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Appunti Italo Svevo, italiano, Appunti di Italiano

Appunti su Italo Svevo, vita e opere

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 14/10/2023

alexandra-maghiar
alexandra-maghiar 🇮🇹

4

(2)

39 documenti

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Scarica Appunti Italo Svevo, italiano e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Italo Svevo Negli ultimi anni dell’800 erano apparsi i primi due romanzi di un autore che, sotto lo pseudonimo di Italo Svevo, nascondeva la persona dell’ebreo triestino Ettore Schmitz: due romanzi che allora erano stati quasi ignorati e che dovevano essere riscoperti successivamente, dopo il successo de La coscienza di Zeno. Quelle esperienze erano nate in una Trieste che apparteneva ancora all’Impero Austro-Ungarico, priva di una sua tradizione di centro culturale, ma vivacizzata da una attivissima borghesia imprenditoriale e dall’intreccio di popoli, di lingue, di culture diverse. Trieste partecipava a pieno titolo alla cultura dell’Europa centrale, cosmopolita e problematica, che ebbe una straordinaria fioritura proprio nell’ultimo periodo di vita dell’Impero asburgico. Oltre che dalla situazione triestina, l’originalità della posizione di Svevo è data dalla sua origine ebraica e dalla sua condizione di intellettuale non professionista, diviso tra la passione per la letteratura e la vita borghese che, dopo incertezze e titubanze giovanili, lo portarono a una posizione di industriale e uomo d’affari. Per questa sua posizione egli rimane del tutto estraneo alle mitologie e alla presunzione che dominano gli intellettuali italiani all’inizio del 900: la sua letteratura si pone come indagine sulle contraddizioni e le complicazioni dell’esistenza individuale e per questo raggiunge un’eccezionale forza conoscitiva, che sa andare molto al di là dei limiti della sua persona biografica. Vita borghese ed intellettuale sono in lui intrecciate e separate: nella scelta dello pseudonimo Italo Svevo, che allude alla sua posizione tra mondo italiano e germanico, possiamo leggere tutta la contraddittoria distanza che separa lo scrittore dalla persona reale, Ettore Schmitz. Vita Nasce a Trieste il 19 dicembre 1861, da benestante famiglia ebrea. Il padre Francesco autoritario ed energico, è proprietario di una vetreria; la madre Allegra Moravia, affettuosa e dolce, dedita al marito e agli otto figli. A dodici anni, insieme ai due fratelli Adolfo e Elio, Ettore viene inviato nel collegio di Segnitz presso Wurzburgo. I suoi studi prevedono materie tecniche commerciali insieme al corretto apprendimento di quattro lingue, indispensabili, in particolare il tedesco, per prepararsi alla carriera di commerciante desiderata dal padre. Ma la lingua tedesca, imparata in pochi mesi, e la passione per la letteratura, consente ad Ettore di leggere i maggiori classici tedeschi: Richter, Schiller e Goethe, alcune ottime traduzioni tedesche di opere di Turgenev e Shakespeare, e con particolare entusiasmo le opere del filosofo Schopenhauer. Nel 1878 i fratelli Schmitz rientrano a Trieste: Ettore si iscrive all'Istituto superiore commerciale "P. Revoltella", anche se le sue aspirazioni segrete erano la letteratura e un viaggio a Firenze, dove avrebbe voluto recarsi per studiare correttamente la lingua italiana. Inizia una collaborazione, che durò fino al 1890, con il giornale triestino “L’Indipendente”. Pochi anni dopo l'azienda familiare fallisce; le conseguenti incertezze economiche costringono Ettore a cercare un lavoro. Nel settembre 1880 viene assunto presso la filiale triestina della Union bank di Vienna con le mansioni di addetto alla corrispondenza francese e tedesca. Sempre più fermo e deciso nel voler approdare alla carriera di scrittore, nella biblioteca civica di Trieste, dopo il lavoro, Ettore dedica molte ore alla lettura dei classici italiani: Boccaccio, Guicciardini e Machiavelli, e di altri autori contemporanei. Approfondisce poi la conoscenza delle opere di Tolstoj. Legge autori francesi come Flaubert, Daudet, Zola, Balzac e Stendhal. Inizia a scrivere alcune commedie e alcune novelle. Con lo pseudonimo di Ettore Samigli riesce a far pubblicare su "L'Indipendente" due racconti: "Una lotta" (1888) e "L'assassinio di Via Belpoggio" (1890). Due anni dopo sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo e pubblica presso l'editore triestino Vram, a sue spese, il suo primo romanzo "Una vita" (1892), che verrà pressoché ignorato dalla critica. Alla morte nel 1886 di Elio, il fratello prediletto, che gli procura un dolore profondissimo, seguono quella del padre nel 1892, della madre nel 1895 e delle sorelle Noemi e Ortensia. Italo Svevo affronta il calvario di questi lutti famigliari con l'affettuoso aiuto dell'amico pittore triestino Umberto Veruda e con le attenzioni premurose della cugina Livia Veneziani. Felicemente innamorato si unisce in matrimonio con Livia il 30 luglio 1896. L'anno seguente nasce la figlia Letizia. La vita coniugale scorre serena e tranquilla mentre Italo Svevo continua a dividersi fra tre lavori: l'impiego alla banca, l'insegnamento della lingua francese e tedesca all'Istituto Revoltella, il lavoro notturno al giornale "Il Piccolo", dove è incaricato dello spoglio della stampa estera. Nonostante le numerose ore di lavoro, ricava il tempo necessario per dedicarsi alla scrittura del suo secondo romanzo, "Senilità" (1898), pubblicato ancora presso Vram, sempre a sue spese. La critica gli rimprovera un uso troppo modesto della lingua italiana e l'attività per cui nutre così tanta passione non decolla. Questo secondo insuccesso di critica e di pubblico scuote profondamente lo scrittore che decide di abbandonare la scrittura per immergersi nuovamente nella lettura di altri grandi autori: Ibsen, Cechov e Dostoevskij. Nel 1899 lascia definitivamente il lavoro alla banca, inizia ad occuparsi come dirigente dell'industria del suocero e inizia a viaggiare per affari in diversi paesi europei: Francia, Austria, Germania, Inghilterra. La passione per la scrittura non muore: due anni dopo pubblica la commedia di grande impegno "Un marito" (1903). Nel 1905 il crescente sviluppo delle attività aziendali pongono Italo Svevo nella necessità di perfezionarsi nella lingua inglese; si rivolge a James Joyce, scrittore irlandese giunto a Trieste qualche anno prima per insegnare l'inglese alla Berltz Scholl. L'amicizia fra i due nasce da subito. Entrambi interessati alla letteratura si scambiano valutazioni sui propri lavori. Joyce, dopo la lettura dei due romanzi di Svevo, esprime all'amico parole di consenso e d'incoraggiamento, che fanno riemergere nello scrittore gli stimoli e la convinzione per poter riprendere il lavoro. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale separa i due amici. Joyce lascia l'Italia, mentre Svevo resta a Trieste per salvaguardare il patrimonio aziendale. Sono anni in cui Italo Svevo si dedica alla conoscenza della letteratura inglese; cominciò ad interessarsi alla psicanalisi traducendo "La scienza dei sogni" di Sigmund Freud, mentre continua a raccogliere appunti e riflessioni per la scrittura di un romanzo futuro. Terminata la guerra collabora al primo grande giornale triestino, "La Nazione", fondato dall'amico Giulio Cesari dopo il passaggio della città all'Italia. Contemporaneamente porta a compimento il suo terzo romanzo, "La coscienza di Zeno" (1923), pubblicato dalla casa editrice Cappelli, ancora una volta a sue spese, e ancora una volta sottovalutato dalla critica italiana. Il successo de "La coscienza di Zeno" arriva grazie all'amico James Joyce, il quale, ricevuto e letto il libro, ne rimane entusiasta; convince Svevo a inviare il testo a critici e letterati francesi, i quali esprimeranno un assoluto apprezzamento e decretandone uno straordinario successo in campo europeo. In Italia è Eugenio Montale a scrivere su "L'Esame", nel dicembre 1925, il saggio critico "Omaggio a Svevo", sulle tre opere ricevute dall'autore stesso, ponendolo sul piano più alto della letteratura contemporanea. Le lodi europee e il consenso delle nuove generazioni letterarie, smuovono definitivamente le incomprensioni italiane, forse non completamente immuni da componenti antisemite. La salute di Italo Svevo è minacciata dall'enfisema polmonare causato dal troppo fumo; riprende comunque con entusiasmo la propria produzione letteraria: scrive racconti, tutti pubblicati nel 1925. Nel 1928 inizia a scrivere quello che doveva diventare il suo quarto romanzo "Il vecchione", rimasto purtroppo incompiuto. A due giorni di distanza da un grave incidente automobilistico Italo Svevo muore il 13 settembre 1928 a Motta di Livenza. - Svevo attribuisce alla letteratura il valore di aiutare l’uomo a capirsi meglio. - Incontro con Joyce: Svevo prese da lui lezioni di inglese e tra loro nacque un’amicizia, fervida di scambi. Svevo sottopose i suoi romanzi, che in Italia non ebbero successo, a Joyce che, al contrario, apprezzò e stimolò Svevo a continuare la sua attività. La critica ha accostato il flusso di coscienza dell’Ulisse alla Coscienza di Zeno. Ma la tecnica narrativa di Svevo è diversa da quella di Joyce. L’unica relazione tra le due opere è al livello di una visione del mondo dell’avanguardia novecentesca. - Le opere di Svevo furono apprezzare soprattutto all’estero; in Italia invece, solo Eugenio Montale gli dedicò un saggio sulla rivista “L’Esame”, riconoscendo la sua grandezza. - Fisionomia intellettuale di Svevo: nasce e si forma a Trieste, città di confine in cui convergono tre civiltà (italiana, tedesca e slava); adotta uno pseudonimo in cui confluiscono la cultura italiana e quella tedesca (il vero nome è Ettore Schmitz); le sue origini ebraiche influiscono nella fisionomia culturale complessiva; l’ambiente in cui si forma gli permette di assumere una prospettiva più ampia degli altri scrittori italiani e gli consente uno stretto rapporto con la cultura dell’Europa centrale. Nella fisionomia sociale, egli non coincide con quella tradizionale: Svevo fu impiegato bancario e successivamente dirigente d’industria. La scrittura fu un’attività parallela e la sua formazione non fu umanistica ma commerciale. - Influenza di Schopenhauer: l’uomo non è libero di scegliere; l’unica via di salvezza dal dolore è la contemplazione e la rinuncia alla volontà di vivere. Svevo faceva riferimento al carattere effimero e inconsistente della nostra volontà e dei nostri desideri. L’obiettivo era smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi. - Influenza di Nietzsche: critica della società borghese e concezione del soggetto come pluralità di stati in fluido divenire. - Influenza di Darwin: il comportamento è il prodotto delle leggi naturali e di condizioni indipendenti dalla volontà. - Influenza di Marx: percezione dei conflitti di classe nella società moderna, consapevolezza che tutti i fenomeni sono condizionati dalla realtà sociale. Rifiuto del pensiero politico marxista (dittatura del proletariato). Proiettato verso un comunismo utopistico - Svevo e la psicanalisi: interesse per i meccanismi della psiche. Non apprezzò la psicanalisi come terapia ma come strumento conoscitivo e narrativo. - Influenza francese: bovarismo dei personaggi e critica della coscienza piccolo borghese (Flaubert), descrizione minuziosa degli ambienti (Zola). - Influenza inglese: Atteggiamento ironico e umoristico (Swift, Sterne, Dickens, Thackeray). - Lingua: dialetto triestino e tracce di costrutti della lingua tedesca, uso del discorso indiretto libero. Il preteso “scrivere male” di Svevo è in realtà una ricerca stilistica estremamente sofisticata. L’inetto • Egocentrico; • Percezione illusoria di conoscersi; • Sognatore (velleitario); • Pensatore non attivo= incerto e insicuro; • Orgoglioso; • Inadatto alla vita= non fa niente per cambiare la propria situazione; • Autosabotatore; • Si sente percepito come inferiore •Una vita (1892) Iniziato nel 1888, il primo romanzo di Svevo “Una Vita”, il cui titolo originale era “Un inetto” (uomo incapace di svolgere i propri compiti, insulso), venne pubblicato ufficialmente nel 1892 (su Vram a spese dell’autore). Vicenda Il romanzo “Una Vita” narra la vicenda di Alfonso Nitti, impiegato presso la ditta Maller dotato di una certa cultura umanistica ed improbabili ambizioni di scrittore. Egli vive in una camera che ha preso in affitto (presso la famiglia Lanucci) e soffre per la monotonia e lo squallore della propria esistenza. L'occasione di mutare la propria vita e di realizzare le sue ambizioni gli si presenta quando la figlia del signor Maller, Annetta, su suggerimento del colto cugino Macario, prima invita Alfonso a partecipare alle serate letterarie che tiene in casa propria e poi lo sceglie per scrivere un romanzo a quattro mani. Annetta, per noia e capriccio, accetta la corte di Alfonso e s'invaghisce di lui. Con la complicità, poco spontanea, di Francesca, governante ed amante del signor Maller, Alfonso riesce a sedurre la vanitosa figlia del principale, ma affranto e disperato. Le lacrime che versa sono di autocommiserazione e non di sofferenza (“piansi molto, ma piuttosto su me stesso che sul disgraziato che correva senza pace per la sua camera”). L’angoscia del rimorso del figlio è ben evidente dell’ultima pagina del capitolo dove la morte del padre viene rappresentata dal figlio come uno schiaffo, come una punizione dovuta e meritata. Dopo 30 anni la ferita è ancora aperta. L’immagine della morte è costante e ossessiva: agonia lenta vista come cancellazione della vita, disfacimento organico, annullamento assoluto. Concerto di morte lo si trova in tutti e tre i romanzi. • Vengono poi capitoli molto ampi: “La storia del mio matrimonio”, incentrato sulle vicende che hanno portato Zeno a frequentare la famiglia Malfenti e le quattro sorelle Ada, Augusta, Alberta e Anna; sul suo amore per la bellissima Ada, dalla quale ripiega verso Alberta finendo per sposare la più brutta della sorelle Augusta, che però si rivela la moglie ideale, dotata di concretezza borghese e di quella salute di cui egli soffre la mancanza. = (medio) • “La moglie e l’amante”, in cui Zeno, marito felice, ripercorre le tappe del rapporto clandestino che lo lega a Carla, giovane popolare che aspira a diventare cantante, rapporto che egli stesso vive con senso di colpa e con il continuo desiderio di troncarlo. = (medio) • “Storia di un’associazione commerciale”, che segue le difficoltà di Zeno nel mondo degli affari e illumina il complicato rapporto che egli intrattiene con il marito di Ada, Guido Speier, la cui abilità e la cui apparente fortuna è come ribaltata da un fallimento che lo porta al suicidio. = (lungo) • Più breve è l’ultimo capitolo “Psico-analisi”, in cui si abbandona la narrazione del passato (fine 800), dando spazio a una forma di scrittura diaristica, con tre brani datati tra il maggio del ’15 e il marzo del ’16: qui il protagonista annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, svolge varie critiche alla psicoanalisi, parla della sua improvvisa scoperta della realtà della guerra, sostiene di essere guarito dalla malattia grazie ad una serie di successi commerciali, ottenuti proprio per effetto della situazione bellica. = (lungo) Tutto il discorso di Zeno si sviluppa in un’oscillazione continua tra malattia e salute, tra narrazione e riflessione, tra coscienza ed inganno, tra bisogno degli altri e difficoltà di instaurare con loro un rapporto. Zeno è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che egli stesso sa di non poter conquistare. Eternamente irresoluto, ha bisogno, per ogni azione e per ogni decisione, di riferimenti e stimoli esterni: in ciò assomiglia ai protagonisti dei precedenti romanzi, da cui però si allontana con un distacco umoristico da se stesso, dagli altri, dal mondo. Zeno scava a fondo nella sua psicologia, ma allo stesso tempo è impegnato a sfuggirvi. Egli è immerso in un mondo borghese, di cui il suo racconto ci presenta concretissime figure e forme, personaggi chiusi in regole, abitudini, certezze: ma in quel mondo egli si sente a disagio, in uno stato di inferiorità che gli impedisce di comportarsi come dovrebbe (come quando sfida Guido per Ada). Questa inferiorità deriva da: la sua disponibilità ai richiami del desiderio, a immagini di felicità, ai profumi e alle seduzioni della bellezza; il suo eccesso di coscienza, l’ostinazione con cui egli ama smascherare gli inganni che ciascuno costituisce per proteggere i propri desideri. I valori su cui si regge la società borghese non sono altro che inganni e schermi che danno una vernice di rispettabilità ed apparenza di equilibrio alle pulsioni e ai desideri più vani, allo squilibrio e alla bestialità insita alla natura umana. Egli fa di tutto per sottrarsi a quei valori, pur continuando a rispettarli, autoingannandosi. A ogni passo egli scopre l’imprevedibilità della vita, la sfasatura fra i programmi, l’idea che ciascuno ha di sé e ciò che effettivamente accade. Tuttavia a differenza di Nitti e Brentani, Zeno non è uno sconfitto: egli sa di non poter essere un personaggio serio e riconoscendo la sua comicità scopre che ogni serietà nasconde inganni ed illusioni, cosicché si abbandona all’imprevedibile conservando il sorriso anche nelle situazioni più dolorose e drammatiche. Curiosamente cade sempre in piedi, vede risolversi la sua difficoltà a vivere, in una serie di successi che culminano con quelli commerciali in coincidenza della guerra. Zeno non vuole né può essere un eroe modello, un’immagine assoluta, ma solo il protagonista di un’esperienza singolare. Con lui la malattia si configura come la sola autentica possibilità di essere: il personaggio moderno si impone come malato, rinunciando a tutte le pretese eroiche dei personaggi tradizionali. La psicoanalisi si rivela lo strumento essenziale per la costruzione di questo personaggio; ad essa si può ricollegare l’ottica con cui vengono rappresentati i comportamenti irregolari di Zeno e gli stessi modi in cui egli scopre sintomi di irregolarità sotto l’apparente regolarità dei personaggi. La suggestione di Freud si sente particolarmente nella rappresentazione dei sogni del protagonista, nel suo continuo ricorrere ai lapsus e agli equivoci. E’ la nevrosi la malattia che domina il mondo di Zeno. Avviluppandosi nella sua malattia e continuando comunque a ricercarne la guarigione, Zeno non ci presenta un caso specifico, ma un’immagine più ampia della condizione nevrotica dell’uomo contemporaneo. La nevrosi dell’individuo è anche la nevrosi della società e della cultura. La guarigione non esiste, esistono solo equilibri provvisori che nascono dalla coscienza dell’inevitabilità della malattia. La malattia diventa così strumento fondamentale di conoscenza, arrivando ad identificarsi con la scrittura e la letteratura: scrivere è anche ricercare le ragioni della malattia, usarla come forza critica che rivela le finzioni della realtà, ma allo stesso tempo è invenzione e artificio che allontana dalla conoscenza autentica. “La coscienza di Zeno” è un indagine sul rapporto tra tempo della scrittura (e della cura) e tempo della vita, tra il flusso del presente e quello dell’esistenza trascorsa e perduta. E’ la stessa cura psicoanalitica a imporre un ritorno all’infanzia, a situazioni e traumi originari, un riassorbimento di tutto il vissuto nel presente. Ma Zeno si accorge che non è possibile nessun rapporto sicuro e lineare con il tempo: da una parte di ripete e si riavvolge su di sé, dall’altra il suo ritornare lo trasforma e deforma. I ricordi creano nuove realtà che non è possibile identificare con quelle originarie. Nell’ultimo capitolo l’abbandono della cura si collega all’esibizione della distanza che separa il protagonista, ormai vecchio, dalle sue avventure narrate, arrivando a mettere in dubbio la verità della narrazione. La guerra si pone come segno simbolico dell’uscita da un’epoca, della nuova minaccia di distruzione del mondo borghese; ma grazie a un imprevedibile rivolgimento, Zeno sembra ottenere la guarigione proprio dagli affari che la guerra gli permette di fare. Questa guarigione lo spinge però ad abbandonare la visione darwiniana della prevalenza del più forte e ad allargare la malattia a tutta la civiltà umana, che arriverà all’autodistruzione attraverso gli ordigni che essa stessa ha creato. Lo stile della prosa sta nella sua disinvoltura, negli scatti e nelle fratture giocose della sua sintassi, nel modo con cui essa interroga e mette in questione se stessa in cui scompone e ricompone i propri piani. Svevo ha dimostrato di saper, con il suo “scrivere male”, creare un linguaggio dotato di spontanea carica ironica, rifuggendo da ogni ipotesi di deformazione stilistica. - Impianto auto diegetico, narrato dal protagonista stesso. - Il tempo misto: tempo soggettivo che mescola piani e distanze. La narrazione va avanti e indietro nel tempo, raggruppando temi fondamentali del proprio passato. - Zeno narratore inattendibile: tutta l’autobiografia è un tentativo di autogiustificazione del narratore che vuole mostrarsi innocente da ogni colpa nei vari rapporti. Tuttavia si tratta di menzogne inconsapevoli, dettate da giustificazioni ambigue. Anche in quest’opera appare l’ironia oggettiva. - Funzione critica di Zeno: il protagonista non è solo soggetto ma anche oggetto di critica. La sua malattia funge da strumento di alienazione nei confronti dei suddetti “sani e normali”. Ciononostante, Zeno si rivela disponibile alle trasformazioni, sperimentando ogni forma di esistenza. Zeno ha un disperato bisogno di normalità e integrazione nel ceto borghese ma scoprirà che la salute degli altri è la vera malattia, distruggendo così tutte le gerarchie sociali. Zeno, dunque, è un personaggio a più facce, problematico ma positivo come strumento di straniamento e conoscenza. - L’inettitudine quindi diventa una condizione aperta e disponibile ad ogni forma di mutamento, non più un marchio di identità. A differenza dei primi due romanzi, in quest’opera il narratore è il protagonista stesso, perciò non possono avvenire interventi esterni per smentire i pensieri e gli atteggiamenti del protagonista. Ciò che dice Zeno può essere vero, falso o entrambi. I tre romanzi Una vita= Alfonso Nitti vs Macario, agonia della madre Senilità= Emilio Brentani vs Stefano Balli, agonia di Amalia La coscienza di Zeno= Zeno Cosini vs Guido Speier , all’interno di una cornice clinica. La malattia La malattia, una componente studiatissima nella letteratura critica di Svevo, ha la stessa funzione dello specchio in Pirandello: serve a guardare in se stessi. E, come Moscarda si adopera, quasi investito da una missione, di insinuare negli altri il dubbio che li smuova dalla loro inerte fissità abituale, così Zeno mette in crisi quelli con cui viene in contatto, convinto che tutti siano malati, ma che, presumendo di essere sani, non indagano in sé le ragioni della loro patologia esistenziale. Augusta è l’antitesi di Zeno non solo perché le iniziali dei loro nomi stanno alle posizioni opposte dell’alfabeto, ma soprattutto perché il suo comportamento incarna tutti gli stereotipi della classe borghese. Il suo linguaggio ha le piattezze delle frasi fatte, è la salute personificata, integrata perfettamente nella società in cui Zeno invece non riesce ad inserirsi con la sua malattia cronica. La sua sicurezza è propria di chi, non indaga se stesso, fidandosi ciecamente della possibilità di trovare tutto nella legge e nell’ordine. Zeno è sbalordito perché è tutto l’opposto: Augusta crede nella vita eterna mentre per lui tutto è all’insegna della brevità e della contingenza; per lei conta solo il presente, vissuto entro una dimensione del tempo convenzionale, mentre lui si rifugia in un tempo personale e fluido, stratificato e gravido di passato. Confronto Svevo-Pirandello Pirandello e Svevo, considerati “compagni di strada”, esprimono un uguale giudizio negativo nei confronti della società de loro tempo, mettendo il lettore davanti alla tragica realtà dell’uomo moderno. Nel 900 la stessa concezione della verità entra in crisi: non è più oggettiva, ma è relativa al soggetto e al momento storico in cui esso vive. Il narratore non è onnisciente, la realtà descritta non è oggettiva, ma soggettiva: è l’inetto, il malato a descrivere in prima persona gli eventi così come vengono percepiti e rielaborati nella sua mente. Sia ne”Il fu Mattia Pascal”, che nella “Coscienza”, l’autore mette in dubbio fin dall’inizio la veridicità della storia narrata. La domanda che affligge i protagonisti di questi romanzi è: “Chi sono io?”; la crisi dì identità dell’uomo moderno si riflette nei protagonisti dei romanzi. Le opere di questi autori enunciano la realtà dell’epoca, nella quale le norme sociali riducevano l’individuo ad un nome, ad una maschera, dove gli uomini erano incapaci di vivere in modo problematico il presente, ma subivano la realtà che li circondava come degli inetti, come delle marionette in un grande spettacolo teatrale. Pirandello ha una posizione relativistica, perviene a una conclusione tragica e desolata, studia di più il rapporto uomo- società ed i meccanismi del grottesco. Svevo batte la strada del problematicismo, analizza la psicologia dell’uomo e conclude con un sorriso ironico; conosce le tecniche della psicoanalisi ed è più moderno a livello di tecniche letterarie (monologo interiore). Inoltre, se in Pirandello le uniche vie d’uscita sono il delirio, il suicidio e la pazzia, in Svevo il personaggio “inetto” è più aperto alla tolleranza verso gli altri e verso se stesso mediante il processo di autocoscienza ed ironia; sul piano sociale poi, sfruttando il gioco imprevedibile degli eventi, può giungere al successo. Per Pirandello l’unica soluzione per la persona cosciente delle trappole della vita è quello di accettare in modo doloroso e consapevole gli autoinganno propri ed altrui, di cessare di vivere per guardarsi vivere, quindi porsi fuori dall’esperienza vitale, estraniarsi dal mondo x compatire non solo gli altri, ma anche se stesso. Svevo invece permette al protagonista di guarire dalla sua malattia, a tale guarigione avviene a danno degli altri: Zeno ritrova la sua salute affermando se stesso contro gli altri, utilizzando tutti gli strumenti fornitogli dalla sua civiltà e traendo vantaggio dalla speculazione in tempo di guerra. Ottiene sì un successo sociale (non si pone “fuori dalla vita” come i protagonisti pirandelliani), ma tale successo è legato alla violenza che esercita sui + deboli, è successo costruito all’interno delle ingiustizie e delle storture del mondo contemporaneo, quindi del tutto artificiale. Svevo diventa “sano” nel momento in cui si integra in una società “malata”.
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