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APPUNTI FILOLOGIA SEMITICA, Appunti di Filologia Araba

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achrafamin
achrafamin 🇮🇹

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Scarica APPUNTI FILOLOGIA SEMITICA e più Appunti in PDF di Filologia Araba solo su Docsity! FILOLOGIA SEMITICA Il presupposto su cui si basa la filologia è che si può avere accesso alla cultura di qualsiasi tipo (antica, medievale, ecc) attraverso i testi che essa ha prodotto o occasionato (inchieste, trascrizioni, ecc). Sui testi presi in esame come oggetto di studio, poi si opera una vera e propria critica testuale, si parla di “Ectodica”, ovvero l’arte di editare i testi (modificarli). La Filologia Semitica è una disciplina “Comparatistica”, ovvero studia le relazioni che sussistono tra 2 o più lingue semitiche per spiegarne le affinità e ricostruirne una parentela, basandosi su alcune prospettive:  Discendenza comune di queste lingue da un’eventuale lingua “madre”, definita per convenzione “Proto-semitico”.  Linguistica Areale; ovvero possibili contatti tra le lingue che hanno generato la diffusione di prestiti e calchi lessicali e compresenza di queste lingue nella stessa area.  Sviluppo parallelo (senza la necessità di un’influenza diretta) di alcuni fenomeni comuni; ad esempio la trasformazione delle interdentali in semplici occlusive nell’Aramaico del 10° secolo a.c. e in tutti i dialetti arabi mediterranei (tranne il Tunisino).  Principi Universali; come ad esempio che ogni lingua che possiede il femminile deve avere anche il maschile, e che tutte le lingue hanno consonanti.  Casualità: ovvero A.Meillet, affermò che ad esempio, una parola come “Bad”, può comparire sia in inglese che in persiano con lo stesso significato, nonostante le radici siano diverse e dunque non sia nient’altro che frutto del caso. Per quanto riguarda la parte generale del corso, verranno trattati i seguenti argomenti: 1. Passare in rassegna tutte le principali lingue semitiche (focalizzandoci sull’Aramaico di Elefantina) 2. Classificazione delle lingue semitiche 3. Scritture semitiche 4. Aspetti della fonologia (che, secondo la Scuola di Roma, si intende come la scienza che studia l'aspetto articolatorio, acustico e strumentale del suono, diversa dalla fonematica che si occupa del significato portato dal suono, es. differenza tra “pesca” / “pèsca”) 5. Aspetti morfologici della semitica comparata e qualche nozione di sintassi della frase; infine eventualmente anche elementi del lessico (ad esempio "lhm" che designa carne in arabo e pane in ebraico, questo perchè designa il cibo più frequente di una particolare civiltà). Nel 1781 uno slavista di nome A.L. Schloezer, insieme al suo allievo Michaelis e allo studioso Eichorn, fu il primo ad introdurre il termine “Lingue semitiche” per indicare: ebraico biblico, aramaico giudaico, Aramaico cristiano (siriaco), arabo ed etiopico, che invece venivano denominate precedentemente “Lingue orientali”. Tuttavia già in Algeria, l’ebreo Quraysh stava lavorando a delle “Risalah” (epistole), comparando forme ebraiche bibliche e aramaico (e anche l’arabo), per dimostrare che si trattava di lingue imparentate; oltre a lui sono da ricordare anche altre figure per quanto riguarda questi primi studi di comparatistica delle lingue semitiche, come Prisciano nel 5° secolo, che conosceva tanto l’ebraico quanto l’aramaico, oppure come Isidoro di Siviglia nel 7° secolo che utilizzava regole scientifiche avvalendosi anche dell’arabo. I primi contatti con la cultura semitica in occidente si sono avuti soprattutto a causa delle “Crociate” e anche del Concilio Ecumenico di Ferrara-Firenze del 1431, quando i rappresentanti delle Chiese ortodosse d’oriente andarono in Italia e si avvicinarono anche a molti umanisti laici, ai quali commissionavano dei testi e allo stesso tempo questi ultimi si facevano insegnare le loro lingue e uno di loro in particolare, sarà colui che pubblicherà la prima edizione del Nuovo Testamento in Siriaco, che esce a Vienna nel 1555 e poi si diffondono anche le prime grammatiche, dizionari ed edizioni di testi critici. A partire da questa data, quindi, inizia a diventare possibile effettuare studi di comparatistica semitica 1 (tranne gli arabi che non si interessano a tali studi all’inizio); il primo esempio di comparazione linguistica in ambito semitico lo abbiamo nel 1954 con il professore italiano Angelo Canini, che alla Sorbona di Parigi, utilizzava esempi in arabo per spiegare la differenza tra la grammatica ebraica ed aramaica. La linguistica comparata quindi nasce proprio così, comparando le strutture più resistenti di una lingua, che resistono al contatto con le altre, ovvero la Fonologia e la Morfologia. La Grammatica di tutte le lingue infatti si compone di 4 parti:  Fonologia : Essa è più aperta rispetto alla Morfologia, in quanto il fonema può entrare anche come prestito in una lingua, per esempio il caso della “c dolce”, che non è originaria delle lingue semitiche, ma che tuttavia è presente in lingue come il Turco.  Morfologia : Qui non sono così diffusi i prestiti, però dobbiamo sottolineare che la Morfologia si divide in due parti: Flessiva e Derivazionale, che è quella più aperta al prestito linguistico, in particolare una lingua come il Maltese, che è una lingua con una base di arabo magrebino (34% del lessico), ma che si compone di più strati, come quello inglese (10%) e quello siciliano (60%); tuttavia compensa con il fatto che il lessico arabo è usato nel 98% delle frasi. Quindi i pronomi e tutta la parte flessiva subisce raramente modifiche, mentre la parte derivazionale, come la declinazione verbale, è più aperta al prestito.  Sintassi : Anch’essa è una categoria aperta, anche per esempio in italiano, dalla fine del 700’ si sono formate delle frasi che a causa del contatto col francese, si trovano in un ordine sintattico abbastanza inusuale per l’italiano, proprio perché sono adattamenti dal francese.  Lessico : Questa è la categoria più aperta in assoluto; tuttavia esistono delle parole che compongono il “lessico di base” di una lingua che costituisce la parte più resistente al cambiamento, sono quelle parole che M. Swedesh cataloga (es. parti del corpo, nomi di parentela, ecc). Uno dei motivi per cui è importante la comparazione delle lingue semitiche, è che tale procedimento serve soprattutto per ricostruire il “Proto Camito-Semitico” ed è necessario esplicitare sia Camitico che Semitico, perché per lingue come Egiziano Antico, Berbero, ecc non è possibile stabilire un’origine comune. Tuttavia a partire dagli anni 70’ gli Americani chiamano queste stesse lingue “Afro-Asiatiche”, un nome sicuramente errato, perché porta a pensare che tutte le lingue Africane e Asiatiche possano far capo a una stessa famiglia, quindi per convenzione si usa il termine Camito-Semitico. Il motivo per cui convenzionalmente queste lingue sono definite “Semitiche” è da ricercare nella Genesi 10, in cui si narra che da ciascuno dei figli di Noè derivasse una diversa discendenza linguistica e da Cam e Sem derivano proprio le lingue che oggi chiamiamo Camitiche e Semitiche. Il primo a riconoscere il concetto di “famiglia linguistica” fu il filosofo e linguista Leibniz, anche se egli chiamava tale famiglia linguistica “Aramaica” e non ancora “Semitica”, come invece avrebbe poi fatto Schloezer. Queste lingue hanno un’attestazione molto diversa tra loro, ma tuttavia sono le lingue con l’attestazione scritta più lunga del mondo (circa 5 millenni):  Egiziano Antico : E’ la più antica ad essere documentata, infatti la sua prima attestazione risale al 3080 a.c. con la “Paletta di Narmer”, un testo in bassorilievo; essa era la lingua dell’Egitto pre- classico almeno fino al 4° secolo d.c. che poi è stata affiancata nell’ultima fase dal Copto (lingua liturgica de iure della Chiesa dei cristiani d’Egitto, ma che oramai è stata sostituita de facto dall’arabo), la cui scrittura è stata utilizzata a partire dal 1° secolo d.c. prima nei testi pagani e poi dal 3° secolo in quelli Cristiani e Manichei (movimento gnostico).  Berbero : Essa è un’altra lingua molto conservativa e che ha una tradizione scritta molto antica solo a livello epigrafico (iscrizioni libiche, lasciate dalle popolazioni della Numidia). Una varietà berbera, il Tuareg, lingua parlata dai beduini nel sud di Libia, Algeria, Marocco, ecc è 2 che è stato introdotto da un sociolinguista francese per designare quello che gli inglese hanno sempre chiamato "lingua franca", ma che per i linguisti indica una lingua pidgin stabile messa in circolazione nel Mediterraneo tra il 1300 e il 1303 e quindi si è cercato un'altra parola, ovvero "lingua veicolare" per indicare una lingua che viene utilizzata per comunicare tra popolazioni che hanno lingua materna diversa tra loro, come accade oggi con l'inglese), essa infatti è stata utilizzata anche come lingua amministrativa in Mesopotamia, si ritiene già nell'8° secolo, nell'epoca Assira, che anche la popolazione d'èlite scrivesse in assiro, ma che parlasse in realtà Aramaico, tant'è vero che molti documenti economici e critici ritrovati avevano delle soprascritte, dei riassunti del loro contenuto ai fini di archiviazione, in aramaico; tuttavia la prova principale che l'Aramaico fosse lingua veicolare è un testo che è stato ritrovato in Assiria, che si chiama "ostrakon di Assur" nel 650 a.c., che è un testo mandato da un signore babilonese a un suo corrispondente commerciale assiro, scritto in aramaico (tuttavia è diverso dal chiamarla “lingua ufficiale” come fanno gli inglesi, in quanto si può confondere con il fatto che una lingua sia di uso ufficiale, ovvero nell'amministrazione e nella giustizia, che invece era un ruolo ricoperto solo da greco e romano nell'impero e quindi in questo senso nessuna lingua semitica è ufficiale). Questa sua funzione viene mantenuta anche dopo la fine dell'impero Assiro, all'inizio dell'impero Babilonese, quindi nel 622 con la caduta di Nivide e la conserva anche a partire dal 538, quando si afferma l'impero Achemenide (prima parte dell’impero persiano, per differenziarlo da quello successivo che viene detto Sasanide), guidato da Ciro di Persia, infatti nell'impero Persiano l'uso dell'Aramaico era diffusissimo; in tutte le località dell'impero, che si estendeva dall'Egitto fino all'Afghanistan, ci sono pervenuti documenti in Aramaico, per la maggior parte su media duri (quindi incisioni su pietra o su oggetti di metallo, avorio, ecc), e le uniche zone da cui ci provengono documenti su media morbidi, quindi testi molto estesi, sono l'Egitto e la zona del Mar Morto, per questo in passato si parlava molto spesso di "Aramaico d'Egitto", che non è una variante della lingua, ma è solo per convenzione, per indicare i documenti su papiro ritrovati lì e questo fa sì che le prime grammatiche di questa lingua tenessero in conto soprattutto la documentazione in Egitto e la grammatica più importante che possediamo è quella redatta da un giapponese Muraoka, che l'ha scritta insieme a Bezalel Porten. Nelle altre zone dell'impero, come documentazione ritroviamo essenzialmente delle lettere che sono in parte corrispondenze private e in parte ufficiali; quella privata più importante dal punto di vista linguistico è quella in cui il re scriveva ai suoi amministratori da una capitale Achemenide probabilmente; mentre i documenti più importanti dal punto di vista storico-religioso sono quelli che si trovano nell'archivio del capo della comunità ebraica "ydnyh' b gmryh" (yedaniah bin gemaryah), perchè documentano la tensione crescente con i cristiani, fino a che questi distrussero il tempio di Yahò e lo saccheggiarono. (Probabilmente la religione di Israele non era come l'ebraismo attuale, si ipotizza che sia stata politeista o enoteista fino all'epoca cristiana, quando poi è diventata monoteista; tuttavia gli autori dei testi biblici molto spesso vogliono far passare questo messaggio che Israele ha sempre avuto una religione monoteista). 3. Aramaico medio : (200 a.c. – 200 d.c.) La difficoltà principale di questo periodo è quella di classificare la lingua delle parti aramaiche della Bibbia, ovvero quelle in aramaico biblico, che corrispondono a circa metà del libro di Esdra e la metà del libro di Daniele, che non è lo stesso tipo di aramaico del primo libro citato. L'Aramaico di Esdra cerca di imitare l'Aramaico d'impero autentico, presentando una serie di documenti che cercano di imitare dei documenti ufficiali riscritti dell’impero Achemenide; tuttavia questi non sono ufficiali e ci sono due ragioni per ritenerlo: la prima ragione è prettamente linguistica, riguarda la forma, in quanto gli autori di questo libro biblico (che molti collocano tra il 4° e il 5° secolo a.c., mentre molti altri pensano che risalga al 1° secolo a.c., tra cui il professore), nel momento in cui scrivono, si ricordavano solo vagamente di come era fatto un documento ufficiale e 5 ciò lo si può vedere ogni volta in cui si riscontrano termini di un testo che non sono in aramaico, per esempio un prestito accadico o iranico usati per definire termini tecnici, di amministrazione, che erano sempre usati in modo sbagliato, come la parola “pitgam”, che viene adoperata col significato specifico di "decreto", ma che in aramaico antico “pati-gama” voleva dire genericamente "documento legale"; quindi questa specializzazione semantica che subisce, lo allontana dal suo uso iniziale. La seconda ragione per cui sostenere che i documenti non siano autentici è legata strettamente al contenuto, poiché ad esempio tutti i biblisti asseriscono che il 75% dei fondi dell’impero Achemenide fossero destinati alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, cosa che invece sulla base dei documenti ufficiali e legali ritrovati poi ad Elefantina, non è ritenuta plausibile dai semitisti. L'aramaico medio quindi in realtà è una specie di contenitore che include una grande quantità di varietà molto diverse, che molto probabilmente noi conosciamo solo sotto forma scritta. Per quanto riguarda la documentazione, di questo periodo fanno parte: i due libri biblici di tradizione giudaica (Esdra e Daniele), poi abbiamo una grande quantità di testi letterari importanti ritrovati nelle grotte del Mar Morto (scritti in Aramaico di Qumran, dalla località in cui sono stati ritrovati); i documenti più importanti sono stati ritrovati nella “Grotta 4Q”, sono molti documenti ridotti però in cattivo stato, ritrovati in questa grotta che gli specialisti definiscono come la biblioteca della comunità Essenoide che aveva lasciato Gerusalemme e si era rifugiata nelle grotte vicino Qumran; qui sono stati ritrovati un Talmud di Giobbe, di cui circa 1100 parole erano “Hapax Legòmena”, ovvero parole usate una volta sola e poi alcuni passi del Levitico. Nella grotta sono stati ritrovati numerosi testi confessionali, di natura religiosa, in ebraico prodotti dalla comunità che usava tale lingua come lingua letteraria, mentre invece i testi aramaici trovati lì, li avevano ereditati come patrimonio comune che apparteneva a ogni tipo di giudaismo dal 4° secolo a.c. in poi; quindi questi testi sono più antichi dei testi ebraici prodotti dalla comunità stessa. Molti di questi testi ci documentano il tipo di traduzione più o meno letteraria, una traduzione interpretativa della Bibbia ebraica, che in aramaico si chiama “Targum” che vuol dire "testo tradotto", diversi dai “Talmud”, una grande enciclopedia edificata che regola l'aspetto della vita sociale e individuale dei fedeli (in quanto l’ebraismo è una religione che si fonda sull’Ortoprassi, ovvero fornisce dei comportamenti retti da seguire), nei quali però si dice che dice la traduzione non è un qualcosa che poteva essere messa per iscritto, in quanto in questo modo le si dava un valore autoritario, infatti nella Sinagoga vi era un ufficiante che leggeva il testo scritto e un “Meturgeman” (traduttore) che a voce traduceva e doveva imparare a memoria tutta la nuova terminologia. Sempre inerenti a questo periodo, abbiamo dei testi prodotti in altri ambiti religiosi in una lingua definita “Aramaico del deserto” ovvero la lingua scritta dalle popolazioni delle grandi città carovaniere del Vicino Oriente; è probabile che una parte di esse parlasse già arabo, ma che scrivesse in Aramaico, infatti l’Arabo deriva direttamente da una scrittura corsiva aramaica chiamata “Nabateo”. Le grandi città carovaniere sono:  Petra : la città di Petra, che oggi è situata in Giordania, era la capitale dell’antico regno dei Nabatei; questi ultimi parlavano la lingua nabatea, che dai documenti ritrovati, si ritiene che si sia sviluppata tra il 1° secolo a.c. ed il 4° secolo d.c.; noi sappiamo però, grazie a dei documenti greci, che i nabatei scrivevano in aramaico già intorno al 300 a.c. (probabilmente su media morbidi che non sono stati conservati, tranne pochi ritrovati nelle rovine del Mar Morto che riguardano l’eredità ricevuta da una donna dopo la morte del marito). Dal 106 d.c., dopo che Roma conquista Petra, l’impero Nabateo sposta la capitale verso Nord, in Siria, nella città chiamata Bostra. Documenti legali anteriori al 106 d.c. sono quindi in nabateo, quelli posteriori al 106 d.c. sono 6 in greco; questi documenti legali sono pieni di lessico che abbiamo difficoltà ad interpretare, è un genere di lessico legale che non è congruente al Corano e alla Sharia, è quindi un diritto arabico diverso da quello che si affermerà successivamente con l’Islam. Vi sono delle difficoltà anche nell’analizzare ad esempio, la lingua del regno di Qataban, nello Yemen centrale, una lingua sudarabica di cui abbiamo una decina di documenti legali scritti intorno alle mura vicino alla porta urbica dove si amministrava la giustizia, chiamati “Thammah”, dove ci sono termini che non troviamo in altre lingue e quindi abbiamo solo una vaga idea di cosa possano significare. La maggior parte dei testi portanti le redini della creazione e dello sviluppo dell’arabo sono per noi molto difficili da capire ed analizzare, in quanto il lessico legale è il più difficile di tutti. L’impero Nabateo era quindi molto vasto, andava dal Nord dell’attuale Arabia Saudita (Hijaz), occupava una parte della Palestina meridionale, il Sinai, il deserto del Negeb, una parte della Siria Orientale e tutta la Giordania e in queste zone si può supporre che coloro che scrivevano in nabateo parlassero aramaico, quanto più si trovavano vicino alle grandi città; ad esempio nelle province della Siria e della Palestina, che erano più vicine a città di lingua greca, si suppone che parlassero greco e aramaico, mentre quanto più ci si avvicinava all’Arabia vera, ovvero deserto del Nageb e Giordania, si parlava arabo e si scriveva in aramaico. Il materiale nabateo che oggi abbiamo consiste principalmente in iscrizioni su pietra e su pergamene, in totale abbiamo circa 2000 testi.  Palmira : Situata nella Siria centrale, luogo in cui si sviluppa il “Palmireno”; questa è una lingua aramaica che è stata scritta in un contesto di equivalente esposizione alla cultura ellenistica, ovvero la cultura greca, infatti circa l’80% dei testi che abbiamo in palmireno sono bilingui, ossia le iscrizioni aramaiche hanno il loro corrispettivo anche in greco (le iscrizioni bilingue sono il punto di partenza per decifrare una lingua semitica, ma tuttavia spesso i due testi differiscono abbastanza nel significato); quindi era una lingua molto più facile da interpretare rispetto al nabateo, difatti è stata la prima lingua semitica ad essere decifrata in seguito alla sua scoperta tramite scavi archeologici. Il palmireno ci è noto dal 1° secolo d.c. fino al 3° secolo d.c. e ad oggi abbiamo davvero pochissimo materiale riguardo questa lingua, una cosa però che ci è venuta in modo inaspettato, ma che è molto importante, è stata la scoperta fatta sull’Isola di Soqotra, che in superfice non ha nessun documento scritto che non sia in arabo, perché nel 700’ per 20 anni una comunità di wahhabiti (che sarebbe un movimento di riforma religiosa fondato da Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb di musulmani fondamentalisti) ha abitato l’isola e tutto ciò che era diverso dall’arabo era stato soppresso. Gli archeologi hanno scavato fino ad una profondità di oltre 1km e mezzo, dove hanno trovato molte iscrizioni nascoste in una grotta, era sostanzialmente un santuario pagano contenente testi in diverse lingue indiane e sudarabiche di persone che erano scampate ad un naufragio e che vennero in quella grotta per pregare il loro Dio e ringraziarlo, e poi hanno trovato una tavoletta di legno scritta in palmireno che parla di un mercante che si era recato in questo luogo di culto indiano; grazie alla tavoletta in palmireno sappiamo tutto di lui, da dove viene, quado è nato ed è possibile datare questa iscrizione al 240 d.c.  Hatra : Situata nel nord della Mesopotamia troviamo questa città Assira, in arabo antico il nome Hatra vuol dire “recinto, cortile”, difatti la città in origine era un recinto dove i nomadi si accampavano e che successivamente, quando fu edificata, divenne una capitale di un piccolo regno. Questa città ha dato luogo al ritrovamento di 600 iscrizioni lapidarie in dialetto aramaico che contiene parecchi prestiti dal greco e da lingue iraniche.  Edessa : è il nome greco di “Orhay” ed all’origine di una grande lingua letteraria aramaica e 7 1/3 musulmani), Bakh’a (che dopo l’arrivo di Daesh è rimasta disabitata) e Jubb’adin. Sono sopravvissute nel tempo tutte le lingue dell’aramaico tardo orientale invece, che sono:  Neo-mandaico : Parlato da pochissime persone e tutte ormai nelle diaspore, che si trovano nella diaspora canadese, americana e australiana. Il neo-mandaico presenta molte differenze rispetto a quello che abbiamo già analizzato e contiene molti prestiti persiani e arabi (molto spesso non dall’arabo classico ma dai dialetti).  Turoyo : Ha un base radicata sulla tradizione ortodossa; i parlanti di questa lingua sono meno di 50.000, ma nonostante ciò essa ha anche una piccola produzione letteraria, molti libri in Turoyo sono stati infatti pubblicati nelle diaspore in Svezia e in Germania.  NENA (North-Eastern Neo-Aramaic) : Sono una serie di circa 150 dialetti parlati da 4/5 di cristiani e circa 1/5 di ebrei, molti dei quali non sono intellegibili tra loro. La versione scritta viene chiamata “shehret”, ed essi hanno una tradizione indigena di scrittura di questa lingua a partire dal 1600, soprattutto per quanto riguarda l’ambito religioso (Bibbia e Omelie) e la traduzione di letteratura europea. Questi dialetti sono parlati soprattutto nella zona nota come Kurdistan e un fatto particolare in relazione ad essi è che sono raggruppati non in base alla posizione geografica ma in base all’affiliazione religiosa, quindi per esempio, l’ebreo di una città non comprende la lingua di un cristiano della stessa città, ma magari capisce quella di un altro ebreo di un’altra città. Per quanto riguarda la documentazione che abbiamo relativa all’Aramaico, bisogna menzionare soprattutto i papiri ritrovati sull’isola di Elefantina, in Egitto. Quando ci riferiamo alla lingua in cui sono scritti i documenti ritrovati ad Elefantina, parliamo di “Aramaico d’Egitto”, non perché essa sia una lingua diversa, ma perché la maggior parte dei testi risalenti a questa fase dell’aramaico imperiale sono stati ritrovati in Egitto e quindi scritti secondo la loro variante dialettale della lingua; infatti bisogna sempre considerare quello che in Sociolinguistica viene definito “Approccio Variazionista”, cioè ci sono diverse varietà di una lingua, come anche nei Paesi arabi oggi, in cui c’è diglossia tra la Fusha e il dialetto locale; questo valeva anche per l’aramaico, quindi il modo in cui la gente parlava era molto più vicino alla lingua degli Ostraka, una forma più colloquiale. Il miglior approccio verso l’aramaico d’impero è quello di Margherita Folmer, una studiosa che ha scritto un libro relativo proprio a questo aspetto della variazione tra la lingua scritta e quella parlata. Uno dei primi grandi pionieri dell’egittologia e dello studio dei papiri di Elefantina è stato il padovano Belzoni, che ha partecipato alle campagne di scavo e ha pubblicato il suo materiale soprattutto in Inghilterra, poi finito solo per caso anche a Padova, dove è stato pubblicato da un’altra esperta di aramaico egiziano, ovvero Edna Bresciani nel 1970; esse erano 2 lettere e il frammento di una terza. Successivamente, una serie di altri testi furono ritrovati, sempre in modo casuale, da un altro egittologo italiano che però lavorava per i francesi, Bernardino Drovetti, il quale ritrovò una serie di frammenti di papiro che non vennero subito identificati come aramaici, ma che vennero dapprima definiti “fenicio- persiani” poiché la scrittura somigliava a quella fenicia, dopodichè la scrittura è stata riconosciuta come aramaico. Sempre nella zona di Elefantina, nel 1906 un orientalista, ma anche assirologo ed egittologo, A. Sayce, pubblicò 3 manoscritti avvalendosi dell’aiuto del semitista Cowley; questi primi ritrovamenti scatenarono l’appetito dei tedeschi sulla zona, che da quel momento decisero di partire per delle campagne di scavo organizzate, nel periodo che va dal 1906 al 1908. Nel 1907, proprio i tedeschi trovano un archivio molto importante, composto da circa 60 testi, che a sua volta suscitò l’interesse dei francesi, che nel 1908-9 iniziano a scavare a loro volta, trovando però solo dei pezzi di coccio, usati per scrivere essenzialmente necessità primarie (chiamati “Ostraka”), resi difficili da leggere anche a causa del lavaggio subito; questi Ostraka oggi sono conservati a Parigi e il direttore dello 10 scavo era Clemont-Ganneau, un importante archeologo, anche se la loro pubblicazione fu affidata prima a Dupont-Sommer, che ne pubblicò solo una parte e poi pubblicati interamente da Lozachmeur, un suo allievo. Nel 1911 anche i tedeschi resero noti i loro ritrovamenti nella zona e affidarono a Sachau la pubblicazione del resoconto dei ritrovamenti dei papiri ad Elefantina, un testo che tuttora è uno dei più importanti per gli studiosi in quanto è corredato dalle migliori fotografie dei papiri, nonostante siano ancora in bianco e nero; altrettanto importante è il lavoro di Ada Yardemi, una grafica che in quanto tale dava molta importanza alla scrittura ebraica, anche perché all’epoca alla buona lettura dei testi epigrafici ritrovati era data un grande importanza, tanto che persino la parte scarsamente leggibile dei testi era sovrastimata, poiché i paleografi cercavano di vedere delle parole che magari non erano chiare o che non esistevano, per questo il professore ha coniato l’espressione “wishful reading”, ovvero una lettura orientata, più frutto del desiderio che fondata su dati effettivi. Oltre alla documentazione più massiccia che viene da Elefantina, bisogna menzionare altri documenti importanti per questa lingua; il più antico testo ritrovato in Egitto, nella città di Memphi intorno al 601 a.c., (quindi molto prima dell’arrivo dei persiani nel 525, che ne avrebbero fatta la capitale del loro regno), fu questa lettera che noi abbiamo ancora oggi e che era scritta in aramaico egiziano dal faraone, destinata al signore di una città della costa palestinese vicino a Gaza, chiamata Ekron, che però portava un nome fenicio. Un altro documento importante è un contratto di partecipazione ad una società, datato al 515, poi abbiamo un blocco di documenti acquistati nel 1933 da un viaggiatore di nome Borchardt (ebreo tedesco), che scappò in Inghilterra dove ancora oggi sono conservati a Oxford; questi sono documenti molto complicati perché sono scritti in aramaico d’impero ufficiale, quindi presentano sia caratteristiche orientali (proprie del Babilonese e del Persiano), soprattutto il tratto semantico dell’ordine della frase con lo schema SOV (mentre i testi in Aramaico e in tutte le altre lingue semitiche del ramo occidentale, abbiamo l’ordine VSO). Questi documenti sono stati pubblicati in due edizioni dal semitista di Oxford dell’epoca e sono conosciuti col nome “Ad-amsham”; sono importanti perché sembrano essere scritti secondo una corrispondenza ufficiale, ma in effetti non lo erano, solo che si ipotizza che il mittente avesse imparato a scrivere secondo lo schema ufficiale e quindi anche quando doveva scrivere in un contesto diverso non poteva fare a meno di seguire tale schema. Un altro blocco di lettere furono scoperte in una borsa di pelle nel 1945 da Sami Gabra, oggi conosciute con la sigla “LH” con cui le ha pubblicate Edna Bresciani nel 1956, collocate in una località vicino all’antica città di Hermopoli; si tratta di 8 lettere private che riguardano una famiglia di soldati aramei, spedite dal Basso Egitto verso Luxor e Tebe ma che probabilmente non sono mai state consegnate; si ritiene che esse fossero parte di un archivio (come da consuetudine antica) e che quindi in quanto parte di un archivio dovessero condividere un’unità di luogo, intenzione e pertinenza. Quello che è interessante è in questo testo ci sono segni della religione aramaica, che era pagana ma che allo stesso tempo accoglieva anche divinità di altri culti, come il Dio Ptan, della religione egiziana che ritroviamo nel testo; infatti si ritiene che tale divinità sia stata la prima parola detta nel mondo e che tramite essa la divinità abbia poi creato il mondo. Infine un altro grosso ritrovo avvenne a Saqqara, dove sono stati trovati un centinaio di frammenti, da parte di Segal, semitista di SOAS (UK), che li ha ricomposti con grande fatica e pubblicati nel 1983. Infine, l’unico testo letterario rinvenuto è un romanzo accompagnato da proverbi di Ahiqar, un sapiente assiro. 11 Accadico Quello che si nota subito dall’albero genealogico è che le lingue semitiche hanno un ramo occidentale e un ramo orientale, rappresentato principalmente dalla lingua Accadica. Le differenze tra il Semitico occidentale e orientale risiedono principalmente nel sistema verbale e nell'ordine della frase, che mentre per le lingue occidentali (come l’Arabo classico e l’Ebraico moderno) era VSO, per le lingue orientali, quindi l’Accadico, presentano un ordine SOV. Questo è dovuto al fatto che l'Accadico veniva influenzato dalla lingua della popolazione che abitava la Mesopotamia, cioè il Sumerico; infatti, l’Accadico era la lingua parlata in Mesopotamia, nella zona corrispondente all’attuale Iraq, dagli antichi Assiri e Babilonesi. Essa è la lingua semitica con la più lontana attestazione scritta, risalente al periodo che va dal 2400 a.c. al 2000 a.c. circa, fase in cui si parla di “Accadico Antico”, poiché era parlata nelle zone vicino alla città di Akkad (che non è stata mai ritrovata). Tuttavia l’Accadico subisce poi una trasformazione in 2 rami: a nord della Mesopotamia si sviluppano i dialetti Assiri, mentre a sud quelli Babilonesi, che sono documentati in diversi fasi:  Antico Assiro/Babilonese Antico : 2000-1500 AC  Medio Assiro/Babilonese Medio : 1500-1000 AC 12 Eblaitico L’altra lingua semitica che fa parte del ramo orientale è l’Eblaitico (o lingua eblaita). Essa è la lingua parlata nell’antica città di Ebla (attuale Tell Mardikh) che si trova vicino a Latakia, in Siria. Questa lingua è stata scoperta grazie agli scavi degli archeologi italiani tra il 1974 e il 1976, con l’aiuto dell’epigrafista Giovanni Pettinato, grazie al quale si è potuto decifrare più di 17.000 tavolette d’argilla incise con caratteri cuneiformi. Tuttavia, pur essendo una lingua dotata di una scrittura cuneiforme, presenta delle affinità lessicali molto più vicine all'Antico Accadico rispetto che al Sumerico a causa della vicinanza geografica (infatti alcuni studiosi hanno sostenuto che l'Eblaitico fosse un dialetto dell'Antico Accadico, ma non è così, poiché il lessico è facilmente trasmissibile da una lingua all’altra, mentre per la parentela si valutano prima la morfologia e poi la fonologia, che tendono ad essere categorie più stabili di una lingua, per questo si è giunti alla conclusione che pur essendo vicine, Accadico ed Eblaitico fossero due rami distinti). La lingua viene datata intorno al 2500-2400 a.c. Abbiamo molti testi di diversa natura, tra cui economici, religiosi, lessicali; tuttavia il grosso problema di questa lingua è che nel cuneiforme eblaitico prevale una funzione semasiografica, il che rende la lettura di difficile lettura e quindi di conseguenza anche l'interpretazione risulta tale. Il semitico orientale è sostanzialmente la lingua delle popolazioni sedentarie di tipo urbano (Secondo il professore, la capacità di scrivere e l'origine del linguaggio vanno ricondotte ad una natura “poligenetica”, ovvero una teoria che afferma che all’inizio del mondo c’erano vari uomini in diverse zone della Terra che hanno iniziato a parlare e scrivere per esigenze diverse, religiose, commerciali, ecc, ed essa si oppone al “monogenismo” che invece sostiene che tutta l'umanità abbia avuto un'unica ascendenza identificata in 15 una coppia originaria. Tuttavia queste teorie, per ovvie ragioni, sono ancora oggi indimostrabili scientificamente, ma a favore del monogenismo, vi è un manuale, "Origine delle Lingue" di Meritt Ruhlen, etnologo e linguista statunitense, che fu preso in considerazione dalle facoltà teologiche o da coloro che credono nel creazionismo). In seguito, a partire dal 3° millennio a.c., nella Grande Siria (regione che comprendeva Giordania, Siria, Turchia, Palestina/Israele e Libano), dopo il crollo del regno di Ebla, troviamo gli Amorrei, una popolazione nomade che proveniva da ovest (“Amurru” significa “da Ovest”), che viveva nelle steppe mediorientali e si imposero progressivamente sulla regione, dove fondarono la città di Babilonia. Essi vivevano in tribù e in quanto nomadi non possedevano la capacità di scrivere; tuttavia conosciamo informazioni sulla loro esistenza grazie alle fonti che ne parlano, in particolare abbiamo dei registri con i loro nomi in epoca accadica, la loro particolarità è che essi erano “nomi-frase”, ovvero dei nomi che racchiudevano una frase di senso compiuto (per esempio “Emanuele” che vuol dire “Dio è con noi”). Distinguiamo due fasi della lingua amorrea: un Amorreo Antico che va dal 2100 al 2000 AC e un Amorreo Medio che va dal 1800 al 1700 AC. Tuttavia questa fa parte di quelle lingue che non hanno lasciato nessun testo scritto, nessuna traccia letteraria. Ugaritico L’Ugaritico fa parte del ramo occidentale, ed era una lingua parlata nell'antica città perduta di Ugarit (oggi località conosciuta come "Ras Shamrah”), in Siria, scoperta da archeologi francesi nel 1928, quando era iniziato nel Paese il mandato francese. Oggi è una lingua estinta che veniva parlata in quella regione tra il 14° e il 12° secolo AC. Abbiamo molti testi scritti in Ugaritico, che spaziano da testi economici, religiosi, medici fino ad arrivare anche a poesia epica, che anticipa i temi della poesia cananaica; essi sono però documentati solo in un breve periodo che va dal 1380 al 1180 a.c. circa. Abbiamo un primo periodo che viene definito “Ugaritico Letterario”, datato al 14° secolo, mentre quello “Non Letterario” datato al 13° secolo; la caratteristica è che tutta la documentazione in prosa di questo secondo periodo è stata scritta da un solo scriba. La lingua in cui ci sono giunte tali testimonianze è una lingua cuneiforme, ma non come quella mesopotamica, poiché usa l'Abjad che però viene inciso su tavolette d'argilla. L'abjad ugaritico consta di 30 segni che corrispondono a 28 fonemi consonantici (da esso deriveranno gli alfabeti e abjad moderni come quello greco, latino, ebraico, arabo e cirillico), poichè è l'unica lingua che vocalizza la consonante hamza /'/ con la a, con la i e con la u. L’Ugaritico quindi è una lingua che assomiglia molto all’Aramaico e all’Arabo dal punto di vista lessicale. Il regno ugaritico era uno stato cuscinetto che si trovava tra l’Egitto e la Mesopotamia, quindi per questo motivo aveva una cancelleria che conosceva 11 lingue diverse, per cui ne risultava una lingua “colorata” dal punto di vista lessicale. (Tradizione parallela: è un fenomeno che riguarda molte delle lingue semitiche e riguarda il fatto che molte parole originarie, subiscono delle variazioni che arrivano fino a quelle che conosciamo nelle lingue moderne che però ci aiutano nel confronto a ricostruire la probabile forma originaria; per esempio la parola per “re” dell’ebraico biblico era “melek”, tutte le parole con questa vocalizzazione vengono dette “parole secolari”, mentre nell’ebraico medievale, a causa del lavoro dei grammatici arabi, è diventato “Malk”). Cananaico Un altro ramo del Semitico Centrale è rappresentato dal Cananaico; la parola ebraica “Kana’an”, significa "mùrice", cioè il mollusco da cui si ricavava la porpora, un colorante tessile enormemente apprezzato e la stessa parola “porpora” in greco si diceva “Phoinix”, da cui viene la parola “Fenici”, cioè uno dei gruppi 16 Cananaici. Il primo ramo del Cananaico è quello che proviene dall'Egitto, da una serie di documenti molto importanti di tipo diplomatico che evidenziano alcune particolarità del cosiddetto “Cananaico di Tell El-Amarna”, dalla località egiziana in cui avevano scavato negli anni ’20 i tedeschi, la stessa in cui era scappato da Luxor il faraone Akenaton, ritenuto eretico. Da questi documenti si evince un tipo di sistema verbale definito "proto-pidgin", perché mescolavano caratteristiche linguistiche diverse, in maniera molto più forte che altrove. I documenti e i testi più importanti però, ci sono pervenuti dalle città di Tiro, Gerusalemme, Sidone e Gaza (città filistea, dove gli abitanti scrivevano in prima in Standard Babylonian, poi Fenicio e in seguito in Aramaico). L’Ugaritico ha dei rapporti abbastanza particolari con il Cananaico, perché pur appartenendo a due rami completamente diversi, sviluppano una tradizione letteraria molto simile, ad esempio l’Ugaritico è la prima lingua in cui si attesta l’articolo definito, che però nasce dall’aggettivo dimostrativo del neo-egiziano “Han” che passa poi all’ebraico “Ha”. Moscati, un importante studioso, sosteneva che mentre l’Aramaico fosse abbastanza facile da definire, in quanto ha la caratteristica di aggiungere l’articolo definito mediante una “a lunga” alla fine della parola, quindi ogni lingua che condivide questa isoglossa è Aramaico (Isoglossa: termine che viene dalla geografia linguistica è che indica una linea che individuano i punti su una carta geografica in cui si verifica uno stesso fenomeno linguistico), per il Cananaico invece questa operazione è più complicata da fare, sia perché ha una storia più accidentata e anche perché non ha nessuna isoglossa da poter usare a suo favore. I testi che possiamo però identificare come Cananaici sono la Bibbia Ebraica e i Salmi; questi ultimi in realtà sono adattamenti in ebraico di carmi e poemi che invece erano stati concepiti in Fenicio e soprattutto, la grande differenza è che erano destinati ad una religione politeista, alle divinità del pantheon (al cui capo c’era il Dio del temporale Ba’al). Un esempio celebre è quello del Salmo 29 diretto al Dio di Israele per motivi di esegesi interna, ma la cui forma strutturale e gli argomenti rispecchiano gli schemi fenici. Fenicio: Essi erano la popolazione che abitava sulla costa siro-libanese e in particolare nelle città di Tiro e Sidone, ma anche in una serie di altre città in cui abbiamo ritrovato delle iscrizioni in Fenicio anche se erano abitate da popolazioni che non lo erano (per esempio a Gaza, che era abitata dai Filistei). La prima attestazione del fenicio risale ad un’iscrizione rinvenuta su un sarcofago che recita il nome del re e loro principale divinità “Akhirom” (quindi vediamo come nel nome della divinità si nasconda la parola per “fratello”); tuttavia gli archeologi datano il sarcofago al 10° secolo a.c. ma l’iscrizione risulta appartenere al 13° secolo a.c., quindi ci si pone la domanda su come sia spiegabile tale discrepanza. I fenici non erano compatti né dal punto di vista linguistico, né da quello etnico e politico, infatti erano composti da una serie di gruppi, il più antico dei quali era quello di Tiro (sulla costa libanese), che essendo stato il primo ad imporsi ha fatto sì che suo dialetto fosse considerato come la varietà standard. La documentazione fenicia consiste quasi esclusivamente in iscrizioni su pietra o su piccoli oggetti, ma sappiamo che avevano una scrittura abbastanza elementare pur avendone un solo documento scritto in corsivo che si trova su un media morbido proveniente dall’Egitto, dall’isola di Saqqara e che rappresenta una lettera. Il Fenicio ci viene documentato dal 10° secolo a.c. fino al 3° secolo d.c. e quindi è probabile che abbia cessato di essere usato sotto la pressione dell’Aramaico e anche del Greco. Essi erano inoltre un popolo di abili navigatori e commercianti, infatti si sono espansi per tutto il Mediterraneo occupando anche delle colonie, per cui ritroviamo loro tracce sull’Isola di Ischia, in varie località della Sicilia e anche in Nord Africa, soprattutto in quella che compare in alcuni reperti come “Khadasht” e che indica la località di Cartagine (questa parola significa “Città nuova”, ovvero il corrispettivo del greco “Neapolis”; inoltre pare che molte delle iscrizioni ritrovate scritte nel fenicio di Tiro non provenissero dalla madrepatria ma proprio da Cartagine). 17 mediterranea (solo nel caso del nome di alcuni strumenti musicali, si sostiene che essi siano stati riportati come prestiti direttamente dal greco, come l’Arpa e il Salterio, che compaiono citati nel 3° libro di Daniele); per esempio la parola greca “Bomos” che indica l’altare, la ritroviamo in ebraico come “Bama”. Dal 2° secolo a.c. in poi, i testi in Ebraico Biblico hanno visto la cosiddetta “Aramaizzazione dell’ortografia”, ovvero fenomeni come l’aggiunta di vocali lunghe anche all’interno della parola, aprendo la strada alla vocalizzazione dei testi. Dall’epoca tardo-antica fino all’inizio del Medioevo, hanno poi iniziato a lavorare quelli che sono chiamati in ebraico “Naqdadim” (“puntatori”), ovvero una radice che ha a che fare con l’operazione di aggiungere i punti diacritici, che ancora oggi in ebraico si chiama “Niqqud”; questi punti diacritici servivano a distinguere parole che graficamente erano scritte in modo uguale ma che avevano significati diversi e nascono così i primi sistemi di vocalizzazione in tutte le lingue semitiche, iniziando dall’Aramaico, poi l’Arabo ed infine l’Ebraico. Questo sistema di vocalizzazione si diffonde in 3 scuole, tra il 7° e il 9° secolo d.c. ed esse sono: la Scuola di Babilonia, quella di Palestina (solo di origine palestinese, ma di fatto l’attività era documentata da testi storici scritti nelle comunità ebraiche dell’Arabia del nord, nella regione dell’Hijaz) e quella di Tiberiade, che rappresenta il modello di riferimento usato per l’insegnamento accademico. In questa scuola si insegnavano corsi accademici di una versione di Ebraico Biblico, codificata dai filologi chiamati “Masoreti”, ovvero che tenevano conto dell'insieme delle tradizioni ebraiche inerenti alla corretta lettura dei testi delle Sacre Scritture, quindi con lo scopo di leggere pubblicamente tali testi con una “Cantillatio”, quindi era fondamentale l’intonazione giusta (infatti, anche per la lettura del Corano, la sbagliata vocalizzazione viene considerata eresia). Abbiamo però una grande quantità di documenti scritti in Ebraico Antico che sono al di fuori dalla Bibbia, in parte sono iscrizioni in Ebraico Epigrafico (trovate in diverse località della Palestina) che tentano di presentare una lingua ebraica che non tenesse conto della Bibbia. Anche qui abbiamo un problema legato alla variazione geografica, in quanto la maggior parte di esse sono state rinvenute al nord, nella Samaria e quindi alcuni critici sostengono che faccia parte di quell’Ebraico del nord che era influenzato dal fenicio. Infine abbiamo una serie di documenti sempre in Ebraico Antico, ritrovati su media morbidi nella regione del Mar Morto in epoca ellenistica e soprattutto romana; questi materiali vennero ritrovati in una località chiamata “Qumran” (infatti la maggior parte dell’attestazione in Ebraico antico è stata introdotta da questa comunità Essenoide che abitava la zona) in particolare dal generale Yigaël Yadin, Capo delle Forze di difesa israeliane dal 1949 al 1952, ma che aveva collaborato con importanti studiosi per decifrare questi documenti. Il grosso del materiale trovato, ricercato e anche comprato, oggi si trova in un museo chiamato “Shrine of the stroll” ovvero “il Santuario del Rotolo” situato in Israele, dove questi manoscritti sono conservati a temperatura ideale ma che si possono comunque leggere. Poi abbiamo la fase del cosiddetto “Ebraico Rabbinico” o anche chiamato “Mishna” (dalla radice che vuol dire “ripetere”, “fare una cosa più di una volta” e che quindi indica anche la legge orale, la trasmissione della cultura); la Mishna oggi è una parte del Talmud, che è stato analizzato nel 6° secolo, ma la Mishna è stata conclusa nel 2° secolo d.c. Esiste inoltre un'altra parte del Talmud scritta in Ebraico Rabbinico, diverso da quello della Mishna, ovvero quello introdotto dalla generazione di maestri delle scuole sia palestinesi che babilonesi, chiamato “Amora’im”; questa è una varietà di Ebraico Rabbinico che presenta tratti aramaici e prestiti dalla lingua greca, ma anche elementi linguistici dell’arabo (infatti quando parliamo dell’Ebraico non bisogna definirlo semplicemente come lingua orientale, poiché gran parte della sua cultura si è sviluppata in Europa). Dal 476 d.c. invece, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, abbiamo la fase dell’Ebraico Medievale, che, come il latino medievale, ha una sua declinazione linguistica che varia a seconda del territorio in cui è stato scritto; ci sono per esempio molti influssi arabi ma anche molto lessico romanzo, germanico e anche 20 qualcosa di slavo. L’Ebraico medievale è il più difficile da definire e da studiare, perché non esistono delle grammatiche su cui basarsi. Dal 3° secolo d.c. però, l’Ebraico non veniva più parlato ma restava vivo solo come lingua letteraria e liturgica pur non essendo più la lingua nativa di nessuno; a partire dalla fine del 18° secolo però, l’Ebraico ha conosciuto la sua fase di modernizzazione ed è infatti conosciuto come “Ebraico Moderno”; essa è una lingua artificiale che è stata inaugurata alla fine del 700’ in Germania da parte degli illuministi ebraici detti “Haskala” (la radice significa “illuminazione mentale”), i quali hanno prodotto una grande quantità di letteratura tra cui anche testi letterari, filosofici e scientifici. L’Ebraico che invece si parla oggi in Israele è chiamato “Ivrit”, che designa semplicemente “ebraico” ed è la lingua nazionale dal 1948. Questa fu un’operazione di rinascita della lingua ebraica che partì dall’attività di un uomo, un ebreo nato in Galizia e chiamato “Eliezer Ben Yehuda”, il quale impose al figlio di parlare solo in ebraico e fu così che quest’ultimo diventò il primo parlante nativo; tuttavia gli ebraici non parlano mai di rinascita, perché per loro la lingua ebraica non è mai morta, piuttosto hanno coniato un termine specifico “Rigenesi”, che indica l’operazione di rilanciare una lingua in via di estinzione, tentativo che però ha avuto dei risultati solo per la lingua di Israele. L’Ivrit è una lingua arricchita da tutti gli strati precedenti dell’ebraico, ma che viene influenzata anche dalle lingue europee orientali, come il Russo, pur essendo sempre adattate con ingredienti semitici, in particolare dell’arabo che costituisce gran parte dello slang giovanile in Ivrit. Mentre all’inizio essa rappresentava una lingua compatta e priva di variazioni diatopiche, oggi iniziano a riscontrarsi delle prime differenze, per esempio nella lingua parlata in Galilea che magari risulta diversa da quella parlata in altre zone. 21 Ya’udico e Deir ‘Allà Ci sono altre due lingue menzionate nell’albero genealogico, lo Ya’udico e il Deir ‘allà, che vengono considerate indipendenti dagli altri rami, poichè hanno iniziato il processo per diventare dialetti aramaici ma non lo sono mai diventate del tutto, per questo occupano una posizione intermedia tra l’Aramaico e il Cananaico; l’Aramaico infatti è caratterizzato da alcune isoglosse diagnostiche innovative che poi ai fini della classificazione delle lingue sono state usate per stabilire se una lingua fosse aramaico o meno, ovvero in particolare la presenza della “a lunga” finale contrassegnata da una “h”. La lingua ya’udica, riconosciuta come lingua a sé solo negli anni 70’, in passato era considerata come “Aramaico di Ya’udi” (o Sam’al, nome moderno della città), dal nome del piccolo regno a confine tra la Turchia e la Siria in cui sono state ritrovate testimonianze di queste lingue, tra cui soprattutto il Luvio, lingua e scrittura locale. Sam’al è stata scavata da archeologi tedeschi che hanno trovato varie iscrizioni, molte delle quali sono nella lingua locale, ovvero il Luvio (lingua indoeuropea), mentre altre sono iscrizioni in altre lingue semitiche. come quella in scrittura fenicia di “Kilamuwa”, ritrovata alla fine del 9° secolo a.c. (la desinenza “-uwa” si è scoperta essere tipica del Luvio); nei ritrovamenti appartenenti all’8° secolo si nota invece l’utilizzo della lingua locale e dello ya’udico in due iscrizioni riportanti i nomi di due dinasti locali: Panamuwa e Bar Rakib (da “rakib” ovvero colui che cavalca le nuvole, “bar rakib” vuol dire quindi “figlio del dio della tempesta” ed è un nome teoforo). In tempi più recenti sono state ritrovate altre iscrizioni sempre dedicate a Bar Rakib, ma non più in ya’udico besì in aramaico antico; troviamo quindi una successione tra Fenicio, Ya’udico e Aramaico che accompagnano sempre il Luvio, di cui l’ultima testimonianza è stata rinvenuta circa 10 anni fa. Ci troviamo quindi di fronte ad una situazione di plurilinguismo, le lingue infatti non soltanto si trovano in coesistenza, bensì in una condizione di alternanza, nel senso che le iscrizioni reali delle dinastie si succedono prima in Fenicio, poi in Ya’udico e infine in Aramaico antico. Questo probabilmente poiché inizialmente i Fenici non avevano un impero, ma erano eredi e rappresentanti della grande cultura cananaica, quindi siccome il cananaico aveva una diffusione internazionale, lo Stato utilizzava la scrittura fenicia; successivamente sviluppano una propria lingua che si avvicinasse all’Aramaico antico, ma che non lo era in quanto non possedeva alcune caratteristiche (bisogna però riconoscere che lo Ya’udico a sua volta ha delle caratteristiche che l’Aramaico antico non possiede, 22 nordarabica ma fa uso della scrittura sudarabica; qui abbiamo delle iscrizioni che risalgono al 4° secolo a.c. fino al 2° secolo a.c. in cui notiamo l’utilizzo di una scrittura simile all’antico Sabeo ma che a causa della presenza dell'articolo "Hn" tipicamente Nord Arabico (dove la “n” viene letta solo davanti a una faringale) capiamo che si tratta di una varietà nordarabica (es. han 'ilah).  Infine, quella più importante dal punto di vista quantitativo, è il "Safaitico" che ha lasciato iscrizioni tutt'intorno al deserto basaltico, trovate per la prima volta nel 1850 da un famoso arabista tedesco Wetzstein, poi viste anche da molti viaggiatori come Richard Burton ed infine furono decifrate dagli studiosi francesi a fine '800; la loro collocazione spazia tra il 1° secolo d.c. e il 4° secolo d.c. e documentano alcuni eventi storici, per esempio l'invasione Sasanide di Damasco. Recentemente l'arabista al Jallad ha avanzato una teoria secondo cui il Safaitico abbia una continuità con l'Arabo parlato oggi nel nord della Giordania; per sostenere ciò però, bisogna considerare il Safaitico come un semplice dialetto arabo, cosa che invece viene esclusa sulla base del fatto che l'Arabo utilizza l'articolo "Al", mentre il Nord Arabico "Han". A seguito di uno studio dei documenti safaitici, Al Jallad ha notato che il Safaitico usi tanto l'articolo Nord Arabico quanto quello Arabo, tuttavia la spiegazione che è ancora oggi in vigore è che siccome l'arabo era in espansione e il Safaitico in declino, quest'ultimo inizia ad usare l'articolo arabo. Arabo: Quando parliamo di Arabo Antico ci riferiamo all'arabo ritrovato sulle iscrizioni nel periodo che va dal 3° secolo d.c. al 7° secolo d.c., in uso anche fino all'emergere del periodo Islamico; esso quindi abbraccia alcune varietà pre-islamiche che noi conosciamo su base epigrafica o attraverso delle fonti indirette (riportate in altre lingue). Successivamente abbiamo poi l'Arabo Classico o Coranico, in quanto la sua prima attestazione è quella del Libro sacro dell'Islam; il Corano è fondamentale per questa lingua poichè rappresenta la cristallizzazione letteraria dell'Arabo, quindi dall'8° secolo d.c. si standardizza e resta più o meno inalterata fino a quello che oggi conosciamo come "Arabo Standard", che rappresenta una versione che è stata però aggiornata dal punto di vista lessicale e morfologico: si è costruito un lessico nuovo usando ingredienti esclusivamente arabi, senza prendere in prestito elementi dalle altre lingue (un lavoro svolto principalmente dalle accademie di Damasco e del Cairo); dal punto di vista morfologico invece, la novità è che oggi non si usano più i casi. Oggi però la lingua parlata non è più quella letteraria (che resta comunque la lingua veicolare dei 22 Paesi del Mondo Arabo e dei Media), infatti oggi esistono vari dialetti locali o comunque è esistita una versione intermedia tra l'Arabo Standard e il dialetto, detto "Arabo Mediano". Quando si parla di Arabo Mediano quindi, non bisogna commettere l'errore di considerarlo una varietà linguistica all'interno dell'arabo, come si pensava in passato, ma è piuttosto una tipologia di lingua prodotta nell'intenzione di parlare in Arabo letterario da qualcuno che magari per svariate ragioni non ne aveva particolare dimestichezza e quindi commetteva degli errori:  Il primo caso in cui si parlava arabo mediano dipendeva dal fatto che la grammatica araba è stata messa per iscritto solamente nella seconda metà del 9° secolo e quindi in precedenza non si poteva avere una conoscenza corretta della lingua.  Un altro motivo di tali errori è che tanto i Cristiani quanto gli Ebrei, avevano introdotto in arabo molto materiale letterario tradotto in "eterografia", ovvero si scriveva l'arabo con caratteri però che non erano quelli dell'abjad arabo ma erano quelli ebraici oppure greci. Ci fu solo l'eccezione di alcuni personaggi eruditi, come il filosofo Maimonide, che pur essendo ebraico, sapeva parlare con estrema precisione anche l'arabo standard.  Poi abbiamo una terza tipologia di errori, ovvero quelli commessi in maniera deliberata da quei musulmani che pur conoscendo la lingua araba, sceglievano di utilizzare elementi dell'arabo parlato ai fini di dare più immediatezza al testo; esempio classico di questo tipo sono le "Mille e una Notte", 25 soprattutto nel manoscritto siriano, oppure le memorie del signore feudale Usam b. Munqid, che costituiscono una testimonianza molto curioso delle crociate, in quanto viene completamente ribaltato il racconto europeo. Anch'egli quindi fa uso di quei fenomeni del medio arabo chiamati "Pseudo correttismi", ovvero dei casi che possono essere un eccesso di grammaticità (ipercorrettismo) e altri in cui non si conosce la norma e si applicano dei costrutti del parlato: per esempio la negazione del passato "ma kataba" che viene dal parlato per poi essersi affermata anche nella lingua scritta. Le varietà parlate dell'Arabo oggi, sono dette "Neo Arabo"; esso è documentato in modo abbastanza indiretto e frammentario a partire dal 15° secolo in fonti di diversa natura, in parte occidentali (per esempio resoconti presenti nei diari di viaggio) fino a quando iniziamo ad avere testimonianze dirette di casi in cui un dialetto arabo è stato messo per iscritto; la prima area in cui è stato fatto ciò è l'Egitto, per esempio con i canovacci del "Teatro delle ombre" che ci è documentato dal 14° secolo, ed è anche l'unico caso di opere teatrali in lingua semitica, perchè la tradizione semitica normalmente non conosce il teatro, se non dalle traduzione di altre lingue, come l'italiano. Altre zone dove si è iniziato a fare lo stesso sono l'Iraq, in parte la Palestina, la Siria e nel Maghreb soprattutto l'Algerino dalla seconda metà dell'800', altrimenti i dialetti neo arabi sono più che altro lingue parlate piuttosto che scritte. I dialetti neo arabi sono caratterizzati da alcune variazioni linguistiche; la prima è un tipo di variazione che riguarda tutte le lingue del mondo, ovvero quella "Diatopica", quindi ha a che fare con la posizione geografica in cui le lingue sono parlate. Secondo il modello di Jestrow, l'arabofonia può essere suddivisa in 6 macroaree, che però sono rappresentate come cerchi concentrici che quindi intrattengono delle relazioni tra di loro:  La prima area è quella Peninsulare, ovvero la zona dell'Arabia centrale dove non troviamo nessuna lingua precedente all'arabo per quanto possiamo andiamo in profondità.  La seconda area è quella del Golfo Persico, che oggi testimonia una serie di varietà arabe non eterogenee (Omanita, Yemenita) che sono influenzate dalla presenza di diversi sostrati; ognuna di queste aree infatti ha un sostrato che deriva dalle abitudini linguistiche precedenti, qui ad esempio troviamo il Sud Arabico e il Persiano. La presenza del sostrato linguistico ci è testimoniata per la prima volta nel 14° secolo dal grande storico Umm Khaldun, il quale già sosteneva che i dialetti neo arabi sono nati perchè l'Arabo classico portato dai conquistatori islamici è stato contaminato dalle parlate locali. Quelle del Golfo sono zone in cui l'arabofonia è anteriore di 3 secoli all'avvento dell'Islam, nel senso che più di metà della Palestina, la Siria, Oman e Yemen parlavano arabo già dal 3° secolo d.c.  Risalendo verso ovest abbiamo la Terza Area, che è quella Mesopotamica, che racchiude non solo la zona compresa tra i due fiumi, ma anche quella che viene detta "Jazeera", che comprende quindi parte della Siria, l'Arabo dell'Iraq, gran parte dell'Arabo di Turchia (chiamato "Arabo Anatolico") e altri dialetti arabi. In quest'area ci sono 2 sostrati linguistici: uno coincide con l'Arabo dei sedentari, detto "q'ltu" e l'altro è quello derivato dai beduini, detto "gilit"; si dice che le conquiste dei Mongoli siano state la causa della scomparsa dei dialetti q'ltu, in quanto i musulmani nell'area furono eliminati fisicamente, mentre cristiani ed ebrei sono stati risparmiati, tuttavia adesso si ritiene che alcuni di questi dialetti somiglino all'arabo anatolico poichè i cristiani e gli ebrei chiamarono loro confratelli da quelle zone per ripopolare questa terra.  Poi abbiamo l'area Siro-Palestinese (detta "Shams"), che comprende quindi le province dell'antica Grande Siria, quindi Siria, Libano, Giordania, Palestina e Israele; qui si parla un tipo di arabo detto "Siro-Palestinese" dove il sostrato più forte è l'Aramaico di tipo occidentale e qualche traccia di 26 Greco. Questo è il dialetto con cui a livello accademico ci confrontiamo di più, soprattutto a seguito dell'unione realizzata dalla Chiesa di Roma con i Cristiani Maroniti, che hanno iniziato a mandare rappresentanze a Roma, infatti per molto tempo abbiamo preso anche il loro modo di trascrivere dall'arabo, ovvero la "a lunga" che diventa "e" (arafonesi, o "imalah").  Poi abbiamo l'area Egiziana che ingloba anche il Sudan e il Ciad, dove il sostrato è rappresentato nelle campagne dal Copto (che rappresenta l'ultima fase dell'egiziano antico), mentre c'è il sostrato Greco nelle città costiere.  Infine abbiamo l'area del Maghreb, che ha conosciuto l'arabizzazione in due fasi: la prima è quella delle grandi campagne islamiche del 7° secolo, che ha riguardato solo le città urbane e costiere, mentre una seconda ondata è stata quella a cavallo tra l'11° secolo e il 12° secolo, ad opera dei cosiddetti "Banu Hilal, Banu Sulayn e Banu Ma'qil", infatti si parla di due tipi di dialetti arabo- maghrebini: quelli "Prehilaliani" (come il Siciliano e il Maltese) e quelli "Hilaliani" (la Spagna rappresenta un caso a parte in quanto ha subito una doppia conquista, quindi è sia prehilaliana che hilaliana). Nel Maghreb il sostrato principale è stato il Berbero e, soprattutto in Algeria, alcune varietà proto- romanze della penisola Iberica. Questo è il dialetto che gli europei conoscono meglio, in quanto si sono confrontati per necessità per diversi secoli soltanto con questo dialetto e solo in epoca più recente si è iniziata l'esplorazione dell'Arabia; quindi il modo in cui gli europei si raffigurano l'arabo è basato sui dialetti con cui hanno avuto più esperienza. Altri due tipi di variazione linguistica invece, riguardano soltanto le lingue semitiche; esse sono variazioni "Ecolinguistiche", ovvero cambiamenti che riguardano la differenza tra la varietà parlata dai sedentari (hadary) e quella dei nomadi (badawy); tuttavia anche all'interno delle varietà dei sedentari distinguiamo la varietà parlata nelle città (madany) e quella delle campagne (fallahy). I dialetti beduini hanno la caratteristica di essere molto più conservativi sul piano morfologico, soprattutto nella morfologia verbale, mentre sul piano fonologico sono più innovativi, infatti conoscono più fonemi e hanno più ritmi; per quanto riguarda il lessico invece, per il 30% è composto da parole che non sono presenti nell'arabo classico. Sud Arabico Moderno Le lingue Sud Arabiche Moderne (MSA) fanno parte del ramo del Semitico Occidentale; esse sono 6 lingue che vengono parlate nella zona a ridosso tra l’Oman centro-meridionale e lo Yemen orientale. Questo gruppo a sua volta si suddivide in 2 rami, anche se la divisione è più linguistica che geografica: 1. Occidentale: (Mehri, Harsusi, Bathari, Hobyot) 2. Orientale: (JIbbali/Shehret, Soqotri). Il Mehri è la lingua con più parlanti (circa 130.000), seguita poi dal Soqotri (con 70.000) e poi il Jibbali (circa 40.000); tuttavia quest'ultima è quella meno a rischio di estinzione secondo la scala della vulnerabilità delle lingue, in quanto si tiene conto anche dell'atteggiamento dei parlanti verso la lingua e i madrelingua Jibbali sono quelli che trasmettono in modo migliore la lingua alle generazioni successive, mentre negli altri si ha la tendenza ad insegnare l'Arabo come prima lingua; poi abbiamo l'Harsusi (600), l'Hobyot (100) e infine il Bathari (15) che sono quelle a più alto rischio di estinzione. Queste lingue, diversamente dalla maggior parte delle altre lingue semitiche, sembrano non essere state mai scritte e quindi ciò significa che non sappiamo nulla della loro storia precedente alla prima attestazione 27 Sud Arabico Antico La famiglia delle lingue Sud Arabiche Antiche era parlata nella zona dell'attuale Yemen, dove sono esistiti 4 regni principali (a cui poi ne sono stati aggiunti tanti altri) e sono: Sabei, Minei, Qatabanici e Khadramaico.  Sabei: Essi si trovavano nello Yemen centrale ed avevano come capitale Ma'rib. Inizialmente i regni del nord delle lingue semitiche (Palestina, Siria, ecc) conoscevano i Sabei non come popolo sedentario, ma come seminomadi, come popolazione che si trovava nell'Arabia centrale e che poi successivamente dal 10° secolo a.c. sappiamo essersi sedentarizzata.  Minei: Essi erano la popolazione che invece abitava l'altopiano dello Yemen ed avevano come capitale Qarnawu.  Qatabanici: Essi occupavano la zona a sud-est dei Minei e la loro capitale era Timn; la zona in cui si estendeva il loro regno includeva anche il deserto, detto "Ramlat Al-Sabatein", ovvero il deserto di sabbia, che veniva chiamato dagli indigeni "Sayhad" e da qui la tradizione inglese chiama queste lingue "Sayhadic languages".  Khadramiti: Infine abbiamo questo regno che si estendeva lungo la costa dello Yemen e occupava anche la zona dove si producevano gli aromi (incenso e mirra); per molto tempo infatti, l'interesse per l'Arabia meridionale antica è stato dovuto proprio al fatto che ci sono stati tentativi di raggiungere i punti in cui veniva prodotto l'incenso per impadronirsene, come fecero i Romani, che arrivarono a Ma'rib nel 1° secolo a.c. La documentazione che noi abbiamo in Sud Arabico Antico (o anche "Epigrafico"), va all'incirca dal 900 a.c. al 577 a.c. (che coincide con la nascita di Muhammad) e la lingua principale era il Sabeo, infatti delle circa 10 mila iscrizioni che provengono dallo Yemen quasi l'80% sono in Sabeo (di cui però circa 5 mila graffiti non sono mai stati pubblicati). La documentazione che ci è pervenuta è molto ricca dal punto di vista lessicale, ma riguarda essenzialmente 3 categorie: il lessico relativo alla costruzione (soprattutto canali e dighe, quindi edilizia idraulica), iscrizioni votive (quindi lessico religioso) e ritualità sacre (come le offerte, i sacrifici e la "caccia sacra" che seguiva la cerimonia di intronizzazione di un nuovo re, anche se tuttavia dopo il 6° secolo a.c. questa cerimonia diventa quasi come uno sport più che un rito sacro). Dal punto di vista linguistico, tutte queste iscrizioni ci documentano la forma della 3° persona singolare, quindi fino a qualche anno fa si potevano ricostruire solo i paradigmi delle 3° persone, tuttavia alla fine degli anni 70' sono stati ritrovati dei corsivi sulla base delle foglie di palma che erano esattamente gli equivalenti degli Ostraka, quindi oggetti quotidiani sui quali erano incise lettere, liste, ecc e che sono molto importanti in quanto ci documentano anche la 1° e la 2° persona. Un altro motivo che rende tali dialetti interessanti è che il lessico relativo alla vita quotidiana ha una grande continuità con l'Arabo yemenita attuale. La differenza principale tra questi dialetti è che il Sabeo presenta una fonologia più evoluta e presenta il morfema del causativo in “h” che è lo stesso del pronome della 3° persona maschile, mentre gli altri hanno una sibilante che è invece quello più arcaico, in quanto ci è già testimoniato nell'Accadico e nell'Ugaritico, il Sabeo invece partecipa all'innovazione del Semitico Centrale. Infine, l'importanza del Sud Arabico Antico è anche dovuta al fatto che ci dà in autonomia grafematica le laterali e si ritiene che la loro pronuncia sia quella originale. 30 Etiopico L’Etiopico (o Etio-semitico) è la lingua che viene parlata nell'area di tutto il mar Rosso e nel Corno d'Africa; esso si divide in due rami dal punto di vista geografico: settentrionale e meridionale.  Etiopico Settentrionale : L'unica lingua antica documentata appartiene a questo ramo ed essa è quella che noi chiamiamo “Etiopico classico” ovvero il Gə'əz /gheez/; essa è stata la lingua della minorità etnica degli Ag'azyan ed è documentata a partire dal 1° secolo a.c. soltanto con la scrittura di matrice sudarabica, la "musnad" e soltanto a partire dal 3° secolo a.c. l'Etiopico ha inserito il meccanismo delle lingue indiane, ovvero il "Magari”, per poter modificare il segno base consonante + a ed inserire quelli che sono 7 diversi ordini vocalici; la sua scrittura diventa quindi un “abugida”, che configura un tipo di scrittura diversa rispetto a quelle che abbiamo già visto in precedenza, deriva da un “abjad” su cui si è innescato il meccanismo delle scritture magari; questo è un sistema che proviene dall'India e che nota le vocali; pur essendo un sistema un po’ macchinoso ha il vantaggio che questa notazione vocalica è coeva, è contemporanea a quella delle consonanti, non è un vocalismo sovrapposto successivamente a un testo consonantico anteriore (come nel caso dell'Ebraico, dell'Aramaico e dell'Arabo). Il Gə'əz quindi è incominciato ad essere scritto essenzialmente in testi epigrafici usando solamente la scrittura sudarabica antica dal 1° secolo a.c. e poi passa ad essere scritto in modo sistematico adibendo il sistema “abugida” dando luogo ad un'ampia letteratura; è una letteratura dell'oriente cristiano trapiantata in Africa, così come il Copto; anche la Chiesa etiopica è da alcuni secoli autocefala, cioè non più dipendente dalla Chiesa copta e al suo interno c'è la presenza di un patriarca e del clero che ha sede nella capitale, ad Addis Abeba, inoltre c'è una presenza di clero etiopico anche nella Chiesa etiopico-ortodossa a Roma a partire del 500’ che è quella che ha dato l'avvio allo studio accademico dell'Etiopico in Italia. Lo studio dell'Etiopico parlato e il possesso di una raccolta di informazioni importanti sia antropologiche che geografiche si devono alla presenza della colonizzazione portoghese, soprattutto di stampo gesuitico, che hanno svolto le loro missioni nella prima metà del 500’ e che ci hanno riportato una grande quantità di materiale, di cui anche alcuni manoscritti che hanno una certa rilevanza linguistica, sulla cui base M. Vettore ha scritto la prima grammatica di Etiopico intorno al 1550 e tutto il materiale ha iniziato ad essere studiato in modo sistematico. La letteratura è in gran parte derivata dalla fase più antica di questa civiltà e proviene dalla capitale dell’antico regno, ovvero Aksum, il cui obelisco è stato studiato fino a qualche anno fa a Roma e che è stato poi restituito all'Etiopia; la letteratura Gə'əz è molto abbondante nella fase aksumita, che 31 dura all'incirca fino al 10° secolo ed è tradotta direttamente dal greco, la Bibba per esempio è tradotta dal modello greco, anche se la Bibbia etiopica contiene una serie di scritti apocrifi, cioè scritti accolti dal canone delle chiese ortodosse ma esclusi dal canone delle chiese cattoliche, dunque una serie di scritti che noi non possediamo in greco, in ebraico, ma che possediamo in etiopico (l'originale greco è esistito ma non è più conservato, questo è il caso ad esempio del "libro dei Giubilei" e del “Pentateuco di Enoch”); poi, a partire dal 12° secolo, l'Etiopico è stato colonizzato in qualche modo dalla letteratura araba cristiana e quindi molti testi sono tradotti dall’Arabo. L'Etiopico cessa di essere una lingua parlata intorno al 14° secolo, in quest'epoca cominciano ad essere per la prima volta messi per iscritto dei testi in lingua Amharica, sono principalmente dei canti di guerra ma è un tipo di poesia che dà luogo a una varietà linguistica che si chiama Antico Amharico e si presenta come intermediario tra il Gə'əz e il Neo-Etiopico. L'Etiopico settentrionale era rappresentato fino a 10 anni fa da due lingue: il Tigrino, ovvero la lingua nazionale dell'Eritrea, parlato nel Nord dell'Etiopia da circa 3 milioni di persone e in Eritrea da 2 milioni e mezzo; Tigrino è la trascrizione italiana dell'espressione indigena “tigriñña”, dove questo suffisso "-iñña" è quello che hanno tutte le lingue etiopiche. Questa è la lingua che si parla nella regione del Tigray /Tigrè/ ed è una lingua letteraria, scritta usando l'abugida, ma anche stampata a seguito dell'occupazione italiana dell'Eritrea. L'altra lingua parlata nel nord dell'Etiopia si chiama Tigray che non è parlata nell’omonima regione ma in Eritrea settentrionale e sulla costa sudanese del Mar Rosso; questa lingua è parlata da un milione e 200 mila parlanti ed è stata per molto tempo una lingua solo orale e siccome circa la metà della popolazione che parla questa lingua è musulmana, è stata scritta per molto tempo anche con i caratteri arabi, ma abbiamo pochissimi manoscritti in lingua Tigray con caratteri arabi; da circa 20 anni si fanno degli esperimenti per scrivere il Tigray usando l'abugida e si fanno anche degli esperimenti per far diventare questa lingua una lingua letteraria, questo processo in linguistica si chiama “cristallizzazione”, ovvero si sceglie una delle varietà possibili della lingua parlata, la si promuove al rango di varietà standard e ci si crea intorno tutto l'apparato necessario a trasformare la lingua parlata in scritta; Lusini, ovvero un linguista, si è occupato del più famoso romanzo scritto in Tigray usando appunto l'abugida e il modo in cui questa lingua è diventata scritta, l’ha portata a modificarsi rispetto a come era da lingua orale. Infine bisogna dire che nè il Tigrino e nè il Tigray derivano dal Gə'əz, ma sono derivati dagli antecedenti parlati che erano più o meno contemporanei agli antecedenti parlati del Gə'əz. Di recente una studiosa francese si è sforzata di dimostrare che la lingua neo-etiopica parlata nelle isole Dahlak (situate nel mar Rosso), ovvero il “Dahalik”, sia una lingua neo-semitica autonoma diversa dal Tigray, mentre in passato veniva considerato come un suo dialetto; ciò che è importante è la consapevolezza dei parlanti che sono certi di parlare una lingua completamente diversa rispetto al Tigray e quindi il Dahalik è la lingua semitica di più recente accessione. Il tratto linguistico condiviso che è stato utilizzato per molto tempo come isoglossa diagnostica per classificare le lingue neo-etiopiche come parte del semitico meridionale erano i plurali fratti, condivisi dall'Arabo, dal Sudarabico antico e moderno e dal Neo-Etiopico solo settentrionale.  Etiopico meridionale : E’ rappresentato principalmente dall’Amharico, che è la lingua dell’altopiano dell’Amhara; essa ha circa 17 milioni di parlanti nativi ed è la seconda lingua più parlata tra le lingue semitiche e ha circa 10-12 milioni di parlanti che usano l’amharico come lingua veicolare, quindi in totale l’amharico viene parlato da 30 milioni di parlanti. L’amharico è un importante lingua letteraria, con una produzione molto abbondante ed è sempre stata la lingua di corte, difatti veniva chiamata “la lingua dei re” e progressivamente si è estesa con l’affermarsi di diverse dinastie regnanti in Etiopia; più vicina all’amharico è una lingua che ancora adesso i manuali di introduzione di lingue semitica sostengono essere parlata da circa 200 persone, ovvero l’Argobba, dunque è una lingua ancora viva nonostante all’altezza degli anni ’60 la si 32 Infine, per chiudere la rassegna sulle lingue semitiche, andiamo a vedere in che modo Stempel le inserisce 35 nella sua grammatica di lingue semitiche analizzandone il grado di affidabilità, con una serie di artifici descrittivi molto utili e innovativi, perché come abbiamo detto la linguistica semitica fu la prima linguistica comparata a nascere, a partire dal 9° secolo a.c., ma poi ha subito un’interruzione e le altre linguistiche europee hanno fatto più lavoro e più progressi; Stempel quindi ha considerato i corpora delle lingue semitiche più importanti che sono utilizzate a fini comparativi e ha cercato di stabilirne il grado di affidabilità, cioè egli ha analizzato la documentazione per ognuna di queste lingue tenendo conto di 4 parametri e aggiungendo un “+” per la presenza di quel determinato dato, un “-“ per la sua assenza e uno “0” per un valore intermedio: 1. Parametro “A” : il primo è quello della “cronologia assoluta”, cioè la cronologia di attestazione di una lingua; 2. Parametro “B” : ovvero la “cronologia relativa”, cioè il grado di evoluzione della lingua che stabilisce se una lingua è molto evoluta o molto conservativa; 3. Parametro “C” : indica il tipo di tradizione della documentazione, se essa è una tradizione coerente o se è una tradizione frammentaria; c’è un ampio spettro che va da quelli che si chiamano in tedesco “Restsprachen”, ovvero lingue di attestazione frammentaria fino al “Grosskorpussprachen”, ovvero le lingue abbondantemente documentate; 4. Parametro “D” : indica se esiste o non esiste una tradizione di vocalizzazione; quest’ultimo è il parametro più critico in quanto Stempel non ha considerato la questione che ovviamente non entra in gioco per le lingue indoeuropee ma che è cruciale per quelle semitiche, poiché bisogna capire se la tradizione di notazione delle vocali per ogni singola lingua è contemporanea alla notazione delle consonanti oppure no; noi sappiamo che le lingue ad abjad (ovvero le lingue semitiche più importanti, come l’Ebraico, l’Aramaico, l’Arabo, il Sudarabico) si sono dotate esclusivamente di consonanti per secoli, se non millenni e soltanto in un’epoca tarda (tra il 780 e il 980 d.c., dal Siriaco orientale all’Arabo classico) si sono dotate di sistemi di vocalizzazione, tra l’altro non autonomi, ognuna si era dotata di un proprio sistema e a volte per ogni tradizione potevamo avere diverse scuole di pensiero, quindi c’è uno scarto cronologico di almeno qualche secolo tra la notazione consonantica e quella vocalica di uno stesso testo (e sappiamo anche, grazie alle tradizioni parallele quando ne abbiamo a disposizione, che talvolta la pronuncia ricostruita differisce da quella originaria, come possiamo vedere nel caso della Bibbia ebraica grazie al confronto con quella greca) e quindi bisognerebbe aggiungere una nota per indicare se questa tradizione di vocalizzazione è coeva a quella consonantica oppure no. A B C D Accadico + 0 + + Eblaitico + 0 - 0 Amorreo + 0 - 0 Ugaritico + + + + Ebraico 0 - + + Fenicio 0 - - - Aramaico antico 0 0 - - 36 Aramaico d’impero 0 - - - Aramaico biblico 0 - - 0 Siriaco - - + + Arabo - + + + Sudarabico antico 0 + 0 - Etiopico - - + + Accadico: è chiaramente una lingua molto antica; è una lingua relativamente evoluta, ha perso parte del suo inventario consonantico, ha evoluto molto il suo sistema verbale; ha un corpus enorme (3 milioni di tavolette); la notazione vocalica esiste fin dall’inizio ma va bene solo per i testi che usano una scrittura sillabografica, per quelli che hanno una tradizione pittografica noi pur sapendo cosa vogliono dire non sappiamo pronunciarli. Eblaitico: la differenza rispetto all’Accadico riguarda essenzialmente la dimensione del corpus che è più esiguo (25.000 tavolette), ma quello che conta è che la scrittura eblaitica è molto più pittografica e ideografica che non sillabografica, quindi essendo la componente fonografica inferiore, le informazioni fonetiche che noi abbiamo sono quasi nulle, quindi secondo il prof è più logico dare “0” e non “+”. Amorreo: è una lingua antichissima senz’altro, relativamente evoluta e ha un corpus esiguo, non abbiamo nessun testo se non alcuni nomi propri di persona peraltro trascritti in lingue diverse, in parte trascritti in una lingua che notava soltanto le consonanti, cioè l’egiziano, e quindi non sappiamo come si pronunciasse, mentre sappiamo pronunciare solo quelli trascritti in cuneiforme mesopotamico, dunque è più corretto anche qui mettere “0” e non “+”. Ugaritico: è una lingua relativamente antica e relativamente conservativa, sicuramente più dell’Accadico, in quanto ha 5 fonemi in più che in Accadico sono persi, ha un corpus abbondante e dal punto di vista della vocalizzazione, dei 28 fonemi consonantici ce ne sono 3 che sono modificabili a seconda della vocale che accompagnano e abbiamo per molti testi un corrispondente scritto in “Accadico di Ugarit”, quindi di gran parte del lessico ne conosciamo anche la vocalizzazione perché è trascritto in questa variante, dunque non è corretto il “-“ nel parametro D. Ebraico biblico: è una lingua non di grandissima antichità, ma che invece è fortemente evoluta (ha completamente ristrutturato il sistema verbale e il lessico è di nuova accessione), ha un corpus consistente e dal punto di vista della vocalizzazione sappiamo che tutto il corpus è vocalizzato; tuttavia sia il fatto che abbia 3 sistemi di vocalizzazione diversi che non garantiscono omogeneità che il fatto che essi siano stati concepiti a partire dall’850 d.c. rappresenta un grande problema ai fini comparativi. Fenicio: ha la stessa antichità dell’Ebraico, altrettanto evoluto, il corpus però è più modesto (abbiamo soltanto iscrizioni formularie) e dal punto di vista della scrittura abbiamo solo informazioni di spezzoni di Neo-Punico nell’opera di Plauto, quindi il grado di affidabilità del sistema vocalico è nullo. Aramaico antico: Stempel gli assegna gli stessi valori che dà al Fenicio, tuttavia sappiamo con assoluta certezza che l’Aramaico antico aveva polifonia di almeno 5 segni consonantici e quindi è più conservativo dal punto di vista fonologico e quindi è corretto mettere "0” al posto del “-“. Aramaico d’Impero: per questa lingua valgono i parametri che Stempel assegna. 37 1. La sequenza “a lunga + hamza” diventa: “e/i lunga + hamza” in Accadico, Ugaritico ed Aramaico che appartengono a 3 sottonodi differenti. 2. Il pronome isolato di 1° persona singolare che ha delle forme ampliate in “k” cioè “anaku”, in Ebraico, Fenicio e Accadico, mentre nelle altre lingue si utilizza la forma senza “k”, ovvero “ana”; l’Ebraico in realtà le ha tutte e due, perché ha “anokì” e “anì”, ma in Ebraico moderno si è imposto il secondo modo (la prima forma è usata quando si dà maggior enfasi). 3. La nota relationis ha forma diversa a seconda delle lingue: in Accadico e Cananaico ha una base *Š- mentre in semitico occidentale ha una base originariamente in *ḏ (interdentale). 4. Il pronome interrogativo indefinito “chi” è ampliato in *-y in Cananaico ed Ugaritico, mentre è ampliato in *-n in tutte le altre lingue (infatti in Arabo è “man”). 5. Quello più importante di tutti, che dà luogo alla distribuzione geografica più sorprendente è il prefisso del causativo: in Accadico e Ugaritico è “Š-“; in Fenicio è “y-“; in Ebraico è “h-“; in Aramaico abbiamo inizialmente un’alternanza tra “h-“ e “ ‘-“ che poi nell’era d.c. confluisce solo nella seconda forma; in Arabo è “ ‘-“ e in Etiopico abbiamo “ ‘-“ in Gə’əz, mentre in Amharico abbiamo alternanza tra “ ‘-“ che ricorre nei temi causativi semplici e “s-“ che ricorre in quelli composti. Alla luce di questa distribuzione, sembra emergere l’esistenza di un’area innovativa semitica centrale (definita “siro-palestinese” da Rubin e “Amorrea” da Garbini). Andiamo a vedere in base a quali isoglosse diagnostiche si costituiscono dei sottonodi:  Semitico Occidentale : L’isoglossa diagnostica fondamentale che differenzia semitico occidentale e orientale riguarda il verbo; in generale le lingue semitiche antiche esprimevano nel verbo due 40 categorie aspettuali, opponendo l’incompiuto (presente) al compiuto (preterito) che sono entrambe espresse in semitico orientale attraverso una coniugazione a prefissi; il semitico occidentale invece ha conservato la coniugazione a prefissi che serviva ad esprimere il preterito però usandola per il presente, mentre per il preterito hanno sviluppato una nuova coniugazione a suffissi partendo da una forma che esisteva in accadico, il cosiddetto “stativo”, che era un aggettivo verbale; ad esempio avevamo la radice “qabir-“ che esprimeva “essere in condizione di essere sepolto”, questa ha finito però col venire flessa (coniugata) e quindi col diventare a tutti gli effetti una forma verbale, seguendo il sistema che si usava in accadico per le frasi nominali che si è esteso anche allo stativo, ovvero si attaccava a questa radice il pronome suffisso, quindi “qabr-aku” indica “io sono in condizione di essere sepolto”, a questo aggettivo verbale, il semitico occidentale, ha dato anche un valore transitivo attraverso il cambio della vocale e quindi “qabira” significa “egli fu sepolto” e “qabara” invece “egli seppellì”.  Semitico Meridionale : Oggi l’esistenza di questo sottonodo è stata un po’ rivista, ma all’epoca in cui è stato redatto l’albero si pensava ancora che Arabo, Sudarabico antico, Sudarabico moderno ed Etiopico potessero costituire un sottonodo a sé; le isoglosse fornite a dimostrazione dell’esistenza di questo sottonodo sono criticate oggi da alcuni studiosi, i quali sostengono che non siano delle isoglosse innovative; la prima è il fatto che nella coniugazione a suffissi, comune a tutte queste lingue, la 1° e la 2° persona sono espresse da suffissi in dentale; tuttavia alcune di queste lingue, come l’Etiopico, hanno sviluppato un suffisso in velare; questo perché in origine il protosemitico aveva una velare alla 1° persona e una dentale alla 2° e mentre in lingue come l’Arabo e l’Aramaico c’è stata una spinta analogica a generalizzarle entrambe in dentale, in altre lingue come l’Etiopico e il Sudarabico si è avuta la spinta opposta e quindi sono diventati entrambi suffissi velari; ciò che contestano gli studiosi oggi è che questa innovazione si è avuta anche in altre lingue, quindi è un fenomeno del tutto indipendente che ha avuto luogo anche negli altri ramo dell’albero (sviluppo parallelo). La seconda caratteristica riguarda il fatto che queste lingue hanno conservato la coniugazione a prefissi con la geminazione della 2° radicale (es. in Ge’ez “yaqabbaru”) con un valore di imperfetto; tuttavia trattandosi di un tratto conservativo e non di un’innovazione non può essere considerata con lo stesso valore delle altre isoglosse. Infine, la terza caratteristica riguarda la formazione dei plurali fratti che è quella che maggiormente ha avvalorato questa ipotesi di comunanza tra queste lingue, ovvero la formazione del plurale si basa sulla variazione vocalica all’interno del tema consonantico della radice; questa formazione è comune a tutte le lingue che si ipotizzano essere parte di questo gruppo tranne che per l’Etiopico meridionale; questa chiaramente è un’innovazione che però si presenta con una distribuzione irregolare, per esempio raggiunge il nord dell’Etiopia ma non il sud, quindi si tratta di un’innovazione areale che non vale moltissimo dal punto di vista della classificazione.  Aramaico : La prima caratteristica riguarda il passaggio di una “n sonante” (Sonanti: una parte delle consonanti che in mancanza di vocali possono portare l’accento, esse sono l, m, n, r) ad una “r”, mentre è rimasta “n” in tutte le altre lingue semitiche; ad esempio la parola per “figlio” che è “bar” a differenza delle altre lingue che usano “bin”. 3) Sistemi scrittori delle lingue semitiche Come sappiamo tutte le lingue semitiche vengono ricondotte a una lingua ricostruita detta “proto- semitico”, che viene presa come definizione di comodo, in prestito dai filologi indoeuropei ed è il punto più alto a cui riusciamo a far risalire tutti i fenomeni, quindi non è una lingua che realmente esiste. Quindi se noi riusciamo a ricondurre un fenomeno appartenente alle lingue semitiche al punto più alto possibile, allora vuol dire che esso è veramente interno a questa famiglia di lingue (come ad esempio il 41 triconsonantismo e la presenza di faringali), se invece si manifesta, ad esempio, per contatto allora non è una caratteristica interna a tutto il gruppo. Il proto-semitico viene diviso in due rami: Semitico Orientale e Semitico Occidentale e la distinzione viene fatta principalmente tenendo conto della morfologia verbale: ovvero il Semitico Orientale, che è quello più antico (ad esempio l’Accadico) nella coniugazione preteritale presenta dei prefissi e accanto a questa ha poi sviluppato un aggettivo verbale usato per indicare il non-passato; tutto ciò viene invece preso dal Semitico Occidentale che lo gira esattamente al contrario.  Semitico Orientale : Eblaitico e Accadico (che ha al suo interno presenta i vari dialetti babilonesi e assiri);  Semitico Sud-Occidentale : Abbiamo principalmente l’Etiopico e il Sud Arabico, che rappresentano le lingue che oggi vengono parlate nella parte bassa della Penisola arabica e nel Corno d’Africa.  Semitico Nord-Occidentale : Comprende l’Ugaritico, l’Aramaico e il Cananaico (che a sua volta contiene lingue come il Fenicio e l’Ebraico).  Semitico Centrale : che comprende l’Arabo, il Nord Arabico e il Sud Arabico Antico. Tuttavia ciò che spesso non è chiaro è che esiste una differenza tra lingua e scrittura, infatti bisogna rendersi conto che la scrittura spesso va un po’ forzata per rispettare l’inventario fonematico di una lingua, quindi non sono categorie sovrapponibili; un esempio è rappresentato da questa iscrizione: iscrizione di Bisotun (520- 518 a.c.) Questa iscrizione prevede questo enorme corpo scultoreo che raffigura il Re Persiano che schiaccia la testa di un nemico e un corteo di previnti con in alto questa aquila enorme che rappresenta “Mazda”, ovvero la divinità più alta del Pantheon Zoroastriano. Le iscrizioni riportate in alto possono sembrare assolutamente identiche, invece questa è un’iscrizione trilingue ed è peraltro un’iscrizione che ha aiutato gli studiosi a decodificare e tracciare le lingue presenti; essa è scritta in Antico Persiano, Iranico e Babilonese. Questo è dovuto al fatto che nel 539 i Persiani prendono Babilonia, ma senza nessuna guerra o spargimento di sangue, infatti le porte di Babilonia furono aperte poiché l’ultimo re Neo-Babilonese fu costretto a lasciare Babilonia perché era miscredente, infatti venerava il Dio Sin (sua madre veniva da Harran, etichettata da sempre come la capitale della miscredenza) e non aveva a cuore la ritualità assira che invece venerava il Dio Marduk, quindi egli si trasferì in una delle oasi dell’Arabia Saudita, ovvero a Tayma, poiché il popolo voleva liberarsene pur non potendo giustiziarlo in quanto era un re; ciò che fece la classe religiosa quindi fu aprire le porte agli invasori e così la dinastia Assira e quella Babilonese finirono per cedere al dominio Persiano. Infine, un’altra caratteristica che bisogna ricordare in relazione alla scrittura è essa va sempre di pari passo con la religione, quindi non è la lingua che ha a che fare con il credo religioso ma è la scrittura, infatti quando si parla di “varietà comunitarie” della lingua, si intende la distinzione delle varietà linguistiche in base all’appartenenza ad una precisa comunità religiosa; ad esempio Serbi e Croati nonostante facciano parte della stessa varietà linguistica, usano due sistemi scrittori differenti in quanto una popolazione è ortodossa e utilizza l'alfabeto cirillico e l'altra è cattolica e utilizza l'alfabeto latino; oppure come altro esempio si può citare anche la situazione in India prima della separazione dal Pakistan, in cui la lingua della comunità era unica e chiamata “Industan”, ma dopo l'indipendenza dei due Paesi si differenziano le due 42 Consonanti dell’abjad fenicio. I primi grandi innovatori del sistema furono invece i Fenici; la Stele di Nora (9°-8°secolo a.c.) è la stele più antica fenicia e fu ritrovata in occidente, a Nora in Sardegna. L’innovazione principale che portano i Fenici è che dal loro primo abjad nascono poi tutte le scritture delle lingue semitiche occidentali, principalmente per questioni di commercio (specialmente con i greci, infatti grazie a loro nasceranno gli alfabeti con le vocali, essenzialmente a causa di un fraintendimento, perché i greci non percepivano la ‘ain o le altre consonanti a cui non erano abituati e quindi percepivano solo le vocali che venivano prima e dopo). Da questa grande innovazione si cambierà anche il supporto su cui verranno scritti i testi, si passerà dall’argilla alla roccia, al papiro, la pergamena, la stoffa, i metalli, la carta e ogni supporto scrittorio ovviamente ha bisogno di una tecnica differente. Il problema degli abjad però è legato alla lettura dei testi, perché privi di vocali e in una lingua liturgica come l’ebraico biblico è fondamentale sapere come leggere, perché le funzioni liturgiche erano pubbliche; quindi inizieranno ad essere inseriti i punti diacritici e le vocali (“notazioni Masoretiche”) nei testi sacri che saranno obbligatorie (infatti ancora oggi il Corano e la Bibbia ebraica sono tutti vocalizzati). Un’altra lingua che viene scritta con l’abjad è l’Aramaico, che come sappiamo è la lingua semitica con la periodizzazione più lunga tra tutte, infatti inizia ad essere parlata intorno al 950 a.c. Nel periodo dell’Aramaico medio però (quindi dal 200 a.c. al 200 d.c.) iniziano a formarsi delle città che si emancipano dal controllo altrui e mandano avanti un proprio dialetto e una propria scrittura; i tre dialetti più importanti dell’Aramaico medio sono il Palmireno, il Nabateo e lo Khatreno. Il Palmireno è la lingua del regno di Palmira, il Nabateo invece aveva come capitale Petra e lo Khatreno che è la lingua della città di Khatra. Iscrizione in Nabateo di Anamara, epitaffio di Imru l-Qays, Louvre. Nella fase tarda dell’Aramaico invece, ritroviamo il Siriaco (anche se non tutti sono d’accordo con questa periodizzazione); essa è una delle lingue liturgiche delle lingue semitiche e quindi, in quanto lingue veicolari di un rito di culto, non muoiono mai. 45 Il Siriaco nasce come dialetto dell’Aramaico nella città di Edessa, nell’attuale Turchia; essa assurge al rango di lingua veicolare e diventa lingua liturgica tra il 1° e il 2° secolo d.c., periodo in cui iniziano i primi problemi religiosi poiché il Cristianesimo si innesta su un dilagante paganesimo e quindi questa lingua diventa la lingua di utilizzo dei cristiani che vivono nelle province orientali dell’Impero. La particolarità del Siriaco è che esso presenta tre scritture differenti: 1. Estrangelo : Questa è la scrittura originaria, che presenta un abjad molto semplice, come l’arabo, cambia la scrittura delle lettere poichè alcune legano a destra e altre a sinistra. 2. Nestoriano : che è la scrittura che nasce dallo scisma (nato dalla diatriba riguardo la natura di Cristo) della Chiesa Nestoriana, o meglio Chiesa Sira d’oriente. 3. Serto : è la scrittura dei Cristiani Giacobiti, o della Chiesa Sira d’occidente Oltre ad essersi divise sul piano della scrittura, queste ultime due varietà si sono differenziate anche a livello di pronuncia, ma restano uguali a livello linguistico (a meno che non ci troviamo di fronte a testi dottrinali). Con l’Arabo invece ci rendiamo conto che per una stessa lingua non abbiamo un solo tipo di scrittura, ma esistono varie possibilità diverse dove però l’inventario grafematico resta lo stesso, solo la resa grafica può variare. Altre lingue che vengono scritte con l’abjad arabo sono il Persiano, l’Urdu, il Pashtu e anticamente anche il Turco (il che ci fa capire anche il valore politico della scrittura, perché da quando Ataturk si avvicinò all’occidente, decise di riformare anche il modo di scrivere, c’era quindi la necessità di renderla più chiara e appetibile). Con le lingue Nord Arabiche invece introduciamo un altro aspetto importante della scrittura; ovvero esse (in particolare i dialetti parlati nelle oasi) hanno la particolarità che il verso della scrittura è “Bustrofedico”, quindi non ha una direzione fissa ma procede “a zig-zag” senza mai andare a capo, infatti l’etimologia della parola ha proprio a che fare con il verso in cui aravano i campi i buoi. Un’altra caratteristica di questa scrittura è quella di ruotare anche le lettere, a seconda se si procede a destra o a sinistra. Il Sud Arabico invece si scrive con lo stesso metodo dell’Arabo (quindi da destra), ma porta l’innovazione del supporto su cui si scrive, infatti ritroviamo molti testi che venivano scritti sulla base delle foglie di palma. Una cosa da notare dei vari abjad è che l’ordine delle lettere nelle varie lingue è sempre diverso e non c’è nessun motivo apparente, risulta completamente casuale. + Abugida Un altro sistema di scrittura è l’Abugida; con questo sistema si scrivono il Ge’ez (gheez) e l’Etiopico. Un Abugida è essenzialmente un sillabario, dove ad ogni grafema corrisponde non solo una consonante ma una consonante + una vocale (funziona come un asse cartesiano, dove si ha per ogni simbolo una corrispondenza tra vocale e consonante). L’Abugida invece si scrive da sinistra verso destra. + Alfabeto Il quarto ed ultimo sistema di scrittura è l’Alfabeto, una scrittura in cui ad ogni grafema può corrispondere sia una consonante che una vocale. L’alfabeto nelle lingue semitiche lo ritroviamo ad esempio nel Mandaico, un tipo di aramaico che è la lingua 46 dei Cristiani in Iran; nel Mandaico infatti le vocali si scrivono quasi sempre. Altra lingua che si scrive con l’alfabeto è il Maltese che si scrive con l’alfabeto latino. Documenti in cui troviamo il Mandaico sono principalmente le “Coppe Magiche”. La Coppa Magica è una categoria di oggettistica diffusissima all’interno del panorama vicino orientale, si chiamano così perché all’interno venivano scritti degli incantesimi, o della semplice pseudo-scrittura, e quelle aramaiche e siriache hanno dei demoni disegnati al centro e poi il testo scritto, che può essere scritto in modo circolare oppure lungo il bordo e serviva ad allontanare il maligno. La Coppa Magica più famosa è quella di Lylith, la prima sposa di Adamo, che era madre di tutti i demoni e si pensava che essa rapisse i bambini e li mangiasse, infatti essendo una donna splendida, essa entrava in casa e dormiva con i mariti, generando sempre nuovi demoni. Per scacciarla bastava scavare una piccola fossa sotto lo stipite della porta, si girava la coppetta che aveva la funzione di intrappolare il demone e si ricopriva la coppetta, vivendo così sereni. Esempio di Coppa Magica 4) Aspetti della Fonologia delle lingue semitiche In linguistica, lo studio fonologico comprende la fonetica (che è lo studio fisico dei suoni, detti suoni o foni) e la fonematica (che è il valore semantico dei suoni, detti fonemi). La fonologia generalmente studia le modificazioni che gli organi di fonazione (articolatori) impongono al flusso d’aria egressivo (cioè che esce dai polmoni), però molte lingue del mondo considerano fonemi anche quelli che sono prodotti in modo avulsivo (con l’aria che entra nei polmoni); questi articolatori possono essere mobili (cioè quelli che si muovono nel corso dell’articolazione dei suoni, come labbra e lingua) e fissi (denti, alveoli) che vengono chiamati “bersagli”. La fonetica articolatoria ci consente di distinguere i suoni dal punto di vista del luogo di articolazione (dentali, labiali, ecc) e del modo di articolazione (se c’è o meno vibrazione delle corde vocali, se sono nasali, se sono neutri o enfatici e quest’ultimi possono essere “faringalizzati”, quindi conferendo un timbro velare alle vocali che seguono, o “glottalizzato” che si ritiene essere il modo più antico delle lingue semitiche e che ancora oggi è condiviso da Sudarabico moderno ed Etiopico, che fa suonare le consonanti con un piccolo colpo di glottide successivo). Le consonanti che condividono lo stesso luogo di articolazione costituiscono un “ordine” (labiali, velari, ecc), mentre quelle che condividono lo stesso modo di articolazione costituiscono una “serie” (occlusive, labiali, ecc). Colui che ha codificato questa terminologia è stato il fondatore della “Scuola fonologica di Praga”, ovvero Trubetzkoi, all’interno della sua opera del 1939 “Fondamenti di fonologia”; quest’opera è stata conosciuta per molti anni in Europa solamente attraverso la sua traduzione in francese, pubblicata nel 1946, poiché quando uscì l’opera i tedeschi invasero la Cecoslovacchia e quindi non potevano pubblicarla, ma una copia riuscì comunque ad uscire fuori dal Paese grazie al semitista Pètràcek che lo affidò a Cantineau per la traduzione (che si è occupato anche della ricostruzione dei fonemi in molte lingue semitiche antiche). Un punto saliente della fonologia semitica è che molto spesso i diversi ordini all’interno di una serie si organizzano in triadi, ovvero ad esempio per la serie delle dentali abbiamo la sorda, la sonora e l’enfatica; tuttavia questo schema non si applica a tutte le serie e se ne reso conto Stempel attraverso il paragone con 47 Sudarabico antico e moderno ed Etiopico che invece la trasformano in una labiodentale “f”; tuttavia, come abbiamo detto, questo non è un tratto che può essere considerato diagnostico, ma si tratta di uno sviluppo areale.  La “g” è pronunciata come affricata /dᴣ/ soltanto in Arabo, mentre in tutte le altre lingue semitiche è un’occlusiva velare; tuttavia questo tratto non viene poi sempre riproposto dai dialetti arabi, in quanto ad esempio in egiziano abbiamo la pronuncia velare, che però non vuol dire che esso si sia conservato come tratto originario, ma è semplicemente un’innovazione del suono affricato che fino al 16° secolo apparteneva anche a questo dialetto.  La “q” non pone particolari problemi tranne che per l’Arabo, nel senso che nella tradizione semitica essa veniva trascritta come “ḳ” ad indicare che rappresentava la corrispondente enfatica della triade delle velari; tuttavia si è visto, attraverso un’analisi allo spettro acustico della pronuncia araba, che essa non è semplicemente una velare pronunciata con un modo diverso, ma cambia completamente anche il punto di articolazione che è uvulare e quindi si è imposta anche negli altri casi la trascrizione con una “q”. L’articolazione di questo fonema è importante ai fini della classificazione dei dialetti arabi perché ci sono differenti realizzazioni fonetiche a seconda del luogo in cui ci troviamo: solitamente nelle aree urbane essa è articolata come una ‘ayn, nelle aree rurali invece essa è articolata come una /ḳ/ o come una /k/, infine nei dialetti beduini è una /G/, ovvero un’uvulare ma sonora.  Uno dei problemi principali è rappresentato dalla realizzazione di quelle che oggi conosciamo come “interdentali” dell’Arabo; Cantineau si riferiva a questi fonemi con la definizione che adottiamo noi oggi, ovvero di interdentali (anche se le vere interdentali sono articolate intorno ai denti, mentre quelle dell’Arabo sono delle “Spiranti dentali”), tuttavia, grazie a Martinet, si è scoperto che l’articolazione interdentale non era quella originaria del proto-semitico, egli infatti applicò i principi di Trubetzkoi alla fonologia diacronica e si rese conto che la ricostruzione fatta da Cantineau secondo cui le cosiddette interdentali avrebbero avuto un’origine etimologica interdentale non poteva spiegare alcuni esiti, come ad esempio il passaggio ṯ > š, perché dal punto di vista articolatorio è molto più plausibile, per questioni di praticità, che si verifichi un fenomeno di “lenizione” piuttosto che di “fortizione”, cioè un fonema tende ad essere semplificato nella sua realizzazione fonetiche e non viceversa (ad esempio un’occlusiva tende a diventare spirante e non viceversa); Martinet quindi capì che in origine le interdentali erano in realtà delle palatali: Ť, Ď, Ž; questo quindi spiegava il passaggio ad un’articolazione interdentale in maniera più convincente e soprattutto motivava il fatto che l’Ugaritico trascriveva con un’interdentale /ṯ/ un suono Ittita e Hurrita che sappiamo essere pronunciato palatale /č/. A Parigi, accanto alla fonologia sincronica e diacronica, si è sviluppata poi una “fonologia pancronica”, ovvero quella branca della fonologia che si occupa dello sviluppo e dell’evoluzione dei suoni e che ha formulato gli universali fonetici delle lingue del mondo; i primi studiosi che hanno dato avvio a questo studio sono stati Hagege e Haudricourt. Si è arrivati a questa conclusione grazie alla comparazione degli esiti che questi fonemi hanno nelle varie lingue semitiche: Accadico Ugaritico Ebraico Siriaco Arabo Antico Sudarabic o Etiopico /Ť/ “bue” šuru ṯr šor Tawr-à ṯawr’ <ṯ> Sor /Ď/ uznu ‘udn ‘ozèn ‘edn-à ‘uḏn <ḏ> ‘əzn 50 “orecchio” /Ž/ “osso” eṣmu ‘Žm ‘èṣem ‘aṬmà ‘azm <Ṭ> ‘aṣm Quindi vediamo come il Sudarabico Antico conservi questi fonemi in autonomia fonematica e grafematica (perché abbiamo solo lessico relativo alla caccia e alle altre attività, quindi non abbiamo la corrispondenza per parole relative ad altri tipi di lessico); sia l’Arabo che il Sudarabico Antico danno luogo ad esiti interdentali, Accadico, Etiopico ed Ebraico invece danno esito uguale e ritroviamo le sibilanti /sh/, /z/ e /ṣ/, mentre in Ugaritico le troviamo scritte come interdentali ma perché questa lingua è stata interpretata nel 1950 quindi secondo l’antica credenza che le etimologiche fossero interdentali, ma alla luce di questa scoperta, l’Ugaritico è da considerare come una lingua che possedeva questi suoni dentali palatali etimologici (anche perché, come abbiamo detto, nella cancelleria di Ugarit con questi segni si trascriveva la /c/ di altre lingue), poi abbiamo esiti con dentali semplici in Aramaico.  Per quanto riguarda le Sibilanti invece, si è scoperto sempre grazie a Martinet nel 1953 che in realtà, grazie alla tradizione parallela, esse erano delle affricate etimologiche (soprattutto grazie al confronto con Ebraico ed Etiopico); quindi le 3 sibilanti /s/, /z/ e /ṣ/ erano in realtà dei suoni come / ts/, /dz/ e /ts’/, mentre l’unica vera sibilante etimologica, che era la /š/, si ritiene che fosse articolata come un suono a metà tra /s/ e /sh/, alcuni sostengono che fosse simile ad una “s” castigliana: essa ha avuto esiti differenti a seconda delle lingue semitiche, in alcuni casi è diventata una /s/ mentre in altri è rimasta come /š/.  Poi abbiamo le Laterali semitiche e si ritiene che in origine fossero 3: /ṥ/, /Ṥ/ e /l/ che rappresentano la triade sonora-sorda-enfatica di Cantineau; esse si pensa che in origine fossero articolate come delle dentali che però vedevano uno scorrimento dell’aria da un punto laterale della guancia (erano fonemi che avevano anche le lingue celtiche, per esempio una parola come “Lloyd” era articolata proprio in questo modo). Soltanto una lingua semitica antica, ovvero il Sudarabico antico, conserva in autonomia grafematica questi fonemi e possiamo osservarlo grazie ad alcuni esempi come la parola “Balsàm” che traduce in greco il nome di un aroma dell’Arabia meridionale e la particolarità è che questa “s” non può essere una “s” semplice perché le lingue che non posseggono le laterali in origine, per trascriverle usano la “l” per accompagnare questo suono, infatti un altro esempio è la parola spagnola “alcalde” che viene dall’Arabo “al-qadi”; mentre per l’enfatica abbiamo la testimonianza del nome della divinità “Rudà” trascritta da Erodoto con la sillaba “ld”. Accadico Ugaritico Ebraico Siriaco Arabo sudarabic o Etiopico /ḍ/ “terra” erṣetu ‘ars ‘èreṣ ‘ar’à ‘arḍ <ḍ> <ḍ> L’accadico, l’ebraico e l’etiopico rispondono con una sibilante enfatica, anche l’ugaritico fa lo stesso mentre il siriaco risponde con una “ayn” che inizia già nella fase dell’aramaico d’impero, ma nella fase più antica dell’aramaico essa era “qaf” e nei testi di Elefantina la parola “terra” era “arq”. Quello che è più difficile da spiegare è il caso dell’aramaico, perché risponde con delle consonanti di articolazione posteriore (uvulare, faringale); secondo Stempel questo perché le enfatiche di tutte le lingue semitiche hanno come prima articolazione un punto simile a quello dentale o alveolare e come seconda articolazione invece alcune lingue (arabo, aramaico) prevedono una faringalizzazione mentre altre prevedono una glottalizzazione (etiopico), tuttavia però, in aramaico 51 accade (così come nelle lingue khartveliche) che la prima articolazione dell’enfatica non sia dentale ma sia più arretrata, simile a una faringale o uvulare ed è ciò che è successo in questo caso.  Le enfatiche sono sempre state considerate alla luce dell’arabo, perché sono quello meglio conosciute. Per capire cosa sono le enfatiche bisogna prendere le lingue neo semitiche, che alle enfatiche reagiscono in 3 modi diversi: nel primo caso abbiamo esempi di lingue che hanno perso completamente le enfatiche (ebraico moderno), un altro caso simile è quello del maltese che invece fa ricadere la differenza di significato in casi in cui la coppia minima di due parole era un’enfatica, sulla vocale, quindi ad esempio la differenza tra “sayf” (estate) e “saaif” (spada) sta nel vocalismo e non più nella differenza “sad/sin”; poi abbiamo tutti i dialetti neo arabi e i dialetti neo aramaici che le pronunciano faringalizzate, come se fossero accompagnate da una piccola “ayn” e quindi la vocale che segue muta il proprio timbro in virtù di questa pronuncia; infine c’è il caso dell’etiopico e del sudarabico moderno che le pronuncia con una glottalizzazione. La pronuncia originaria delle enfatiche si pensava fosse quella dell’arabo, ma in realtà le enfatiche sono un tratto comune al camito-semitico e non solo alle lingue semitiche e in precedenza si pensava che gli etiopi le pronunciassero alla maniera araba e poi per contatto con i Cusciti abbiano assunto quest’altra pronuncia, invece ci sono stati due fattori fondamentali che hanno fatto capire che questa teoria fosse falsa; il primo è un fattore filologico, cioè in tutti i casi in cui la tradizione parallela trascrive in lingue che scrivono le vocali parole semitiche che contengono enfatiche, mai una sillaba si trova trascritta con una vocale “u” e “o” che invece sarebbero esiti attesi da una faringalizzazione; il secondo fattore è che è impossibile spiegare, sulla base di ragionamenti di fonetica articolatoria, il passaggio che porta dalla pronuncia etiopica a quella araba, inoltre, unendo la considerazione fatta dai fonetisti arabi che i due fonemi siano “sonori” e non “sordi”, giungiamo alla conclusione che la pronuncia originaria non fosse quella araba. Nelle lingue del mondo esistono due tipi di accenti: l’accento meccanico e quello melodico; il giapponese ha un accento melodico, così come il greco antico e probabilmente si pensa che anche il protosemitico avesse avuto un accento melodico, ma nel corso del tempo le lingue derivate da essa hanno sviluppato un accento meccanico che determina una maggiore lunghezza della vocale su cui esso cade mentre le vocali nelle sillabe precedenti o successive a quella accentata cadono o diventano indistinte (schwa). La posizione dell’accento in protosemitico si ritiene che non fosse fonematica (non era un tratto distintivo), però questa cosa può essere successa molte volte nelle lingue derivate nei prestiti o a causa di riduzione sillabica. Un altro aspetto fonologico presente nelle lingue semitiche è la geminazione consonantica, come quella ad esempio che troviamo nelle forme verbali e che ha un valore ancora oggi produttivo nei dialetti arabi; questo vale anche per alcune forme nominali che differiscono tra loro anche solo per la presenza di una geminazione. 5) elementi della Sintassi della frase La sintassi di frase dell’arabo chiama “frase nominale” e “frase verbale” qualcosa di diverso rispetto a quanto abbiamo nella tradizione greco-latina, che invece a seconda della tipologia del predicato, quindi su aspetti morfologici, stabilisce se la frase è nominale o verbale; il sistema arabo invece utilizza un criterio chiamato “pragmatico”, ovvero quello che è nuovo come informazione e quello che è già noto. Nell’esempio “al mu’allimu abuhu mata” ovvero “il maestro, suo padre è morto” che non vuol dire esattamente “è morto il padre del maestro” perché è diverso dal punto di vista dell’informazione, se uso questo tipo di frase significa che il mio interlocutore sa chi è il maestro (informazione nota = “tema”) e il fatto che suo padre è morto è l’informazione nuova (“rema”), la tradizione araba chiama i due elementi “mubtada” e “khabar”. La struttura della frase è tipicamente VSO (arabo, aramaico, ebraico, etiopico, fenicio) in tutte le lingue che non abbiano subito l’influenza maggioritaria di lingue che avevano un ordine diverso, come invece è il caso 52 indicativo. La parte centrale della parola rappresenta la caratteristica della morfologia derivazionale di tutte le lingue semitiche e di una parte anche della morfologia flessiva, ovvero che è una morfologia non concatenativa, cioè a differenza di ciò che abbiamo fatto con i prefissi e i suffissi, qui non possiamo dividere in più segmenti, quindi si tratta di “introflessione” che mette in combinazione due principi strutturali: uno “schema” (wazn) che consta di vocali, prefissi e suffissi e la “radice” (asl) che è generalmente triconsonantica e che interrompe lo schema; un esempio è “mi-12-a-3”, dove 1,2,3 indicano le radicali ed è lo schema per indicare i nomi di strumento, come ad esempio “misbah, miftah”. La cosa fondamentale è che il concetto di radice semitica è profondamente diverso da quello indoeuropeo, infatti per queste ultime lingue la radice è la somma degli elementi condivisi da un’intera famiglia di parole, ad esempio *leuk che ha a che fare con la luce e che si fa ricondurre allo stadio più arretrato possibile della protolingua; diverso è il caso della radice semitica che è composta solo da consonanti ed è un meccanismo che non ha una giustificazione storica ma ha solo una funzione strutturale, infatti possiamo estrarre una radice anche da una parola che non è etimologicamente semitica, ad esempio la parola “telephone” viene introdotta nelle lingue semitiche e viene estratta una pseudoradice costruita alla semitica “TLFN” che è perfettamente funzionante. Quindi il principio fondamentale è che ad essere ternario non sono le radici stesse, ma la posizione che esse assumono l’una rispetto all’altra all’interno dello schema. Quindi anche quando ci troviamo di fronte a radici con 4 elementi, bisogna ricordare che la struttura prevede sempre 3 slot ideali in cui collocare le radici, quindi in questo caso lo schema prevede che nello slot centrale vengono compresse la 2° e la 3° radicale (es. "targama" abbiamo la coppia "rg" che si comprime per occupare un solo slot). La cosa fondamentale quindi è che bisogna sempre essere in grado di ricondurre una radice ad uno schema; questo è quello che accade nel caso di parole di derivazione straniera (ad esempio la parola “Nikkel” inglese viene adattata allo schema della 2° forma come “nakkala” e da qui si adatta lo schema in tutto, ad esempio l’azione di rivestire di Nikel si dice “tankiil” quindi si adopera il masdar), ma anche per esempio nel caso di parole appartenenti già al lessico comune alle lingue semitiche che presentano un “vocalismo immotivato”, ovvero le vocali presenti nella parola come “kalb” che non sono motivate da nessuno schema particolare, tuttavia anche in questi casi possiamo estrarre la radice e inserirla negli schemi, in questo caso ad esempio possiamo inserire la parola nello schema del diminutivo ed otteniamo “kulayb”. Un altro dei problemi ancora irrisolti riguarda le radici biconsonantiche e in particolare se esse siano nate prima o dopo quelle triconsonantiche. La situazione dell’Arabo mostra una preponderanza schiacciante di radici triconsonantiche (40 su 100mila sono biconsonantiche e solo 1% quadriconsonantiche) che però non è comune anche alle altre lingue semitiche, in cui sono sempre prevalenti le radici triconsonantiche, ma che non vanno oltre il 60%, quindi significa che c’è una quantità di radici biconsonantiche consistente, che diventa sempre più significativa a mano a mano che andiamo indietro nel tempo. A livello camito-semitico abbiamo l’Egiziano in cui circa 1/3 delle radici sono biconsonantiche e il Berbero in cui lo sono il 50% delle radici, anche se in questo caso molte radici diventano biconsonantiche a causa del logorio di una delle tre radici originarie, quindi non è un dato molto significativo. Secondo alcuni studiosi all’interno dell’Arabo esistono molte radici reduplicate (come “GLGL”) e di media debole (come “GWL”) che portano lo stesso significato e quindi si ritiene che fosse un’antica base biconsonantica (“GL”) la quale è stata poi sviluppata o reduplicandola oppure inserendo in posizione centrale una radicale debole. Un’altra teoria sulla possibile origine precedente delle radici biconsonantiche riguarda una serie di radici arabe che condividono le prime due radicali (come “BTT”, “BTR”, “BTK”) e che hanno a che fare tutte più o meno con lo stesso significato, che viene poi leggermente modificato con l’aggiunta della terza radicale; tuttavia il problema sta nel fatto che queste non sono un “complemento radicale”, ovvero la 3° radicale che si aggiunge a queste radici, non apporta una funzione stabile, cioè l’aggiunta di una “kaf” a una base 55 bilittera non comporta una variazione di significato stabile e quindi quest’idea non può funzionare. Quindi non possiamo sapere con certezza quale tipo di radice sia più antica; il problema è che i grammatici arabi hanno imposto una griglia grammaticale che postulava un funzionamento di radici triconsonantiche, quindi nel momento in cui dovevano giustificare una radice bilittera lo facevano dicendo che si trattava di una radice debole (che nella tradizione ebraica viene indicata con una “y”, in quella araba con una “w” e in quella aramaica con una “alef”). Per quanto riguarda la struttura dei morfemi in una radice semitica, fu pubblicato un articolo da Greenberg nel 1950, nel quale individuava alcune restrizioni di occorrenza: ad esempio si accorse che 2 radicali identiche possono trovarsi nelle posizioni 2-3 o 1-3 (es. “BTT”), mentre 2 radicali omorganiche (stesso punto di articolazione) possono trovarsi nelle posizioni 1-3 ma non 2-3, cioè non possiamo avere a contatto due radici che hanno lo stesso punto di articolazione perché comporterebbe uno sforzo di pronuncia maggiore; questo è di aiuto quando si lavora alla ricostruzione di testi epigrafici, perché aiuta ad escludere alcune lettere che per questo criterio non possono trovarsi accanto ad un’altra simile nell’articolazione. Un’importante distinzione fatta dai grammatici arabi è quella tra “lettere servili” e “consonanti radicali”: ogni consonante può essere una radicale ma circa metà di esse possono essere anche servili, ovvero che hanno una funzione morfologica, alcuni esempi sono:  ‘- (alef) : può essere un morfema di derivazione verbale (la 4° forma araba) ma anche una marca personale di flessione verbale (1° persona singolare).  H- : è la marca del causativo aramaico ed ebraico.  Ṥ- : è la marca del causativo accadico.  S- : è la marca del causativo amharico.  -T : suffisso derivazionale che nella maggior parte delle lingue semitiche è la marca di femminile.  (-)T- : morfema di derivazionale che è prefisso in molte lingue semitiche ed ha la funzione di medio riflessivo, ma in altre lingue, come l’8° forma araba, è infisso.  (-)T(-) : è una marca di coniugazione della 2° persona e può essere sia prefisso che suffisso.  N- : è una marca di derivazione verbale (7° forma araba) che aveva valore medio riflessivo e che ora invece ha un valore passivo.  (-)N(-) : è una marca che nella maggior parte delle lingue semitiche indica sia la 1° persona singolare che plurale (anche nei dialetti maghrebini).  -N : è un morfema di derivazione nominale e che indica il plurale alternandosi con la marca in –M.  -Y : è la marca dei cosiddetti aggettivi “nisbe”.  Y- : è una marca di 3° persona.  -Y- : è una marca della flessione nominale che indica il duale.  -W : è una marca di derivazione verbale, che in molte lingue semitiche serve a formare gli infiniti (masdar) e serve anche per formare il plurale sia nominale che verbale. Le classi lessicali della morfologia delle lingue semitiche sono:  Verbi (in cui distinguiamo il tempo, l’aspetto, il modo, la diàtesi e le forme verbali non finite)  Sostantivi  Pronomi 56  Aggettivi (delle 4 tipologie di aggettivi che ci sono nel mondo, le lingue semitiche ne presentano 3)  Avverbi  Preposizioni (o nel caso di lingue influenzate dal Cuscitico, come l’Etiopico, le Adposizioni)  Congiunzioni  Interiezioni (che raccolgono una serie di elementi che svolgono funzioni diverse, quindi non hanno né tratti formali, né tratti funzionali in comune)  Numerali (in questa categoria abbiamo gli ordinali che vengono trattati come aggettivi e i cardinali che vengono trattati come sostantivi). Un altro argomento di discussione su quale categoria sia nata per prima è quello relativo al nome e al verbo: per lungo tempo la linguistica generale ha dato una risposta certa, tuttavia il problema di per sé è posto male, in quanto nome e verbo si caratterizzano in opposizione l’uno all’altro, quindi una lingua che possiede nomi ha anche i verbi e viceversa e ci sono addirittura lingue amerindiane che non hanno una marca per distinguere nomi e verbi ma li distinguono a seconda del contesto d’uso. Quello che conta è che il verbo è la categoria morfologica che svolge una funziona predicativa, mentre il nome svolge una funzione non predicativa e per questo è probabile che il nome sia stata la prima categoria ad essere distinta attraverso l’uso di marche morfologiche specifiche; l’opposizione tra nome e verbo quindi non è binaria, ma è un continuum e quindi tra queste due categorie ce ne sono tante altre che presentano caratteristiche simili ad entrambe, queste sono ad esempio: il participio che è una forma nominale del verbo e come tale è declinato come il nome, ma può reggere un complemento oggetto come un verbo; poi c’è l’infinito che anch’esso può reggere un complemento oggetto in molte lingue semitiche; ci sono anche una serie di particelle che assumono un valore verbale, ad esempio i presentativi (eccomi, ecc) che quando aggiungono una dimensione personale (ecco+mi/ti) esprimono un valore verbale; infine abbiamo i “verboidi”, ovvero pseudoverbi come “bidd” seguiti da un suffisso personale che indicano il verbo “volere” ma che hanno un’origine nominale, infatti era “bi widdy” ovvero “nella mia volontà”, ma che con l’aggiunta di una marca personale si verbalizzano, pur mancando di alcune caratteristiche verbaleìi, infatti non possiamo esprimere il tempo, per esprimere il passato abbiamo bisogno di aggiungere una marca. L’Aggettivo può essere di 4 tipi diversi nelle lingue del mondo, di cui 3 si trovano anche nelle lingue semitiche: 1. La prima tipologia di aggettivo è quella che non si distingue dai verbi di qualità, per esempio “vecchieggia” per dire “egli è anziano”; la differenza sta nel contesto d’uso. 2. La seconda categoria riguarda gli aggettivi che hanno a che fare con categorie semantiche molto precise (dimensioni, vita morale, colori) che danno luogo a forme nominali che non si sa bene se siano sostantivi o aggettivi; ad esempio “egli è alto di statura” o “è bello di occhi” dove “alto” e “bello” non si sa se siano nomi o aggettivi. 3. La terza categoria riguarda il 22% delle lingue del mondo ma non quelle semitiche. 4. La quarta categoria è quella che esprime una semantica specifica: troviamo i cosiddetti “nisbe” che sono aggettivi derivati da un sostantivo e non sono graduabile (es. “femore -> femorale” e non posso dire “la mia gamba è più femorale della tua”) e poi troviamo gli aggettivi qualificativi. Il Sistema Nominale come abbiamo detto, esprime una funzione non predicativa; esso si basa su 4 categorie che morfologiche che sono: 57 esterni, ma che poi successivamente ogni lingua le ha funzionalizzate in maniera diversa: alcune lingue lo hanno usato come articolo definito (Sudarabico antico), l’Arabo invece lo ha usato come marca dell’indefinitezza, in quanto aveva già sviluppato un articolo preposto; tuttavia per il principio di economia delle lingue, marcare entrambi i casi (definitezza ed indefinitezza) è superfluo, in quanto ne basterebbe marcare uno e distinguerlo dall’altro. Per quanto riguarda la definitezza, sappiamo che l’articolo non è un morfema proto-semitico, ma è stato sviluppato per la prima volta dal neo-egiziano nel 1500 a.c. utilizzando “i” al maschile e “a” al femminile, che erano degli antichi aggettivi dimostrativi, che è esattamente quello che succede nella formazione dell’articolo delle lingue romanze (“il” che deriva da “ille, illa, illud”); un altro parallelismo tra lingue semitiche e romanze è che così come alcune lingue romanze hanno sviluppato un articolo preposto (Italiano, Spagnolo) o posposto (Romeno: “draku-la” = “il drago”), anche le lingue semitiche possono avere l’articolo preposto (Arabo) oppure posposto (Aramaico e Sudarabico antico); le lingue semitiche si comportano quindi in 3 modi diversi rispetto all’articolo: 1) Abbiamo le lingue che non lo hanno mai sviluppato (Accadico, Etiopico) 2) Lingue che hanno un articolo preposto (Arabo, Ebraico) 3) lingue che hanno un articolo posposto (Aramaico, Sudarabico antico) Nel secondo gruppo però, dobbiamo distinguere le lingue che sviluppano un articolo a base “ha(n)” (l’ampliamento in nun avviene solo davanti ad una laringale): questo è quello che accade in Nordarabico “han-ilat” ovvero “la dea”, in Ebraico “ham-melek” cioè “il re”; poi abbiamo l’altra base che è quella “al”. In entrambi i casi però, vediamo che abbiamo una laringale iniziale (haa e hamza) e una sonante (nun/mim e lam), quindi l’ipotesi dei semitisti è che questi avessero la stessa etimologia; noi sappiamo infatti che questa innovazione dell’articolo proviene dal neo-egiziano e raggiunge l’area del nord, di cui per primo l’Ugaritico; tuttavia l’articolo si afferma con notevole difficoltà, tanto che all’inizio viene utilizzato solo nei sintagmi che contengono anche il dimostrativo (es. “il questo il re” e non “il re”) e soltanto in testi in prosa. Il sistema pronominale comprende:  Pronomi indefiniti : questi, come abbiamo detto, sono gli unici che presentano una distinzione tra animato e inanimato, ma non quella di genere; abbiamo una marca “m-“ a cui si aggiunge un elemento in “-n” oppure un elemento in “-y” per dire “chi” (ad esempio in Arabo “man”) e cambia solo la lunga finale per dire “che cosa” (ad esempio in Arabo “maa”).  Pronomi personali : questi si distinguono nelle lingue semitiche per la loro funzione sintattica, abbiamo i pronomi complemento (in posizione di suffisso) e quelli soggetto (in forma isolata): Pronome Complemento Accadico Arabo classico 1° p.s. -i -i, -ya 2° p.s. m/f -ka/-ki -ka/-ki 3° p.s. m/f -šu/-ša -hu/-ha 1° p.p. -ni -na 2° p.p. m/f -kunu/-kina -kum/-kunna 3° p.p. m/f -šunu/-šina -hum/-hunna Prendiamo questi due sistemi per cercare di capire in che modo viene ricostruito il sistema pronominale del proto-semitico: non ci sono problemi per la 1° e 2° persona singolare, mentre c’è una maggiore difficoltà per quanto riguarda la 3° persona singolare; a questo sono state date 60 risposte diverse e in generale si ritiene che siano due morfemi diversi e che le lingue più arcaiche, non raggiunte dall’innovazione dell’area semitica centrale, utilizzano un morfema in sibilante “š” (sia per il pronome che per la marca del causativo), mentre le lingue innovative usano la laringale “h”; l’altra ipotesi, molto più dubbia, è stata di recente espressa da Huehngard, secondo cui si tratta dello stesso fonema che ha avuto due esiti diversi e per spiegare ciò utilizza una successione di 7 regole consecutive di mutazione che devono essere accadute per arrivare a tale esito, quindi, seppur non impossibile, si tratta di una teoria molto macchinosa e complessa da accreditare. Per quanto riguarda il plurale dobbiamo ipotizzare l’esistenza di un modello multiplo, perché non è possibile che questi due derivino dallo stesso; intanto per quanto riguarda la 1° persona, l’ipotesi è che nessuna delle due forme fosse quella del proto-semitico, ma si pensa che fosse *-nu; per le 2° e 3° persone vediamo che sono parallele tra loro ma adottano una soluzione diversa: l’Accadico usa le stesse consonanti tra maschile e femminile, ma vocali diverse; l’Arabo invece usa la stessa vocale nella prima sillaba sia al maschile che al femminile, ma si fa distinzione nella consonante, che è una “nun” al femminile e una “mim” al maschile. Pronomi Soggetto Accadico Arabo classico 1° p.s. anaku ‘ana 2° p.s. m/f Atta/atti ‘anta/’anti 3° p.s. m/f Šu/ši Huwa/hiya La struttura dei pronomi personali soggetto semitici illustra molto bene la teoria di Beneviste: secondo lo studioso la 3° persona è una “non persona”, cioè ha una marca 0, mentre tutte le altre persone hanno una marca specifica e questo proprio perché secondo lui la 3° persona non fa parte del discorso (in cui abbiamo “io” allocutore e “tu” allocutario); quindi egli chiama “autontico” il me stesso che parla, “eterontico” l’altra persona a cui ci si rivolge e “anontico” quello che invece non interviene nel discorso e in effetti, nelle lingue semitiche, ci sono delle marche che denotano le 1° e le 2° persone, mentre i pronomi di 3° persona usano delle marche che derivano dai pronomi dimostrativi e non usano la base “an” che ricorre invece nelle 1° e 2° persone. Quindi nella 1° persona e nella 2° abbiamo questa base “an” (che nel caso dell’Accadico si assimila con la “taa” seguente) alla quale si aggiunge, nel caso della 2° persona, una marca in “taa” che è la stessa che compare nella coniugazione verbale, mentre per quanto riguarda la 1° persona abbiamo il suffisso –aku in Accadico che veniva usato per lo stativo, quindi in frasi nominali come “baltaku” ovvero “io sono sano”, in cui serviva ad esprimere il predicato, cioè la persona, per quanto riguarda l’Arabo, invece, la risposta è arrivata nel 1976 quando è stato decifrato l’Eblaitico, poiché si è scoperto che in Eblaitico “io” si diceva “*annà” che è derivato da *an + na, dove “na” è usato per la coniugazione verbale delle 1° persone. Quello che rimane fuori da tale meccanismo è il pronome di 3° persona, i quali hanno una natura di dimostrativi. Il Sistema verbale del semitico differisce dall’indoeuropeo, in quanto il verbo è dimorfematico: cioè contiene in sé due morfemi che danno l’indicazione del predicato e dell’agente, quindi implica sempre in sé il soggetto e per questo appartengono a quel gruppo che viene definito “pro-drop”, ovvero le lingue che possono fare a meno di esprimere il pronome personale soggetto (come l’italiano e al contrario del francese e dell’inglese); questo vuol dire quindi, che quando troviamo anche il pronome soggetto specificato, esso avrà una funzione pragmatica particolare e cioè quella di mettere in evidenza, rafforzare il concetto che viene espresso. Per quanto riguarda la derivazione, le lingue semitiche si basano su una serie di "temi derivati" (sistema dei “bynianim”) che vengono indicati con delle lettere che ne simbolizzano la funzione; tuttavia non tutti questi 61 temi sono necessariamente comuni a tutte le lingue semitiche, che scelgono invece quali e come adoperarli:  "G-stem" (ground stem): è il tema base, ovvero la forma base del verbo;  "D-stem" (doubling stem): è caratterizzato dalla geminazione della 2° radicale, quindi abbiamo una consonante doppia che occupa il secondo slot nello schema ternario; il valore di questo tema è intensivo, ma è anche fattitivo e causativo del tema g ed è anche usato per creare verbi da nomi. Questo tema esprime una "pluralità verbale", ovvero una pluralità di agenti, pazienti e processi, ovvero verbi come "qattala" danno anche informazione su quante persone massacrano quante altre e in quante altre volte.  "L-stem" (lenghtening stem): è caratterizzato da una vocale lunga messa dopo la 1° radicale; il suo significato è applicativo, ovvero tentare di compiere un'azione, oppure associativo. Questo tema si trova solo in ebraico, arabo e in etiopico.  "C-stem" (causative: ha valore causativo ed ha un prefisso etimologico in "shin" (in accadico, ugaritico e alcuni tipi di sudarabico antico) che si evolve però in alcune lingue come "h" (cananaico, aramaico biblico) e in altre come "alef"; questo tema aumenta la valenza del verbo, ovvero aggiunge un argomento, poichè indica far compiere un'azione a qualcuno.  "n-stem" (prefisso n-): è caratterizzato dall'aggiunta di un prefisso morfologico in "n-" ed ha un valore riflessivo, passivo e medio passivo (es. ebraico "patah" aprire e "niptah" essere aperto); in aramaico, sudarabico antico e molte lingue etiopiche questo prefisso si è perso, mentre in mehri e ge'ez si trova solo nei verbi quadrilitteri. In arabo si premette una "alef" al prefisso, mentre in fenicio, ugaritico ed ebraico si inserisce una vocale dopo di esso.  "R-stem" (reduplicated stem): è caratterizzato dalla reduplicazione della terza (o seconda) radicale; questo tema è produttivo per lo più in arabo per verbi riferiti a colori o difetti fisici.  "t-stems": i temi in t sono un po' altalenanti, perchè la marca morfologica può inserirsi come prefisso o infisso; la cosa importante è che questi temi non esistono da soli ma sono "temi parassiti" che si attaccano su altri; quindi per esempio può legarsi al tema D (dando vita alla 5° forma araba) o al tema L (dando vita alla 6° forma araba). Questi sono temi che col tempo hanno assunto significato passivo, ma che in origine sono medio riflessivi, dove "riflessivo" fa riferimento a una categoria sintattica che indica che agente e paziente coincidono (io mi lavo), mentre "medio" fa riferimento a una categoria semantica che indica "fare qualcosa nel proprio interesse", ad esempio in italiano moderno è reso con l'aggiunta del "si" ad alcuni verbi di moto, di cura del corpo (andarsene, lavarsi); tuttavia, anche se queste due categorie oggi sono sovrapposte, sappiamo che in realtà erano in origine distinte grazie ad una varietà del Romancio (lingua romanza parlata in Svizzera) che utilizza due morfemi diversi per esprimere le due categorie. La categoria del “medio” nelle lingue semitiche inizialmente, veniva messo in luce attraverso un uso particolare della vocale tematica (caratteristica comune a tutto il camito-semitico), infatti troviamo verbi come “yashrabu, yaqbalu” dove la vocale “a” indicava proprio il medio e abbiamo addirittura delle coppie di verbi che si differenziano proprio per la vocale tematica, come “yalbasu” (vestirsi) che esprime il medio con “a” e “yalbusu” (rivestire) che invece esprime la transitività con la “u”; il fatto che esistano solo pochi casi di queste coppie però, è testimone del fatto che molte lingue hanno fatto uso proprio di alcuni temi derivati per esprimere il medio-riflessivo (l’Arabo: 8° forma, 62
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