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Appunti-Hegel e la fenomenologia dello spirito, Appunti di Filosofia

Appunti dettati dalla prof sulla filosofia di hegel e le sue teorie

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 27/08/2019

Casi.
Casi. 🇮🇹

4.7

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Scarica Appunti-Hegel e la fenomenologia dello spirito e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! La fenomenologia dello Spirito E’ la scienza del manifestarsi dello spirito. E’ lo spirito che si rivela per gradi alla coscienza e si manifesta nella storia. E’ quindi la storia della serie di esperienze attraverso le quali la coscienza deve passare ( di tipo teoretico e pratico). Nella Fenomenologia Hegel descrive il progressivo affermarsi e conoscersi dello spirito, attraverso un serie di “figure”, ovvero di tappe ideali che hanno trovato una loro esemplificazione nel corso della storia. Le “figure” sono quindi momenti della progressiva conquista della verità da parte dell’uomo. La Fenomenologia è la storia romanzata della coscienza, la quale attraverso contrasti, scissioni, esce dalla sua individualità, raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione. La coscienza individuale è quindi chiamata a superare l’opinione che vi sia un’opposizione tra soggetto e oggetto. Alla fine del percorso la coscienza giunge a fare propria la prospettiva dell’identità dialettica tra soggetto e oggetto, ragione e realtà. Nella prima parte della Fenomenologia troviamo i tre momenti della coscienza (tesi), autocoscienza (antitesi) e della ragione (sintesi). Nella fase della coscienza predomina l’attenzione verso l’oggetto, nella fase dell’autocoscienza predomina l’attenzione verso il soggetto, nella fase della ragione si arriva a riconoscere l’unità profonda di soggetto e oggetto. La dialettica della Coscienza La prima tappa della Fenomenologia dello Spirito è la coscienza, intesa come ciò che si rapporta ad un oggetto, ovvero come a qualcosa di percepito come esterno ed estraneo a sé. La coscienza è certa che la realtà stia tutta fuori di lei, nell’oggetto, ovvero che il mondo sia già dato al soggetto e che questo abbia solo il compito di conoscerlo così come gli è dato. Mediante le tre tappe della certezza sensibile, percezione e intelletto, la coscienza, assumendo la prospettiva della rivoluzione copernicana, scopre che la verità non è nella cosa, nell’oggetto, ma nel soggetto dal quale dipendono le leggi a priori che governano il mondo. Queste leggi sono a priori e dunque soggettive. La verità, comprende la coscienza, non è nell’oggetto, me nell’io che ordina e costituisce il mondo dell’esperienza. La dialettica della coscienza si conclude con il passaggio all’Autocoscienza. Conoscendo il mondo, la cui costituzione è a priori, la coscienza è in realtà impegnata a conoscere se stessa, a divenire cosciente di sé. Tuttavia non soltanto attraverso conoscenze teoretiche la coscienza diviene effettiva autocoscienza, occorrono anche esperienze pratiche. La personalità auto consapevole si costruisce attraverso una serie di prove che portano la coscienza a fare i conti con i propri limiti e i condizionamenti naturali, a misurarsi con gli altri. Attraverso la dialettica dell’autocoscienza, la coscienza è condotta a realizzare anche in campo pratico la propria libertà, intesa come l’autonomia della ragione La dialettica dell’Autocoscienza Nella sezione dedicata all’autocoscienza l’attenzione si sposta al soggetto considerato nei sui rapporti con gli altri. L’uomo, secondo Hegel, è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un’altra autocoscienza, ovvero da un altro essere libero e pensante. Pertanto non può limitarsi a cercare negli oggetti sensibili l’appagamento dei propri desideri e dei propri appetiti, ma ha costitutivamente bisogno di altri uomini. La prima figura “Servitù e signoria” L’autocoscienza si manifesta dapprima come desiderio e appetito. Come appetito essa afferma se stessa negando l’oggetto del desiderio, consumandolo. Annientato l’oggetto, l’appetito si riproduce. Attraverso questa ripetizione del desiderio e della sua soddisfazione, l’autocoscienza si rende conto di non poter sussistere senza oggetto. Affinché l’appetito sia stabilmente appagato si deve rivolgere ad un oggetto capace di resistere all’annientamento. L’unico oggetto che presenta queste caratteristiche è a sua volta un soggetto: un’altra autocoscienza. Le due autocoscienze hanno tra loro una relazione simmetrica: ciascuna di esse è da un lato soggetto indipendente, che si afferma come appetito negatore dell’oggetto, dall’altro è a sua volta un semplice oggetto da consumare. Pertanto il riconoscimento non può che passare attraverso un momento di lotta e sfida tra le due autocoscienze. Tale conflitto, nel quale ogni autocoscienza, pur di affermare la propria indipendenza, deve essere pronta a tutto, anche a rischiare la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze contendenti, ma con il subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto “servo-signore”. Il diverso atteggiamento dei due contendenti verso l’esistenza biologica ha come risultato il passaggio a una relazione asimmetrica, di ineguaglianza. Il signore è colui che, pur di affermare la propria indipendenza, ha messo a repentaglio la vita, il servo è colui che ha preferito la perdita della propria indipendenza, cioè la schiavitù, pur di avere salva la vita. In questo rapporto ineguale, la coscienza signorile appare come la vera autocoscienza: essa è riconosciuta come tale dal servo e domina anche la natura, utilizzandola attraverso il lavoro del servo per soddisfare il proprio appetito. La dinamica del rapporto servo-signore è destinata ad una paradossale inversione di ruoli: il signore diviene servo del servo e il servo signore del signore. Il signore, che inizialmente appariva indipendente, nella misura in cui si limita a godere passivamente del lavoro dei servi, finisce per dipendere da loro. Invece il servo, che all’inizio appariva dipendente, nella misura in cui trasforma le cose da cui il signore riceve il proprio sostentamento, finisce per rendersi indipendente. La coscienza servile si mostra quindi come la vera autocoscienza. Il servo lavora, dipende dal signore e dalla natura che gli sta di fronte e che deve manipolare per conto del signore. Il lavoro, però, non si limita a consumare l’oggetto, il prodotto della natura, ma lo modifica in base a un disegno razionale, dandogli una forma diversa da quella naturale. Nel servizio e nel lavoro l’autocoscienza impara a vincere i propri impulsi naturali. Il servo supera la sua dipendenza dalla natura, a cui si era piegato per paura della morte ed è lui a dominarla, lavorandola. Attraverso il lavoro la coscienza servile si oggettiva e riconosce se stessa nell’oggetto lavorato che sussiste non come puro dato naturale, ma “umanizzato”, in quanto plasmato secondo il progetto umano del lavoratore. In virtù del lavoro si modifica, come abbiamo detto, anche la relazione del servo con il signore, il quale dipende per la soddisfazione dei suoi appetiti dal lavoro del servo. La seconda figura “Stoicismo e scetticismo” La coscienza che attraverso il lavoro ha acquisito consapevolezza di sé, si sottrae al rapporto che la lega al signore, lo ignora, lo mette tra parentesi, insieme con il mondo e cerca di affermare la propria indipendenza a prescindere dalle circostanze in cui si trova a vivere. La dialettica tra servo-signore trova dunque la sua manifestazione filosofica nello stoicismo, ossia in un tipo di visione del mondo che celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda. Ma nello stoicismo l’autocoscienza, che pretende si di svincolarsi dai condizionamenti della realtà, ritenendo di essere libera ‘sul trono e in catene’, raggiunge soltanto un’astratta libertà interiore, giacché i condizionamenti permangono e la realtà esterna non è negata. La pretesa di mettere tra parentesi quel mondo esterno da cui lo stoico si sente indipendente (e che tuttavia lascia sussistere) appartiene allo scetticismo, ossia a quella visione del mondo che sospende l’assenso su tutto ciò che è comunemente ritenuto vero e reale. Lo scetticismo, dal canto suo dà luogo ad una situazione contraddittoria e insostenibile, che si manifesta nella scissione tra una coscienza che vorrebbe innalzarsi sull’accidentalità e non-verità della vita e una coscienza che si scopre vittima, essa stessa, dell’inessenzialità e non-verità della vita: “profferisce l’assoluto dileguare, ma il profferire è […] profferisce la nullità del volere, dell’udire, ecc., ed è proprio lei che vede, ode ecc., […] il suo operare le sue parole si contraddicono sempre” Lo scettico si auto contraddice poiché da un lato dichiara che tutto è vano e non vero, mentre dall’altro pretende di dire qualcosa di reale e vero. La terza figura “La coscienza infelice” La scissione, presente nello scetticismo, tra una coscienza immutabile e una mutevole, tra la negazione della verità e l’affermazione di una verità, trapassa nella figura della coscienza infelice e assume la forma di una separazione radicale tra l’uomo e Dio. Lo scettico non crede in nulla e nega consistenza a questa vita, ma, secondo Hegel, lo scettico partendo dalla nullità della creatura perviene all’infinità di Dio. Ora è proprio questa opposizione tra uomo e Dio, tra finito e infinito, che corrisponde alla collocazione della verità, del senso in un oltre inattingibile, che produce nella coscienza una lacerazione che genera infelicità. Tale separazione tra uomo e Dio si manifesta dapprima sotto forma di un’antitesi tra “l’intrasmutabile” e “il trasmutabile”. E’ questa la situazione propria dell’ebraismo, nel quale l’essenza, l’Assoluto, la realtà vera, è sentita come lontana dalla coscienza e assume le sembianze di un Dio trascendente padrone assoluto della vita e della morte, ovvero di una figura inaccessibile di fronte a cui l’uomo si trova in uno stato di dipendenza. Nel secondo momento l’intrasmutabile assume la forma di un Dio incarnato. E’ questa la situazione propria del cristianesimo medievale, il quale, anziché immaginare Dio come un giudice lontano, lo prospetta sotto forma di una realtà sensibile. Tuttavia, la pretesa di cogliere l’Assoluto in una presenza particolare e sensibile è destina al fallimento. Simbolo eloquente di tale fallimento solo le crociate nelle quali l’inquieta ricerca di Dio si conclude con la scoperta di un sepolcro vuoto. Inoltre Cristo, di fronte alla coscienza, continua a rimanere qualcosa di diverso e separato. Egli, inteso come Dio trascendente, esprime il momento dell’al di là, e come Dio incarnato, vissuto in uno specifico e irripetibile periodo storico, risulta pur sempre inevitabilmente lontano. Di conseguenza con il cristianesimo la coscienza continua ad essere infelice e Dio continua a configurarsi come un irraggiungibile al di là che sfugge. Ma il punto più basso toccato dal singolo (il
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