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appunti filosofia della prassi umana, Appunti di Filosofia

sono gli appunti del corso, che contengono i concetti pricipali del corso

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 03/02/2023

martacapi
martacapi 🇮🇹

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Scarica appunti filosofia della prassi umana e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Filosofia della passi umana NATI PER INCOMINCIARE PREMESSA Questo lavoro di scrittura è un tributo ad Hanna Arent che con il suo rigore intellettuale ha determinato una vera e propria svolta nel dibattito teorico e politico degli ultimi decenni. Una consacrazione in verità piuttosto tarda quella della fenomenologia tedesca che si deve ad Haberbas, il quale in un articolo del 1976 celebrava The Human Condition come il testo militare della teoria del leggere comunicativo. Una entree tante più tardiva quella italiana di Hannah, che avviene a partire solo dai primi anni 80 Tutto ciò accadeva seguito di una soglia di interesse per gli iscritti di Arent già da tempo in Francia. Questo lavoro di scrittura è innanzitutto un tentativo di raccogliere le perle corali del pensiero Arendtano e per chi scrive questo lavoro, è un tirare le somme con le ragioni filosofiche che portano arendt ad esigere e rivendicare che il concetto di Natality divenisse categoria di pensiero e fondamente della politica. In merito alla genesi di questo termine, di fatto intraducibile nella lingua italiana, puoi che non trovo una sua immediata corrispondenza per contenuti e significati, la tentazione più facile e di molti quella di rinviare alla definizione di vita umana che Martin Heidegger ha dato come progettualità in un orizzonte di possibilità, un “vivere in attesa di”. Così dicendo, non vedere racchiude l'esistenza tra due termini:  quello di principio( un origine, un partire da un inizio)  quello di morte ( telos definitivo) Pur tuttavia, si da un punto di vista semantico heidegger usa il termine “cominciamento” (Anfang) nel senso di origine e nel senso d'inizio, cioè punto di partenza; vero è anche che le inizialità heideggeriana andrebbe, forse intesa piuttosto come una sorta di termine iniziale, vale a dire come un concetto primitivo in cui il contenuto di terminalità è comunque più forte delle inizialità. Rispetto al concetto di cominciamento, inoltre, persino Agostino e per arent un riferimento quasi formale, puoi chiedere il suo disegno originario il concetto agostiniano di primo a venire al mondo dell'uomo e sempre declinato al singolare. Vale a dire che per Agostino l'uomo è stato creato come Adamo, cioè uno e unico. Nella formula della genesi, ripresa da Gesù, secondo lei infatti riverbera con più forza il concetto di pluralità, che noi sappiamo essere nel progetto argentiano una sorta di conditio per quam di ogni vita politica. Le prospettive interpretative del concetto arendtiano di Natality sono dunque molti, talvolta persino forzate. Una più recente esegesi colloca il concetto di natality nell’alveo biopolitico, a partire dalle evidenze che proprio il concetto di vita in Arendt fa da cigolo ai totalitarismi, il cui fine ultimo è quello di annientare la nuda vita e quindi dominare totalmente la vita stessa. In effetti Arendt investe teoricamente sul concetto di natalità, ma innanzitutto perché non è una categoria politica di matrice classica, non è cioè un categoriali di comprensione greco. Tuttavia, il venire alla vita arendtiano è da intendersi come un venire al mondo, in un mondo che, però non è già dato politicamente, cioè non ha una struttura politica che pre-esiste all'uomo, ma che viene messo in discussione nei suoi dati strutturali da ogni bambino che ci nasce, poiché la natalità ne ridisegna i contorni e lo rinnova. La vita non può, essere garantita a prescindere dalla politica, ma è anzi solo garantendo quest'ultima che si può salvaguardare la vita, intesa come spontaneità e creatività. La riflessione sull inizio radicale e politico del venire al mondo Le viene suggerito in effetti, stando a quanto scritto nei suoi diari , da una musica di Hendel. Proprio nelle 52 Arendt aveva assistito alla prima del Messia Hendeliano nel Denkagebuch. In un’annotazione dell'aprile del 1952 così scrive: “l' alleluia è comprensibile soltanto a partire dal testo: c'è nato un bambino. Ogni nuova nascita è come una garanzia della salvezza del mondo, come una promessa di redenzione per chi non è più inizio. “ In questa breve annotazione, Arendt assegna alla nascita quel potere salvifico che riconoscerà poi in modo più compiuto, da un punto di vista filosofico, nelle opere che scrisse a partire dal 1955 in avanti. Sono i néoi, le nuove generazioni, quelli nati per incominciare che possono rovesciare il mondo e cambiare il senso e la direzione della storia ormai coercitiva, processurale, in cui l'individuo cessa di essere persona e non distingue più tra realtà e finzione, tra vero e falso. Sono i nèoi quelli che salvano , perché sono quelli con un nuovo nome, quelli che vengono al mondo per amor mundi, per rispondere alla domanda: chi sei? Quelli che imparano il valore dell'amicizia e quelli che faranno sempre domande ingenue per non cedere alle tempeste di sabbia del terrore o del già dato. CAP. 1 CHI SEI? PER UN’ONTOLOGIA DELLA DOMANDA NATALE 1. LA NASCITA COME PRENDERSI CURA DEL MONDO . In Vita Activa, Hanna Arendt indica tre attività umane fondamentali: lavorare, operare e agire e ciascuna di esse fa con rispondere una delle condizioni esistenziali per 5 in cui l'uomo sulla terra vive la propria vita. Queste tre attività umane e le relative condizioni afferiscono a quelli che la fenomenologia chiama le condizioni più generali dell'uomo esistere, ovvero nascita e amore, natalità e mortalità. Cosicchè proprio nel fatto decisivo della natalità, la posizione del lavorare, dell' operare e dell'agire, trova uno significato e senso, poiché la loro funzione attiva è quella di prendersi cura del mondo, difenderlo, ma anzitutto di attrezzarlo per accogliere i nuovi nati: i nèoi. Ed è con il termine natalità che Hannah introduci una nuova categoria di pensiero., a partire dalla quale ripensare la politica, proponendo la condizione di essere bambini alla riflessione filosofica occidentale, che ha sempre escluso dai luoghi della riflessione l'evento umano della nascita a vantaggio del thanatos e dunque dell abbandono del mondo. Hans Jonas scrive: “con la natalità Hannah ha introdotto una nuova categoria nella teoria filosofica che tratta dell'uomo “. Egli riconosce ad Anna di avermi minato con il suo neologismo la tradizione sorta di manifestazione della natura originaria dell'uomo. Arendt con la sua affermazione della nascita come una sorta di qualità originale, iniziale, ontologica, avrebbe avuto il merito di aver messo in moto una straordinaria rivoluzione copernicana tale che gli uomini invece di ruotare intorno al mozzo della morte gravitano intorno al carattere divino della nascita. Tuttavia al di là di questa prima manifestazione originaria dell'uomo è poi, però, solamente con la seconda nascita che miracolo del primo vivere al mondo si ripete e si rinnova. Chi vieni al mondo nella sua nuda umanità non è un essere anonimo, ma ha un nome. La domanda chi è colui che nasce ? che cosa sono io?, porta Hannah a chiedere soccorso al filosofo cristiano Agostino (primo filosofo che abbia compreso il problema e sollevate la questione antropologica). La risposta alla domanda chi sono io? è semplicemente: “Tu sei un uomo- qualunque cosa già possa essere”. La risposta alla domanda che cosa sono io? può essere data solo da Dio che creò l'uomo. Quel che è certo e che per quanto sia impossibile spiegare chi siamo o cosa siamo, siamo però, sempre condizionate dalla terra, legati alla terra in virtù della nostra nascita. 3. LA NASCITA E IL RESPIRO: PER UNA FILOSOFIA DELLA PHONÈ Chi sei? È la domanda Natalia posso ogni nuovo venuto per sapere della sua nascita. Sostanzialmente il chi si è descrive arendtianamnete come una condizione di riconoscibilità in termini politici , prima ancora che in termini biografici. Il nuovo nato, secondo arent ha bisogno della phonè, ovvero della voce, intesa cioè non come mero suono vocalico o materiale acustico, ma come apparizioni narrativa, cioè linguaggio di riconoscimento fondate sulla narrazione- “senza essere accompagnata dal discorso , azione perderebbe il suo carattere di rivelazione, ma anche il suo soggetto; non uomi che agiscono , ma robot che seguono […]” “[...]l’attore, colui che compie gli atti, è possibile solo se dello stesso tempo[...] “ Sostanzialmente la fenomenologia, in questo caso la parola, tieni in considerazione il concetto di logos di Aristotele come discorso provvisto di significato (ponè semantike) a voler dire che la voce distingue l'uomo dall' animale. Forse Arendt ha preso la sua idea di parola dalla tradizione ebraica. Nella tradizione ebraica l'inizio, qualsiasi inizio, persino quello assoluto, ha bisogno di phonè.:tutto vieni creato attraverso il respiro e la parola. Il linguaggio biblico metti in relazione la parola il soffio. Nella genesi, del resto la parola è potentemente creativa e per sdel “e Dio disse” che ciò che hai detto accade. Già per Heideegger, è parola a “conferire la presenza, cioè l' essere”, la parola non ha solo il potere di rappresentare le cose nella realtà una volta che la nostra immagine le abbia accolte, ma bensì a un più alto potere ,quello di far essere le cose stesse. Per la filosofia proprio la voce, è giochi con il suo soffio mette in circolo contenuti, identità, ma che è anzitutto funzionale all' agire umano collettivo, quindi politico, poiché veicola l’inizio del singolare nel plurale. Inoltre proprio della parola Arendt fa pure dipendere la libertà. Parola che, però, non è ma in questo caso accessori, poiché è anzitutto il segno del nostro esser presenti in uno spazio comunicativo tra uguali. Secondo la filosofa, la parola proferita ad alta voce e ciò che accoglie nel consorzio umano ed è il segno di un riconoscimento, non che il riscatto da una condizione di animalità . In omero, la parola è ancora strettamente legata all' azione, e viene consegnata alle generazioni successive così osserva ricordare le grandi gesta degli eroi . “CHI compie grandi gesta deve sempre proferire anche grandi parole”. Per Arendt, d'altra parte, spostare interamente i contenuti di libertà dell'agire alla sola parola, significa trasformarla in un sofisma, vale a dire rischiare l' autenticità della parola stessa e perciò la libertà di opinione che le è propria con la sua natura spontanea. L’uomo può esprimersi autenticamente d'essere automaticamente libero solo nell intreccio tra azioni e linguaggio, ma il nonne allora accavallamento e nel prevalere o dall una o dall altra condizione umana. 4. LA RESPONSABILITÀ TRANSITIVA DI CHI NASCE Il Chi arendtiano non è mai lasciato solo, non è mai isolato, in quanto ha bisogno della sua modalità di essere connesso ed è esposto ad altre individualità, ad altre voci. Ha bisogno di essere insieme ad altri chi e , quindi, di una dimensione vitale collettiva e politicamente fare insieme. L’azioni di nascere, l’azione che comincia qualcosa di nuovo è sì, un venire dal nulla, ma ha pur sempre bisogno di un nome, di un chi che le sia annesso. Solo l'assegnazione di un nome, in effetti, fa assicurare gesti di essere una mera attività produttiva che vive semplicemente il prodotto finito, vale a dire quindi che il chi esige sempre una relazione vocale, una risposta e un riconoscimento narrativo. Se la politica è, infatti, lo spazio dell' infra, del fare le cose insieme agli altri, diventa lo spazio dell'agire di concreto in cui si può fare qualcosa di nuovo, quello che Hannah chiama grandi cose. Alla luce di queste riflessioni si può affermare che un azione in relazione, e cioè fatta insieme, è sempre politica; resta da chiedersi Se però un azione possa essere detta anche etica oltre che politica. Un’azioni politica non è automaticamente etica se si prescinde dal chi sono , così come dal chi siamo , poiché l'etica negli intenti arendtiani richiede forse alla somma un duplice movimento. Anzitutto chiede una estroflessione, cioè un entrare in relazione con altri chi, dunque a seguire una introflessione, un ritorno a sé e alla capacità di giudizio. Un ritorno alla propria capacità di fare appello al senso comune e quindi alla propria capacità di pensare a partire da sé, in senso lesseighiano senza balaustre. Se nella politica, in quanto praxis, possiamo comprendere, perché di volta in volta sappiamo metterci nei panni dell'altro attraverso la parola, è tuttavia nell’etica che possiamo scegliere. Affinché l' agire politico sia anche etico, c'è bisogno di una centratura dell’agire del chi rispetto al mondo e agli altri che si hanno di fronte. Ed è solo con questo rimbalzo che si può sperare di sanare la politica del fare poetico, fare che ha corretto la politica occidentale da Platone in avanti, per poi restituirla al pratico autentico. Infatti per Anna, altro dalla filosofia poietica è la filosofia pratica. Noto è, che Aristotele distingueva l'azione secondo le due qualità del praxis e della poiesis , dove per azione pratica intendeva un'azione che guarda al soggetto e al soggetto e ritorna, per azione poietica un semplice fare, o meglio un fabbricare, un'azione debole che tragica aver soggetto oggetto in essa si risolve, totalmente esterna al soggetto. Aristotile definizione i due concetti di praxis e di poiesis, dove per praxis si intende sostanzialmente un'attività che caratterizza l' agire dell'uomo che esaurendosi in se stessa non determina un'opera autonoma e distinta dall’agente, ma è senza opera, cioè si compie nel soggetto che agisce poiché non ha altro fine che l'azione stessa e che , proprio in virtù di questo, necessita di una dimensioni pubblica che la contenga. La poesis, invece, ha per fine la produzione di operare e determina un prodotto autonomo dal soggetto che agisce, prodotto che continua anche quando l'attività è conclusa e che per questo necessita di un pubblico. In effetti, Aristotele definisce differenti i concetti di azione e produzione: c'e dunque un'azione che ha come fine in soggetti che pertanto irrompe dal soggetto per dirigersi verso un oggetto, ma al fine al soggetto ritorna; e poi c'è un'azione che scaturisce dal soggetto, va verso l'oggetto e in questo si conclude, totalmente estroflessa. La politica, quella autentica si basa sulla praxis, intesa come una forma di azione, cioè sempre capace di tornare a sé. Anche per Hannah, la fonte della politica autentica rimane la praxis. Del resto anche la moralità è sempre l'esito di un dialogo personale, discorso tra sé e sé in senso socratico . Persino la coscienza è intesa come un congegno attraverso il quale dialoghiamo e restiamo in contatto con noi stessi. Sembrerebbe una contraddizione l' insistenza di Arendt sulla solitudine di un Io che per pensare da sé, dunque per esaminare e domanda scuotersi dagli idoli, deve allontanare la moltitudini che a sua volta si disperde in singoli uomini, vincolati dalla propria singola vita. Nell’antica Grecia era libero solo il padrone di casa. Libero, cioè, era colui che aveva la facoltà di lasciare la casa. In questo senso lasciare la propria casa e dirigersi verso l'agorà costituiva la sorte di messa a rischio della vita. Viceversa, quello che rimaneva attaccato con troppo amore alla vita, quella dell’oikos e dei bisogni, possedeva un’anima inferiore, servile, poiché l’essere attaccati alla vita con troppo amore era un vero e proprio peccato (in greco detto philopsychia). In La vita della mente, vuole quasi restituire dignità alla casa, riconoscendola come luogo in cui l’uomo a sera, si pone delle domande e resta solo con sé stesso. Il dialogare tra sé e sé, cioè, farsi lontani dalla agorà per cercare una breve solitudine senza, tuttavia, mai dimenticare che il proprio privato e uno spazio segnato da un civico fare interrogante. Del resto, la solitudine non è, si ha detto, isolamento, poiché lo stare presso di sé coincide sempre con l'attività e di pensiero, del due- in-uno: un essere soli , che non è un essere da soli, puoi che gli fanno dare a 10 il pensare il ricordare “la solitudine, è quella situazione umana in cui tengo compagnia a me stesso. La desolazione del l'isolamento riproduce quando sono solo senza essere capace di tenere mi compagnia, allora che vengo meno a me stesso”. La nascita miei di scritti arendtiani, è descritta come un evento che non è mai silenzioso, ma è sempre detta: è un dare inizio vocale. L’annuncio di un inizio in cui c'è un chi che chiama è un chi che risponde, un continuo cambio di voce e una significazione vocale che si traduce in amore del prossimo, puoi chiedere stabilisce legami e costruisce storie. Colui che viene al mondo è l'eroe perché non cade nella trappola di un modello strutturale storicizzato, puoi che prima vede e poi sa. Con Arendt il soggetto viene investito di una dimensione valorosa, in senso omerico proprio per il fatto che colui che nasce non è già autore della storia, ma è certamente autore delle sue azioni. Alle spalle del chi che nasce, che viene al mondo, non c'è alcun Dio platonico che tira i fili della storia stessa. Arendt a ciò, oppone un chi che si narra, che si rivela come eroe politico proprio perché inizia, comincia qualcosa di assolutamente nuovo ed è capace di stabilire legami e relazioni comunicative in quanto si mostra audace e si espone agli altri. Il chi sei? è una domanda pubblica, fatta ad alta voce, perché è nel pubblico che una cosa può essere vista e udite da tutti. Lo spazio pubblico non è, dunque, immediatamente identificabile con lo spazio della natura, ma con una dimensione spaziale costruita dall'uomo, abitata, in cui la presenza dell'altro è a garanzia di ciò che è reale e si rende manifesto, ma anche a garanzia di noi stessi, poiché l'altro ci riconosce, si affida ai sensi e perciò ci sente e ci vede. Arendt recupera allora il fenomeno in senso aristotelico, il fenomeno è ciò che ci consenti di conoscere. È in questo senso che il venire al mondo di Arendt rientra nella categoria della praxis e non della poiesis . L’ azione del venire al mondo è descritta dalla teoria dell' apparire come imprevedibile e irreversibile; le sue conseguenze sono, infatti, sempre incerte non possono prevedere gli esiti. Ed è proprio nella caratteristica delle irreversibilità che viene recuperato l'aspetto pratico dell’agire: in questo gesto che trova il suo compimento nello spazio pubblico che si descrive come sociale non ha irreversibilità. La fenomenologa ritiene che proprio con Platone e Aristotele nazione politica si sia indebolita a causa di un equivoco linguistico che ha portato alla sostanziale identificazioni di archein (agire) e prattein (governare). È accaduto che ha il significato autentico di archein Aristotele e Platone abbiano spostato il significato originario di iniziare a quello di governare, inteso come condurre, il che ha inevitabilmente prodotto il fraintendimento della politica, concepita come un dare dei comandi. Con con questa situazione, Arendt prende allora le distanze definitive da heidegger per il quale l' agire trova la sua essenza nei modelli classici della filosofia. Ma cosa rompe il circolo vizioso della necessità e dell' operosità? Secondo Arendt e appunto il venire al mondo, la nascita come initium e cominciamento. Ma se la nascita e una nuova azione che si descrive come praxis, in quanto pretende un riconoscimento, e però anzitutto uno spazio di interazione, un infra, sottratta allo spazio edificato, mediato dagli oggetti delle cose materiali. Il nuovo nato è chi si presenta, agisci in uno spazio pubblico, è quanto accade con regolarità, ma non per necessità in uno spazio che non è fatto di oggetti, ma che consiste una dimensione relazionale in cui la parola e il gesto sono fondati. È nello spazio pubblico, lo spazio in cui si nasce, che si fa irruzione con la propria corporeità e la propria voce. 7. LE PICCOLE COSE E LA FENOMENOLOGIA DEL PUER SOTER L’inizia diventa principio di se stesso, vale a dire che non semplicemente inizia qualcosa ma che stabilisce una sorta di legge dell'azione per tutti coloro che sono partecipi del gesto di nascere. Il gesto di nascere, di venire al mondo, di fare irruzione nello spazio pubblico, e in questo senso, chi si autofonda in virtù che i principi inizio coincidono; come accade anche nella lingua Latina e greca, in cui le parole principium e archè esprimono questa condizioni di significato. La natalità per Arendt è rappresentata anche da queste fonti letterarie, come archè politico che precede larghe filosofico nel senso di principio originario di tutte le cose che appaiono, poiché esci fino al mondo immediatamente nella sua spontaneità, ed è Pier tale ragione che colui che nasce non è un modello strutturato stoicizzato cioè, un che di fabbricato. La nascita ha del resto poco a che spartire con la cerca fabbricazione e neppure con la storia che annienta l'uomo come agente. Il venire almeno è un venire -alla- luce, qui ed ora, a differenza di ciò che accade nei processi storici in cui la luce “appare solo alla fine, e spesso quando i protagonisti sono morti”. Rispetto alla categoria della natalità, il concetto di storia è fondamentale per la sua comprensione , poiché chi viene alla luce addiviene anche nel tempo. Arendt giunge così a distinguere tra storia al singolare e storia al plurale, con la consapevolezza che è nella storia al singolare che il narratore, e non l'attore, comprende e fa la storia. Per Haidegger l'uomo non è concepito al singolare, ma come singolarità plurale, in quanto l'esistenza umana viene definita come essere nel mondo . Il chi arendtiano, invece, è un oggetto storico in virtù della sua piccola nascita e dunque ha una storia egli stesso. Cioè la storia di una piccola nascita che pure essendo personale non va, però, confusa con la sua biografia, intesa come destino individuale. Nella Storia grande, avverte Arendt, si smarrisce la nostra piccola nascita, invece sono proprio le piccole nascite che tracciano una storia. La storia non può mai essere, perciò, compiutamente fatta nel senso hegeliano, poiché mi uomini in virtù delle loro azioni fanno sì che accada comunque sempre l’inaspettato. Con le loro piccole nascite gli uomini sono, infatti, in grado di minare il processo della grande storia con conseguenze imprevedibili. Ed è allora, proprio con le piccole nascite, che Hannah, prende le distanze dalla Storia, intesa come processo. Il bambino arendtiano, che viene al mondo come puer soter , che irrompe in uno spazio esistenziale con la sua piccola nascita, non è però consapevole della sua storia, ma va verso un futuro che non gli appartiene mai completamente, per l'appunto perché sempre condiviso e agito con altri . Il puer soter arendtiano non sa quello che fa in quanto non è intrappolato in un modello storico e da qui scaturisce la sua forza creatrice e la sua libertà feconda. D’altra parte, se il bambino salvifico conoscesse il telos delle sue azioni non sarebbe gente in senso autentico e neppure libero . È proprio in questo passaggio che Arendt sottolinea la differenza con il puer dei Vangeli in cui la natalità è annunciata, decisa dalla gratia Dei( il bambino evangelico è sempre theos soter, Dio salvatore). Il theo soter è predestinato , in quanto la sua nascita sia divina; a differenza della nascita del puer soter che si annuncia da solo come “folle che appare”, dando avvio a qualcosa di imprevedibile.  (solo la nascita del figlio di Dio è predetta; mentre per il puer soter- figlio della sorte- essendo un bimbo qualunque, la nascita non è prescritta). 8. LA NASCITA COME PERIPEZIA L’ azione di nascere, in Vita activa , viene descritta come un movimento temporale chiama sua durata e che culmina in una specie di agnizione. Il termine di agnizione è utilizzato da Aristotile a proposito della poesia drammatica per indicare ciò che piomba addosso improvvisamente e in maniera inattesa per poi con il tempo assumere un carattere di esperienza e diventare il punto culminante della lezione. Aristotele chiarisci il concetto di agnizione attraverso tre azioni drammatiche:  Peripezia-> decide un mutamento improvviso, un cambi di scena repentino  il riconoscimento -> è il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza  la catastrofe come pathos -> è il dolore/la catastrofe Il nuovo nato arendtiano produci una serie di eventi imprevisti, che annunciano dei nuovi e inattesi eventi. Perciò il bambino che nasce può essere interpretato come una peripezia in senso aristotelico: un entrare in scena che provoca l'imprevedibile con la sua apparizione formidabile. Nella natalità arendtiana quindi, vi è il riconoscimento di un mutamento improvviso il gesto degli riconoscevi intelligenti ma anche elemento essenziale che comporta la costruzione di un identità personale. Un’identità che, però, non potrà mai essere normativa poiché sarà sempre a sua volta messa continuamente in gioco per il fatto che gli uomini nascono continuamente. Il riconoscimento della nascita comporta un chi che nasce , la venuta al mondo di un qualcuno . Detto con altre parole, per Arendt, gli esseri umani sono irripetibili in virtù della loro nascita, ma sono riconoscibili nella loro irripetibile singolarità solo a partire da una condizione plurale. Si descrive così, attraverso i neoi, una sorta di teoria del riconoscimento che, nel solco della riflessione occidentale, comporta l'assunzione di una responsabilità radicale verso colui che ci riconosce, e dall'altra parte comporta anche il rischio politico del misconoscimento, inteso come rifiuto o revoca del riconoscimento, quello che Arendt chiama la forma di un vuoto. Tornando alla domanda “chi sono io?” nel concetto di identità, si puoi dire che non c'è una proprietà singolarmente definita del chi, bensì un modo di essere che si rivela agendo e parlando. “[…]A ogni modo, però, la nascita consenti una tracciabilità del soggetto. L’ identificazione di chi nasce, sì costituisce attraverso gli atti e Formigli agire in uno spazio di interazione e nell azione di un reciproco riconoscimento[…]”. In conclusione si puoi dire che il chi può realizzarsi soltanto attraverso la parola e l' agire comunicativo. CAP. 4 PER UNA FENOMENOLOGIA NATALE. TRA PROMESSA E PERDONO 1. IL POTERE DI MUTUA PROMESSA Il Primo patriarca dell ebraismo, in Vita Activa è colui che scopre “il potere di mutua promessa”, e più ancora, è colui che mosso da un “appassionato impulso” a stipulare patti, costringe Dio “a fare un patto con lui”. Nela teologia biblica il patto avvicina l'uomo a Dio, è la promessa gratuita de 3. LA PROMESSA COME ATTO DOSSICO Arendt è lontana dalla visione pessimistica dell’uomo di Machiavelli descritta nel “Il Principe”, poiché quest’ultimo vede l'uomo come un essere naturalmente incline alla cattiveria e quindi, a sua volta, autorizza il principe a venir meno alla parola data; Arendt nei confronti di Machiavelli, a tratti è indulgente, apprezza il suo realismo e gli riconosce un merito fondamentale: aver svincolato l'azione del governare dai principi religiosi e morali. Ciò che dobbiamo a Machiavelli, a parer di Hannah, è il mondo mensura come norma che regola lo spazio della politica in base alla quale esclusivamente si giudicano esclusivamente le faccende umane. Il fare promesse, per la filosofa tedesca, però è anzi tutto un atto dossico , in cui l'altro è riconosciuto come valore e non come semplice oggetto. Fare una promessa fa si che l'uomo possa disporre del futuro come se fosse presente, è dire qui e ora che liberano l'uomo politico “dai contrassegni delle leggi inesorabili”, vale a dire liberarlo dall’animalità e dalla necessitante naturalità Infatti a Nietzche dobbiamo riconoscere il fatto che egli ha avuto per prima l' intuizione rispetto alla facoltà di far promesse:” Nietzche, individuò nella facoltà di promettere la vera distinzioni che separa la vita umana da quella animale”. L’uomo può promettere , l'animale no! Però Arendt prese le distanze anche da Nietzche, in quanto non condivideva le sue idee di sovranità; il quale la considerava come una pericolosa autosufficienza, in urto con la categoria della pluralità. Per la filosofa tedesca la sovranità non può essere pretesa dal singolo, poiché un uomo solo non è mai sovrano. La sovranità non può essere pretesa dal singolo , così come il potere non può essere generate dalla volontà di potenza che condanna l'uomo alla solitudine; essa è infatti per se stessa plurale e condizionato dalla pluralità. La politica per Arendt si descrive come un mondo di soggetti , relati tra loro . Per Arendt, del resto, la sovranità non può essere assoluta, ma può avere solo una certa realtà limitata. La sovranità è sempre un inganno, infatti non può essere pretesa da una singola entità isolata, sia essa una persona o entità collettiva come una nazione, poiché è sempre soltanto nella relazione che il potere si giustifica , ed è solo nella relazione che la sovranità, così come il far promesse trovano significato . Al di fuori della relazione si assiste, a una perdita di significato: a una perdita di mondo. 4. IL RIMEDIO AI DANNI DELL’APPRENDISTA STREGONE La promessa, così come il perdono, è una facoltà che dipende dalla pluralità dell’agire di concerto e dalla presenza dell'altro. Promessa e perdono sono due facoltà inerenti strettamente alla condizione umani della pluralità, poiché nessun codice morale può basarsi su esperienze che “nessuno può avere con se stesso, ma al contrario, sono legati alla presenza di altri”. Sull’indissolubilità di perdono e di promessa, Hannah scrive:” le due attività si completano poiché una, il perdonare , serve a distruggere i gesti del passato; e l'altra, il vincolarsi con delle promesse, serve a gettare nell azione dell' incertezza qual è il futuro per definizione”. Se il nostro agire produce inevitabilmente delle conseguenze, accade che gli esiti risultati delle nostre azioni non siano calcolabili , dal momento che la possibilità di calcolo riguarda solo il fare e il fabbricare. Nel mondo degli affari umani l'azione sfugge , dunque, al calcolo e alla misura, idee per questo che non sempre ci si può imputare delle conseguenze non desiderate del nostro agire. Nell’agire cioè un margine di rischio proprio per questa sua peculiarità di essere fuori misura, idee per correggere la possibilità di arrecare un danno non desiderato che Hannah prevede l'introduzione dei due meccanismi di controllo dello spazio pubblico. Perdonare e promettere sono facoltà dell'agire che si innesca nel presente, l’una a rimedio del passato, l'altra a rimedio del futuro, poiché se il passato è tempo irreversibile e il futuro agisci in modo inatteso sugli uomini è necessario che intervengano il perdono e la promessa affinché nel presente l'uomo possa continuamente rigenerarsi. Senza le facoltà del promettere e del personale non sarebbe possibile la seconda nascita che avviene attraverso la parola data ad alta voce. A proposito del perdono, la filosofa tedesca scrive: “senza essere perdonati la nostra capacità di agire sarebbe per così dire confinata a un singolo gesto con cui non potremo mai riprenderci; rimarremo per sempre vittime delle sue conseguenze”. Hannah fa riferimento con tutta probabilità a una suggestione letteraria goethiana “l’apprendista stregone” la cui morale è contenuta nella proverbiale espressione: non cominciare qualcosa che non sia come finire. La metafora goethiana dell apprendista stregone è quella di una persona avventata, incapaci di prudenza irresponsabilità, poiché per ambizione e presunzione ricorre alle arti magiche e a tecnica che però non è in grado di controllare. Il perdono- il secondo rimedio alla fragilità umana- in senso arendtiano è un correttivo ai danni inevitabili derivanti dall azione. Il perdono e rompe la linearità del tempo spazializzato che procede per azione e consente così all'uomo di agire liberamente sottraendo l' agire e il presente al già stato . 5. NÉ PERDONO NÉ PUNITO: IL MALE IMMENSO E così come la promessa anche il perdono è per Hannah, una scoperta fatta da Gesù di Nazareth, che comprese il valore dell' atto di perdonare negli affari umani. Ma se pur portato alla luce dal figlio di Dio, da colui che fu promesso, il potere di perdonare è anzitutto descritto dalla fenomenologia come un potere umano. Hannah nel tracciare la figura del Nazzareno, insiste sull appellativo evangelico figlio dell'uomo. Per la filosofa tedesca, se Gesù sa perdonare i peccati in terra, sa farlo non perché figlio di Dio, ma in quanto figli dell'uomo. Così, come di far promesse è una facoltà umana, anche il perdonare lo è. Dio non perdona per il primo ma, -secondo Arendt- solo per secondo, tre dopo l'uomo. Per Arendt ci sono peccati che nessun uomo potrebbe sopportare e perciò neppure perdonare: il male criminale. L’offesa, cioè il danno morale, nella tradizione ebraica è imperdonabile. Il male criminale è incomprensibile puoi che è un atto che ci priva di ogni potere umano e ci svuota di umanità, è un male che non ha mai figli e tiene pure le pene potrebbero mai interrompere. Davanti a simile male, neppure Dio sarebbe capace di perdono. Il male immenso è infatti, quel male disumano che neanche Dio ha mai potuto prevedere, che non è annoverato nelle tavole di 10 comandamenti e che, perciò, non può essere messo da parte fine essere dimenticato. Si può perdonare solo il perdonabile. A differenza dell'azione criminale e del male volontario, che per Hanna sono rari più delle opere buone, il peccato è indipendente dalla volontà umana, in tal senso è una sorte di qualità dell’l'uomo stesso. Il peccato è un gesto quotidiano dell'uomo che stabilisce continuamente nuove relazione; questa quotidianità del peccato fa sì allora che debba essere necessariamente perdonato e quindi “messo da parte” per consentire agli uomini di vivere e alla vita di proseguire. L’ atto del perdonare, dall'altra parte esclude il calcolo e pertanto non può essere previsto ed “ è azione che agisca in maniera inaspettata”. Il perdono, pur essendo una reazione, è un agire nuovo e inaspettato, in quanto comprende sempre un dono, un gesto gratuito che cancella l'errore e ripristina una direzione antropocentrica, un giusto ordine nelle relazioni umane, là dove però in male sia anzitutto comprensibile Il peccato è allora la cifra della libertà di colui che agisce , è un evento quotidiano: l'uomo infatti pecca perché vive e il gesto del perdono, consente alla dieta di proseguire. “ solo da costante e mutua liberazione e da ciò che fanno, gli uomini possono rimanere agenti liberi”liberi . Senza il peccato l'uomo non potrebbe agire e senza il perdono, perciò, non potrebbe continuare a vivere. Arendt il perdono come una forza rigeneratrice dei rapporti sociali alla luce del reciproco rispetto 6. IL PERDONO DIFFICILE Arendt ritorna così ad assumere il modello amicale grecoall'interno nella sua etica del perdono, modello di azione politica ho assunto non semplicemente in ambito privato i familiare, ma come respicere, nel senso di avere riguardo nei confronti dell'altro. Il rispetto e una sorta di amicizia senza intimità e senza vicinanza, è un riguardo per la persona della della distanza chi è lo spazio del mondo mette tra noi. Il rispetto, ad ogni modo, poiché concerne solo la persona, e sufficiente a societari il perdono di ciò che una persona fa per riguardo alla persona. Del resto per Arendt il perdono stabilisce sempre una relazione personale, anche se non necessariamente privata o individuale, poikè “Ciò che fu fatto e perdonato a chi lo ha fatto”. Tuttavia questo non significa che si possa perdonare solo per amore . Sappiamo, del resto, che l'amore per la fenomenologia difetta di mondanità proprio in questa forza estranea al mondo e anche la più potente di tutte le forze umane antipolitiche. L’ amore e incanto che dura poco, passione che ci rende indifferenti a ciò che la persona amata realmente è, con i suoi limiti, le sue mancanze i suoi fallimenti. Ed è per ciò che non si può perdonare , il nome dell'amore, il nome dell'amore,m qualsiasi cosa abbia fatto a chi lo ha fatto. Infatti a Maddalena, nell episodio di Giovanni, non viene per natura adulterio in sé, bensì la persona, i non per un amore verso una sconosciuta, ma per riguarda nei confronti di una persona umana. Tuttavia nei poemi omerici il perdono è descritto come personale. figli potessero toglierli la Signoria dell'universo, li nascondeva nelle viscere della terra appena nati. La nascita, nell immaginario antico, hai sempre rappresentato un lutto di potere. Sul piano politico, nel progetto arendtiano, la natalità diventa traduzioni di quel fare ciò che mi va di fare, che per la fenomenologia è l'unica modalità di azione che può salire mentare le attività di pensiero di un soggetto, il farsi arbitro e della realtà, disporsi rispetto a esse a partire dai propri talenti dalla propria capacità di giudizio senza mai tradire il proprio apparire. Un giochi mi va di fare che però non è mai a scapito dei propri talenti della propria capacità di giudizio , senza mai tradire il proprio apparire. Un giochi mi va di fare che però non è mai a scapito di altri neoi, di altri nati, insomma del nuovo , ma che è da intendersi come un continuo a essere presenti a se stessi senza cedere alle necessità. Il nuovo nato è un venire dal nulla, ma non è un cupio dissolvi , non si estingue nel nulla ma lascia tracce di sé nelle relazioni e nel dialogare con gli altri e nel tessere legami di parola proprio perché si nasce per non morire ma per incominciare . Per Hannah la libertà non è mai la conseguenza automatica della fine. Anassimandro di Mileto fu il primo filosofo a segnare la nascita come un' ingiustizia che tutti gli esseri viventi commettono e che pertanto da tutti deve essere espiata. La nascita, in senso greco, coincide con la separazione della sostanza infinita. Colui che nasce colpevole di aver richiesto di vivere per sé per gli altri ma questa pretesa di diversità rispetto all’apeiron sarà la sua condanna, la vita che ha inizio con la nascita dovrà essere espiata attraverso il mutamento e la morte. Parmenide ha poi definitivamente cancellato il gesto di nascere. L’ essere parmenideo non nasce e non incontra morte, perché ciò che nasce evidentemente muta e la morte il segno definitivo di un origine e di un natale. Il nuovo nato è l'imprevisto, ciò che sfugge al calcolo e la previsione e proprio in quanto tale minaccioso; colui che nasce e infatti arcaico e originario, un venire dal annulla che mina l'essere come un tutto omogeneo. Così è accaduto che l'antica teoria dei due mondi per Hannah abbia poi rinnegato l’initium , puoi che ammetterlo avrebbe significato il riconoscere il nulla come origini dell'essere. Colui che nasce è arbitrio di se stesso, nel senso che non subisce condizionamenti poikè dispone di sé e si pone in posizione giudicante. La storia della filosofia tutta intera è, secondo Hannah, regolate da un idea “davvero singolare”, di una affinità fra filosofia e morte; concetti , idee e categorie sono diventati la materia della filosofia di professione, che ha prodotto un antagonismo tra l'essere e pensare. Per pensare, filosofia ha fatto una professione, bisogna assumere il colore dei morti bisogna escludere la nascita, intesa come venire dal nulla dal categoriale. Di fatto e assumendo la nascita come categorie di pensiero che Arendt rompe con la tradizione filosofica che ha sempre pensato alla morte come una benefactricem. Il pensiero filosofico occidentale hai prodotto una filosofia fondata linguisticamente nella “parolina è”, filosofia da cui la fenomenologia per le distanze con forte determinazione. Non che la morte non abbia valore in sé come evento esistenziale, essa infatti origine definitiva del soggetto, vale a dire un fatto; tuttavia non può demolire ciò che è nato ho progettato con il jazz di venire al mondo, dunque non può mai essere una sorta di soluzione definitiva, di dissoluzione del nuovo nato. 2. IL MONDO DA CAPO: TRA ORIGINE I LIMITI A tratti, in Arendt sembrerebbe quasi di poter trovare traccia di una sorta di filosofia del limite , le due origini: nascita e morte. Esse si presentano per essere interpretate come una sorta di situazione – limite, che fanno sì che il soggetto possa definirsi come essere aperto , capace di affermarsi come un Io presente anche di fronte alla morte- assenza. Arendt Mimmo utilizza mai il termine limite, rinascita come inizio e di morte come fine, indicando c'è questi due eventi della vita come i limiti temporali , originari che definisco l'esistenza umana . In questo modo è inevitabile pensare la nascita aredentiana equivalente per tonalità e forza allo Sprung jaspersiano, a quel salto originale in cui il soggetto si annuncia e si costruisce continuamente oltrepassandosi. Anche nel venire al mondo l'uomo attua continuamente se stesso, ed è irriproducibile. Il limite, inteso come origine, in Arendt diventa così esperienza temporalmente segnata; tuttavia mentre la prima origine corrisponde alla forma di agire, ossia è la prima azione di cui è capace l'uomo; la morte, in quanto origine ultima e definitiva non può intendersi come azione, né è altresì capace di interrompere la forza creatrice dell'uomo che per esempio è in grado di sopravvivere alla morte attraverso la parola che lo loda e racconta. È evidente come Anna non condivida né l’idea kirkegardiana bela morte in cui l'uomo e si fa soggettivo staccandosi dal mondo, né l'idea hai dei heidegariana come attrazione definitiva. La morte a differenza della nascita e non può essere a garanzia nell esistenza, se l'uomo ha un origine e perché nasce tra gli uomini e fa esperienza della morte tra gli uomini, puoi che l'unica condizione umana possibile in ambito politico, è l'essere tra gli altri. Per Hannah la nascita, in questo senso è inestinguibile , anzi è l'unica origine umana possibile fonti di libertà individuale. Pur lontana dal pensare la differenza in termini di genere è un dato di fatto che Anna abbia costruito un intero corpus filosofico su dei bambini che con il loro gioco di nascere sofferto nel mondo e lo fanno ricominciare sempre da capo. il riferimento al fanciullo in filosofia non è infrequente(Platone). Hannah attraverso il tema del bambino, si confronta con il problema del l'essere e del non essere. Ma gli esiti della sua riflessione sono stati più originali perché fa del nulla, inteso come non previsto l'origine del l'essere, poiché il nulla in qualche modo è e da esso sempre qualcosa scaturisce, che sia una biografia, una storia, un nome, un' identità e naturalmente un agire politico. E persino la morte, le origine ultima, con cui l'uomo scompare la terra non può vincere ciò che è nato , poiché attraverso la memoria e il racconto, ma soprattutto attraverso il gesto folle di apparire dei bambini, il mondo degli uomini non si interrompe mai. Una metafora politica del puer aredentiano, tanto dissimile in effetti dei precedenti filosofi per esempio locke che descrive i bambini come i figli imperfetti di Adamo senza intelligenza e debole; e Hobbes aveva posto in termini politici la questione dell' obbedienza dei fanciulli stabilendo che dovessero rispondere al pater familias, poichè una origine il padre di ogni uomo verrà anche il signore sovrano È forse, allora con Hannah che la metafora di infanzia si inserisce meravigliosamente nel pensiero politico, domandandosi come abbia potuto considerare in ambito filosofico considerare il bambino (aredentiano) come prima attore dello spazio pubblico. Con il suo gesto di venire al mondo e di cercare un suo spazio, chiedendo cittadinanza , infantili davvero cessa di essere paria, panzi il Power diventa il segnale politico interessante dell intimità tra uomini e mondo proprio perché è il bambino che ci salva dalla più potente forza umana antipolitica: l’amore. L’ l'amore a causa della sua passione può distruggere quegli spazi intermedi che nella distinzione ci congiungono agli altri. Il bambino è il solo infra che si possa inserire fra due amanti. Il bambino diventa così il custode della politica. Per Anna è impossibile pensare che si possa governare in nome della sua saggezza, poiché occorre garantire il cambiamento che altrimenti l'umanità rischierebbe l'estinzione sotto il peso di una noia insopportabile. I bambini venuti al mondo per amor mundi sono la garanzia di salvezza del mondo: come una promessa di redazione di redenzione per chi non è più inizio. Hannah si auspica una politica che dia realmente voce ai giovani e non si limiti alla loro tutela, strappando loro dalle mani la possibilità di costruire il proprio nuovo mondo e impedendogli di realizzare la propria felicità. 3. LA QUARTA EGLOGA VIRGILIANA: IL BAMBINO ALBA La nascita con arent cessa di essere semplice fatto biologico per diventare una categoria di pensiero applicabile alla realtà fenomenica e più in generale alle faccende umane e quindi a significare la condizione umana in virtù dell'essere nati e non dell'essere mortali. Questa attenzione differenziata verso il natale, conduce Aredent a confrontarsi con il problema delle origini e con la relazione esistente tra convince mente Fondazione. Il bambino che nasce, virgiliano comincia qualcosa di assolutamente nuovo: da qui la descrizione del jazz di nascere con un agire politico. A riguardo , in “Sulla rivoluzione”, Aredent fa riferimento in particolare a un grande Carmine politico virgiliano la quarta , la quarta ecloga delle bucoliche in cui si celebra attraverso la narrazione poetica, di un bambino che viene al mondo, come la prima Alba del mondo nascente. L’ immagine il bambino di Virgilio, che lampeggia sul mondo come un'alba, suggestiona molto la fenomenologia tedesca. Il poeta latino viene descritto come un autore che politicizza la poesia che descrive un mondo bucolico innovate dalla nascita e in cui la contemporaneità fa continue irruzioni con le sue crisi e i turbamenti delle sue guerre civili. Aredent sceglie il Carmine virgiliano di difficile interpretazione molto amate dai cristiani medievali che in quel bambino virgiliano che sta per nascere, riconobbero Cristo. In questa egloga encomiastica, il poeta si rivolge alla musa per chiedere ispirazione, svestendo i panni del poeta pastorale e assumendo la fisionomia del poeta vate che annuncia la salvezza del mondo suggestionare dalla profezia sibilline, di quella cioè Sibilla cumana che aveva annunciato la nascita di un bambino che avrebbe portato meraviglia e pace. Un bambino quello di Virgilio che entra nella vita come un sorriso, buono e una nuova progenie il ritorno all'età dell'oro. La pensatrice riporta continuamente l'attenzione al lettore virgiliano sullo spessore politico del componimento. Il bambino-Alba delle georgiche diventa per la Arendt una sorta di divinizzazione della nascita in sé e per sé. Arendt non ha dubbi: oddio il primo è un canto di natività, un inno genetliaco che celebra la nascita di un fanciullo e l’avvento di una nuova proprogenesis. Il poema consacra la nascita ma è lungi dal predire l'avvento di un fanciullo divino. La fedeltà di Machiavelli la concezione classica del tempo condiziona, però, l'idea stessa che il pensatore fiorentino ha della politica ed è in questa direzione che il concetto di nascimento si depotenzia. La politica che resta sorvegliate dal tempo ciclico, che alla fine è una semplice rinnovazione, un invito a imitare gli antichi della gesta eroica. Il rinnovamento di cui si annuncia nei Discorsi comporta, in effetti, non uno strappo con il passato, ma un mutamento che non è mai radicale e di rottura. Ed è proprio in questa mancanza di radicalità che Arendt coglie i limiti della concezione politica del pensatore. Ciò che Arendt non perdona Machiavelli è proprio questa mancanza di emancipazione della politica, così come la giustificazione di violenza. Con Machiavelli si corre, dunque, rischi di cedere alla tentazione di credere che il tempo della storia sia un tempo ciclico. Per Arendt, infatti, sperare in un ritorno dell'età dell'oro può risultare fatale. C’è qualcosa di sconcertante in quegli uomini di acquisizione il mondo voltandosi nostalgicamente verso un passato lontano, confidando lo stesso tempo in un nuovo orizzonte, senza mai però ribellarsi all' antico. Ciò che lascia perplessi la filosofa è, in sostanza, il fatto che l'uomo d'azione possa guardare al passato come unica salvezza quell’agire politica che per l'appunto con il collo torto che si traduce inevitabilmente in un assenza di ribellione, per guardare agli antichi come gli aristoi, i maiores. Ma il nuovo per Arendt non può essere mai riformulazione del già conosciuto, né risposta del cliente al principio di autorità di fronte alle antiche vestigia. Arendt quindi , diffida non solo della ciclicità della storia, ma anche di quelle di e di Fondazione che campeggia nella storiografia romana , poiché equivale una sorta di attaccamento al passato che conduce politicamente alla trappola di un agire storico ripetuto, sempre identico a se stesso, autoriflessivo, non è mai capace di realizzare una autentica libertà. Alla luce di ciò, se poi nella fenomenologia, il dato importante della filosofia virgiliana il fatto che la nascita divinizzata in sé e per sé riesca comunque emergere come forza salvifica , al di là dell idea di una storia che ripete se stessa, al di là della fascinazione di un antico che torna a riformularsi. Proprio di in virtù di questo divinizzare la nascita , Arendt confronta Virgilio con il filosofo cristiano Agostino. Di fronte bambino-Alba virgiliano, sarebbe necessario accogliere la distinzione agostiniana tra principium e initium . Per Virgilio, il principium corrisponde alla creazione di Dio, un principio assoluto, dunque originario, che è altro rispetto all'initium; inteso come cominciare qualcosa di nuovo ma che è proprio degli uomini in quanto è unico e irripetibile. Arendt fai una lettera laica dei test biologici per riflettere sulla filosofia della nascita plurale : vale a dire descrivere la nascita come miracolo tutto umano e che in quanto tale non può appartenere perciò a Dio. Se Dio principia, l'uomo inizia; come dire che a Dio va riconosciuto all origine più antica, invece all'uomo va riconosciuto un altrettanto formidabile cominciamento: l'inizio o meglio la nascita. La nascita in quanto evento unico e singolare , si sottrae a qualsiasi equazione matematica. L’ uomo in virtù del suo venire al mondo inizia qualcosa di nuovo . in questo senso la nascita è un agire progettante che si sottrae alla logica delle previsioni della legge di natura. Nascere perciò non è un mero evento biologico , venire al mondo e anzi il primo gesto politico dell'uomo che si inserisce tra gli uomini. Principium e initium, nell’interpretazione aredentiana d Agostino, descrivono semanticamente due diverse origini: - il principium come atto creativo in solitudine - initium come un atto creativo partecipativo e condiviso Il venire al mondo e un venire nel tempo. il tempo diventa una sorta di condizione prepolitica, ma rispetto all' azione e solo in virtù della nascita che il tempo degli uomini può essere un tempo inaugurale in cui l'uomo traccia segni. 6. LA NASCITA COME POSIZIONAMENTO Agostino insegna che tempo e uomo hanno avuto un'origine divina, e che la loro creazione fu contemporanea, ed è per questo che l'uomo partecipa al mondo e alla vita non in virtù della specie moltiplicata ma in virtù della nascita. “Ogni uomo, deve la sua vita alla nascita, l’ingresso di una creatura nuova che, come qualcosa di completamente nuovo, fa ingresso nel continuum temporale del mondo. Lo scopo della creazione dell'uomo fu di rendere possibile un inizio. ” (cit. Arendt). L’ l'uomo nasce, inizia, ma per Arendt iniziare equivale a dire libertà. Il nuovo nato arendtiano chi pone continuamente di fronte alla problematica della libertà, una libertà pienamente totale, affidata dalla pensatrice al piccolo folle che appare. L’uomo e libero in ragione dell'essere lato , o meglio perché comincia il mondo da capo in quanto creatura unica e irripetibile rimane dunque, altro rispetto a quella fabbrica Dei che fa sì che le cose la natura sopravvivono all'uomo stesso. Vale a dire Cristo l'uomo è libero in virtù della sua nascita, tre che capace di iniziare qualcosa di nuovo, la fabbrica Dei e invece costretta a durare voi che conosce solo la necessità (nell'universo tutto è ordinato secondo un progetto divina e in questo senso fabbricato). L’uomo può dare inizio a cose nuove: umanità e libertà coincidono. Dio ha creato l'uomo per introdurre nel mondo la facoltà del dare inizio: la libertà. Il nuovo nato arendtiano ci pone così continuamente di fronte al problema della libertà. L’uomo è libero in ragione dell'essere nato. La nascita non è semplice ripetizione. Solo la nascita salva l'uomo dei processi automatici che regolano l'universo, anche da quelli naturali. Il bambino arendtiano è un puer che nasce da sé perché è inatteso, inaspettato, un miracolo assoluto che interrompe la serialità della natura. Il bambino chi viene al mondo infatti, è una soggettività che rompe l' oggettività di un mondo comune; quello che Arendt chiama Comon ground, ovvero un comune terreno di incontri e di intesa, ciascuno con la nascita si posiziona il mondo comune, in cui tutti sono spettatori di una nascita, di un'uscita dall'oscurità. Se il nuovo nato arendtiano annuncia il nuovo, la politica deve perciò radunare spettatori, far sì che nel mondo artificiale il bambino possa posizionarsi, assumere il suo posto nel mondo. La politica deve accogliere il nuovo e far sì che questi possono avere una collocazione mondana ed essere riconosciuti da una assemblea di pari. Il gesto di nascere viene a tradursi in an-archico rispetto alla storia,poiché non è mai semplice ciclicità e si sottrae ad un'origine prestabilita, eppure è anche arcaico nel senso di primordiale e assume sempre il significato di archein. Per Arendt, la libertà, per quanto moderno diritto di nascita, non è mai definitivamente stabile, ma di volta in volta minacciata dalla cattiva umanità, dalla violenza, dal conformismo della società di massa. È in questo senso che non è da intendersi come un semplice dono divino, ma è da cogliere come una caratteristica vulnerabile dell'uomo stesso , che pertanto può andare perduta. Ecco perché la nascita in quanto impulso non è mai un semplice fare, poiché il fare appartiene all' obbedienza; la nascita è, invece, una potenza originante, nonché la fonte automatica dell'agire e, pertanto, della libertà. Arendt stabilisci di fatto un legame tra natalità e agire, e l'una e l'altro sono a fondamento della libertà stessa. La libertà, come esperienza, del resto è possibile solo nella spontaneità, immediatezza che non trova garanzie nella fabbricazione, bensì nel venire alla luce, nelle presentarsi nello spazio pubblico . Anche in latino, l'idea dell'essere libero si trova connesso al dar inizio. 7. LA NASCITA E L’IMPROBABILE La politica ha il compito di custodire il mondo e di avere cura di colui che nasce perché il nuovo porta con sé la bella della fragilità e dell’indeterminatezza e dell’incertezza degli inizi. Il concetto di cura ci rimanda ad H. Egli definisce la cura come la radice primaria dell'essere umano e il fondamento dell'esistenza. Per chiarire il concetto di cura, riprende un antico mito, quelle della favola di Iginio, scrittore latino sulla creazione dell'uomo e del suo nome. La Favola racconta di Cura chi è sumero accoglie un pugno di terra bagnata e pensierosa le dà una forma e un corpo di Creta mortale. L’ente, però è ancora senza nome. Giove, la divinità celeste che commenta la natura e dà ordine a tutto, accetti di dare la capacità di parola alla creatura nata dalla Cura, ma la reclama per sé , pretendendo di darle un nome, di nominarlo poiché egli fa accadere le cose dal cielo e comanda la pioggia o la bonaccia. Ma a rivendicare il nome della creatura mortale e anche la Grande Madre, principe di fecondità e vita, dispensatrici di frutti e nutrimento, ho cui appartiene ciò che è sopra e sotto la terra e che tutti in sé accoglie materna. A risolvere la disputa è, però, Saturno, il Dio dai torti pensieri, Dio della storia che computa il tempo: è egli stesso assegnare il nome HOMO alla creatura mortale. La decisione intorno alla natura dell'essere originario dell ente a cui Cura ha dato forma con le proprie mani, spetta al Tempo. L’Homo prima ancora di appartenere al cielo e alla terra appartiene al Tempo, poiché vive e agisce in esso. Da qui la distanza tra Arendt e Heidegger, poichè per la fenomenologa ciò che nasce appartiene innanzitutto alla terra (Grande Madre). Nel tempo si nasce, si comincia, si inizia qualcosa di nuovo , ma nel tempo pure si precipita verso la nostra ultima origine. È a questo proposito che A. accoglie il concetto agostiniano di libertà esposto dal filosofo cristiano nella sua unica opera politica “ De civitate Dei ”. Nella Sua opera la libertà non si Tra i vari aspetti in come, dei due filosofici, vi è l’idea della nascita come inizio (agere), in cui ciascuno umano può riabilitarsi. Ritorna in S. come in A. la dimensione miracolosa del venire al mondo e il fatto che proprio la nascita possa conferire alle cose umane speranza. In entrambi questa sorta di filosofia della filiazione, o comunque dell' inizio, è ciò che introduce nel mondo un azione sovversiva , chi riscatta continuamente la libertà. Mentre in A. il bambino è un venire dal nulla, nulla che è a garanzia della sua libertà, il bambino sartriano è di nuovo un precipitare dal nulla, poiché il nulla è l'unica condizione possibile di libertà, vale a dire di trascendere il mondo; viceversa in A. il mondo non è ciò che deve essere superato, ma ciò verso cui tendere fiduciosamente. Nella lettura esistenzialista tra A. e s. la nascita è in ogni caso descritta come un agire fortemente assertivo e rispetto alla vita e contiene un valore dichiarato in sé e per sé, anche se il venire al mondo con Porter sempre un esposizione al rischio e alla sofferenza (per S.) così come all' imprevedibilità (per A.). La nascita non può mai essere impedita, chi nasce è unico e irripetibile, distinto e libero. La nascita non può mai essere impedita dalla sofferenza, dalla morte o dalla impossibilità di una consegna di previsione, poiché essa è il solo sollievo dell'uomo rispetto al pericolo della ripetizione. La nascita e ciò che rompe l' identico, giochi salva il mondo dalla replicazione e dall omologazione. La nascita arendtiana è una sorta di polisillogismo: alla prima nascita che è una conferma della nostra apparenza fisica, segue una seconda nascita che poi quella politica del nostro inserimento tra altri nati con la parole con l' agire. In sostanza, sai vero che la magica descrive degli spazi di libertà in quanto affermazioni di un mio irripetibile; però affinché la libertà sia salvaguardata è necessario una seconda nascita, perché è solo costituente delle relazioni comunicative, che paradossalmente gli uomini possono essere liberi e tornare a esserlo. È nel momento in cui agiscono, cominciano qualcosa di nuovo e stabiliscono dei legami, che gli esseri umani tornano come nel loro primo venire al mondo e sono capaci di rinnovare il miracolo della libertà originaria. CAP. 6 FEMININI GENERIS: PENSARE LA DIFFERENZA 1. MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ Rispetto al contenuto di gender di una produzione colta in campo filosofico, va detto che le genealogie politiche femminile sono in effetti relativamente recenti. La voce femminile cominciò in Europa proprio dalla Francia, a mettere in discussione ruoli e rigide attribuzioni sociali della tradizione. Arendt ha avuto il merito di restituire il femminile alla politica ponendo prepotentemente il problema della rappresentazione anche se il campo filosofico è stato a lungo orfano di genealogie materne. La filosofia del resto è sempre stata il topos del maschile. Le teorie arendtiane hanno il merito di avere turbato quelle neutro filosofiche in cui tutte le opposizioni fenomenologiche erano completamente saltate. La nascita che A. propone come categorie di pensiero, può, dunque essere interpretata come una scelta filosofica al femminile? L’ interrogativo invita alla prudenza chi sceglie di occuparsi di filosofia di genere e di confrontarsi con filosofe donne come A., ma che in realtà a partire dalla propria sessualizzazione non si sono pensate mai. Noto è il vezzo letterario di A. di prediligere il celebre passo biblico della Genesi in cui è scritto che “maschio e femmina li creò “. Nella formula della genesi, secondo la fenomenologa, riluce con più forza il concetto di pluralità ,che non solo costituisce una sorta di conditio sine qua non della politica stessa ma la conditio per quam di ogni vita politica. La A. fu attenta a distinguere da una parte la formula della Genesi ripresa da Gesù (maschio e femmina li creò), e dall'altra quella secondo cui Dio creò prima l'uomo a cui Paolo aggiunge che la donna fu create dall'uomo e dunque per l'uomo. Nel primo caso è presente la pluralità, che è la condizione dell'azione , nel secondo, la moltitudine degli uomini è soltanto il risultato sulla moltiplicazione. È anzitutto la pluralità originaria dell'essere creati in due che va fatto salvo, ed è la stessa fenomenologa a chiarircelo in Vita Activa. C’è dunque tra maschio e femmina, una prima originaria relazione che è assolutamente fondante della relazione di genere e la cui declinazione non è mai al singolare, bensì al plurale. In questo senso A. recupera il concetto latino di Homo, termine che indicava genericamente l'essere umano senza alcuna declinazione sessuale. In questa direzione semantica del concetto di uomo, per A. politicamente non si può perciò distinguere tra genere maschile genere femminile. L’ uomo, chi è il soggetto della politica, non è allora definibile a partire dall assegnazione di proprietà particolari o maschili e femminili, essendo anzitutto essere umano. Perciò il problema della relazione di genere è anzitutto un problema esclusivamente politico e non semplicemente storico. Per A. politicamente non si può distinguere tra genere maschile femminile. Ciò che preme la teoriche dell' apparire non è stabilire i termini della relazione tra uomo e donna in termini di genere, ma riscattare le condizioni della pluralità. Arendt, sempre nel primo capitolo di Vita Activa, riprende l'atteggiamento assunto da Agostino, che non solo ignora la Genesi ma vede la differenza tra l'uomo e l'animale nel fatto che l'uomo fu creato anum ac singulum, mentre fu disposto che gli animali nascessero già numerosi. Per la teoria del maschio e femmina li creò , si gioca la condizione dell' umana pluralità. Senza quello origine a due, l'azione non potrebbe essere pensata nessun piano fisiologico nessun piano politico. La pluralità fa sì che dal due generi l'uno, così che essa si pone a garanzia della nascita. D’altra parte, però, la natalità è a sua volta implicitamente accertata come la conditio della pluralità, poiché si intuisce, dai testi biblici arendtiani che la pluralità stessa (li creò) è una nascita in sé, una sorta di prima e autentica origine di un uno (l’essere umano) in un due con un nome (Adamo ed Eva) in cui ciascuno è sempre una singolarità irripetibile. Nel venire al mondo e non c'è nessun aritmetica, non è un contarsi, ma un raccontarsi come essere umani. Ma per tornare alla riflessione sul contributo di Arendt al pensiero della differenza, va detto che la rivendicazione del potere femminile è per la fenomenologa in subordine a un problema politico di misure più ampie che poi è quello del nesso fra libertà e potere. 2. LE QUALITÀ FEMMINILI Arendt aveva sostanzialmente un'idea della donna come semplice fatto di natura e poco la toccava la sua soggezione storica rispetto al maschile, come d’altra parte il tema riguardo la rivendicazione dei diritti delle donne. Non ha mai, perciò, scritto sulla condizione femminile. Per A. l'emancipazione femminile ormai è un fatto, ma quando Gunether Gauss le chiede durante un'intervista , quanto la questione dell’emancipazione avesse avuto importanza per lei, la sua risposta fu: “sì, naturalmente questo problema si pone sempre. Ho sempre pensato che esistono delle attività che non si addicono alle donne.” Il problema dell' emancipazione storiche della condizione di vita delle donne per A. è, dunque, sì politico anche se non costituisce un'emergenza politica, cioè non si pone come un problema di inclusione del soggetto femminile nella politica. Il vero problema di genere si pone in termini di adeguamento a modello maschile o a un paradigma pensato al maschile. Arendt amava definirsi una persona umana. Alla luce di questa definizione di sé stessa come femminis genersi si comprende perciò il disagio della fenomenologa di fronte a chi le faceva notare l’eccezionalità di esercitare unna professione, quella del filosofo, solitamente riservata agli uomini. Il punto fondamentale per A. è che proprio perché prima ancora della declinazione di genere esistesse la persona umana, la condizione femminile è solo un falso problema; in questo senso infatti non può esistere una condizione di gruppo che possa dirsi di genere, poiché il venire al mondo precede l'apparizione sessuale. Prendere politicamente posto nel mondo, in quanto donne si pone esclusivamente in termini di “ fare ciò che ci va di fare” . Ed è proprio in questa frase che A. rivela un' attenzione profonda sullo specifico femminile, almeno sul piano filosofico. Ciò che interessa ad A. che gli va di fare proprio in quanto donna con una storia, un domestico, degli effetti; ma anzitutto ciò che le importa è il processo stesso del pensiero. Per lei lo sguardo femminile sugli eventi umani e uno sguardo esterno, che è capace di comprendere- a partire da sé stessi- l'esterno senza perdere il senso delle relazioni con il mondo e con gli altri. Lei sostiene che l'uomo comune che è esposto al pubblico rimane fedele al mondo e continua a usare i suoi 5 sensi ed è quindi capace di rispondere alle domande ingenue. Lo scienziato avendo perso il legame con la terra e diventata incapace di rispondere alle domande ingenue e anche di porsele. Le domande ingenue domande imprevedibili di chi cerca di capire, sono domande di cui sono capaci colore che hanno perso il legame con la bellezza con la terra in funzione di ciò possiedono integro un potere di comprensione ancora umano e ancora schietto. Naives rimanda a nativus, colui che nasce, ma per nativus sente neanche un aspetto naturale semplice senza artifici; rimanda anche le immagini di chi ha una patria. Gli scienziati hanno messo il segno il loro gol solo scrollandosi delle preoccupazioni autentiche umaniste legate alle conseguenze che il fare scientifico può avere sull abitare la terra. L’atteggiamento interrogante ingenua ha come fondamento la concezione etica dell' Humanitas in rieditate dai romani che presuppone che l'uomo sia l'essere più elevato dell'universo; concetto estraneo agli scienziati che ritengono l'uomo solo un osservatore dell'universo che necessita di strumenti per amplificare le capacità dei suoi sensi. Lo scienziato ha smesso di essere innamorat del mondo e ha iniziato a guardarlo al di fuori, a causa di questa attrazione per il simbolo algebrico ha svuotato di senso in azioni, ore 100 wifi che come il concetto di vita il persino di uomo. Il rischio è quello di arrivare a vivere in un mondo compreso solo da pochi si arrogherebbero il diritto di governare sui molti. Arendt vuol far capire che il pensiero non ha la necessità di possedere risposte esatte ma di cedere in contraddizione, nella realtà esistono risposte incomplete,il che implica che anche la scienza si basa su teorie incomplete che richiede di volta in volta degli aggiustamenti e che comprendano l'errore. Questo è inevitabili perché lo scienziato prima di comunicare con un linguaggio matematico parla con un linguaggio quotidiano e la sua comprensione è anzitutto umana. Arendt non è antiscientifica che a riconoscere il ruolo della scienza per l'uomo moderno, ma avverte il pericolo di arrivare ad un totale scollamento rispetto all' essere umano. Se lo scienziato agisce non lo si potrebbe ritenere completamente responsabile delle conseguenze del suo agire, poiché l'azione è imprevedibile è imprevedibile, ma lo scienziato fabbrica non può conoscere in anticipo non solo infine ma anche gli effetti del suo fare per cui deve rispondere. 2. LA POLITIKE TECHNE E LA VITA NUDA Il concetto di vita in Arendt è polisemantico, poiché accanto alla vita biologica, il zoe, (quella intesa come soddisfacimento di bisogni e meramente conservati), c'è il bios (la vita progettata e progettante: una vita che non semplicemente da intendersi come risposta al bisogno di una struttura fisiologica). A suo parere il dominio totale dei regimi totalitari, con la sua sistematica eliminazione degli individui in eccesso, servendoti di cinghie di trasmissione, ha la responsabilità di avere fabbricato un “tipo umano simile agli animali, la cui unica libertà consisterebbe nel preservare la specie”. Nei lager gli individui vengono non semplicemente degradati ma ridotti a cavie di un orrendo esperimento affinché si possa definitivamente eliminare, in condizioni scientificamente controllate, l'unicità degli esseri umani , la loro capacità di iniziare qualcosa di nuovo e di rinnovare il mondo continuamente. I regimi totalitari annientando la differenza, la singolarità riescono dunque ad esercitare un controllo sul traffico della spontaneità, cosa che in circostanze normali non sarebbe possibile. È infatti solo nell’artificialità dell’isolamento dei lager, nel sottrarre i vivi allo sguardo di altri vivi, che è possibile trasformare gli animali a addestrati in uomini, rendendoli incapaci di agire il modo inatteso. Eliminare il superfluo: è questo l'obiettivo delle dittature totalitarie, vale a dire quello di conservare la specie. I sistemi totalitari hanno , d’altra parte, il solo scopo di salvaguardare la stirpe germanica e ottenere una razza superiore, scopo che è possibile realizzare anche attraverso il controllo della vita biologica e l'impiego di mezzi scientifici. Ma l'esperienza totalitaria, secondo la filosofa, ha rimostrato che gli esseri umani possono essere persino annientati senza neppure doverli uccidere, ma costringendoli a vivere una vita innaturale che non è più umana. La perdita del Zoe, detto anche l' annientamento della nuda vita, equivale per A. alla vita deumanizzata, all' inumano. La vita biologicamente intesa è un processo circolare, prevedibile, scandite dalle soddisfacimento dei bisogni; la vita umanizzata (la vita e pienamente umana), vice versa è una vita invece continuamente interrotta dall inaspettato, capace di interrompere la processualità della vita biologica. A differenza di Aristotele, A. assegna più valore al bios che al zoe, perché la filosofa non concorda con l'idea di un uomo naturalmente politico, dal momento che la politica non è già dato, in questo senso non preesiste, ma nasce con l'uomo nelle relazioni e nel solidale. L’ idea di politica arendtiana, è più complessa rispetto a quella del filosofo Aristotele. Per A. la politica, intesa come praxis, non può realizzarsi nel mero biologico come un semplice fatto di natura, bensì sempre uno spazio in cui gli uomini nascono in modo inatteso e si muovono liberamente. Del resto in totalitarismi non solo annientano il bios, ma lentamente anche il zoe; infatti nei campi di concentramento, il fine era il dominio dell'uomo e dove proprio il zoe sì è cercate di estirpare. Nelle fabbriche della morte sì è atto l'uomo della sua umanità, estirpando. La fenomenologa appare convinta che la politica non possa sentirsi autorizzata a controllare il bios, dunque la vita singolare. Quando bios e zoe vengono attaccati, è il segno che ci si trova di fronte a una aberrazione mostruosa della politica. Da qui la proposta di un nuovo categoriale affidata la vita nascente, contro a una vita Frozen, a cioè una vita artificiale e fuori dalla natura. Tuttavia per A. è solo la politica in senso autentico che salvaguarda il zoe e il bios. È allora la politica che va fatta salva e chi deve essere garantita nella sua autenticità. Solo attraverso ciò si possono costruire il zoe e il bios (la vita specificatamente umana e le vite singole ). Le fabbriche della morte hanno prodotto un alleanza tra l'efficienza della tecnica moderna e la scientificità e da Auschwitz in poi la questione scientifica ha aperto una sorta di ferita tra tecno politica e nuda vita. Dopo l'orrore di Auschwitz è evidente che la tecnica non potrà mai più illudersi di rispondere alle domande fondamentali sulla vita stessa. La vita non è quindi dominio della techne. La vita è, invece, legata anzitutto alla percezione. Per A. occorre, perciò, recuperare ripristinare come categoriale politico proprio la distinzione antica, andata smarrita tra il bios e zoe. 3. BIOS-POLITIKE E VOLONTÀ DI POTERE Ed è proprio a partire da questa riassegnazione di valore che il mondo rovesciato dalla techne va restituito all' umano. Torna così in gioco, in chiave politica, la forte delle domanda naive: “che cos'è la vita di cosa distingue la vita umana da quella animale?”. Ovvero una di quelle domande ingenue che espongono al giudizio di tutti lo scienziato, cioè quell uomo tiene le nell estro di fare tutto ciò ha smesso e proprio per linguaggio comune. Ma avverte Arendt, lo scienziato è anzitutto un uomo in virtù della sua umanità di cui non può liberarsi, non può chi è rassegnarsi al profano. È nel laboratorio che l'uomo ha perso la sua capacità di provare meraviglia, disturbarsi nella sua quotidianità delle cose del mondo. L’uomo di scienza ha perso la capacità di essere colpite dallo stupore a partire da un noi, e dal nostro venire al mondo. Lo scienziato ha dunque perso il contatto con il mondo e al fine anche con la filosofia. Ha rinunciato ai suoi legami con la terra per diventare artifici e fabbricare violenza la natura. Il fabbricato che è prodotta attraverso il calcolo, è tutto traducibile in misure, quindi prevedibile e probabile. A differenze dell'agire, sfugge alla forma delle calcolare in quanto legata all'evento e perciò all' improbabile nella sua formidabilità è anche rischioso perché può volgere in negativo. L’ obiettivo dello scienziato è allora quella di fabbricare un mondo da abitare in modo permanente, ma che per essere rassicuranti dyve necessariamente escludere da se l'eventuale attraverso l'uomo sperimentale, cioè la creazione dell'uomo artificiale che realizza dei definitivamente il fine dei totalitarismi. Con la sua volontà di dominio, l’homo faber, fatto sì che l' artificialità del fare rimbalzasse dalle scienze sperimentali alle faccende umane. Il problema di quella perdita di thauma diventa per A. un problema inevitabilmente di contenuto politico. Lo scienziato incapace di descrivere le cose attraverso il linguaggio umano, sì è reso responsabile di un processo rivoluzionario tanto radicale quanto rapido, quello della volontà di potere. In sostanza si sostituisce all' agire il risultato di un mondo fabbricato, quindi decisi dalla volontà di potere dello scienziato e dalla sua capacità di creare la natura. Ed ecco allora che la scienza si
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