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Appunti filosofia della prassi umana, Appunti di Filosofia

terza parte di tre appunti di filosofia della prassi umana

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 15/06/2022

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

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Scarica Appunti filosofia della prassi umana e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! LEZIONE 28/02/22 LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO HH è la filosofa del male, consapevole che il male è il grande problema dell’uomo. nel 900 si mettono in moto macchine totalitarie. Descrive i totalitarismi come delle macchine di cui analizza i singoli pezzi e che ci permettono di riconoscere quando una macchina totalitaria entra in funzione. H non conia il termine totalitarismo, il quale viene coniato all’interno della cultura antifascista italiana. Siamo negli anni 20 nel primo conflitto mondiale e comincia a circolare il termine ‘totale’ per indicare l’espansione del conflitto armato. Poi compare il termine totalitario come aggettivo in un articolo del 23 di un giornalista politico antifascista Giovanni Amendola. Usa l’espressione “Spirito totalitario” in un articolo in cui denuncia il Mussolinismo, quindi associa il termine totalitario alle malefatte/conseguenze negative del Mussolinismo. Questo termine inizia a circolare e molti intellettuali italiani iniziano a comprendere la potenzialità semantica di questo termine e più avanti compare il sostantivo: “Totalitarismo” grazie a Lelio Basso, avvocato antifascista, il 2 gennaio 1925 (il 3 Mussolini annuncia la dittatura). Il termine entra in uso comune e circola fino agli USA. Il termine totalitarismo indica tutti quei regimi a partito unico, regimi in cui c’è un capo carismatico e in generale al tempo veniva usata per indicare tutti i sistemi ideologici antidemocratici e illiberali. HH usa questo termine esclusivamente per Hitlerismo e Stalinismo. Quindi secondo HH il totalitarismo non deve essere confuso con altre forme di governo che deficitano di democrazia come gli assolutismi, le dittature, le tirannie, le oligarchie… perché in queste sono assenti le mobilitazioni delle masse. Quindi per HH una delle caratteristiche del totalitarismo è l’innesco di processi di massificazione a suon di ideologia per realizzare il controllo totale della società. - Monopolio dei mezzi di comunicazione, reprimono libertà di espressione, controllano il singolo limitando le sue libertà personali. - Controllo totale sull’economia, pianificata in ogni sua fase non per soddisfare le esigenze del singolo cittadino, bensì dello stato/dei governanti. - Repressione poliziesca: ricorso alla violenza, non solo fisica, ma anche psicologica con lo scopo di seminare terrore fra i cittadini. Ma soprattutto questo serve per zittire gli oppositori. Quindi nei totalitarismi c’è un controllo totale sulla società, totale controllo economico, comunicativo, fisico e psicologico degli uomini. Sistema politico autoritario che concentra tutti i poteri in un partito unico o in un capo o in una stretta cerchia dirigente. Attraverso l’ideologia. Secondo HH, il fascismo è espressione di un elite che aspirava a prendere il potere. Non lo considera un totalitarismo perché non ha fagocitato la chiesa, mentre il nazismo fagocita tutto. Pensa questo perché come storica non ha fatto strada, è sbagliato dire che il fascismo non è un totalitarismo. LEZIONE 01/03/22 Nel 1951 viene pubblicato “l’origine del totalitarismo”, è un’opera importante all’interno della produzione letteraria di Hannah Arendt perché è l’opera che la farà uscire dal cono d’ombra in cui si trovava. È un’opera che le restituirà la fama ed è un’opera che la porrà al centro di polemiche, anche violente. 1958 viene pubblicata una seconda edizione. (ideologia e terrore alla fine) Nella prima edizione il contesto storico in cui viene pubblicato è quella della guerra fredda, il mondo è diviso in due blocchi America e Russia (Urss). L’Urss era un blocco statale che sorge sulle ceneri sull’impero zarista e questo blocco di fatto era riconoscibile un partito unico: il partito comunista. Gli Stati Uniti d’America invece regnava la democrazia. Guerra fredda è un’espressione che viene utilizzata da Orwell nel 45 per indicare lo stallo nucleare. Era un giornalista e in questo articolato aveva utilizzato questo termine per indicare una situazione di stallo ed era stato molto lucido nel riconoscere alcune peculiarità dell’Urss. Questa opera oltre a colpire Hitler colpiva anche Stalin, per questo vittima di violenza del blocco comunista. Questa opera è composta da 700 pagine ed è divisa in 3 parti: - Nella prima parte analizza il fenomeno dell’antisemitismo e lo analizza come un fenomeno che è apparso tardi nella fine dell’800. Distingue l’antigiudaismo e l’antisemitismo. Con il primo termine indica il pregiudizio culturale verso il popolo ebreo nel corso della storia il secondo termine porta il seme del razzismo, dell’odio. L’antisemitismo è una forma di odio razziale che appare alle fine dell’800 perché questo fenomeno si collega all’imperialismo e prende quota perché gli ebrei perdono di influenza politica, finanziaria ed economica. Secondo Hannah gli ebrei avevano accumulato un enorme ricchezza, in particolar modo c’erano delle famiglie di banchieri che gestivano grandi masse. E si era creato lo stereotipo del banchiere ebreo, ma cominciano a perdere il loro potere politico e quindi perdono la capacità di influenzare, però restano enormemente ricchi. Il ricco è tollerato in una società solo se gestisce il potere, ma se rimane solo ricco rimane bersaglio delle masse scontente. Il ricco che perde influenza è visto come parassita. - Nella seconda parte si sofferma sull’imperialismo. È convinta che i totalitarismi trovano carburante nell’imperialismo (espansione degli stati EU nelle colonie per estendere il proprio potere). Così come diventa un carburante il malcontento delle masse. Fa una riflessione sulla borghesia che prende il sopravvento sulla società, e anche la borghesia ha la sua parte nel dare l’impulso al totalitarismo. Questo perché la borghesia non si accontenta più solo alla ricchezza, ma ambisce anche al potere politico. L’imperialismo si nutre di razzismo. L’europeo guardava a questi territori con un forte atteggiamento razzista. L’imperialismo è quindi una forma di razzismo e questo razzismo diventa ideologia (razza europea superiore= etnocentrismo). Tutto questo ha avuto conseguenza con le teorie razziali. L’imperialismo trasforma l’antico pregiudizio nell’antisemitismo. - Nella terza parte Hannah tocca il cuore del problema, analizza il fenomeno totalitario. Non cita una definizione di totalitarismo, ci consegna degli indicatori che ci consente, ancora oggi, di riconoscerli. Lo Stato totalitario è lo Stato che mira ad esercitare un dominio permanente e il controllo totale. I totalitarismi per lei non hanno precedenti e sono 2: Hitlerism e Stalinismo Nazismo e stalinismo per lei sono facce della stessa medaglia, solo apparentemente sono differenti. Hanno molte somiglianze, sono sistemi equiparabili. Queste 2 mostruosità hanno gli stessi scopi, le stesse ideologie, gli stessi metodi disumani e i campi di sterminio (campi di concentramento e Gulag). La massa diventa un ingranaggio fondamentale delle macchine totalitarie. La massa viene strumentalizzata, necessaria per controllare i singoli individui. Il culto della personalità: Hitler e Stalin. Ciò che afferma il capo diventa legge, personalità forte e carismatica. Caratteristiche totalitarismi: 1. Dominio permanente di ogni singolo individuo, nei sistemi totalitari viene annullata la vita privata. La macchina totalitaria atomizza i singoli individui, non permette la solidarietà/spontaneità umana. Lo strumento di cui si servono è: 2. L’ideologia, si fa riferimento a degli pseudo-valori, che rischiano di condizionare i comportamenti dei singoli individui. È una sorta di verità artificiale, il rischio è che venga formata a tavolino, in maniera strumentale con l’obiettivo di costruire una mentalità. Nei totalitarismi si costruiscono delle verità artificiali che influenzano i singoli soggetti. C’è il rischio che non si è più in gradi di pensare da sé, con la propria testa. L’ideologia si nostre delle circostanze storiche e creano le condizioni che permettono che l’ideologia si attecchiscono. L’ideologia è la condizione stessa dei totalitarismi. Senza ideologia le macchine totalitarie non possono entrare in azione. L’ideologia è una forma mentis, un sistema concettuale. È una mentalità. Questo perché l’ideologia è un potente strumento di individuazione del’: 3. Nemico oggettivo, il concetto di nemico si costruisce a partire dal concetto di appartenenza, cioè stare da una parte che viene identificata come la parte gusta. L’appartenenza è escludente. Io che appartengo sto dalla parte giusta, tu no, e quindi il preconcetto che può assumere molte forme e nomi. Insiste sul concetto di “razza”, è un termine che appartiene al mondo animale, al lessico zoologico. Quando si usa il termine razza sta scattando un pregiudizio, l’odio raziale perché non può essere accostata agli esseri umani. Fa una riflessione sulle maschere, ovvero i totalitarismi strappano le maschere dal volto. Le maschere sono dei dispositivi di protezione della persona e sono maschere giuridiche come quella della personalità giuridica come avere un nome, un cognome, dei documenti, la nazionalità. I totalitarismi per esercitare il controllo totale le persone vengono smascherate, le persone non possono reclamare nessun diritto. Riflette anche sulla nudità, quando all’interno del totalitarismo si vuole creare un nemico una delle azioni più basse ha che fare con il mettere a nudo ovvero togliere la maschera e spogliarlo dei suoi abiti in senso materiale (gli ebrei venivano spogliati, privati di un nome). Quando siamo nudi siam vulnerabili e fragili perché siamo esposti. Il nazismo aveva ideato una vera e propria distruzione scientifica della personalità che attraversava il processo di smascheramento e mettere a nudo, offesa del pudore, umiliare la persona fino a trasformarla in animali, questa trasformazione doveva avvenire nel giro di pochi giorni. Si ha la riduzione della persona alla sopravvivenza e a soddisfare i bisogni primari. Le SS volevano cancellare la nascita, non si accontentavano di umiliare e di uccidere. Le macchine totalitarie una volta in azione vanno a distruggere le personalità dei singoli individui, distruggono la nascita. Ci sono molte maschere giuridiche per proteggerci, ma siamo nudi solo una volta. Quando si resta nudi quell’unica volta siamo perduti e quello che resta è l’uomo naturale cioè un individuo che non ha più diritti. L’uomo una volta nudo non è garantito, non ha diritti, non ha cittadinanza, non ha soggiorno. E quando le macchine totalitarie si mettono in moto, il loro obiettivo è quello di distruggere la nascita, l’origine delle persone, quindi neanche la nascita ci garantisce più nei lager. In questo modo si crea la categoria degli indesiderabili. Con i lager si fa in modo che quell’individuo non sia mai nato, si progetta la sua distruzione a tavolino. Di quel nemico non deve rimanere nulla, nemmeno la traccia della sua nascita. 4. Utilizzo della violenza che si abbatte sui corpi, la violenza è un basso continuo (fisica e psicologica) “del corpo fa scempio”. Non viene negato solo il diritto alla cittadinanza, viene negata la qualità dell’essere uomini. L’ebreo è l’indesiderato, l’unto, quello da nascondere come se non fosse mai nato. Denudato della sua stessa nascita. Distruzione della persona, non deve restare niente. Le persone devono essere annullate, non deve restare traccia di loro e del loro passaggio sulla terra. 5. La presenza di un capo carismatico dove la sua volontà diventa quella del popolo 6. La massificazione, la trasformazione dei singoli individui in massa che porta all’annullamento del singolo. Ci si conforma. 7. Esistenza di un unico partito Shawn, direttore del New Yorker e si offrì di seguire il processo per il suo giornale (alta diffusione nei circoli intellettuali, fra i ricchi, era molto glamour e non sionista, non si era schierato a favore della creazione dello stato di Israele). HH scriverà 5 articoli che compariranno sul New Yorker in cinque date diverse, tra il febbraio e il marzo del 63. Articoli scientifici molto estesi che poi furono confezionati nella Banalità del male 63. Noi conosciamo “La Banalità del Male”, ma originariamente aveva un altro titolo-> Heichmann in Gerusalem, mentre la banalità del male era il sottotitolo. Ma li scambia Feltrinelli. Una grande critica per la banalità del male la riceve dalla storica Lippstadt, che sostiene che HH non sia guidata da un obbligo morale, ma per provare la validità delle tesi sostenute nelle Origini del Totalitarismo. La considera in mala fede, come se cercasse occasioni per attirare l’attenzione su di sé. Importante: altre due figure oltre a Eichman-> Ben Gurion (primo ministro di Israele, regista invisibile del processo mediatico) e Gideon Osner (Pubblico Ministero a cui viene affidato il compito di difendere gli interessi di Israele, riceve aspra critica da HH perché non sa parlare bene tedesco e senza prendere fiato, senza punteggiatura, come uno scolaretto diligente che vuole dar prova di sé, ma che alla somma ha una mentalità da ghetto). HH sostiene: che a loro non interessava scoprire la verità e a comprendere il fenomeno totalitario, il loro unico obiettivo era quello di attirare attenzione mediatica su Israele. Ben Gurion voleva individuare un responsabile (qualsiasi) che facesse da capro espiatorio, perché Heichman era solo uno dei tanti anelli che tenevano insieme la catena del nazismo. A Ben Gurion non interessa che Heichman sia colpevole o di cosa sia colpevole, gli interessa solo farlo pagare di fronte al pubblico per tutto il male del nazismo, ma Heichman era solo un burocrate. HH di certo non lo difende, ma è molto critica nei confronti di questi due personaggi e dei loro secondi fini. Nulla viene lasciato al caso, la lingua in cui verranno rilasciate le testimonianze è l’iddish, vengono selezionati testimoni sopravvissuti ai campi di sterminio come fossero a un casting, ma già nelle prime righe della banalità del male HH ci fa notare che quelle persone poco avevano avuto a che fare con Heichman. Quello che colpisce HH è la domanda del PM: “Com’è stato possibile che tutto questo sia accaduto?” domanda inopportuna, domanda che secondo HH doveva essere diretta ai capi delle comunità ebraiche perché essi si resero responsabili. Accusa di collaborazionismo, è ai rabbini capi che si sarebbe dovuta porgere quella domanda “Perché avete collaborato alla distruzione del vostro popolo e in fondo alla vostra distruzione?” Questa denuncia le attirerà addosso moltissime e gravissime critiche-> reazioni rabbiose contro HH. Viene accusata di non provare pietà nei confronti del suo popolo, viene accusata di essere poco oggettiva, di non amare il suo popolo, viene accusata di essere una donna ebrea, ma che ebrea non si sente, e che non solo giustifica ma capisce i nazisti, una donna affetta da odio verso se stessa. Lei sarà determinata e non retrocederà di un solo passo: quello non era un processo a un essere umano (con evidentemente tutte le sue colpe), li si stava consumando un processo nei confronti della storia, della Germania. Ma Heichman resta un uomo, con un nome e un cognome. La pone su un piano di giustizia. Lei cerca di mettere in evidenza l’errore di fondo che c’è stato nell’organizzazione di quel processo. Lei aveva aspettato una vita per trovarsi di fronte a un gerarca nazista, e quello che si trova davanti è un uomo smilzo, calvo, miope, con gli abiti di qualche taglia più larghi. Sembra vulnerabile. Usa poi delle frasi in chiave ironica, riprendendo i discorsi di Heichman durante il processo-> amico degli ebrei, studioso delle loro usanze ecc… insiste anche nel dire che lui ha solo obbedito perché quelle erano le leggi della Germania. Ma questa ironia non viene compresa, viene accusata di essere simpatizzante dei nazisti, mentre lei lo stava ridicolizzando ed evidenziando la sua banalità. Dirà però che Heichman non è uno stupido e dirà anche che non è un demonio, lo rappresenterà come un semplice burocrate con una limitata capacità di iniziativa. Lo descrive come un uomo zelante e obbediente, desideroso di compiacere i suoi superiori, e non convinto al 100% del nazismo e della soluzione finale, ma il vento aveva finalmente soffiato dalla sua parte, l’onore di essere stato accolto a quel tavolo con i pezzi grossi, lo rese desideroso di portare avanti il compito che gli era stato assegnato. Quello che sta cercando di fare HH scrivendo queste cose non è privo di senso. Nel corso della storia in molti avevano tentato di spiegare il male partendo da Dio, ma lei è atea, quindi parte dall’uomo, da un’analisi psicologica del male. Rimase colpita dal suo “Io ho obbedito”, e da ciò parte con la sua analisi psicologica e giunge alla conclusione che Heichman è un uomo come gli altri, l’archetipo di un cittadino tedesco di quegli anni. Per gli altri è l’incarnazione del male, addirittura arrivano a pensare che lui, l’ultimo anello della catena, fosse stato un personaggio influente del terzo Reich. Lei tenta di far emergere che spiegare il male non è facile, perché il male era stato possibile grazie a uomini semplici come Heichman, non esseri demoniaci che incarnavano il male assoluto, bensì semplici uomini. HH sostiene che Heichman era un uomo incapace di immaginazione. L’immaginazione è ciò che ci rende umani, perché ci permette di metterci nei panni dell’altro, ed è per la sua mancanza che Heichman è stato capace di fare un male così grande. Ne esce un quadro molto inquietante, perché fino ad allora chi aveva tentato di spiegare il male aveva sostenuto che questo è riconoscibile ed è ben distinguibile dal bene. HH è destabilizzante, perché ci dice che non sempre possiamo riconoscere il male e chi fa il male, poiché non ha a che fare con il demonio, quanto più con la banalità e la normalità. LEZIONE 21/03 Fa un’analisi psicologica del male, un’analisi che inquieta perché sostiene che chiunque di noi può fare del male. Eichmann è un uomo banale che ha fatto del male. Il male non è banale, ma il male attecchisce nella banalità. Manca di memoria e immaginazione (empatia), la mancanza di immaginazione rende inconsapevoli, ciò non scagiona E. HH sostiene che Eichmann non era né un mostro, né un cretino, bensì un uomo che a fronte della sua normalità/ordinarietà/banalità si è macchiato di crimini atroci contro l’umanità. Le sue colpe restano imperdonabili e mai HH lo giustificherà, lei è da subito favorevole alla condanna di morte. Quindi il processo per HH è una farsa, perché alla sbarra non c’è un uomo di nome Adolf Eichmann, ma l’intera Germania nazista. Circo mediatico -> perché? Bisognava accreditare Israele e l’ideologia sionista. Il sionismo aveva bisogno di dividere gli israeliani dal resto del mondo per poter giustificare la nascita di Israele, avevano bisogno di dividere per creare identità nazionale. (critica HH perché non erano stati rispettati i diritti dei popoli palestinesi, non è stata creata una confederazione di stati arabo-israeliani). Ciò che proprio non sopportò fu la spettacolarizzazione del dolore dei sopravvissuti-> vennero fatti sfilare come ad un casting e ognuno raccontò la sua storia, ma nessuno aveva mai neanche visto Eichmann. Ben Gurion è il grande burattinaio, mentre Gideon il burattino. Ben Gurion aveva tutto l’interesse a dimostrare che quello che era accaduto nei campi di sterminio era il risultato di un odio (antigiudaismo) secolare nei confronti degli ebrei. Lui voleva che gli ebrei si sentissero a casa solo a Israele e approfittò del processo per trasmettere paura ai sopravvissuti e trasmettergli il messaggio che solo in Israele i loro diritti sarebbero stati rispettati- > esempio di nazionalismo (HH odia i nazionalismi) HH accusa Ben Gurion di avere un interesse economico e di aver organizzato tutto lo spettacolo alla sbarra per spillare quanti più soldi alla Germania, anche se questa aveva già pagato. Queste motivazioni le ha scritte nei suoi carteggi al marito e all’assistente. Dalla sua critica vennero però risparmiati i giudici e gli riserva parole di stima, perché essi cercavano di appurare le reali e oggettive colpe di Eichmann. Al resto, HH riserva solo critiche, critiche al modo di vestire, alla polizia, all’utilizzo dell’Iddish ecc… Due anni dopo il processo vengono pubblicati i suoi 5 articoli, iniziano le critiche fino a trovarsi a rischio di vita. Si apre The Controversy-> termine per indicare quella disputa intellettuale che HH infiamma coi suoi articoli, un violentissimo dibattito che durerà anni, ma che porta con sé degli aspetti positivi. Finalmente si parla apertamente di ciò che era accaduto, da dramma domestico/privato, la Shoah inizia a essere discussa pubblicamente. Gli ebrei si vergognavano di quanto era accaduto e non parlavano di quanto era accaduto, per molti anni la Shoah era passata sotto silenzio, era diventato un dramma privato e molti avevano deciso di non parlarne. HH inclina i piani della storia, costringe tutti ad affrontare pubblicamente ciò che era accaduto. Questi 5 articoli vengono pubblicati sul The New Yorker col titolo “Reporter at large, Eichmann in Jerusalem” LEZIONE 22/03 The controversy periodo di due anni di critiche particolarmente violente. Critiche: Aveva fatto della Shoa una materia giornalistica. È una scelta casuale quella di pubblicare sul New Yorker quei 5 articoli? No, perché il New Yorker veniva letto da tante persone, era una rivista non sionista, dell’America bianca, elitaria, glamour-> perfetta per innescare il dibattito aperto= dibattito sociale, uno spazio di dibattito in cui tutti potessero intervenire, non solo gli ebrei. -> scelta mai perdonata. Critiche storiche, viene accusata di aver manipolato i fatti e di essere caduta nel cattivo gusto con la sua ricostruzione inaccurata, viene accusata di aver forzato dati, numeri… Quando uscì “Le Origini Del Totalitarismo” fu accusata di essere piuttosto imprecisa, ma con “La Banalità Del Male” viene accusata di essere in cattiva fede, di essere stata comprensiva nei confronti di Eichmann e di aver cosparso gli articoli di mezze verità e la accusano anche di essere maligna. Con le Origini non viene criticata la sua onestà intellettuale. Gli storici furono particolarmente violenti perché la accusarono di aver infangato il ricordo dell’Olocausto e di aver manipolato i fatti. Fu accusata di essere un cuore freddo, una persona che non ama il suo popolo, gli ebrei. Accuse mosse sia da amici, in particolare da Gershom Scholem che le dedicherà una lettera aperta con questa critica e lei risponderà dicendo che non ama nessun popolo, non ama i nazionalismi bensì ama l’individualità degli uomini, ama i suoi amici, le persone che ci si sceglie, ma non si può amare se stessi o una parte fondamentale di sé come l’appartenenza religiosa, apparirebbe sospetto. Sostiene di essere una di loro, ma di non amarli perché appunto non ama i nazionalismi. Questa cosa non le verrà mai perdonata. La quarta contestazione deriva dall’accusa mossa verso i capi ebraici di collaborazione con le forze naziste per la soluzione finale-> stilarono liste di persone che dovevano avviarsi sui treni della morte. Erano dei gruppi di ebrei capi che facevano da intermediari fra ebrei e nazisti, facevano rispettare le leggi razziali… Ma Hannah Arendt nella banalità del male non si accontenta di accusare i diretti interessati, bensì accusa gli ebrei tutti per la loro docilità, non li perdona per non aver reagito alla malvagità del terzo reich. Personaggio da ricordare: Leo Baeck accusato da HH di non aver avvertito la sua gente di essere finita su quelle liste di morte. L’accusa di docilità rivolta agli ebrei, scatenò due diversi movimenti di critiche: uno da aprte degli storici, che tengono a precisare che gli ebrei non avevano mezzi per difendere se stessi o i loro fratelli, non avevano scelta; mentre l’altro da parte dei circoli intellettuali Quinto fronte di critiche da parte dei circoli intellettuali per l’accusa di docilità rivolta agli ebrei, ma non solo. HH li accusa di aver obbedito (Kant), lei dice “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Lei condanna l’obbedienza cieca di uomini come Eichmann e dagli stessi ebrei, tutto ciò ha reso possibile la Shoa. Quindi critica di HH verso i solder commandos tedeschi (unità speciale, portatori di segreto perché devono tacere su cosa vedono) formate da persone, ebrei e non, che avevano il compito di raccogliere e cremare i copri ecc… insomma erano persone costrette a obbedire perché altrimenti gli sarebbe toccata la stessa fine. HH li critica, li definisce anch’essi come dei delinquenti, questo perché prima di cremare i corpi dovevano esplorare tuti gli orifizi umani in cerca di oggetti di valore, quindi li bolla come delinquenti. Inoltre, aggiunge che le SS ricercavano e selezionavano persone per il solder commando fra i criminali-> si era fatta questa idea senza prove. Lipstat: storica americana molto dura nelle sue critiche verso HH. Sostiene che HH è più interessata a costruire delle belle frasi piuttosto che a pensare alle conseguenze di ciò che dice. HH vuole attirare l’attenzione, quelle belle frasi che servono a punzecchiare il lettore sono costruite appositamente in maniera forte e aspra, e questo voler sollecitare e punzecchiare la porta a commettere lo stesso errore che tanto decantava nella Banalità di Eichmann: smette di pensare (critica molto forte, dice a una filosofa che è più interessata all’estetica che a pensare. Molte delle cose importanti che HH aveva da dire andarono perdute nel frastuono causato dalle sue frasi crudeli e l’uso impreciso dei dati storici. Insomma, sostiene che è lei l’autrice della sua stessa cattiva fortuna. Critica filosofica, più avanti Sostenitori: Heinrich Blucher marito, i suoi studenti, Stephen Spender poeta inglese, Robert Lowell poeta americano vincitorex2 del premio Pulitzer, Mary Mc Courtney (giornalista femminista, critica letteraria) grazie al cui lavoro fu pubblicata l’opera testamentaria di HH “La vita della mente”. Mary la difenderà a spada tratta durante il periodo della controversy, sia nei dibattiti che nei suoi articoli. Cosa ci lascia “La Banalità del Male” di importante? Le sue tesi politiche e le sue tesi filosofiche. Uno dei meriti riconosciuto a questo testo è l’aspetto giornalistico (capacità di farsi comprendere da tutti). HH vuole affrontare temi forti come la Shoa attraverso un linguaggio più attuale e comprensibile, vuole che il dibattito arrivi ovunque. Il suo testo può essere inteso come giornalistico e doveva fare da cassa di risonanza. Il suo merito dal punto di vista giornalistico è che ha “sbloccato” i dibattiti sulla Shoa, mentre dal punto di vista politico/filosofico fa una riflessione del tutto originale sul nazionalismo di Israele (ha lo sguardo lungo, prevede i guai che nasceranno fra i popoli arabo-palestinesi e ebrei-israeliani). Es. palestina terra promessa, ma è sbagliato questo concetto di sacralità della terra, perché nel nome della sacralità della terra si vanno a ledere i diritti umani. I giovani furono molto sensibili ai temi di HH e arrivarono a condividere le sue opinioni, così come la sinistra ebraica. Ad oggi HH è stata rivalutata, persino negli ambienti post-sionisti (termine per indicare il progresso del sionismo ottocentesco). Siamo più sensibili a questi temi e, per la globalizzazione, anche molto meno sensibili al nazionalismo (tendiamo a considerarci non solo italiani, ma europei). Nella Israele di oggi una sua idea sta prendendo piede: voleva superare l’idea di nazione e di stato teocratico, e creare una confederazione di stati di modo che arabi-palestinesi e ebrei-israeliani potessero convivere. 6.Critiche filosofiche: nelle Origini aveva sostenuto che il male fosse radicale, demoniaco, mentre nella Banalità dice l’esatto apposto. Nelle Origini sosteneva che l’antisemitismo fosse comparso perché il male è insito nell’uomo, mentre nella Banalità dirà apertamente di aver sbagliato-> il male non è radicale perché il male non può essere profondo, solo il bene lo è. Questa affermazione le tirerà addosso moltissime critiche dai circoli filosofici. LEZIONE 28/03 Video Processo Eichmann 29/03 Il male nella storia della filosofia Nel corso della storia il male è sempre stato un cruccio dei filosofi sin dall’antico e tanti sono stati i tentativi di spiegare il male. GRECI-> il male era risultato degli Dei che ci mettono alla prova, ci ingannano, male come punizione perchè ci vogliono ricordare la nostra vulnerabilità. L’uomo non è libero. Questa concezione di male resta in piedi fino al cristianesimo. Il male per Platone PLATONE sostiene che il male è accidentale. È un accidente perché il male non ha una sua realtà (unica realtà suprema è il bene) e non ha un valore veritativo, una verità intrinseca, solo il bene è verità, ha valore veritativo perché ha la forza di rivelare, cosa che non accade per il male. Il male è negazione e privazione assoluta di bene, dunque il male è non essere. CRISTIANI-> l’uomo è libero proprio perché in lui c’è la scintilla di dio. Porta una lingua nuova in filosofia perché mentre i greci credevano nel destino, i cristiani credono nella libertà. Questo complica un po’ le cose, perché il male/il peccato diventa il segno della libertà dell’uomo. Il male per Agostino (Così come il buio è assenza di luce, il male è assenza di bene) AGOSTINO in particolare cerca di capire cosa è il male e da dove viene. Tre forme di male: ontologico (un male insito nell’uomo, Dio crea cose finite/il creato, e questo è al di sotto della perfezione di Dio, dalle cose create può quindi originarsi il male), morale (il prezzo che l’essere umano paga a fronte del peccato originale, uomo non è bene assoluto, il male è segno della libertà dell’uomo), fisico (dolore, perché siamo creature materiali, oltre che spirituali, soggetti a decadimento fisico). Agostino non nega l’esistenza del male, bensì l’essenza-> il male è non essere, non può avere una sua realtà, esiste solo come assenza di bene. Il male è privazione di essere, assenza di essere. Il male non può essere una realtà sostanziale, esiste solo se ha portato al bene. Concepisce il male solo come una diminuzione di bene, solo Dio esiste, e in quanto bontà divina non può aver diventato capo di questo ufficio è felice di assumersi le sue responsabilità e inizia a documentarsi, studiando la questione ebraica, lesse scritti ebraici, si avvicina ai padri del Sionismo e imparò l’Iddish. Sotto copertura andò in Palestina negli anni 30, periodo in cui molti ebrei si erano già trasferiti in Palestina creando i Kibbutz. L’obiettivo di Eichmann era spiarli e durante questo viaggio in Palestina gli venne l’idea di aiutare gli ebrei, aiutarli a fondare uno stato e realizzando i loro obiettivi politici. Come? Emigrazione forzata. Tornato a casa si afferma come esperto in questioni ebraiche e inizia a lavorare al suo progetto di trasferimento forzato degli ebrei, progetto che fallì. In quegli anni (40) però si stava già iniziando a parlare di soluzione finale e nel 42 si tenne la famigerata Conferenza di Vanzè dove si riunirono i 15 ufficiali/gerarchi del terzo Reich e a quella riunione era presente anche Eichmann in qualità di segretario. Nell’Ufficio B4 rispondeva direttamente a uno di quegli ufficiali, ovvero Heydrich, di cui si era guadagnato la stima e per questo fu ammesso alla conferenza. Politicamente sappiamo che era molto ingenuo da giovane, ma col tempo iniziò a diventare sempre più ideologico e comincerà a definirsi lealista. Uno dei suoi compiti era realizzare le leggi del partito e uno dei loro obiettivi era ripulire l’Europa tutta dagli ebrei, ed Eichmann sentiva ciò come un compito, un dovere-> per questo lealista verso il partito. Al tempo stesso si definiva realista perché era convinto che da dietro quella scrivania stava realizzando la volontà degli ebrei, cioè avere una propria terra/patria/territorio, e con grande sfrontatezza al suo processo si definì il ‘salvatore del popolo ebraico’. Lealista= è un soldato, indossa una divisa, doveva rispondere alla volontà del partito nazista Realista= nel suo piccolo ruolo aveva tentato di rendersi utile alla causa ebraica Compiti Eichmann: requisiva premi, pianificava con estrema pignoleria i trasferimenti delle popolazioni ebraiche (calcolava con estrema esattezza la capacità dei campi di concentramento e in base ai risultati spostava migliaia di persone). la prima volta gli venne chiesto di spostare 7000 persone per fare una prova e qui dimostrò il suo ‘talento’. All’inizio viene catturato, poi scappa e lascia la Germania. Si rifugiò in Italia per 6 mesi e sotto falsa identità si imbarca a Genova verso l’Argentina dove vivrà come Ricardo Clement. Fece lavori umili e a Buenos Aires costruì la sua casa dove dopo anni lo raggiunse la sua famiglia. Qui fu scovato dagli uomini del Mossad. Sembrava un uomo normale, allevava conigli, aveva una vita tranquilla MA conservava ancora gli ideali nazisti, non prende le distanze dal terzo Reich e mai si dichiara pentito. Conserva la sua arroganza e questa gli fece commettere diversi errori che porteranno alla sua cattura (es quando morì un nazista in Argentina e Eichmann/Clement scrisse il necrologio firmato col suo vero nome, oppure il fatto che partecipava a riunioni documentate e registrate insieme ad altri ex membri delle SS, fra cui Sussen che si fingeva un giornalista e la cui casa era la base di queste riunioni, in cui progettavano di negare la morte di 6000 ebrei nei forni ecc…). Prima che queste riunioni venissero rese disponibili pochi anni fa era condivisibile l’opinione che HH si era fatta di Eichmann, un omino emaciato, un burocrate nervoso, l’ultimo ingranaggio di quella macchina totalitaria che fu il terzo Reich. Ma queste registrazioni ci donano un’immagine ben diversa di Eichmann, uo uomo imbevuto di ideologia, realmente convinto che fosse stato un errore uccidere 6 milioni di ebrei e non 10 milioni. Si era definito come una piccola rotella, sosteneva che stesse semplicemente seguendo degli ordini e invece la realtà non è così semplice, perché sapendo di star commettendo atti criminosi lui avrebbe dovuto rifiutarsi, siccome non l’ha fatto è responsabile esattamente come lo è Himmler e come lo sono gli altri= Adolf Eichmann figura complessa Bettina Stangneth filosofa tedesca e studiosa della psicologia della manipolazione. Ebbe modo di ascoltare tutte le registrazioni per poterci consegnare un ritratto di Eichmann, evidentemente molto diverso da quello Arendtiano. Lo descrive infatti come un abile manipolatore, un nazista fanatico, ambizioso e senza scrupoli e soprattutto non pentito. Filosofa che si è imposta un metodo storico prendendo visione di 30 archivi nazionale, incrociando e confrontando i vari scritti e da tutto ciò la sua conclusione fu che HH fu ingannata, cade in errore durante quel processo. Arendt si lascia abbindolare dalla recitazione di Eichmann. Eichmann fu rapito in Argentina dal Mossad, parliamo di rapimento perché il Mossad commise un reato, l’Argentina era un paese che non concedeva l’estradizione. Uomo senza coscienza e senza morale, lui stesso ammise che se suo padre si fosse rivelato un traditore lo avrebbe fatto fucilare, mentre durante il processo dice che secondo il suo giuramento di fedeltà sarebbe stato obbligato a farlo fucilare. LEZIONE 26/04 ANALISI DEL FILM DELLA VON TROTTA L’11 aprile 1961 inizia il processo ad Eichmann. Arendt si reca a Gerusalemme per seguire le 120 sedute processuali con l’incarico di scrivere per il The New Yorker. Arendt è famosa e quindi è eccezionale il fatto che una star della filosofia firmasse queste corrispondenze. La pubblicazione di questi articoli è difficoltosa perché Arendt si concesse dei tempi lunghi di riflessione. La condanna di Eichmann a morte è il 31 marzo 1962. Arendt pubblica gli articoli dopo la condanna quindi a giochi chiusi, poi pubblica La banalità del male (sempre nel 1962) che è la fascicolazione di questi 5 articoli. E’ un testo molto complesso che va a scontornare i vari personaggi e alcuni passaggi delicati. Arendt con quei 5 articoli ha l’obiettivo di comprendere quello che è accaduto in Europa nel ‘900. Comprendere però non è perdonare. La regista tedesca Von Trotta dedicherà la sua pellicola a queste vicende. La sua pellicola è un bio pic (biography-picture). Questo film è biografico, le vicende storiche si intrecciano con una sorta di narrazione interna esistenziale. Questa pellicola ha la particolarità di ritrarre in maniera efficace e realistica Arendt in tutta la sua complessità (a volte è scorbutica, dura, arrogante, anaffettiva, antipatica). Von Trotta è una regista che viene dal teatro, quindi la macchina della regia è molto ferma perché il film suggerisce la teatralità. Come regista di lavori teatrali Von Trotta lavora più volte sui ritratti femminili e individua dei personaggi femminili disturbanti (alcuni suoi lavori sono dedicati ad eroine politiche ad esempio Rosa Luxemburg). La pellicola ha come titolo Hannah Arendt e Von Trotta lavora su un arco di tempo ristretto: dal 1961 al 1964 quindi racconta il periodo della controversia, ci aiuta a vedere la genesi dei 5 articoli. Von Trotta fa questa scelta per evitare di riconsegnarci un soggetto astratto, lei vuole riconsegnarci un soggetto credibile. La sceneggiatrice è Pam Katz. Grazie a questa sceneggiatura Von Trotta riesce a rendere efficacemente l’ambiente di quegli anni in cui Arendt si muove. Non viene ritratta solamente Hannah Arendt ma anche la sua ‘’tribù’’ costituita da Jonas, Blucher, McCarthy. Tra i suoi collaboratori vi è un personaggio molto importante, una sorta di segreteria Lotte Kohler che è una delle sue ultime studentesse. Von Trotta per riuscire a ricostruire in modo vero le vicende si avvale delle testimonianze di Kohler. La ricostruzione è onesta. La regista riesce a rendere la vivacità di pensiero anche sotto il profilo linguistico: di solito in casa Arendt con i suoi amici parla in inglese ma quando lei e i suoi amici entrano nei dibattiti più animati parlano in tedesco (la loro lingua madre) per essere più lucidi e più chiari. Quindi si passa repentinamente dall’inglese al tedesco. E’ un film teatrale quindi non ci sono colpi di scena. E’ ambientato principalmente negli spazi domestici. Si vede soprattutto l’appartamento di Manhattan. Anche nella descrizione degli eventi il film è molto teatrale, viene curato anche nei minimi particolari. Si aprono continuamente primi piani quindi la telecamera stringe sui volti molto spesso perché i primi piani nel linguaggio della cinematografia servono per rappresentare le emozioni. I colori della pellicola caratterizzano a loro volta l’evento storico e il personaggio di Arendt. Ci sono tante scene girate al buio. Questo è un espediente cinematografico per andare a marcare la drammaticità di quei fatti. C’è anche un’allusione metaforica, Arendt spesso negli scritti utilizza l’espressione Dark Times (tempi bui) di Bertolt Brecht, quindi la Von Trotta cerca di rendere i tempi bui nella pellicola. Arendt nel film viene rappresentata per quella che è, un’intellettuale di fama di 55 anni che vive a Manhattan insieme al marito Blucher. Nel 1961 insegna in un’università newyorkese. Viene raccontata come un’intellettuale circondata sempre dagli amici. La tecnica utilizzata è quello dello straniamento: è una tecnica narrativa inventata da Brecht in cui lo spettatore che assiste a quello che accade in scena resta sempre distante, freddo rispetto a quello che si descrive, non è mai pienamente coinvolto nella scena. Questa tecnica è il contrario del metodo stanislavskij. Infatti l’attrice che impersona Arendt non sembra mai completamente in parte, si limita a raccontare questo personaggio, non ha il compito di farcene innamorare. Questa tecnica ci permette di rimanere freddi, distanti, non sentimentali e in grado di esprimere alla fine un giudizio sui fatti raccontati (è importante non essere coinvolti altrimenti le emozioni potrebbero confondere la nostra capacità di giudizio). Questo film è storico, non filosofico, infatti Von Trotta non entra nel merito delle teorie filosofiche ma si limita a una narrazione di tipo retorico. Von Trotta è estremamente documentata, cerca di essere fedele e si limita a una semplice descrizione riuscendo a descrivere il punto di vista di tutte le parti: il fronte delle critiche, il punto di vista degli intellettuali, il punto di vista delle organizzazioni ebraiche. Per descrivere i fatti Von Trotta si serve degli oggetti: sigarette, pile di documenti e carteggi, pila di Eichmann, sedie (quando viene a scoprire della malattia del marito), automobili (si cerca di rendere la distanza tra lei e i suoi amici), foto incorniciate di Jaspers, Heidegger. E’ una pellicola molto silenziosa, ci sono tante pause e i silenzi ammantano il buio. Nella prima scena si vede un uomo (Eichmann) che cammina con una torcia e intanto che torna a casa dal lavoro viene fermato da alcuni uomini. Egli capisce subito di essere caduto in trappola, si dibatte, urla e la torcia cade sul sentiero. Il furgone e i fari si muovono verso lo spettatore. Poi a seguire vi è l’appartamento di Manhattan di Arendt e la sigaretta che si accende nel buio. Arendt è una fumatrice incallita, questo gesto di fumacchiare è compulsivo. Le sigarette diventano protagoniste perché metaforicamente suggeriscono l’olocausto. La notizia del rapimento fa il giro del mondo, Arendt intanto che legge il giornale scopre che Eichmann è stato rapito. I silenzi sono dei dialoghi coscienziali, interiori, sono dei passaggi filosofici, è il segno che sta pensando e riflettendo. Il ritmo di questo film è dato dall’alternanza tra i momenti lunghi di riflessione e i dialoghi serrati tra lei e i suoi amici, resi utilizzando diversi registri linguistici. Molto spesso le pause coincidono con le sigarette. In questo film la sua personalità viene ben rispecchiata: da una parte è una donna molto dura, sgarbata, ruvida, presuntuosa ma dall’altra parte a volte crolla e questo il film lo mette in luce. Riesce a rendere anche l’ostinazione di questa donna che di fronte alle critiche violente continua a perseguire la sua strada e le sue idee anche a costo di perdere alcuni suoi amici come Hans Jonas con cui si riappacificherà dopo anni. In alcuni passaggi viene fuori la sua amabilità, la sua capacità di darsi e amare tanto. Ad esempio in una scena in cui William Shawn, direttore del The New Yorker sollecita Arendt a far uscire gli articoli lei risponde molto seccata e in modo sgarbato. I colori degli abiti sono sempre molto piatti: il marrone, il verde e privilegia la camicia e la gonna, quindi è molto semplice ed essenziale. Von Trotta con questi abiti vuole restituirci la concretezza. Il personaggio è abbastanza realistico ma non la racconta fino in fondo: nel film si vede una donna molto ordinata invece lei non andava mai dal parrucchiere e amava il rossetto. Tra gli oggetti importanti vi è la montagna di pile, di scartoffie che sono le lunghissime trascrizioni del processo perché lei recupera tutti i materiali e le cronache del processo. Nella sua casa di New York studia queste carte e nel film viene resa l’idea del suo lavoro di lettura filosofica. Durante queste ore il mondo resta fuori, nell’appartamento si sentono i passi della collaboratrice. Il mondo entra nella casa con i giornali, le lettere che riceve da nemici e amici. Molti importanti sono i ricordi che tornano sempre lungo la storia. A volte i ricordi sono drammatici, ci sono gli innesti delle memorie dei sopravvissuti all’olocausto che sfilano durante il processo di Gerusalemme. Usa le testimonianze per bucare il presente di Arendt, sono come delle presenze spettrali, immateriali. I personaggi più importanti accanto a lei sono: - Heinrich Blucher: è marxista, è il secondo marito di Arendt. Arendt sposa Blucher nel 1936. Insegna a New York al Bard College, non è laureato, insegna per meriti intellettuali. Nel film e nella realtà questo personaggio che ha un ruolo chiave. Blucher riuscirà ad influenzare molto Arendt dal punto di vista filosofico. Blucher diventa una sorta di Socrate all’interno della pellicola perché è un personaggio che mette sempre tutto in discussione e che desidera comprendere. Ad esempio mette in discussione la legittimità del processo, la modalità con cui Israele arriva a catturare Eichmann. Fa da pungolo ad Arendt perché Arendt a sua volta desidera comprendere. Von Trotta riesce a rendere il ménage coniugale di questi due filosofi. Arendt è molto innamorata del marito ma il marito la tradisce con le studentesse e con una delle loro migliori amiche: Charlotte. Blucher sosterrà e stimerà intellettualmente Arendt. Ha una grande ammirazione intellettuale per la moglie. I due vengono rappresentati come se fossero due anime gemelle. Si vede il terrore di Arendt di perdere Blucher quando viene colpito dall’aneurisma cerebrale. - Lotte Kohler: è un’allieva di Arendt e poi una sua assistente, collaboratrice e amica; anche se nel film viene rappresentata solamente come una segretaria. Lei raccoglie tutto di Arendt, i suoi carteggi, gli scambi epistolari. Molti dei materiali che abbiamo oggi è grazie a Lotte. E’ la persona che protegge dagli insulti Arendt perché in casa arrivano molti biglietti e lettere con insulti. rimanda al concetto di responsabilità, preoccupazione e protezione. La Sorge rinvia a due stati d’animo: da una parte la preoccupazione e dall’altra la protezione. Quando Heidegger parla di cura declina la cura in due modalità differenti: - Prendersi cura (besorgen): un semplice disbrigo, quindi un risolvere problemi - Avere cura: quindi proteggere l’altro Sono espressioni apparentemente simili ma prendersi cura non è una cura autentica, vuol dire mettere a disposizione dell’altro delle cose materiali, procurare all’altro degli oggetti e soddisfare i suoi bisogni. E’ un semplice accudimento. Questo prendersi cura comporta il rischio di non incontrare mai l’altro perché la relazione non è mai autentica e riduco l’altro ad una cosa perché lo circondo di beni materiali rendendolo una cosa. La cura se così intesa diventa una semplice tecnica. La dimensione vera della cura è l’aver cura perché prevede il dedicare tempo all’altro, è la vera cura perché ci fermiamo davanti all’altro e gli dedichiamo il nostro tempo senza misurarlo. Il tempo della cura non deve essere calcolato perché ha a che fare con l’angoscia e quando si è angosciati il tempo dura tanto, si dilata. C’è inoltre una terza cura, la deiezione, che non è una cura, è una dimensione finta della cura, è inautentica, le azioni non hanno un vero significato ma si agisce solo perché si deve fare così, è il mondo del “si dice”. Qui l’agire perde di significato e quindi si precipita nell’orizzonte della chiacchiera. Il deietto è colui cha abbandona l’altro, proprio perché non dedica tempo all’altro. SOMIGLIANZE TRA LA CURA DI HEIDEGGER E ARENDT In Vita Activa (opera che dedica ad Heidegger, infatti in quest’opera sembra che Hannah dialoghi con il suo professore a distanza) Arendt costruisce una filosofia della cura ma usa il termine cura in maniera diversa, lo usa più politicamente, ma anche per lei la cura ha a che fare con la responsabilità; con la responsabilità non solo di noi stessi ma anche (e soprattutto) nei confronti degli altri. In Vita Activa Arendt elabora la sua tripode: - Labor: (dimensione del bisogno) è tutto ripiegato sulla sopravvivenza e sul soddisfare i bisogni, - Work: (operare) ha a che fare con la produzione di oggetti per costruire un mondo artificiale in cui l‘uomo impara a sopravvivere, - Action: nella dimensione di pluralità si realizza l’essere umano In Vita Activa Arendt sembra dialogare a distanza con l’Heidegger della cura. I concetti di Labor e Work sembrano sintetizzare la dimensione inautentica della cura di Heidegger (besorgen): in queste due dimensioni interferisce la materia e quindi l’uomo non è in grado di prendersi cura dell’altro. L’Action invece sembra il corrispettivo della cura autentica di Heidegger poiché non c’è mediazione degli oggetti materiali. In Heidegger però vediamo anche la deiezione. Questa dimensione la ritroviamo in Arendt e lei la traduce come “la perdita di mondo (loss of world)”, tutte le volte in qui si agisce in “modo protocollo”, quindi quando ci si conforma a gli altri. Oltre alle similitudini tra i due ci sono anche delle differenze: - La principale è che per Arendt la cura è nei confronti del mondo, degli altri. Per Heidegger, essendo lui il filosofo della morte, ci si prende cura del mondo lasciandolo, morendo. Per Arendt ci si prende cura del mondo generando, mettendo al mondo nuovi uomini, sono le nuove generazioni che sanno innovare il mondo. Arendt è stata molto criticata per la sua tripode ed è stata in particolare attaccata dalle femministe americane. Le femministe criticano Arendt perché lei fa scivolare nella dimensione del labor e dell’agire animale l’allevamento dei figli, l’accudimento dei malati, dei vecchi… Questo passaggio di Arendt però potrebbe essere tradotto anche in una chiave positiva perché potrebbe voler dire che la cura è qualcosa di più del soddisfare i bisogni corporei o fornire oggetti a corpi materiali, cosa che si fa con bambini e vecchi. Dobbiamo curare in ambito politico e quindi aiutare l’altro perché è umano, e non perché è nostro figlio o nostro nonno. Per lei la cura non è semplicemente amministrare dei corpi materiali, ma per lei è prendersi la responsabilità sia delle persone che amiamo sia delle persone che non amiamo. LA CRISI DELL’ISTRUZIONE Un compito di cura Arendt lo assegna agli insegnanti e agli educatori. Un compito politico importante è da riconoscere a tutti coloro che nella società hanno un ruolo educativo perché educare i giovani ad avere cura del mondo è un compito politico, bisogna insegnare ai giovani a non soddisfare solo i propri bisogni ma bisogna insegnarli a prendersi cura del mondo e a salvarlo dalla rovina. ‘’L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo dalla rovina, che è inevitabile senza l’arrivo dei giovani e senza il rinnovamento’’. Quindi bisogna amare il mondo, prendersi cura del mondo, e per farlo non basta amare chi ci ama, dobbiamo amare il mondo, e questa è quella forma di amore che in senso morale ci obbliga a superare i nostri egoismi e i nostri propri bisogni per soddisfare quelli del mondo, per assumerci un impegno nei confronti degli altri. Salvare il mondo dalla rovina vuol dire prendere consapevolezza del fatto che il mondo non appartiene solo agli adulti, ma anche ai bambini, piccoli uomini e piccole donne con cui si condivide lo stare al mondo. Per spiegare questo concetto scrive che nell’educazione si decide anche se noi amiamo abbastanza i nostri figli da non estraniarli dal nostro mondo. In quanto educatori, adulti, inseganti… noi tutti abbiamo la responsabilità politica di preparare i giovani alla responsabilità di rinnovare il mondo. Per Hannah l’insegnamento non è una semplice professione, ma è una forma di agire politico è una responsabilità politica, perché gli educatori e gli insegnanti hanno la possibilità di riscrivere la realtà. La scuola quindi non può essere solo un luogo per imparare cultura e lavoro, non deve essere uno strumento per mantenere un equilibrio statico del mondo, ma deve essere un luogo che insegna ad innovare il mondo. La scuola è in crisi perché non è così, perché gli insegnanti sono fermi a dei vecchi modelli educativi, non sanno fornire saperi in senso autentico, proprio perché sono figure troppo autoritarie che prevaricano sui bambini, sui giovani ecc.. Negli Usa in quel periodo ci sono ancora le scuole per i bianchi e le scuole per i neri. Arendt affermando ciò va contro la pedagogia di Dewey. L’insegnante conservatore e autoritario impedisce ai giovani di esprimersi creativamente strappandogli di mano l’opportunità di innovare il mondo, la scuola autoritaria sacrifica le libertà, ma solo in un clima di libertà possono fiorire esseri umani nuovi, la scuola dovrebbe essere una palestra di libertà, in cui i giovani possano davvero esprimersi, ma non lo è. Arendt lavora in La crisi dell’istruzione su una triade fondamentale nell’istruzione: - autorita’- tradizione- liberta’ La tradizione è importante ma non bisogna cadere nell’autoritarismo, è necessaria la libertà. L’insegnante deve essere autorevole ma non deve essere autoritario, deve impartire l’amore per il sapere trasmettendo la tradizione e insegnando la libertà. Il rischio però è che la scuola e l’insegnate si arrocchi e che quindi le nuove generazione vengano educate secondo dei criteri vecchi, secondo un mondo “all’antica”. Ad Arendt sta a cuore il tema dell’integrazione, essendo ebrea, che tocca il tema dell’emarginazione dei neri americani, la scuola si divideva in scuole per bianchi e scuole per neri, molte volte i neri americani non conoscevano la lingua inglese. Arendt punta molto la sua attenzione su quest’aspetto, lei aveva conosciuto la discriminazione raziale e lì inizia a riflettere. Afferma che la vera integrazione si realizza solo attraverso l‘insegnamento della lingua madre, questo è il primo fattore di coesione sociale e se viene insegnata in tempi rapidi allora si supera il problema del razzismo. Sulla questione del razzismo però ha una posizione particolare: nel 1954 negli Stati Uniti fu emessa una sentenza dalla corte suprema che vieta la separazione razziale nelle scuole americane. Arendt non è d’accordo con questa sentenza perché dal suo punto di vista, quella soluzione da sola le sembra inadeguata, non pensa che possa risolvere il problema del razzismo. Questa sentenza le sembrava una forzatura, la legge obbligava il bambino afroamericano a frequentare un’ambiente ostile e non era una cosa giusta perché così la scuola diventava un luogo di tensione perché i bambini afroamericani avrebbero reagito (sua madre le aveva insegnato a reagire quando a scuola veniva presa in giro perché ebrea). Lei quindi afferma che i bambini afroamericani non si sarebbero sentiti accolti ed integrati ed essendo la scuola un luogo di democrazia non doveva obbligare con una legge i bambini afroamericani a frequentare scuole con bambini bianchi che li avrebbero presi in giro e derisi. Quindi dalla crisi dell’istruzione si riesce a ricavare la figura del docente e dell’educatore di Hannah, che lei li vede come coloro che coltivano i talenti dei giovani, e che protegge la loro libertà. Lei ritiene che il compito dell’insegnante sia quello di far sì che le nuove generazioni avvertano a loro volta il loro compito politico, cioè quello di aver cura del mondo, di innovare il mondo. I giovani devono sentire questa enorme responsabilità.
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