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Appunti esame Letteratura Spagnola I, Appunti di Letteratura Spagnola

APPUNTI delle lezioni di letteratura spagnola I e ANALISI DETTAGLIATA DELLE POESIE in programma, prof. Tomassetti

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 13/05/2019

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4.3

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20 documenti

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Scarica Appunti esame Letteratura Spagnola I e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LETTERATURA SPAGNOLA I (APPUNTI) 2 ottobre 2018 Verso la fine dell’800 avvennero le guerre carliste che opposero la fazione che appoggiava Carlos, fratello del re Fernando VI, e quello che appoggiava la figlia Isabel. Ancora non esisteva il diritto di successione dunque questo scatenò l’aspirazione di potere di Carlos. In questo contesto la società civile si spaccò in due gruppi: i carlisti reazionari, sostenitori di Carlos, e il partito isabellino, la borghesia progressista che appoggiava Isabel e che voleva abbandonare il sistema economico spagnolo latifondista (dal catechismo=sistema economico che si reggeva su piccole oligarchie di pochi potenti che controllavano territori interi) . Alla fine riesce a diventare regina di Spagna. Alla fine del secolo si avvia una riflessione molto intensa su quella che è la posizione della Spagna in Europa, su quella che è l’essenza profonda della cultura spagnola e quindi gli intellettuali del tempo si interrogano su quello che loro, come classe trainante della cultura del paese, potevano in qualche modo determinare i destini del popolo. E comincia una fase nella quale la Spagna, soprattutto i suoi intellettuali, cercano di attingere da esperienze culturali che vengono dall’estero; uno dei settori dove si concentrano è quello dell’educazione: la crescita culturale del paese, il progresso di una nazione passava per la riforma dell’educazione (Reforma de la enseňanza). A questo proposito entrarono in Spagna gli insegnamenti di una grande filosofo postkantiano, KARL CHRISTIAN FRIEDRICH KRAUSE. Il suo pensiero ebbe tanto successo in Germania, dove inizialmente si diffuse, che generò un vero e proprio movimento, definito Krausismo, che si diffuse a livello accademico ma anche attraverso le riviste culturali, passando per tutta Europa. Il cardine di questa dottrina era la tolleranza accademica e la libertà di cattedra di fronte al dogmatismo (libertà di ricerca e di pensiero): l’università doveva difendere e sostenere il principio di libertà di pensiero, svincolarsi da tutti quei condizionamenti politici e religiosi. In Spagna questo movimento si diffuse grazie alle opere di JULIAN SANZ DEL RIO, che fondò la Institucion Libre de Enseňanza (ILE) diretto da FRANCISCO GINER DE LOS RIOS, coadiuvati da FEDERICO DE CASTRO. Attraverso questa istituzione che una nuova forma di educazione scolastica (Institucion libre de enseňza), avvenne quella che fu la riforma dell’educazione. Collaborarono e trainarono questa istituzione alcuni grandi intellettuali a partire dal 1876 come Azcárate, Giner de los Rios, Joaquin Costa e Juan Valera. La ILE si occupò dei primi livelli di formazione e di educazione scolastica, ma anche della riforma universitaria a cui parteciparono FRANCISCO GINER DE LOS RIOS e SANTIAGO RAMON, era un medico studioso di tessuti e premio Nobel. Egli scrisse un opuscolo del 1897 dove associava la l’attività di studio e ricerca a un programma di cambiamento morale: l’università, come ambito di formazione delle nuove generazioni, ha una missione morale ed etica. La ILE costituì il traino fondamentale di quello che venne definito Movimiento regeneracionista (movimento di rinascita) che ebbe il suo massimo splendore e sviluppo intorno agli anni 90 e che non fu soltanto un movimento di tipo culturale ma ebbe anche un grande impatto sulla politica del momento. In questo clima di fermento culturale e di presa di coscienza da parte della minoranza intellettuale anche a livello letterario e artistico cominciano a svilupparsi aspirazioni al rinnovamento, a un’arte che segnasse una frattura rispetto al romanticismo. A questo fervore viene dato il nome di MODERNISMO (formula data a posteriori a un momento storico): è quell’atteggiamento che sostiene e fomenta tutto ciò che è moderno, ciò che si contrappone all’antico e al passato. Si presenta come movimento che vuole differenziarsi rispetto a quanto era stato prodotto fino ad allora. Si distingue, quindi, per un’istanza di contrapposizione al clima culturale precedente. Il 1898 la Spagna perse, nella cosiddetta Guerra di Cuba, le ultime colonie che le erano rimaste: Cuba, Porto Rico e le Filippine. Erano le ultime colonie del grande ed esteso impero coloniale spagnolo e grazie anche all’appoggio che queste ricevettero dagli USA, che avevano intenzioni espansionistiche, la Spagna perse una grande battaglia navale contro di esse. Questo avvenimento viene anche chiamato il disastro del ’98: la fine di un’egemonia che la Spagna aveva avuto su quasi l’intero continente americano. Questa etichetta continua ad essere usata per indicare un gruppo di autori attivi in quegli anni e che vissero quei fatti, la Generazione del ’98, cominciando a riflettere su grandi temi come il male della Spagna (molti lo chiamano ABULIA, mancanza di volontà, incapacità di agire e riappropriarsi del proprio destino). Modernismo e la generazione del ’98 sono due fenomeni che si intersecano necessariamente: il Modernismo è un fenomeno letterario e culturale all’interno del quale appare la generazione del ’98 che ha una designazione ispanica e spagnola (il Modernismo ha una geografia più estesa). AZORIN affronta la questione terminologica. Egli sviluppa l’idea di un gruppo generazionale degli autori e lo fa in diversi articoli che scrive dal 1905 in avanti. Si sforzò di individuare i predecessori della generazione del ’98, degli intellettuali che avevano intuito e affrontato a modo loro il mal de Spagna. Sono autori che possiamo includere all’interno del Romanticismo: Echegaray, Campoamor e Galdós. Fa inoltre un’operazione molto particolare: include DARIO, capostipite del Modernismo ispano-americano, nella generazione del ’98 e in qualche modo distingue questa generazione dal modernismo. Dice che tutti quelli del ’98 venivano chiamati “modernisti” in modo dispregiativo però infondo non si preoccupava tanto della questione terminologica. Molti critici si sono occupati del Modernismo e si possono dividere in diverse categorie: • alcuni sostengono HENRIQUEZ UREŇA per cui il Modernismo è un fenomeno letterario esclusivamente ispano-americano che poi si è diffuso nel resto de mondo ispanico. • JUAN RAMON JIMENEZ afferma che il Modernismo fu una tendenza non solo letteraria ma è un clima culturale, un preciso momento storico. • FEDERICO DE ONIS è un critico e insiste su una questione che Jimenez aveva sollevato: la crisi di fine secolo che molti intellettuali avevano rappresentato e disegnato nelle loro opere aveva scatenato il cambiamento e il rinnovamento. Non c’è un anno di origine del Modernismo e ha una genesi abbastanza eclettica, assume in sé tendenze che erano presenti in altri movimenti europei e proprio grazie a questo eclettismo riesce a creare qualcosa di nuovo. C’è un filone classicista che è preso dai parnassiani francesi e un altro individualista e romantico, ripreso dal simbolismo. ad altri due intellettuali, Baroja e Maeztu (los tres), e decisero di scrivere un manifesto pubblicato nel 1901 nel quale esprimevano le proprie inquietudini, preoccupazioni. Questa crisi che loro cercarono di descrivere veniva da lontano e assunse una forma sul terreno filosofico di Kant, ma dal punto di vista estetico ricevette molto l’influsso da Poe. Il romanticismo aveva esaltato il concetto del poeta vate, un poeta quasi dotato di una capacità quasi discesa dal divino, per difendere una poesia diversa. Un'altra delle manifestazioni che fanno coincidere il testo con le idee moderniste, l'eredità a turno degli ideali parnassiani, è l’antiromanticismo. Esso si percepisce in tutti i poeti. Un altro elemento caratterizzante è l’impegno politico, etico degli scrittori. 3 ottobre 2018 Il filone poetico del modernismo ha un nucleo molto consistente in Andalusia. I maggiori esponenti del modernismo spagnolo e della generazione del 98 sono quasi tutti andalusi, sono quelli che sperimentano di più il testo poetico. • MANUEL REINA visse nella seconda metà dell’Ottocento, era di Cordova e conoscitore della poesia francese. Ricevette soprattutto l’influenza del parnassianesimo e pubblicò nel 1878 “Cromos y acuerelas”, il cui titolo suggerisce un’attenzione molto spiccata per il colorismo che è uno degli elementi portanti della poesia modernista, l’attenzione per le descrizioni e per i paesaggi. Nel 1894 pubblica “La vita inquieta” e nel 1899 “El jardín de los poetas” e in questa opera celebra la figura del poeta Gongora in un modo pienamente modernista, incline a quella forma di scrittura e di stile propri del modernismo. Postumo, nel 1906, viene pubblicato “Robles de la sagrada selva”. • SALVADOR RUEDA è di Malaga, di umili origini, era famoso per la sua capacità e facilità espressiva ma aveva certamente scarso rigore nell’uso della poesia e dei suoi aspetti tecnici che richiedono una certa formazione; era molto prolifico ma non rigoroso. Le sue raccolte principali sono: “Cantos de la vendimia” (1891), “En tropel” (1892), “La bacanal” (1893), “Camafeos” (1897), “Piedras preciosas” (1900), “Trompetas de órgano” (1907). Scrisse anche prosa costumbrista (COSTUMBRISMO=tendenza nella narrativa e teatro di rappresentare i costumi della società contemporanea ed è un filone che si afferma soprattutto nella seconda metà dell’800, classificato come filone del romanzo e del teatro realista) e si cimenta anche nella prosa narrativa nel romanzo “La copula”, ma scrisse anche di teatro e saggistica. Rinnovò la metrica e il linguaggio in una misura ancora non determinata con esattezza. • UNAMUNO è uno dei giganti della generazione del 98, il massimo esponente di questo fervore intellettuale che attraverso la Spagna alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento. Era basco, nacque a Bilbao, ma si traferì a Madrid abbastanza presto, dove compì gli studi e poi si traferì a Salamanca e fu professore di greco e poi rettore di quell’università. Nel 1924 fu condanna all’esilio dal dittatore Primo de Rivera e fu rilegato a Fuertevertura: aveva una personalità molto polemica e non aveva paura di esprimere le proprie opinioni e di criticare anche il dittatore. Ovviamente questo suo modo di agire gli causò diversi problemi, il primo dei quali l’esilio. Poi andò in Francia fino al 1830. Egli è un autore poliedrico, eclettico, prolifico e scrisse opere appartenenti a tutti i generi letterari praticabili (poesia, teatro, saggi, romanzi ecc.). “Paz en la guera” (1897) è la sua prima opera ed è un romanzo che si inserisce ancora nel filone del romanzo realista spagnolo e descrive l’assedio di Bilbao nella guerra carlista. Nel 1902 scrive “Amor y pedagogia” che è uno dei primi romanzi modernisti della storia della letteratura spagnola e qui porta a compimento una sperimentazione che appunto lo svincola definitivamente dalla tradizione del romanzo realista. Nel 1914 pubblica “Niebla” che è il coronamento di questa sperimentazione che Unamuno aveva cominciato con l’opera precedente. “Abel Sanchez” (1917) e si inserisce divinamente in questa ritrovata scrittura narrativa. Scrisse molti racconti brevi e fu saggista, scrittore politico e anche un po’ filosofo: tra i saggi principale troviamo “La vida de Don Quijote e Sancho” (1905) e non è una semplice rilettura del romanzo di Cervantes ma in realtà è un saggio filosofico che riflette sulla condizione della Spagna, prende in qualche modo il romanzo di Cervantes e questi due personaggi come base per riflettere sul mal de Spagna, che era uno dei nodi centrali della generazione del 98. Parla dell’incapacità del popolo di agire, di costruire un futuro e lo sprona alla reazione e al progresso. “Del sentimento tragico de la vida” (1912) è un altro saggio in cui esprime questa sua concezione del male di Spagna e suggerisce anche un modo per fronteggiarla. In questi suoi saggi Unamuno affronta anche un altro tema importante che è la nozione di INTRAHISTORIA (intrastoria, la storia interna minore): quella storia fatta da personaggi comuni e da piccole azioni quotidiani. È proprio questa storia che va valorizzata, scoperta e studiata. “La agonia del cristianismo” (1925) è un saggio più tardo e qui si riflette sul concetto di Dio. Unamuno si è sempre molto tormentato da un conflitto insolubile tra ragione e fede, passò da una posizione di completa agnosticismo a una forma di fede che non può essere imbrigliata nella religione cattolica; in questo saggio rivela tutta questa sua profonda inquietudine del pensatore che non riesce a decantarsi per l’una o per l’altra, che è guidato da un razionalismo intellettuale e però anche dal bisogno di credere, dall’ansia di immortalità che può essere soddisfatta soltanto dal pensiero di una vita ultraterrena. “En torno el casticismo” (1895) è un saggio nel quale Unamuno riflette su questa tendenza della Spagna ad essere CASTIZA, chiusa, genuina e autoctona. Coloro che propugnano e difendono il CASTICISMO sono colore che vogliono difendere le tradizioni, la lingua della Spagna da tutte le interferenze esterne. In questo saggio cerca di ribaltare completamente questo atteggiamento prevalente nella Spagna di quel momento e dunque rifiuta il casticismo e propone un’apertura verso l’Europa. La poesia di Unamuno, un po’ oscurata dalla grandezza di Machado e dalla sua narrativa, è un prodotto letterario di grande valore. Scrive molte raccolte e anche un’Arte poetica contro il simbolismo di Verlaine. Caratteristica della sua poesia è quella di essere una POESIA IMPURA perché lascia penetrare tutto il mondo interiore del poeta, tutte le sue ansie; utilizza la poesia come aveva usato il saggio per esprimere tutte le preoccupazioni. La prima raccolta è “Poesias” (1907), poi “Rosario de sonetos líricos” (1911), raccolta molto improntata sul conflitto tra ragione e fede, “El Cristo de Velázquez” (1920), “Teresa” (1923), “Romancero del destierro” (1928), la scrisse durante il suo esilio, e “Cancionero” (postumo, 1953). Unamuno fu talmente prolifico e poco solerte nella pubblicazione dei suoi testi che esistono moltissimi testi inediti e si trovano nella Casa Museo Unamuno a Salamanca, dove egli visse. • ANGEL GANIVET era andaluso e studiò a Madrid come la maggiorparte degli intellettuali della generazione del 98 e fu amico di Unamuno. Era una personalità molto inquieta tant’è che si suicidò nel 1898 gettandosi nel fiume Duina (Riga, Lettonia). Fu soprattutto uno scrittore di saggi e il principale è “Idearium español” (1897) in cui cercò di spronare la Spagna a un rinnovamento. Scrisse anche alcuni romanzi a ciclo in cui ricorre un protagonista e un’opera teatrale in versi pubblicata postuma, “El escultor de su alma” (1906). Il male di Spagna fu la massima preoccupazione di questo autore e in Idearium español trattò proprio di uno dei sintomi: l’ABULIA, fu il primo a tratteggiarlo e a descriverlo. • RAMON DE VALLE-INCLAN è un altro esponente importante di questa generazione. Era galego, nato a Villanueva de Arosa e fu per molti anni un sostenitore dei carlisti, politicamente reazionari e inclini alla conservazione, però si trattò di un carlismo estetico e convenzionale; dopodiché ebbe una svolta radicale completa perché divenne un esponente di un pensiero politico di sinistra. Come Unamuno fu nemico della dittatura di Primo de Rivera. La sua opera si mosse intorno al decadentismo di stampo esteticista, soprattutto nella sua prima fase; poi abbandonò questo colorismo modernista per abbracciare una rappresentazione della realtà caricaturale e satirica, soprattutto in quello che fu il genere letterario praticato da lui, il teatro. LOS ESPERPENTOS sono proprio queste opere teatrali impregnate di questo gusto per la deformazione, per il grottesco, per la caricazione, per un alterazione della realtà. Naturalmente non è un grottesco solo finalizzato al comico, è una scelta estetica che ha in primo luogo una funzione di protesta, di sensibilizzazione sociale, di critica verso la Spagna. La sua opera è molto ampia: “Le sonatas” sono un ciclo di romanzi che rappresentano le vicende dell’alter-ego di Valle-Inclan. Scrisse anche dei racconti brevi, dei romanzi minori e soprattutto la sua genialità sta nelle sue opere teatrali: le “Comedias barbaras” e la trilogia della guerra carlista. Nel 1916 pubblicò un saggio estetico-mistico, “La lámpara maravillosa”, in cui riflette sul teatro, sulla funzione del drammaturgo in un modo complesso. Dal 1913 comincia a sperimentare una forma di scrittura che culminerà negli esperpentos: “Divinas palabras” (1920) è un’opera che si colloca nel punto di transizione tra la forma teatrale precedente e quella degli esperpentos. Le forse che seguono sono il coronamento di questo, “Los cuernos de don Friolera” (1921) e “Luces de Bohemia” (1924). In questo ultimo stile, lo STILE ESPERPETICO, scrisse i suoi romanzi più tardi che sono “Tirano Banderas”, descrive un dittatore ispano-americano e una realtà dell’America latina con una deformazione grottesca senza rinunciare a una ricerca di linguaggio espressivo, e la serie di “El ruedo ibérico”. • JANCITO BENAVENTE nacque a Madrid e studiò giurisprudenza, fu soprattutto un drammaturgo ma scrisse anche poesie (“Versos”, 1893). Il maggiore successo lo ottenne come autore teatrale e la opera più celebre fu “El mido ajeno” (“Il mito altrui”) e il tema è quello dell’adulterio perché tratta la storia di una coppia di coniugi stanchi e annoiati e appunto del tradimento da parte della moglie. Il teatro di Benavente è un TEATRO BORGHESE, che ebbe un grandissimo successo e che si rivolgeva a un pubblico preciso ed è un teatro che non è vacuo e superficiale, ma tende a rappresentare le abitudini, le passioni e i vizi di quella classe sociale che era poi la destinataria della sua drammaturgia. • PIO BAROJA è un altro gigante della generazione del 98, basco e studiò medicina. È uno di quegli autori nei quali la vita, la biografia incide in un modo straordinario nella scrittura letteraria: il fatto che lui abbia studiato medicina e che abbia anche esercitato la professione di medico è qualcosa che ritroviamo nella sua produzione narrativa. In “Camino de sensoriale ed esteriore all’interiore più profondo e intellettuale. Nel 56 vince il premio Nobel per la letteratura. 8 ottobre 2018 “Sonatina”, Ruben Darío DARIO è il fondatore, il capostipite del modernismo. Aveva viaggiato molto in Europa e conosceva la poesia europea, soprattutto quella francese, e aveva ricevuto l’influsso del parnassianesimo francese e del simbolismo. SONATINA è un testo contenuto nella raccolta “Prosas profanas” del 1896, che segna la maturità espressiva e letteraria del poeta. Questo testo contiene i tratti più caratterizzanti di questo movimento letterario e soprattutto gli elementi stilistici più caratteristici della poesia modernista (elementi che poi si trasferiranno nella produzione di alcuni importanti autori modernisti spagnoli: Jimenez e Machado). Il titolo è un tecnicismo musicale: Sonatina è una forma di composizione musicale che ha una struttura tecnicamente più elementare della sonata. Darío sceglie questo genere musicale come titolo per indirizzare il suo pubblico ad una lettura molto attenta nei confronti della dimensione musicale e fonica di questo testo. La sonatina nasce nel XVIII secolo ed è inventata da un musicista italiano MUZIO CLEMENTI, che è autore di 12 sonatine per pianoforte. La musicalità nella poesia è data da una successione degli accenti, dalle rime, dalle assonanze quindi da una serie di iterazioni e ripetizioni che contribuiscono a rendere molto peculiare il testo poetico e diverso da quello in prosa. Questo è un componimento di 8 strofe che hanno una precisa struttura. Questa strofa viene denominata “SEXTETO AGUDO”: sexteto è una strofa di sei versi; agudo vuol dire “tronco”, accentato sull’ultima sillaba. In particolare qui il carattere tronco, ossitono del verso lo troviamo soltanto in terza e sesta posizione (COLOR e FLOR). La RIMA è quella porzione di testo che parte dall’ultima sillaba tonica (accentata). La successione delle rime in questa prima strofa, poi si ripete nelle altre, è AAB CCB (-esa,-esa,-or; -oro,-oro,-or). -esa, -esa, -oro, -oro sono delle RIME PIANE o RIME PAROSSITONE, perché cadono su parole piane e quindi su parole con la penultima sillaba accentata (princesa, fresa, oro, sonoro). La rima del verso che termina in -or si definisce RIMA AGUDA o RIMA OSSITONA perché fa parte di una parola tronca quindi di una parola con l’ultima sillaba accentata. Questa strofa quindi è denominata nella versificazione spagnola sexteto agudo perché è caratterizzata dalla presenza di due versi con la stessa rima ed entrambi ossitoni sempre nella stessa posizione: in questo caso sempre in terza e sesta posizione. È uno schema che si ripete in tutte le strofe di questo componimento. Il verso di questo componimento è uno dei più utilizzati e apprezzati dai modernisti: il VERSO ALESSANDRINO. Ha origini nella Francia medievale e da lì importato in Spagna nel 1200 da una scuola poetica che venne denominata “MESTER DE CLERECIA”, che utilizzava la strofa monorima di alessandrini (una quartina monorima con versi alessandrini, caratterizzata da un’unica rima). Già dal Quattrocento non veniva più utilizzato, ma nell’Ottocento i modernisti lo riportano in auge. Questo verso alessandrino è un verso di 14 sillabe caratterizzato da una CESURA (divisione) centrale che lo divide in due EMISTICHI (metà verso) ciascuno di 7 sillabe. Ci sono vari tipi di alessandrino in età moderna: Dario lo bipartisce in un modo perfetto e rispetta questo criterio della cesura centrale; la censura di Machado invece non è così marcata. O O Ó O O Ó O | O O Ó O O Ó O (schema prosodico, ritmico: i pallini sono le sillabe e l’ICTUS o ACCENTO PROSODICO del verso cade sempre in terza e sesta posizione in entrambi gli emistichi) Per il computo sillabo si deve tenere conto di due figure metriche importanti: la SINALEFE, l’unione di due vocali come un’unica sillaba quando la vocale alla fine di una parola incontra la prima vocale della parola successione, e la DIALEFE, quando le due vocali si contano in due sillabe diverse. Sonatina è un componimento che ha una struttura narrativa esile perché racconta e descrive la condizione di una principessa che si trova in un palazzo lussuoso e che tuttavia è triste e malinconica perché non ha la libertà, che si manifesta in primo luogo in un bisogno di amore vero che va oltre la ricchezza. C’è la voce lirica che è una sorta di narratore esterno coincide con Ruben Darìo (narratore extradiegetico in narrativa) che non interviene nella storia e che si limita a raccontare e descrivere ciò che sta succedendo. È una prospettiva tipica della poesia modernista, soprattutto quella di importazione parnassiana che tende a evitare l’ingresso dell’interiorità nella poesia. La principessa vuole scappare da quell’ambiente e nella penultima strofa Darío da voce a questo personaggio e le fa esprimere la propria ansia di libertà. L’ultima strofa, invece, è di risposta a quella precedente ed è affidata al personaggio della madre madrina, che prevede l’arrivo di un principe su un cavallo alato che l’avrebbe portata via e donato l’amore tanto desiderato. È quindi un poema che apparentemente favolistico e superficiale, ma che in realtà nasconde un messaggio importante e profondo: l’umanità è prigioniera della ricchezza, del successo e allo stesso tempo fallita perché le manca l’amore, che è ciò che rende la vita unica e insostituibile. 1 STROFA Questo primo verso presenta immediatamente la protagonista di questa storia: la princesa. Questo lemma apre e chiudo il verso 1, quindi è oggetto di una ripetizione che in retorica viene chiamata EPANADIPLOSI (= figura retorica di ripetizione che indica la ripetizione di un lemma o sintagma, più parole insieme, all’inizio e alla fine di un’unita testuale, quindi di un verso o di una frase). Questa figura, come le altre di ripetizione, serve a enfatizzare, fornire una sottolineatura semantica. Verso 2: i sospiri quasi mai indicano gioia e felicità, ma aspettative quasi mai risolte; “boca de fresa”= “bocca di fragola” è una METAFORA che indica il colore rosso delle labbra. Verso 3: “que ha perdito…que ha perdito” è un PARALLELISMO (=disposizione in parallelo di elementi sintattici) tra i due emistichi e l’unico lemma che varia è l’oggetto perso; la bocca della principessa ha perso il sorriso e il colore quindi è tutta una rappresentazione di privazione. Il campo semantico della privazione costituisce un’ISOTOPIA (=è ricorrenza insistita e frequente di una determinata categoria semantica, che in questo caso è quello della perdita) all’interno di questo testo. Verso 4: c’è una connessione semantica tra la perdita di colore del verso precedente e l’essere pallida in questo verso. Finora c’è stata una presentazione di una figura femminile triste e provata di una serie di cose, ma qui viene fatto riferimento anche all’ambiente lussuoso con la “silla de oro” (sedia d’oro). Questo elemento ci riporta a un certo preziosismo, al gusto della descrizione di materiali e oggetti preziosi tipica del modernismo. Verso 5: ancora una volta un’immagine di privazione perché la tastiera del cembalo, che dovrebbe essere sonoro, è muta. Anche l’ambiente partecipa a questa angoscia, a questa privazione di vita che caratterizza la principessa. Verso 6: “flor” (fiore) è la principessa che è stata dimenticata e abbandonata in un bicchiere (METAFORA). 2 STROFA In questa strofa si approfondisce e arricchisce la descrizione dell’ambiente circostante. Verso 7: il primo elemento che si presenta è quello del giardino e qui assistiamo a un trionfo di pavoni reali che popola il giardino: un COLORISMO INTENSO che si contrappone alla totale mancanza di gioia da parte della principessa. Verso 8: è un altro personaggio femminile che compare dal testo, una dama di compagnia che ama parlare per intrattenere la principessa (riferimento al nome “Parlanchina”) e dice cosa banali e senza importanza. Verso 9: ritorna il colorismo con il vestito rosso del buffone che cerca di distrarre la principessa. Verso 10: “la princesa no…la princesa no” un altro PARALLELISMO tra i due emistichi del verso e ancora una volta c’è l’applicazione del campo semantico della privazione alla principessa perché non ride e non sente, è immersa nel suo mondo. Verso 11: si apre di nuovo con “la princesa” che con quello del verso precedente formano un’ANAFORA (=è una figura retorica in cui un lemma si ripete all’inizio di due versi contigui); “Oriente” è un elemento esotico del testo, indica una dimensione lontana dalla principessa. Verso 12: la libellula è il simbolo della libertà perché con le ali vola via (METAFORA che indica l’ansia della libertà); “la libelula vaga de una vaga ilusion” è un CHIASMO (=disposizione incrociata di elementi sintattici; sost. Agg.+ agg. Sost.); è presente anche un’EPANALESSI (=ripetizione di parole all’interno dello stesso verso, “vaga”). 3 STROFA In questa strofa ci sono una serie domande che la voce esterna presenta come per suggerire al lettore il motivo dell’ansia della principessa e introduce dei personaggi maschili, oggetto del desiderio della principessa perché il principe sarà colui che la salverà. Verso 13: i toponimi “Golconda” e “Cina” sono tratti esotici del testo e contribuiscono alla creazione di una dimensione esotica nel testo che spiega il desiderio di evadere della principessa. Golconda era una città dell’India centro-meridionale e famosa per i giacimenti di diamanti (preziosismo modernista). coraggio di una donna che ha fronteggiato Venere e subito le sue ire. Hipsipila è simbolo di libertà, di indipendenza. Darío quindi introduce un’altra METAFORA attraverso un CULTISMO (=forma colta del linguaggio). Verso 38: il narratore non fa altro che autocitarsi e riprendere ciò che ha scritto nella prima strofa Verso 39: tripudio di colori che abbiamo già visto all’interno del testo perché l’oro è ricorso in varie occasioni, il rosa della bocca e marfil è un materiale bianco come il marmo. Verso 41: di nuovo l’inserzione della voce narrante che incrocia i due emistichi della prima strofa Verso 42: in questo verso riprende il discorso cominciato nel verso 40 dove dice che vuole trovare l’amore; l’alba è il momento iniziale della giornata, momento in cui spunta il sole e la terra riemerge dalle tenebre quindi è un momento positivo (METAFORA e ISOTOPIA della luce); “Abril” richiama la primavera, il risveglio della natura e quindi è la stagione del risveglio amoroso (riferimento al verso 23 “versos de Mayo”); PARALLELISMO sintattico perché i due emistichi hanno la stessa struttura sintattica anche se il lessico è diverso (infatti si ripete solo il “mas”). 8 STROFA In questa strofa assistiamo alla comparsa di un altro personaggio femminile che è la fata madrina. È una sorta di epilogo felice per il testo anche se poi rimane aperto: la fata annuncia l’arrivo di un principe che la salverà ma noi non vediamo questo arrivo. Verso 43: “calla, calla” PARALESSI Verso 44/45: il cavallo alato, la spada e l’uccello rapace sono elementi che caratterizzano questo cavaliere fantastico. La caccia con gli uccelli rapaci era uno sport delle classi sociali alte e per questo rappresentava proprio uno status sociale. PARALLELISMO sintattico con la ripetizione di congiunzione e articoli. Verso 46: concetto medievale dell’amor de logn della poesia provenzale, cioè dell’amore che nasce senza essersi conosciuti e che viene alimentato dal solo pensiero. Questo cavaliere la adora senza nemmeno conoscerla. Verso 47: personificazione della morte; “vencedor de la Muerte” è un sintagma iperbolico che esprime il coraggio del cavaliere. Verso 48: la bocca di fragola che era spenta e appassita, si risveglierà con il bacio del principe. È una promessa di felicità. La conclusione è la speranza che ci sia un riscatto da tanta infelicità. La METRICA è una materia che ha per oggetto lo studio della versificazione, che è fondata su un complesso di norme che variano da lingua a lingua: quelle antiche, latino e greco, avevano una METRICA QUANTITATIVA, cioè si basavano sulla durata dei suoi e per la costruzione dei versi alternavano sillabe lunghe e brevi; le lingue romanze hanno una METRICA QUALITATIVA, che si basa sugli accenti delle parole. Si parla di METRICA RITMICA se il modello base è l’accento e si sfrutta l’alternanza di sillabe atone e toniche. Secondo la tradizione antica lo studio della metrica si distingue in tre branche: • la PROSODIA si occupa della quantità delle sillabe e distribuzione degli ictus; • la METRICA VERA E PROPRIA combinazione delle quantità sillabe; • la STROFICA combinazioni di versi in gruppi strutturati. La SILLABA è la minima unità fonica in cui si possono dividere le parole. È costituita da un PUNTO VOCALICO o CENTRO o APICE composto da una vocale o un dittongo (non esiste una sillaba senza una vocale). Il limite fonetico fra una sillaba e l’altra è costituito da una chiusura parziale o totale del canale fonatorio (per es. CA-SA chiusura parziale; RO-BA chiusura totale). Il computo delle sillabe è importante per stabilire la natura di un verso. Le sillabe che terminano per vocale si chiamano APERTE o LIBERE; quelle che terminano in consonante si chiamano CHIUSE o IMPLICATE. L’apertura o chiusura delle sillabe determina in molte libere le quantità delle rispettive vocali: spesso le vocali delle sillabe aperte siano lunghe e quelle delle sillabe chiuse siano brevi. Il DITTONGO è l’associazione di due vocali che però hanno un valore monosillabaco, cioè sono pronunciate con un’unica emissione di voce. Una delle due vocali ha una maggiore forza: si definisce sonante una vocale di forte articolazione che può anche avere il valore di consonante, come I ed U. Di solito si formano dall’unione di vocale A, E, O con vocali forti I, U (sempre presenti). La pronuncia non è sempre uguale perché se l’accento cade sulla prima vocale e la I o U sono in seconda posizione il dittongo si dice DISCENDENTE (áura); quando cade sulla seconda si dice e la I o U sono in prima posizione, invece, ASCENDENTE (fiéro). L’accento cade quasi sempre su A, E, O. Lo IATO è quando la sequenza vocali si spezza e ogni vocale mantiene il proprio valore sillabico. FARMACIA, IA è una parola che ha due vocali e in italiano è uno iato quindi si dividono in due sillabe; in spagnolo, invece, il gruppo vocalico IA forma una sola sillaba. Lo iato si ha: • quando nessuna delle due vocali è I o U • quando una delle due vocali è I o U accentata e l’altra è A, E, O • nelle parole composte, quando è evidente la distinzione tra prefisso e base (es. riecco, antiacido, triennio) All’interno di un verso la mancata unione sillaba di due vocali crea delle figure che si chiama DIALEFE o DIERESI. La SINALEFE indica la pronuncia di due vocali o dittonghi che si trovino l’una alla fine di una parola e l’altra all’inizio della parola successiva, come se fossero una sola sillaba. Questo fenomeno è presente anche nella metrica italiana e spagnola ed è abbastanza generalizzato nella metrica moderna. La DIALEFE è la particolare forma di iato tra due vocali consecutive, sempre fra parole contigue. Nella letteratura italiana si ha dialefe quando una delle due vocali porta l’accento (più raramente quando è accentata solo la seconda si tende a fare dialefe); nella poesia latina e greca si ha di norma dialefe quando tra le due vocali cade la cesura e, nelle opere drammatiche, quando c’è cambiamento di interlocutore. Due figure omologhe alla sinalefe e alla dialefe, che però riguardano incontri vocalici all’interno di una parola, sono: la SINERESI che indica la fusione in una sillaba di due vocali che dovrebbero pronunciarsi separate. Nella metrica italiana, tale fusione non è ammessa in alcuni casi, soprattutto quando delle due vocali la prima è a, e, o, e la seconda è accentata (es. aereo); la DIERESI è la divisione di un gruppo vocalico nel corpo di una stessa parola in modo che le due vocali non formino dittongo e appartengano a due sillabe diverse (es. pa-ù-ra). Essa viene indicata con il segno diacritico, due puntini orizzontali posti sulla vocale. La RIMA CONSONANTE è l’identità fonetica di due o più parole a partire dalla vocale tonica. In poesia questa rima è anche il principio strutturante dei testi perché determina la sequenza dei versi. La RIMA PIANA avviene in parole piane, cioè con la penultima sillaba tonica (testo : manifesto); la RIMA TRONCA o AGUDA o OSSITONA avviene in parole tronche, cioè con l’ultima sillaba accentata (virtù : tribù); la RIMA SDRUCCIOLA o PROPAROSSITONA avviene in parole sdrucciole, cioè con la terzultima sillaba accentata (veicolo : ridicolo); la RIMA BISDRUCCIOLA, molto rara, avviene in parole bisdrucciole, cioè accentate sulla quartultima sillaba (biasimano : spasimano). Sono tutti casi di rima perfetta. L’ASSONANZA è una rima imperfetta e consiste nel chiudere due o più versi successivi con parole contenenti le stessi vocali a cominciare da quella accentata (es. fame e pane, agosto e conosco). Si ha un’ASSONANZA ATONA quando è identica solo la sillaba dopo la vocale accentata che però è diversa (es. amare e dolore, umile e simile). L’assonanza è tipica della poesia popolare e si trova usata proprio nel periodo delle origini delle principali letterature, soprattutto quella francese e spagnolo, e precedere il sorgere della rima consonante. La RIMA IDENTICA o UNIVOCA è quando una parola fa rima con sé stessa; non apprezzata dai provenzali, ebbe successo solo in certi tipi di componimenti, come la sestina, costruita su parole- rima ricorrenti in posizioni fisse. La RIMA EQUIVOCA si forma tra parole foneticamente identiche ma con si significato diverso. La RIMA GRAMMATICALE lega due parole che hanno la medesima forma verbale e interessa i verbi (sembrava : rimembrava, ava). La RIMA DERIVATIVA o DERIVATA si parla sull’identità del radicale (es. struggi: distruggi, c’è una radice etimologica che lega le parole). • METAFORA è una figura retorica che risulta da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo aver mentalmente associato due realtà differenti sulla base di un particolare sentito come identico, si sostituisce la denominazione dell’una con quella dell’altra. È un procedimento di trasposizione simbolica di immagine. Cicerone la definiva “una similitudine abbreviata” perché si accostavano due realtà differenti per una caratteristica comune senza usare il termine di paragone “come”. Le CATACRESI sono metafore lessicalizzate che sono entrate nel linguaggio comune tanto che i parlanti non sono neanche consapevoli di usarle (es. le gambe del tavolo). La metafora in queste si sviluppano come termine proprio di una realtà non denominata perché il linguaggio comune non ha sentito la necessità di creare un nuovo sostantivo che definisse determinati oggetti. All’estremo abbiamo uno sfruttamento intenso di tipo poetico e nel mezzo metafore più o meno istituzionalizzate che usiamo nel linguaggio comune. • METONIMIA è un tipo particolare di tropo che anch’esso si sviluppa da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo avere mentalmente associato due realtà differenti ma discendenti o contigue logicamente o fisicamente, si sostituisce la denominazione dell’una a quella dell’altra. Il suo principio è quello della contiguità in quando i termini presi in considerazione sono molto vicini tra loro dal punto di vista logico e fisico. Costituiscono relazioni di contiguità i rapporti di la materia per l’oggetto (“legno” per dire nave); il contenente per il contenuto (“bevo un bicchiere”); l’effetto per la causa (“fu colpito da molte ferite”); la causa per l’effetto (“valuterò la sua preparazione”); l’astratto per il concreto (“l’ignoranza è al potere”); il concreto per l’astratto (“ha del fegato”); l’autore per l’opera (“leggete Leopardi”). Le realtà associate hanno una relazione di tipo qualitativo. • SINEDDOCHE è una figura retorica che consiste nel sovvertimento del significato proprio di una parola (o di un segmento discorsivo) in uno figurato, per effetto dell’estensione o riduzione del significato stesso a quello di un’altra parola, per via di inferenze di tipo quantitativo. In altre parole, la sineddoche è un processo attraverso il quale una parola o segmento discorsivo ne sostituisce un altro per effetto di inclusione, in quanto i termini si trovano sempre uno dentro l’altro. Abbiamo quattro tipi di sineddoche: parzializzante, nota come “la parte per il tutto” (non ha un tetto; tetto=casa); totalizzante, nota come “il tutto per la parte” (dire America per indicare gli USA); generalizzante, nota come “il genere per la specie” (i mortali per dire gli uomini); particolarizzante, nota come “la specie per il genere” (“vogliamo il pane!” per dire “vogliamo il cibo!”). “El limonero lánguido suspende”, Antonio Machado È un testo che venne scritto da MACHADO nella fase iniziale della sua formazione poetica, infatti è raccolto nella collezione “Soledades” che ebbe una prima pubblicazione nel 1903 e successivamente venne ristampata in una raccolta posteriore del 1907, la quale contiene una buona parte dei testi iniziali, alcuni li elimina e poi presenta un’aggiunta di due lemmi che costituiscono il titolo: “Soledades, galerias y otros poemas”. Questo testo è definito come uno dei più rappresentativi di questa prima fase modernista, molto incline alla rappresentazione intimista del paesaggio e, in particolare in Machado, alla riflessione sul tempo. Egli a Parigi seguì i corsi universitari di Bergson, grande teorizzatore della nuova nozione di tempo. Fu molto sensibile a questo tema, tanto che la questione del tempo, del ricordo, della memoria che attraversa l’esperienza umana è un fattore chiave in tutta la sua produzione. Qui c’è una chiara rievocazione di un momento vissuto nella sua infanzia che lui comincia a rievocare dall’inizio e che poi esplicita nella sua forma completa soltanto alla fine del componimento. Il ricordo che rievoca è sé stesso bambino, con una grande nostalgia gioiosa, mentre nel patio della sua Siviglia, davanti alla fontana, vede i limoni riflessi nella fonte e ingenuamente affonda le sue mani nell’acqua per cercare di prenderli. Machado ricostruisce tutto lo spazio e tutto il paesaggio intimo come un ricordo gradito e piacevole. In questa rievocazione del passato non c’è nulla di disperato o di sofferto. La STRUTTURA METRICA: questo testo è costituito da una libera composizione di endecasillabi e di settenari. Machado opta per due versi aulici e importanti nella tradizione romanza: la lirica italiana li utilizzò nella canzone, il genere più nobile; nel Cinquecento viene importato in Spagna e comincia ad essere usata in modo intenso, in particolare in un tipo di componimento chiamato “SILVA”, caratterizzato dall’uso di metri diversi al suo interno e molto cara a Gongora, grande poeta barocco che lo utilizzò nella sua opera “Soledades”. Tuttavia, non utilizza la rima consonante per utilizzare, invece, una RIMA ASSONANZATA nei versi pari: lega tutti i versi pari di questo componimento dall’assonanza di E, A. Questo tipo di distribuzione dell’assonanza era proprio del genere poetico che è il ROMANCE, testo lirico e narrativo scritto in ottosillabi assonanzati nelle sedi pari. Il romancedo ha origini medievali e nasce dall’epica. È una struttura metrica che dal medioevo in avanti ebbe una grandissima fortuna fino all’età contemporanea: García Lorca fu un grande sperimentatore di questo genere. Machado non scrive un romance però riprende, come faranno molti altri autori modernisti, la struttura rimica di questo genere e questo collega l’autore alla tradizione autoctona ispanica. Tuttavia, utilizzò lo schema de romance perfettamente applicato in un poema intitolato “La tierra de Alvargonzález”, costituito da varie sequenze e raccolto in “Campos de Castilla”. Racconta la storia di un assassinio perpetrato da due fratelli ai danni del proprio padre; il tema è scabroso ma rivela l’interesse di Machado ai vari problemi della terra spagnola, dovuti alla decadenza morale, politica e culturale. L’apertura ci suggerisce subito attraverso l’aggettivazione, la presenza di sostantivi che descrivono, la descrizione dello spazio. Verso 4: “sueňan” è un termine importante perché Machado fu anche un pensatore e scrisse molti scritti filosofici che non sono stati adeguatamente studiati; rifletté moltissimo sul concetto di sogno, una dimensione a metà tra la vita e la morte. Quindi, questo vuol dire che i limoni riflessi nella fonte sono una sorta di miraggio, qualcosa dotato di una vita effimera, di inesistente. Verso 5: “frutos de oro” METAFORA che ci rimanda al preziosismo del modernismo e con questo materiale si vuole indicare il colore giallo del limone. Non si vuole descrivere un ambiente lussuoso, ma si utilizza una metafora per definire e introdurre l’oggetto centrale del ricordo; si da una pennellata di colore. Verso 5/6: sono due versi spezzati che insieme formano un endecasillabo (con SINALEFE tra “de” e “oro”, “oro” ed “es). egli considerava questi due sintagmi come un verso intero ma li ha disposti graficamente in questo modo per porre in primo piano “es una tarde clara”, il momento esatto della giornata che lui sta rievocando. Infatti, “sueňan” fa assonanza con “primavera” e non con “clara”. Sono, dunque, un verso unico e non due versi indipendenti. Verso 8: ancora non è la seconda metà di marzo quindi la primavera ancora non è arrivata. Vero 10: per la prima volta compare “yo” e fino a questo momento si poteva pensare anche ad una voce poetica esterna; ma qui ci rivela, invece, che il poeta è presente con tutto sé stesso e che questa rievocazione lo riguarda personalmente. C’è anche un’abbondanza di fonemi sibilanti che quasi sempre sono utilizzate per rievocare il silenzio. Verso 11: “cándida y veja” possiamo quasi individuare un OSSIMORO; candido è qualcosa di bianco, pulito e ci rimanda all’infanzia che ancora non ha esplicitato; veja è qualcosa che ha già fatto il suo corso, degradato e distante nel tempo. Verso 12/13: “Alguna…Algun” ANAFORA Verso 13/14: nella dimensione del presente cerca di ricordare qualcosa, vedendo l’ambiente circostante; prevale il campo semantico del BIANCO in “blanco muro” e “pretil de piedra”, dove la pietra andalusa è sempre associata al bianco. Cerca il ricordo in due dimensioni: quella rigida del muro del patio e quella leggera dell’aria (contrapposizione del campo semantico della LEGGEREZZA e quello della PESANTEZZA). Verso 15: campo semantico della LEGGEREZZA dell’aria e della tunica. La tunica è un indumento femminile quindi intuiamo che lui, trovandosi in quel luogo e rievocando una dimensione passata, sta cercando qualche immagine e ci sta portando a ricostruire un ricordo in cui probabilmente è presente una figura femminile. Verso 16: “flota” (=galleggia) METAFORA perché si riferisce a qualcosa che pervade l’aria. Verso 17: “aroma de ausencia” SINESTESIA perché l’assenza è un termine astratto che non si può associare al senso dell’olfatto. Mette in contatto due sensi (vista-olfatto). Questo aroma che gli viene in mente è qualcosa che in quel momento non è presente. Verso 18/19: il poeta sa che quella scena non tornerà mai più perché appartiene al passato (“nunca”), ma allo stesso tempo il cuore gli dice di attendere. È una contrapposizione tra RAGIONE e SENTIMENTO. Verso 20: “fantasma” è un’immagine che rimanda proprio a questo passato impalpabile. ANAFORA con verso 17. “vírgenes y muertas” OSSIMORO, dello stesso tipo di “candida y veja”, dove queste fragranze sono vergini perché appartengono all’infanzia, pure e innocenti; ma sono morte perché appartengono al passato. Verso 22: da questo momento in poi diventa più esplicito. Aggiunge l’aggettivo a tarde “alegre” per esplicitare il fatto che questo ricordo per lui è piacevole e si compiace di questa rievocazione. Verso 23: ripete il verso 6. Verso 25/26: arriva un COLORISMO accentuato del colore VERDE (menta, basilico e assenza di colori di altri fiori. “hierbabuena” e “buena albahaca” se consideriamo la prima come una parola composta abbiamo un CHIASMO tra questi due termini che corrispondono a una sottolineatura semantica e fonica per unire di più questi due tocchi di colore. Lui li ricorda per il colore ma soprattutto per il loro buon profumo, aroma. Verso 27: si materializza la figura femminile della tunica che è la madre. Verso 28: conclusione del componimento e ritorno dell’immagine che aveva presentato all’inizio del pomeriggio che viene personificato, si rivolge a lui come se fosse un suo confidente. “puras” collegato al campo semantico dell’INNOCENZA legata all’infanzia. perché produce in lui dolore. Molti hanno ipotizzato che si riferisse alla morte della moglie ma questo componimento è stato scritto prima dell’avvenimento. Verso 5: è un alessandrino in cui è presente una perfetta bipartizione prosodica-sintattica degli elementi con un forte PARALLELISMO tra i due emistichi. IPERBATO con il verbo alla fine del verso. “Mañara” e “Bradomin” sono due ANTONOMASIE, dal nome di un personaggio storico si trae la caratteristica principale: il primo è un uomo vissuto nel 1600 che ebbe fama di seduttore, anche se in realtà fu un uomo estremamente religioso; il secondo si riferisce al personaggio creato da Valle-Inclan per le sue sonatas cicliche, il marchese di Bradomin, che corrispondeva alla figura del dandy. Verso 6: è un inciso in cui spiega il verso precedente, dicendo che è una persona goffa, ed è esplicitato l’interlocutore che è il pubblico che leggerà il componimento. Verso 7: METAFORA della freccia di Cupido, figlio della dea Venere, per dire che anche lui si è innamorato. Verso 8: qui si riferisce al fatto che lui cercava nel rapporto con le donne una forma di protezione, un dialogo che fosse costruttivo e quindi è lontano dall’essere un seduttore, il cui unico obiettivo è quello di possedere. In queste prime due quartine ha parlato fondamentalmente della propria storia e del proprio carattere; nella quartina successiva comincia a parlare della poesia. Verso 9: i giacobini della rivoluzione francese volevano la democrazia, il potere al popolo e abbattere la monarchia quindi questa è una METAFORA che sta a indicare il suo appartenere a una famiglia progressista. Verso 10: si pensa che la sua opera sia incline alla politica e sociale, ma la sua scrittura sorge (“brota” METAFORA applicata al verso che è come un ruscello) da una sorgente serena. Vuole esprimere serenamente ciò che intende trasmettere al proprio pubblico. Verso 11/12: lui dice di essere essenzialmente una persona buona e quindi decide di manifestare anche attraverso i propri scritti questa sua bontà. Qui in modo ancora più preciso ci parla della propria estetica, di ciò che lui considera alla base della propria poesia. Verso 13: PERIFRASI “moderna estetica” è il modernismo, tentativo di imporre una moderna visione della poesia. Sta dicendo che questa moderna estetica lui l’ha abbracciata dopo aver fatto una determinata cosa. Verso 14: PERIFRASI un po' complessa. “Ronsard” era un poeta petrarchista francese del ‘500 che aveva scritto un canzoniere per la sua amata e usava moltissimo metafore floreali, in particolare quella della rosa. Portare una rosa era il momento di passaggio dalla giovinezza alla maturità; quindi, Machado sta dicendo che ha superato la sua giovinezza, abbracciando il modernismo nella fase della sua maturità. Verso 15: “mas no” è una congiunzione avversativa. Adora la bellezza ma non apprezza l’esasperazione dell’estetica di alcuni modernisti (es. Darìo). Verso 16: attraverso la METAFORA degli uccelli che cantano allegri ma senza contenuto, si sta riferendo alla schiera di questi poetastri che scimmiottano i grandi maestri. Verso 17: “Desdegno” ora descrive ciò che rifiuta della poesia attraverso un verbo con prefisso privativo e che quindi già di suo esprime questo rifiuto. Verso 18: ancora una volta fa riferimento a un modo di fare poesia, cioè quello melodrammatico, sdolcinato ed esasperato. Qui c’è tutta una METAFORA MUSICALE in cui ci sono i tenori e il coro. Con il coro di grilli vuole rappresentare l’immagine dei poeti che scrivono senza pensare all’esistenza del pubblico e quindi non trasmettono nessun messaggio, emozione, valore (sono i poetastri citati prima). Verso 19: IPERBATO degli elementi sintattici. METAFORA che significa di distinguere ciò che è illusorio, una riproduzione (l’eco) da ciò che invece è reale, autentico, veritiero (la voce). Verso 20: fa riferimento alla propria capacità di scernimento, di distinguere fra tutto ciò che gli viene dall’esterno e ciò che invece proviene dalla sua voce interiore. Importanza di ascoltare se stesso senza lasciarsi ingannare dal mondo esteriore. Verso 21: ora gli interessa parlare della sua missione come poeta e si chiede a quale movimento appartiene. “No se” ha una sorta di dichiarazione di noncuranza di questo aspetto perché non gli interessa essere etichettato. ENJAMBEMENT verso 21-22. Verso 22: “verso” METONIMIA perché indica tutta la poesia di Machado (una parte per il tutto). SIMILITUDINE con la spada del capitano: vuole lasciare la sua poesia come un capitano lascia la sua spada. Verso 23/24: METAFORA della spada che è famosa per come è stata utilizzata, non per come è stata fabbricata. Quindi, la sua poesia non deve essere ricordata per gli aspetti formali ed estetici, ma per il suo contenuto e per il messaggio che porta. Verso 25: torna sul concetto dell’ascolto, del conversare con se stesso, con un altro se che sta nella parte più profonda del proprio essere. Verso 26: è un inciso in cui c’è un’allusione a Sant’Agostino, il quale diceva che gli uomini devono cercare la verità dentro se stessi per arrivare a Dio. Quindi, esplicita anche la propria ricerca di Dio. Verso 27: “Platica” è una forma arcaica che indica la conversazione. Verso 28: conoscere se stessi, saper parlare alla propria parte più profonda è lo strumento più prezioso per arrivare ad essere filantropi (FILANTROPIA=amore per il prossimo). Anche questo è un insegnamento cristiano: solo amando se stessi si può amare il prossimo. Verso 29: in questa quartina di nuovo troviamo un ALLOCUZIONE al voi in un tono polemico. Il poeta non deve nulla al suo pubblico e quindi c’è una forma di orgoglio per ciò che ha fatto. Verso 30: forte presenza di POSSESSIVI che sottolineano la presenza dell’io. “Pago” regge tutti i predicati che vengono dopo. Verso 31: “mansíon” termine arcaizzante che sta a indicare la casa. “Pan” è una METONIMIA perché per il pane si intende tutto il cibo che lo alimenta. Verso 31/32: “el” ANAFORA. Ha affermato con fierezza di non dover nulla a nessuno, di aver lavorato duro e di potersi pagare tutto quello che serve per vivere; qui, nell’ultima quartina fa riferimento alla morte. Verso 33: la morte è rappresentata attraverso la METAFORA dell’ultimo viaggio e la costruisce in un modo molto toccante. Verso 34: questa nave, il mezzo che conduce alla morte o meglio la morte stessa, è il luogo dove lui morirà leggero di bagagli perché non è attaccato alle cose materiali. Verso 35: “me encontraréis” ultima ALLOCUZIONE al pubblico Verso 36: prosegue la METAFORA e attraverso la morte ritorna al luogo dove proviene, cioè il mare. Si avverte un TONO PANTEISTICO di Machado, che ritroveremo anche in García Lorca, dove l’elemento naturale è il principio e la fine della vita. 16 ottobre 2018 “A orillas del Duero”, Machado È un componimento raccolto in “Campos de Castilla”, che contiene una poesia di tono già un po' diverso rispetto a quella di “Soledades”: in quest’ultima c’era soprattutto la riflessione di tipo interiore, sul tempo, sull’emotività e sulla vita in generale ma molto più incentrata sulla soggettività del poeta; in Campos de Castilla l’interiorità e il sentimento del poeta svaniscono e si affaccia anche un altro tema caro a tutta la generazione del ’98, il tema del mal di Spagna, una preoccupazione sociale, politica, sul popolo spagnolo e sul suo destino. Questo testo, infatti, è forse uno dei più commossi, più pieni di una certa amarezza rispetto alla grave crisi culturale e non solo che stava attraversando la Spagna di quei tempi. Scritto anche questo in ALESSANDRINI e costituito da una successione di DISTICI IN RIMA BACIATA AABB. È provvisto di uno spiccato DESCRITTIVISMO, c’è un’attenzione molto spiccata per la descrizione di uno spazio, che intuiamo sin dal titolo essere castigliano (il Duero è un fiume che attraversa il nord della penisola iberica e la regione della Castiglia, che diventa la sua patria di adozione e per tutti i poeti la “sineddoche della Spagna” perché rappresenta tutto il paese). In questo testo Machado perfeziona questa sua capacità descrittività, che aveva già dimostrato in “Soledades”, perché fa della descrizione (che è un particolare tipo di diegesi, di narrazione) l’asse portante del componimento. Egli descrive una sua passeggiata sulle sponde del Duero e racconta i suoi passi, ciò che vede e attraverso una serie di metafore offre la chiave di lettura di quello che vede. Questa passeggiata poi stimola in lui, ed è la seconda parte del testo, una riflessione sui destini della Castiglia e quindi della Spagna. Corrisponde alla parte più impegnata del componimento perché il poeta fa comprendere ai suoi lettori ciò che è successo a quella terra. Partiamo da una DESCRIZIONE OGGETTIVA di una realtà esterna vista da un occhio attento e raffinato per passare a una MANIFESTAZIONE DEL PROPRIO PENSIERO. Verso 1: il primo emistichio del primo verso ci da la determinazione temporale del componimento, ci troviamo a metà luglio, in piena estate e nel periodo del grande caldo. Questo alessandrino è Verso 41: contrappone la dimensione presente (“miserable”) e quella passata della Castiglia (“dominadora”), ma non si sa bene a quale epoca appartenga questo passato. Verso 42: è una Castiglia PERSONIFICATA come una figura povera avvolta in stracci. Non parla solo della povertà materiale, ma anche quella intellettuale perché non è in grado di apprezzare quello che non conosce, si chiude in se stessa e non si apre a ciò che non conosce (riflessione di tutta la generazione del ’48). Verso 43: comincia un andamento interrogativo del poeta. ENJAMBEMENT con il verso 44. Verso 44: METAFORA della febbre della spada, del delirio della guerra. Si sta riferendo al periodo più glorioso della Castiglia, che è proprio quello delle sue origini. La Castiglia fu il paese trainante di tutta la Reconquista che condusse alla cacciata dei musulmani e alla riconquista dei territori occupati dal califfato di Damasco. È un processo che inizia nell’alto medioevo: i musulmani entrarono nel 711 d.C. nella penisola Iberica e in tempi rapidissimi riuscirono quasi ad arrivare al confine della Francia. Proprio grazie all’intervento delle truppe di Carlo Magno si impedì il passaggio dei musulmani oltre i Pirenei e piano piano, i cristiani della penisola Iberica si impegnarono per riappropriarsi dei territori. “Sangre derramada” si riferisce proprio al sangue versato in queste battaglie. Verso 45: ASINDETO successione di elemento sintattici non legati da congiunzione (successione di verbi fino alla congiunzione avversativa “o”). Verso 45/46: la Reconquista non fu soltanto una guerra di religione. L’elemento religioso era una giustificazione propagandistica e il problema vero e proprio era il controllo del territorio. Qui sottolinea il fatto che il nome del Dio cristiano questa terra aveva condotto molte guerre e versato molto sangue. Qui esplicita un po' meglio al contesto storico al quale si sta riferendo. Verso 47/48: è una terra nella quale sono successe molte cose e dove questo fantasma, questo ricordo di un passato che non c’è più, ancora aleggia. Verso 49: “en otro tiempo” sottolinea sempre la dimensione passata. Verso 50: “Hoy” contrapposizione passato/presente: la Castiglia ieri era una madre di capitani, oggi una matrigna (una madre snaturata) di gente ignorante e umile. Verso 51: “Un día” altra sottolineatura di un tempo passato. Verso 52/53/54: Rodrigo el de Vivar è un personaggio storico e letterario perché è l’eroe epico castigliano per eccellenza. Fu vassallo del re Alfonso VI, venne condannato da lui all’esilio e conquisto Valencia e altri territori musulmani per riconquistare la fiducia del re. Immortalato nel poema epico de “El mio Cid” (1140), unica testimonianza integrale dell’epica castigliana e per questo importantissimo anche per capire cosa succedeva in Castiglia tra la metà del XII secolo e la fine di quel secolo. Questo poema epico esaltava una società mobile e dinamica che fece sì che questo esercito di condottieri, appartenenti alla piccola nobiltà, arrivassero ad avere un potere significativo all’interno di questo contesto politico, contro all’aristocrazia terriera sprovvista di denaro che era tutto nelle mani dei primi. “Huertos” è una METONIMIA perché gli orti stanno ad indicare il territorio di Valencia. Verso 56: si cambia il contesto perché gli indiani fiumi sono quelli americano. Parla di un altro momento glorioso della Castiglia, ovvero quello della scoperta d’America con la spedizione di Colombo. Verso 59: “Regios” esplicita ancora di più che questa impresa fu finanziata dalla regina Isabel di Castiglia. In questi versi, dunque, viene rappresentata la grandezza della Castiglia attraverso due eventi importanti: la Reconquista e la conquista delle Americhe. Verso 60: verso perfettamente parallelistico con disposizione coincidente degli elementi dei due emistichi dell’alessandrino. I guerrieri del verso 58 non erano capaci solo a depredare, ma erano anche abili e valorosi. Verso 61: torna di nuovo nella dimensione presente e parla di filosofi nutriti di zuppa di convento: è un’espressione colloquiale che vuole intendere filosofi di scarsa levatura intellettuale, di chiusura mentale in quanto il convento è un luogo necessariamente chiuso al progressismo intellettuale. Verso 62: questi filosofi sono impassibili a tutto ciò che succede intorno a loro, non percepiscono tutte le novità che arrivano da fuori e non riesco quindi ad apprezzarla. Sono i bersagli principali dello sfogo di Machado. Verso 63/64/65: anche se sentiranno un rumore o vedranno un movimento di novità, loro nemmeno si avvicineranno a domandare cosa succede perché loro sono chiusi a qualsiasi novità. Verso 66: la guerra è già entrata nelle loro case e loro neanche se ne sono accorti. Verso 67/68: si ripete il cosiddetto ritornello, ma con una variante: “harapos” è sinonimo di “andrajos” quindi non c’è un sovvertimento semantico perché entrambi vogliono dire “stracci”. Qui finisce la riflessione sulla crisi della Castiglia. Negli ultimi versi il poeta ritorna su una dimensione descrittiva del luogo, che ci riporta a questa cornice narrativa dalla quale è cominciata questa sua riflessione storico-filosofica. Verso 69: qui è passato del tempo in cui ha compiuto il percorso ed è il tramonto. Verso 71: inciso in cui è come se lui stesse facendo una deduzione rispetto al suono che ascolta (ritorno della DIMENSIONE SENSORIALE che precedentemente era visiva). Immagina le vedove vestite di nero che vanno a dire il rosario. Verso 72: “Comadrejas” (=donnola) ricompare l’elemento animale e descrittivo della natura. Verso 74: l’esclamazione “tan curiosas” è una sorta di partecipazione divertita, quasi tenera, del poeta di questa manifestazione della natura. Verso 75: questa locanda (=menson) si apre alla campagna imbrunita e al viareto deserto. Verso 76: PARALLELISMO dove tutti gli elementi sono disposti in ordine (preposizione articolata, il sostantivo e l’aggettivo- nel primo caso è un participio passato con funzione aggettivale). 17 ottobre 2018 JUAN RAMON JIMENEZ è uno dei maggiori rappresentanti della poesia spagnola dei primi del Novecento. Ebbe tre tappe nella sua produzione poetica: 1. SENSITIVA fu un momento di espressione di una poesia intimista e semplice in cui si osserva chiaramente l’impronta del modernismo simbolista. Si riscontra in due raccolte: “Arias tristes” e “Jardines lejanos”. È la tappa più modernista, più vicina ai toni del simbolismo francese che aveva ereditato il modernismo ispanico. 2. INTELLETTUALE che coincide con la raccolta “Diario de un poeta recién casado”, che raccoglie la produzione di un momento particolare della vita di Jimenez dopo il suo matrimonio avvenuto negli Stati Uniti. Infatti, scrisse la maggiorparte di questi testi nel viaggio di ritorno. Questa è la tappa che rompe l’estetica modernista e apre un percorso verso la poesia pura (linguaggio si semplifica ed è di tipo intellettualistico, che vuole nominare l’essenza delle cose). 3. POESIA METAFISICA è la tappa finale della sua produzione che in parte si esplicita anche in “Sonetos espirituales”. È incentrata soprattutto sul tema del divino e della ricerca di esso. È un poeta molto ricco e variegato che fece un percorso articolato nella sua carriera perché ebbe una vita molto lunga ed ebbe il tempo di sperimentare. “Hay un oro dulce y fresco” è un testo della prima tappa, cioè quella più vicina al modernismo. È un testo pieno di una sensorialità diffusa, cioè una modalità di esprimere idee e concetti attraverso la loro determinazione sensoriale. Non è una rappresentazione sensoriale fine a se stessa, in questo condivide la stessa inclinazione di Machado dove l’espressione di un rumore ascoltato o un oggetto visto ha sempre una dimensione interiore. Evocazione di qualcosa che produce un sentimento interiore al poeta, una sensorialità che si collega all’io del poeta e alla sua dimensione affettiva e sentimentale. Si tratta di un testo scritto in OTTOSILLABI (componimento isometrico perché ha versi dello stessa misura sillabica) ASSONANZATI NELLE SEDI PARI, presentano la medesima assonanza (=identità dei soli fonemi vocalici a partire dall’ultima sillaba tonica) e in questo componimento è quella di A-E. Questa è una struttura che caratterizza un genere poetico antico, che è il ROMANCE, che nasce in forma orale nel Medioevo con una materia epica e che poi ha un tale successo e diffusione che diventa un genere assolutamente poliedrico dal punto di vista tematico. Quello che lo caratterizza è la sua struttura lirica-narrativa perché contiene una cornice narrativa e ha una modalità espressiva tipica della lirica. Il romance diventa un genere eclettico nel corso dei secoli e la sua peculiare struttura metrica diventa uno delle modalità compositive più care ai modernisti. Infatti, Jimenez è come se scrivesse un romance dal punto si vista tecnico, ma in realtà è un testo in cui l’elemento narrativo è appena abbozzato. È una testimonianza del culto che i poeti del primo Novecento ebbero per la tradizione ispanica, autoctona. Jimenez scrive un componimento dove notiamo moltissimi ENJAMBEMENT che non fanno altro che cercare di creare una struttura sintattica omogenea, di evitare la divisione netta da un punto di vista sintattico tra i versi e di creare un discorso fluido. Verso 2: ambientazione è quella della campagna castigliana, quella di un territorio che viene coltivato e il tema della coltivazione è rappresentato in modo reale attraverso delle immagini esplicite, ma viene anche metaforizzato parlando di se stesso. Questo è un verso che inevitabilmente ci riporta alla raccolta di Machado, “Campos de Castilla”, quindi è una sorta di OMAGGIO che Jimenez fa al poeta. In qualche modo richiama anche il modo che Machado aveva di descrivere lo spazio castigliano. Verso 3: qui è esplicitata la determinazione temporale perché ci troviamo in autunno. Tocco di colore attraverso l’aggettivo “amarilla” (=giallo) che è accostato a l’elemento astratto del verso successivo “dolzura”, SINESTESIA. Verso 4: siamo anche alla fine della giornata, al tramonto, che è un’ambientazione tipica dei testi modernisti. Verso 5-6: “haza oscura” l’aratro scava dei solchi paralleli per preparare il terreno per la semina, rimuove la terra e questa risulta più scura rispetto a quella superficiale perché è umida. ENJAMBEMENT con il verso 7. Verso 7-8: “entraña” (=viscere) in questo contesto è sinonimo di solco. L’azione è quella di un contadino che getta il seme all’interno di questi solchi che l’aratro ha scavato e che questa mano onestamente, con un fare semplice (“honradamente”) svolge affinché essa produca i suoi frutti. La mano è una SINEDDOCHE che indica l’intera persona del contadino. In queste prime due quartine Jimenez presenta il luogo dove si svolge l’azione, la stagione, il momento della giornata e il personaggio di cui vuole parlare. Ora esprime il suo pensiero. Verso 9-10-11: METAFORA vedendo questi semi gettati nei solchi (abbiamo tre sostantivi diversi per indicarlo). Questo solco lui vorrebbe riempirlo con il suo cuore, vorrebbe che il suo cuore fosse una sorta di seme che possa poi produrre un frutto così come i gemi gettati dal contadino produrranno un raccolto. Verso12-13-14: qui spiega ulteriormente il concetto e continua la metafora. Il cuore, come sede dei sentimenti e parte più profonda della persona, germoglierà in primavera e il frutto di questo cuore sarebbe stato l’albero dell’amore eterno. Il tema centrale è che lui, come un contadino svolge un lavoro per il bene dell’umanità, vorrebbe donare il suo cuore, la sua interiorità per dare a tutta l’umanità un amore eterno che si esprime attraverso la poesia. C’è un’IMPRONTA METAPOETICA molto spiccata. “Otoño”, JUAN RAMON JIMENEZ, è un sonetto in relazione con il precedente già dal titolo: il primo era ambientato nella stagione autunnale proprio come questo, ma in maniera più esplicita. Verso 1: PERSONIFICAZIONE di ottobre perché svolge un’azione concreta, quella di spargere le foglie dorate e rosse. Le sparge perché c’è un vento del sud (“blando movimiento del sur”). PERIFRASI. ENJAMBEMENT non molto forte. Verso 2: come nell’altro sonetto, l’apertura presenta una descrizione stagionale con delle note di colore molto precise (dorato e rosso). Verso 3-4: in questa caduta evidente delle foglie si porta il pensiero verso l’infinito. PARALLELISMO tra la caduta delle foglie e il movimento del pensiero che hanno direzioni opposte (le foglie vanno dall’alto verso il basso, mentre il pensiero dal basso verso l’infinito). Ancora una volta istituisce, instaura una sorta di confronto tra un qualcosa di reale, percepibile (l’autunno) e una condizione intellettuale (il pensiero). Verso 5-6: ENJAMBEMENT tra i due versi. PERSONIFICAZIONE del prato. La pace deriva dal rapimento, da questa situazione del pensiero. Così come l’autunno faceva muovere le foglie, così qui il prato fa perdere i petali ai fiori. Verso 7-8: PERSONIFICAZIONE dell’acqua. Fa un’operazione retorica abbastanza interessante perché il cristallo è METAFORA di acqua fredda. “estremecido” è un participio passato che indica la sensazione di avere i brividi di freddo e si riferisce all’acqua. Questa è un’acqua fredda che bagna con la sua freddezza il vento, si sparge nell’aria. È talmente fredda da gelare anche l’aria. Verso 9-10-11: tutto questo spazio che ha descritto e queste azioni naturali costituiscono un incanto dorato (“encantamiento de oro”, ritorna il colore precedentemente nominato). L’incanto è tutto ciò che lui sta osservando e lo è perché è una specie di rapimento per il suo intelletto, per il suo pensiero. Lui è imprigionato (“cárcel”, carcere) in questa miriade di percezioni nel quale il corpo perde la sua concretezza, la sua fisicità (come l’albero le foglie e i fiori i petali) e si intenerisce sdraiato su una collina verde. Verso 12-13-14: in una decadenza di bellezza la vita si denuda e risplende l’eccelso della sua verità divina. In questa bellezza decadente, che è quella che lui ha descritto dell’autunno, c’è proprio lo spegnersi della vita (nella terzina precedente il corpo si faceva anima e qui la vita perde le cose superficiali). L’autunno è quel momento nel quale vi è la rivelazione della verità divina attraverso la morte della natura: la vita si desnuda, perde alcuni elementi superflui, ma mantiene la propria essenza vitale perché poi in primavera risorgerà in nuova vita. La morte della natura autonnale non genere tristezza in lui, ma anzi è proprio in quel momento che si rivela il divino. “Escelsitud” dovrebbe essere “exelsitud” ma Jimenez al poste della X utilizza il gruppo SC. 22 ottobre 2018 Le AVANGUARDIE e il modernismo condivisero la cronologia perché si affacciarono sostanzialmente al contempo in un contesto del quale la Spagna era interessata da un grande fervore culturale, da un grande anche spirito di rinnovamento. Il modernismo con le avanguardie condivideva questa ricerca del nuovo, questo rifiuto della tradizione, soprattutto di un’espressione artistica superata, e quindi una ricerca di rinnovamento estetico totale e chiaramente questa ricerca era estremamente provocatoria e vendicativa. Anche da un punto di vista politico-culturale anche il modernismo come le avanguardie si collocano in una posizione progressista ed eversiva in alcuni casi. Ecco perché spesso furono osteggiate dall’ordine costituito, dalla mentalità imperante, dai tradizionalisti. Il primo movimento di avanguardia che ci interessa è il FUTURISMO, nato ufficialmente nel 1909, anno in cui Marinetti pubblicò il Manifesto del movimento futurista, che si articolava in undici punti che definiva in qualche modo l’orientamento di questa nuova corrente di pensiero, di questo nuovo modo di concepire l’arte. Voleva affermare la modernità contro il passato e contro tutto ciò che secondo i futuristi era superato. I futuristi celebravano, proclamavano quasi, il culto per l’energia, per la velocità e per la violenza, per lo sprezzo del pericolo: andavano contro quella concezione romantica e decadente che era un po' sentimentale e incline alla introspezione per rivendicare un atteggiamento temerario e che tendesse a scandalizzare. Quindi questo nuovo modo nuovo di concepire l’arte e la vita stessa, ovviamente si esplicitò a livello formale in una serie di scelte che questi artisti futuristi cercarono di porre. Per esempio uno dei principi che secondo loro dovevano regolare l’espressione letteraria era quello delle PAROLE IN LIBERTÀ: bisognava per esempio prediligere in modo assoluto il verso libero, quello indipendente da qualsiasi tipo di schema metrico e rimico; libera sintassi; la punteggiatura completamente dimenticata o usata con norme non in vigore. Una grande attenzione anche viene concepita per quel che riguarda l’effetto fonico della poesia, quindi quello che l’accostamento delle parole doveva suscitare nell’ascoltatore o nel lettore. Infatti, lo STRANIAMENTO, cioè quella particolare sensazione di stupore che si prova leggendo un testo dalle caratteristiche stilistiche formali molto particolari, era proprio l’effetto principale cui gli artisti dovevano tendere perché bisognava rifuggire in ogni modo dalla banalità. Ovviamente il futurismo ebbe varie manifestazione non solo nella letteratura, ma anche nelle arti figurative. Un altro movimento di avanguardia importante è il CUBISMO, che iniziò proprio con la sperimentazione di Picasso nella pittura ed espose i suoi primi quadri improntati a una ricerca estetica cubista nella mostra di Cezanne del 1907. Egli faceva parte di un circolo di artisti e intellettuali che vivevano a Parigi, il cui caposcuola fu Apollinare , un grande poeta francese che scrisse proprio nel 1913 Il manifesto del movimento cubista. Egli era in un dialogo molto stretto con Picasso quindi l’uno sul fronte della pittura, l’altro su quello della poesia determinarono quelle che erano le caratteristiche principali del cubismo. Si pone come un movimento che va contro il realismo del romanzo naturalista che tendeva a riprodurre fedelmente la realtà; secondo i cubisti, invece, il compito dell’artista è quello di immaginare una realtà diversa, analizzando il soggetto nelle sue diverse dimensioni, scomponendolo e ricomponendolo sulla tela (questo in Picasso è particolarmente vero). Nell’arte cubista è molto importante la plasticità, il volume degli oggetti rappresentati e quindi anche la ricerca della loro forma originaria essenziale. È un’arte fortemente intellettuale e intellettualista, profondamente razionale perché costringe la mente umana a ragionare in modo astratto e accentuare il riprodurre, attraverso astrazioni, quella che è la realtà percepita. Infatti, l’esito ultimo del cubismo fu l’ASTRATTISMO, quel movimento che interessa la pittura che portò alle estreme conseguenze questa visione frammentata e ideale della realtà che avevano inaugurato i cubisti. Tornado alla poesia e alle manifestazioni in essa dell’estetica cubista, certamente dobbiamo sottolineare di nuovo l’importanza di Apollinare che fra il 1913 e 1916 scrisse “I calligrammi”, una raccolta di componimenti che hanno una particolare configurazione: sono dei componimenti iconici, cioè nei quali le parole sul foglio sono disposte in modo tale da costituire dei disegni, delle figure che hanno una strettissima relazione con il contenuto del componimento. Quindi con Apollinare si inaugura una nuova tendenza della POESIA ICONICA. Tutti questi movimenti furono conosciuti in Spagna ed entrarono in epoca abbastanza precoce, ma ci fu un’esperienza totalmente autoctona spagnolo che è quella dell’ULTRAISMO, l’unico movimento di avanguardia nato in Spagna. Il primo manifesto è del 1918 (anno particolarmente importante perché finì la prima guerra mondiale e tutti gli intellettuali, che ruotarono attorno a questo movimento e che ne fecero parte, erano impegnati e participi dal punto di vista politico). La caratterista principale è il suo ECLETTISMO: è poliedrico, assorbe tendenze e caratteristiche di vari movimenti di avanguardia. È importante soprattutto in ambito spagnolo perché insiste particolarmente sulla importanza della METAFORA, che in poesia è l’elemento essenziale e “Ajadrez” è proprio un componimento che rivela questa sua adesione al programma poetico di questi due movimenti d’avanguardia, che si opponevano al realismo e che dunque volevano rinnovare la poesia creando una sorpresa, uno straniamento nel lettore. Venne pubblicato in una raccolta chiamata “Limbo” tra il 1919 e il 1921. Il titolo ci dà un suggerimento interpretativo: l’immagine che lui ha voluto creare è quella di una scacchiera, di una partita a scacchi. La prima sensazione che scaturisce questo testo è quella di sconcerto perché è un testo anti realista, un testo in cui non riusciamo a percepire immediatamente il messaggio dell’autore (è proprio l’effetto ricercato dai creazionisti che costringevano la ragione a fare uno sforzo enorme per l’interpretazione delle immagini). La disposizione dei versi è irregolare e inusuale con degli spazi fra di loro che non corrispondono al normale modo: c’è una ricerca voluta di una collocazione tipografica degli elementi del testo a costituire l’immagine di una scacchiera (vuoti/pieni=neri/ bianchi). È una disposizione tesa a creare una contrapposizione tra vuoto e pieno come il nero e bianco della scacchiera. Da un punto di vista metrico si tratta di versi liberi, non si segue uno schema tradizionale e specifico: i primi tre versi sono senari, poi novenari, settenari ecc. si arriva a versi con solo tre sillabe. Questo però non impedisce al poeta di costruire alcune equivalenze foniche che sono delle assonanze: assonanza A/O interessa il verso 1, 3, 7, 12 e 14 sdrucciolo; un’altra assonanza meno frequente è quella I/O del verso 8 e 10; poi abbiamo un’assonanza che è quasi una rima del verso 12, 16 (paracaidas-vida); nei versi 15, 18 c’è un’assonanza della vocale tonica E (ser-ajedrez). Non c’è punteggiatura e l’alternanza di maiuscole e minuscole è arbitraria. Verso 1: il componimento inizia con una dichiarazione di aver compreso qualcosa che il poeta cerca di farci capire. Verso 2-3: epitaffio è quella frase laconica che viene posta sulle tombe e che normalmente fa riferimento all’amore per il defunto. È per sua natura una frase breve e conclusiva e comunque è una forma di comunicazione, un messaggio. Epitaffio si ricollega a un contesto funebre. Verso 4-5: riusciamo a capire il senso del lemma epitaffio. Questa è una tipica immagine creazionista perché il parallelismo è tra il foglio di carta e una lapide di marmo che condividono la forma rettangolare e il colore bianco. Sulla base di questa somiglianza crea un’immagine che fonde insieme questi due elementi e quindi lo porta con un salto logico a dire che sotto i fogli di carta ci sono le proprie ossa, come sotto ogni tomba. D’altra parte il poeta sta dicendo che la sua scrittura, i suoi testi sono un po' una parte di sé che muore e che lascia per i posteri; dona se stesso agli altri in quanto poeta, avvicinandosi però alla morte. Verso 6-7: è un’immagine ancora più complicata perché si accostano elementi che apparentemente non hanno nulla in comune ma che invece poi, ragionando bene, condividono qualche aspetto. Il cuore è paragonato a un pianoforte probabilmente per questa capacità di produrre suoni. La carie dentale ci porta ancora una volta a questa contrapposizione tra bianco e nero della scacchiera ma anche a quella del pianoforte: mettendo insieme le realizzazioni di ogni immagine di ogni elemento noi possiamo arrivare a una interpretazione che sia logicamente accettabile ma che però è molto ardita. Quindi sta dicendo che questo suo cuore in qualche modo è stato rintaccato da una malattia, da una sofferenza, da qualcosa che lo sta logorando. Verso 10-11: il “pendolo vivo” e “ancora ancorata” (“ancla anclada” FIGURA ETIMOLOGICA) sono termini ANTITETICI tra di loro perché il primo si muove in modo ritmico, mentre il secondo è immobile. È un’immagine surreale di un pendolo costituito da un’ancora immobile: l’orologio non si muove più e diventa come un’ancora immobile. L’orologio è METAFORA del tempo che passa, della vita. Verso 12: locuzione avversativa che sembra quasi suggerire un esito che è opposto rispetto a quello che ci si dovrebbe aspettare. Verso 13-14: TECNICISMO POETICO perché “canticos” indica il testo poetico e ritorna su un concetto molto importante che è quello della missione di poeta. È come se da questo orologio ancorato piovessero dei testi: nonostante questo suo lento morire e questo disfacimento del suo cuore, ancora continua a produrre testi. L’immagine del paracadute è anche simbolo della salvezza perché permette di non cadere e morire quindi la poesia è uno strumento di salvezza perché aiuta a vivere meglio. Verso 15: parla della morte che prima o poi arriverà. Verso 16: altri due elementi antitetici come il pendolo vivo e l’ancora ancorata. Verso 17-18: METAFORA della vita come una partita a scacchi in cui l’individuo pensa di avere il libero arbitrio, ma la sua vita è solo una partita a scacchi di entità sconosciute. È un concetto che è proprio della crisi del Novecento e che ritroveremo proprio in Niebla nella concezione della vita che Unamuno esprimerà. Dunque, questa falsa certezza che hanno gli uomini di essere padroni della propria vita è rappresentata in questo componimento. 31 ottobre 2018 (Dispense pagina professoressa) FEDERICO GARCíA LORCA è una figura di grandissimo rilievo nella letteratura spagnola contemporanea. È al contempo un grande poeta e un grande drammaturgo. Nato a Fuente Vaqueros, in provincia di Granada, da una famiglia benestante. Nel 1909 si traferì con tutta la famiglia a Granada e studiò sia Diritto che Lettere (la maggiorparte degli intellettuali spagnoli del tempo hanno compiuto questo doppio percorso di studi). Fu molto importante in questo periodo di studio a Granada l’amicizia con il musicista andaluso MANUEL DE FALLA, che fondò il NEOPOPOLARISMO (=nuovo interesse nei confronti della cultura popolare e folklorica, per la creazione di ciò che era il sostrato popolare della musica andalusa). Nel 1918 pubblica il suo primo scritto, “Impresiones y paisajes”, un libro in prosa che è ancora intriso di un’estetica modernista. Già il titolo rivela questa impronta modernista nella scrittura: è la descrizione di paesaggi, che Lorca aveva visto e conosciuto in un viaggio compiuto per tutta la Spagna, e attraverso la loro visione lo scrittore rievoca dei sentimenti e sensazioni che ha provato. Un paesaggio che viene percepito come proiezione del proprio essere e del proprio stato sentimentale. In realtà questo è l’unico libro in prosa (ci sono pervenute anche i testi in prosa di alcune conferenze che fece ma sono marginali nella sua produzione). Nel 1919 si insediò nella Residencia de Estudiantes di Madrid e ci restò per ben dieci anni. Qui conobbe artisti di grande livello che insieme a lui formeranno la GENERAZIONE DEL ’27. Nel 1920 scrive la sua prima opera teatrale, “El maleficio de la mariposa”, che riscosse uno scarso successo nel pubblico. Anche se ancora non aveva pubblicato una raccolta di poesie, lui cominciò a scrivere in età adolescenziale. Nel 1921 pubblica la sua prima raccolta di poesie, “Libro de poemas”; nel 1927 Pubblica “Canciones” e scrive l’opera teatrale “Mariana Pineda”. Nel 1928 pubblica sulla «Revista de Occidente», rivista che accoglieva articoli letterari ma anche dei testi creativi, “Romancero gitano”, la più celebre raccolta di poesie di Lorca. Nel giugno del 1929 parte per New York e torna a ottobre del 1930, dove frequenta i corsi della Columbia University e dove scrive molte poesie. Queste poesie verranno pubblicate postume in una raccolta di poesie “Poeta en Nueva York” (1940). Egli aveva pensato alla strutturazione della raccolta, all’indice e al titolo; non tutti i testi sono inseriti perché Federico non li aveva citati nell’indice che è stato poi la base sul quale l’editore ha costruito la raccolta. Nel 1931 pubblica “Poema del cante jondo” e nel 1932 scrive le opere teatrali “La zapatera prodigiosa” e “Así que pasen cinco años”, quest’ultimo molto complesso e infatti ebbe uno scarsissimo successo perché è intriso anche di toni surrealisti che rendeva molto ostica la ricezione del pubblico medio che non riusciva a cogliere il simbolismo che era dietro questa rappresentazione. Nello stesso anno fonda LA BARRACA (nel 31 si instaura la seconda Repubblica in Spagna e la prima fase fu di grande interesse della politica per la trasmissione della cultura), compagnia teatrale itinerante con cui attraversò tutta la Spagna con i finanziamenti della Repubblica. Questo fu un modo per Lorca di esercitare un teatro a tutto tondo, un teatro creativo per lui perché continuava a scrivere drammi personali e fu anche un modo per trasmettere alle masse popolari la cultura, mettendo in scena opere del secolo d’oro (teatro barocco). Grazie a questa attività il popolo, che non aveva accesso alla cultura, poteva entrare in contatto con dei capolavori della letteratura spagnola. Nel 1933 scrive “Bodas de sangre” il primo dei tre drammi rurali che consacrarono Lorca come uno dei maggiori drammaturghi spagnoli del XX secolo. Segue poi nel 1934 “Yerma” e nello stesso anno finisce di scrivere “Diván del Tamarit”, un’altra raccolta ispirata alla poesia arabo-andalusa. Il senso di appartenenza alla cultura andalusa, a questo mondo ancestrale con una storia molto ricca e complessa, guidò sempre la sua produzione: lo fece essere così sensibile alla diversità, a tutto ciò che era al margine della società (si vede nella sua solidarietà al gruppo etnico dei gitani e per la comunità dei negri). Nel 1935 pubblica un’elegia, un canto funebre, dedicato a un suo grande amico “Llanto por Ignacio Sanchez Mejías” e nello stesso anno scrive “Seis poemas gallegos”, dove sperimenta la lingua galega che non era quella di Lorca ma che aveva conosciuto durante i suoi viaggi. Nel 1936 scrive l’ultimo dei tre brani rurali che si intitola “La Casa de Bernarda Alba”. Infine, il 18 agosto del 1936 venne catturato mentre era ospite da alcuni amici e venne fucilato a Viznar (Granada). Garcia Lorca scrisse anche della prosa, oltre a quella di “Impresiones y paisajes” che ha una dimensione narrativa e un’impronta descrittiva, e ci ha lasciato anche una serie di conferenze. Spesso veniva invitato dalle accademie, dalle università per parlare della sua produzione e quindi scrissi una serie di interventi che tenne nelle conferenze. Queste sono state poi riunite e pubblicate nella raccolta “Obras completas”. Il PRIMO BRANO è tratto dalla Conferencia-recital del “Romancero gitano”. In questa conferenza parla dei contenuti di questa raccolta e del perché l’aveva scritta. È un testo importante che ci permette anche di entrare all’interno della poetica di Lorca. Qui Lorca cita due verso del Romance sonambulo, che è come altri molti altri testi di Lorca intriso di metafora, soprattutto naturalistiche: “Mil panderos de cristal herían la madrugada” (=mille aquiloni di cristallo ferivano la mattina) →sta a rappresentare il bagliore dell’alba che costituiscono una specie di scintillio nel cielo e costruito. La poesia in particolare si regge sull’uso di alcuni espedienti tecnici (rima, sintassi, equivalenze) che sono fondanti per il discorso poetico e questi non possono provenire da un’inspirazione febbrile, ma da un ragionamento. Il poeta deve essere esperto e capace di scegliere all’interno di un grande calderone pieno di parole, quelle di qualità e piene di sonorità. SESTO BRANO. Continua la conferenza parlando sempre di Gongora e specifica la capacità che egli ha di organizzare il linguaggio poetico, di strutturarlo perché la preoccupazione architettonica è quella che gli fa creare delle belle proporzioni barocche, che costruisce un bel poema. Gongora era stata tacciato spesso di poeta oscuro, difficile e complesso anche dai contemporanei e per secoli emarginato dal canone della letteratura spagnola; Lorca ci tiene a sottolineare che per lui semplicemente rifugge dall’espressione facile, non per amore del CULTISMO e per odio verso il volgo, ma per una preoccupazione di costruire una poesia con un’impalcatura solida e forte, che renda l’opera resistente al temo (PREOCCUPAZIONE DI ETERNITÀ). Questo è ciò che spinge Gongora a utilizzare un linguaggio poetico complesso. SETTIMO BRANO. In un’altra conferenza, sempre raccolta in “Obras completas”, intitolata “Imaginación, inspiración, evasión”, torna sul concetto iniziale della poesia che arriva nel luogo in cui la filosofia e la matematica voltano le spalle. L’IMMAGINAZIONE è la facoltà primaria che genera la poesia e quindi è sinonima di attitudine, propensione verso la scoperta. L’immaginazione permette all’uomo di comprendere, calandosi nelle tenebre, quella realtà invisibile in cui si muove e che molto spesso non si riesce a percepire. La figlia diretta dell’immaginazione è la metafora che nasce come un fulmineo effetto dell’INTUIZIONE. L’immaginazione è limitata dalla realtà perché non si può immaginare ciò che non esiste: la realtà quindi è alla base del fare poetico. La poesia di Lorca è profondamente radicata nella realtà, dove tutta questa costruzione immaginifica ha sempre dei referenti che sono concretissimi. L’immaginazione è qualcosa che si basa sempre sulla percezione concreta e reale del mondo. OTTAVO BRANO. Il poeta costruisce, deve cercare delle immagini preziose, rare, ma si deve muovere all’interno della ragione. L’immaginazione non può prescindere dalla ragione. Qui mette in opposizione due concetti che sono INSPIRAZIONE e IMMAGINAZIONE: la prima è libera e senza catene, che si stacca dalla ragione ed è difficile che un poeta immaginativo possa produrre emozioni intense con la sua poesie. La realtà è più poetica rispetto a ciò che l’immaginazione può creare. NONO BRANO. Continua a sondare questo contrasto. L’immaginazione è una scoperta che fa parte della logica umana; l’inspirazione è un dono. I grandi poeti devono essere dotati di entrambe le facoltà. Qui affronta un altro punto della sua poetica: il suo rapporto con il surrealismo, che impiega il sogno e la sua logica per sfuggire alla realtà. Questa evasione nel mondo del sogno è poco diafana, chiara e noi mediterranei, noi che proveniamo dalla cultura greco-latina, abbiamo bisogno di un’espressione che sia concretamente percepibile. DECIMO BRANO. In qualche modo lui fu contagiato dal surrealismo e si vede soprattutto nella raccolta “Poeta en Nueva York”, anche se c’è sempre una logica che sostiene le immagini che crea. La luce del poeta è la CONTRADDIZONE (espressione chiave della sua poetica) e coloro che cercano la poesia infilano le mani in un cespuglio di more e si feriscono perché avvicinarsi alla poesia è un esercizio complicato e doloroso. In questa formula racchiude il suo modo di intendere la funzione della poesia: essa esprime la complessità dell’uomo, l’ambiguità che caratterizza tanti aspetti della vita, l’ambivalenza dei sentimenti. Lui utilizza in modo ambivalente le stesse immagini con accezioni spesso opposte fra di loro. Il poeta è contradditorio per natura perché è la poesia stessa e l’uso dell’immaginazione che il poeta fa che lo porta a creare rappresentazioni spesso contradditorie della realtà. 5 novembre 2018 “Baladilla de los tres ríos”, FEDERICO GARCíA LORCA Tutta la poesía di Lorca, in particolare quella che parte dai primi anni 20 fino agli anni 29-30, è intrisa di elementi andalusi. Era nato a Granata, conosceva benissimo quella cultura e affascinato dalla cultura e dal folklore andaluso. Questo è un testo funge da poema prologo della raccolta “Poema del cante jondo”, pubblicata nel 1931, ed è stato scritto nel 1921. Lorca scrisse la sua prima opera a vent’anni e qui ne ha ventitré quindi questo testo fa parte delle opere della sua giovinezza. Il titolo ci suggerisce una scelta metrica e stilistica: la BALADA è un genere metrico e musicale (=la ballata) caratterizzato da una forma fissa e dalla ripetizione di un ritornello. La ballata ha origine in età medievale in area italiana e provenzale, successivamente portata in Spagna soprattutto nella cultura catalana. Lorca utilizza il diminutivo “baladilla” vuole in qualche modo sottolineare il fatto che si tratta di un esercizio minore, semplice di composizione di un testo che ha le caratteristiche del genere della ballata (la caratteristica principale è proprio la presenza di versi ripetuti secondo una formula fissa e ricorrente). Quindi da una parte abbiamo informazioni sulla struttura metrica e musicale del testo, dall’altra “DE LOS TRE RIOS” ci indica il tema: infatti, questo testo presenta in rassegna i tre fiumi dell’Andalusia, il principale che è il Guadalquivir (attraversa la Siviglia) e i due fiumi minori che sono il Dauro e il Genil (scorrono a Granada). In questo componimento Lorca cerca di imitare la poesia tradizionale e folklorica, cerca di creare un ritmo e un testo che sia popolare in modo stilizzato. Quindi, riprodurre uno stile, quello della poesia folklorica andalusa, e cercare di rappresentarlo in un modo più popolare perché una poesia d’autore ha delle caratteristiche diverse a quella folklorica. Tuttavia, Lorca afferma esplicitamente per tutta la raccolta di aver voluto esercitarsi in questa impresa di ricreare quella poesia tradizionale, folklorica andalusa che lui tanto ama. Riesce a fare questa operazione con l’aspetto metrico e strutturale del componimento: c’è, infatti, un ritornello che ricorre alla fine di ogni strofa, di cui il secondo verso presenta ogni volta una piccola variazione. C’è un ritmo rigorosamente binario in questo componimento. I segmenti strofici sono: quattro QUARTINE, seguite ciascuna da un ritornello, e due DISTICI (unità strofica minima di due versi), seguiti sempre dal ritornello. Abbiamo, dunque, 6 COPLAS (strofe) e 6 ESTRIBILLOS (ritornelli). Inoltre, nel componimento sono presenti RIME ASSONANZATE nelle sedi pari. Usa fondamentalmente due assonanze: I/O e A/E (che troviamo nella seconda strofa e nel ritornello che la segue, “granates”, “sangre”, “aire”). Ogni strofa che precede un ritornello presenterà la sua stessa assonanza e si alternano in modo regolare: prima assonanza I/O, poi segue quella A/E e così via. I versi sono tutti OTTOSILLABI, quindi hanno la misura più tradizionale della poesia spagnola (dei romances e della poesia folklorica); i ritornelli sono costituiti da un quadrisillabo (“ay, amor”) e da un settenario. Il ritornello costituisce una specie di inserzione, un elemento che Lorca voleva proprio connotare come folklorico e popolare, non creato da lui ma ereditato da una cultura. Lui, infatti, citò molto nei suoi testi dei brani o versi che non erano suoi, ma che facevano parte del repertorio popolare per dare al suo componimento una stilizzazione popolare e per nobilitarlo. Il ritornello “Ay amor, que se fue y no vino” ricorda molto i toni del Cante Jondo, la forma più profonda del Canto flamenco: l’interazione “ay” è tipica di questo genere. Infatti, non è escluso che Lorca abbia ripreso questo ritornello dal repertorio tradizionale e che abbia poi deciso di costruirci questo testo intorno con un tema scelto da lui. Verso 1-2: sta descrivendo il tipico ambiente andaluso, soprattutto quello vicino al Guadalquivir che rende fertili le terre circostanti. Gli aranceti e gli uliveti sono diffusissimi. Verso 3-4: i due fiumi di Granata sono il Dauro e il Genil, che nascono nella Sierra Nevada. Quindi, nascono da alte montagne e poi scendono verso i campi. “nieve” e “trigo” sono delle METONIMIE che indicano rispettivamente le montagne (con cime innevate) e i campi coltivati della pianura. C’è già una distinzione tra questi tre fiumi perché il primo, il Guadalquivir, sembra rappresentare l’immagine più nota e popolare dell’Andalusia. Verso 5-6: “ay, amor” esprime una sofferenza per amore. È un tipico verso che esprime il mal d’amore, una sofferenza per l’abbandono ed era molto frequente nella lirica antica arabo-andalusa del secolo XI, quella delle ARCIAS (= strofette in bocca di donna che venivano utilizzate da poeti arabi, ebrei che vivevano in Andalusia nel omento di convivenza tra le tre culture e che utilizzavano quei versi, come Lorca, per conferire al loro testo una forza lirica che altrimenti non avrebbe avuto). Questo ritornello ci proietta in un contesto poetico diverso da quello precedente. Verso 7: PARALLELISMO con il verso 1 della prima strofa. È una tecnica tipica della poesia popolaresca, tradizionale ed è nota come TECNICA PARALLELISTICA. Verso 8: è un verso importante perché ci dà un’immagine antropomorfizzata del fiume Guadalquivir, che diventa una sorta di Dio. Nell’iconografia classica del fiume, l’immagine del fiume antico andaluso era proprio quello di un uomo con la barba lunga. Qui Lorca riprende la TRADIZIONE ICONOGRAFICA. L’elemento del rosso (“granates”) lo ritroviamo anche nei due versi successivi. Verso 9: c’è un ELLISSI del verso ma è chiaro che il verbo è “tienen”. Verso 9-10: la voce sta andando verso Cordoba ma sa che non ci arriverà mai vivo. PERSONIFICAZIONE della morte che guarda (METAFORA che indica la sua morte) Verso 11-12-13-14: ANAFORE con versi aperti dall’interiezione “Ay” che ci ricorda il tipico Canto flamenco, espressione della pena. Questo percorso sembra essere infinito; elogia la sua cavalla coraggiosa perché è riuscita a cavalcare molte ore per portarlo in salvo; ripete che la morte lo aspetta prima di Cordoba. Questo è un testo nel quale è tutto fortemente allusivo ed evocativo, non c’è nessun dettaglio narrativo che ci faccia capire cosa realmente è successo. L’unica cosa che capiamo è che sta cavalcando rapidamente verso Cordoba e che è cosciente del fatto che non ci arriverà vivo, ma i motivi di questa sua consapevolezza non ne sappiamo nulla. Lorca non ha voluto rendere questo testo prosaico, ha dato solo alcune pennellate che lasciano ai lettori la possibilità di immaginare (FORZA EVOCATRICE DELLA POESIA, uno dei suoi imperativi che abbiamo visto nelle conferenze). Questa del cavaliere che fugge alla ricerca di riparo è quasi una ISOTOPIA nella poesia di Lorca. “Lucía Martínez”, FEDERICO GARCIA LORCA, ha una struttura analoga al precedente: formato da un ritornello che si ripete quasi identico all’inizio e alla fine del testo e da due QUARTINE di OTTOSILLABI. I versi pari sono assonanzati in A/O. Verso 1-2: il tema di questo testo è la rappresentazione di una figura femminile, Lucia Martinez, che è lo stereotipo della donna sensuale del folklore andaluso. Sin dal ritornello vediamo questa sensualità rappresentata come oscura e inquietante perché “umbría” vuol dire “scura, cupa”. “Roja” riporta alla passione e all’erotismo, “seda” (=seta) alla sensualità. Verso 3-4: entra a descrivere parti del corpo intime della donna perché sta parlando delle cosce. Qui c’è una descrizione dell’anatomia del corpo che va da un colore chiaro a un colore scuro. SIMILITUDINE con la sera che passa dalla luce al buio. Verso 5-6: “azabaches” (=giaietto) è una pietra dura di colore nero quindi è lo stesso campo semantico della “sombra”. METAFORA dove la parte interna delle cosce è scura, mentre la parte esposta alla luce è bianco e quindi ha il vero colore della pelle. Verso 7-8-9-10: qui si riferisce a un contatto fisico. “madrugada de conchas” indica un’alba caratterizzata dall’atto sessuale. “Conchas” è METAFORA per l’organo sessuale femminile e “madrugada” è una METAFORA per indicare l’alba. Non c’è una componente narrativa, è solo una descrizione di un corpo sensuale e di questo incontro fisico tra la donna e colui che parla. Verso 11: si riferisce a ciò che ha appena detto. Il contatto fisico lo vuole e può averlo. Verso 12: ripete il verso del ritornello precedente e si chiude come in un ciclo questa immagine inquietante di una donna alla quale non si può resistere e il cui contatto genera sentimenti e sensazione contrastanti. 6 novembre 2018 FEDERICO GARCIA LORCA aveva cominciato a scrivere i testi della raccolta “Primer romancero gitano” intorno al 1924 e aveva cominciato anche a pubblicarli su riviste in modo parcellizzato. Fece conoscere questa sua produzione ai suoi amici e nell’arco di tre anni continuò questa raccolta che venne pubblicata poi compatta nel 1928 presso la casa editrice “Revista de Oxidente”. Egli aveva sperimentato una scrittura molto sensibile a temi della cultura andalusa, alle sue sonorità fin dalla giovane età (cante jondo, le Canciones); ma con Romancero gitano decide di approfondire un aspetto della sua ricerca poetica: sceglie di sviluppare il tema dei GITANI. Lorca fu sempre molto attento e accorto a difendere la sua natura di poeta colto e raffinato e soffrì molto quando, uscita questa raccolta, alcuni cattivi lettori della sua poesia ne esaltarono soprattutto questo tono “popolaresco”, “folklorico”. Egli invece aveva compiuto un’operazione stilistica e poetica molto più complessa e quindi si affrettò a dire in più di un’occasione che i gitani erano un tema della sua poesia e che non si considerava un gitano e non voleva che il suo fare poetico, il suo prodotto fosse caratterizzato come un prodotto popolare perché lui era invece ossesso della cura editoriale dei testi e della confezione stilistica. Il grandissimo successo che ebbe questa raccolta curiosamente causò in Lorca una crisi letteraria profonda, che si accompagnava anche a una grande crisi sentimentale ed esistenziale, perché capì di non essere stato compreso ed era soprattutto molto addolorato perché molti suoi amici, soprattutto Salvador Dalì, erano stati aspramente critici. Al contrario, gli elogi di un pubblico rozzo e poco colto, che aveva capito o ripreso soltanto la parte più esteriore della propria raccolta, lo portarono a una crisi profonda. I gitani sono per Lorca, soprattutto in questo macrotesto, sono delle creature primitive (innocenti, pure, non contaminate dalla corruzione della civiltà) e si contrappongono a un altro personaggio fondamentale di Romancero gitano che è la “guardia civil” perché vivevano ai margini della società grazie al contrabbando e attività illecite. Il poeta ne apprezza soprattutto la cultura e il loro mondo era il mondo ancestrale andaluso, caratterizzavano la terra andalusa e ancora oggi in Andalusia è molto presente la cultura gitana che sono perfettamente integrati. Quando nel 1928 pubblica la raccolta decide di collocare in prima posizione il “Romance de la luna luna”. Questo testo ha già un titolo molto particolare perché è presente un raddoppiamento del sostantivo “luna” che ci fa pensare a una cadenza da ninna nanna o da rito magico. Decide di unire la componente narrativa e quella lirica, quella che veniva affidata alle canzoni, e unendo questi due elementi costruisce una raccolta dove troviamo in ogni testo una dimensione narrativa, un aneddoto, una piccola storia e poi molto lirismo, che si esprime attraverso dei simboli, delle metafore e anche attraverso dei dialoghi. L’elemento del dialogo è molto importante in Romancero gitano e vedremo come i tre testi che leggeremo sono contrassegnati da un botta e risposta dei personaggi. Questo testo ha una struttura narrativa e racconta la storia di un bambino che viene rapito dalla luna personificata, antropomorfizzata, che scende sulla terra, dialoga con il bambino e lo porta su nel cielo. Quando arrivano i gitani lo trovano morto sull’incudine della forgia dove loro lavoravano e naturalmente gettandoli nella disperazione e nello sconforto. Lorca cerca di creare un MITO, mescolando in un perfetto sincretismo elementi della tradizione pagana classica ed elementi anche della tradizione cristiana: è molto tipico di Lorca questo atteggiamento quasi panteistico, questa religiosità eterodossa. Lorca utilizza in chiave moderna elementi mitici e fantastici: in questo caso riprende il mito classico di Endimione, un pastore che la luna andava a trovare ogni notte in una grotta del monte Latmos perché era innamorata di lui, ma lui era perennemente addormentato. Il TEMA DEL SONNO lo rivediamo nel Romance di Lorca perché il bambino è come se stesse dormendo. Infatti, Endimione si trasforma in questo testo in un bambino che però dialoga con la luna e non dorme, ma viene rappresentato adagiato sull’incudine. Questo Romance racconta una storia tragica, la morte di un bambino ed è una morte generata da un intervento astrale. Il testo ha una forma molto precisa: il Romance è costituita da una successione di ottosillabi assonanzato nelle sedi pari con ASSONANZA A/O. Abbiamo due sequenze narrative: una va dai versi 1-9 e la seconda 21-36 e nel mezzo c’è una sequenza dialogica che va dal verso 9-20, dove assistiamo a uno scambio di battute tra il bambino e la luna. Non ci sono segni di interpunzione o virgolette, ma il lettore si rende conto che si tratta di un dialogo. Così come nel Romancero vejo c’erano dei tratti stilistici particolari (es. un uso anarchico dei tempi verbali), Lorca cerca di riprodurre nel suo componimento questo tratto stilistico. Verso 1: notiamo già dal primo verso un passato remoto “vino” (=venne). “Fragua” (=forgia, fucina) questo termine è il primo indizio chiarissimo che ci troviamo in un ambiente gitano perché erano specialisti nella lavorazione dei metalli. Verso 2: la luna è protagonista e viene da subito personificata come un personaggio femminile con la sottoveste. “Nardos” sono dei fiori bianchi e “polison de nardos” è quindi una METAFORA che sta a indicare il colore bianco della luna. Verso 3: c’è un’EPANALESSI del verbo mirar e riproduce la ripetizione che si trova nel titolo e da un marchio stilistico al testo. Anche più avanti ritroveremo questo tipo di ripetizioni. Verso 4: c’è una FIGURA ETIMOLOGICA piuttosto spiccata (mira/mirando) e c’è la descrizione di un contatto, un incontro perché la luna si sta avvicinando e il bambino la guarda attentamente. Verso 5-6: la luna è rappresentata come una ballerina che muove le sue braccia come in una danza gitana. Verso 7: “lùbrica y pura” OSSIMORO dove Lorca sta indicando questa natura ambivalente della luna che è al contempo una creatura pura, astrale ma anche lasciva e peccaminosa perché porta morte e dolore. Verso 8: un nuovo elemento anatomico di questa figura femminile metaforica perché i suoi segni sono rappresentati come di metallo (lo stagno) ed è una METAFORA NEGATIVA perché Lorca attribuisce sempre ai metalli caratteristiche negative, sono un preludio di morte. Qui finisce la prima sequenza sintattica. Verso 9: comincia la sequenza dialogica tra la luna e il bambino. Comincia a parlare il bambino perché c’è un vocativo rivolto alla luna (il sostantivo luna viene addirittura triplicato). Verso 10-11-13: qui abbiamo un PARALLELISMO SEMANTICO perfetto con quanto il poeta aveva detto prima nella sequenza narrativa e il bambino, che è consapevole della natura metallica della luna, le consiglia di scappare perché i gitani sono esperti nella lavorazione dei metalli. Verso 14: qui parla la luna con un altro imperativo (il vocativo apre il verso al contrario del bambino che esordisce con l’imperativo “Huye”). Verso 15-16-17: questo è un presagio di morte da parte della luna e naturalmente il bambino non sapeva quello che sarebbe successo, ma chi legge il Romance immagina la scena che si sta per profilare. Verso 17: si ripete il verso 9 in modo identico. Verso 18: il cavallo è l’animale che accompagna sempre i gitani perché sono il loro mezzo di locomozione, è un altro elemento che connota questo mondo. Verso 1: è un primo verso apparentemente sgrammaticato all’interno del componimento, decontestualizzato e sintatticamente isolato (c’è il punto a fine verso). Lorca non ha mai spiegato perché ha utilizzato questo verso. Juan Ramon Jimenez si rese conto che questo era il primo di una Cobla che circolava in Andalusia, del repertorio folklorico andaluso. È un verso tipicamente popolare per la sua ripetizione ma anche per il contenuto che appartiene a un contesto rurale (verde è il colore dell’oliva nella cobla). Lorca amava moltissimo inserire citazioni, frammenti che lui aveva nella memoria o che continuava a sentire anche da adulto. Costruisce il Romance come un’amplificazione con variazioni di questo primo verso e l’elemento principale è il colore, il CROMATISMO spiccato del verde (ripetizione che crea un’EPANADIPLOSI) e che attraverserà tutto il componimento; addirittura Lorca utilizzerà questo verso come una sorta di ritornello perché lo ripeterà in vari punti del testo. Il colore verde sarà riferito a diversi sostantivi, a diverse realtà che non sono strettamente collegate a questo colore. In questa ricontestualizzazione del verso che Lorca fa, probabilmente interpreta o attribuisce il colore verde al suo stesso componimento come se lui con questa forte volontà (quiero) vorrebbe far diventare il Romance verde (riferimento metapoetico, al suo stesso testo). Verso 2: riprende l’aggettivo verde. È un ottosillabo perfettamente bipartito dalla presenza del punto. EPANALESSI dell’aggettivo e perfetto PARALLELISMO SINTATTICO. Tecnicamente in retorica in questo caso dovremmo parlare di POLIPTOTO perché c’è una variazione della funzione grammaticale del termine (singolare e plurale). Questo verso ci riporta a un mondo naturale, probabilmente a una realtà rurale che poi è quella nella quale vi aveva ambientato il Romance; però che un vento sia verde è una SINESTESIA perché il vento non si percepisce attraverso la vista. Anche “verdes ramas” è una SINESTESIA. Verso 3-4: sono versi strettamente legati tra di loro e contribuiscono alla contestualizzazione del Romance. Descrive due elementi: la barca che si trova nel mare e il mare che è lontano al contesto in cui si sta svolgendo l’azione. Il cavallo, che è l’elemento che subito ci rimanda al mondo gitano, si trova in montagna. Questi due elementi torneranno anche alla fine del Romance per chiuderlo. La barca è un mezzo di trasporto per le merci e arriva dal mare; il cavallo anche è un mezzo di trasporto via terra. Velato riferimento al contrabbando di merci che venivano scaricate nei porti e poi nascoste. Verso 5-6: cambia la collocazione dell’occhio dell’io lirico. Appare un personaggio femminile. “baranda” SINEDDOCHE perché indica una parte del tutto perché le balaustre circondavano le cisterne. Da questi primi versi ancora non si capisce cosa sia successo alla ragazza perché qui dice solo che sogna all’interno della cisterna (sognare=stato di incoscienza). Ovviamente il sogno è METAFORA della morte. Verso 7: la ragazza ha i capelli e la pelle verdi perché il verde è il colore dell’acqua stantia quindi possiamo intuire che il corpo non è vivo, ma che fa già parte di un contesto di morte perché l’acqua stagnante è proprio una sorta di ISOTOPIA nella poetica lorchiana. Netta bipartizione del verso e PARALLELISMO SINTATTICO con la presenza di un CHIASMO (agg.sost./sost.agg). la ripetizione del verde crea un’EPANADIPLOSI. Verso 8: definitiva rivelazione della morte perché questi occhi ormai sono diventati cerulei e freddi (un corpo freddo è un corpo morto). La fanciulla quindi è morta annegata nella cisterna. Verso 9: si ripete il primo verso e anche qui non ha nessuna relazione sintattica con quanto precede e con quanto segue. La sua alterità la si apprezza continuamente ed è qualcosa di voluto da Lorca. L’unico elemento che connette questa citazione al resto è la ripetizione del colore verde. Verso 10-11-12: “luna gitana” è una METONIMIA perché è quella luna che i gitani vedono nel luogo in cui si trovano. Tutto, compresa la luna, stanno guardando la ragazza ma lei non può ricambiare perché è morta. In sede di rima c’è un POLIPTOTO (mirando/mirarla) che enfatizza l’azione del guardare: la prima in senso positivo e la seconda in senso negativo. 2 SEZIONE Verso 13: si apre con lo stesso verso della prima sezione. Verso 14: è una METAFORA che indica la presenza di stelle di brina nel cielo nel momento in cui si avvicina l’alba. Le stelle, come la luna, rappresentano il mondo lontano degli astri che assiste continuamente alla vita e alle tragedie degli uomini senza però esserne toccate. Verso 15-16: si complica la METAFORA perché il pesce è un animale di per sé molto veloce e guizzante quindi questa immagine del pesce abbinato all’ombra indica un movimento rapido di luce e ombra. Si parla sempre di questo momento dell’alba in cui i primi bagliori del giorno cominciano a sguizzare nel cielo e ad essere percepiti dall’occhio in questo modo. Lorca costruisce spesso delle metafore utilizzando elementi del mondo naturale. Verso 17-18: qui c’è quasi una antropomorfizzazione dell’albero di fico (=la higuera) e un capovolgimento dell’azione perché attribuisce all’albero il gesto di colpire il vento quando invece è il secondo che muove gli alberi con la sua forza. I rami del fico sono metaforizzati come raspe che agiscono. Con il sostantivo “higuera” troviamo implicitamente il colore verde. Verso 19-20: “gato garduño” (=gatto selvaggio) è una METAFORA perché il monte è paragonato ad esso. L’aggettivo garduño è un GRANADINISMO, un’espressione tipicamente granadina che indica un gatto selvatico, una specie di lince che viveva nelle montagne attorno a Granada. La montagna nella sua struttura la paragona a un gatto selvatico (e il suo pelo esso quando sente il pericolo drizza il pelo) è rappresentato dalle piante grasse (colore verde rappresentato implicitamente) che si trovano nella montagna di Granada e che il vento fa drizzare. Verso 21: qui c’è la prima domanda da parte della voce lirica che vuole insinuare un dubbio nel lettore. Verso 23: ripete il verso 7 della sezione precedente. Verso 24: qui “soñar” vuol dire sognare qualcosa e non indica uno stato in luogo, è una locuzione verbale. Sognare da una parte di una persona morta è impossibile ma la presenza del “mar amarga” (=mare amaro) ci rimanda al 3 verso. Crea una connessione tra l’elemento del mare e il motivo per cui quella donna si trova in quella cisterna morta. Il mare è amaro perché ha causato in lei una grande disperazione perché il suo uomo si trovava in mare a recapitare certa merce e non era più tornato. 3 SEZIONE Qui assistiamo ad un dialogo che ci permette di capire meglio quello che sta succedendo. Verso 25-26: la prima voce che interviene è il giovane gitano che si rivolge a suo suocere e lo capiamo dal termine “Compadre”, usato per dimostrare rispetto a persone più grandi. Dà del lei a suo suocere e avanza subito una richiesta: la casa al posto del suo cavallo. Verso 27-28: “mi” ANAFORA con il verso 26. PARALLELISMO SINTATTICO di questi tre versi. Sta cambiando una serie di elementi gitani per quelli che appartengono a una casa perché non vuole più essere un contrabbandiere. Verso 29-30: “puertos” sono delle zone particolarmente impervie che si trovano tra versanti diversi di montagna e appunto sono dei luoghi nei quali i cavalli e le persone potevano passare per attraversare le montagne. Los puertos de Cabra (provincia di Cordoba) erano conosciute come zone di contrabbandismo: è un ulteriore elemento del fatto che questo giovane si sta presentando come un contrabbandiere. Verso 31: “mocito” (=giovanotto) è un vocativo e ci fa capire che è cambiata la voce, cioè suo suocero sta rispondendo. Verso 32-33-34: questa espressione così apparentemente semplice lui sta dicendo che è successo qualcosa che lo ha cambiato profondamente e che non potrà essere più la stessa persona quindi non può fare quello che il giovane ha richiesto. Verso 35-36: risponde il giovane e compare per la prima volta esplicitamente il termine “morir” e gli chiede di poter morire decentemente in un letto. Verso 37: letto di metallo, un letto vero e non di pagliericcio. Verso 38: un letto con lenzuola di Olanda, lenzuola pregiate per morire dignitosamente. Verso 39-40: il giovane ha una ferita molto profonda che causerà la sua morte e lui ne è consapevole. Verso 41-42: “pechera” (=dorso della camicia) SINEDDOCHE per indicare una parte della sua camicia. “Trescientas rosas morena” (=trecento rose brune) è una METAFORA IPERBOLICA che indica le macchie di sangue sparse sulla camicia che sono evidentemente un numero esorbitante. Verso 43-44: c’è stata una perdita di sangue consistente quindi si sente un forte odore. “Faja” (=fascia) è un altro indumento tipicamente maschile. Verso 45-46: ripete i versi 33 e 34 e gli sta dicendo che lui è consapevole delle sue pessime condizione ma lui non può farci più niente. Verso 47-48: gli risponde il giovane, passando dal lei al voi, di lasciarlo salire almeno fino alle balaustre. Verso 49-50: “verdes barandas” (=verdi balaustre) si riferisce a una piazzetta del Sacromonte, un quartiere di Granada, dove c’era una cisterna circondata da queste balaustre. È probabilmente un riferimento a questo luogo che per altro era abitato dai gitani. Verso 51-52: c’è un POLIPTOTO (barandas/barandales) che crea una ANADIPLOSI tra questi due versi. La luna è sempre presente ed è l’elemento che osserva questo spazio e l’acqua rimbomba all’interno della cisterna. 4 SEZIONE Continua la parte diegetica con descrizione e narrazione, ma senza dialoghi. Verso 53-54: i due uomini si stanno recando verso il luogo dove giace morta la fanciulla L’incipit ci ricorda il gusto di Lorca per i procedimenti intertestuali, per la ripresa di immagini o di parti di testo di componimenti altrui: in questo caso la fonte è un testo antico, il poema epico del “Cantar de mio Cid”, in particolare il verso 235 che dice “A priessa cantan los gallos y quieren quebrar albores (=Presto cantano i galli e l’alba vuole irrompere). Questo è un verso del poema epico scritto intorno alla metà dell’XI secolo, che narra le vicende del condottiero Rodrigo Diaz, vassallo di Alfonso VI; è un verso che rappresenta in modo lirico quei momenti precedenti all’alba. Verso 1-2: Lorca riprende questa immagine dei galli che annunciano l’alba (ARCHETIPO di tutti i popoli dell’associazione tra il canto del gallo e l’alba), rendendola più plastica perché introduce “las piquetas” (=le piccozze, strumenti che servono per scavare la terra e per rompere le superfici dure) e sono METAFORA del becco del gallo. I galli con i loro becchi scavano, cercando l’aurora. Lorca ha interpretato questo verso del Poema del mio Cid “quieren quebrar” come un’azione attribuita ai galli. Probabilmente non è stato un errore di interpretazione ma è stata una sua volontà di alterare il senso di questo verso e di costruire quindi un’immagine altamente evocativa. Verso 3-4: “por el monte oscuro” (=per il monte oscuro) è una PERIFRASI per indicare il calvario, che nell’immaginario cristiano è il monete della crocifissione di Cristo, la quintessenza della sofferenza umana. Quindi, in modo metaforico indica questo dolore profondo di Soledad Montoya, che viene presentata al quarto verso. “Montoya” è un tipico cognome gitano molto diffuso in Andalusia. Verso 5: passa a descrivere questa figura femminile. La virgola tra “amarillo” e “su carne” sintatticamente non è giustificata perché amarillo è un’apposizione di su carne, ma ha una funzione ritmica, di creare quasi una brevissima pausa all’interno del verso, un suggerimento di lettura. CROMATISMO molto forte del giallo che indica la sofferenza d’amore (tutto il Cante Jondo utilizza questo cromatismo del giallo per indicare la trasformazione innaturale del colore della pelle di coloro che soffrono d’amore). Verso 6: Il cavallo è un elemento naturale che è quasi sempre il referente metaforico della passione amore. “Caballo” rappresenta la passione amore frustrata della figura femminile. “sombra” è il dolore, la tristezza, ciò che rende nera la vita. Verso 7: METAFORA che abbiamo già incontrato con qualche variazione nel Romance de la luna luna, dove la luna era presentata con segni di duro stagno, di materiale metallico. Qui i suoi seni sono delle incudini bruciate (volontà da parte del poeta di esprimere questo processo di logorio, di annientamento e di avvicinamento alla morte della protagonista). Verso 8: “Canciones redondas” probabilmente si riferisce alle canzoni con ritornello, tipiche della tradizione popolare e folklorica che lui stesso aveva frequentemente utilizzato. Comunque l’aggettivo implica una nozione di circolarità, che rimanda appunto alla struttura compositiva di questi testi, di queste canzoni. È chiaramente una metafora tecnica, metapoetica che non tutti possono capire. Verso 9-10: finisce questa prima sezione narrativo-descrittiva nella quale il poeta contestualizza la scena e presenta il personaggio. Comincia ora un dialogo, che a differenza del Romance della luna luna, presenta dei segni di interpunzione; Lorca ha voluto essere più esplicito nella distinzione di questi personaggi che dialogano. Comincia a parlare questa voce lirica esterna, che si identifica con il poeta stesso, e si rivolge a Soledad, chiamandola per nome. Il verso 10 ha una forma linguistica arcaica che è questo “compaña” (scritto con la n palatala), forma del castigliano medievale che era molto presente nel Cid. Quindi, questa particolarità linguistica e lessicale di questo verso è dettata da questa volontà di attingere un po' allo stile epico da cui lui era partito. Verso 11-12: “Pregunte…pregunte” EPANADIPLOSI, il verso si apre e chiude con la stessa parola. Soledad si mostra da subito fredda per proteggersi ed evitare di dare una risposta al poeta. Verso 13: “Buscar/ busco” POLIPTETO Verso 16-17-18: un cavallo che si imbizzarrisce, che corre veloce verso un destino che nemmeno lui sa e alla fine trova il mare e le onde lo investono. Attraverso questa METAFORA sta descrivendo la passionalità incontrollabile che va incontro alla morte. Le sta dicendo che deve dominare questa passione perché l’unico effetto che questa potrà produrre è la morte. Il mare ci ricorda uno degli elementi del presagio di morte che spesso sono presenti nella poetica lorchiana (come in Romance sonámbulo, dove all’inizio diceva che il mare aveva portato via il contrabbandiere dall’amata). Verso 17-19: “El mar-la mar” si possono utilizzare entrambe le forme. Verso 19-20-21-22: il mare è un elemento di inquietudine, preoccupazione per lei. “tierras de aceitunas” (=terra di olive) è una PERIFRASI per indicare le terre andaluse. Le foglie naturalmente sono quelle degli olivi. Questa immagine del vento che causa un fruscio di foglie è presentissima nella poetica lorchiana, in tanti momenti della sua produzione. Verso 23-24: di nuovo interviene il poeta e constata questa pena profonda della protagonista. Verso 25: le sue lacrime sono succo di limone, quanto di più aspro e agro si possa pensare. È una METAFORA per indicare le lacrime amare e c’è una SINESTESIA perché “lloras” è qualcosa che si percepisce con la vista e il succo di limone al gusto. Verso 26: “De espera” qui intuiamo che uno dei motivi del dolore, della pena di Soledad è un’attesa vana che la sta facendo disperare e che la porterà alla morte. “De boca” perché è un’acidità che si percepisce persino con la bocca; d’altra parte la metafora del succo di limone aveva introdotto questo incrocio tra campi sensoriali. Verso 29: immagine di una donna quasi discinta con dei capelli sciolti che spazzano per terra perché corre come una pazza. Verso 31-32: “azabache” (=gialletto) è una pietra dura di colore nero. Sta facendo diventare nera la sua carne e i suoi vestiti. La carne che all’inizio era presentata come gialla per la sofferenza d’amore, adesso, per processo di combustione (metafora dell’arrivo della morte), sta diventando nera insieme alla sua anima. Verso 33-34: “Ay” ANAFORA che ci ricorda il Cante Jondo e la Baladilla de los tres ríos. “ amapola” (=papavero) il papavero per il suo colore rosso rappresenta la passione e le cosce indicano la passionalità frustrata della protagonista. Lei sta piangendo per il mancato godimento di quegli elementi che sta annunciando (le sottovesti, le cosce), il suo erotismo non può essere esplicitato e vissuto perché è sola. Verso 35: “soledad”, invocazione del poeta. Verso 36: METAFORA dell’allodola bianca, uccello che annuncia il mattino, per pulire il suo corpo nero e purificarlo. Verso 37-38: si deve purificare nel corpo e nell’anima, deve trovare la pace interiore. Verso 39: si chiude il dialogo tra i due e comincia quest’ultima sezione nella quale Lorca torna alla dimensione lirico- narrativa del Romance e descrive la natura, in particolare un momento della giornata come era solito fare. Evidentemente qui si riferisce ai rumori del fiume. Verso 40: METAFORA in cui il fiume è come un volante, caratteristica di certi abiti femminili, che indica la linea sinuosa del fiume. Rappresenta il movimento sinuoso del fiume. Verso 41-42: METAFORA per dire che il giallo del fiore di zucca rappresenta la luce del giorno. Il Romance si era aperto con un annuncio di alba e dopo il dialogo ormai il giorno è entrato. Verso 43: il tempo passa, le giornate proseguono, la natura è sempre la stessa così come la pena dei gitani è sempre la stessa e rimane immutabile nel tempo. ANAFORA “pena” nei versi 43-44-45. Verso 44: “Limpia” in questo contesto è come sinonimo di “sola”; è pulita perché assoluta, non mescolata ad altro e non accompagnata da nessun altro sentimento. Verso 45: “cauce” (=alveo, letto del fiume) richiamo al fiume che aveva citato prima. È una pena con un’origine occulta, nascosta. Verso 46: “Madrugada” è il momento della giornata che sta tra le ultimissime ore della notte e l’alba. Indica in questo contesto l’impossibilità di individuare l’origine della pena. “Oculto” e “remota” fanno parte dello stesso campo semantico. È, inoltre, un termine che può riportare anche un richiamo al Cante Jondo come tecnica, modalità di canto perché si realizzava quasi sempre al momento della madrugada. il Cante Jondo è quella frazione musicale che meglio rappresenta l’essenza del popolo andaluso, quella di un popolo angosciato da questa pena che non riusciva a superare e che marcava tutte le espressioni della propria cultura. Poeta en Nueva York è una raccolta più complessa perché Lorca sperimentò non solo un’esperienza di vita completamente diversa che si riflette nei testi, ma anche una sperimentazione estetica e stilistica che lo portò a creare con il linguaggio in parte nuovo a quello utilizzato fino ad allora. L’ultima raccolta che lui pubblica prima di andare a New York è Romancero gitano: aveva avuto un grande successo del pubblico di massa, ma aveva ottenuto molte critiche da parte di alcuni suoi carissimi amici e questo aveva gettato Lorca in una disperazione intellettuale, personale molto profonda. Unito al fatto che anche dal punto di vista personale e privato aveva avuto varie delusioni sentimentali, decise di passare un periodo a New York e nel giugno del 1929 si imbarcò e arrivo dopo un mese circa di navigazione. Restò lì per più di un anno con alcuni viaggio in altre zone degli Stati Uniti e sempre ospite di amici, sempre protetto dalla comunità ispanica che cercava di farlo sentire a proprio agio e aiutarlo a superare quella crisi. Quando arriva a New York, Lorca si rende subito conto di trovarsi a un mondo completamente diverso rispetto alla sua Andalusia, regione rurale dove praticamente l’industria era pressoché sconosciuto e la società era strutturata in modo diverso. Arriva a New York e vede una metropoli fatta di grattacieli in cui le differenze sociali sono stridenti, questo genera in lui, che era così empatico nei confronti di chi soffriva, una grande sofferenza e soprattutto coincide questo soggiorno con questa crisi letteraria che non sa come affrontare: lui è disperatamente alla ricerca di un rinnovamento del proprio linguaggio poetico per staccarsi da quella etichetta di poeta popolare che gli era stata affibbiata, però non riesce bene a trovare la formula. Nella conferenza su Poeta en Nueva York parla della sua esperienza poetica e dice che avrebbe dovuto chiamare questa raccolta “Nueva York en el poeta” perché parla della città vista dal suo punto di vista, essa è la protagonista. Si descrive come un poeta che usa la poesia per evadere dalla realtà o comunque per cercare di comprenderla. Lorca immagina di stare davanti a un pubblico con orecchie amiche, clemente e non vuole fare una conferenza ma una lettura di poesia, che è la sua carne e la sua gioia. Lui sente come una minaccia esprimersi (immagine di morte). Ha una funzione metapoetica perché allude all’attività della scrittura. Verso 11: sta esprimendo la propria inquietudine perché non riesce a trovare una strada e una propria identità. Questa frammentazione dell’io, del volto che cambia tutti i giorni è sintomo di una crisi interiore e di una crisi poetica. Questo testo da una chiave di lettura di tutta questa operazione creativa che lui fa nel soggiorno a New York: cercare una nuova estetica, una nuova forma di espressione e al contempo sentirsi mutilato come quelle creature che descrive. Proprio per questo decide di porlo come brano di apertura della raccolta. “La aurora” è un altro testo chiave di Poeta en Nueva York perché rappresenta in modo molto più icastico, classico le sensazioni che gli suscitava la città sia nei suoi elementi esterni, materiali, fisici sia nella struttura sociale e nello stile di avita che la popolazione aveva. Presenta una struttura molto particolare perché è costituito da cinque quartine, di cui le prime due sono di versi liberi e le ultime tre formate da versi alessandrini. Non c’è una disposizione precisa di assonanze ma c’è una volontà di strutturare quelle strofe, scegliendo un metro ben preciso. È un caso molto particolare perché in Poeta en Nueva York Lorca predilige l’uso del verso libero quindi è una sperimentazione molto significativa all’interno di questa raccolta. Il tema di questo componimento è l’aurora di New York (lo capiamo dal titolo e dall’incipit). Verso 1: nell’immaginario collettivo degli archetipi culturali di tutto il mondo rappresenta sempore un momento di gioia e di rinascita perché è il momento in cui torna la luce dopo la notte. Tradizionalmente, all’aurora sono sempre stati legati significati positivi, ma quella di New York porta solo morte e disperazione. Verso 2: METAFORA con cui ci introduce all’architettura di New York che è quella dei grattacieli (visti come grandi colonne cittadine). Gli associa il fango che è un materiale povero e non duraturo. Prima caratterizzazione negativo di questo panorama architettonico. Verso 3: METAFORA dove l’uragano è un movimento violento di aria quindi le colombe si muovono furiosamente e sono nere perché snaturate, hanno perso la loro caratteristica fisica principale che è il biancore. Verso 4: le colombe hanno perso la loro peculiarità perché sguazzano nelle acque stantie di New York. È una città dove la pace e la serenità (la colomba ne è il simbolo) sono state contaminate dal putridume della città. Verso 5: ANAFORA fortissima con verso 1, quasi un’identità ma cambia il verbo, e PERSONIFICAZIONE dell’aurora. Verso 6: le scale rappresentano i palazzi di New York Verso 8: “nardos” sono dei fiori bianchi CROMATISMO. Il fiore è espressione della bellezza e della grazia. Cerca un bianco che in realtà non trova e non esiste, può essere soltanto disegnato. Verso 9: immagine ispirata ad uno dei simboli più forti del cristianesimo che è l’eucarestia. L’aurora arriva ogni mattina ma nessuno la riceve nella sua bocca, quindi nessuno si nutre dell’aurora; non produce nessun effetto sulla popolazione di New York, non ha una funzione di rinascita, di salvezza. Verso 10: esplicitazione della disperazione assoluta di quel popolo. Verso 11: METAFORA dove il movimento furioso è dello sciame di monete. Lo sciame è qualcosa che si muove in modo veloce e violento, quindi è una metafora applicata al capitalismo, al consumismo. Verso 12: questi sciami sono aggressivi; le monete uccidono i bambini orfani senza un futuro. Il consumismo, il capitalismo sfrenato che c’è a New York non fa che creare una generazione di orfani perché appunto impedisce la vita vera. Verso 13-14: i primi che escono al mattino comprendono con le loro ossa, comprendono in un modo totale, completo che non ci saranno né amori né felicità. “Amores deshojados” è una METONIMIA perché si fa con i petali dei fiori per vedere se si è amati o meno. Verso 15: “numeros y leyes” è una METONIMIA perché rappresentano gli affari e la giustizia, mondo che snatura gli esseri umani. Verso 16: i giochi senza regole sono perversi nei quali chi partecipa sa che non vincerà mai perché comanda chi gestisce; i sudori senza frutti è un’immagine metaforica che rappresenta le fatiche inutile, che non danno una gratificazione. Sta proprio descrivendo questo sistema economico e sociale di New York dove tutti si ammazzano di lavoro. Verso 17-18: l’ultima strofa denota un’assenza di luce. Questo testo è tutto una negazione di quelle che sono le caratteristiche dell’aurora (se in generale è allegria, questa allora è angoscia; se è luce, allora questa è oscura). La luce è seppellita dalle catene e dai rumori delle macchine (“cadenas y ruidos.” sono due METONIMIE). La scienza senza radici è una scienza che ha perso il contatto con la natura, che non è in grado di rispettarlo e neanche la considera più. È quello che in fondo aveva detto anche nella conferenza dove questa popolazione non è più in grado di guardare il cielo e di percepire la brezza marina che il mare invia agli uomini affinché percepiscano di essere parte di un mondo naturale che li contiene. Verso 19-20: questa umanità, che incomincia in queste due ultime strofe ad apparire (a partire da “Los primeros” e ora con “gente”), viene esplicitata. Gli esseri umani hanno perso completamente la propria identità e vanno in giro come degli zombie, come superstiti di un naufragio di sangue. “Niña ahogada en el pozo” il sottotitolo è “(Granada y Newburgh)” perché questo componimento lo scrisse durante un suo soggiorno in campagna, si era allontana da New York per andare al confine con il Canada e racconta di essere stato ospite di una famiglia di contadini ospitali e gentili, che aveva due figli: il bambino di nome Stanton (in Poeta en Nueva York c’è proprio un componimento dedicato al nino Stanton) e una bambina di nome Mary. Nella conferenza descrive un po' questa famiglia, quello che faceva nel lago e descrive le sue sensazioni. A un certo punto racconta della morte della bambina affogata in un pozzo e questa disgrazia, che lo aveva gettato in una disperazione profonda, e gli fece tornare in mente una tragedia che si svolse a Granada nella sua adolescenza di un‘altra bambina annegata in un pozzo. Accosta questi due eventi analoghi. Il tema della morte per annegamento è infatti una specie di ossessione nella poesia di Lorca (come la protagonista di Romancero sonambulo). È un testo caratterizzato da una struttura fissa, che è quella di TERZINE tranne l’ultimo verso isolato che ripete il RITORNELLO, che troviamo in tutte le strofe: “que no desemboca”= acqua che non sbocca, acqua stantia). Questi due toponimi, Granada e Newburgh, creano una sorte di fusione tra le vicende di queste due bambine lontane nel tempo e nello spazio, ma caratterizzate dalla stessa tragica morte. Sono per lo più versi liberi, con qualche assonanza, e Lorca non ricerca una strutturazione metrico- prosodico ben precisa. La PRIMA STROFA presenta delle statue che rievocano l’architettura newyorkese e sono degli esseri inanimati, quindi questa rappresentazione di oggetti sofferenti è come se stesse descrivendo un mondo che tutto, anche negli elementi inanimati, partecipa di un dolore. Soffrono per la morte altrui, ma ancora di più per l’acqua che non sbocca (riferimenti al pozzo e a questa precisa tragedia che vuole raccontare). Nella SECONDA STROFA racconta quello che ricorda dell’annegamento della bambina di Granada. Descrive qui un’architettura e un contesto sociale andaluso (infatti i castelli hanno una merlatura e sono tipici del paesaggio granadino). Dà voce alle persone del paese e le stelle, che sono elementi astrali, partecipano alla concitazione del momento. Nella TERZA STROFA c’è una METAFORA dell’occhio di cavallo che indica la cisterna che ha una struttura circolare come l’occhio dell’animale. Nella QUARTA STROFA “distancias” è una METAFORA che indica gli strumenti che potevano servire alla bambina per tirarsi fuori dal pozzo. “Afilado limite” (=bordo affilato) è un’altra METAFORA per indicare il bordo del pozzo. Un futuro di diamante è un futuro impossibile perché il diamante è un minerale che per Lorca ha un valore fortemente negativo (spesso rappresentazione della morte). Infatti la bambina è morta quindi il suo futuro è di diamante. Nella QUINTA STROFA mentre la gente cerca il riposo, appoggiando il proprio capo sul cuscino (sta descrivendo un’immagine notturna), lei nel suo ricordo è per sempre lì in quella cisterna intrappolata (“en tu anillo”= nel tuo anello, METAFORA per indicare la cisterna). Nella SESTA STROFA allude al movimento delle radici nell’acqua stantia. Nella sua memoria lei sarà eternamente intrappolata dalle radici che l’avevano tenuta avvinta a loro nella cisterna. Nella SETTIMA STROFA ritorna a descrivere quella scena di concitazione che lui ricorda a Granada, perché l’aveva vissuta in prima persona. Sono frasi che il popolo dicevano alla bambina una volta accorsi in aiuto. “Cada punto de luz”= ogni punto di luce, sarebbero le torce dei soccorritori; METONIMIA perché sarebbero le persone. Nella OTTAVA STROFA dice che non riescono a farla uscire perché il pozzo a sua volta cerca di attirarla a sé, porgendogli delle manine di muschio (tipico delle acque stantie; immagine surreale). avviene a pari passo con una sorta di violenza, che lui subisce da parte di questo alluminio, che rappresenta tutto ciò che è negativo nel mondo, e dalle grida degli ubriachi (per Lorca l’ubriaco rappresenta il simbolo della degradazione umana che lo fa soffrire). Verso 14: IMMAGINE SURREALE. Continua a rivolgersi a un tu che però intuiamo nel corso della strofa non essere più la voce, ma sappiamo essere una sorta di folletto (“hombrecillo de los cuernos”). Il superamento di una porta, di una barriera in Lorca è sempre indizio di una volontà di superare un problema, un pericolo, una situazione. Verso 15-16: ci sono due personaggi biblici che sono anche gli archetipi del genere maschile e femminile. Il loro mondo è innaturale perché Eva mangia le formiche (per Lorca sono gli insetti più repellenti della natura, provava un forte disgusto per esse e sono quasi sempre sinonimo di morte e putrefazione) ed è un’immagine fortemente repulsiva, mentre Adamo feconda dei pesci quindi è una figura maschile che compie un’azione assurda e impossibile, un’azione sterile. È, dunque, la rappresentazione di un mondo assurdo che gli genera repulsione. Verso 17-18-19: questo è il mondo che lui vuole abbandonare e vuole entrare in un mondo diverso oltre la porta dove ci sono persone felici (METONIMIA del bosco), incontaminato da questa corruzione rappresentata precedentemente, una sorta di Eden (il nome del lago generò in lui questa associazione di concetti). ASSONANZA A/O nei verso 16-19 e ASSONANZA E/O nei versi 17-18. Verso 20-21: in questa strofa lui accenna a delle azioni di tortura o di martirio. La prima la intuiamo con lo spillo ossidato, arrugginito che viene usato come arma per ferire. Verso 22-23: ANAFORA e immagine che ci ricorda l’iconografia più diffusa del martirio di Santa Lucia, a cui vennero tolte le orbite degli occhi. L’immagine più frequente è quella che rappresenta queste due orbite oculari su un piatto, esposte come un trofeo. Quindi, qui abbiamo una rappresentazione di martirio con valore simbolico perché con questi versi (con lo spillo e con le orbite sul piatto) vuole esprimere il fatto che lui conosce cosa sia la tortura perché l’ha provata su di se. ASSONANZA A/O neri versi 21-23 e ASSONANZA E/O nei versi 20-22. È un testo con versi liberi, ma certe equivalenze foniche attraversano il testo. Verso 24-25: di nuovo si rivolge a quella voce antica che adesso è diventata divina perché per lui rappresenta la perfezione e che sta cercando di raggiungere. “Divina” e “humano” rappresentano due realtà contrapposte. Verso 26-27: questo amore umano è un amore segreto, un amore che deve essere nascosto perché è un amore non accettato e qui evidentemente sta facendo riferimento alla propria dimensione sentimentale, alla propria omosessualità e al fatto di voler difendere quella sua particolare condizione che è costretto a vivere segretamente. Lui vorrebbe essere libero e ripete questa voglia di amore umano con enfasi al verso 27. Verso 28: un’altra IMMAGINE SURREALE. “perros marinos” è una specie di pesce che fa parte del mondo naturale in cui si trova in quel momento. Verso 29: il vento è rappresentato quasi ANTROPOMORFIZZATO come quella forza naturale che sta in agguato sui tronchi distratti, come un cacciatore che sta per tuffarsi contro dei tronchi per spezzarli. Verso 30-31: di nuovo si rivolge alla voce con l’aggettivo iniziale “antigua” e gli chiede di bruciare con la sua lingua questa voce di latta e di talco. Torna sulla questione METAPOETICA e chiede alla voce antica, pura, libera dal dolore di bruciare la voce attuale. “Voz de hojalata y talco” METAFORA negativa perché i materiali metallici sono simbolo di morte e infertilità; il talco, in quanto polvere e materiale privo di acqua, è una metafora di sterilità. Questa voce attuale è, dunque, sterile e porta sensazioni negative, non permettendogli di produrre buone poesie. Verso 32-33: SIMILITUDINE del bambino all’ultimo banco che è immagine di emarginazione e isolamento. Lo stesso verbo “lloran” è ripetuto nei due versi successivi. Verso 24: è come se volesse negarsi qualsiasi statuto. Non è un uomo, un poeta, né una foglia, cioè parte della natura. Verso 35: è un polso ferito. Il polso è la zona del corpo in cui meglio si percepiscono le pulsazioni del cuore quindi rappresenta un po' il centro della vita. Il polso è la profondità dell’essere, che cerca di sondare le cose dall’altra parte, le cose nascoste, che non si possono vedere. Egli vede se stesso come un coacervo di sentimenti, ferito e sofferente che si sforza di capire cose che non sono immediatamente intuibili, cerca di scoprire una verità che non è disponibile a tutti. ASSONANZA A/O nei versi 33-35. Verso 36: questa strofa inizia con un’ANAFORA che riprende perfettamente il sintagma della strofa precedente “Quiero llorar”. Verso 37: ritorna la metafora della rosa come sentimento e quindi rievoca la dimensione sentimentale (la rosa), la dimensione infantile e pura (niño) e l’interiorizzazione dello spazio che lo circonda (abete). Descrive la sua partecipazione totale al luogo in cui si trova. Verso 38-39: STROFA METAPOETICA in cui afferma di voler dire la sua verità, superando il formalismo e la ricerca estetica. Vuole esprimersi in modo tale da non essere schiavo della suggestione del vocabolo, della forma e trovare una poesia che gli permetta di esprimere se stesso in modo autentico e senza farsi ingannare (nel senso della burla) da una parola che non sia autentica. Una dichiarazione metaforica di una nuova estetica che vuole perseguire che non sia schiava della forma. Verso 40: tre negazioni che indicano una forte posizione dell’io poetico che rifiuta di chiedere e che invece vuole affermare il desiderio di essere qualcosa. Verso 41: prima voleva la sua libertà come uomo ma ora anche una voce libera e liberata, che sia in grado di esprimere tutto quello che gli succede. Questa voce non si ferma ai piedi come prima, ma sale alle mani; come se questa voce si fosse avvicinata sempre di più al centro della sua persona, al cuore. Verso 42-43: IMMAGINE SURREALE in cui è presente il suo nudo, dei paraventi che dovrebbero coprirlo, una luna castigatrice (elemento negativo) e un orologio incenerito (METAFORA di un tempo fermo). Nell’ultima strofa c’è uno sdoppiamento del poeta (epilogo del testo). Si colloca in una posizione altra rispetto a quella avuta fino a quel momento. Introduce il concetto di un suo conflitto interiore irresolubile (“equilibrios contrarios”). Verso 44-45: Saturno nella mitologia classica era il dio latino Chronos e c’è una leggenda che narra che egli mangia i suoi figli. Qui, questa immagine probabilmente si ricollega all’orologio incenerito della strofa precedente, Saturno trattiene i treni come se appunto il tempo non esistesse più, come se il tempo si fosse fermato. Verso 46: il sonno come condizione di sospensione tra la vita e la morte. Verso 47: ANADIPLOSI perché c’è una ripetizione dell’ultima parte del verso 46 in questo verso. Verso 48-49: IMMAGINE SURREALE in cui la corporeità delle mucche è robusta ma qui è rappresentata con zampette piccole e sono leggiadre. La morte e il sogno lo stavano cercando in quel posto dove ci sono queste mucche leggiadre e dove il suo corpo galleggia tra gli equilibri contrari. Quest’ultimo sintagma “equilibrios contrarios” è chiave all’interno di questo testo perché rappresenta questa convivenza in lui sia di vocazioni di scrittura diverse, di estetiche diverse (una legata al modernismo e al descrittivismo, l’altra è quella più sensibile alle avanguardie e più aperta a una ricerca lessicale e stilistica); sia della frustrazione amorosa perché non poteva manifestare e vivere con naturalezza il proprio amore umano. Si sente in un momento così difficile che si sente vicino alla morte. RAFAEL ALBERTI era nato nel 1901 al Puerto di Santa Maria, nell’Andalusia profonda. Andò a studiare a Madrid dove aveva conosciuto gli altri intellettuali della GENERAZIONE DEL ’27. Comincia anche lui con una poesia vicina a un esteticismo modernista per avvicinarsi poi a poesie impegnate, ma sempre ben costruite, attento alla forma e alla costruzione del testo poetico (sperimentò forme fisse come quella del sonetto). Soprattutto amò molto la sonorità e lo stile della poesia popolare, riproducendo gli stilemi e riusandone la versificazione e recuperando il lessico. La sua prima raccolta di poesia è Marinero in tierra, pubblicata nel 1924, e nel 1925 con essa vinse il premio nazionale di poesia perché appunto aveva trovato questo libro di poesia un grandissimo successo di pubblico e di critica. È la raccolta che lo consacrò come poeta, è un macrotesto molto intenso ed elegante, molto ricco sotto ogni profilo. La scrive quando si trova a Madrid con un sentimento di nostalgia nei confronti della sua terra d’origine, della sua Andalusia di mare da cui proveniva. “Si mi voz muriera en tierra” è un componimento di 12 OTTOSILLABI, in cui notiamo la ricorrenza di una ASSONANZA E/A che vertebra l’intero testo. Qui sta esprimendo il desiderio di voler morire in mare, ma in quel momento si trova sulla terra (a Madrid) e prova nostalgia. Verso 1: “voz” METONIMIA perché per voce intende tutto il suo corpo e soprattutto un uomo che si esprime attraverso la propria voce, allude al suo essere poeta. Verso 2-3-4: sequenza di imperativi (“llevadla”, “dejadla”, “llevadla”) che costituiscono dei versi parallelistici tipici della poesia popolare. ANAFORA versi 2-4. Verso 5-6: approfondisce questa metafora marina e dice che questa voce deve essere nominata capitana di un bianco vascello da guerra. Verso 7-8: dovrà anche essere adornata con un distintivo che deve caratterizzarla come appartenente al mondo marino Verso 9-10-11-12: ANAFORA “y sobre” e ANADIPLOSI reiterata perché l’ultimo termine si ripete a metà del verso successivo (altra caratteristica della poesia popolare e folklorica). L’ancora è l’oggetto tipico delle imbarcazioni; la stella è importante per i marinai perché gli permette di orientarsi; il vento è un altro fattore importante per la navigazione perché permette alla barca di impostare la rotta; la vela è quella parte dell’imbarcazione che una volta dispiegata, e grazie all’azione del vento, riesce a incamminare la barca in una direzione o in un'altra. Questa voce diventa parte integrante di questo ambiente di navigazione, diventa essa stessa la capitana di un’imbarcazione e non è altro che la rappresentazione di se stesso. Verso 5: “reposa” con questo verbo, riferito a questo mondo che è fisso in questa situazione di compatto blu che lo avvolge, dice che il mondo si trova in un momento di pace e beatitudine. Verso 6: compare un altro elemento, che non è più astronomico, ed è la rosa, un elemento della flora, un elemento vivo. Una rosa che senza volere ha una posizione centrale. Verso 7: il soggetto è sempre la rosa che sorregge un sole allo zenit. È un’immagine interpretativa e un po' surreale di questa rosa che, avendo uno stelo verticale, lui percepisce come una sorta di colonna che sorregge il sole. Probabilmente lui sta descrivendo attraverso questa immagine una visione che sta avendo di una rosa in lontananza, che nella sua prospettiva si trova proprio sotto la sfera del sole. Verso 8: è così forte questo presente, questa scena che sta osservando Verso 9-10: “pie caminante” SINEDDOCHE per indicare il corpo del viandante, che poi sarebbe lui stesso. Quindi, attraverso la visione di questa scena il viandante, il poeta stesso, sente la totalità del cosmo, l’integrità del pianeta. Osservando il piccolo dettaglio della rosa gli da questa sensazione di perfezione cosmica e si sente compiaciuto di questa bellezza cosmica. “Beato sillon” abbiamo la descrizione di un’altra situazione più banale e intima, che è ciò che il poeta prova nel momento in cui è disteso su una poltrona a riposare (“sillon” vuol dire infatti poltrona). Diversamente dal testo precedente, questo è un componimento in cui sono molto frequenti gli ENJAMBEMENT, delle fratture metrico-sintattiche piuttosto forti che non fanno altro che dare la sensazione di un discorso che procede in modo unitario per tutto il componimento. Ci sono tre luoghi che lui evoca: la poltrona, la casa nella sua complessità e infine il mondo. Esiste un io che esercita una memoria, rievoca un ricordo e che vede gli oggetti attraverso gli occhi, percepisce il mondo attraverso gli occhi. Il testo sintetizza il senso epicureo dell’ozio, l’ozio come piacere irrinunciabile da parte dell’uomo e descritto in questo piccolo aneddoto della poltrona. Verso 1: “Beato sillon” è il primo emistichio del primo verso e ci ricorda un verso di Orazio che è “Beatus ille” (egli teorizzò il concetto di AUREA MEDIOCRITAS, la mediocrità dorata, che è quella particolare condizione che consiste nell’accontentarsi di ciò che si ha e di godere di esso). Questo concetto di aurea mediocritas, in modo quasi formulare, si è tramandato nel tempo. Questo è un PROCEDIMENTO INTERTESTUALE volutamente ironico perché lui vuole rievocare quell’espressione di Orazio per parlare della sua poltrone, ma questa ironia non annulla il valore di ciò che sta dicendo perché è profondamente convinto di quello che dice, vuole esaltare questo momento di pace e tranquillità che vive sulla sua poltrona. Nel secondo emistichio si passa al secondo luogo che è “la casa”. Verso 2-3-4: questa poltrona è percepito come presente da questo io che lo rievoca nella memoria, invocandolo a tratti e questo ci da uno sguardo sulla condizione temporale. È un elemento dell’arredo di questa casa che a volte c’è e a volte no nella memoria, perché è un oggetto sulla quale l’io siede a momenti e non continuamente. Verso 5-6: “No pasa nada” il tempo si ferma e non succede nulla. Verso 6-7: qui allude a una conoscenza che non è relativa ai sensi e quindi alla vista, ma una conoscenza di tipo intellettuale. Gli occhi non vedono ma sanno perché conoscono l’oggetto ancora prima di vederlo. Verso 7-8: qui abbiamo tutta l’espressione di filiazione grata che ha il poeta, cioè di appartenere in questo mondo in cui lui si sente felice e ben accolto Verso 8-9-10: “De tan alta” ANADIPLOSI nei versi 9-10. Questa è l’esaltazione del suo stato di beatitudine che è come un’alta marea che non viene mai, una condizione quasi permanente. “sin vaiven” (=senza viavai) è implicito il concetto di immobilità, di un qualcosa che non cambia. MIGUEL HERNANDEZ nato nel 1910 a Oriwela, un paese nella provincia di Alicante, e apparteneva a una famiglia umile (tra tutti i poeti di quella generazione era sicuramente quello di origine più umile). Era stato fondamentalmente un’autodidatta e aveva letto molta poesia del siécle de oro. Negli anni 30 viaggiò a Madrid, collaborando con importanti riviste ed entrando in contatto con tutti i principali componenti della Generazione del 27. Partecipò alla guerra civile e fu condannato dal regime a 30 anni di carcere. Morì proprio in carcere di tubercolosi. La maggior parte della sua produzione quindi la scrisse proprio in prigione (è una poesia questa fortemente segnata dal dolore per la lontananza da casa, dagli affetti). Lui aveva avuto un figlio che purtroppo era morto di malattia quindi aveva vissuto questo dramma tremendo insieme a quello della lontananza da tutti gli affetti. “Cancion ultima” fa parte della raccolta El hombre ececha, che in realtà scrive solo in una fase di lontananza da casa e ancora non era in prigione, e qui descrive questa nostalgia che ha della sua casa e soprattutto questa grande speranza che ha di poter ricongiungersi con la moglie. È un testo dalla misura sillabica particolare perché è costituito da SETTENARI assonati nelle seri pari con ASSONANZA A/A. Si raggruppano questi versi in strofe di diversa lunghezza. Verso 1: comincia a parlare della propria casa che è dipinta, piena di colori, non vuota. Verso 2: “pintada” ANAFORA con verso 1 e IPERBATO con soggetto alla fine del verso. Verso 3-4: ENJAMBEMENT tra i versi. È una casa che è portatrice di una storia molto complessa, una storia di felicità, passioni e amori, ma anche di disgrazia (quasi sicuramente si riferisce alla perdita del proprio figlio). Verso 5-6-7-8: qui cambia il tempo verbale perché prima parla al presente, mentre ora parla del futuro. “Ruidosa cama” (=letto rumoroso) METAFORA che indica che questo letto tornerà ad essere popolato e pieno d’amore. Verso 9-10: descrive una vicenda amorosa, il momento in cui si ricongiungerà con la propria sposa. Verso 11-12-13: continua a descrivere l’atto amoroso in cui le coperte si attorciglieranno intorno ai loro corpi come una pianta rampicante. Verso 14: l’atto viene di notte ed è profumato. Verso 15-16: ritorna al presente e sembra alludere al fatto che una casa dove c’è amore è una casa che permette di smorzare l’odio, l’odio che sta al di fuori della casa si smorza. Verso 17: METAFORA in cui la “garra” è una situazione di prigionia, di mancanza di libertà quindi pensando a questo amore anche una situazione di prigionia sarà dolce. Verso 18: qui si rivolge per la prima volta a un interlocutore che è “vosotros”. Sta fantasticando, sta pensando al suo ritorno a casa e all’amore che troverà e anche se è consapevole che è una cosa difficile, non vuole che gli sia tolta la speranza. ROMANZO MODERNISTA Nell’Ottocento abbiamo il romanzo realista e i principali esponenti sono: Benito Pérez Galdós (il più importante), Armando Palacio Valdés, Vicente Blasco Ibáñez, Leopoldo Alas Clarín, Emila Pardo Bazán, Juan Valera. Le caratteristiche del romanzo realista, cioè quello che si era scritto fino a quando una generazione di nuovi scrittori decidono di rinnovare il romanzo: aveva un progetto narrative e ideologico; si reggeva sul principio di causalità e di conseguenzialità degli eventi; ricco di descrizioni ambientali per riprodurre fedelmente la realtà; prevalenza del narratore onnisciente e del punto di vista unico perché l’autore voleva fornire una lettura propria della storia; un predominio della narrazione sul dialogo, proprio perché c’era questa preponderanza di questo narratore onnisciente. Invece, i romanzieri che nascono verso la fine del Novecento e che cominciano a rinnovare il romanzo e quindi a staccarsi dalla dimensione del romanzo realista: Miguel de Unamuno, Ramón del Valle Inclán, José Martínez Ruiz (“Azorín”), Pío Baroja, Gabriel Miró, Ramón Pérez de Ayala, Ramón Gómez de la Serna. C’è una miriade di altri romanzieri di seconda fila di questo periodo. Le caratteristiche del romanzo modernista, quindi in cosa si differenzia dal romanzo realista che era stato di moda fino ad allora: perdita del nesso causale nella rappresentazione degli eventi, quindi se il romanzo realista era proprio costruito su una consequenzialità rigorosa qui si assiste alla perdita di questo rigore e si ha la rappresentazione di una realtà mutevole, incomprensibile e illogica, che rappresenta la crisi filosofica che si afferma all’inizio del XX secolo; predominio del dialogo, cosa esattamente opposta rispetto al romanzo realista perché appunto lo scrittore modernista cerca di dare più spazio ai personaggi, di farli parlare e di rappresentarli per quelli che sono anche nel loro modo di parlare e dare più strumenti al lettore per crearsi una proprio lettura; percezione frantumata della realtà esterna e di quella interiore; importanza del contenuto intellettuale del romanzo; punto di vista variabile perché non c’è un narratore onnisciente e anche se c’è spesso assume il punto di vista dei personaggi per creare una rappresentazione narrativa variegata, mentre nel romanzo realista c’era un progetto unitario e un punto di vista unico; la trama si disgrega, diventa aneddotica e le storie si frammentano in tanti episodi e anche qui la compattezza estrema del romanzo realista si frantuma; focalizzazione variabile. Pío Baroja è uno dei più grandi romanzieri del primo Novecento e sicuramente il più grande romanziere modernista perché scrisse veramente soltanto e racconti (invece per esempio Unamuno ebbe una produzione più varia ed eterogenea). Amava scrivere trilogie, scrivere serie di romanzi accumunate dal medesimo tema e tra cui: Trilogía de “La vida fantástica”; Trilogía “Tierra basca”; Trilogía de “La lucha por la vida”; Trilogía de “La raza”. Egli aveva espresso la sua idea sul romanzo in un prologo, che aveva intitolato Prólogo casi doctrinal sobre la novela in La nave de los locos del 1925 e che aveva anteposto al romanzo “La nave de los locos”. Qui dice che è impossibile stabilire le regole di scrittura di un romanzo e che la teoria è superata dalla pratica e quello che vale è la scrittura da parte del romanziere. Baroja ebbe un dialogo-scontro con José Ortega y Gasset, un grande intellettuale contemporaneo, proprio sul concetto di romanzo perché quest’ultimo aveva scritto che il romanzo doveva essere un modello altamente formalizzato, elitario, lontano dalla rappresentazione della realtà e impermeabile al mondo esterno. Baroja, invece, pensava esattamente il contrario, cioè che non si può definire e per sua natura è un genere eclettico e multiforme; il romanzo non può essere ridotto a una categoria univoca e quindi ha delle caratteristiche cangianti e complesse, che non possono essere rigidamente definite. Inoltre, il romanzo è rappresentazione totale della realtà e deve essere dunque permeabile al mondo esterno e non chiuso come voleva Ortega. Due di questi personaggi di Amor y pedagogia, li ritroveremo in una continuità tipica di Unamuno in Niebla e sono: Vito Carrascal e Fulgencio Entrambosmares, che era stato il precettore di Apolodoro. Questa pervivenza di personaggi ci dimostra che l’autore si senta demiurgo, assolutamente libero di far rivivere un personaggio in una storia completamente diversa; è u modo per sottolineare la propria funzione autoriale. In tutto il paratesto di Niebla non fa altro che ribadire questa sua posizione di forza in quando autore-demiurgo. Anche in Niebla, infatti, ci sono tre frammenti complementari: il PROLOGO, il POSTPROLOGO (entrambi del 1914, anno di pubblicazione) e una STORIA DELL’OPERA, scritta nel 1935 per la nuova edizione apparsa all’ora. La stessa cosa la fece per Amor y pedagogia quando nel 1934 venne editata per la seconda volta questa opera e aggiunge un secondo prologo. Sente proprio il bisogno di aggiungere qualcosa, di dire altro al suo pubblico. Questo PROLOGO, che è il tratto di maggiore originalità di Unamuno, in Niebla è firmato da un certo Victor Goti, amico del protagonista Augusto Perez: sin dal prologo notiamo una intersezione tra il piano della realtà e quella finzione. Ovviamente, ci si aspetta che il prologo, proprio in quanto sezione di testo avulsa rispetto alla storia, debba essere completamente indipendente al romanzo; invece, egli sceglie il gioco autoriale molto complesso di dare voce a un personaggio della storia. Victor Goti non è solo amico intimo del protagonista, ma Unamuno lo presenta anche come suo amico: è un gioco di specchi che Unamuno ama molto e che in qualche modo aveva preliminarmente messo in pratica in Amor y pedagogia. Questo prologhista, quindi, è messo contemporaneamente sul piano fittizio e quello reale. Victor Goti inventa per altro (ovviamente è Unamuno che fa tutto) in questo prologo il neologismo NIVOLA. Per legare il personaggio con il punto romanzesco, l’autore lo presenta come amico di Fulgencio, personaggio abbastanza grottesco, e costruisce in questo modo una sorta di continuità tra opere diverse della sua produzione narrativa. Quindi, Augusto si scontra con il suo stesso inventore, reclamando il suo libero arbitrio. Il neologismo NIVOLA è deformante, coniato da NOVELA ed enuncia questo nuovo progetto di romanzo, inteso come genere aperto e non imbrigliato da regole. Inoltre, oltre che la deformazione di novela, il termine nivola ci rimanda anche alla etimologia di NIEBLA (titolo del romanzo). In questo incrocio, da questa sorta di crasi tra i termini nasce questo neologismo. L’atteggiamento di Unamuno nei confronti dei personaggi inventati ricorda quello di Pirandello: nella comparatistica sono state molto spesso messi in relazione ma non si conoscevano. Infatti, ci sono dei punti di contatto molto significativi. In entrambi, lo scontro tra il personaggio e l’autore ha un senso differente rispetto agli autori del passato: per esempio Victor Goti si mostra critico nei confronti di Unamuno e quest’ultimo nel post prologo lo critica e lo minaccia di farlo sparire dall’opera; Perez a un certo punto decide di rivolgersi direttamente al suo creatore e di andarlo a trovare a Salamanca perché cerca disperatamente di affermare il suo libero arbitrio ma scopre di essere un burattino nelle mani di Unamuno, che alla fine decide di ucciderlo per impedire il suo suicidio e quindi il compimento della sua volontà. In questa dialettica tra personaggio e autore troviamo una novità straordinaria, che Pirandello in Italia aveva cominciato a sfruttare. Quindi, sin dal prologo risulta chiaro il tema cardinale del romanzo e quello dell’autonomia del personaggio. Si apre proprio con il riferimento a Miguel Unamuno che gli ha commissionato la stesura di questo prologo e lui non ha potuto rifiutare per la grandezza dell’autore e per l’amicizia che lo lega al protagonista del romanzo (troviamo già una sovrapposizione tra il piano della realtà e quello della funzione). Lui insinua un dubbio a se stesso e agli altri: dice di non essere sicuro di essere dotato di libero arbitrio, proprio come l’autore Miguel Unamuno. Insinua quello che è il dilemma stesso di Unamuno sulla libertà d’azione dell’essere umano. Gli pare strano che lo scrittore così famoso e affermato abbia scelto di dare proprio a lui, perfetto sconosciuto, l’incarico di scrivere questo prologo. Siccome è consuetudine che un autore famoso ne presenti un altro, qui hanno deciso che un perfetto sconosciuto, uno scrittore principiante scriva il prologo di un autore affermato per farsi conoscere. Victor Goti a un certo punto del romanzo, dove parla con Perez di questo nuovo progetto di romanzo che sta pensando, parla appunto di “Nivola” e nel prologo egli rivendica questa invenzione linguistica. Inoltre, il suo cognome è uno dei cognomi degli antenati di Unamuno e quindi avranno dei rapporti di parentela. Poi Goti parla dell’ingenuità del pubblico, cioè dell’incapacità di capire certi significati e le intenzioni degli autori (è sempre Unamuno che dirige il contenuto quindi anche questa riflessione nasce dalla coscienza di Unamuno anche se la mette in bocca a Victor Goti). Unamuno è un logomaco perché utilizzava le parole come delle armi. Poi insiste su questo gusto per la riforma ortografica (es. la KULTURA con la K) e sull’umorismo di Unamuno, sul suo spirito critico e sul carattere polemico di molti suoi interventi. Secondo Unamuno in Spagna non esiste l’umorismo e insiste su quello di Cervantes, uno degli autori più amati da Unamuno (il suo romanzo sarà un pretesto per la scrittura della sua opera sulla condizione della Spagna). Il loro è un pubblico poco colto, non capace di comprendere l’intenzione scherzosa o meno dell’autore. La tragedia non necessariamente deve far piangere, ma esiste anche una tragedia buffa, che attraverso anche caricature, rappresentazioni ridicole, riesce a dare l’idea della tragicità del mondo e dell’esistenza. Qui abbiamo quello che più avanti si teorizzerà nell’esperpento (evoluzione della drammaturgia spagnola del Novecento) in cui si ha una mescolanza, una fusione tra tragico e grottesco. Poi parla a un certo punto di una fissazione di Unamuno e cita un verso “Ch’eterno io mi credei” di una poesia di Leopardi, in cui quest’ultimo appunto anela il risposo eterno (la morte) che per un agnostico è veramente la fine di tutto. Goti lo cita per rappresentare questa disperazione dell’individuo che sente di essere perituro, mortale e quindi di poter contare su una breve esistenza e di non poter sopravvivere alla propria carne. Dopo questa citazione, prosegue sottolineando questo gusto per l’umorismo, la repulsione per qualsiasi forma di erotismo o pornografia; insiste sul fatto che Unamuno parla dell’amore sempre in modo innocente, raffinato e pulito. Ancora una volta un’intertestualità unamuniana che ora viene traslata a Victor Goti, un personaggio di Niebla che parla di un altro romanzo del suo autore. Finisce parlando dell’epilogo e parla di un nodo cruciale della storia: Victor Goti, personaggio della storia che assurge al ruolo di prologhista, afferma che l’epilogo del romanzo è errato. Un personaggio che osa accusare l’autore di aver sbagliato. Lui è sicuro, ha prove del fatto che Augusto Perez riuscì a compiere il suicidio e non è vero che Unamuno non gli permise di decidere autonomamente. Proprio questa parte finale del prologo è il punto più scottante che Unamuno nel POST PROLOGO, firmato da lui stesso, decide di ribattere. Nel POST PROLOGO Unamuno afferma che siccome lui è responsabile dell’esistenza del suo prologhista, non gli risponde e lascia a lui la responsabilità di quello che ha scritto. Non lo corregge, non lo censura però non può lasciar passare inosservato e senza risposte alcune osservazioni di Goti che non lo trovano d’accordo. Goti in vari punti racconta alcune idee di Unamuno, uomo molto caustico e polemico soprattutto in un contesto privato. Nel prologo quindi Goti esplicita delle idee private dell’autore che non avrebbe mai voluto rendere pubbliche. Continua questo gioco di intreccio tra realtà e finzione. Anche se fosse vero che Augusto Perez si fosse suicidato di sua volontà, questo lo fa sorridere. Goti deve avere molta prudenza a discutere così le sue decisioni perché altrimenti farà con lui la stessa cosa che ha fatto con il suo amico Perez (lo eliminerà dalla storia). Ironizza un po' sulle modalità di ucciderlo: ammazzarlo per pietà perché è malato e sta per morire o lasciarlo morire per paura di ammazzarlo. Il SECONDO PROLOGO DEL 35, siccome sono passati venti anni, racconta un po' delle vicende sue personali, racconta anche un quadro della letteratura di quel tempo, ma soprattutto della sua attività di romanziere. Conclude sempre citando Leopardi, in particolare il Cantico del gallo silvestre per introdurre questa metafora di giorno come paradigma dell’uomo. Unamuno spiega che sentì avvolgersi nella nebbia quando nel 1914 scoppiò la guerra tra le nazioni e lui si dichiarò non belligerante. Nel 1935 si presentano le condizioni per una riedizione di Niebla e riprende in mano il suo romanzo, ma decide di non modificarlo perché altrimenti diventerebbe un’altra storia. Quando gli apparse in sogno Augusto Perez pensò di farlo resuscitare, ma come gli disse il suo personaggio non si può sognare la stessa cosa due volte. Pensò anche di continuare la biografia del suo personaggio e di raccontare la sua vita nell’altro mondo, ma questo concetto fa comunque parte di questo mondo; pensò allora di creare un altro finale e lasciare la scelta al lettore su quale scegliere ma quest’ultimo non avrebbe mai accettato questa soluzione. Poi afferma che a un romanzo precede un progetto, ma alla fine il romanzo prende il sopravvento sul suo creatore proprio come Augusto Perez lo prese su di lui. Il termine “Nivola” lo inventò solo per incuriosire e attirare i critici perché non si tratta che di un romanzo. Comincia poi a parlare della sua attività di romanziere e di alcune sue opere con le loro rispettive traduzioni nelle diverse lingue. Ripensa anche alle ultime parole di Augusto nel suo studio a Salamanca, quando gli disse che anche lui sarebbe morto insieme a tutti i suoi lettoti, e le definisce profetiche perché a poco a poco lui e le persone vicino a lui hanno cominciato a morire. Infine, cita il Cantico del Gallo silvestre di Leopardi, che diceva che prima o poi tutto si sarebbe spento e sarebbe rimasto solo il silenzio e la quiete, ma Unamuno ne smentisce il silenzio definitivo. Niebla è il romanzo dell’assurdo esistenziale, dell’uomo perso nell’angoscia di una vita senza scopo e in effetti il titolo del romanzo, che Unamuno non sceglie a caso, proprio da l’idea di questo smarrimento, di questo disorientamento esistenziale vissuto dal protagonista. La nebulosa è una cosa incognita e per questo i personaggi vivono precariamente in cerca di se stessi. La nebbia rappresenta il nulla e questa rappresentazione della realtà sono le idee di Unamuno del senso della vita: si vive quando si ama e quando si soffre, ma anche esse forse sono chimere, illusioni create per alimentare la nostra necessità di essere e di esistere. Questo personaggio in fondo incarna alcuni dilemmi e alcune insicurezza unamuniane, alcuni conflitti interiori che fanno parte anche della vita della intellettualità dell’autore: l’insicurezza di Augusto è quella di Unamuno, che è sempre scisso tra l’essere e il voler essere, tra la vita e la ragione ecc. A un certo punto, nel capitolo 31, l’autore decide di distruggere il suo personaggio impedendogli di suicidarsi e di far dunque prevalere la sua volontà. Per farlo forza un meccanismo romanzesco, cioè l’autore si cala nel romanzo (la regola fondamentale di quel preciso momento della storia è quella che l’autore concreto mantenga un certo distacco e non può diventare un narratore intradiegetico) e cerca di trasformarsi in un personaggio. Concepisce, dunque, la scena del capitolo 31 in cui è presente il dialogo tra questi due personaggi: Unamuno ricorda a Perez che è solo un burattino nelle fratellino, decisero di provare ad avere dei figli e ne ebbero quattro. Non sapeva però se era innamorato di questa donna e lo capì solo quando rischiò di perderla dando alla luce il quarto figlio. 4) Storia del fogueteiro: tratta del cieco che vede con gli occhi dell'anima, più penetranti di quelli veri. Il tema della cecità è fortemente galdosiano (Galdós è un romanziere dell’Ottocento e massimo esponente del romanzo realista spagnolo). Victor non capisce come dopo l parto veda sua moglie più bella mentre tutti dicono che si sia rovinata. Augusto allora racconta che in un paesino portoghese c’era questo esperto pirotecnico che amava sua moglie ed era orgoglioso della sua bellezza, che considerava addirittura la musa dei suoi fuochi d’artificio. Proprio durante la creazione di uno di questi fuochi ci fu un brutto incidente dove la moglie restò ustionata in viso e lui divenne cieco e non riuscì mai a vedere come era diventata sua moglie, così, continuò a dire a tutti di quanto fosse bella mentre lei lo guidava per strada e tutti, per compassione, assecondavano l’uomo nell’elogiare la moglie. 5) L'ultima storia intercalata è quella di Eloíno, complementare a quella di Antonio perché anche questa presenta il tema del tradimento, che è l’origine di qualcosa di un nuovo amore mentre la precedente negava l’amore. Don Eloíno è un impiegato delle Finanze dall’altisonante cognome e dalle scarsissime risorse economiche. Malato di cuore e senza un soldo, per non essere buttato fuori dalla pensione in cui vive, offre alla padrona di sposarla per poterla così pagare alla sua morte con la pensione di reversibilità. La padrona accetta solo perché convinta che morirà presto, ma quando il marito si ristabilisce, finisce per buttarlo fuori casa dopo innumerevoli litigi. In questo romanzo noi osserviamo due elementi molto importanti: la DRAMMATIZZAZIONE, cioè uno spazio molto importante dato alla dialettica fra i personaggi e in conseguenza un DOMINIO DEL DIALOGO. I dialoghi sono fondamentali e preponderanti quindi tutto questo fa parte al progetto di conferire autonomia ai personaggi. Complemento naturale della forma dialogata è l'utilizzazione del soliloquio: per esempio Augusto Perez ha moltissimi soliloqui; si esprime in tanti monologhi all’interno del romanzo, nei quali a volte parla con se stesso e molto spesso si rivolge al proprio cane. Il cane Orfeo assume questo ruolo di confidente, di compagno che ascolta silenziosamente gli sfoghi del proprio padrone e in qualche modo diventa destinatario di questi soliloqui. Le grandi METAFORE di Unamuno sono: la VITA COME SOGNO e il GRAN TEATRO DEL MONDO. Usa moltissime metafore anche nella descrizione dei personaggi. Il pensiero unamuniano si manifesta attraverso l'immagine: "el alma es un manantial que sólo se revela en lágrimas" (=la sorgente che si rivela solo nelle lacrime). Le lacrime che sono manifestazione della sofferenza, l’uomo riesce ad esprimere il proprio mondo interiore quindi attraverso la descrizione di certi gesti, di certi tratti fisici si può riuscire a rappresentare la sofferenza umana. Una caratteristica del romanzo modernista è quella di presentare i suoi personaggi nella loro gestualità; indurre il lettore a una interpretazione dei loro gesti e delle loro parole. I personaggi del romanzo modernista, e anche quelli di Niebla, parlano e attraverso questi dialoghi capiamo il loro mondo interiore, le loro angosce. Il Nome AUGUSTO è un nome piuttosto illustre (nome dell’imperatore romano) quindi suggerisce una dimensione quasi solenne, mentre invece per contrasto è molto più popolare e triviale il cognome PEREZ. Quindi, questa sorta di ossimoro presente nell’identificazione onomastica del protagonista è già una prima nota ironica che possiamo osservare nel romanzo. Non sapremo mai che aspetto ha, né in quale città spagnola si muove ed abita. Neanche di Eugenia si avrà mai una descrizione fisica completa nel corso di Niebla. In realtà la vera Eugenia interessa relativamente ad Augusto; l’oggetto del suo amore è un Eugenia tutta inventata, mentalmente costruita nella mentalità del protagonista. L’amore per Eugenia è celebrale e costruito, tanto quanto è spontanea e carnale l’attrazione per Rosario, la ragazza della stireria che compare nel capitolo 12. CAPITOLO 1: il protagonista esce di casa, si accinge a fare la solita passeggiata quotidiana ed esponendo la mano all’esterno cerca di capire se sta piovendo e se quindi deve o meno aprire l’ombrello. Fa una descrizione del personaggio in un gesto che è tipica dell’iconografia augustea: l’imperatore Augusto rappresentato in piedi con il braccio destro teso e con la mano sospesa nell’aria. Ovviamente il contrasto genera ilarità, è fortemente ironico ed ha proprio la funzione di suscitare un po' di umorismo; fa percepire il contrasto enorme che ci poteva essere tra una figura sontuosa dell’imperatore e questo povero personaggio, che capiremo subito essere completamente disorientato e incapace di prendere decisioni. Sente il fresco della pioggia sulla mano ed ebbe un disappunto perché gli dava fastidio il fatto di dover aprire l’ombrello. Poi da subito la voce ad Augusto che comincia ad esprimere il suo pensiero: gli oggetti non andrebbero mai usati, ma solo contemplati (questo è il suo modo di concepire la vita: non muoversi, non vivere). Anche Dio viene usati dagli umani come protezione da tutte le disgrazie. Poi c’è la rappresentazione dell’abulia, del non saper cosa fare: esce di casa e non sa dove andare perché non ha una metà precisa. Lui non era un viandante (colui che cammina ha una destinazione), ma un passeggiatore (colui che non ha un obiettivo preciso). Proprio nella vita lui era un passeggiatore senza rotta, disorientato e smarrito. Passa poi davanti a lui una ragazza e Augusto comincia, senza rendersene conto, a seguirla. Immerso tra i pensieri (esibizionismo del lavoro dei fannulloni mentre i pensatori non riposano mai; il viaggio come fuga dai posti e non come ricerca di nuovi) si trova davanti casa di questa ragazza, i cui occhi sono per Augusto una calamita. Chiede informazioni alla portiera (“Cerbera” probabilmente deriva da Cerbero, il cane a tre teste che era di guardia all’ingresso dell’inferno) riguardo questa ragazza e scopre il suo nome: Eugenia Domingo del Arco. La ragazza è nubile, orfana, vive con gli zii, insegna pianoforte. Si annota tutto sul suo taccuino e chiede alla portiera il suo nome (Margarita). Augusto va via e si siede su una panchina nel Paseo de la Alameda e appunta con una penna stilografica (perché con la matita potrebbe cancellarsi tutto) le informazioni della ragazza, che interrompevano un principio di poesia che Perez aveva cominciato a scrivere. Infine, decide di tornare a casa per scrivere una lettera alla ragazza. CAPITOLO 30: Dopo essere stato preso in giro da Eugenia e Mauricio, Augusto Perez si chiude nella sua stanza e si dispera. Victor Goti va a trovarlo e si stupisce di questo stato depressivo dell’amico e gli consiglia di essere la rana di se stesso: deve imparare a fare esperimenti su se stesso e beffarsi da solo così da raggiungere il perfetto equilibrio dello spirito. Inoltre, gli dice che è fortunato perché in questo modo non deve affrontare la responsabilità di essere padre, che è solo un esperimento patologico e non psicologico come il matrimonio. Nel loro discorso esce anche fuori l’idea che il dolore e il comico, la tragedia e la commedia si mescolano e diventano una cosa sola (concetto che poi sarà ben analizzato da Valle-Inclan con il suo Esperpento). Goti sottolinea anche l’importanza del dialogo, della parola che non è assolutamente inferiore all’azione (pensiero di Unamuno e caratteristica del romanzo modernista rispetto a quello naturalista). Augusto afferma che nella sua vita ha sempre dubitato della sua esistenza, ma adesso che prova dolore ne è certo; Goti, però, mette in dubbio l’esistenza dell’amico e addirittura ipotizza che un nivolista stia leggendo i loro discorsi per farne un giorno letteratura, in modo che il lettore arrivi a dubitare della propria esistenza e sentirsi libero. Victor Goti se ne va lasciando l’amico con molti dubbi e perso tra le sue disperate idee. CAPITOLO 31: Augusto Perez dopo aver parlato con l’amico decide di suicidarsi ma prima di farlo vuole parlare con Miguel de Unamuno, che aveva precedentemente trattato in n suo saggio del suicidio, e si reca dunque a Salamanca. Durante l’incontro l’uomo comincia a parlare dei testi dell’autore e poi di tutte le disgrazie avvenute nella sua vita, ma Unamuno lo interrompe dicendo che conosceva perfettamente anche i dettagli più intimi della vita di Perez. Il protagonista è incredulo e terrorizzato mentre l’autore gli racconta la verità: lui non è altro che il personaggio di una sua nivola e che quindi non può suicidarsi perché non esiste, se non nella sua immaginazione. A questo punto Perez rovescia il discorso mettendo in dubbio l’esistenza di Unamuno, citando una sua frase in cui sosteneva che Don Chisciotte e Sancho Panza erano più reali di Cervantes. Il protagonista continua a provocare l’autore dicendo che se anche fosse un’entità fittizia creata da lui, non può conoscerlo realmente perché ha un proprio carattere. Unamuno perde la pazienza e decide di ucciderlo lui stesso, in modo da togliergli definitivamente il libero arbitrio. Il suicidio per Augusto è dovuto alla mancanza di coraggio nell’uccidere qualcuno quindi lui vuole suicidarsi perché non trova il coraggio di ucciderlo. Quando Unamuno, offeso dalla confessione della sua creazione, decide definitivamente di ucciderlo, Augusto Perez implora pietà e chiede che gli sia concesso di vivere, di non morire da personaggio ma l’autore non ne vuole sapere. Perez allora prima di andarsene dirà che anche Unamuno e tutti i suoi lettori moriranno perché anche loro sono personaggi nelle mani di Dio. Il testo di Niebla si distribuisce sostanzialmente tra monologo interiore del protagonista (20%), narrazione descrittiva in terza persona (20%) e dialogo (60%). Il narratore si presenta in questo testo con uno statuto tutto particolare: per gran parte del romanzo è NARRATORE ETERODIEGETICO (narratore assente dalla storia), palesemente onnisciente (racconta gli antefatti della vita di Augusto; conosce quello che succede ad altri personaggi della storia); verso la fine, a partire dal capitolo 31, questo narratore diventa anche personaggio, in quanto Augusto Perez va a trovarlo per dibattere con lui del suo intento di suicidarsi. Passa dunque a manifestare la sua presenza con l’io del NARRATORE OMODIEGETICO (narratore che fa parte della storia), il che tuttavia non annulla la sua onniscienza (ci racconta infatti della morte di Augusto e delle sue circostante). L’onniscienza del narratore omodiegetico è un assurdo: è infatti impossibile che un singolo individuo sappia tutto anche di persone al di fuori di sé. In Niebla è possibile perché il personaggio Miguel de Unamuno è anche autore e demiurgo dei personaggi. 17 novembre 2018 JACINTO BENEVENTE è un grande drammaturgo spagnolo, attivo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Fu un autore particolarmente prolifico e longevo. Egli è il maggiore rappresentante del TEATRO BORGHESE spagnolo del 900, in cui si dava grande importanza al dialogo naturale ed elegante, dove era presente una mordace critica ai costumi e una certa esplorazione psicologica dei personaggi. Qualche critico criticò Benavente per una certa superficialità, per una retorica piuttosto facile e un’inconsistenza ideologica perché appunto è un teatro commerciale e poco problematico, che poteva essere facilmente compreso. Metteva in scena i vizi, i difetti e le dinamiche di una classe borghese che era la stessa che costituiva il pubblico per cui il segreto del successo di questo teatro sta proprio nella sua adattabilità ai bisogni del pubblico, alle sue caratteristiche e alle sue richieste: era un pubblico che voleva distrarsi e identificarsi nella scena. letterario, ma una vera estetica e una vera e propria visione del mondo. Funge anche da strumento di smascheramento perché appunto diventando una visione drammatica della realtà, l’esperpento presuppone una rottura con la tradizione umanistica e soprattutto con la tradizione aristotelica occidentale. Nella lingua castigliana questo termine vuol dire “cosa brutta, deforme, esteticamente sgradevole” quindi Valle-Inclán utilizza in modo consapevole questo sostantivo per indicare il traguardo di questa ricerca estetica che lui fece e che lo condusse a strutturare quattro opere teatrali in questo modo così spiccatamente deformante e incline alla rappresentazione del grottesco. Queste quattro opere sono: “Luces de Bohemia” (1920); “Los cuernos de don Friolera” (1921); “Las galas del difunto” (1926); “La hija del capitán” (1927). “Luces de Bohemia” è la storia di un poeta cieco, Max Estrella, che per alcuni critici è la trasfigurazione letteraria del poeta Alejandro Sawa. Questa storia finisce con la morte del protagonista. Il tempo dell’azione è ridotto a 15 scene e la sua durata supera appena il tempo di ventiquattro ore: tutta la vicenda si svolge dal tramonto all’alba del giorno seguente. I luoghi scenici sono molteplici quindi quella famosa unità di luogo e di azione e di tempo della tragedia aristotelica si perde completamente: si passa da una rappresentazione all’altra in modo molto rapida e soprattutto sono dei luoghi che non hanno nessun tratto di nobiltà. Tutto è rappresentato in modo cupo, inquietante e degradato. È la rappresentazione di un mondo in cui non c’è via d’uscita alla morte, pieno di ingiustizie, di miserie, di arbitrarietà; un mondo rappresentato con dei toni fortemente negativi. L’esperpento non nega il tragico ne predica la sua assenza, ma vuole testimoniarlo in modo diverso: è ovvio che l’ingiustizia sociale, le disuguaglianze e la morte siano degli eventi e delle condizioni tragiche, che suscitano sofferenza ma in un mondo così falso e così assurdo l’elemento tragico della vita può essere rappresentato soltanto attraverso il filtro del grottesco. I canoni della tragedia classica non possono essere applicate a quella realtà che il drammaturgo cercava di rappresentare perché solo la deformazione e il grottesco potevano consentire un’epifania accettabile della tragedia spagnola. Quindi si assume l’ottica dello SPECCHIO CONCAVO, che è uno specchio deformante. La vita e la morte di Max Estrella rappresentano la vita e la morte del nuovo eroe tragico moderno (c’è una feroce satira politica e sociale della Spagna in quest’opera). Questi personaggi degli esperpenti sono degli eroi buffi e grotteschi. Il protagonista muore sulla soglia della porta della propria casa ed è abbandonato dal suo Lazarillo (=accompagnatore di ciechi), don Latino. Quest’ultimo, quando lo vede morente sulla porta di casa, gli prende il portafoglio dicendogli che lo avrebbe protetto dai ladri e lo abbandona lì lasciandolo morire. Max Estrella muore con una smorfia che gli deforma il viso. La gestualità e la rappresentazione delle loro caratteristiche fisiche contribuisce a dare ‘idea di questa deformazione della realtà. La SCENA XII è la scena cruciale dell’opera in cui Max Estrella, dopo aver vagabondato e affrontato una serie di vicende (licenziamento, presenzia a un tumulto di quartiere e viene portato in prigione dove conosce un catalano, ecc.), insieme a don Latino arrivano sulla via di casa. C’è una prima didascalia, cioè quella sezione testuale nella quale il drammaturgo da delle informazioni sceniche, dove viene descritta una strada con dei tratti vagamente modernisti perché c’è un gusto per una resa anche sensoriale e una selezione molto accorta dei termini. La scenografia principale è quella di una via in salita, con una chiesa barocca come sfondo ed è presente un forte contrasto cromatico tra il nero delle campane e il bianco della luna, che è ancora alta nel cielo e che ancora si può vedere. Don Latino e Max Estrella dialogano e intanto il cielo diventa “livido”: questo aggettivo è molto importante perché ci introduce all’assideramento del protagonista (condizione poco eroica in cui morirà il protagonista). Quindi, la didascalia ci fornisce un’indicazione di ciò che accadrà. Anche il sostantivo “portinaie” ci introduce ciò che accadrà perché la portinaia è proprio colei che trova il corpo di Max. Il protagonista intuisce che dovrebbero essere arrivati al momento dell’alba e rivela subito la sua pessima condizione fisica. Don Latino fa un’osservazione critica e polemica perché se Max non avesse impegnato il mantello (riferimento alle scene precedenti) non avrebbe sentito freddo. Sono presenti molti colloquialismi madrileni infatti l’opera è ambientata a Madrid. Si insultano a vicenda. Ad un certo punto Max con le sue risposte ci introduce il pensiero di Valle-Inclán sull’esperpento: la loro è una tragedia che non può essere rappresentata con i canoni della tragedia classica, ma solo attraverso un esperpento. Nel momento in cui Max Estrella nomina la parola “esperpento”, sulla sua faccia viene rappresentata una smorfia deformante. Max non riesce a muoversi dal freddo ma don Latino gli dice di smettere con quella farsa; Max chiede di essere scaldato con l’alito e rimanda alla scena del presepe in cui Gesù bambino è scaldato dall’asino e dal bue. Nomina però il “Bue Api” che era un dio egiziano della fertilità e quindi Valle-Inclán crea un SINCRETISMO tra la religione cristiana e quella egiziana, due mondi completamente opposti e lontani. Don Latino non capisce e gli dice di smettere di scherzare, ma Max continua sulla sua linea di riflessione estetica e intellettuale e continua a parlare dell’esperpentismo dicendo che l’ha inventato Goya e che gli eroi classici sono andati a passeggiare sul Callejon del Gato, una strada di Madrid dove c’era una ferramenta che aveva esposti in vetrina degli specchi concavi e convessi; chiunque passava lì per divertimento si specchiava per vedersi deformati. Questa frase di Max gli serve per dire che gli eroi che venivano rappresentati nella tragedia classica (in ginocchio) in questo contesto sono deformati; la tragedia così come l’avevano concepita i greci non può esistere in quel contesto, può esistere soltanto la deformazione grottesca degli eroi classici. Il senso tragico della vita spagnola si può rappresentare solo attraverso la deformazione. La reazione di don Latino è scanzonata e sarcastica e gli risponde con un “Miao” (rimandando al termine Gato della strada con gli specchi concavi), come se si stesse trasformando in un gatto. Probabilmente don Latino si è soffermato solo sul termine “gato” senza neanche capire tutto il discorso del protagonista. Dietro le parole di Max Estrella ci sono quelle di Valle-Inclán che voleva rivoluzionare il sistema teatrale aristotelico. Don Latino crede che tutto quello che dice Max sia falso e incoerente. Intanto, le mani di Max cominciano a congelarsi e a fargli male e ammette di stare male. Nella seconda didascalia torna la parola LIVIDO e sono le cinque mattino. C’è sempre l’allusione alla smorfia sul viso del protagonista che infastidisce don Latino. Max Estrella ha una specie di allucinazione e vede un funerale che gli sembra quello di Victor Hugo e chiede a don Latino perché loro in questa scena presiedono il funerale. C’è tutto un presagio di morte perché il protagonista la sente sempre più vicina. Max comincia ad avere una sorta di delire e il suo accompagnatore si prende gioco di lui fingendo di avere la stessa visione e di vedere tante corone di fiori (quindi il funerale è di Max perché a lui non le porterebbe nessuno). La terza didascalia descrive la morte di Max sulla soglia della porta perché nessuno è andato ad aprirla. È una descrizione assolutamente banale e anche un po' volgare di un cane che orina sul cadavere. Max sa di dover morire e Latino decide di abbandonarlo anche se fino alla fine cerca di incitarlo ad alzarsi. Gli prende il portafoglio per custodirlo da possibili ladri che avrebbero potuto derubarlo in quella situazione e se ne va definitivamente. Compaiono altre due figure: la portiera Flora e la vicina di casa. Le didascalie sono molto descrittive e anche quella che segue ci dà una dinamica precisa di quello che succede: La porta si apre a lui cade giù dalle scale. Nell’ultima didascalia torna l’aggettivo LIVIDO questa volta però associato proprio al corpo di Max Estrella. Di fronte alla visione di un cadavere, che è una situazione tragica, la vicina non è per niente commossa. La morte è rappresentata con una banalità inquietante resa sia dalla vicina che dice di non avere tempo da perdere sia dalla portiera che infastidita va ad avvertire la moglie del poeta. FEDERICO GARCIA LORCA Il teatro fu una delle sue grandi passioni, non solo quello rappresentato (aveva fondato una compagnia teatrale che lo portò a percorrere tutto il territorio nazionale, La Barraca, e rappresentavano gratis il teatro classico e barocco spagnolo). Lorca in tante occasioni espresse le sue idee sul teatro, la sua concezione del teatro e quella che secondo lui doveva essere la funzione. Si dedicò al teatro sin dalle origini della sua carriere e portò avanti la sua esperienza di drammaturgo a pari passo con quella poetica. Nel ’31, quando si trovava a New York ed era entrato in contatto con un mondo letterario molto effervescente perché la letteratura anglo-americana era molto vivace, disse che New York è il luogo ideale per capire verso dove va questo nuovo teatro e naturalmente lui concepiva il teatro come un’arte universale, non lo voleva circoscrivere alla realtà spagnola sebbene inevitabilmente lui rappresenti attraverso le proprie opere drammatiche la sua campagna. Nel ’33 disse che per lui il teatro è un’arte totale, che mette insieme la parola (la poesia) ma anche l’azione e il gesto. È un’arte complessa perché riunisce tante discipline, tante modalità espressive in un unico prodotto che è appunto la rappresentazione teatrale. Un prodotto che è sempre vivo perché ha bisogno di essere rappresentato. Nel ’34 sottolineò un’aspirazione molto forte che aveva e va nel segno opposto a Valle-Inclán, che attraverso le parole di Max Estrella disse che la Spagna non si poteva rappresentare con una tragedia, e si rese conto che doveva e voleva rappresentare la tragedia spagnola attraverso una forma drammaturgica che doveva essere quella della tragedia. Nello stesso anno allude a un progetto drammaturgico, una trilogia: “Bodas de sangre”, “Yerma” e “El drama de las hijas de Loth” (che riprende l’episodio biblico di Sodoma). Non arriverà mai a scrivere e a concludere questo dramma quindi è rimasto nelle vesti di un progetto. Invece, la terza opera di questa trilogia è “La casa de Bernarda Alba”. Nel ’35 rivela la sua concezione del teatro: la presenza di un teatro sensibile e ben orientato permette di cambiare la sensibilità di un popolo; invece, un teatro che non funziona, che non spinga alla libertà e al volo dell’immaginazione ma che invece ci obblighi a restare ancorati alla terra e alle cose più materiali, rischia di far addormentare e diventare rozza una nazione intera. Perciò il teatro è il barometro che segna la grandezza o il declino di un paese perché dalla sua salute possiamo capire quella di un popolo intero. Un teatro che non tiene conto del suo popolo non è un teatro, ma solo una sala giochi che serve per ammazzare il tempo. Nel ’36, l’anno della sua morte, dice che il teatro è una poesia che si alza dal libro e si fa umana perché il teatro non è solo testo, ma anche rappresentazione. Quindi, nel momento in cui questa poesia si fa umana parla, grida, piange e si dispera. L’opera comincia con il sogno di un pastore: Yerma si trova a casa sua, si è assopita, avendo vicino a sé un cesto con dei gomitoli di lana per lavorare a maglia, e sogna un pastore che porta un bambino per mano mentre una voce canta una ninna nanna. Così si apre il dramma. Quindi, la dimensione del sogno è centrale sin dalla prima scena dell’opera fino ad essere poi negata nell’epilogo della tragedia. Questa tragedia è costruita sulla progressiva presa di coscienza da parte di Yerma della propria sterilità: inizialmente cerca disperatamente di opporsi al proprio destino e inciterà il marito ad avere maggiore desiderio di paternità e ad essere più presente. Sarà tentata da varie figure che incontrerà nel suo cammino, soprattutto dalla Vecchia che è una figura fortemente ambivalente di donna che cerca di gettarla tra le braccia del proprio figlio per indurla all’adulterio e a cercare un altro padre per quel figlio che non arriva. Yerma è una donna che fa parte di una società rigida con delle regole ferree, che ella non vuole infrangere per il rispetto dei propri principi e dunque rifiuta l’adulterio e la ricerca di altri uomini. La Vecchia addirittura la porta a sottoporsi a un rito di fertilità che infondo non è altro che la promiscuità con altri uomini. Nell’ultima scena, quando Juan insospettito dalle continue assenze di Yerma, la cerca a e la trova in questo posto dove si stavano realizzando questi riti e assiste al dialogo tra Yerma e la Vecchia, sente con le proprie orecchie che sua moglie non ha nessuna intenzione di tradirlo ed è rassegnata ad accettare la sua condizione di donna sterile. A quel punto Juan le si avvicina, la perdona e le dice che vuole solo lei, la ama a prescindere dalla procreazione; Yerma però non accetta questa proposta e vedendo che il marito, attraverso le sue parole, frustrava ancora di più questo suo sogno di maternità, decide e capisce di aver perso anche l’ultima speranza e per appropriarsi del proprio destino, quasi per imporsi su questa tragica fatalità che l’aveva condannata alla sterilità, decide di uccidere il marito. Uccidendo Juan, nell’ultima scena del terzo atto, Yerma si appropria definitivamente del proprio destino e dice “Ho ucciso mio figlio” perché ha ucciso l’unica persona che poteva renderla madre. Lei stessa diventa responsabile della sua sterilità e non sarà solo una vittima passiva del destino; è un atto di ribellione disperato contro il destino. Le lavandaie nella prima scena del secondo atto della storia svolgono la funzione del CORO e il tema unico e centrale quello della vicenda di Yerma, cioè che la donna ha dei comportamenti strani negli ultimi tempi, è molto inquieta ed esce molto spesso di casa e alcuni insinuano che sia desiderosa di adulterio. Per questa ragione il marito ha portato in casa propria le due sorelle nubili e zitelle, che hanno la funzione di controllo, censoria dei comportamenti della protagonista. In tutta quella scena le lavandaie dialogano su questi punti, quasi tutti accusano Yerma di essere una donna poco seria e solo una di loro la difende. Dopodiché si mettono a cantare canzoni di carattere popolare piene di metafore. Questa è una parte di testo lirica e perfettamente integrata nel dramma. Il PRIMO QUADRO si apre con una didascalia che descrive la scena, è un’indicazione scenica del drammaturgo, e capiamo da essa che Yerma è addormentata e che questa scena ha una luce di sogno, dal momento proprio che si sta proprio descrivendo un sogno della donna. Dopo che è suonato l’orologio questo pastore esce ed entra sullo scenario una luce mattutina, più vera e quindi Yerma si sveglia. La prima porzione di testo che noi leggiamo è una ninna nanna, cioè un testo lirico: una quartina con i versi pari assonanzati in E/O. Yerma chiama Juan e il primo importante simbolo di Yerma è il LATTE, come liquido nutriente e come simbolo di maternità. È il primo elemento liquido che compare in questo dramma e gli dice appunto di prendersi del latte per avere più energie, ma l’uomo sostiene di non averne bisogno perché per diventare come l’acciaio non deve mangiare. Qui Yerma già comincia a recriminare e si capisce che sta cominciando ad accusare il marito di aver cambiato il proprio comportamento dal momento in cui si sono sposati, è meno sano e che vorrebbe che andasse al fiume per nuotare e andare sul tetto di casa quando piove per essere bagnato: l’ACQUA è un altro simbolo importante di fertilità perché l’acqua corrente è viva e dinamica. È una preoccupazione costante quella di Yerma di imporre al marito uno stile di vita che non è quello che lui vuole. Yerma è preoccupata dal passare del tempo, già un anno, mentre Juan è tranquillo e tocca un punto doloroso per la donna: le dice che tutto va bene anche perché non hanno figli che gli fanno spendere soldi. Qui Yerma sbotta e non capisce perché nonostante lei si sia sposata con tutta la gioia del mondo, non sia stata ripagata di questo. Attraverso l’IMMAGINE NATURALE delle erbacce che nascono tra i sassi lei esprime tutto il suo dolore per la sua condizione di sterilità che si contrappone alla condizione naturale che la circonda; persino un terreno roccioso con i fertilizzanti riesce a produrre un frutto, mentre lei no. Juan le dice che non vuole che sua moglie esca di casa e questo ci fa capire la mentalità della società in cui vivono perché non era ben visto che una donna uscisse di casa senza un buon motivo. Yerma si incupisce, il marito se ne va e comincia una parte importante che è una CANZONE DI MATERNITÀ, il cui tema appunto è quello dell’aspirazione e dell’attesa di maternità. In questa canzone Lorca combina versi di otto, nove, dieci, undici sillabe quindi è uno schema metrico irregolare con delle forti assonanze e con dei versi monorimi. Sono versi posti in bocca a Yerma. Prima quartina: versi con assonanza I/O ed è un dialogo tra l’aspirante madre e suo figlio. Ritornello: due versi con assonanza O TONICA ed è l’apoteosi di una natura viva. Strofa da cinque versi: assonanza E/O, luna personificata, metafore del vento che canta e dei buoi che muggiscono. Verso unico: Il bambino chiede di essere concepito e di essere preso come figlio. Quartina: qui c’è l’ansia di maternità della donna che desidera che il suo ventre sia la prima culla della creatura che deve nascere. Verso unico: il gelsomino è una metafora floreale che è simbolo di fertilità. Dopo questa canzone, riceve la visita della sua amica Maria che le annuncia di essere incinta dopo poco tempo dal matrimonio. Yerma prova gioia per l’amica ma anche dolore per se stessa perché si vede ancora una volta superata. Poi incontra Victor che si presenta a casa sua. Egli è un pastore che rappresenta la fertilità, è l’incarnazione della virilità feconda e dunque Lorca insinua in questi incontri (ne avranno due) innocenti il fatto che Yerma percepisca in lui qualcosa che manca completamente al marito. Infatti, le insinuazioni delle lavandaie andranno proprio in questa direzione, cioè che Yerma cerchi in un altro uomo ciò che Juan non riesce a darle. Nel SECONDO QUADRO incontrerà la Vecchia che le dice di avere avuto tanti figli e di sapere come si fanno e cosa sia necessario per procreare. La vecchia le fa capire che secondo lei l’unica cosa di cui c’è bisogno è di abbandonarsi. Le suggerisce che è di una tale bellezza e leggiadria che potrebbe avere molto di più; le insinua una cosa che più avanti le dirà esplicitamente. Il marito non riuscirà mai a darle un figlio perché tra loro manca la passione. Yerma non risponde a questa provocazione perché ha le idee chiare riguardo i suoi doveri e i suoi principi. L’ATTO SECONDO è importante perché appare il CORO delle lavandaie. La prima scena proprio si apre con una quartina di sapore folklorico, popolaresco che consiste in una canzone di lavandaia. Quindi, cantano insieme un testo pieno di sensualità con delle metafore erotiche abbastanza evidenti. È il canto di una voce femminile verso una figura maschile. Nella scena precedente Juan decide di mettere in casa le due sorelle per controllare Yerma quindi ora le lavandaie discutono di questo. La quarta lavandaia introduce una copla in cui parla male di Yerma e la critica. Questa constante necessità di Yerma di uscire di casa, di toccare il terreno e respirare aria fresca è la simbolizzazione di questa necessità che la donna ha di sfuggire al proprio destino (Juan vuole evitare proprio questo comportamento di Yerma con l’aiuto delle sue sorelle). Solo la prima lavandaia prende le difese di Yerma. Arrivano al lavatoio le cognate di Yerma e ovviamente le lavandaie hanno cura di non far sentire i loro pettegolezzi quindi la quarta lavandaia canta un’altra canzone di chiaro sapore popolare, ripetendo versi utilizzati all’inizio della scena. Sono canzoni fortemente allusive che le lavandaie a turno recitano mentre svolgono la loro funzione.
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