Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti I, II, IV, V, VI, VIII, IX, XIII canti purgatorio, Appunti di Italiano

Riassunti ben fatti dei canti più importanti del purgatorio

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 23/10/2023

sara.tritella
sara.tritella 🇮🇹

5

(1)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti I, II, IV, V, VI, VIII, IX, XIII canti purgatorio e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! CANTI I, II 1)Dopo aver spiegato chi è Catone confrontalo con Caronte e spiega perché Dante abbia scelto proprio lui Marco Porcio Catone soprannominato l’Uticense, nacque nel 95 a.C. da una nobile famiglia romana; pronipote di Catone il vecchio, fu un uomo politico romano ed uno dei più grandi rappresentanti dello stoicismo romano. Combattè dapprima contro Spartaco, poi come tribuno militare in Macedonia. Nominato questore al suo ritorno, ristabilì ordine ed onestà nell’amministrazione pubblica costringendo anche numerosi antichi agenti di Silla a restituire il denaro guadagnato ingiustamente nel periodo delle proscrizioni. Inviato a Cipro nel 58 a.c. per prendere possesso del paese e dei beni del re Tolomeo, grazie alla sua competenza e integrità portò all’erario una grande quantità di denaro. Sostenitore di Cicerone contro Catilina, fu il più autorevole rappresentante dell’opposizione del senato al primo triumvirato. Allo scoppiare della guerra civile, per difendere la libertà repubblicana, si schierò a fianco di Pompeo, seguendolo in Oriente. Dopo Farsalo continuò la guerra in Africa, ma assediato in Utica, si uccise: da qui il suo soprannome. Catone, nella Commedia, è guardiano del Purgatorio, sebbene pagano, nemico di Cesare e nonostante il suicidio, gesto di disprezzo nei confronti del dono della vita ma che Dante, condanna solo in parte, poiché compiuto per non divenire prigioniero del suo nemico Cesare. Tale gesto viene quindi interpretato dal sommo poeta come un atto di forza e di libertà; analoga interpretazione viene data da Tommaso d’Aquino. Il suo peccato è differente da quello di Pier delle Vigne, che si suicidò, in un eccesso di egoismo, per essere stato calunniato a causa dell’invidia altrui trovando la sua giusta collocazione nell’inferno, (poiché venne allontanato dal cuore di Federico II). Sia Dante che Catone sono testimonianze del concetto della libertà come valore supremo, tema centrale del canto e motivo per cui sceglie proprio lui: mentre Catone è morto per la libertà, Dante è esule per lo stesso motivo. Si intende una libertà sia politica che morale. Dante si trova nell’antipurgatorio ove incontra Catone, che viene definito “veglio” (vs.31). Lo stile è più aulico rispetto a quello utilizzato per Caronte, traghettatore dell’Inferno, che venne descritto come un “vecchio”. Catone ha una lunga barba bianca ed i peli di questa sono “oneste piume” (vs.42) . La barba è simile ai suoi capelli, che aveva smesso di tagliarsi come simbolo di lutto per la guerra civile e della perduta libertà repubblicana. Il viso di Catone è illuminato dai raggi delle stelle simbolo delle quattro virtù cardinali da perseguire nel cammino verso la vita eterna, (prima viste solo da Adamo ed Eva): la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Durante il corso della sua vita, Catone, le ha raggiunte tutte, nonostante fosse nato prima dell’avvento di Cristo. La descrizione fisica di Catone somiglia a quella di Caronte; quest’ultimo aveva lanose gote e occhi fiammeggianti. Una differenza con Caronte sta nel linguaggio usato: Catone, infatti, parla in maniera attenta. Anche gli atteggiamenti sono diversi, Caronte assume un movimento frenetico: infatti batte col remo chiunque si adagi e grida continuamente alle anime. Inizialmente Catone pensa che Dante e Virgilio siano anime esuli dall’Inferno e li rimprovera. Dopo essersi inginocchiati, Virgilio spiega al custode che Dante è in viaggio, dunque è vivo e che lui, invece, risiede nel Limbo, di conseguenza non è sottoposto al giudizio di Minosse. Virgilio opera una sorta di Captatio benevolentiae sottolineando il fatto che le anime si purificavano sotto la sua autorità, conferitagli da Dio. Catone però si mostra impassibile alle lusinghe della Guida affermando di obbedire solo agli ordini divini. Virgilio fa riferimento anche a Marzia, la prima sposa di Catone; poi di Ortensio Ortalo e rimasta vedova, nuovamente ripresa da Catone. Virgilio tenta di convincerlo, affermando che se lui li ammetterà nel Purgatorio, parlerà con Marzia. Quest’ultima, dunque, è una mediatrice nel viaggio di Dante. Catone dice di averla amata tanto da aver fatto ciò che lei voleva ma ormai Marzia non ha più potere su di lui poiché risiede al di là dell’Acheronte. Catone, quindi concede il passaggio solo grazie a Beatrice, una donna del paradiso. Dopo aver fatto compiere ai due un rito di purificazione, Catone li fa passare. Il personaggio apparirà nuovamente alla fine del secondo canto del Purgatorio, esortandoli a purificarsi senza perdere tempo. 2)Spiega chi è Casella per Dante e che cosa rappresenta. Nel secondo canto è presente un nuovo personaggio, Casella. Fu un cantore e compositore nato a Firenze (o Pistoia) nel 1250 circa, che musicò canzoni di Lemmo da Pistoia e Amor che nella mente mi ragiona di Dante, del quale era un caro amico. Dante aveva un grande amore per la musica che nel canto sembra avere la funzione di pacificare le anime, conosceva molti degli strumenti musicali e nel Paradiso si parlerà perfino del suono dell’organo. Il secondo canto porta Dante a mettere in discussione il suo lavoro nel Convivio e a metterlo in contrasto con la Vita Nova. Casella morì poco prima del 1300. Per Dante, Casella rappresenta la Firenze della sua giovinezza nella quale vengono in primo piano i maestri e gli amici, compagni dei primi esercizi letterari e quella del periodo del dolce stil novo. Tra Dante e Casella vi è un riconoscersi affettuoso, l’interesse nel domandare la sorte dell'altro, il dialogo dal tono “piatto” tipico del conversare familiare e domestico, il desiderio di rinviare il momento della separazione. Il poeta, tra le anime che si erano accorte che egli fosse vivo, ne vede una che tenta di abbracciarlo. Dante capisce che è “un’ombra vana, fuor che ne l’aspetto” (vs.79). Questa situazione ricorda due episodi. Quello appartenente all’undicesimo canto dell’Odissea, che narra di quando Odisseo si reca nell’Ade e tenta di abbracciare per tre volte la madre, Anticlea. L’altro, dell’Eneide, in cui Enea, recatosi nell’Ade, tenta di abbracciare Anchise per tre volte ma non ci riesce. Come i due precedenti, anche Dante prova a stringere per tre volte l’anima ma questa si ritrae e gli chiede di fermarsi. Nel momento in cui l’ombra parla “soavemente”, parola usata per introdurre i lettori ad una musicalità tipica del purgatorio e del dolce stil novo, Dante capisce che si tratta del suo caro amico Casella. Il tema della seconda cantica è l’amore che si trova in tutto il creato e che viene da Dio, per questo l’utilizzo ricorrente del verbo amare (“t’amai” vs.88, “t’amo” vs.89). Casella spiega il motivo per cui ha tanto tardato, rispetto alla morte, ad andare in Purgatorio: Bonifacio VIII, nel Giubileo indetto nel 1300, aveva concesso le indulgenze plenarie per le anime purganti che una volta morte e riunite alla foce del Tevere venivano sottoposte al giudizio dell'angelo nocchiero che impediva il passaggio alle anime indegne che avevano ancora bisogno delle preghiere dei vivi e che dovevano fortificare il desiderio di vedere Dio. Dante prega Casella di eseguire la canzone commentata nel III trattato del Convivio, Amor che ne la mente mi ragiona che parla della filosofia, così da rallegrare l’anima del poeta. Anche se nel De vulgari eloquentia, Dante, nonostante riconosca che sia un esempio di stile elevato, capisce che la poesia deve rivolgersi a Dio e non deve contemplare la propria bellezza. Dante sembra contrastare il principio che l'aveva portato a scrivere Amor che nella mente mi ragiona. Il poeta mette in discussione la propria totale adesione alla filosofia temendo di diventare come Cavalcanti. Casella soddisfa la richiesta di Dante ma dal momento che la filosofia non può sostituire la teologia, Catone interviene rimproverando le anime che coinvolte dalla bellezza del canto, dimenticano il loro compito principale, quello di purificarsi. Dopo l’esortazione di Catone queste si affrettano verso il Monte per “spogliarvi lo scoglio ch’esser non lascia a voi Dio manifesto” (vs.122-123). 3)Indica quali sono i riti di purificazione a cui Dante si sottopone e che cosa rappresentano Flegias era rapida ma appesantita dal peccato degli iracondi e quella di Caronte, “Caron dimonio con occhi di bragia” (vs.109), in cui le anime infernali che trasportava erano disperate, urlavano ed erano picchiate col remo dal nocchiero. A differenza delle anime infernali, quelle del purgatorio, non urlano, bensì cantano il Salmo 114, motivo che fa muovere il “vasello snelletto e leggero”. Nell’Inferno, le anime sembravano avere un corpo e potevano essere toccate mentre nel Purgatorio, quando Dante tenta di abbracciare Casella, capisce che le anime sono immateriali. III CANTO Introduzione: //Dante e Virgilio lasciano la spiaggia dopo essere stati rimproverati da Catone, sono nell’Antipurgatorio e proseguendo si trovano davanti al monte del purgatorio. Dante nota una schiera di anime che viene verso di loro. I penitenti del primo balzo sono gli scomunicati, i quali sono stati banditi dalla Chiesa per un determinato periodo, la pena stabilita dalla legge del contrappasso è di rimanere fuori dal purgatorio 30 volte il tempo della loro scomunica, questo tempo può essere ridotto attraverso preghiere dei vivi e loro azioni. Come in vita furono ribelli, ora devono procedere lenti e docili come pecore. Virgilio da quando ha avuto inizio il loro cammino nel regno del Purgatorio ha dimostrato di essere insicuro, infatti nei versi 7-9 si sente in difetto poiché crede di aver rallentato il cammino di Dante dopo lo scontro con Catone. Virgilio fa un discorso sull’ingegno umano e sull’impossibilità di questo di raggiungere la piena conoscenza di Dio e facendo ciò china la fronte, questo suo gesto esprime allegoricamente l’umiltà della Ragione umana che si piega davanti ai propri limiti. Le anime che procedono verso di loro alla vista dell’ombra causata dal corpo di Dante indietreggiano. Virgilio spiega loro che il cammino di Dante è voluto direttamente da Dio e per questo loro devono aiutarlo a trovare la strada, tra queste si fa avanti una in particolare: è l’anima di Manfredi di Svevia, egli è il figlio di Federico II e della nobile Bianca Lancia di Agliano, Bianca diede a Federico due figli, Manfredi e Costanza. Egli crebbe alla corte di Palermo ricevendo l’educazione da Papa Innocenzo IV. Alla morte del padre era principe di Taranto e reggente del regno di Sicilia, Federico II era però sposato con Isabella d’Inghilterra, dalla quale ebbe Corrado IV che era impegnato in Germania, Corrado muore nel 1254 e il suo erede doveva essere Corradino, il figlio ancora un bambino, Manfredi approfittò della situazione mentendo sulla presunta morte del nipote facendosi incoronare re a Palermo. Per questo atto venne scomunicato da Alessandro IV e poi nel 1259 aggiunse alla scomunica l’anatema, ovvero lo scioglimento del giuramento di fedeltà da parte dei sudditi. Era capo del ghibellinismo italiano e prese parte alla battaglia di Montaperti contro i guelfi, la sua ostilità con la Chiesa crebbe sempre di più: il papa francese Clemente IV attacca Manfredi con Carlo d’Angiò accusandolo di aver usurpato il trono di Corradino. Nel 1265 Carlo d’Angiò fu incoronato Re di Napoli e sconfisse e uccise Manfredi nella Battaglia di Benevento del 1266. Manfredi si avvicina a Dante chiedendo di riconoscerlo: Dante indugia notando solo un graffio sul sopracciglio dell’uomo, a questo punto Manfredi fa vedere al poeta la ferita che ha sul petto rivelando la sua identità. Subito nomina sua nonna Costanza d’Altavilla che si trova tra i beati e sua figlia Costanza di Svevia. Il fatto che lui taccia sul ramo maschile della famiglia non è un caso, è con le donne che l’impero trova stabilità e grazie a loro si mantiene la validità con la Chiesa (perché la nonna si trova tra i beati), Federico II invece si trova tra gli eretici nell’Inferno essendo epicureo, movimento alla quale si unì anche Manfredi, lui ammette la gravità dei suoi peccati, per questo dopo essersi pentito in punto di morte prega Dante di riportare la sua situazione alla figlia Costanza così che lei possa pregare per lui accorciando la sua pena.// Dante e Virgilio dopo aver lasciato la spiaggia, dove hanno ascoltato la musica di casella si dirigono all’interno dell’isola e si trovano davanti ad una parete rocciosa molto ripida. Siamo nelle prime ore del mattino di Pasqua e in questo canto Dante incontrerà le anime degli scomunicati, coloro che invita sono stati banditi dalla comunità dei fedeli. Essi furono ribelli alla chiesa e si allontanarono da essa, tardando nel pentimento, così ora procedono lenti e docili come pecore. Il personaggio più importante che Dante incontrerà sarà Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II. È possibile suddividere questo canto in due parti: la prima incentrata sulla figura di Virgilio e la seconda sul colloquio con Manfredi. Nella prima parte viene messo in evidenza come Virgilio è rimasto turbato dalle parole di Catone E rivolge a Dante un discorso in cui espone l’importanza della ragione e limiti della conoscenza. Quale timore assale Dante all’inizio del canto? Cosa spiega Virgilio al discepolo per rassicurarlo? (rif. 16-45) Dante all’inizio del canto viene assalito dal timore di essere rimasto solo poiché dinanzi a lui vede solo la sua ombra. Virgilio premurosamente tenta di confortarlo: attraverso la figura del chiasmo egli afferma che il poeta non sarà abbandonato. L’autore dell’Eneide continua spiegando perché davanti a lui non si proietti nessun ombra: tutto è causato da una corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, non è dato agli uomini sapere come ciò avvenga ma questo permette a Virgilio di sentirsi parte dell’ordine divino. Partendo da questo comincia discorrendo sulle possibilità dell’ingegno umano e propone una riflessione sull’inadeguatezza della Ragione affermando che per il nostro intelletto non c’è nessun modo per conoscere il dogma della trinità. Gli uomini si devono accontentare di conoscere il “quia”, un termine che introduceva una complementare e nella filosofia scolastica rappresentava l’oggetto immediato della conoscenza. Questo termine si distingue dal “quare” , il grado più alto della conoscenza, infatti l’uomo non può arrivare né al “quid” né al “quomodo”. Se la ragione ultima fosse raggiungibile con l’ingegno, uomini come Platone Aristotele avrebbero potuto “vedere tutto“. Questi due grandi filosofi dell’antichità sono posti da Dante nel limbo e Virgilio nel parlarne sembra turbato: lui, che allegoricamente rappresenta la Ragione umana, deve accettare i propri limiti. Quale difficoltà Dante e Virgilio si trovano ad affrontare giunti ai piedi del Monte? (rif. 46-57) Una volta giunti ai piedi del monte, Dante e Virgilio si trovarono dinanzi a una roccia ripida che a confronto Lerici e la Turbia sono delle scalinate ampie e comode. Emerge da questi versi un altro errore da parte di Virgilio: egli sceglie una strada impraticabile, non sa salire sul monte E pensa di poter usare la ragione. È inoltre messo in evidenza un confronto tra Virgilio e Dante: mentre il primo guarda verso il passo Virgilio pone lo sguardo verso l’alto, sembra essere più pronto della sua guida. Descrivi gli atteggiamenti del gruppo delle anime alla vista di Dante e Virgilio e le parole di quest’ultimo (rif. 58-102) La folla di anime che in questo canto si presenta dinanzi ai due poeti e quella dei morti scomunicati. Questi ultimi procedono lentamente e Dante propone a Virgilio di chiedere loro un consiglio sulla strada da percorrere. Gli scomunicati sono coloro che per un periodo della loro vita furono ribelli alla Chiesa e si allontanarono da essa; essi sono costretti a rimanere in Purgatorio trenta volte il tempo della scomunica, a meno che questo periodo non venga abbreviato da preghiere. Le anime sono paragonate da Dante, attraverso una similitudine, ad un gregge di pecore. Questa immagine oltre ad essere ricorrente nei Vangeli, viene utilizzata da Dante anche nel convivio dove le pecore rappresentano uomini stupidi e ignoranti. Questo elemento sottolinea ancora una volta come la Divina Commedia sia la palinodia del convivio, come si era visto nel canto precedente con la canzone di casella. Si tratta di una rielaborazione del convivio che si ricollega al fatto che nel Purgatorio Dante racconta della sua gioventù. Virgilio alla vista delle anime confessa loro la motivazione per la quale il corpo di Dante rifletta un’ombra e Afferma che egli sta cercando di superare la roccia per volere divino. Così le anime indicano loro la direzione.è possibile notare una differenza tra le anime infernali e quelle del Purgatorio: quest’ultime non fanno domande, sono caratterizzate dalla dolcezza e si mostrano volenterose ad aiutare Dante. Chi è Manfredi? Per cosa è condannato? Quali sono le sue richieste? (rif. 112-145) Tra le anime si distingue quella di Manfredi di Svevia. Egli si mostra a Dante, che in un primo momento non lo riconosce. Manfredi fu il figlio di Federico II e alla morte del padre divenne reggente del regno di Sicilia per conto del fratellastro Corrado IV, Che insieme al figlio Corradino erano impegnati in Germania per tenere sotto controllo i feudatari tedeschi. Una volta morto Corrado, l’erede legittimo del regno doveva essere Corradino ma Manfredi non se ne curò e si fece incoronare re di Sicilia, dopo aver diffuso la falsa notizia della morte del nipote. Egli governò divenendo capo del ghibellinismo in Italia sulla scia delle orme paterne. Dopo una prima scomunica l’ostilità della Chiesa nei suoi confronti crebbe sempre di più: Clemente IV sollecito Carlo d’Angió alla discesa in Italia e mosse contro Manfredi. Si arrivò così alla battaglia di Benevento, nella quale Manfredi fu sconfitto e ucciso. Il suo cadavere fu fatto disseppellire e le sue ossa furono gettate via dal vescovo di Cosenza, come si era soliti fare con gli scomunicati. Nel corso della sua vita egli fu inoltre accusato, attraverso la diffusione di una falsa notizia dei Guelfi, di aver ottenuto il regno delle due Sicilia attraverso un inganno. Manfredi nel rivolgersi a Dante parla principalmente di donne e il fatto che citi Costanza d’Altavilla è per sottolineare che gli è garantito dalla nonna che si trova in paradiso. Il riferimento alle donne e completato dal ricordo della nipote; Dante sembra trovare una posizione tra queste due donne, instaurando una riconciliazione dell’impero con la Chiesa. Manfredi Riconosce i suoi peccati e afferma che la scomunica non gli toglie la possibilità di essere amato da Dio.egli infine chiede a Dante di raccontare alla figlia la condizione Del genitore e, Costanza infatti potrà pregare per lui ed aiutarlo nel cammino di purificazione. Dante è un esule come Manfredi e si sente legato a lui poiché entrambi hanno subito un’ingiustizia politica nascosta con la religione. IV CANTO Introduzione: // Dante e Virgilio raggiungono il passaggio che porta al primo balzo del monte. Ci troviamo nell’Antipurgatorio dove all’ombra di un masso vi è la seconda schiera di anime, questi sono i pigri che hanno aspettato troppo per pentirsi ed ora sono seduti all’ombra del altre anime sperando in un aiuto di Dante, viene fatta una similitudine con i vapori accesi che per la fisica del tempo erano le stelle cadenti che attraversano il cielo e i lampi estivi per indicare la velocità con cui queste anime accorrono. Attraverso le allitterazione della P e le consonanze dei due gerundi “pentendo” e “perdonando” al verso 55 sottolinea come queste anime siano state capaci di perdonare e pentirsi dei loro peccati, Dante dice alle anime che vuole portare per loro pace una volta tornato sulla Terra come lui ora sta percorrendo questo cammino per trovare la sua pace interiore, il tema della pace viene ripreso dal V canto dell’Inferno dove Francesca afferma che pregherà per Dante così che possa trovare quella pace che tanto desidera. Dante non riconosce nessuna delle anime come non aveva riconosciuto Francesca. Dante dà molta importanza al corpo, siamo ancora nell’antipurgatorio quindi si fa fatica a lasciare gli elementi terreni come abbiamo già visto con Casella che riunisce le anime con il canto. Il canto si conclude con la presentazione dell’ultima anima: Pia dei Tolomei, nata a Siena ella era sposata con Nello, signore guelfo del castello della pietra in Maremma. Misteriose sono le circostanze della sua tragica morte provocata probabilmente dal marito o per gelosia o perché voleva sposare Margherita degli Aldobrandeschi. Lo storico Benvenuto ad esempio ipotizza che un giorno mentre lei era affacciata ad una finestra del palazzo un servitore per ordine del marito la buttò giù provocandone la morte immediata. La donna non accusa il marito e parla a Dante con dolcezza, riprende ancora una volta il V canto dell’Inferno dove Francesca rappresenta un amore non andato a buon fine, ma riprende anche il V canto del Paradiso dove si parla di una donna che si sposa contro il suo volere perché voleva diventare suora, quindi ritorna la simmetria interna dell’opera. // Dante Virgilio si allontanano dalle anime dei pigri. Si trovano tra il primo e il secondo balzo dell'antipurgatorio. Una delle anime pigre vede l’ombra di Dante e la indica alle altre che stupite la fissano. Il tono con cui comincia il canto è più drammatico perché si deve adeguare alla morte violenta delle anime, morti in qualche modo legate alla politica e Dante sta preparando quello che è il tono del sesto canto: un canto politico per l’inferno, per il purgatorio e per il paradiso. Nel frattempo i due si imbattono in un nuovo gruppo di anime, che cantano un salmo e si interrompono anch’esse quando vedono che Dante fa ombra con il corpo. In questo canto Dante incontra i negligenti, morti di morte violenta. Questi ultimi si pentirono nell’ultimo istante della vita dei peccati commessi e perdonarono i loro assassini. Le anime di questa schiera sono costretta a stare nell’antipurgatorio un tempo pari alla durata della loro vita terrena; hanno inoltre bisogno di suffragi. Avendo ignorato per molto tempo la misericordia di Dio, ora la invocano cantando il Miserere, il salmo della quaresima e dei funerali. I personaggi principali del canto sono i tre exempla: Jacopo del cassero, Bonconte da Montefeltro e Pia Dei Tolomei. Virgilio nel V canto: Virgilio è irritato sia dall’atteggiamento pigro delle anime, sia perché pensa che Dante possa farsi condizionare e diventare pigro. Ciò è molto improbabile: Dante è motivato a voler seguire il proprio percorso. La vera ragione per cui Virgilio si adira si ritrova nel sentimento di inferiorità in cui il poeta si trova, egli sembra che cerchi un atteggiamento che possa essere adatto al Purgatorio, infatti pare che imiti Catone. Il tentativo che Virgilio fa è interessante poiché lo arricchisce dal punto di vista umano, egli non è solo l’allegoria della ragione: è un personaggio che ha le sue incertezze e che cerca di trovare delle strade. Virgilio è un personaggio storico con i suoi dubbi, è una “figura” (l’allegoria dei teologi che si basa su fatti storici). Virgilio non fa più da intermediario in maniera così forte come aveva fatto nell’Inferno, egli si trova “in ombra”. Il richiamo alla pace non è casuale, nel V canto dell’Inferno anche Francesca riprende il tema della pace. Francesca è stata uccisa violentemente come Pia de Tolomei. Nel Purgatorio sono presenti forti legami con l’Inferno, Dante adopera una simmetria tra le tre cantiche. All’interno di tutto il poema c’è una coerenza interna: la prima spia è rappresentata dal tema politico nei tre sesti canti. Da quali anime Dante si separa all’inizio del canto? Con quale motivo Virgilio gli rimprovera la sua indecisione? (rif. 1-21) Dante all’inizio del canto si separa dalle anime dei pigri a pentirsi, che ha incontrato nel IV canto. Una di queste esprime stupore alla vista dell’ombra di Dante e indicandola alle altre, lo fissano stupite poiché sono abituate ad essere trapassate dai raggi del sole. Virgilio, vedendo Dante esitare, lo esorta a proseguire dicendo di non rallentare il cammino. Egli deve comportarsi “come torre ferma, che non crolla giammai la cima per soffiar di venti“, attraverso questa similitudine dice al poeta che non deve fermarsi. L’autore dell’Eneide vuole sollecitare Dante a guardare al proprio scopo, ossi alla purificazione, senza ripensamenti e esitazioni. Quale nuova schiera di anime dell’antipurgatorio incontrano i due viaggiatori? Quale salmo stanno cantando? (rif. 22-24; 52-57) Tra il primo e il secondo balzo dell'antipurgatorio i due poeti si imbattono in un nuovo gruppo di anime: i negligenti, morti di morte violenta. Anche questi ultimi, come le anime dei pigri a pentirsi, rimangono stupite alla vista dell’ombra di Dante e camminando cantano “Miserere mei Deus”, il salmo cinquanta cantato per invocare la penitenza divina. Quest’ultimo è uno dei salmi penitenziali più drammatici della quaresima e dei funerali. La sua composizione è attribuita al re d’Israele David, che implorava così perdono per l’adulterio con Betsabea e per l’uccisione del marito di lei, Uria. Ancora una volta il purgatorio si dimostra essere il regno del canto corale come un modo per avvicinarsi all’armonia divina. Come reagiscono le anime alla notizia che Dante è un uomo vivo? Perché? Virgilio dopo aver comunicato che Dante è vivo ai due messaggeri, come “vapori accesi“, questi ultimi risalirono dalle altre anime per comunicare loro la notizia. Con un’altra similitudine il poeta descrive la schiera sfrenata che si reca verso i due poeti. Queste anime si recano da Dante per chiedergli di raccontare di loro una volta ritornato sulla terra poiché per la purificazione esse hanno bisogno di suffragi. Inoltre l’attenzione è concentrata su Dante poiché egli possiede ancora il corpo che invece queste anime hanno perso in modo violento. Riassumi il racconto di Jacopo del cassero (rif. 67-84) Una delle anime si avvicina chiedendo a Dante di ricordarsi di lei una volta tornato nel mondo dei vivi, si tratta di Jacopo del Cassero che nacque nel 1260 da una stimata famiglia. Il primo protagonista di questo canto è Jacopo del cassero. Nacque a Fano, nella marca antoniana. Tutto egli aveva combattuto con i guelfi contro i ghibellini di Arezzo contrastando i piani i espansionistici di Azzo VIII d’Este, signore di Ferrara, e dopo essere stato scovato dai sicari di quest’ultimo morì ferito all’inguine e a una gamba dissanguato. Si dice che Jacopo avesse diffuso calunnie contro il marchese provocandone l’odio e la vendetta, nel 1298 venne chiamato a Milano per ricoprire la carica di podestà. Nel percorso evitò di passare per il territorio nemico ma per tradimento dei padovani chiamati da Dante “Antenori”, ricordando l’Antenore, ovvero il luogo del nono cerchio dove erano inseriti i traditori della patria e del partito. Mentre era nel padovano venne sorpreso dai sicari di Azzo che lo ferirono facendolo morire dissanguato. Il suo corpo venne trasferito nella chiesa dove si trova oggi. Egli facendo riferimento alla cortesia di Dante e affinché i suoi parenti passano pregare per lui per espiare i peccati. L’anima è malinconica, non prova rancore nè un senso di vendetta. Prova pietà per sé stesso e per il proprio corpo che è mutilato. Il pentimento: il pentimento è anche perdonare chi ha fatto del male, la strada per la beatitudine è anche il riuscire a pacificarsi con se stessi, abbandonare le tensioni e i rancori. L’elemento è reso importante dai due gerundi “pentendo e perdonando” dalla allitterazione della P e dalla consonanza del nesso “nd”. Prima di pacificarsi con Dio è necessario pacificarsi con sè stessi. Riassumi il racconto di Bonconte da Montefeltro (rif. 88-129) Il secondo protagonista del canto è Bonconte da Montefeltro. Egli comincia il suo racconto da una domanda di Dante: quali sorte o forza ne ha disperso il cadavere durante lo scontro? Egli in seguito un’altra anima si rivolge a Dante augurandogli che egli possa compiere il desiderio che lo porta nel Purgatorio, si tratta di Bonconte da Montefeltro, capo ghibellino di nobile stirpe e figlio di Guido da Montefeltro che Dante stesso aveva incontrato tra i consiglieri fraudolenti nel 27 canto dell’Inferno. Quest’ultimo diventa un frate francescano per calcolo e aiuta Bonifacio VIII che nonostante le sue terribili azioni lo perdona, Dante invece non accetterà questo perdono. Era un comandante vittorioso che venne sconfitto nella battaglia di Campaldino nel 1289 nella quale morì. Intorno alla scomparsa del suo corpo dopo la tempesta che si abbatté sul campo sono sorte varie ipotesi ad esempio Dante afferma che il Diavolo stesso fece un intervento diretto sul corpo del generale. Nessuno si ricorda di lui, nemmeno la moglie Giovanna perché il ricordo delle sue azioni crudeli lo rende impresentabile. Anche nel 27° canto dell’Inferno vi è uno scontro tra un angelo e il diavolo per l’anima di Guido dove vince il Diavolo, il legame tra Guido e Bonconte è indice della simmetria all’interno della Divina commedia, come vediamo anche il diavolo può fare cose incredibili perché è comunque un angelo. Il tono di Bonconte è diverso da quello di Del Cassero, è più malinconico perché egli in vita si piegò troppo al volere religioso, Bonconte non voleva combattere nella battaglia in cui è morto, ci andò per obbedire al volere del vescovo. Il corpo di Bonconte viene distrutto dalla pioggia causata dal Diavolo che si vendica poiché l’angelo è riuscito a portarlo via, l’anima quindi esiste ancora ma il corpo è andato distrutto. dell’Acheronte dove si trovano le anime sepolte. La Sibilla però lo ferma, sottolineando il fatto che attraverso le preghiere non si possono modificare i decreti degli dei. Dante sà che le cose dette da un pagano come Virgilio non potevano far testo per un cristiano, ma, essendo convinto del fatto che la classicità anticipi alcuni elementi del cristianeismo, pensiero medievale, vuole che il suo dubbio sia risolto. Virgilio richiama Dante a quelli che sono i fondamenti della teologia a proposito della preghiera: non basta una semplice preghiera per portare a compimento tutti i peccati, l’altezza del giudizio divino non si abbassa così facilmente. La preghiera dunque aiuta ma non aiuta a passare dall’Antipurgatorio al Paradiso, soprattutto se fatta da un pagano poiché è lontana da Dio. Questo discorso sulla preghiera non può essere affrontato da Virgilio, che rappresenta la ragione, bensì da Beatrice, dunque con la teologia. E’ importante sottolineare il fatto che, nonostante ci sia qualcuno a pregare per queste anime riducendo il loro tempo nell’antipurgatorio o nel purgatorio, Dio non ha mutato la sua decisione: l’anima si purificherà a prescindere. Come nel sesto canto dell’Inferno, quello dei golosi, in cui con Ciacco viene fatta una invettiva contro Firenze, in questo sesto canto con Sordello viene fatta un’invettiva nei confronti dell’Italia, mentre nel sesto canto del Paradiso, con Giustiniano, l’invettiva sarà contro l’Impero. Dante parte dell’elemento politico più piccolo, la città, per arrivare a quello più grande, quindi l’Impero. Dante non capisce che l’impero non ha più ragion d’essere dal momento che iniziano a nascere gli stati. Il grande odio che prova nei confronti della monarchia francese è dovuto al fatto di essersi arrogata il diritto di gestire le vicende politiche, che nessuno le aveva dato, e che era dell’imperatore della Germania. Dante è legato, dunque, ad una visione anacronistica. Mentre è bastato che Virgilio dicesse “Mantova” perché Sordello lo abbracciasse, in Italia i cittadini sono l’uno contro l’altro e sono separati da mura e fossati, dunque dalle guerre civili. Né all’interno, né sulle coste, né sui mari c’è una città che sia felice e che possa vivere in pace, facendo riferimento agli scontri tra le città marinare. Nei versi 88-89 Dante affermando che Giustiniano ha “racconciato il freno” intende che egli ha costruito il corpus iuris civilis riordinando le leggi dell’Impero ma senza un imperatore queste leggi sono “inutili” poiché inapplicate. Se non ci fosse il freno, la vergogna sarebbe minore. Dante fa poi un’apostrofe al clero. Critica la donazione di Costantino, sulla quale il papa aveva basato il potere temporale, poiché questo, dal Vangelo, non può possedere i beni terreni. Dall’altra parte, l’imperatore non può regalare qualcosa che non è suo perché gestisce l’impero solo su ordine di Cristo. E’ giusto che ci sia l’imperatore così da impedire la cupidigia, egli non può peccare di cupidigia poiché sa che non sono gli appartengono. Fa poi un’apostrofe all’imperatore, Alberto d'Asburgo. La Germania era preoccupata per le lotte interne tra i feudatari e gli imperatori, terrorizzati di perdere il potere, sono rimasti lì, tentando di risolvere il problema, non occupandosi però dell’Italia, che è stata abbandonata e il cui potere temporale è finito in mano al papa. Per Dante la cultura pagana anticipa quella cristiana, infatti afferma che Giove è stato crocifisso, inteso come Cristo. Cita poi “Marcello”: potrebbe essere o Claudio Marcello, oppositore di Cesare e che voleva difendere la repubblica, o Marco Claudio Marcello, che voleva salvare la patria espugnando Siracusa. L’invettiva contro l’Italia si conclude con un’apostrofe ironica a Firenze. Il VI canto si chiude con l’immagine di una donna che in preda al dolore si muove nel letto, dunque una sofferenza di tipo fisico, mentre si era aperto con un’immagine di sofferenza morale. VIII CANTO E’ l’ultima parte dell’Antipurgatorio, anche detta “valletta dei principi”, ovvero un luogo bellissimo in cui sono presenti i principi che si sono pentiti in punto di morte. La valletta dei principi è come l’età dell’oro, un luogo in cui non ci sono problemi e dove il potere temporale è espresso nel modo migliore. L’incipit è uno dei più famosi della Divina Commedia. Dante comincia a dire addio al clima di lontananza forzata da Dio. Mentre all’inizio dell’Antipurgatorio c’era l’alba, in questo momento è arrivato il tramonto. Vi sono due figure importanti: i naviganti, coloro che viaggiano per lavoro, e i peregrini, che viaggiano per motivi spirituali. Questo è il destino delle anime dell’Antipurgatorio: successivamente dimenticheranno la terra, ma non avendo ancora iniziato la salita, sentono ancora nostalgia per la vita. Tutto l’Antipurgatorio è legato al concetto del corpo, che poi verrà dimenticato. Era normale nel medioevo pregare rivolti verso l’Oriente, dunque verso Gerusalemme da cui veniva la luce di Cristo. Il “te lucis ante” è un inno del IV secolo d.C. di Sant’Ambrogio con il quale si prega Dio di concedere una notte tranquilla. Importanti sono i termini usati in chiasmo “devotamente” e “dolcemente” per sottolineare la dolcezza. Quest’ultima è lo stato d’animo di abbandono a Dio, tipico dell’estasi: è una delle manifestazioni teopatiche, ovvero di percezione del divino, che Dante avrà all’interno del Purgatorio. Il legame con Dio non avviene soltanto attraverso l’estasi, ma anche per mezzo di sogni e visioni. Proprio la dolcezza è una delle caratteristiche della percezione con Dio. E’ la prima volta che Dante si lascia totalmente coinvolgere in un canto. Dante fa un appellativo al lettore, sottolineando la particolare importanza dal punto di vista dottrinale del passo. L’esercito è “gentile” e “umile”, aggettivi tipici dello stilnovo. Dante utilizza lo stile stilnovista poiché, dal momento che è adatto a rappresentare l’amore, Dante lo usa per rappresentare l’amore degli uomini verso Dio oppure, quando vuole sottolineare i passaggi che permettono alle anime di arrivare a Dio, si serve della musicalità del dolce stilnovo. Dante va al di là degli ideali dello stilnovismo, pensiamo a Beatrice che non è solo un angelo, anzi è beata, ma non rinuncia alle forme espressive tipiche di questo stile. Due angeli scendono per proteggere e tenere a bada la valletta dei principi dal serpente, dunque dalla tentazione. Non a caso il canto è il “te lucis ante” è un inno del IV secolo d.C. di Sant’Ambrogio con il quale si prega Dio di concedere una notte tranquilla. Ricordiamo un passo del Vangelo in cui Dio dice alle donne di mantenere la lucerna sempre accesa poiché è impossibile sapere quando arriverà la tentazione, soprattutto di notte. Dante, temendo l’arrivo del serpente, rimane gelato e si accosta a Virgilio. Il ghiaccio che ha colpito Dante è un’allegoria, infatti è tipico di Lucifero, che era inserito nel Cocito, un lago gelato. Si sottolinea ancora una volta che il male è ghiaccio per l’anima. Come in questo caso, spesso, tra le varie cantiche della Divina Commedia vi sono dei collegamenti creati da Dante stesso, così da creare una struttura il più unitaria possibile. Dante, oltre ad essere protetto dalla Ragione, è protetto anche dai due angeli che tengono spade infuocate ma troncate, dunque senza punta. Agli angeli infatti non servono le lame, essi non devono attaccare qualcuno, bensì devono difendere il luogo, inoltre la tentazione non può essere allontanata completamente, però sicuramente ci si può difendere. Gli angeli sono caratterizzati da tre colori: hanno le piume e il vestito verde, simbolo della speranza, tengono delle spade infuocate, dunque rosse, richiamando l’amore di Dio, e i loro volti sono bianchi, come la virtù, che però Dante non riesce a vedere poiché non ha ancora la purificazione che li permette di vedere la grazia di Dio. Speranza, carità e fede sono le tre virtù teologali. Nell’VIII canto, Dante si trova nell’ultima parte dell’Antipurgatorio: la valletta dei principi, un luogo bellissimo in cui si trovano i principi che si sono pentiti in punto di morte e che può essere paragonato all’età dell’oro, dove non ci sono problemi e dove il potere temporale è espresso nel modo migliore. Mentre all’inizio dell’Antipurgatorio c’era l’alba, nella valle è arrivato il tramonto. Qui, nonostante stia scendendo la notte, Dante riesce a riconoscere un uomo “gentil”, Nino Visconti. Egli è stato un guelfo, nipote di Ugolino della Gherardesca, esiliato più volte. Preso il potere a Pisa, il Conte Ugolino mandò Nino come giudice in Gallura, luogo in cui è morto nel 1296. Dante e Nino Visconti nella vita terrena si conoscevano bene ed erano molto amici. Nino, vedendo il Sommo poeta, pensa che egli sia morto ma nel momento in cui Dante gli confessa di essere vivo, provoca in lui e in Sordello un grande stupore sia perché era straordinario vedere un uomo vivo nel Purgatorio sia perché Dante è il rappresentante della Grazia divina. Da notare le opposte reazioni dei due: mentre Sordello si volta verso Virgilio chiedendo il motivo per cui non glielo avesse detto, Nino si mostra in preda all’emozione. Quest’ultimo chiede a Dante di ricordarlo presso la figlia e di fare in modo che questa preghi per lui così da ridurre il periodo in cui deve stare nel Purgatorio e nei vari gironi. Per questo motivo Nino può essere definito un esempio di amore paterno. La donna ha il ruolo di mediatrice: anche Costanza ha avuto lo stesso compito tra Dante e suo padre, Manfredi, e la medesima cosa farà Nella, moglie di Forese Donati, amico di Dante con cui ha scritto la tenzone. Inoltre Nino Visconti ricorda sua moglie, Beatrice d’Este che si era sposata, dopo essere rimasta vedova, con Galeazzo, figlio di Matteo Visconti, giovane particolarmente eroso e violento. Nino Visconti non serba rancore nei confronti della moglie, ha un atteggiamento assolutamente misurato: capisce che l’amore, se non è sostanziato dalla presenza, potrebbe svanire. Dunque Nino rappresenta anche un esempio di amore coniugale. Nonostante ciò, egli chiama la donna “femina”, termine dispregiativo usato per coloro che non capiscono l’amore. Finito di parlare con Nino, Dante rivolge lo sguardo al cielo, verso il Polo, dove le stelle si muovono più lentamente. Dante osserva le tre “facelle”, allegoria per le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) legate alla riflessione e alle domande che l’uomo si pone, fondamentali durante la notte quando la tentazione può cogliere gli uomini in modo ancora più improvviso. Dante chiede spiegazioni a Virgilio riguardo queste e riguardo i mutamenti del cielo. Virgilio gli spiega che le quattro stelle che egli aveva visto la mattina sul volto di Catone sono le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), tipiche dell’attività dell’uomo e che caratterizzano il giorno e che sono tramontate. Mentre le tre stelle che vede ora hanno preso il posto delle precedenti. Sordello avvicina a sé Virgilio indicandogli il serpente che si avvicina. Questo si prepara a sedurre gli uomini: la tentazione è subdola, insidiosa e nascosta. Gli angeli accorrono per proteggere il territorio velocissimi, vengono infatti paragonati a dei falchi, e la stessa velocità è quella che caratterizza anche Dio nel momento in cui l’uomo chiede il suo aiuto. Il serpente fugge e gli angeli tornano al loro posto. RIVEDERE: Mentre gli angeli erano intervenuti per mettere in fuga la tentazione, si avvicina un’ombra a Nino Visconti: è Corrado Malaspina, colpevole di un amore mal diretto, dunque eccessivo ma non nei confronti di Dio. La casata dei Malaspina non è stata turbata da effetti materiali come la borsa o la violenza: Dante mette in evidenza una società cortese. Il canto si chiude con un’ulteriore predizione fatta da Corrado Malaspina a Dante: gli preannuncia l’esilio del 1306. Come le profezie di Ciacco, questa è una profezia post-eventum. Dante si sveglia all’improvviso: se questo fuoco è il fuoco della purificazione e l’aquila è colei che lo porta, come una preda, verso l’alto, dunque a Dio, Dante non riesce a sostenere la visione di quest’ultimo e la sua grazia, di conseguenza si sveglia. In questo momento emerge un senso di smarrimento, Dante, infatti è turbato dal sogno che ha fatto. Virgilio non è più titubante e incerto sulla strada da prendere, come nell’episodio di Catone, anzi in questo caso riesce a confortare Dante e a dargli forza. Virgilio è consapevole del fatto che Dante deve entrare nel Purgatorio e deve intraprendere la salita al Paradiso. Dopo che Virgilio racconta a Dante l’accaduto, descrivendo Santa Lucia e l’aquila, il Sommo poeta è consapevole che il viaggio andrà bene: riprende coraggio e si muove. Anche in questo canto è presente un appello al lettore per sottolineare ciò che sta facendo e quando deve raccontare qualcosa di più importante. A differenza dell’Inferno, dove si deve parlare del male e dove si scende per i gradi della bassezza umana, nel Purgatorio si sale verso il Paradiso. Nei vari cerchi dei Purgatorio Dante mostra una grande abilità nel parlare di arte tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Scriptor dei”. Egli afferma di innalzare il tono. Nel Paradiso egli parlerà di filosofia e teologia, di conseguenza il suo linguaggio sarà più complesso. Quella presente nel IX canto è la terza citazione mitologica fatta da Dante: -(prima citazione mitologica) infatti il canto si apre con una perifrasi astronomica, presenti ogni qual volta ci sia un momento importante. In questo caso la concubina di Titone antico è l’aurora. Titone era un mortale che voleva l’immortalità, cosa che poi otterrà grazie all’amore di Aurora. Questa gli aveva donato l’immortalità ma non l’eterna giovinezza. Sul viso dell’aurora era presente la costellazione dello Scorpione. -(seconda citazione mitologica) al verso 14 Dante si rifà al mito di Procne e Tereo, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio: Tereo aveva violentato la sorella della moglie, Filomena, e l’aveva intimata di non parlare di questa violenza. Procne, venuta a sapere dell’accaduto, per vendicarsi della violenza subita dalla sorella, aveva dato le carni del figlio Iti in pasto al padre e marito, Tereo. I tre protagonisti del mito si trasformano in uccelli: Procne in rondine, Filomena in un usignolo e Tereo in upupa. -(terza citazione mitologica) al verso 23 Dante cita Ganimede. XIII CANTO Dante è passato sulla montagna del Purgatorio, ha le sette P sulla testa e man mano che passerà di girone in girone queste saranno tolte. Dante incontra, dunque, i sette peccati capitali nel seguente ordine; si parte dalla superbia e si passa all’invidia. Ogni girone è caratterizzato dall’incontro con le anime purganti, dalle immagini tratte dall’Antico testamento, dalla storia romana e dal Nuovo testamento che sono esempi di virtù opposta al vizio del girone e da altre riguardo quest’ultimo. E’ un’articolazione piuttosto complessa. Nella prima cornice, quella della superbia, vi era un marmo bianco inciso con dei bassorilievi, o “fornelle”. Invece nel XIII canto vi sono esempi della virtù opposta all’invidia, peccato che rende aride le persone che la provano e che colora con il livido le pareti della seconda cornice, ovvero la carità: il primo è rappresentato dalle nozze di Cana, dove Maria convince Gesù a trasformare l’acqua in vino, l’altro è tratto dalla storia mitologica di Oreste e Pilade, legato al principio evangelico “amate coloro da cui avete ricevuto il male”, in cui quest’ultimo si immola per l’amico, e infine il precetto evangelico tratto dal vangelo di Luca secondo cui bisognava amare i propri nemici, fare del bene a chi li odia, e pregare per coloro che li perseguitano. A differenza della prima cornice, in cui la vista era stimolata dalle fornelle, nella seconda cornice viene stimolato l’udito con parole suggestive di alcuni spiriti invisibili. (Nonostante ciò, la parola “invidia” contiene il termine latino “video”, nel senso di guardare in modo negativo.) Facendo così Dante stimola il lettore a compiere delle associazioni. La prima voce dice “vinum non habent”, qui è il lettore a dover fare un’associazione e a dover capire che si riferisce alle nozze di Cana, rappresenta l’amore in caso di difficoltà. La seconda “io sono Oreste”, ricordando il mito di Oreste, figlio di Clitemnestra e di Agamennone, che aveva ucciso la madre e che per questo era perseguitato dalle Erinni, ma nel De amicitia di Cicerone si racconta di Pilade, fedele amico di Oreste, in una situazione di pericolo, si sacrifica per lui, dunque si tratta dell’esempio più alto di amore. La terza voce ricorda il precetto evangelico del porgere l’altra guancia, facendo riferimento all’amore verso i propri nemici. La caritas viene ricordata anche in una lettera di Giovanni Apostolo, del nuovo testamento che dice “chi odia il proprio fratello è nelle tenebre”, mentre nel libro di Giobbe, dell’antico testamento, “gli invidiosi di giorno incappano nelle tenebre”. Questo fa capire la pietra livida che si va ad opporre alla luce del sole. Virgilio viene in soccorso a Dante che si è commosso alla vista della condizione degli invidiosi. Virgilio si orienta seguendo i raggi del Sole rifacendosi a ciò che gli aveva detto Catone, dunque di seguire sempre il Sole. Dante improvvisamente riesce a vedere le ombre che gli parlavano, esse indossavano mantelli dello stesso colore delle pareti. Questa gente si appoggiava l’una all’altra, elemento di contrappasso, alla parete del monte ed erano coperti da un panno ruvido, il ciliccio. Le anime erano cieche, per questo vengono paragonate da Dante ai ciechi sulla porta della chiesa, quando chiedono l'elemosina. Gli invidiosi dalle palpebre chiuse con il fil di ferro sono privati del sole poiché la grazia non è ancora giunta per loro. La pena è non diventare ciechi poiché si dice che l’invidia impedisca di vedere nel modo corretto. Addirittura i romani pensavano che gli invidiosi potessero gettare il malocchio, infatti durante i trionfi e le nozze vi erano le prese in giro del generale e della donna che si sposava proprio per invidia. Le lacrime che vanno a toccare il ferro con cui gli occhi erano cuciti provocano la ruggine, di cui Ovidio parla raccontando il mito di Aglauro, un esempio di invidia punita presente nel XIV canto. San Cipriano, uno scrittore, dice che l’invidia è una ruggine che corrode occhi e cuore. Le anime risolveranno la schiuma della loro coscienza trascorrendo un certo quantitativo di anni all’interno del cerchio e quando saranno immerse nei due fiumi del paradiso terrestre, Lete e Eunoè. Importante è il verso 74 infatti trattandosi dell’invidia, del vedere e del non vedere Dante si preoccupa di essere sleale: egli vede i penitenti ma non è visto da solo. Il concetto dell’invidia si ritrova nel XIII canto dell’Inferno in cui si parla di Beatrice, “la meretrice che mai da l’ospizio di Cesare non torse li occhi putti”, per spiegare il motivo per cui Pier delle Vigne è stato ucciso da Federico II a causa dell’invidia dei cortigiani (simmetria interna). Dante è passato sulla montagna del Purgatorio, ha le sette P sulla testa e man mano che passerà di girone in girone queste gli saranno tolte da un angelo. A differenza della prima cornice, in cui la vista era stimolata dalle fornelle, nella seconda cornice viene stimolato l’udito con parole suggestive di alcuni spiriti invisibili. Dante improvvisamente riesce a vedere le ombre che gli parlavano, esse indossavano mantelli dello stesso colore delle pareti. Questa gente si appoggiava l’una all’altra, elemento di contrappasso, alla parete del monte ed erano coperti da un panno ruvido, il ciliccio. Le anime sono cieche, per questo vengono paragonate da Dante ai ciechi sulla porta della chiesa, quando chiedono l'elemosina. Gli invidiosi dalle palpebre chiuse con il fil di ferro sono privati del sole poiché la grazia non è ancora giunta per loro. La pena è diventare ciechi poiché si dice che l’invidia impedisca di vedere nel modo corretto. Dante si rivolge alle anime degli invidiosi chiedendo se potesse rendersi utile attraverso le preghiere. Tra queste vi era la senese Sapia, che si definisce “peregrina”, nel senso di “estranea”, poiché l’invidia priva gli uomini della possibilità di fratellanza infatti chi è invidioso sulla terra non riesce a sentire nessuno come fratello. L’invidia è il peccato diabolico per eccellenza: è il motivo per cui Lucifero ha fatto peccare l’uomo, essendo invidioso di Adamo che poteva rimanere sul paradiso terrestre. L’altro peccato di invidia è quello di Caino e Abele: il primo uccide il secondo per invidia dell’amore nei confronti di questo, non a caso sarà un altro degli esempi di invidia punita citati nel XIV canto. Sapia si manifesta soltanto al verso 94: rispetto agli altri canti, questo è un incontro ritardato, principalmente perché Dante non riusciva a distinguere le anime livide e appoggiate l’una all’altra. Sapia è il secondo personaggio femminile all’interno del Purgatorio dopo Pia de’ Tolomei, nella seconda cornice del V canto. Entrambe le donne si trovano nella seconda cornice: il numero due, secondo la simbologia medievale, rappresenta la diade, ovvero il corrispettivo femminile della monade. Il nome di Sapia contiene un gioco di parole, “sapio” in latino significa “essere saggio”: infatti ella afferma di non essere stata saggia nonostante il suo nome. Sapia nella sua vita terrena era invidiosa dei concittadini, dunque aveva pregato Dio affinchè essi non vincessero contro i fiorentini: e così fu. Sapia si pentì in punto di morte e starebbe ancora scontando la sua pena se Pier Pettinaio, un venditore di pettini, non avesse pregato per lei abbreviandole la penitenza, forse perché quest’ultima aveva lasciato nel testamento l’eredità ad un ospizio che il marito aveva fatto costruire, dunque si era dedicata anche ad azioni benefiche. Il canto si chiude con una riflessione di Dante sull’invidia e sulla superbia: egli dovrà stare tra gli invidiosi, ma sicuramente trascorrerà maggior tempo presso i superbi che hanno come punizione quella di essere gravati da alcuni massi sulle spalle. Dante, al suo ritorno, chiederà ai parenti di Sapia di pregare per lei. Sapia ricorda un’idea folle dei senesi: essi speravano di far diventare Talamone un porto e solo in un secondo momento avevano scoperto che non era un luogo adatto poiché su tutta la costa della maremma c’era la malaria, ma nel frattempo avevano iniziato i lavori. Altro progetto folle è il credere che sotto la città di Siena scorresse un fiume poiché essi avevano problemi di approvvigionamento idrico, quindi c’era la speranza di trovare un fiume e questo ha provocato la presa in giro dei toscani. Per questo i senesi sono “gente vana”. Nel canto di Sapia emergono i risvolti personali dell’invidia, mentre in quello successivo si parla dei risvolti politici dell’invidia, ovvero l’individualismo, citando Guido del Duca e Rinieri da Calboli. Il girone del cerchio dell’invidia si chiude con il ricordo di esempi di invidia puniti tra cui Caino e Abele e Aglauro, figlia del re di Atene, trasformata in sasso da Mercurio poiché invidiosa dell’amore per la sorella.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved