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Appunti integrato al libro introduzione all’archeologia (Bianchi Bandinelli), Appunti di Archeologia

Appunti integrati al libro introduzione all’archeologia come storia dell’arte classica di Bianchi Bandinelli

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 26/01/2023

KatiaGarofalo2003
KatiaGarofalo2003 🇮🇹

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Scarica Appunti integrato al libro introduzione all’archeologia (Bianchi Bandinelli) e più Appunti in PDF di Archeologia solo su Docsity! Introduzione all'archeologia classica come storia dell'arte antica Introduzione La parola archeologia può suscitare una reazione di fastidio per le cose polverose, per questioni obsolete e troppo estranee al mondo odierno, oppure una sensazione di romantico entusiasmo per un passato sempre un po’ misterioso. Sia l’una che l’altra di queste reazioni è frutto di un malinteso. L’archeologia ha subito negli ultimi cinquant’anni trasformazioni profonde nel metodo e nel suo fine. La parola archaiologhìa la troviamo negli autori antichi con il senso letterale di «indagine sulle cose del passato». Tucidide TUCIDIDE affermava che è ARCHEOLOGIA l’informazione che noi deduciamo da un preciso evento storico ovvero dedurre l’evento storico dal dato materiale. Storia dell’arte antica nel Settecento -Nel ‘700 c’è una grande conoscenza delle BELLEZZE DEL MONDO ANTICO riferite o alla bellezza delle STATUE o al FASCINO DELLE ROVINE. -Nella seconda metà del ‘700 si va alla ricerca dell’ESSENZA dell’arte che è la bellezza assoluta. -Anche durante l’ILLUMINISMO, c’era una sorta di SCETTICISMO nei confronti dell’ANTICO. Diderot DIDEROT, un FILOSOFO ILLUMINISTA, affermava “BEATI GLI ANTICHI CHE NON AVEVANO LE ANTICHITÀ”. Winckelmann (1717-68) -WINCKELMANN è importante perché è considerato uno dei fondatori del neoclassicismo ed è il primo che si pone delle questioni critiche sulla STORIA DELL’ARTE ANTICA: disprezzava completamente l’arte romana poiché era solo decadenza, una riproduzione artistica di secondo piano e pensava che i romani abbiano copiato i greci, anche in malo modo. -Scrisse “STORIA DELLE ARTI DEL DISEGNO PRESSO GLI ANTICHI” (1764), la sua opera più importante. Nell’opera Storia delle arti e del disegno presso gli Antichi di J. J. Winckelmann, intende costituire l’atto di nascita della moderna archeologia: da allora l’archeologia ebbe come scopo lo studio dell’arte classica, anche se il pensiero di Winckelmann venne frainteso. Si ebbe però il grande salto di qualità che portò gli studi di antiquaria, da mere esercitazioni di erudizione fini a sé stesse ad una prima ricerca e distinzione cronologica di varie fasi dell’arte del mondo antico e alla ricerca di leggi che presiedessero il raggiungimento della Bellezza assoluta nell’Arte. L’antichità cessò di essere considerata un tutto omogeneo e si introdussero negli studi due esigenze di ricerca: una storicistica e l’altra di definizione estetica. Fu la seconda esigenza a prevalere sulla prima, creando un’incomprensione verso tutto ciò che non corrispondeva ai canoni del neoclassicismo. La tanta autorità data a quei canoni non permise a questi di mutare nemmeno quando fu chiaro che la scultura antica, dalla quale questi erano stati desunti e formulati, era costituita dalle copie, più o meno fedeli, delle opere che la tarda cultura ellenistica aveva ritenuto nobili e degne di riproduzione. Si continuò a studiare l’arte greca tramite copie realizzate per collezionisti dell’antica Roma, e di questa via si continuò anche dopo la scoperta degli antichi centri dell’Asia minore e della Grecia, che portarono alla luce opere originali della scultura greca. L’archeologia venne intesa come storia dell’arte greca, basata sulle fonti letterarie, appariva quindi figlia della filologia . Lo scavo archeologico era invece inteso soprattutto come recupero di pezzi da collezione. L’archeologia sette-ottocentesca venne superata tramite due fattori: dallo storicismo che si andò affermandosi negli ultimi venti anni dell’Ottocento e dall’accresciuta importanza dell’indagine sulla preistoria. Lo storicismo apparì negli scritti del massimo rappresentante della «scuola viennese», Alois Riegl. Nel suo volume sulla Industria artistica tardoromana egli si oppose alla comune opinione che vedeva l’arte successiva all’età degli Antonini come fenomeno di irrefrenabile decadenza, dimostrando come questa andasse considerata come espressione di un diverso «gusto» e di una diversa volontà artistica. Tuttavia il linguaggio di Riegl apparve insolito agli archeologi di stampo winckelmanniano. Ci vollero molti anni perché l’impostazione data dalla scuola viennese venisse accolta, e molti altri ancora ce ne vollero perché ci si accorgesse che l’impostazione idealistica di Riegl non era sufficiente a spiegare una rottura nella tradizione artistica ellenistica. La sua opera Storia delle arti del disegno presso gli antichi, oggi naturalmente superata, ha il merito di aver trasportato lo studio dell’arte antica verso concetti più generali, che fossero di guida alla ricostruzione del tessuto cronologico dell’arte antica. Il fine di Winckelmann era quello di rintracciare le leggi che regolano la perfezione di un’opera d’arte e ne fanno un esempio di bellezza: si tratta della ricerca dell’Estetica assoluta, basata sulla supposta perfezione delle opere antiche. La comprensione dell’opera d’arte ha inizio attraverso la fissazione cronologica di quest’ultima, e nel campo antico la ricostruzione è più difficoltosa rispetto ad altre epoche, trattandosi a volte di oscillazioni di secoli. Al tempo di Winckelmann l’arte antica si presentava come un ammasso di opere di scultura composto da statue frammentarie, sarcofagi e i rilievi che li ornavano; questi venivano trovati soprattutto per caso, senza che venisse attribuita loro una datazione e senza che si documentasse il contesto di ritrovamento. Fanno eccezione opere di età imperiale romana databili per sé stesse, come le colonne di Traiano o di Marco Aurelio. Le opere d’arte antica apparivano come un blocco di creazione «degli Antichi», senza che venisse fatta alcuna distinzione anche solo fra i secoli della Grecia e i secoli di Roma. Occorreva quindi un criterio per stabilire una cronologia. Le fonti antiche, prima fra tutte la testimonianza di Plinio, riferivano la cronologia dei maggiori artisti, ma occorreva identificare le opere di questi artisti. Ancora più complicato era il problema perché le statue ritrovate a Roma, o almeno la maggior parte, non erano originali, ma copie di età romana di originali greci oggi perduti, e di questo Winckelmann non ne era a conoscenza. Ad Atene e a Roma si era formata una specie di industria specializzata nel produrre copie. Tali copie avevano funzione puramente decorativa, riflesso di uniformità a tutte le opere più famose e spesso ripetute senza più rifarsi all’originale. Il principio secondo il quale era possibile usare il criterio dell’analisi stilistica per fondare una cronologia non era ancora sorto, esso sorse dai criteri proposti da Winckelmann, ma occorse quasi un secolo perché esso venisse riconosciuto. Fu Winckelmann ad adottare per la prima volta il criterio stilistico e a soffermarsi sull’indagine formale delle opere d’arte, distinguendo quattro grandi divisioni: lo «stile antico», lo «stile sublime» (da Fidia in poi), lo «stile bello» (da Prassitele a Lisippo ma comprende le opere del periodo ellenistico) e il periodo «della decadenza». Oltre che stabilire questa divisione, Winckelmann ricerca e coordina le notizie sulle opere d’arte tratte dalle fonti letterarie, anche da quelle che all’arte fanno solo riferimenti casuali, il cui valore per la ricostruzione dell’arte antica è innegabile. L’elemento innovativo della ricerca di Winckelmann fu il principio fondamentale che porta lo studioso a capire l’intima essenza dell’opera d’arte. Il criterio estetico di Winckelmann rimase immutato fino al XX secolo. Con il dominio prima di Filippo II di Macedonia e di Alessandro e poi con il dominio di Roma si cerca di rievocare l’arte del V secolo a.C., ricordo di potenza e di libertà. Gli autori dei quali si son valsi Plinio e Pausania, non parlano quasi mai dell'arte a loro contemporanea. Questo stato delle cose ha contribuito al perdurare del concetto stabilito dal Winckelmann che la storia dell’arte antica avesse avuto uno svolgimento parabolico, che tocca il suo culmine nel periodo «Aureo» con Fidia, per poi decadere. Di Fidia però all’epoca non si conosceva nulla, era un’entità astratta e magnificata dalle fonti letterarie per lo Zeus di Olimpia e la Athena del Partenone. Molti equivoci sono nati proprio dal persistere di tale concezione, tra cui il più comune è quello che l’arte greca sia volta all’idealizzazione del vero, mentre è evidente che l’arte greca è stata più di ogni altra arte del mondo antico alla ricerca di un sostanziale realismo. Nel ‘700 Friederich Schlegel scrive su Winckelmann «Per misticismo estetico Winckelmann ha errato e solo in questo egli ha trovato seguito». Per misticismo estetico si intende il fatto che Winckelmann ha visto l’arte greca attraverso un processo di idealizzazione dell’arte stessa, creando dei modelli di astratta perfezione, analogo al mondo delle idee di Platone. L’impostazione mistica di Platone fu eretta quindi a sistema: l’arte greca venne fatta corrispondere al mondo delle idee di Platone. Da qui discende la conseguenza che solo le opere d’arte che rispecchiano questo ideale di bellezza sono da considerarsi opere di arte greca, tutte le altre sono considerate una preparazione per arrivare a tale ideale o una manifestazione di decadenza. Giusta è anche la considerazione di Schlegel che proprio quest'unica tra le idee di Winckelmann è stata largamente seguita, mentre si trascurò la sua esigenza che la storia dell'arte dovesse approfondire il concetto essenziale dell'arte stessa. La prima edizione dell'opera fondamentale del Winrkelmann Geschichte der Kunst der Alterthums fu pubblicata a Dresda nel 1763 e nel 1783 venne pubblicata per la prima volta in traduzione italiana con il titolo Storia delle arti del disegno presso gli antichi. Il primo libro parla delle origini delle arti e delle loro differenze presso le varie nazioni. Dopo avere dedicato il secondo libro alle arti del disegno presso gli Egizi, i Fenici ed i Persiani, nel terzo studia le arti del disegno presso gli Etruschi ed i popoli confinanti, considerando più arcaica e primitiva l'arte etrusca di quella greca. Nel quarto libro studia le arti del disegno presso i Greci e l'idea del Bello da esso rappresentato; nel quinto libro il Bello viene considerato nelle varie figure dell'arte greca, cioè come e quanto questa idea sia stata realizzata nelle singole opere. Nel sesto libro tratta del panneggio, con uno studio di carattere formale e antiquario al tempo stesso. Il libro settimo è dedicato alla parte tecnica: meccanismo della scultura presso i Greci e loro pittura, mentre il libro ottavo offre una sintesi «dei progressi e della decadenza dell'arte presso i Greci e presso i Romani», analizzando i tre momenti dello stile antico, dello stile sublime e della decadenza. Nel libro nono traccia il percorso della storia dell'arte presso i Greci dai suoi presunti inizi fino ad Alessandro il Macedone, nel decimo la storia delle arti del disegno da Alessandro fino al dominio dei Romani in Grecia, e nei libri undicesimo e dodicesimo considera la storia dell'arte greca presso i Romani dai tempi della Repubblica «fino all'intero decadimento». Si parlerà di arte romana col Wickhoff, nel 1895, che sottolineerà come quest’arte presenti elementi autonomi ed originali. Si aprirà allora un nuovo periodo degli studi di storia dell’arte antica, alla base del quale però sorgerà un nuovo equivoco. 3. L’archeologia filologica La filologia come indagine e sistemazione dei testi letterari e della loro trasmissione manoscritta sorge nel mondo moderno, nel 1777, quando Friedrich August Wolf ottenne di essere immatricolato all’università di Gottinga come Studiosus philologiae. La filologia si affermò in Germania e si divise in due grandi rami: la grammatica comparata e la critica dei testi. Fu il metodo sviluppato per la critica dei testi quello che indirizzò la ricerca archeologica volta a ricostruire la storia della scultura greca. -L’ARCHEOLOGIA FILOLOGICA nasce in GERMANIA nel 1830 ed in questo periodo essa era molto appassionata all’ARTE ANTICA dato che si considerava EREDE DEL MONDO CLASSICO. -In questo periodo nasce anche il romanticismo e su questa scia appunto si diffonde l’apprezzamento per il mondo antico. -Lo scopo principale dell’archeologia filologica è l’IDENTIFICAZIONE DELLE OPERE. È proprio la scuola filologica a scoprire che Winckelmann non aveva mai visto originali greci. Da questo momento per oltre un secolo l’archeologia diviene una scienza diretta dalle scuole di studiosi tedeschi. La Germania vide in sé stessa l’erede diretta della civiltà greca, perciò lo studio delle antichità greche fu ampliamente favorito dallo Stato prussiano. In questo periodo ci si volge con metodo critico allo studio dei testi antichi e se ne traggono tutte le notizie relative ad artisti, tentando di correggere filologicamente i testi corrotti. Da questo doppio processo deriva l’ipotesi che si hanno due serie di opere: da una parte le copie romane di originali greci, probabilmente delle opere più apprezzate, dall’altra una serie di opere e di grandi artisti descritti nelle fonti. Il problema che si pone agli studiosi è quello di identificare le une nelle altre, mettendo d’accordo fonti e monumenti. L’apoxyomenos (Lisippo) La prima identificazione, fatta tramite il confronto tra le copie conservate e le notizie delle fonti, fu quella dell’Apoxyomenos di Lisippo. L’identificazione dell’Apoxyomenos insegnò che le statue in bronzo potevano essere copiate in marmo, ma che qualche traccia vi rimaneva. -l’APOXYOMENOS è una statua che raffigura un ATLETA CHE SI DETERGE in cui sulla MANO DESTRA ha lo STRIGELE per pulirsi. -LISIPPO (scultore di ALESSANDRO MAGNO) è l’autore di questa statua ed è in BRONZO perché è un bronzista secondo le fonti. Procedendo con sistema analogo a quello del Friederichs altri studiosi cercarono di identificare numerose copie con gli originali descritti dalle fonti. Una parte maggiore dell'archeologia dell'Ottocento è impegnata in questo lavoro con tanto zelo e con tale passione, che si finì per studiare più le copie di età romana che gli stessi originali che venivano messi in luce nello stesso periodo dalle varie campagne di scavo. Il pericolo maggiore di tale impostazione degli studi era dato dal fatto che si finiva per ricostruire l’arte greca attraverso le copie, trascurando gli originali. Questa impostazione degli studi di arte greca possono dirsi Filologici non tanto perché parte dalla fonte letteraria e non dall’opera d’arte; ma perché, come per un testo antico, si cerca di stabilire la versione migliore, più prossima al testo originale. Questo metodo ha avuto due effetti: quello di concentrare la ricerca sulle copie a tal punto da trascurare gli originali dell’arte greca (tra cui il frontone del Partenone), e quello di perdere di vista lo studio della qualità artistica dell’opera a per comprendere invece l’iconografia artistica. Attraverso questa ricerca e lo studio delle varie copie romane si può infatti stabilire l'iconografia, cioè l'aspetto esteriore dell'originale greco; ma ciò non serve per studiare il linguaggio formale dei singoli artisti. Anche per la pittura antica si cadde nello stesso equivoco, quando si pretese di ricostruire la pittura classica tramite la pittura di età romana detta «pompeiana». La ricostruzione del Doriforo di Policleto da parte di Friederichs stabilì un punto importantissimo, si raggiunse una rappresentazione concreta dell’aspetto che aveva avuto la statuaria policletea, permettendo la classificazione di molte sue statue; ma quanto questa o le altre copie conservassero dell’arte oltre che dell’iconografia polic letea nessuno se lo chiese. La scuola filologica riconobbe in una serie di quadri, inseriti come pitture decorative nelle pareti delle case di Pompei, delle riproduzioni di pitture originali greche che in parte corrispondevano a quelle descritte dalle fonti. Quello che veniva trascurato era il contesto in cui queste pitture erano prodotte, e che si potevano ricostruire non tanto le singole pitture perdute, raramente copiate con fedeltà, quanto i problemi formali affrontati dalla grande pittura greca. Si tentò di ricostruire gli originali attraverso le copie, ma senza prima aver approfondito i problemi formali affrontati dalla pittura dal VII al III secolo a.C. Questo lavoro si basò su alcuni criteri che poi sono apparsi fallaci. Si partì dal concetto che nella pittura greca non potessero esserci sfondi paesistici. Seguendo questo concetto si affermava che gli sfondi delle pitture pompeiane erano aggiunte romane. Per tentare di ricostruire dalle copie gli originali greci non ci si curò si utilizzare le copie per comprendere il gusto dell’età romana. Le tecniche di riconoscimento della pittura MEDEA è molto rappresentata sia nelle case di ERCOLANO che a POMPEI poiché il suo era uno dei racconti molto esposto. Stessa cosa anche per TESEO, eroe ed artista molto amato dai GRECI, proprio perché spesso presente. E dunque proprio perché notavano figure spesso presenti, allora associavano la figura alla persona rappresentata. Nessuna opera d’arte può comprendersi effettivamente se la sensibilità e la cultura di chi studia l’opera non consentono di sentire viva la problematica e il contesto che portarono alla creazione dell’opera. Una delle conseguenze dell’equivoco winckelmanniano fu quella di considerare l’arte greca come idealistica, che rifugge dalla realtà. In realtà l’arte greca affronta la realtà ed è l’unica del mondo antico che scopre alcune norme che saranno poi fondamentali per l’arte europea: lo scorcio, la prospettiva ecc. 4. Le fonti letterarie Anche le grandi campagne di scavo dell’Ottocento imponevano la necessità di una buona conoscenza delle fonti letterarie. Queste ultime sono molte, dirette ed indirette. Le fonti dirette sono costituite da scrittori che si sono occupati di cose d’arte, mentre quelle indirette contengono casualmente richiami alle opere d’arte antica o all’autore, oppure vi sono espressi giudizi critici. Le fonti più importanti ed ampie sono la Naturalis Historia di Plinio e la Periegesi della Grecia di Pausania. Le altre fonti sono state raccolte e pubblicate da Overbeck nel volume Le fonti letterarie antiche per la storia dell’arte greca e romana, ancor oggi un testo molto valido. Si tratta però di una raccolta di passi e frammenti dove sono citate le opere d’arte o gli autori, va quindi usata con prudenza perché spesso nel contesto dell’opera il passo acquista un significato ben preciso della mera menzione. Plinio PLINIO è una fonte INDIRETTA, uno SCRITTORE LATINO del 1º SECOLO D.C. La Naturalis Historia di Plinio il Vecchio ha come intento raccogliere notizie e dati relativi a tutto il mondo della natura. Egli raccoglie ben 20.000 notizie tratte dalla lettura di circa 2.000 volumi. I libri della Naturalis Historia che interessano particolarmente a chi si occupa di storia dell’arte antica sono il XXXIV, il XXXV e il XXXVI, nei quali, trattando di pietre e di marmi e della loro natura, tratta di scultura; parlando dei metalli, tratta del bronzo e delle tecniche di fusione; parlando delle terre colorate, tratta di pittura. In questi volumi egli raccoglie ciò che nel suo tempo è conservato sulle arti figurative. Bisogna ricordare che Plinio riferisce le informazioni che ha trovato nei testi, talvolta manifestatamente senza capirle. Spesso si trova ad avere a che fare con espressioni retoriche del tardo ellenismo, che ha trattato talvolta latinizzando le desinenze, in altri casi cercando termini nuovi, i quali hanno dato luogo ad equivoci. L’uso di basarsi sulla Naturalis Historia di Plinio ha favorito il perdurare della visione mitica della storia dell’arte winckelmanniana: la visione estetica che dette alla storia dell’arte e l’impostazione neoclassica trovano conferma nell’opera pliniana, che è basata su scritti del tardo ellenismo, quando nella cultura greca si era formata una visione nostalgica del passato e delle antiche glorie. Tali fonti mettevano in particolare risalto gli artisti del V e del IV secolo a.C., ignorando i loro contemporanei. Una delle fonti principali usata da Plinio per le sue trattazioni sull’arte è Apollodoros, un grammatico ateniese del periodo ellenistico (4º e 3º secolo a.C.) che dedica la sua opera al re di Pergamo, Attalo II Philadelphos, che elenca avvenimenti e personaggi dalla guerra di Troia al 144 a.C., inserendo anche biografie di artisti celebri. Apollodoros fu uno dei maggiori rappresentanti del movimento classicistico, esaltando le opere di Fidia e di Prassitele e marcando una parabola discendente da Lisippo in Poi. Tra le fonti di Plinio c’è anche Xenokrates, scultore e scrittore ateniese, discepolo di Lisippo. Per lui, Lisippo rappresenta il massimo punto d’arrivo dell’arte greca, ma da Lisippo deriva la spinta iniziale verso lo stile ellenistico. C’è quindi uno sfasamento tra le opinioni di Xenokrates e di Apollodoros. Lisippo ci mostra una posizione del tutto nuova nel corso dell'arte antica, e proprio in questo contrasta con i valori esaltati dalla critica neoclassica. In un passo Plinio afferma che l’arte morì dopo il 296-293 a.C. e rivisse tra il 156 e il 143 a.C. La morte dell’arte corrisponde al pieno ellenismo e la sua rinascita all’inizio del movimento classicistico. Anche se queste fonti fossero contemporanee alle opere non è detto che il giudizio sia criticamente esatto: siamo noi che dobbiamo dare un nostro giudizio, valido anch’esso per il nostro tempo. Questo giudizio critico deve poi farsi storico mediante la ricostruzione del processo di produzione di un'opera d'arte, nella quale entrano e assumono valore tutti gli elementi della realtà storica del tempo: elementi tecnici ed economici, tradizioni iconografiche e di scuola, genialità e sensibilità personale dell'artista, regole e indicazioni provenienti dai committenti e dalla loro situazione sociale e storica in quel momento e in quel luogo. Pausania L’altra fonte per la conoscenza dell’arte antica è Pausania, scrittore greco, che visse nel II secolo d.C. nel periodo romano. La sua opera rientra in un genere di scritti del tardo ellenismo, si tratta della descrizione di viaggi, guide per il forestiero che visitava i grandi santuari o le città greche. Nell’età del tardo ellenismo, la Periegetica divenne un genere coltivato da molti, con quelle tendenze retrospettive tipiche del mondo ellenistico, nelle quali rientrava il desiderio di raccogliere il patrimonio del passato. Della Periegesi della Grecia di Pausania ci restano dieci libri, privi di proemio e di chiusura, stando ai riferimenti presenti nel testo i volumi sono stati redatti tra il 143 d.C. e il 175 d.C. Quest’opera segue un ordine geografico molto chiaro: si comincia dall’Attica, passando per il Peloponneso, l’Arcadia, la Beozia, la Focide, e la Locride. Pausania offre la conoscenza dei luoghi e dei monumenti, da cui ricava il pretesto per ricapitolare la storia della Grecia, introducendovi narrazioni mitologiche. Quest’opera è stata certamente composta sfruttando opere di argomento più ristretto, di periegeti precedenti, di storici e di poeti. Per alcune delle località descritte sorge la questione se Pausania le abbia visitate realmente. I luoghi più famosi della Grecia sicuramente Pausania li ha visitati, come l’Acropoli di Atene e i santuari di Olimpia e di Delfi, in questi luoghi si è potuta riscontrare una precisa corrispondenza tra il testo di Pausania e quanto messo in luce dagli scavi: racconta dove si trovava la statua di Hermes, e gli archeologi l’hanno trovata proprio come lui ci raccontava. Se la conferma delle sue informazioni nel santuario di Olimpia rendeva la sua Periegesi della Grecia una fonte attendibile, in altri casi ci offre esempi della sua non sempre esatta informazione storico-artistica. Ad Olimpia, Pausania descrive i due frontoni del tempio di Zeus nelle singole figure, che, ritrovate negli scavi, sono state ricomposte seguendo le indicazioni e la descrizione di Pausania, con qualche incertezza. Pausania attribuisce il frontone est a Paionios e l’altro ad Alkamenes, collaboratore di Fidia. Il nome Paionios gli è giunto tramite una fonte o tramite la visione diretta di una statua, la cui base recita “Paionios di Mende pose, il quale vinse facendo gli acroteri sul tempio”, da questa iscrizione deriva probabilmente l’erronea attribuzione. Alkamenes era invece un collaboratore di Fidia durante la decorazione del Partenone. -Nell’opera inserisce delle citazioni che provengono da PINDARO, OMERO, per rendere la sua opera anche un’opera che rende l’idea sulla storia della Grecia. Luciano di Samosata Gli scritti di Luciano di Samosata, vissuto al tempo degli Antonini (125-180 a.C., STESSO PERIODO DI PAUSANIA), mostrano gusto e sensibilità artistica. -a differenza di PAUSANIA, scrive in LATINO. La scoperta di Pergamo -Il sito di PERGAMO, era già stato identificato dagli INGLESI, promossa da Curtius, ma lo scavo venne fatto dai TEDESCHI infatti gli ingegneri tedeschi ricostruirono l’ALTARE DI PERGAMO nel PERGAMO MUSEUM. -Questa scoperta è importante perché nella DECORAZIONE dell’altare, i PANNELLI sono stati realizzati da 4 scultori diversi e quindi ci mostrano com’era VARIEGATA la SCULTURA nel periodo storico dell’ ELLENISMO. Il grande altare di Pergamo ci permette di conoscere l’esistenza di una serie di scultori, del quale abbiamo anche i nomi segnati nelle singole pareti del fregio. Il fatto che si siano segnati i nomi degli artisti indica che questi avevano consapevolezza della propria autonomia. Questi scultori operano già in una fase di classicismo, perché tutte le tipologie usate risalgono a celebri opere d'arte del V e del IV secolo. Pergamo ci permette di avere la testimonianza di un nuovo tipo di città greca, con i suoi problemi urbanistici, capitale di uno stato sorto sul disgregamento del regno di Alessandro. I sovrani di Pergamo favorivano la cultura, le biblioteche e le arti e furono collezionisti di opere d'arte delle scuole di età classica. Pergamo fu un vivo centro di cultura, la cui eco durò a lungo, persino in età bizantina. Abbiamo così tre grandi centri di carattere diversissimo: ad Olimpia, dal periodo arcaico al periodo romano; ad Efeso, dal VII secolo all'età tardo antica e bizantina; a Pergamo, dal periodo post-alessandrino fino al periodo romano; in quest’ultimo sito si scoprì una fase particolare della scultura ellenistica, che venne chiamata Barocco Ellenistico. Francesi erano gli scavi di Delo a partire dal 1877 e di Delfi a partire dal 1879. Delo era un'isola dedicata al culto di Apollo; per questo fu proibito di abitarvi; non vi si poteva né nascere né morire. In età romana invece fu consentito abitarvi, e si formò un villaggio. Questa circostanza è importante per la ricostruzione della cronologia di taluni aspetti di questa tarda fase ellenistica. Qui sono stati ritrovati i precedenti immediati della decorazione pompeiana di primo stile. Delfi era il più grande santuario dopo quello di Olimpia, che venne abbandonato in periodo medievale. A Delfi invece un piccolo paese si era insediato in mezzo alle rovine del santuario, sfruttando il materiale da costruzione. Qui si sono trovati gli elementi di fondazione degli edifici antichi, in base ai quali si è potuta ricostruire la pianta del santuario. Gli austriaci finanziarono una campagna di scavo in Asia Minore, nell’antica Trusa, dove venne trovato un heroon circondato da lastre a rilievo della fine del V secolo a.C. Fino al IV secolo, cioè fino ad Alessandro, si trova nei paesi asiatico-ellenistici la caratteristica di grandi sepolcri monumentali a forma di piccolo tempio, espressione tipica di questi sovrani locali, vassalli dell'impero persiano, i quali si facevano costruire la tomba chiamando artisti greci. Schliemann -Gli scavi micenei sono stati svolti da SCHLIEMANN che era appassionato di ARCHEOLOGIA; legge PAUSANIA, i POEMI OMERICI e quindi si mette alla SCOPERTA di TROIA. -Pensava che TROIA si trovasse sulla COLLINA HISSARLIC, in TURCHIA, perché tra tutti i racconti che fa Omero, paesaggisticamente era quella che rispondeva alle descrizioni di Omero. -Chiamò centinaia di operai e mise in evidenza 7 LIVELLI di una città, cronologicamente diversi ed identifica una città che è stata BRUCIATA dal CAVALLO di TROIA. -Secondo lui il SECONDO livello è quello della città bruciata, trova molti tesori e quindi pensava che fosse il TESORO di PRIAMO. -La Troia omerica, in realtà, viene individuata da ARCHEOLOGI TEDESCHI, da DORP FELD in particolare, che identifica la Troia nel SETTIMO livello e si data tra il 1300 ed il 1200 a.C. I livelli -Il PRIMO STRATO coincide periodicamente al 3000 aC.; -Il SECONDO al 2500/2000 a.C; -Il 3-4/5 sono livelli MENO IMPORTANTI con TRE villaggi; -Nel 6° c’è una grossa città TERRAZZATA, che forse è stata distrutta da un TERREMOTO; -Nel 7 °c'è invece la TROIA OMERICA con diversi livelli che però venne distrutta rapidamente. -Dopo il 1200 si passa direttamente all'8° con una città GRECA; -Il 9° coincide all’età TARDO-ROMANA. Scavò anche a Micene dove scoprì quello che egli chiamò il tesoro di Atreo, mettendo in luce la civiltà pre-ellenica. Questa civiltà attirò su di sé per molto tempo l’attenzione degli studiosi, conducendoli ad approfondire temi della preistoria e ad identificare una radice storica nei miti e nelle leggende. Alle scoperte della civiltà pre-ellenica hanno contribuito anche studiosi italiani con la missione di scavi a Creta, iniziata dal trentino Federico Halbherr. La missione dell’inglese Evans si concentrò invece sullo scavo e sul restauro del palazzo di Knossos. Palazzo grandiosissimo che ci dà prova di come la leggenda del Labirinto, edificato per Minosse, avesse un fondamento nella realtà storica. La lineare B -La LINEARE B ha circa il 70% di SIMBOLI IN COMUNE con la LINEARE A. -È stata decifrata nel 1952 da VENTRIS MICHEAL. -Ventris recupera circa 200 segni diversi ed identifica anche un certo numero di segni che identificano l’UNITà DI MISURA. -Si tratta soprattutto di documenti a carattere ECONOMICO come SIGILLI e veniva registrata la CONTABILITÀ dei vari palazzi e le TRANSAZIONI ECONOMICHE. -La maggior parte dei segni sono SILLABE e siamo di fronte ad un DIALETTO PROTO GRECO. Gli scavi nel mondo pre-ellenico vanno posti di fianco alla scoperta del mondo mesopotamico, i cui scavi risalgono la maggior parte alla prima metà del XX secolo. Questi scavi del Vicino Oriente hanno esteso le nostre conoscenze della civiltà umana e dell'arte, sino a circa il 6000 a.C. Accanto alle nuove scoperte nell’Ottocento si va approfondendo la conoscenza delle città greche, particolarmente dell’Acropoli di Atene, dove venivano demolite le costruzioni che l’avevano trasformata in fortezza. I Propilei erano stati inclusi nelle torri di fortificazione, alla loro demolizione si rinvenne tanto materiale da poter ricostruire i Propilei e il tempietto di Athena Nike. Gli scavi nel cimitero del Dipylon permisero di approfondire la conoscenza del geometrico più antico, mettendo in luce tombe che vanno dal IX alla fine dell’VIII secolo a.C. Con Lange, Loewy e Della Seta si supera il filologismo tedesco; in questi studiosi si nota un orientarsi al criterio di indirizzare l’archeologia verso problemi che riguardano l’interpretazione del fatto artistico. Il filologismo aveva segnato un passo indietro rispetto a Winckelmann, rinunciando a porre come esigenza il contatto vivo con il mondo greco. Agli inizi del Novecento si entra in una nuova fase degli studi di archeologia, il cui processo si accelererà dopo la Prima Guerra Mondiale, con l’interruzione degli scavi e la chiusura dei musei. Questa pausa indusse a riflettere sul materiale già esistente. Se con Winckelmann la storia era stata concepita in base alla conoscenza di sole copie, ora gli studi prendono in considerazione solo gli originali. In questo periodo rappresentativo è lo scritto di Ernst Langlotz, Scuole di scultura della prima età greca, del 1927. Qui non ci si basava più sulle copie di età neoattica e romana, ma su piccoli bronzi, opere originali minori, con fine di ricostruire le varie scuole e le officine artigiane dalle quali i maestri erano scaturiti e che dai maestri vengono influenzate. Dalla fine dell’Ottocento inizia anche una nuova fase di ricerche teoriche intorno alle arti figurative. Un'influenza diretta sugli studi di archeologia ebbero le teorie formulate dalla scuola viennese. Attorno al 1895 a Vienna furono particolarmente in evidenza due studiosi, Wickhoff e Riegl, entrambi storici dell'arte medievale e moderna; Riegl più fondato teoricamente, più sensibile al fenomeno artistico Wickhoff. Tutti e due si sono occupati di storia dell'arte antica per risolvere problemi di arte medievale, per chiarire i rapporti dell'arte medievale con l'arte romana. Riegl studiò l’artigianato dell’ultimo periodo imperiale. Il suo studio lo portò ad una revisione di tutta l’architettura, la scultura e la pittura romana a partire dal II secolo, per giungere quindi ad una nuova valutazione dell’arte romana. Egli cercò di chiarire le leggi generali che sembrano essere alla base dei motivi ornamentali, formulando una teoria che è stata motivo innegabile di progresso, liberando la storia dell’arte dal concetto di decadenza. Egli si accorse dell’impossibilità di comprendere tanti secoli di arte sotto la semplicistica definizione di decadenza, superando questo concetto con l’introduzione della teoria del gusto. Secondo tale teoria ogni epoca determina un proprio gusto e lo esprime in determinate manifestazioni artistiche; si deve quindi ricostruire la problematica degli artisti e dei singoli tempi. Con lui ebbe termine la valutazione dell’arte antica di Winckelmann. Ritenne di poter dividere l’arte in tre periodi: il primo definito tattile-ravvicinato o miope, da esemplificarsi con l’arte egiziana; il secondo detto tattile a vista normale, da esemplificarsi con l’arte greca e classica; il terzo stile, detto ottico-illusionistico, rappresentato dall’arte romana del tardo impero. Riegl trascurò il rapporto tra arte e società. Per lui il gusto regola l’arte, ma non si chiede come si costituisca il gusto. Il vero problema sta invece nel comprendere perché gli artisti di un determinato periodo abbiano voluto fare in un determinato modo e non diversamente, e quali siano le necessità che creano il nuovo gusto. Wickhoff, non archeologo, tracciò di getto una sintesi dello svolgimento dell’arte romana, ignorata dagli archeologi per circa un decennio. I Romani, secondo lui, sono stati gli eredi del patrimonio artistico ellenistico, ma hanno prodotto elementi artistici nuovi ed originali. Tra questi Wickhoff credette di poter riconoscere l'elemento coloristico nella pittura, che egli studiò in modo particolare. L’originalità dell’arte romana viene individuata in tre punti: il ritratto realistico, la concezione spaziale e prospettica e la narrazione continuata. Nella narrazione continuata romana egli vede un preludio di quella medievale europea, è questo che lo portò a studiare l’arte romana. Il ritratto romano si basa su premesse sociali e politico-religiose diverse da quelle che portarono al sorgere del ritratto nell’arte greca. Le rappresentazioni continue, seppur non grandiose come quella della colonna Traiana, erano presenti sull’altare di Pergamo. Wickhoff vede nella rappresentazione del paesaggio un cambiamento: nell’arte classica un albero o una colonna erano posti per far comprendere se la scena si svolgesse in un luogo aperto o chiuso. Ma nell’età ellenistica si ha già qualche accenno naturalistico, come l’albero secco nella battaglia di Alessandro. Mentre l'arte greca ha tendenza plastica e disegnativa, l'arte romana, secondo Wickhoff, ha tendenze più illusionistiche ed impressionistiche. Egli però non vide che l’arte ellenistica confluiva a Roma e a Pompei per opera di artisti greci. Nella storia dell’arte antica si comincia a comprendere che attraverso la lettura della forma artistica si può arrivare a stabilire la cronologia delle opere. Si arrivò quindi a comprendere che ogni artista ha una specie di cifrario, usa nelle sue opere particolari sempre uguali, caratteristici. Questi particolari tecnici e pratici possono aiutarci a determinare la paternità di un’opera d’arte, anche dove mancano i documenti per dare un nome all’artista. Ogni ricerca sistematica ha bisogno di un suo linguaggio tecnico. 7. Problemi di metodo In ogni artista si può scoprire un processo di svolgimento, che possiamo studiare nelle sue varie opere. E così esiste uno svolgimento da una generazione all'altra. Così avviene che l'opera di una personalità artistica ponga certi problemi e che, dopo aver risolto questi, altri se ne aprano. Nell'arte greca non si è in grado di delineare tutto lo svolgimento dei singoli artisti. Si può tuttavia determinare il processo di sviluppo formale di un particolare periodo. Bianchi Bandinelli affronta concreti problemi di storia dell’arte. In Italia l’archeologia aveva sentito quasi per niente l’influenza di Wolfflin, era rimasta alla fase filologica. Veniva particolarmente trascurata la definizione di una personalità artistica: si parlava sempre di arte e non di artisti. Venivano ripetuti i giudizi di Winckelmann, che a loro volta erano ripetuti da Plinio. Il determinare la poeticità di un’opera attraverso l’analisi del suo contenuto formale è insufficiente difronte al legame che nell’arte antica c’è tra l’opera d’arte e le premesse politiche e sociali che ne determinano la creazione. Nell’archeologia tedesca, dopo il brillante periodo che vede il fiorire della scuola filologica, nel passare dalla catalogazione dei reperti all’interpretazione dell’opera, si nota una mancanza di una metodologia che permettesse di approfondire il fatto storico. Si nota quindi una fuga verso il mitologico. In ogni opera d’arte dell’antichità la ricerca da condurre è duplice: da quali preesistenti schemi iconografici discende una data opera d'arte e in che cosa tali schemi vengono (o non vengono) innovati; da quali premesse ideologiche, programmatiche o non, ne viene determinato il contenuto. In Germania rimasero ancora a lungo, nella storia dell'arte, le normative, le categorie e gli schemi del Wolfflin, che, da parte archeologica, furono esaminati dal Rodenwaldt per esaminare la loro applicabilità all'arte antica. Per tutto il periodo arcaico della scultura greca, che si considerava, secondo lo schema del Winckelmann, soltanto come preparazione al periodo classico, si era trascurata la ricerca della personalità artistica, limitandosi alla suddivisione in tre scuole: dorica, ionica e attica. Essendosi, tale suddivisione in grandi gruppi dimostrata non esatta, si cominciò a ricercare le singole individualità artistiche. Bisogna ora riassumere quello che appare il compito di una ricerca storico artistica nel campo antico. Si ha poco degli originali dei grandi maestri, mentre la maggior parte delle opere conservatici sono prodotto di artigianato. Una cosa è voler fare storia dell'arte tenendo conto dei rapporti sociali sui quali si basa la nascita dell'opera d'arte e altra cosa è voler usare le opere d'arte come documento per la ricostruzione della storia sociale di un'epoca. Nel primo caso si fa storia dell'arte, nell'altro si fa storia o sociologia. Se si intende impostare in modo storico un problema artistico non ci si può basare solo sull’esame critico formale dell’opera, bisogna situare quell’opera nel processo di produzione più generale. Ranuccio Bianchi Bandinelli VS Benedetto Croce DOMANDA= ESTETICA CROCIANA. -la GRANDE NOVITÀ del '900 è che non ci si deve limitare solo allo STILE, alle FONTI LETTERARIE e alla PERSONALITÀ ARTISTICA. Bensì bisogna considerare il CONTESTO STORICO DI PROVENIENZA. -BENEDETTO CROCE, FILOSOFO NAPOLETANO, porta avanti una serie di teorie ed è stato il MAESTRO di BIANCHI BANDINELLI, dunque quest’ultimo dedica l'ULTIMO VOLUME a Croce. -sono entrati in DISACCORDO perché secondo CROCE si deve studiare in base all'ESTETICA (CONCETTO DI BELLEZZA IDEALE) mentre per BIANCHI BANDINELLI non ci si può basare solo sull'estetica ma anche sull'ASPETTO ECONOMICO. Si rifà a CARL MAX.
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