. Lo Stato decide di rinunciare a degli introiti per sostenere una data industria). La Rai, in questi giorni, sta avvallando la decisione di abbassare il costo del canone —> rischio di abbassamento importante di risorse. Metà delle risorse per la produzione cinematografica, investite dai broadcaster, provengono dalla Rai (Rai è quindi architrave del sistema audiovisivo in Italia). Mediaset 100% pubblicità; Sky rapporto 90%-10%; Rai 2/3 risorse da canone e 1/3 raccolta pubblicitaria. C’è una relazione tra i due lati del mercato e, in generale, tra l’affollamento pubblicitario e il prezzo d’acquisto. Ciclo di vita —> dipende dalla modalità con cui il prodotto mediale viene distribuito e fruito e dalle 9. strategie di marketing. Alcuni prodotti hanno ciclo di vita breve (es: news e telegiornali —> prodotti di flusso, da consumarsi nel giro di poco tempo), altri molto lungo (prodotti di stock ad utilità versanti sono fra di loro collegati. Sul lato dell’attenzione generata, il risultato dipende dalla qualità dei contenuti, ma anche dalla quantità di pubblicità, perché la pubblicità è percepita come “elemento di disturbo per il fruitore”. Dal lato del mercato pubblicitario, il risultato dipende dalla dimensione dell’audience (vado a vendere l’attenzione che ho raccolto e quantificato) e dalla qualità dell’audience. Sul mezzo televisivo, si raccoglie un’attenzione di un pubblico molto ampio, ma dal pov dei canali generalisti si tratta di un’attenzione molto variegata in termini di target. Il digitale ha invece introdotto strumenti di targetizzazione molto efficaci. Definizione Two sided (or multi sided) markets are roughly defined as markets in which one or several platforms enable interactions between end-users, and try to get two (or multiple) sides "on board" by appropriately charging each side [Rochet and Tirole, 2006] I mercati a due versanti sono caratterizzati dalla centralità dell’impresa mediale che fa da mediatore tra due lati e l’obiettivo di un’impresa mediale è di “portare a bordo”, commisurando le network externalities, i due lati del mercato. Le network externalities si generano quando l’utilità per un attore aumenta con la crescita di attori che partecipano allo stesso mercato —> da questo pov, questo concetto si avvicina al concetto di “massa critica” (es: “uso Microsoft perché quasi tutti lo fanno”). Le caratteristiche dell’audience (la loro grandezza, la loro composizione), generano specifici vantaggi agli investitori pubblicitari (ciascun comparto richiede modalità di misurazione diverse, ad esempio l’audience della radio sono molto più difficilmente misurabili). Dall’altro lato, caratteristiche della pubblicità (tra cui la pressione) in un palinsesto o in una testata online generano esternalità percepite come “negative” da parte del pubblico (es: scelte delle OTT —> che si stanno orientando verso modelli di business misti in cui abbiamo la possibilità di abbonamenti “alleggeriti” grazie alla pubblicità). I mercati a due versanti caratterizzano diversi ambiti. Ad esempio, i quotidiani hanno remunerazione congiunta che deriva dal versante utente (quante copie o abbonamenti vengono acquistate) e dal versante della vendita d’attenzione di utenti nel lato pubblicitario. La grande differenza nello spostamento dell’equilibrio da parte delle imprese editoriali dal giornale fisico al web è legata al rapporto tra questi due versanti di finanziamento. Sul web la parte pubblicitaria è molto consistente. Ovviamente, i giornali non sono tutti uguali: all’estero c’è la differenza tra formato tabloid e quality paper , soprattutto in rapporto a questi due versanti, perché il pubblico dei quality (Corriere della Sera o Times o Guardian) ha valore più alto dal pov pubblicitario —> si tratta di un pubblico più difficilmente raggiungibile da altri mezzi come ad esempio TV. Quando un mezzo riesce a generare “target esclusivi”, questi hanno un valore maggiore. Poi vi è la TV Commerciale, caratterizzata da un bouquet di canali tematici generalisti e semi generalisti, il cui finanziamento è interamente spostato sul lato degli investitori pubblicitari e gratuito dal pov del fruitore. La differenza tra TV e OTT è che le OTT raggiungono un pubblico estremamente targettizzato —> le Smart TV consentono di ibridare ancora di più la televisione con la rete è questo porta alla costruzione di ADV diversificato a seconda della tipologia di utente. I media come impresa, il mercato e la filiera Il comportamento di un’impresa mediale è direttamente legato al contesto del mercato in cui opera. Le sue scelte sono fortemente condizionate dalle strutture del mercato. La produzione è la trasformazione di risorse (come il lavoro, il capitale e la terra) in beni e servizi. La • produzione consiste in un processo di trasformazione. Ho delle risorse (scarse) e le trasformo in beni e servizi da mettere sul mercato. L’impresa è il luogo in cui si realizza questo processo di produzione. L’impresa produce beni o • servizi trasformando le risorse L’industria è l’insieme delle imprese che realizzano un certo bene per un dato mercato ( si parla di • industria mediale —> AGCOM presiede la regolamentazione di questa industria. La legge, a inizio 2000, ha definito un grande paniere, detto SIC, dentro cui stanno i diversi settori dell’industria mediale su cui si esercita l’autorità dell’AGCOM). Dentro l’industria mediale troviamo l’industria del cinema, della radio, della tv —> tutti i settori. La finalità dell’impresa è massimizzare i profitti dell’impresa stessa, cioè sui ricavi per massimizzare i vantaggi economici per l’impresa stessa. L’impresa mediale può avere anche dei fini che si affiancano a questo, ad esempio osservavamo come nella storia dei media in Italia, fin dalle origini, il settore dell’editoria quotidiana si caratterizza per una specificità diversa da quella degli altri paesi —> si parla , in Italia, di editoria impura (le imprese editoriali non sono orientate solo a far profitto nel settore mediale, ma sono imprese che operano in altri settori e acquisiscono delle imprese mediali). Talvolta, quindi, la finalità strettamente economica si affianca ad altre finalità diverse. È importante che grandi imprese siano collocate in certi settori ritenuti cruciali ( si parla di egemonia), perché ad esempio i giornali contribuiscono alla generazione dell’opinione pubblica. Vi è anche il caso di intervento pubblico diretto (PSB, oggi chiamato PSM —> le imprese oggi non sono più vincolate solo al broadcasting, quindi radio e tv, ma operano anche su piattaforme digitali): si parla quindi di finalità pubbliche. L’impresa ha una struttura istituzionale. Tutte le imprese mediali sono caratterizzate in due mondi Public company —> proprietà e management sono separati 1. Imprese familiari —> proprietà e management sono sovrapposti. In italia abbiamo il caso di 2. Mediaset. Nel caso in cui abbiamo a che fare con le public company, i fini che i management di queste imprese possono perseguire possono essere anche altre varianti rispetto alla massimizzazione del profitto: in certi casi le imprese decidono di sacrificare il profitto per puntare su una crescita, acquisendo altre imprese, facendo crescere il fatturato ma non necessariamente il profitto. Il profitto è la finalità dell’impresa. Si definisce come il ricavo meno il costo. Si parla di ricavi meno • costo opportunità (cioè il costo che si affronta per ottenere qualcosa, che però corrisponde sempre a un mancato beneficio che potrebbe derivare da non aver fatto in maniera alternativa quel dato investimento). Per costo si intende quello dei beni acquistati la produzione ecc.. (es: un grande giornale avrà costi legati agli stipendi dei giornalisti ecc.). Il risultato più produttivo per un’impresa si ha quando i fattori di produzione sono investiti nel modo • più efficace e più adatto. Una delle decisioni cruciali per un’impresa è il livello di produzione che porta maggior profitto, in termini quantitativi quanto di quel bene viene utilizzato per ottenere il maggior profitto. Di un’impresa si definisce la funzione di produzione: il rapporto tra input (ciò che è immenso nel • settore produttivo) e output (risultati ottenuti). Essa si lega ad una serie di variabili che possono aumentare la produttività dell’impresa. Nel corso degli anni l’introduzione di nuove tecnologie hanno consentito di rendere più produttive le imprese, come negli anni ‘80 e ‘90 nel settore dell’editoria periodica (stampa settimanale e mensile), legate all’introduzione di computer e tecniche digitali di stampa che hanno reso più produttive le imprese. In economia vale la legge dei rendimenti calanti —> se un’impresa aumenta quello che è l’input, • all’inizio i rendimenti crescono, ma poi tendono progressivamente a calare. Nel comparto mediale, questo non accade —> a differenza di altri settori, nell’economia dei media, gli aspetti dimensionali sono un grande vantaggio (immaterialità del prodotto, costi marginali ridotti, economia di scala ecc.). I media nel mercato Ci sono delle strategie economiche e materiali che le imprese adottano. Il comportamento, l’efficienza e i profitti di un’impresa dipendono dalla struttura concorrenziale del mercato in cui essa opera (paradigma SCP struttura -comportamento-performance). Oggi, ad esempio, un’impresa mediale come Mediaset si trova a dover concorrere con altre che sono molto più in grado di far valere, per la loro dimensione, quelle che sono le economie di scala (gli operatori OTT ad esempio sono competitor che spesso operano in entrambe le pubblicità). Quali sono i pilastri di una strategia europea di un gruppo televisivo nazionale? Ci sono diverse risposte. Per il settore televisivo, sono complicate da realizzare perché in Europa ci sono mercati diversi, quindi i prodotti tv sono specifici per ogni Paese. L’altro aspetto da considerare è che le imprese operano in specifici contesti concorrenziali: il Paradigma SCP ci dice che il comportamento e le strategie di un’azienda sono anche frutto della struttura (concorrenziale) del mercato. Struttura del mercato si caratterizza per: Attori rivali presenti • Quanto sono diversi i prodotti —> i prodotti possono essere molto simili o diversi. In economia dei • media si ha a che fare di solito con prodotti diversi. Il lettore del Corriere, ad esempio, è difficile che vada a leggere Repubblica (prodotti diversi per linea editoriale e per aspetto territoriale, cioè dove un dato giornale si vende di più) Barriere all’ingresso —> impedimenti perché un nuovo attore possa entrare. Nel campo mediale • sono molto alte queste barriere, perché per entrare nel mercato è richiesto un grande investimento Il modo in cui si comportano sul mercato le diverse imprese va a determinare, a sua volta, le caratteristiche e le prestazioni di quel dato settore industriale. Minore è il controllo di un’impresa su un certo mercato, più la struttura di quel mercato è competitiva. 4 possibilità che caratterizzano il mercato Monopolio —> fino alla metà degli anni ‘70 la legge stabilisce il monopolio delle trasmissioni di 1. radiodiffusione circolare (broadcasting) —> monopolio pubblico. È la situazione in cui abbiamo un solo venditore di un certo prodotto o servizio. Non ci sono alternative per il cliente - inserzionista pubblicitario (fino al ‘78, chi voleva investire nel mercato doveva attenersi necessariamente alla SIPRA, cioè la concessionaria pubblicitaria della Rai che imponeva regole ben precise di realizzazione delle campagne, che prevedevano la costruzione di pezzo e codino tipica di “Carosello” —> eccezione in Europa della Gran Bretagna, dove dal ‘52 / ‘53 viene creata un secondo canale, ITV, interamente finanziato da pubblicità. La Gran Bretagna, oltre ad essere la “culla” del PBS, è anche il luogo dove avviene un primo passo verso la parziale apertura a un oligopolio) Nel monopolio, è l’impresa a decidere le condizioni del mercato, in primo luogo decidendo il prezzo del bene/ servizio. La ragione principale che giustifica il monopolio sul broadcasting è quella legata al monopolio naturale delle frequenze: il broadcasting deve utilizzare le frequenze, la banda herziana attraverso cui passano i segnali delle trasmissioni radiofoniche e televisive. Sono risorse scarse queste frequenze, quindi in Europa non solo si vanno a regolamentare, ma lo Stato impone un monopolio effettivo con un’unica impresa (PSB). Negli USA, il modello di radio e tv commerciale prevede che lo Stato vada a regolamentare con un’authority, la FCC (Federal Communication Commission), attribuendo licenze a privati. In Europa non vengono attribuite licenze a privati, ma viene arrogato allo Stato il diritto di poter trasmettere il servizio televisivo in regime di monopolio. Concorrenza perfetta —> il polo opposto al monopolio. Mercato caratterizzato da un numero 2. ampio di imprese, che offrono anche un servizio molto simile e omogeneo. È la condizione di maggior concorrenza possibile, avendo molte imprese che lo offrono. Il cliente si rivolge a chi gli offre lo stesso prodotto a un prezzo più conveniente. In questo caso, è il mercato che regola, sono le forze economiche che regolano il comportamento dell’impresa. La concorrenza consente di abbassare i prezzi e migliorare la qualità, quindi la concorrenza è la condizione in cui i clienti possono avere accesso alle condizioni migliori. Questa condizione è quasi “ideale”, che si incontra molto raramente nei mercati mediali, questo perché nel settore mediale vi è forte tendenza alla concentrazione e alla generazione di economie di scala. I prodotti mediali possono anche essere simili, ma sono sempre differenziati e quasi sostitutivi (es: se sono un lettore affezionato al Corriere, non andrò facilmente ad acquistare un’altra testata). Concorrenza imperfetta (oligopolio) —> caso più frequente nel settore dei media. Sul mercato 3. periodo hanno portato a delle forme di ampliamento geografico delle imprese mediali: sono nate imprese multinazionali, i contenuti mediali circolano oltre i confini nazionali, si sono verificate acquisizioni da parte di imprese straniere internazionali. Alla luce di conglomerazione, globalizzazione e digitalizzazione, si vanno a realizzare diverse strategie di espansione delle imprese mediali, che ovviamente sono figlie dirette della quasi naturale tendenza delle imprese ad espandersi per massimizzare i profitti. Paradosso del capitalismo —> da un lato la globalizzazione avviene all’insegna delle riduzioni dei confini e delle barriere, ma questa progressiva apertura finisce per generare il contrario, cioè dei mercati fortemente concentrati. Le strategie di espansione sono 3: Espansione orizzontale —> quando un’impresa va ad acquisire un’impresa che opera allo stesso 1. livello della filiera. Due esempi: Fininvest negli anni ‘80 acquisisce Rete 4 e Italia 1, si espande orizzontalmente perché acquisisce delle imprese che operano allo steso livello della filiera, cioè acquisisce altri broadcaster. Altro esempio è l’acquisizione di Endemol da parte di Banijay, solo che in questo caso ci troviamo sul livello della filiera di produzione di contenuti. I vantaggi sono diversi, ad esempio sia in termini di economia di scala che di scopo: quando Fininvest acquista Italia 1 e Rete 4, può costruire un sistema di tv commerciale che da un lato è centralizzato, ma può anche differenziarsi dal pov dei target con cui raggiunge la popolazione. Inoltre, anche in termini di prodotto si traggono benefici: bassi costi di riproduzione, costi marginali tendenti allo zero, mentre più spettatori equivalgono a maggiori ricavi (scala). Espansione verticale —> quando un’impresa va ad acquistare un’altra impresa che opera sulla 2. stessa filiera ma “a monte” o “a valle”. Nel mercato editoriale, ad esempio, Feltrinelli inizia ad acquisire in Italia una serie di spazi e va a creare una grande catena di librerie, che sono l’anello finale della filiera libraia (la distribuzione). Si tratta di un’espansione “a valle”. I vantaggi sono diversi: per il produttore, garantirsi l’accesso ai diversi pubblici; per il distributore, assicurarsi il rifornimento dei contenuti. Inoltre, altro vantaggio è l’acquisizione di potere sul mercato (coi rischi di posizione dominante): un broadcaster che controlla i principali produttori metterebbe a rischio la concorrenza. Espansione trasversale —> molto attuale oggi. Vede delle imprese espandersi su dei settori vicini 3. ma diversi dal pov della filiera. Se consideriamo le 5 grandi imprese mediali americane (Warner Bros, Disney, Paramount ecc.), esse operano su una varietà di settori che garantiscono grandi vantaggi: oggi l’economia dei media è l’economia di questi media giants, che consentono di sviluppare degli IP che posso andare a far apparire su filiere diverse, posso ottenere forme di promozione incrociata, posso ridurre rischi operando su più mercati (vedi piattaforma Disney+ durante la pandemia). Esempio europeo di conglomerato (oltre a Mediaset): il caso “Vivendi” La vicenda del principale conglomerato mediale a livello europeo, Vivendi. Originariamente nasce come impresa pubblica, poi viene pubblicizzata. Dà vita ad una serie di integrazioni di varia natura, che sono sia di carattere orizzontale, trasversale e verticale. Fase I: da Compagnie Générale des Eaux (CGE) a Vivendi (anni ’80 e ‘90) —> Negli anni • Ottanta e Novanta, Vivendi va a creare una forte integrazione di tipo verticale sul settore televisivo. Vivendi controlla Canal+, che è il corrispettivo di Sky nel contesto francese (pay tv). Contemporaneamente controlla e acquisisce Studio Canal, principale produttore di contenuto scripted, andando a generare una chiara integrazione funzionale. Anche sul piano industriale. Oltre a questo, Vivendi controlla anche una delle principali etichette musicali. Fase II: da Vivendi a Vivendi Universal (fine anni ’90 – inizio 2000, era Messier) —> Nel • corso degli anni Novanta fino ai 2000 le espansioni di Vivendi sono moltissime, sotto l’era del CEO Messier. Va ad acquisire una serie di ulteriori imprese e ad espandersi attraverso un’espansione internazionale: acquisisce la rete di tlc del Marocco, poi la Universal, una major cinematografica. Fase III: Di nuovo Vivendi (primi anni Duemila, vendite, ripiano dei debiti) —> l’impresa nel • corso degli anni Duemila inizia ad attivare una strategia diversa, tesa a razionalizzare le imprese controllate da Vivendi ad arrivare alla fase IV. Fase IV: Era Bollorè (Anni Dieci) —> Bollorè, attuale CEO: Vivendi presente a livello • europeo su due filiere: da un lato quella televisiva, fortemente integrata con il gruppo Canal +, che controlla l’impresa Studio Canal, e dall’altro lato la leader mondiale tra le etichette musicali, la Universal Music. Questo è l’esempio di come un’impresa come Vivendi è andata espandendosi con operazioni strettamente finanziarie e poi con una maggiore razionalizzazione. Il fatto che Vivendi abbia provato ad espandersi a livello internazionale, tentando ad un controllo della tv commerciale in Italia, va nell’ottica di rimanere nella filiera televisiva attraverso un’internazionalizzazione. È la sfida che caratterizzerà l’industria televisiva europea nei prossimi anni. LA REGOLAMENTAZIONE NAZIONALE ED EUROPEA NEL CAMPO DEI MEDIA DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA L’UE presenta degli organi chiamati istituzioni, sono 4, di cui solo 2 possono promulgare leggi (quindi hanno funzione legislativa): Parlamento Europeo • Consiglio • Il Consiglio è composto da semplici ministri, il Consiglio Europeo (non fa leggi, non ha funzione legislativa) da capi di Stato e di governo. Le fonti di diritto primario (fonti primarie): Trattati (TUE, TFUE —> Trattato sul Funzionamento delll’UE) • Principi generali del diritto • Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e dell’uomo • Fonti intermedie Frutto di accordo tra Stati (internazionali) • Fonti secondarie (non possono essere in constrasto con le primarie ) Regolamenti —> indirizzati a tutti gli Stati, hanno portata generale. Una volta emanati, devono essere • subito applicati, sono direttamente efficaci Direttive (in ambito tv ce ne sono molte) —> si rivolge solo ad alcuni Stati, no portata generale. • L’obiettivo della direttiva è armonizzare e uniformare gli ordinamenti degli Stati. Se per esempio la Spagna è più avanti della Francia in termini di product placement, allora la direttiva indirizzata al Paese “più indietro” va ad armonizzare gli ordinamenti . Inoltre, non hanno diretta applicabilità nello Stato, ma è richiesto un intervento dello Stato mediante uno strumento: la retifica della direttiva, cioè lo Stato deve adeguare il proprio ordinamento alla direttiva. Decisioni • Cosa succede se una direttiva o un regolamento sono in constrasto con una nostra norma dell’UE? Prevale la norma del Diritto dell’UE —> primato del diritto dell’Unione. L’UE, in ambito televisivo, può agire con una serie di direttive, ma non può strafare: ha una competenza limitata in queste materie. Interviene solo se certi obiettivi non possono essere raggiunti dagli Stati da soli, ma agendo secondo i principi di proporzionalità e sussidiarietà. Nel Trattato del ‘57, l’UE non aveva alcuna competenza in ambito culturale (tv, cinema, radio..) Ha iniziato ad averle nel 1992 con il Trattato che ha dato origine all’UE, però sempre in maniera limitata per due i principi prima citati. Come interviene L’UE nel campo dei media? In ambito dei singoli Stati, l’UE interviene con norme specifiche in vari settori. In ambito internazionale interviene in termini di diritto d’autore, limiti alla concentrazione ecc. L’UE interviene in questi ambiti per il cattivo funzionamento del mercato —> il mercato nel campo dei media non funzionava (e forse non funziona ancora) per due motivi: i grandi fallimenti di mercato (es: un’offerta ridotta di mercati culturali —> non tutte le persone ad esempio leggono i giornali) e le esternalità negative (es: messa in onda di programmi violenti che genera costi aggiuntivi —> “bollini” dei film). L’UE interviene in 5 ambiti (5 ambiti di intervento): Concorrenza —> uno degli obiettivi dell’UE è la garanzia di una concorrenza senza distorsioni. 1. L’UE è nata per garantire una libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi. L’obiettivo primario dell’Ue è il rispetto della concorrenza: in nessun modo la concorrenza tra Stati doveva essere messa in pericolo. L’Art. 107 e 108 TFUE (in merito agli AIUTI DI STATO) —> ci dicono che se uno Stato decide di aiutare una singola impresa di un dato settore, non può, deve aiutare tutte le imprese di quel dato settore. Se aiuto una sola impresa di un settore, comprometto e minaccio la concorrenza. Tuttavia, per il settore culturale ciò non vale (quindi anche il settore mediale: radio, tv , cinema): se l’UE vuole aiutare un solo canale tv o un canale radiofonico o altro, può farlo. La concorrenza non viene minacciata dagli aiuti di Stato in ambito mediale —> nel settore culturale il divieto di “aiuto del singolo” non si applica. Questo prevede molte criticità: il primo problema è che alcune imprese vengono “aiutate” e finanziati a discapito di altre. Inoltre, gli aiuti di Stato all’inizio venivano riservati solo a cinema e tv, non prendendo in considerazione altri ambiti, come radio ecc. —> così facendo la concorrenza veniva meno. Pluralismo —> obiettivo dell’UE è di garantire libertà di stampa (senza censure e interferenze da 2. parte di Istituzuoni): questo lo può fare solo garantendo pluralismo dei media (protezione della libertà di stampa senza censure da parte di istituzioni). Diritto d’autore —> se io intellettuale creo un’opera (artistica, musicale, un format ecc. —> 3. chiamati “Proprietà intellettuali”), si vuole garantire e rispettare il diritto di proprietà intellettuale, frutto della creatività. In questo ambito si sono susseguite una serie di evoluzioni normative, una successione continua di direttive, dato che i contesti e gli ordinamenti cambiano nel tempo (necessarie per armonizzare i contesti). Nel 2019, L’UE adegua una normativa precedente sul diritto di autore a tutte le politiche introdotte dal digitale. Nel 2021 l’Italia adegua il proprio ordinamento a questa direttiva. Se non l’avesse fatto o se lo avesse fatto nel 2022, e se io fossi stata autrice di un format e qualcuno nel 2022 me lo avesse “fregato”, avrei potuto fare causa allo Stato italiano che non ha recepito la direttiva in tempi adeguati. Spesso le direttive non vengono recepite in tempo o non vengono affatto recepite. Reti e servizi di comunicazione elettronica 4. Protezione del consumatore —> quando si parla di protezione del consumatore si parla di 5. pubblicità: L’UE interviene in tema pubblicitario. Ci sono 3 ambiti: pubblicità ingannevole e bugiarda; product placement; sovraffollamento di pubblicità nelle TV (quando la pubblicità in un’ora supera la percentuale consentita: percentuale di tolleranza da non superare del 12% e 18% di pubblicità in un’ora a seconda che si tratti, nel primo caso di TV pubblica o nel secondo caso, privata —> i messaggi promozionali NON contano come sovraffollamento). Bisogna quindi inventarsi degli “stratagemmi”. La fascia più proficua dal pov pubblicitario è dalle 19 alle 20. I picchi di ascolto rilevati da Auditel alle 9:55 relativi alla sera prima sono fondamentali per attrarre la pubblicità (questioni di investimento). L’editore deve inventarsi degli stratagemmi per utilizzare la pubblicità. La fascia delle 20 è quella in cui la pubblicità dà più frutti —> ad esempio, Il TG non può interrompersi per la pubblicità, però quell’ora in cui va in onda è proficua. Cosa fa l’editore? Cosa si inventa? Si scarica la pubblicità prima di andare al TG5, poi dò le anticipazioni, poi 1 minuto di pubblicità, poi TG che non si interrompe, alla fine pubblicità, poi si ritorna al TG per le “ultime notizie”, poi il Meteo con fascia, dopo Meteo un’altra fascia, poi anticipo Striscia e dò un’altra fascia, dò Striscia e poi faccio simulcast all-to-one alle 21:01 (picchi di ascolti su tutte le reti in Il diritto interno (RAI) La Rai nasce nel 1954. Un tempo esisteva il suo monopolio, poi c’è stato un ricorso e nel ‘74 iniziano ad andare in onda le trasmissioni di TeleMilano (quindi arriv la tv privata), finendo il monopolio della Rai dopo un contenzioso. C’è un’evoluzione di normative in tema di servzio pubblico: Legge Mammì (1990 N. 223)—> prevede che ogni rete televisiva abbia un direttore di rete (per • Canale 5 è Scheri) e una propria testata giornalistica con il suo direttore di testata (TG5 direttore è Clemente Mimun). Perché ogni rete ha una propria testata? Ciò porta problemi anche dal pov di identità politica: la Rai ha un Governo alle spalle —> quando cambia la forza maggioranza del Governo, cambiano anche i vertici (e conduttori dei programmi) della Rai. Il TG è orientato direttore della testata stessa, ma non è che il direttore ha totale libero arbitrio, c’è un AGCOM che controlla che tutte le forze politiche abbiano lo stesso spazio (anche se è inevitabile cogliere “lo schieramento”). Legge Maccanico (1997 N. 249) —> prevede un AGCOM (garante delle comunicazioni), un garante • che controlla che tutte le forze politiche abbiano stesso spazio. AGCOM controlla quello che va in onda, essendo garante delle comunicazioni. Legge Gasparri (2004 N. 112) —> ha dato l’avvio allo switch-off, passaggio da analogico a digitale • nel 2012 Due riforme importanti (1975 e 2015, a cui si aggiunge quella del 2016) nella storia della Rai: 1975 —> importante in tema di controllo: si passa da un controllo del Governo a un controllo • parlamentare perché Rai prima era troppo schierata politicamente 2015 —> si riforma il CdA. È formato da 7 componenti, 4 designati dalla Vigilanza Rai, 1 dai • dipendenti e 2 designati da Ministero Economia e Finanza. La Vigilanza è presieduta da una forza di minoranza, per evitare uno “schieramento” e garantire equilibrio. La Vigilanza costituisce opposizione, che controlla che venga dato adeguato spazio a tutte le forze politiche. 2016 —> Governo Renzi inserisce il canone nella bolletta dell’elettricità • Gli altri 3 strumenti di regolazione rientrano in ambito cinematografico. Vi sono 6 normative in ambito cinematografico: a differenza di TV, radio ecc., la normativa in ambito cinematografico riguarda solo una cosa: i soldi. La normativa riguarda il finanziamento per fare i film. Io produttore, tutti i soldi che prendo dalle 6 fonti, devo dichiararli nei titoli di testa. Devo dichiarare chi mi finanzia, per esigenze di trasparenza. Es: “La Grande Bellezza” ha tutte le 6 fonti di finanziamento. 2) Fondo Eurimages (1989) Le normative sul cinema riguardano il finanziamento: fare un film richiede investimenti molto superiori a quelli per programmi TV e radiofonici. Fare film richiede sempre più soldi per 4 motivi (fallimenti di mercato che fanno nascere la norma): In ambito cinematografico c’è grande competizione internazionale 1. Il lavoro che genera maggior valore economico in ambito cinematografico è quello artistico, 2. creativo e intellettuale: attori, sceneggiatori, registi…—> trattandosi di persone umane, io non posso sapere quanto tempo si impiegherà (scene da rifare, imprevisti di ogni genere) per realizzarlo, quindi non so quanti soldi mi serviranno La produttività in ambito cinematografico cresce meno che in altri settori 3. La vendita dei biglietti non copre costo di realizzazione dei film (molte meno persone vanno al 4. cinema) Di conseguenza, per tutti questi problemi, la imprese cinematografiche devono autofinanziarsi. Quindi entrano in gioco gli AIUTI DI STATO, consentiti in ambito culturale (cinema può rientrare nella macro area della cultura). Nel 1989 si istituisce il Fondo Eurimages, a finalità culturale —> può andare a finanziare alcuni film e non tutti (non vi è concorrenza). Ma, io produttore posso prendermi soldi da questo fondo (21 Milioni all’anno messi a disposizone dal Fondo stesso), solo se il mio film sarà una co-produzione tra i paesi membri (“La Grande Bellezza” è produzuone italo-francese) —> questo perché L’UE vuole avvicinare gli ordinamenti, “sprovincializzare” gli Stati, per incentivare un aiuto vicendevole tra membri). Se è vero che si vuole evitare un ancoraggio ai contesti prettamente nazionali, è pur vero che l’UE può agire e intervenire con sussidi, ma solo se gli obiettivi non possono essere realizzati bene dallo Stato membro (è un intervento sussidiario da parte dell’UE, è un supporto —> principio di sussidiarietà e proporzionalità, quindi l’intervento dell’UE deve anche essere consono alle circostanze, senza strafare, nè più nè meno). 3) Programma Media (1991) Cambia ogni 5 anni, viene rinnovato sia in termini di soldi che in termini di paesi memebri. Fa parte del programma Europa Creativa. La particolarità è che Programma Media non serve per “fare” il film (non per pagare attori, registi, set, musiche..), ma per distribuire il film. Ci si rivolge a Programma Media solo per la distribuzione. L’obiettivo di PM è quello di incrementare la circolazione di film non nazionali all’interno dei Paesi dell’UE. Perché? L’UE ha detto: “Gli Stati membri devono scegliere quali film finanziare. È il diritto interno di ogni Statoche sceglie cosa finanziare”. Lo Stato membro può scegliere in autonomia quale film finanziare perché il film fa parte della macro area della cultura. Il compito dell’UE è quindi complementare, perché agisce sempre secondo il principio di sussidiarietà e proporzionalità. 4) Comunicazione sul Cinema (2001) In questo caso, la Commissione Europea fornisce delle linee guida che rinnova ogni 3 anni per gli Stati membri per scegliere quali film finanziare. Tu Stato scegli quale film finanziare, ma è l’UE che dà delle linee guida a riguardo e lo Stato è obbligato a seguirle perché le direttive Europee sono più importanti di quelle statali interne (si vuole “armonizzare”). Quali sono i criteri per considerare un film “culturale” e quindi può ricevere sussidi? Il cinema può essere sostenuto se si rispettano due criteri: Legalità generale —> aiuto conforme alla legge, non devono esserci sotterfugi 1. Compatibilità —> devono essere rispettati 4 sotto criteri: 2. Criterio del prodotto culturale —> ogni Paese definisce quando un film è prodotto culturale, secondo • dati criteri scelti dallo Stato stesso Criterio della territorializzazione —> io produttore ho ricevuto sussidi dallo Stato, ma una volta presi, • non posso spenderli dove voglio. Infatti, una quota di essi (non più dell’80%), devo spenderli nel luogo in cui ho preso questi soldi (se lo Sato italiano mi dà dei soldi, l’80% devo spenderli in territorio italiano). Criterio dell’intensità di aiuto —> l’insieme delle misure a sostegno del mio prodotto, l’insieme dei • soldi che posso prendere, non può superare il 50% del budget totale. Se un film mi costa 20 milioni, lo Stato può darmene 10. Eccezione: quando un film è considerato “di difficile realizzazione” e a basso costo, non c’è limite del 50%. Lo Stato, in questi casi, può dare anche più del 50%. Criterio di specificità del sostegno —> i soldi che ricevo li ricevo per tutto il film, per tutta la • lavorazione (non posso utilizzare i soldi solo per la fotografia o la musica, ma per tutta la realizzazione del film —> sussidi distribuiti in maniera omogenea nella realizzazione totale del film). Il Diritto interno In Italia, i produttori cinematografici hanno sempre cercato di instaurare e tenere aperto un dialogo con le TV. Il produttore è un soggetto economicamente debole (non ha alle spalle realtà aziendali forti, oltretutto le pellicole realizzate non hanno accesso automatico al mercato). Negli anni ‘80 e ‘90, il maggior sostegno all’industria cinematografica proveniva da Rai e Mediaset. 3 problemi del rapporto produttori-tv: Le TV non sono una fonte adeguata per sostenere la produzione di film (poche risorse per 1. finanziare film, pubblicità non è fonte adeguata, perchè la pubblicità serve per pagare dipendenti e pagare i costi della tv stessa) La TV hanno sempre meno interesse a trasmettere i film, per diverse ragioni. La pubblicità 2. distrugge i film. Rete4, un tempo, era la rete per eccellenza nella trasmissione di film, ora no. I film in TV ora sono interrotti da sempre più pubblicità e finiscono sempre più tardi, dato che le prime serate iniziano sempre più tardi. I film, se i produttori prendono soldi dalle tv, rischiano di esser pensati solo per un pubblico 3. televisivo e non cinematografico —> un’umiliazione Sono problematiche che portano ad interrogarsi sul futuro del cinema. “In Italia manca un’offerta commerciale in grado di intercettare il gusto del pubblico di massa, come avveniva negli anni ‘60” (frase di Urbani del 2003, da cui prende il nome il decreto più importante in ambito cinematografico nel 2004). —> il cinema negli anni ‘70 si trovava in una situazione complicatissima, aveva perso quote di mercato: non si facevano più i film “popolari”. Crescevano molto, invece, quelli statunitensi. La normativa in vigore (rimasta fino al 2004) era la Legge Corona del 1965, che ha disciplinato l’ambito cinematografico fino al decreto Urbani del 2004. Legge Corona prevedeva un sostegno ai film riconosciuti come di interesse culturale (c’era una commissione che decideva l’ammontare del prestito, che poteva coprire fino al 90%, quando non c’era ancora il limite per l’intensità d’aiuto che è entrato invece in vigore nel 2001. Vi era anche bassissimo fondo di garanzia —> se il produttore una volta fatto il film non restituiva i soldi, lo Stato poteva benissimo rimetterci i soldi di tasca propria). Questa legge era debole per due aspetti: Io produttore se non restituisco i soldi, ce li mette lo stato, quindi io produttore sono 1. deresponsabilizzato, non mi impegno a fare un film fatto bene per avere incassi in modo da restituire i soldi e non mi impegno nemmeno a cercare finanziamenti privati Per definire se un film fosse o meno di interesse culturale, si prendevano in considerazione solo le 2. tematiche delle sceneggiature Le regioni iniziano a sollevare un problema: in ambito cinematografico era evidente che vi fossero lacune e criticità. Il Decreto Urbani 2004 nasce per 2 motivi: Perché la prima legge (1965) faceva schifo e aveva tanti problemi, molte lacune e criticità 1. Nel frattempo era nata la Comunicazione sul Cinema nel 2001 (fonte di diritto dell’UE che prevale 2. sul diritto interno, detiene il primato), che mette dei paletti ed era perciò necessario un adeguamento dello Stato: lo Stato si adegua con il Decreto Urbani I 3 punti del Decreto Urbani del 2004 (strumenti di sostegno): Si mantiene un finanziamento diretto ai fini di interesse culturale (non può andare contro l’UE), ma 1. ciò che cambia è che la commissione la prima cosa che valuta è il produttore (che premi ha? Che stabilità ha? Che capcità di incasso ha? In base alle capcità e al prestigio del produttore, si stabilisce l’ammontare del finanziamento Premi di qualità —> si valuta cast, registi… 2. Finanziamenti alle sceneggiature —> il finanziamento non può superare 50%. Quello che prima era 3. l’unico strumento di valutazione, diventa l’ultimo dei punti. —> Una volta che il produttore inizia ad ottenere i primi incassi e successi economici, ora restituisce il 20% del finanziamento (prima no). Questo Decreto aveva pro e contro: Virtù: Il ruolo del produttore cambia, figura prima accantonata e deresponsabilizzata • Attenzione nuova nei confronti del mercato, criteri specifici • Riduzione discrezionalità delle scelte delle commissioni • Sensibilità nuova in merito alla ricerca scientifica, non si presta più solo attenzione alla sceneggiatura • quotidiano è un prodotto diverso. Anche la stampa ha una sua filiera che si oppone di 4 step: Produzione = raccolta e elaborazione delle notizie dai giornalisti e dalle agenzie (ANSA) • Confezionamento = impaginazione e grafica delle notizie • Distribuzione = stampa del quotidiano, settore concentrato con aziende specializzate nei vari gruppi • editoriali. Vendita = modalità o tramite abbonamento o acquisto in edicola. Due problemi in Italia, soprattutto • nella vendita fisica = non arrivano i quotidiani in edicola (problemi posta), e le edicole sono private che guadagna parte dei ricavi dalla vendita (i numeri non venduti vanno restituiti all’editore che dara una percentuale all’edicola te che non sa mai intera alla spesa). Gli attori della stampa (SLIDE): Gruppo Gedi posseduto da Epsor RCS = gazzetta dello sport, corriere della sera Gruppo Caltagirone = Messaggero e il Mattino Gruppo Morrif = … Il sole 24 ore Il fatto quotidiano Tosinvest che fa a capo a un senatore Angelucci = ha acquistato da Mondadori Il Giornale. Il mercato è concentrato = Gedi e RCS hanno il 20% delle quote di mercato; forte divario con Morrif. Analizzando lo scenario emergono alcuni trend: Calo quote di mercato di Gedi Le altre quote rimangono stabili, piccolo incremento e costante de Il Sole 24 ore. La stampa periodica ha delle similitudini con la stampa a quotidiana = mercato a due versanti, ma con ricavi minori (nn escono tutti i giorni) e la domanda è molto più segmentata. Nessun editerà di stampa periodica ha intenzione d rivolgersi a tutto il mercato, ma ad uno specifico pubblico (segmentazione del mercato). Altro punto di differenza = la stampa periodica. Ha delle aziende internazionali che esportano il loro brand nel mondo (Cosmopolitan…). La dimanda del consumo dei periodici è legata a fattori esterni: tempo libro, livello di reddito disponibile e quando si lanciano nuovi periodici si punta a nuovi target non ancora coperti o a sottrarre quel pubblico ai rivali. I principali editori divampa periodica in alcuni casi si sovrappongono alla stampa periodica (Gedi), ma ci sono altri = il gruppo Cairo Communication ha due aree = area periodica RCS che ha tutto i supplementi del corriere della sera e poi c’è Cairo Editore (tutti i periodici che garantiscono i maggiori ricavi). Mondadori si è concentrata nell’editoria libraia, attore tuttavia ancora molto forte nel mercato. Soggetti internazionali me Hearst, Condé Nast, gruppo Gedi (gruppo editoriale dell’espresso, ma L’Espresso non viene pubblicato piu dal gruppo perché venduto ad un’azienda, VFC Media che si occupa di formazione finanziare che ha un canale su Sky). Se diamo un’occhiata alle quote di mercato, vediamo che Cairo ha le maggiori quote di mercato, segue Mondadori, seguono poi tutte le altre. La scala delle quote di mercato = Cairo ha circa il 10% delle quote, è tanto perché ci sono altri editori che hanno quote molto più basse. La stampa è un mercato in crisi, dal 2012 al 2022 continuo calo. Quando questo calo ha iniziato ad avviarsi, gli editori avevano trovato un metodo per arginare = il metodo dei collaterali, ovvero tutti i componenti aggiuntivi all’acquisto dei quotidiani (il dvd, il libro..), che hanno funzionato per un certo periodo. Tuttavia, da dieci anni non funzionano più, dovuto al calo domanda, calo pubblicità. È un calo progressivo, ma costante (sia cartaceo che digitale). Siamo arrivati a 500 mila copie vendute al giorno. Il calo della stampa è piu accentuato in Italia. Per gli editori è una sfida quello di trovare delle strategie sostenibili, nonostante si un mercato che ancora vale 2 miliardi di euro. Piattaforme e modelli di business dell’economia digitale Il mercato è dominato da una sigla GAFAM = Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft. Sono nuovi relativamente parlando… Una piccola premessa = il settore dei media è dinamico, e la tecnologia ha un ruolo fondamentale per i suoi sviluppi. Si alternano periodi esplosivi (ridimensionamento delle aziende e delle tecnolgie come la Smart Tv). Per capire questo settore tre termini Digitalizzazione = cambio dei media e nuovi media (come le applicazioni) Convergenza = aziende di informatica a e dei media si sovrappongono come Apple e Microsoft Piattaformizzazione = piattaforme inserite nel nuovo settore. La diffusione di internet e delle tecnologie ha delle conseguenze nell’economia dei media nel suo insieme. Pensiamo solo alla struttura dei costi, nell’economia dei media la riproduzione del prototipo ha dei • costi marginali. Con i prodotti digitali i costi marginali si azzerano. Si accelerano i flussi finanziari (sedie Dio di comprare l’abbinamento del corriere, vado sul sito e • compro l’abbonamento. Se vado in edicola pago la percentuale che va all’edicola te che poi va all’editore). Cambio dei contenuti, ora si possono aggiornare sempre i contenuti (prima un quotidiano non • poteva essere modificato). Le aziende hanno imparato a sfruttare i dati che si possono tracciare online dalle nostre attività. • Abbassamento delle barriere di ingresso, non ante questo mercato abbia delle barriere molto alte. • Legato alle nuove economie sorte con internet c’è il concetto di “coda lunga” (concetto puramente economico), secondo cui il mercato viene ridefinito con l’avvento di internet. L’economia dei media è un’economia di bestseller, ma con l’avvento di internet si aumenta la gamma dei prodotti disponibili e quindi anche le nicchie di mercato, considerate secondarie, assumono rilevanza. Quindi, anche quei prodotti che vengono e duri in quantità minori, nel tempo possono dare profitti (per Amazon, non costa nulla mantenere un Kindle di un bestseller insieme ad un libro che vende pochissimo; per le librerie fisiche è diverso perché significa fare spazio ad latri libri). Con il concetto di coda lunga = si allunga il ciclo di vita dei prodotti quindi si possono ottenere ricavi a distanza di tempo. Quindi, anche le nicchie di mercato vengono curate perché possono garantire dei ricavi in un tempo molto più lungo (per esempio, il ciclo di vita dei film prima si basava sulla vendita dei biglietti al cinema, ora si estende con l’arrivo dei dvd…). Caratteri di questa economia: Uno dei caratteri di questa economia è che anche i consumatori possono diventare produttori • (Wikipedia, YouTube). Queste nuove dinamiche di mercato hanno creato polemiche sulla regolamentazione e sulle dinamiche del lavoro (YouTube permette l’inserimento di spot all’interno dei video di non professionisti). Un altro carattere è la personalizzazione del consumo = si esce anche dalla logica di palinsesto con • le piattaforme Segmentazione dei mercati = ogni nicchia ha il suo spazio online • Quando si parla di internet il discorso varia di paese in paese (SLIDE). I dati dicono che l’Italia è in linea con i paesi europei. Tuttavia il 91% degli italiani ha una connessione internet, ma solo il 30% di questi hanno una connessione mobile (smartphone e tablet). Un altro tema è la diffusione della banda larga in cui ci sono delle differenze territoriali (dove cala a sud). I dati Audiweb ci dicono che la popolazione ogni giorno è piu di 36 milioni di persone e che il tempo speso per persone è di molto superiore nel segmento mobile rispetto al segmento fisso. Internet offre servizi: Orizzontali Vetivali = che sono specifici com formazione, intrattenimento. Questa distinzione agli inizi di intere tera molto forte, poi c’è stata una maggiore concentrazione di questi due servizi con la stessa azienda (Google offre servizi orizzontali e verticali comeYouTube). Rimane il quesito = come le aziende via internet generano ricavi. Cinque categorie: Modello free = l’azienda che opera via internet vende la pubblicità agli inserzionisti pubblicitari. Per • l’utente non c’è nessuna spesa. Per l’azienda c’è la possibilità di un ulteriore ricavo cn la vendita dei dati degli utenti a terze parti. Modello ancora preponderante nel web, più semplice e redditizio. Free to use = aziende che producono software. S possono scaricare in maniera gratuita, se pero se • si vuole un componente aggiuntivo specifico oppure se il software smette di funzionare questa comunicazione può esistere addebitata. Modello freemium = distingue due tipologie di utenti, utenti free (servizio d determinato dalla • pubblicità) e utenti premium (usufruiscono del servizio pagando senza avere pubblicità). In volgare il consumatore a passare al modello premium. Esempio, Spotify incentiva a passare a quello premium. Modello sempre più rilevante anche nei videogiochi come Fortnite (si pagano le componenti aggiuntive). Free not to pay = servizi offerti totalmente gratuiti, si può richiedere un pagamento discrezionale • all’utente (Wikipedia esce il banner per fare una donazione). Nothing free = servizi completamente a pagamento. Rientrano i servizi streaming on-demand • (Netflix). La pubblicità online è il primo canale di spesa pubblicitaria. Nel 2022 la spesa ha sfiorato i 540 miliardi di euro. Le principali aziende che ricavano con la pubblicità online = competizione Stati Uniti e Cina. Google e Facebook sono i principali attori di questo mercato. Poi i sono altre società che stanno crescendo: Amazon, Alibaba… Nel contesto italiano si distingue il ricavo da applicazioni a media tradizionali (la differenza diminuisce sempre di più). L’85% dei ricavi in Italia è generato dalle piattaforme e i restanti 15 dagli editori tradizionali. E un mercato in mano a pochi attori con quote di mercato elevate. I social media = YouTube e Facebook raggiungo i maggiori utenti mensili. I dati Auditel per l’uso degli smartphone prende in considerazione le persone tra 18-74 anni = i a ti su Tik Tok sono sempre quasi sottostimati. KIDS ME - DeAgostini Kids Me è una casa di produzione del gruppo De Agostini, società italiana e controllata da due famiglie che costituiscono una holding vera e propria e controlla tutto il gruppo. È molto radicata sul territorio da più di un secolo, ma è una multinazionale ed è estremamente ramificata in molte aree, focus particolare sul ramo dell’editoria. I contenuti per ragazzi prodotti da DeAgostini sono sviluppati all’interno dell’area editore, e quest’area editore è sostanzialmente la derivazione di quello che è il portato dell’editore librario —> vi è quindi un’area area libri, che oggi è join venture al 50% con Mondatori, e l’area del Kids Content. In quest’ultima area emergono 3 loghi dalle slide —> De Agostini si occupa di due canali Sky (DeaKids, canale 60, primo canale broadcaster; DeaJunior per il target prescolare, sul canale 623) Vi è poi Kids Me, una content factory (casa di produzione) che si occupa dello sviluppo di contenuto sia a partire dalla IP (prodotto inteso come contenuto editoriale dalla fase dello sviluppo), fino al confezionamento del programma. Il gruppo (DeAgostini) ha deciso di costituire questa nuova società controllata al 100% (KidsMe non è indipendente) per tenersi al passo con il cambio di scenario (nuovi player sul mercato —> serve produrre contenuto non solo per i canali televisivi del gruppo ma anche per altri: da qui decisione di costituire una nuova società di produzione). DeAgostini nel 2009 lancia un canale televisivo (DeaKids) per la mission di provare a tradurre il portato educational dell’editore librario, che è ciò che ha reso “famoso” DeAgostini, anche in ambito televisivo. A DeaKids ne sono seguiti degli altri, DeaJunior ancora presente e anche il canale Super, canale free to Contenuti per generi L’Annuario 2022 analizza 3 generi sul target Kids: Animazione • Entertainment (talent show, quiz per bambini) • Scripted (con attori che interpretano dei ruoli, sceneggiatura) • L’animation di solito è il primo genere su tutti gli editori (44%). DeAgostini, invece, fa prima entertainment, poi scripted, poi animazione. DeAgostini è editore italiano, è una sfida fare prodotto italiano, ma è importante che esso possa viaggiare e abbia portata internazionale. Poi, animazione costa di più in termini di produzione, non solo in termini economici ma anche di tempo. L’animazione costa molto e vi è un alto time spending nella creazione. D’incontro, però, l’entertainment ha vita breve, invecchia velocemente (e non solo per il target Kids). L’ entertainment va di pari passo con l’attualità (di Tempettaion Island io mi guardo la stagione di quest’anno). Entertainment ha costi più bassi e tempi più rapidi. L’animazione invece non invecchia (ci sono animation ancora in auge dagli anni ‘90), però è difficile da produrre per i motivi sopracitati. Case History Music Distraction —> entertainment scripted, in cui si lavora molto con Local Host (conduttori • italiani, molto forti sul target del nostro paese e con influencer/creator molto forti sul target di riferimento. Si tratta di influencer che propongono contenuti safe sulle loro pagine (cioè adatti al target, contenuto “pulito”). New School —> primo prodotto scripted realizzato da KidsMe per il target di riferimento, oggi è su • Netflix e distribuita a livello internazionale. Si basa sulle live action di Nickelodeon come reference e poi riadattata alla comicità italiana. Ha avuto iter di produzione molto articolato: è stata scritta da KidsMe tra Italia (la IP è di DeAgostini, idea originale) e gli USA (sceneggiatura e scrittura commissionata a livello internazionale), affinché avesse un portato internazionale e potesse essere distribuita. La scrittura è fondamentale, è ciò che determina il successo di un programma. A differenza dell’ entertainment, lo scripted è meno local (non solo in ambito di target kids e ragazzi). Oggi per la Kids tv creare sinergie è fondamentale —> permette di confezionare contenuti più appetibili e di qualità maggiore, che non limita il target al contesto italiano. Miracolous —> animation • È fondamentale fare ricerca su un target così complesso. Il prodotto, però, va poi curato nel tempo, bisogna curare un IP o un franchise nel tempo (non si può dimenticarsene dopo aver lanciato le prime stagioni), e questa è la cosa difficile. Scouters, Kids specialist e Brand curators lavorano in sinergia (sono anche sempre più ibridati) e coinvolgono molti professionisti. 1) Scouters —> conduzione ricerche qualitative e quantitative sul target, focus group, analisi dei brand (UK e USA sono il punto di partenza, mercati molto solidi, sono ispirazione a livello di linguaggi). È importante creare delle IP che siano forti (ideazione di formati innovativi, sia scripted che unscripted, seguendo trend internazionali). Alcuni esempi: X-MAKERS è un programma sulla fabbricazione digitale, in particolare riguarda le stampanti 3D; è stato coinvolto come host Giovanni Muciaccia (per il target ragazzi è il divulgatore intragenerazionale per eccellenza). L’entertainment viene chiamato, nel contesto KidsMe, viene chiamato con il neologismo IDOTAINMENT (oltre a intrattenimento, si mescola l’aspetto educational e l’aspetto “I do” —> la mission è il coinvolgimento dello spettatore, ad esempio nell’ambito dei tutorial, non è solo divulgazione passiva). Altro format originale innovativo è Yo-Yoga, si tratta di Yoga spiegato ai ragazzi e condotto da Francesca Senette. È una derivazione immediata dal mercato britannico (primo IP sullo yoga mutato al contesto italiano) ed è il primo format italiano sullo yoga per bambini e famiglie (coinvolgimento anche del mondo parenting, perché ha visto protagonista nella seconda stagione anche l’attrice Margot Sikabonyi). Vi è poi Unboxing Time (con Matt e Bise), il cui concept ruota attorno appunto all’unboxing , fenomeno legato a YouTube. Si tratta di prodotti che vedono inserimento commerciale, ma nella TV per ragazzi non si può fare inserimento commerciale per legge (in un talent per bambini non ci sarà mai la bottiglietta Lete sul tavolo dei giudici). Infine c’è Officina dei mostri , primo factual da cui è stata derivata una serie scripted, che da vita a mostri inventati dai bambini. 2) Originals specialists —> nella ricerca si può spaziare tra i mercati. Vi è un team di produzioni originale specializzato, fully IP- Oriented (sia su unscripted che animation) e anche animation specialists (anche se l’animazione non è il genere primario, ci sono collaborazioni con Disney e ZDF in questo contesto dell’animation. Il lancio di una serie animata sul mercato viene a volte affiancato da attività di mercato ancillari. Per esempio, alla realizzazione della serie animata, viene affiancata la realizzazione del videoclip della sigla: è quanto accaduto con Miracolous con la cantante Gaia di Amici —> questo è un esempio di realizzazione contenuto di produzione extra, per mercato ancillare, a livello sia locale e a volte anche internazionale). Una volta individuata l’idea, essa va prodotta e confezionata. Quando il prodotto è confezionato e lanciato sul mercato, va curato nel tempo. Si costruiscono strategie 360 (three-sixty) su diverse aree, tra cui marketing, comunicazione, promozione , programmazione, sia che questo prodotto sia destinato alla messa in onda sui canali propri della casa di produzione, sia che esso sia invece destinato a commissioner terzi. 3) Branded content specialists —> non si può fare inserimento commerciale nel contenuto, perciò per aggirare l’ostacolo si creano partenership con i brand più forti tra i ragazzi. Si realizzano dei branded content (sono miniclip di 1 min o 1.30 min, sono un ibrido tra lo spot e il contenuto editoriale più complesso: si parla di TLP, telepromotion spot, contenuto molto curato, prodotto dalla casa di produzione stessa) che vanno in spazio commerciale, programmati in palinsesto dove vengono programmati gli spot (non si possono programmare altrove, dato che sono contenuti commerciali a tutti gli effetti, ma sono diversi dagli spot). In questi branded content si inseriscono i talent dei prodotti televisivi (esempi Sofia Dalle Rive o Vittorio Brumotti) affinché ci sia un reciproco rimando: il branded content riferisce al talent e al contenuto editoriale e viceversa (quando i ragazzi guardano questi canali, collegano il volto noto ai prodotti e alle campagne pubblicitarie). Nelle TLP il talent racconta il prodotto commerciale proposto. —> N.B.: se un talent compare in una TLP, il programma che va in onda dopo la TLP non può avere alla conduzione lo stesso talent comparso nella TLP. Le OTT, in questo scenario, si confermano come realtà molto solide —> perciò si creano battaglie per il contenuto. Se da una parte alcuni colossi fanno un certo tipo di scelta (es. Disney chiude canali tv lineari come Disney Channel in favore della piattaforma worldwide Disney+), una realtà più local come DeAgostini, lancia una casa di produzione —> questo perchè sa che c’è un Production expertise, sperimentando su oltre ore 2000 ore di contenuto originale in 10/15 anni e pensa di porsi sul mercato come un “delivery” di un certo tipo di contenuti, proposto anche per soggetti terzi. Oggi con le OTT si fa a fatica a scegliere cosa guardare, c’è perciò una grande battaglia in merito. Il lancio della Content Factory KidsMe è stato fatto per essere competitivi sul mercato e per mettere a frutto il Production Expertise anche rendendolo disponibile ad altri commissioner terzi. Produrre TV oggi in italia Attorno al 2015, l’arrivo dello SVOD sancisce lo scenario di cambiamento —> si parla di “crisi” e cambio di passo dei modelli economici, che però non coincide con la carenza di domanda di televisione da parte del pubblico. La TV gode ancora di ottima salute. —> La tv attraversa un’epocale fase di cambiamento: si parla di “scenario disruptive” dovuto a: Crisi economica • Passaggio da analogico a digitale • In questo scenario nel 2015 si aggiunge l’arrivo delle OTT, che non hanno infrastrutture, non hanno sedi fiscali, scarsa legislazione del mercato e quindi prendono piede. Le realtà già esistenti, tra cui DeAgostini, si polarizzano: c’è chi lavora a produzione originale guardando al mercato locale (scripted di Mediaset), e chi si polarizza su quello internazionale (Sky con il canale Sky Atlantic, che per rendersi ancora più competitiva sul mercato ha iniziato a produrre scripted series di grande qualità e di grande circolabilità anche all’estero). Questo processo di polarizzazione vede nelle OTT e nella fruizione VOD e SVOD un punto di passaggio. Chi è che più di tutti fruisce di contenuti VOD e SVOD switchando da una piattaforma all’altra? Il target di riferimento di DeAgostini, i nativi digitali. Studiare lo scenario è fondamentale per intercettare perfettamente il target, che ha una propria modalità di fruizione e completamente diversa da quelle delle altre generazioni. Il sistema Kids tv è una nicchia del mercato audiovisivo italiano e ha caratteristiche proprie: è molto frammentato • è una nicchia • È un sistema fragile • in evoluzione —> è importante stare al passo, il target non è cristallizzato ma evolve molto • rapidamente. È complesso —> la fetta di pubblico composta dai ragazzi influenza le scelte strategiche di colossi • come Disney e Amazon. È quasi obbligatorio arrivare alla co-produzione tra gli stakeholder, è fondamentale il dialogo, che per troppo tempo non è avvenuto. Al giorno d’oggi, per realizzare prodotti il cui ciclo di vita venga il più possibile massimizzato, è necessaria la sinergia in ambito produttivo. Budget —> se si collabora tra stakeholder, i budget sono più alti. In questo ambito bisogna fare • distinzione tra “above the line” (insieme di tutte le figure più artistiche della produzione) e il “below the line” (maestranze più tecniche, la location…) Si realizzano IP dentro DeA, la scrittura delle scripted è internazionale in inglese, poi il prodotto • “subisce” un adattamento, la regia è più industriale. Anche il casting è interno. Il produttore esecutivo tiene insieme gli ambiti dello scripted, entertainment e factual. Lo strumento • di lavoro principe è il budget (dal gruppo, dal commissioner ecc.) —> non si parla solo di contenuto editoriale di efficacia, di bellezza e strategia editoriale, ma si parla soprattutto di investimenti. La locazione del budget riguarda tutte le attività: soprattutto per lo sviluppo editoriale (sviluppo dell’idea; si parla di pitch quando l’idea viene dall’esterno —> riadattamento per poi acquisirne i diritti e per tenerla “in house”), ma anche le attività di pre-produzione (scouting e negoziazione con ogni figura che compone la squadra) e confezionamento e delivery del contenuto. Piano di lavorazione —> sul set c’è sinergia tra produttore esecutivo, showrunner er ecc. Nel piano • di lavorazione è lo “scheletro globale” dell’attività, in cui confluiscono tutte le informazioni necessarie a tutti i reparti che realizzano il contenuto e che permettono di “prevedere” cosa succederà quando si realizzerà la messa a terra produttiva Ordine del giorno (ODG) —> documento in cui confluiscono le informazioni riguardanti una data • giornata (quali attori convocati, da che ora a che ora…). —> Cultura partecipativa (Henry Jenkins, 2007): si tratta dell’ output che si genera non solo con dinamiche top-down, ma anche bottom-up. L’industria culturale si è sempre proposta di mercificare prodotti che nascevano da editori, con la cultura partecipativa anche le communities hanno avuto la possibilità di generare prodotti culturali di altrettanto valore e che si andavo a scontrare e accostare con quelli generati dall’alto (es. Tutto il mondo del fandom —> il fandom generato intorno a Star Trek o della serie Twin Peeks o di Lost, in particolare di quest’ultima sono stati prodotti spin-off direttamente dalla community che l’editore ha poi mandato in onda). Con TikTok stiamo vendendo un po’ la stessa cosa —> contenuti che generano fandom ma allo stesso tempo hanno effetti al di fuori della piattaforma. Se fino ad oggi si è parlato di user generated content, su TikTok la genesi del contenuto è community- driven: si tratta di contenuti generati da processi di co-creazione. Si parla quindi di CGE (community generated entertainment) —> non c’è più un solo singolo individuo, ma collettivo di persone che attorno a una data tematica va a generare contenuto a sua volta. Il CGE può prendere vita con reaction a un contenuto, con le parodie, e la celebrazione con fandom (merchandising ecc.). Esempi: Squid Game: serie coreana prodotta da Netflix come puro originale coreano (senza doppiaggio). In • Corea questa serie inizia ad essere molto discussa, con ricreazione dei contenuti della serie (es. Gioco “Un due tre stella”) —> inizia il trend su TikTok, algoritmi pieni di contenuti inerenti la serie ecc. Netflix si è resa conto del trend e ha provveduto molto velocemente a proporla worldwide fino a farla diventare un franchise Altro fenomeno trademark “Barbenheimer” (Barbie & Oppenheimer) —> fenomeno nato sulla • community di TikTok per invogliare le persone a vederli entrambi, attraverso un flusso di comunicazione congiunta Encanto —> film del 2021 la cui colonna sonora diventa hit mondiale grazie ai trend su TikTok • —> questo per dimostrare “l’effetto TikTok” sull’industria del cinema e dei media: “TikTok made me Watch it”. È stata condotta una ricerca sulla base di questo —> prima domanda posta al campione è stata: “se hai un’ora del tuo tempo, come lo spenderesti?” La metà del campione ha detto che spenderebbe un’ora del proprio tempo su TikTok. Dalla ricerca è emerso che 1 utente su 2 ha dichiarato di aver visto un film o uno show dopo che i contenuti in merito sono diventati trend su TikTok. Ad oggi i contenuti di intrattenimento in piattaforma hanno generato più di 1.2 trilioni di visualizzazioni, ma nell’ultimo anno sono cresciute del 622% le ricerche in piattaforma: per la Gen-Z, TikTok è diventato un motore di ricerca a tutti gli effetti (per trovare un ristorante a Milano spesso mi rivolgo a TikTok). Case Study —> approccio olistico. Per avere successo su TikTok, un brand deve avere un profilo e una linea editoriale che permetta di • essere sempre in contatto con l’audience e le partnership con i creators. Si lavora anche con i brand: l’account di Sky esisteva su TikTok da un po’, però la loro strategia non • funzionava su TikTok perché non proponevano nulla di diverso rispetto al loro Instagram. Sulla scia del commesso di Unieuro è stato quindi creato un contenuto simile. Poi ci sono le campagne paid, momenti dell’anno in cui il brand deve proporre i propri prodotti in • maniera più “pubblicitaria” —> es. Spotify in occasione di SanRemo, quando si lancia la playlist di SanRemo in piattaforma. Quello che stanno facendo i media tradizionali non è più produrre per i loro mezzi tradizionali, ma usare TikTok come ulteriore piattaforma in cui creare contenuti in esclusiva per questa piattaforma. Lavorando con Prime Video nel lasso di tempo tra la prima e seconda stagione di LOL, è stato creato Generazione LOL —> stesso format di Prime Video portato su TikTok con la stessa identica dinamica, solo che in questo caso gli ospiti non sono comici televisivi, ma creator comici di TikTok. Il vincitore sarebbe diventato Ambassador di Prime Video per l’anno successivo. Inoltre, per lanciare Italia’s Got Talent su Disney + è stata fatta più o meno la stessa cosa. CONSUMI E LORO MISURAZIONE - MARKETING TV Domanda di fondo: per che cosa serve la misurazione del consumo dei media? Qual è la ragione per misurare il consumo dei media? Dimensione commerciale (compito delle concessionarie di pubblicità): la parte principale • dell’industria mediale basa il proprio modello di business sulla raccolta di risorse pubblicitarie, che dipende strettamente dalla capacità di misurare i consumi —> chi investe capitali nell’ acquisire l’attenzione deve essere in grado di quantificarla anche in base a una serie di parametri che hanno a che fare con la qualità di quella merce. Per ogni investitore pubbblicitario, sapere quali sono i target da raggiungere è fondamentale (target maschile, femminile, adulti, giovani…). Senza questo l’industria mediale NON funziona Dimensione editoriale: legata al prodotto —> la misurazione aiuta a capire se un prodotto ha • successo e per decidere se rinnovare ad esempio nuove stagioni dello stesso. Marketing commerciale guarda al lato della misurazione di attenzione e vendita di essa a chi investe, Marketing editoriale/ strategico che punta invece al versante che dal pov strettamente economico è composto per lo più da prodotti sostenuti dalla pubblicità, ma abbiamo i clienti intesi come consumatori di contenuto (trattasi di prodotto, programma, palinsesto…). Vi è difficoltà generale relativa alla misurazione, che caratterizza tradizionalmente i media, e una difficoltà specifica che riguarda lo scenario attuale con le sue specificità (trasformato dalla digitalizzazione, convergenza, nuovi mezzi). Emergono quindi due tematiche: una tradizionale e altre questioni a cui si sta tentando di dare risposta. Che tipo di sfide può proporre la misurazione per alcuni mezzi, soprattutto nell’ambito del broadcasting (come tv e radio)? Forma di misurazione che si basa tradizionalmente sulla statistica. La misurazione del broadcasting è di tipo campionario (tramite creazione di un panel, cioè campione individuato costantemente attraverso modalità di espansione statistica ). La misurazione statisticamente fondata dell’intera popolazione, nell’ambito dei sondaggi politici, si può fare con campione di 2000/3000 persone, a patto che esse rappresentino tutto l’universo che intendiamo rappresentare (età, sesso, fattori sociodemografici..). La misurazione del consumo televisivo però è un qualcosa che caratterizza la quotidianità delle persone. Serve quindi un “film” in diretta di come avvengono i consumi televisivi piu che una fotografia statica della situazione. La tv è ancora il mezzo che riesce catalizzare il numero maggiore di risorse economiche, anche grazie ai suoi diversi modelli di business, perciò è necessario che questo sistema sia affidabile e metodologicamente ben costruito. La misurazione campionaria dell’ascolto televisivo che viene fatta ogni giorno coinvolge circa 5000 meter (unità domestiche —> fatte mediamente di 2-3-5 persone, quindi con 5000 meter sto misurando circa 15.000 individui). La misurazione va a fotografare tutti i giorni i consumi di questi individui. Nel 2017/2018 Auditel, per una serie di ragioni legate all’evoluzione del sistema televisivo, ne aggiunge ulteriori 10mila, per arrivare oggi a 45/50mila individui. Questa misurazione è fondamentale: è garante, arbitro e giudice di come si spostano i capitali di investimento pubblicitari. Questo metodo di misurazione deve essere riconosciuto universalmente da tutto il mercato, composto dai player e dagli investitori (anche questi ultimi devono accordare la loro fiducia in un modello di misurazione che metta tutti d’accordo). Per questa ragione, la misurazione dei consumi è definita una currency (una valuta —> i soldi traggono il loro valore dal fatto che ognuno di noi riconosce la loro validità). La complessità ulteriore oggi nasce dal fatto che i contenuti televisivi vengono consumati non più solo tramite il televisore (con sistema campionario di Auditel e con specificità tipiche di ogni Paese), poiché ad esso si aggiunge la fruizione dei contenuti tramite altri device (es: mi guardo Fiorello sul mio cellulare alle 7 del mattino del giorno dopo in metropolitana). Si parla quindi di “come misuro la Total Audience?” —> cioè un’audience che deve comprendere tutti i diversi device che consentono di fruire di contenuti. La misurazione del consumo non lineare è importante anche dal por commerciale perché possiamo “pianificare” la pubblicità sullo streaming —> Skippable o non-skippable. Questi temi ruotano tutti attorno al rapporto di maggiore convergenza tra mondo della TV e il mondo digital (social ecc.). Nello scenario attuale dei consumi, qual è la vera differenza oggi? I due pilastri dell’industria mediale sono TV e Digital. Il mondo TV è sicuramente più “definibile” in termini di contatti. Nel mondo digital, invece, sono teoricamente più “tracciabile” quando vado su un sito internet. Le piattaforme hanno dati molto tracciabili ma su cui cercano di mantenere una certa riservatezza. Differenze dal pov delle dimensioni e abitudini di chi consuma tv e digital La fruizione tradizionale del broadcasting è ancora capace di creare reach (contatti) molto grossi, mentre il mondo digital è molto frammentato. La misurazione dei consumi mediali è fatta di due variabili: quante teste raggiungo (reach—> definire uno standard minimo: con reach si intente persone che guardano almeno 5 min al giorno di tv) e per quanto tempo questo consumo avviene. Tra digital e tv c’è differenza sia in termini di reach che di tempo. Secondo uno studio, nel maggio 2022 (post-pandemia), è emerso che in termini di reach le platee non sono molto diverse: ogni giorno ci sono più di 36milioni di persone (campione di persone di età 18+) che tutti i giorni guardano un prodotto televisivo, mentre in termini del mondo digital siamo ad una reach di 34,1 milioni. Ciò che è cambiato radicalmente è il tempo: il consumo televisivo richiede un tempo superiore. Il dato medio di consumo giornaliero di tempo è un po’ più di 4 ore al giorno per quanto riguarda la tv e un po’ più di 1 ora e 30 min per il digital. Questo ci riporta a quanto detto per TikTok: la piattaforma si colloca a metà —> TikTok va a definire una modalità di consumo molto simile alla Tv, sui target che raggiunge ha tempi di consumo molto alti. Se guardiamo in termini di intera popolazione italiana, il rapporto tra tv e digitale è il seguente: il tempo speso sulla tv è di circa due terzi, sul digitale è un terzo. Ovviamente dipende tutto dal target di riferimento —> i giovani 18-24 fruiscono maggiormente del digital che della tv. Se l’investitore pubblicitario vuole coinvolgere un pubblico generalista, molto vasto, investirà sul settore televisivo, altrimenti su quello digital. Marketing, marketing dei media, marketing TV Il marketing è una disciplina (dunque si studia e si insegna, finalizzata a comprendere bisogni e comportamenti del consumatore) composita (utilizza delle metodologie di ricerca molti vari e diversificati). È anche una funzione aziendale, cioè dentro alle aziende ci sono delle sezioni di marketing. marketing commerciale —> focus su attenzione come merce. È il marketing sviluppato dalle • concessionarie pubblicitarie per vendere ascolti, che devono essere il più possibile targettizzati per gli investitori pubblicitari. La finalità principale è la costruzione di listini di vendita marketing editoriale —> focus su prodotto come oggetto. Finalizzato a comprendere quali prodotti • sono stati preferiti dal pubblico e quali no, ovviamente sulla base del palinsesto e delle fasce orarie dei programmi. Non si tratta solo di questo, ma si pone anche l’obiettivo di migliorare l’efficacia dei prodotti o la modalità distributiva (cambiare i giorni di programmazione) —> il tutto finalizzato a massimizzare gli ascolti Il marketing mediale televisivo definisce un tipo di lavoro e di ragionamento che deve essere nutrito in primo luogo dal dato, quindi dalla misurazione.
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