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Appunti - La Ciociara, Appunti di Letteratura Italiana

appunti completi del libro "la ciociara" analizzato durante il corso di letteratura italiana di Turchetta

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 17/08/2022

clarissa_b
clarissa_b 🇮🇹

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3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti - La Ciociara e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LA CIOCIARA - ALBERTO MORAVIA (1957) Moravia inizia a scrivere La Ciociara a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, più precisamente nel 1946/1947, quando la scrittura de La Ciociara entrò in competizione con la scrittura de La Romana ➔ analogia non solo di titolo ma anche di costruzione narrativa e di costruzione del narratore. In questi due romanzi, La Ciociara e La Romana, il narratore è una donna: dato importante perché se Moravia mette in scena un narratore donna non c’è possibilità di confonderlo con l’autore. Questa impossibilità in realtà è ancora più radicale perché non soltanto La Ciociara (come La Romana) è raccontato da un narratore donna, ma si tratta anche di un narratore popolano ➔ distanza sociale che diventa distanza culturale, perché il narratore è popolano e ignorante. Cesira, la narratrice, non soltanto è ignorante ma ce lo dice in continuazione e segnala i limiti della propria narrazione. Se nel 1946/47 Moravia inizia a scrivere La Ciociara sulla scorta di esperienze autobiografiche, però in quel periodo comincia a scrivere anche La Romana: evidentemente La Romana gli rivela una maggiore urgenza ➔ è la vicenda di una narratrice prostituta e che racconta come lo è diventata, ma proprio in questa storia si mostra che la figura della narratrice, rispetto al mondo in cui è vissuta e agli uomini che ha incontrato, è la persona migliore dal punto di vista morale. Infatti colui che le dà la prima spinta verso il mondo della prostituzione sarà un rappresentante dell’ordine del regime fascista, ovvero il capo della polizia politica. Moravia rappresenta un mondo corrotto, in cui proprio coloro che sono rappresentanti delle istituzioni sono ancora più corrotti e violenti ➔ la protagonista diventa portatrice di un messaggio urgente, ovvero l’accettazione della vita nonostante la violenza e il messaggio di una figura femminile che ha subito la violenza maschile. DIFFERENZE E SIMILITUDINI TRA LA CIOCIARA E L’AMORE MOLESTO L’amore molesto è un libro in cui la narratrice è un’intellettuale, che forse somiglia all’autrice ➔ tutti i romanzi della Ferrante hanno una narratrice che rimanda alla figura della scrittrice, in questo c’è una differenza con Moravia. Notiamo l’importanza di due romanzi che mettono in discussione l’identità femminile a partire da una rappresentazione in cui gli sguardi della figlia e della mamma si incrociano: ne La Ciociara abbiamo una mamma che parla più della figlia che si sé, mentre ne L’amore molesto è una figlia che parla della madre. In entrambi questi romanzi il punto di vista è quello del narratore femminile, ma il punto di vista non è la voce ➔ in questo caso anche la voce narrante è quella di una donna, una mamma che parla della figlia (La Ciociara) e una figlia che parla della mamma (L’amore molesto). Le narratrici sono interne e non onniscienti e sono anche narratrici il cui racconto presenta aspetti di problematicità ➔ non siamo così sicuri che dicano la verità. Se Cesira ci dice in tutti i momenti che è ignorante e che non è sicura di capire e di saper raccontare, sottolinea una difficoltà a padroneggiare il significato degli eventi. Quindi è in buona fede, ma è anche portatrice di un atteggiamento discutibile: si è dichiarata contenta della morte del marito, sia perché più vecchio sia perché degli uomini non le importava molto, e racconta di come è riuscita a mandare avanti il negozio di alimentari grazie alle sue truffe ➔ aveva bisogno di guadagnare per far stare bene la figlia. Da una parte ci mostra la preoccupazione materna verso il destino della figlia, che è un atteggiamento morale e condivisibile ma il modo con cui lo porta avanti non lo è. Cesira ci parla della questione del denaro ➔ strumento di corruzione ma anche qualcosa che non è detto che ci aiuti a vivere (durante la guerra diventerà inutile). Sottolineiamo che Moravia mette in scena un personaggio che ha, in prima approssimazione, una morale discutibile e ideologicamente lontana da lui; in realtà Cesira non è così lontana da Moravia. Cesira è un narratore inattendibile o discutibile. Nell’amore molesto la narratrice Delia indaga sulla morte di Amalia, sua madre, che è stata trovata morta annegata e seminuda, cosa che fa sospettare delle vicende non proprio limpide. La polizia dice che Amalia è annegata spontaneamente, ma Delia non ci crede ➔ in prima approssimazione viene fuori una specie di romanzo giallo. I nomi delle due donne si assomigliano perché la Ferrante suggerisce, in maniera profonda e sottile, una relazione di simmetria, vicinanza e di possibile sovrapposizione: l’una si identifica con l’altra e l’altra si identifica con l’una ➔ nel caso di Delia vedremo sorgere un rapporto estremamente conflittuale, ma anche carico dal punto di vista affettivo, tra la figlia e la madre. Cosa fa Moravia alla costruzione del narratore? Possiamo identificare tre fasi della narrativa moraviana: 1. Prima fase, dall’esordio alla metà degli anni ’40 - Gli Indifferenti (1929) - Agostino (1942/43): lavora sulla focalizzazione interna ma punto di vista privilegiato sui personaggi, il che significa punto di vista privilegiato su qualcuno che non sa e via via impara (narratore esterno e focalizzazione interna). Moravia ha continuato a scrivere romanzi con la focalizzazione interna e il narratore esterno. Moravia scrive questi libri (La Ciociara e La Romana) in cui il narratore è popolano in età di neorealismo ➔ periodo in cui una delle grandi intenzioni di poeti, cinema e letteratura è quella di riavvicinarsi al popolo. Ecco perché Moravia scrive rappresentando la condizione di persone di ceto non abbiente, però è importante cogliere una differenza: il neorealismo parla del popolo facendoci intuire (o dicendo chiaramente) che il popolo è migliore dei ceti ricchi, che è portatore di autenticità, di verità, di spontaneità, di verità morale. Evidentemente Moravia non la pensa così ➔ la scelta rappresentativa de La Ciociara, la costruzione di questa narratrice così complessa significa anche una polemica chiara contro l’idealizzazione dei ceti popolari. Moravia è legato al contesto del dopoguerra, al contesto del ritorno al popolo che caratterizza tutte le poetiche del neorealismo, ma evita radicalmente di rappresentare un popolo buono: ci mostra un popolo furbacchione, intrigante e bottegaio. “Avevo la faccia tonda, gli occhi neri, grandi e fissi, i capelli neri che mi crescevano fin quasi sugli occhi, stretti in due trecce fitte fitte simili a corde. Avevo la bocca rossa come il corallo e quando ridevo mostravo due file di denti bianchi, regolari e stretti.” Cesira si racconta usando termini che da un lato rimandano alla sua robustezza, sanità, vitalità popolare e dall’altro usa degli stereotipi letterari. “Ero forte allora e sul cercine, in bilico sulla testa, ero capace di portare fino a mezzo quintale. Mio padre e mia madre erano contadini, si sa, però mi avevano fatto un corredo come ad una signora, trenta di tutto: trenta lenzuola, trenta federe, trenta fazzoletti, trenta
 camicie, trenta mutande. Tutta roba fine, di lino pesante filato e tessuto a mano, dalla mamma stessa, al suo telaio, e alcune lenzuola ci avevano anche la parte che si vede tutta ricamata con molti ricami tanto belli.” ➔ Uso tipicamente parlato del presentativo ci, elementarità del lessico di Cesira. Qui Cesira racconterà la sua storia: parla di casa sua, dello spazio di casa sua che lei tiene in ordine straordinario. Ci racconta del lindore, l’ordine della sua casetta sottolineando dei valori che saranno messi in discussione dalla guerra. “Ah, com'è bello avere la casa propria” ➔ in questa sottolineatura vediamo i limiti, anche culturali, di Cesira: preoccupata di una pulizia fine a se stessa, è la casalinga che torna a casa e passa tutto il tempo a mettere in ordine. Ma anche l’apprezzamento per la propria casa prepara al dolore dell’esilio. Cesira ci ricorda che amava andare a fare la spesa ➔ era tanto brava perché sapeva trattare coi commercianti. È quindi capace di adattarsi alla realtà, sa trattare con gli altri e sa fare i conti con la realtà. Ci ricorda anche che, essendo una bella donna, subiva delle molestie ➔ fin dalle prime pagine Cesira mette in gioco la possibile violenza maschile, un tema che tornerà in continuazione. Più avanti accennerà al fatto che Rosetta è come un agnellino, quindi innocente, fragile ma c’è anche un evidente richiamo cristologico ➔ Rosetta come agnello sacrificale. L’immagine religiosa viene usata in continuazione da Moravia: Rosetta, che è religiosissima e agnello sacrificale, Michele (intellettuale comunista) utilizzerà a sua volta immagini del sacro ➔ il suo racconto più importante nel romanzo sarà la lettura della parabola di Lazzaro. Moravia, quindi, utilizzerà in continuazione le immagini del sacro per fare riferimento a una morale laica. Non è certo un caso che lo stupro di Rosetta avverrà in una chiesa semidistrutta ➔ nel luogo del sacro la violenza degli umani. Cesira ha sposato un uomo molto più vecchio di lei e ci ricorda che l’amore degli uomini non le interessa per niente ➔ quando muore suo marito è felice e da lì inizieranno gli anni più felici della sua vita. Notiamo la relativa ostilità agli uomini e la sua ideologia qualunquista. “Furono quelli gli anni più felici della mia vita: 1940, 1941, 1942, 1943. E' vero che c'era la guerra, ma io della guerra non sapevo nulla, siccome non avevo che quella figlia, non me ne importava nulla.” ➔ Cesira vorrebbe solo curarsi dei suoi affari e vorrebbe essere estranea al coinvolgimento con la storia collettiva. “S'ammazzassero pure quanto volevano, con gli aeroplani, con i carri armati, con le bombe, a me mi bastava il negozio, e l'appartamento per essere felice, come infatti ero. Del resto sapevo poco della guerra, perché sebbene sappia fare i conti e magari mettere la firma su una cartolina illustrata, a dire la verità non so leggere bene e i giornali li leggevo soltanto per i delitti della cronaca nera, anzi me li facevo leggere da Rosetta. Tedeschi, inglesi, americani, russi, per me come dice il proverbio, ammazza ammazza, è tutta una razza. Ai militari che venivano a bottega e dicevano: vinceremo là, andremo qua, diventeremo, faremo, io gli rispondevo: per me tutto va bene finché il negozio va bene.” Notare l’evocazione culturalmente non del tutto cosciente dell’atteggiamento dei soldati fascisti ➔ è un’evocazione dubbiosa e inconsapevole dell’ideologia fascista. Da un lato Cesira si oppone all’esaltazione propagandistica delle parole d’ordine del fascismo, ma dall’altro lato porta avanti un’ideologia rozzamente familistica ed economicistica. NARRATORE Com’è il narratore? È un narratore che sembra parlare, si comporta come se parlasse anche in virtù della sua lingua, ma soprattutto per i continui richiami alla presenza di un pubblico (il narratario ➔ destinatario del discorso all’interno del racconto). Cesira si esprime parlando in maniera molto vicina alla colloquialità. Altro fatto non trascurabile: Cesira sottolinea in continuazione il fatto che sta raccontando ➔ grande differenza con Anguilla e Delia. Non smette mai di ricordarci che sta raccontando e racconta cercando di fare quello che può, ricordando che non ha molti strumenti di narrazione; a volte si scusa perché si azzarda a dare dei giudizi, sottolineando che, per esempio, può raccontare perché si ricorda bene quello che ha vissuto in questi casi. Cesira si comporta ribandendo, in molte occasioni, che è ignorante. PERSONAGGI Cesira e Rosetta si allontanano da Roma e, sistemandosi tra le colline di Fondi, vanno in una casetta piccola e sporca ➔ fa parte di una costante della narrativa di guerra, che ha a che fare con la rappresentazione della disgregazione della vita quotidiana. In questo contesto si trova con altri sfollati e con loro ha un rapporto che tende a diventare polemico, perché ha l’impressione che siano non adeguatamente consapevoli del dramma della guerra e troppo attaccati a valori materiali. Cesira stessa lo era, ma impara dalla situazione della guerra. Moravia, come quasi sempre nelle sue opere, costruisce una rigorosa geometria narrativa che è anche incardinata sul sistema dei personaggi: 1. Cesira, mamma di Rosetta, bottegaia, fa soldi grazie a delle truffe, non ama gli uomini e rifiuta ogni contatto col marito, si lascia andare col vicino di casa (Giovanni). Rosetta è molto religiosa, ha un fidanzato che sta combattendo in Iugoslavia ed è preoccupata per lui, è bella e attraente ma anche molto devota, sia al fidanzato che alla Madonna, è rigorosa nei suoi principi morali. Cesira la ritiene “perfetta per i tempi di pace”. 2. Gruppo degli sfollati ➔ Filippo, bottegaio come Cesira, e Michele, suo figlio. Filippo è come Cesira, ma non si discosta dai propri valori dinanzi agli orrori della guerra e continua ad essere fautore di una morale della furbizia, condivide con Cesira l’affetto per il proprio figlio. Michele è intelligente e studia proprio grazie ai soldi del padre, è portatore di un rifiuto dell’interesse economico che però è irrealistico rispetto all’andamento del mondo. Quindi Moravia da un lato mette in gioco una Cesira più cosciente, che impara a vivere nella tragedia e nelle difficoltà della guerra a differenza di altri che non se ne rendono conto, ma al tempo stesso l’opposizione simmetrica fra Filippo e Michele ci rivela un’altra stratificazione ➔ Michele è un intellettuale ed è portatore di una moralità che è fondata su valori apprezzabili ma astratti. L’astrattezza caratterizza sia Michele che Rosetta. Moravia gioca una partita doppia con Cesira: è limitata, però come lui pone il problema che i valori e l’astratta comprensione, tutto ciò che è positivo ma separato dalla realtà deve essere mediato dalla consapevolezza, che è anche capacità di adattamento e apprezzamento della realtà nella sua complessità. Michele è generoso, morale, puro e si scontrerà con la durezza della guerra, così come Rosetta ➔ i puri saranno entrambi gli agnelli sacrificali a fronte della violenza della guerra. Cesira, vivendo queste vicende, si fa portatrice di una moralità che da un lato si arricchisce dal punto di vista della sua umanità, ma dall’altro ci mostra come la vita imponga una capacità pragmatica di adeguamento che i giovani astratti e puri non hanno. Si forma una doppia coppia di personaggi che hanno evidenti corrispondenze, che sono anche delle sfasature significative ➔ Michele e Rosetta sono uguali ma di sesso opposto. Sembrerebbero fatti l’uno per l’altra: in realtà Rosetta è fedele al suo fidanzato ma comunque si piacciono. Cesira spera che tra i due succeda qualcosa perché Michele è un buon partito. Ma le cose non vanno cosi ➔ Michele, nella sua purezza astratta, è laico (forse ateo) e usa sistematicamente la religione come strumento, è comunista quindi sta dalla parte degli operai, però non sa com’è il popolo; è generoso fino all’estremo dono di sé, ma dall’altra parte, nella sua rigidezza e astrattezza, non guarda tanto le ragazze (es. Michele entra nella casa di Cesira e Rosetta e quest’ultima sta facendo il bagno ➔ si gira per non guardarla in segno di rispetto). Michele rappresenta una morale astratta, è un personaggio positivo con la sua problematicità e mette in discussione i valori degli altri. ———————————————————————————————————————— Altro passo del libro ➔ Cesira e Rosetta preferiscono la compagnia di Michele, perché è una persona che fa dei discorsi diversi dagli altri (parlano solo di soldi e di cibo). Ad un certo c’è un passaggio in cui Cesira dice le danno fastidio i discorsi della gente, che continua a fare come faceva prima. “Intorno ai quattro che giocavano ce n'erano sempre almeno altri quattro che guardavano, come avviene nelle osterie di paese. Io, che non ho mai potuto soffrire il gioco, non capivo come potessero passare le giornate intere a giocare, con quelle carte zozze e unte in cui non si capivano più le figure tanto erano logore. Ma peggio era se, invece di parlare di interesse e di giocare la compagnia di Filippo discorreva del più e del meno, faceva, insomma la conversazione. Sono un'ignorante e non m'intendo che del negozio e di terra, ma insomma sentivo tutto il tempo che quegli uomini con la barba, adulti e cresciuti, quando uscivano dal campo dei loro interessi, dicevano delle grandi stupidaggini. Questo tanto più lo sentivo in quanto ci avevo il confronto con Michele che, lui, non era ignorante come loro e le cose che diceva, benché spesso non le capissi, sentivo tuttavia che erano giuste. Quegli uomini, ripeto, ragionavano come stupidi o peggio come bestie, se le bestie Cesira ha annunciato che descriverà com’era Rosetta, alimentando di nuovo la tensione. “Le madri, si sa, non sempre conoscono i figli; ma, insomma, questa è l'idea che io mi ero fatta di Rosetta e anche adesso che lei, come ho detto, è cambiata dal bianco al nero, penso che quest'idea, tutto sommato, non fosse sbagliata. Dunque, io avevo tirato su Rosetta con grande cura, proprio come una figlia di signori, sempre badando, a non farle sapere niente di tutte le brutte cose che ci sono al mondo e, per quanto mi era possibile, tenendola lontana, da queste cose. Io non sono quella che si chiama una donna molto religiosa, sebbene sia praticante: con me la religione va su e giù e ci sono delle volte, come per esempio quella notte, sulla macera, che mi sembra di crederci davvero e delle altre invece, come nei giorni che dovevamo fuggire da Roma, che non ci credo affatto. In tutti i casi la religione non mi fa perdere di vista la realtà, che è quella che è, e per quanto i preti si affannino a spiegarla e giustificarla, spesso contraddice punto per punto le loro affermazioni. Ma per Rosetta le cose andavano diversamente. […] Mi limiterò a dire che ogni tanto mi capitava di pensare di lei che fosse perfetta. Era infatti una di quelle persone alle quali, anche a essere maligni, non si riesce ad attribuire alcun difetto. Rosetta era buona, franca, sincera e disinteressata. Ho i miei salti di umore, posso anche arrabbiarmi, strillare, magari sono capace di menare, così, perché perdo la testa. Ma Rosetta mai mi rispose male, mai mi serbò rancore, mai si dimostrò altro che una figlia perfetta. La sua perfezione, però, non stava soltanto nel non aver difetti; stava pure nel fatto che lei faceva e diceva sempre la cosa giusta, la cosa, tra mille, che si doveva fare e dire. Tante volte quasi mi spaventavo e pensavo: ho una santa per figlia. E davvero c'era da pensare che fosse una santa perché comportarsi così bene e in una maniera così perfetta non avendo alcuna esperienza della vita ed essendo, in fondo, soltanto una bambina, è proprio dei santi. Lei non aveva fatto nulla nella vita fuorché vivere con me e, dopo l'educazione ricevuta dalle suore, aiutarmi nelle faccende di casa e qualche volta anche a bottega; eppure si comportava come se avesse fatto tutto e tutto avesse conosciuto. Adesso penso, però, che questa perfezione che mi pareva quasi incredibile veniva proprio dall'inesperienza e dall'educazione che le avevano dato le suore. Inesperienza e religione, fuse insieme, formavano questa perfezione che io credevo solida come una torre e, invece, era fragile come un castello di carte. Insomma, non mi rendevo conto che la vera santità è conoscenza ed esperienza, sia pure di un genere particolare, e non può essere mancanza di esperienza e ignoranza, come era invece il caso di Rosetta.” Quindi la santità di chi non conosce la vita non è vera santità, ci vuole l’esperienza ➔ è un’affermazione del valore dell’esperienza, ma è anche una necessità di aprirsi alla vita secondo un sistema di valori non rigido, disponibile ad accogliere la complessità della vita. “Ma che colpa ne ebbi io? Io l'avevo tirata su con amore; e come tutte le madri di questo mondo avevo avuto cura che non sapesse niente delle brutte cose della vita perché pensavo che una volta andata via di casa e sposata, quelle cose lei le avrebbe conosciute anche troppo presto.” ➔ si riferisce agli uomini, al matrimonio e al sesso. “Non avevo fatto i conti, invece, con la guerra che quelle cose costringe a conoscerle anche quando non vorremmo e ci forza a farne l'esperienza prima del tempo, in maniera innaturale e crudele. Tant'è: la perfezione di Rosetta era quella che ci voleva per la pace, con la bottega che andava bene, e io che pensavo ad ammassare i soldi per la sua dote e un bravo giovanotto che le avrebbe voluto bene e se la sarebbe sposata e le avrebbe fatto fare dei figli, così che lei, dopo essere stata una bambina perfetta e una ragazza perfetta, sarebbe stata anche una moglie perfetta. Ma non era la perfezione che ci vuole per la guerra, che richiede invece un altro genere di qualità, quali non so, ma non certo quelle di Rosetta.” Al di là della constatazione doverosa e dolorosa che è la guerra che impone un’esperienza traumatica, il discorso è più ampio: in generale, per essere santi bisogna sapere come va la vita. Notiamo come Cesira abbia parlato in modo da giustificare le proprie mosse narrative. Attraverso questo discorso abbiamo visto come Cesira sia portatrice di una morale laica, di rispetto della vita ma questo non può essere condotto in modo astratto. Notiamo un passaggio in cui Cesira, ancora una volta, si giustifica ➔ serve a far percepire meglio il fatto che la vita quotidiana sparisce con la guerra. “E voglio dire, a questo punto, che lassù a Sant’Eufemia di molte cose, per così dire, mi accorsi per la prima volta ed erano, strano a dirsi, le cose più semplici che, di solito, si fanno senza pensarci su, meccanicamente.” ➔ le cose più normali non sono così scontate durante la guerra. Sottolinea anche la forza irresistibile e fondamentale della nostra vita quotidiana. Le narrazioni sono spesso punteggiate di prime volte perché è un grande motore narrativo. “Del sonno, che mai prima di allora mi era sembrato un appetito, la cui soddisfazione dia piacere e ristoro; della pulizia del corpo che appunto perché era difficile se non impossibile sembrava anch'essa una cosa così voluttuosa; e, insomma, di tutto ciò che riguardava il fisico, al quale, invece, in città, si dedica poco tempo e quasi senza rendersene conto. Penso che se ci fosse stato lassù un uomo che mi piacesse e che amassi, anche l'amore avrebbe avuto un sapore nuovo, più fondo e più forte. Era, insomma, come se fossi diventata una bestia perché immagino che le bestie, non avendo a pensare che al proprio corpo, debbano provare i sentimenti che provavo io allora, costretta com'ero dalle circostanze ad essere niente di più che un corpo il quale si nutriva, dormiva, si lisciava e cercava di stare il meglio possibile.” ➔ le difficoltà ci fanno scoprire il valore della vita quotidiana, le difficoltà ci rendono consapevoli del nostro stesso corpo. “-Tu ed io, Cesira, quassù siamo i soli che possiamo guardare con tranquillità all'avvenire, perché siamo i soli che abbiamo i quattrini.- Il figlio Michele a queste parole diventò più scuro del solito e poi disse a denti stretti: -Ne sei proprio sicuro?- Il padre scoppiò a ridere e gli batté una mano sulla spalla: -Sicuro? E' la sola cosa di cui io sia sicuro... non lo sai che i soldi sono gli amici migliori, più fedeli e più costanti che possa avere un uomo.- Io li stavo a sentire e non dissi nulla. Ma pensavo dentro di me che non era poi tanto vero: quel giorno stesso quegli amici così fidati mi avevano fatto lo scherzo di diminuire del trenta per cento il loro valore d'acquisto. E oggi che cento lire bastano appena a comprare un po' di pane mentre prima della guerra ci si poteva vivere mezzo mese, posso dire che non ci sono amici fidati in tempo di guerra, né uomini né soldi né nulla. La guerra sconvolge tutto e, insieme con le cose che si vedono, ne distrugge tante altre che non si vedono eppure ci sono.” ➔ Cesira non è così ingenua e rozza, dà delle lezioni sagge. Il discorso dei soldi è una costante perché Moravia si preoccupa sempre della questione dei soldi, che sono un segnale di una società che vive per i soldi e il profitto. Quindi nel modo ingenuo di parlare di Cesira trapela la critica al capitalismo. Questo romanzo, in qualche modo, è un romanzo di formazione in cui Cesira, che è una persona di una certa età, impara a vivere. Ma, come sappiamo, è uno sguardo che continua a rivolgersi all’immagine della figlia. Altro passo. È arrivata la guerra e Cesira e Rosetta sono ancora a Roma, ma stanno decidendo di andarsene il 15 settembre. Rosetta è pura e fragile e, davanti alle difficoltà reali, non sa come reagire ➔ Cesira la rassicura dicendole che se la caveranno e che mangeranno fino a scoppiare. “Per farle capire che la capivo le dissi allora, abbracciandola e baciandola: "Figlia d'oro, sta' tranquilla, che la Madonna ti vede e ti sente e non permetterà che ti succeda niente di male." Intanto continuavo i preparativi e adesso, passato il momento dell'apprensione, non vedevo l'ora di andarmene. Anche perché negli ultimi tempi, tra gli allarmi aerei, la mancanza di roba da mangiare, l'idea di partire e tante altre cose, la vita per me non era più una vita, perfino non avevo più voglia di pulire la casa, io che di solito mi buttavo a ginocchioni in terra per lustrare i pavimenti e mi facevo mancare il fiato a forza di lustrarli e di renderli simili a uno specchio.” Cesira è in difficoltà, dichiara di soffrire ma sa già che le aspetterà qualcosa di più grave: fa apposta a mostrare che non ha ancora acquisito le giuste misure dei valori in gioco. Però la sua prospettiva è già cambiata ➔ non ha più voglia di pulire casa, cosa che di solito faceva volentieri. “Mi pareva insomma che la vita si fosse sgangherata come una cassa che casca giù da un carretto e si sfascia e tutta la roba si sparge per la strada. E se pensavo a quel fatto di Giovanni e a come lui mi aveva dato quella manata sul sedere, mi sentivo anch'io sgangherata come la vita, e ormai capace di fare qualsiasi cosa, anche rubare, anche ammazzare, perché avevo perduto il rispetto di me stessa e non ero più quella di prima. Mi consolavo pensando a Rosetta che, almeno ci aveva sua madre a proteggerla. Lei almeno sarebbe stata quello che ormai io non ero più. Ah, davvero la vita è fatta di abitudini e anche l'onestà è un'abitudine; e una volta che si cambiano le abitudini, la vita diventa un inferno e noialtri tanti diavoli scatenati senza più il rispetto di noi stessi e degli altri.” Cesira dice una cosa molto banale ma che, forse, non lo è ➔ dice che le abitudini sono importanti. Le abitudini sono un lusso nel momento in cui la quotidianità viene messa in discussione. Notiamo che Cesira dà dei riferimento molto precisi dal punto di vista temporale e spaziale consentendoci di collocare la sua vicenda in un contesto storico. Dall’altra parte siamo consapevoli che, pur fornendo dei dati precisi, Cesira non è in grado di contestualizzarli. aver abbandonato la propria casa e dover vivere in un altro posto, la casa di Concetta è particolarmente sporca: la prima notte che dormono lì Cesira e Rosetta vengono massacrate dalle cimici. Cesira si lamenta con Concetta e, quest’ultima, la prende in giro dicendole che vivendo in campagna è normale. Notiamo un contrasto tra Cesira e Concetta ➔ parte dal disagio materiale e che poi finisce per toccare, una volta di più, il tema delle violenze di guerra sulle donne. “In quella casa tutto era schifoso: oltre al dormire anche il mangiare. Concetta era sciattona, sporca, sempre frettolosa, sempre trascurata e la sua cucina era un luogo nero, dove le padelle e i piatti ci avevano lo sporco attaccato di anni e non c'era mai acqua e non si lavava niente e si cucinava in fretta, come veniva veniva. Concetta faceva ogni giorno sempre lo stesso mangiare, quello che in Ciociaria si chiama minestrina: tante sottili fette di pagnotta casalinga, l'una sull'altra, fino a riempire una spasetta che è una conca di terraglia; e poi, sopra il pane, un brodo di fagioli della quantità di una pignattina.” Quando compaiono parole ciociare vengono tradotte, dando per scontato che il lettore non sappia il ciociaro. “Questo piatto si mangia freddo, dopo che il brodo di fagioli ha imbevuto ben bene tutto il pane riducendolo una poltiglia. La minestrina non mi era mai sembrata buona: ma da Concetta un po' per la sporcizia per cui ci si trovava sempre dentro qualche mosca o qualche bacherozzo, un po' perché lei non sapeva fare bene neppure questa pietanza tanto semplice, mi rivoltava addirittura lo stomaco. […] Un giorno le feci un'osservazione a proposito, appunto, delle tante mosche che trovavo morte, impigliate tra il pane e i fagioli e lei, da vera ignorante, rispose: -Mangia, mangia. Che è una mosca, dopo tutto? Carne è, né più né meno della vitella.-” Nei passaggi successivi si vede che Concetta va a fare la spesa e trova tutto molto caro, anzi le cose erano care arrabbiate (modo di dire tipico romanesco). A quel punto Concetta litiga col negoziante e cerca di contrattare per diminuire il prezzo, ma il negoziante rifiuta dicendo “E va bene, tu ti mangi i soldi e io mi mangerò le uova” ➔ polemica contro il denaro e il mondo del capitalismo, quindi c’è una polemica anti capitalistica che assume forme più semplificate come polemica contro il denaro. Più avanti vedremo una situazione che riguarda i figli di Concetta: i due (Giuseppe e Rosario) stanno disertando e si devono nascondere perché i fascisti li cercano. Concetta finge che i figli non ci siano ➔ loro, nel mentre, fanno affari nella borsa nera e rubano. Questa situazione non è del tutto estranea a Cesira perché anch’essa ruba (anche se in maniera modica), ma Concetta e i suoi figli fanno molto peggio: hanno un vicino di casa di cui sono molto amici e, siccome stava scappando, chiede di custodire le sue cose ma Concetta si approfitterà della situazione e gli ruberà tutto. Cesira rimarrà scandalizzata. Cesira parla dei figli di Concetta “Ho detto che erano taciturni; ma quando parlavano rivelavano un carattere che mi piaceva proprio poco. Erano capaci di dire, così per ischerzo: -In Albania, in un villaggio ci spararono addosso e avemmo due feriti. Per rappresaglia, sai che facemmo? Siccome gli uomini erano tutti fuggiti, prendemmo le donne, quelle più piacenti, e ce le ripassammo tutte... Alcune lo fecero di buona voglia, troie che non aspettavano che quell'occasione per mettere le corna ai maritacci loro, altre lo fecero per forza... certune ce le ripassammo in tanti che dopo non si reggevano più in piedi e parevano proprio come morte.-” ➔ nuovo riferimento al tema dello stupro. “Io rimanevo di sasso di fronte a quei racconti; ma Concetta, lei, ci rideva e ripeteva: -Eh, sono giovanotti. Ai giovanotti, si sa, le ragazze piacciono; ci hanno il sangue caldo i giovanotti.- Peggio di me però restava Rosetta che vedevo impallidire e quasi tremare. Tanto che un giorno glielo dissi: -Ma piantatela, qui c'è mia figlia, non si parla in questo modo davanti una zitella.- Avrei preferito che protestassero, magari mi ingiuriassero; invece non dissero nulla e si limitarono a guardare Rosetta di sotto in su con quei loro occhi di carbone, scintillanti, che facevano paura, mentre la madre ripeteva: -Giovanotti, si sa, giovanotti col sangue caldo. Ma tu non devi temere Cesira per tua figlia. I miei figli non la toccherebbero neppure per un milione. Siete ospiti, l'ospite è sacro. Tua figlia qui sta sicura come in chiesa.-” ➔ Rosetta, invece, verrà violentata in una chiesa. Notiamo non solo la disseminazione programmatica di elementi, ma anche la disseminazione di dettagli di cui, però, non percepiamo il loro essere anticipazioni. Cesira, per nulla rassicurata dalle parole di Concetta, si compra un coltello a serramanico preparandosi a difendersi anche con le armi. Altro riferimento ai fascisti ➔ compare un fascista, chiamato Scimmiozzo. È uno di quelli che non deve sapere dei figli di Concetta, ma lui ha capito che si sono nascosti; quando va a trovare Concetta conosce Cesira e Rosetta e, come possiamo immaginare, “butta l’occhio” su quest’ultima. Scimmiozzo prende Rosetta per il mento e Cesira gli dà uno schiaffo sulla mano dicendo di tenere le mani a posto, ma Scimmiozzo vuole invitare Rosetta a lavorare da lui (e altri commilitoni) come cameriera. Ovviamente Cesira si oppone con durezza, tanto che Scimmiozzo le spiana contro il fucile. Subito dopo, Concetta cerca di convincere Cesira che la sua è un’offerta invitante, perché dai fascisti si sta bene. “Appena furono scomparsi, dissi subito a Concetta: -Ahò, sei matta, mia figlia manco morta la mando a fare la serva dai fascisti.- Non lo dissi con tanta energia perché, in fondo, speravo che Concetta avesse accettato per la forma, tanto per non contraddire i due fascisti e mandarli via contenti. Ma ci rimasi male vedendo che lei, invece, non era affatto indignata come credevo: -Be’, dopo tutto, mica se la mangerebbero, Rosetta. E i fascisti, comare mia, ci hanno tutto: ci hanno vino, ci hanno fiore, ci hanno carne, ci hanno fagioli. Alla sede mangiano tutti i giorni le fettuccine e la vitella. Rosetta lì ci starebbe come una regina.-
 -Ma che dici? Sei matta?-
 -Io non dico niente, dico soltanto che siamo in guerra e l'importante, in guerra, è non mettersi contro il più forte. Oggi sono i fascisti ad essere i più forti e bisogna stare con i fascisti. Domani saranno magari gli inglesi e allora ci metteremo con gli inglesi.-” Questa è gente del popolo, quindi Moravia sta facendo un’operazione poco consona alla vulgata neorealista (mitizzazione del popolo). Cesira insiste e, una volta di più, riemerge il tema dello stupro “-Ma tu non capisci che Rosetta loro la vogliono chissà perché. Non l'hai visto, quel disgraziato, come le guardava tutto il tempo il petto?- -Eh, che sarà! Tanto, un uomo o un altro, dovrà pure venire quella volta. Che sarà? Siamo in guerra, le donne, si sa, in tempo di guerra non debbono guardare troppo per il sottile né pretendere al rispetto come in tempo di pace. Ma poi, can che abbaia non morde, comare. Scimmiozzo lo conosco: lui pensa soprattutto a empirsi la pancia.-” Abbiamo visto la sistematicità con cui il racconto di Cesira dissemina questi riferimenti (anche al cap. 4 pagina 107, quando Antonio racconta della Libia). TEMPO E SPAZIO Gestione del tempo Il racconto di Cesira è sia semplice nel linguaggio che nella gestione della progressione narrativa, quindi Moravia fa due operazioni: 1. Evidenzia l’elementarità della cultura di Cesira e del suo modo di raccontare. Dal punto di vista dell’ordine narrativo (fabula e intreccio) il racconto de La Ciociara è piuttosto semplice • Le analessi sono poche e limitate ➔ ce ne sono di più all’inizio perché servono a chiarire gli antefatti (il ricordo del marito, di Giovanni). • Poi ci sono i raccontini dei personaggi ➔ piccoli racconti, non sono racconti strutturali. 2. Dissemina indizi su quello che accadrà in futuro, aumentando la suspence Complessivamente, La Ciociara è raccontato in modo da rispettare l’ordine della fabula, è lineare perché Cesira racconta col suo flusso pseudo-orale, rappresentato anche dall’impaginazione del libro, come se fosse un continuum; e in questo continuum Cesira non riesce a fare tanti movimenti nel tempo, racconta quindi le cose come sono andate. È un racconto elementare, ma contemporaneamente Moravia spinge questo racconto attraverso la disseminazione degli indizi di quello che deve succedere ➔ va caricando una suspence che diventerà via via più percepibile. Confronto con la gestione del tempo de La luna e i falò ➔ nel romanzo di Pavese era complicato discriminare le tempistiche: andirivieni costante fra le diverse stratificazioni del passato e il presente della narrazione. Cesira non è come Anguilla, anche se in apparenza potrebbe sembrare in quanto sono entrambi paesani. Gestione dello spazio Per quanto riguarda lo spazio abbiamo una geometria piuttosto percepibile, che è molto chiara ➔ all’inizio e alla fine c’è Roma, la casa, la propria abitazione in cui si è sereni e felici. Quindi Roma appare nel capitolo 1 e, poi, nel capitolo 11 dove vedremo il ritorno: questo ritorno è stato cambiato da Moravia perché in origine era ancora più cupo, ma l’autore vuole dare un messaggio di speranza. Scena drammatica rappresentata nei dettagli, ma comunque grottesca grazie alla scena in cui Cesira cerca di difendersi dal soldato. La tragedia avviene ma non viene rappresentata: Moravia ha volutamente mettere fuori scena l’evento tragico. In molti momenti del libro, Cesira non vede e poi si accorge ➔ è il suo doloroso romanzo di formazione e, in questo caso, la consapevolezza è terribile. “Mi riebbi dopo non so quanto tempo, e mi accorsi che stavo distesa in un angolo in penombra della chiesa, che i soldati se ne erano andati e che c'era il silenzio. La testa mi doleva ma soltanto dietro, alla nuca; non avevo altro dolore e capii che quell'uomo terribile non era riuscito a fare quello che voleva perché io gli avevo dato quella strizzata e lui mi aveva battuto la testa e io ero svenuta e si sa che è difficile maneggiare una donna svenuta. Ma non mi aveva fatto niente anche perché, come ricostruii in seguito, i compagni l'avevano chiamato per tenere ferma Rosetta e lui mi aveva lasciato e ci era andato e si era sfogato come tutti gli altri su di lei. Purtroppo, però, Rosetta non era svenuta, e tutto quello che era successo lei l'aveva veduto con i suoi occhi e sentito con i suoi sensi. Io, intanto, stavo distesa, quasi incapace di muovermi, quindi provai ad alzarmi e subito ebbi una fitta acuta alla nuca. Però mi feci forza, mi levai in piedi e guardai. Dapprima non vidi che il pavimento della chiesa sparso dei barattoli che erano ruzzolati giù dalle due scatole nel momento che eravamo state assalite; poi levai gli occhi e vidi Rosetta. L'avevano trascinata o lei era fuggita fin sotto l'altare; stava distesa, supina, con le vesti rialzate sopra la testa e non si vedeva, nuda dalla vita ai piedi. Le gambe erano rimaste aperte, come loro l'avevano lasciate, e si vedeva il ventre bianco come il marmo e il pelo biondo e ricciuto simile alla testina di un capretto e sulla parte interna delle cosce c'era del sangue e ce n'era anche sul pelo. Io pensai che fosse morta anche per via del sangue il quale, benché capissi che era il sangue della sua verginità massacrata, era pur sangue e suggeriva idee di morte. Mi avvicinai e chiamai: "Rosetta," a bassa voce, quasi disperando che lei mi rispondesse; e lei, infatti, non mi rispose né si mosse; e io fui convinta che fosse veramente morta e, sporgendomi alquanto, tirai giù la veste dal viso. Vidi allora che lei mi guardava con occhi spalancati, senza dir parola né muoversi, con uno sguardo che non le avevo mai visto, come di animale che sia stato preso in trappola e non può muoversi e aspetta che il cacciatore gli dia l'ultimo colpo.” Scena di grande intensità e di grande spregiudicatezza rappresentativa perché rappresentare una donna immediatamente dopo lo stupro è una cosa che si fa poco. Compare un’altra caratteristica ➔ Rosetta è per tutto il romanzo un personaggio che parla poco, ma dopo questo episodio non parlerà più. Dopo lo stupro, Cesira incontra dei soldati francesi e chiede aiuto, cerca di parlare con loro ma non riescono a capirla. “Io mi accostai e gridai con furore: -Lo sapete quello che ci hanno fatto quei turchi che comandate voialtri?- […] Io gridai ancora: -Questa mia figlia qui, me l'hanno rovinata, sì me l'hanno rovinata per sempre, una figlia che era un angiolo e adesso è peggio che se fosse morta. Ma lo sapete quello che ci hanno fatto?- Allora il bruno alzò una mano e fece un gesto come per dire "basta" e quindi ripetè in italiano ma con l'accento francese: "Pacé pacé," che vuol dire pace. Urlai: -Sì, pace, bella pace, questa è la vostra pace, figli di mignotte.-” ➔ lo scambio è molto violento, ma quando capisce che loro non capiscono, Cesira fa di nuovo un gesto estremo: tira su la veste di Rosetta, che sta ancora sanguinando. Davanti a questo gesto i soldati scappano. Finale ➔ nel primo finale Rosetta diventa quasi un prostituta, ma Moravia lo cambia. Quando rientreranno verso Roma (su un camion), Rosetta ha già avuto diversi amanti e l’ultimo è stato ucciso (Rosario). Sono ormai alle porte di Roma e Rosetta, quasi sempre muta, comincia a cantare. SISTEMA DEI PERSONAGGI Il romanzo è costruito su una geometria del sistema dei personaggi, ma a differenza di altri romanzi è costellato da una folla di “personaggini” ➔ compaiono per pochissimo tempo, ma vengono rappresentati in modo molto dettagliato. Moravia ha spiegato che i personaggi piccoli sono veri, non verosimili; i personaggi importanti, invece, li ha costruiti lui narrativamente. Geometria formata da madre e figlia: - Madre chiacchierona, furba, praticona - Figlia silenziosa, purissima, innocente (diventerà muta dopo lo stupro). L’altra coppia è formata da Filippo (bottegaio) e Michele (purissimo). Altra nota fondamentale ➔ Filippo ha una moglie e due figli (famiglia completa), Cesira è vedova. Moravia ha spesso costruito famiglie zoppe, senza un genitore: di solito è il padre che manca ➔ l’insistenza su famiglie incomplete è un modo di minare alla radice il familismo borghese. Simmetria tra i due figli (Rosetta e Michele) ➔ la messa in scena di Michele non deve essere vista come un gioco di simmetrie, ma deve essere vista come una caratteristica della figura dell’intellettuale. Michele è buono, puro, generoso ma è astratto, vuole fermare la guerra ma non conosce il mondo, è timido e fa fatica a stabilire un rapporto con gli altri e con la realtà. Rappresenta la difficoltà, per un intellettuale, di mettere a fuoco la realtà in maniera convincente ➔ serve a Moravia per mostrare i limiti di un tipo di intellettuale che non è capace di capire la realtà sociale, anche se si fa fautore di valori altamente positivi. Michele è un carattere complesso ed è chiaro che Moravia ha voluto renderlo un personaggio positivo, programmaticamente opposto al Michele de Gli Indifferenti e che vuole rappresentare un’attenzione al progresso collettivo. Michele è nevrotico, complesso, non è simpatico ➔ consentono a Moravia di renderlo sfumato e non patetico. Moravia evita sistematicamente ogni rischio di patetismo, di facile immedesimazione e di facile catarsi emotiva: tutta la sua strategia narrativa è antipatetica e, quindi, di cripticismo nei confronti della realtà. L’eroe positivo è difficile, scorbutico, antipatico; l’altra eroina possiede una purezza problematica perché dopo lo stupro diventerà una ragazza facile. Rosetta porta un messaggio fortissimo contro la violenza sulle donne, però, paradossalmente, finirà per rappresentare la forza e la continuità della vita. CESIRA E ROSETTA Torniamo alle contrapposizioni ➔ Cesira è molto attaccata alla roba e uno degli elementi portanti della sua formazione è la sua crescente consapevolezza che, forse, le cose materiali non sono così importanti. pag. 55 ➔ in questo passo Cesira sottolinea a Rosetta che deve stare tranquilla, perché lei ha i soldi. “Non aver paura, c'è la mamma tua che ti vuol bene e ci abbiamo i quattrini che sono i migliori amici e i soli di cui ci si possa fidare.”. Questa affermazione sarà fatta in modo identico da Filippo (pag. 96). Fra Rosetta e Cesira la contrapposizione riguarda anche la fede: Rosetta crede in maniera ingenua, anche Cesira crede ma non ha l’ingenuità di Rosetta. Pag. 62 ➔ Cesira ricorda ancora una volta a Rosetta che ci vuole il denaro e quest’ultima dice che la Madonna le ha aiutate. “- La Madonna ci ha aiutati mamma, lo so, e sempre ci aiuterà - Non osai contraddirla, perché la sapevo religiosa, molto, e pregava sempre la mattina quando si alzava e la sera quando si coricava ed ero io stessa che le avevo dato questa educazione secondo l'uso dei paesi nostri; ma non potei fare a meno di pensare che, se era vero, gli aiuti della Madonna erano un po' strani: il denaro aveva convinto Tommasino ad aiutarci, ma quel denaro io l'avevo guadagnato con la borsa nera grazie alla guerra e alla carestia, e la guerra e la carestia forse le aveva volute la Madonna, ma perché? Per punirci dei nostri peccati?”. Un altro elemento di vistosa contrapposizione tra Cesira e Rosetta è l’atteggiamento nei confronti della sessualità: se Rosetta, a lungo, la ignora poi dopo lo stupro, invece, troverà molto piacere nella sessualità. La contrapposizione viene delineata in maniera molto netta ➔ Cesira non simpatizza per la carnalità perché aveva un marito vecchio e brutto, anche se ha un momento in cui si lascia andare con Giovanni: lei ricorda questo fatto come un momento particolarmente importante (pagg. 18-19). A parte questo episodio, Cesira in generale dichiara apertamente “Dell'amore non m'importava e anzi, forse forse, per via che non avevo conosciuto se non mio marito così vecchio e brutto, mi faceva quasi schifo”. A queste affermazioni, che si trovano nel capitolo 1, si contrappongono simmetricamente quelle dell’ultimo capitolo (pag. 302) ➔ Rosetta ha già avuto una relazione, con Clorindo, e ora ha una seconda relazione con Rosario (entrambi elementi poco raccomandabili). Cesira in qualche modo sente la propria impotenza nei davanti ai nuovi atteggiamenti di Rosetta e, per una rara volta, le risponde. “Lei finì di asciugarsi, quindi si voltò e mi disse con voce chiara e ferma: -Sono stata con Rosario e abbiamo fatto l'amore. E non domandarmi più quello che faccio e dove vado e con chi sto, perché adesso lo sai: faccio l'amore dove posso e con chi posso. E voglio dirti anche questo: mi piace far l'amore, anzi non posso farne a meno e non voglio farne a meno.- Esclamai: -Ma con Rosario, figlia mia, ti rendi conto chi è Rosario.- Lei disse: -Lui o un altro per me fa lo stesso. Te l'ho già detto: voglio fare l'amore perché è la sola cosa che mi piaccia e che mi sento di fare. E d'ora in poi sarà sempre così, perciò non farmi più domande perché io non potrò mai risponderti che sempre la stessa cosa.- […] Lei non Un altro aspetto che Cesira richiama spesso è quello del cibo ➔ è importante perché ha a che fare con la naturalità, la vitalità e il corpo è vissuto da Cesira con un atteggiamento non lineare. Lei non ama la sessualità ed è anche un po’ diffidente nei confronti dell’entusiasmo che gli altri popolani nutrono verso il cibo (pag. 69-70). In questo passaggio mostra che hanno da mangiare e rappresenta una specie di banchetto dove tutti si abbuffano entusiasticamente: Cesira nota che proprio per questo, fanno vedere che sono dei popolani, fanno vedere che per loro la ricchezza si manifesta quando si mangia tanto. Ricorda anche che le cose vanno così per i popolani, ma non per i ricchi di città (che esibiscono automobili e gioielli). Un’altra riflessione di Cesira è su che cos’è essere uomo ➔ davanti alla violenza, alla bestialità emerge in maniera elementare la riflessione sul fatto che ci sono gli uomini e ci sono le bestie, anzi molte volte gli uomini si comportano come le seconde. È un tema di grande attualità nel secondo dopoguerra: - Conferenza di Sartre “L’esistenzialismo è un umanismo” del 1946 - Romanzo italiano di Vittorini, “Uomini e no” - Romanzo italiano di Primo Levi, “Se questo è un uomo”. Cesira nella sua maniera popolana pone in continuazione questa domanda e, davanti alla guerra, noterà che tutti i valori si sono sconvolti. Tutto è sbagliato e dall’altra parte la vita è importante e sarà questo che emergerà nelle ultime pagine del romanzo, quando Rosetta inizia a cantare (pagg. 311-312). Va notato che Rosetta, portatrice di un messaggio di vita vivente, comincia a cantare poco dopo la morte del suo amante ➔ da un lato Cesira si scandalizza però si rende conto che quel canto è una specie di sblocco emotivo. Siamo lontani da ogni facile patetismo, ma siamo anche davanti all’evidente volontà di Moravia di lasciarci con un messaggio positivo: la vita è importante. COPPIA ROSETTA-MICHELE Se Michele viene ucciso dai nazisti, Rosetta viene violentata dai liberatori ➔ è chiaro che Moravia ci vuole mettere davanti all’assurdità dell’esistenza. Questo discorso va accompagnato alla consapevolezza che, comunque, anche gli alleati stanno facendo massacri. Quindi Rosetta ci ricorda, da un lato che la vita è vita e, dall’altro, che la violenza è violenza: la positività della vita da un lato e l’impossibilità di accettare la violenza dall’altro ➔ Cesira “ci casca” ed è soddisfatta della violenza degli alleati sui nazifascisti e Rosetta, invece, resta buona e lo è anche perché è diventata “puttana”. Vuol dire che Rosetta non mostrerà mai un’aggressività, è portatrice di una disponibilità che diventa sacrificio (in questo è simile a Michele). Rosetta può amare anche perché è pura, paradossalmente; diventa impura, anzi no, forse è proprio un personaggio che garantisce, nella sua nuova carnalità, la continuità della vita. Ci sono vari momenti in cui Rosetta sottolinea il fatto che l’amore, per lei, è diventato una necessità: - Pag. 290 ➔ la prima storia di Rosetta, quella con Clorindo e Cesira nota con sconcerto che Rosetta non solo si lascia toccare in pubblico, ma obbedisce a Clorindo.
 “Bastava che Clorindo si affacciasse sullo spiazzo e la chiamasse, che lei subito piantava tutto quanto e accorreva. E lui non la chiamava con la voce, ma con un fischio, come si fa coi cani; e a lei, a quanto pareva, piaceva di essere trattata come un cane; e si vedeva lontano un miglio che lui la teneva per quella cosa che lei non aveva mai assaggiato e per lei era nuova e ormai non ne poteva più fare a meno, come un bevitore che non può fare a meno del vino o un fumatore delle sigarette. Sì, lei adesso ci aveva preso gusto a quello che i marocchini le avevano imposto con la forza; e questo era l'aspetto più triste del suo cambiamento, di cui non riuscivo a capacitarmi: che la rivolta di lei contro la forza che l'aveva massacrata, si esprimesse nell'accettare e nel ricercare proprio quella forza e non nel respingerla e rifiutarla.”
 Nel modo elementare di ragionare di Cesira, il ragionamento non è affatto elementare: da un lato Cesira lamenta il fatto che Rosetta subisce e dall’altro continua a dimostrare la sua ostilità nei confronti della carnalità, che invece Rosetta sta affermando con forza. - Pag. 292 - Pag. 302 ➔ Rosetta sta con Rosario e dichiara l’importanza dell’amore. Rosetta è portatrice di un riconoscimento della positività della vita e anche della carnalità, è uno strumento di denuncia di una violenza che non può essere dimenticata. D’altra parte è chiaro che Rosetta è immagine di cristo del non credente Moravia, così non credente che lo fa apposta a fare di cristo una ragazza facile. Come abbiamo ricordato, le immagini in cui Rosetta viene paragonata a un agnello sono innumerevoli e c’è persino un momento in cui Cesira, che sa cos’è successo, fa una prolessi (pag. 254) ➔ fine del capitolo 8, un capitolo importante perché è quello in cui Michele viene portato via dai tedeschi: in questa scena Cesira spera ancora che Michele si salvi, mentre la madre ha già capito che non ha nessuna speranza. Ma Cesira, in qualche modo, denuncia di essere colpevole: volendo salvare Rosetta portandola via dai pericoli, l’ha condotta “al macello”. “-Vedrai che ora tutto si aggiusta, questa volta sul serio. Passiamo adesso qualche giorno al paese e mangiamo bene e ci riposiamo e poi ce ne andiamo a Roma e tutto tornerà ad essere come prima.- Povera Rosetta, lei disse: -Sì mamma- proprio come un agnello che viene condotto al macello e non lo sa e lecca la mano che lo trascina verso il coltello. Purtroppo questa mano era la mia e io non sapevo che proprio io di mia iniziativa, la portavo al macello, come si vedrà in seguito.” Rosetta è religiosa, santa, perfetta ➔ la santità è frutto della mancanza di esperienza. Di questo se ne è già parlato in un passo (pag. 86), ma un ragionamento simmetrico ricorre verso la fine del libro (fine capitolo 9). Cesira riprende il ragionamento sul rapporto tra perfezione e inesperienza, sottolineando che la perfezione di Rosetta è confermata perché prima era perfetta nell’essere troppo pura e ora è esagerata nell’essere disponibile al sesso. “Anzi, a proposito di quei quattro giorni, non so perché, io sono convinta che fu allora che Rosetta cambiò veramente carattere, sia ripensando per conto suo e in maniera tutta sua a quanto era successo, sia trasformandosi suo malgrado e senza rendersene conto, per la forza stessa dell'oltraggio che aveva subito, in una persona diversa da quella che era stata sinora. E io voglio dire qui che anch'io dapprima mi sorpresi per il cambiamento così completo e così radicale, come dal bianco al nero; ma, in seguito, ripensandoci su, mi parve che, dato il carattere di lei, non poteva andare diversamente. Ho già detto che lei era portata per natura ad una strana perfezione, per cui, se era qualche cosa, lo era a fondo e completamente, senza incertezze né contraddizioni, tanto che, sin allora, io mi ero quasi convinta di aver per figlia una specie di santa. Ora questa perfezione di santa, che era fatta, come ho già detto, soprattutto di inesperienza e di ignoranza della vita, era stata colpita a morte da quanto era avvenuto nella chiesa; e allora si era cambiata in una perfezione opposta, senza quelle mezze misure, quella moderazione e quella prudenza che sono proprie alle persone normali, imperfette ed esperte. L'avevo veduta fino allora tutta religione e bontà, purezza e dolcezza; dovevo aspettarmi che d'ora in poi ella si voltasse all'eccesso opposto, con la stessa mancanza di dubbi e di esitazioni, la stessa inesperienza e assolutezza. E più volte, a conclusione delle mie riflessioni su questo doloroso argomento, mi sono detta che la purezza non è una cosa che si possa ricevere dalla nascita, in dono, per così dire, dalla natura; che essa si acquista attraverso le prove della vita; e chi l'ha ricevuta dalla nascita la perde presto o tardi e tanto peggio la perde quanto più si era fidata di possederla; e che, insomma, quasi quasi, è meglio nascere imperfetti e diventare, via via se non perfetti, almeno migliori che nascere perfetti e quindi essere costretti ad abbandonare quella prima effimera perfezione per l'imperfezione dell'esperienza e della vita.” Cesira ci sta dando una laica lezione di moderazione, di attenzione all’esperienza, di non rigidezza ➔ si vedono le parole di Moravia. Rosetta è portatrice di un messaggio ambiguo, tuttavia è anche portatrice di un messaggio forte come quello dell’assolutezza della vita ➔ siamo all’inizio del capitolo 10. È la netta affermazione della positività della vita, ovvero il valore assoluto della vita confrontata con la morte. “Dissi alla fine a Rosetta: -Qui ci conviene tornare a Fondi. Lì troveremo certo qualche mezzo per tornare a Roma, se gli alleati ci sono già arrivati. Meglio, ad ogni modo, i bombardamenti che i marocchini.- Rosetta mi ascoltò e tacque per un momento quindi se ne uscì con una frase che, lì per lì, mi fece male: -No, meglio i marocchini che i bombardamenti, almeno per me. Ormai i marocchini che possono farmi di peggio di quello che mi hanno già fatto? Invece io non voglio morire.-” ———————————————————————————————————————— Capitolo 4 ➔ Michele fa molte affermazioni che dimostrano la generosità morale, d’altra parte Michele viene disegnato in maniera complessa e contraddittoria: è generoso, antipatico e scorbutico, mostra di essere spesso carismatico ma anche duro e sa criticare la gente in maniera esageratamente severa, è umano e non lo è, e soprattutto mostra continuamente di non avere esperienza (come Rosetta). Michele porta valori positivi, ma spesso ha atteggiamenti che non sono apprezzabili. C’è un passo in cui viene sottolineato questo rapporto con la religiosità, anche se in prima approssimazione il rapporto viene messo a fuoco in termini di opposizione ➔ Cesira nota che c’è una relazione fra l’antifascismo di Michele e l’anticlericalismo, che si rivela non estraneo a una vocazione religiosa (tant’è vero che Michele, inizialmente, voleva farsi prete). “Anche con Michele, però, Rosetta andava d'accordo fino ad un certo punto; sul capitolo della religione, poi, non andava d’accordo affatto. Michele ci aveva due bestie nere: i fascisti, come ho già detto, e, poi subito dopo, i preti; e non si capiva bene se odiasse più gli uni o gli altri; e spesso, lui, scherzando, diceva che fascisti e preti erano la stessa cosa; sola differenza che i fascisti, loro, la sottana se l'erano tagliata trasformandola in camicia nera, mentre i preti la portavano intera, fino ai piedi. A me le sue furie contro la religione, o meglio contro i preti, non facevano né caldo né freddo: ho sempre pensato che in queste cose ciascuno si regola come gli pare; sono religiosa, sì, ma non al punto da volere imporre la mia religione agli altri. E poi mi rendevo conto che Michele, con tutta la sua asprezza, era, in fondo, senza cattiveria, quasi quasi, qualche volta, mi veniva fatto di pensare che lui parlasse male dei preti non tanto perché li odiasse in quanto erano preti ma perché gli dispiaceva non fossero davvero preti e non si comportassero sempre come preti.” ➔ l’apparente tautologia vuole alludere alla questione morale: i preti non si comportano in maniera rigorosa rispetto a quella che dovrebbe essere la loro vocazione, l’autenticità morale di quello che fanno. “Insomma, forse forse, era anche lui religioso; ma di una religione delusa, e spesso sono proprio le persone come Michele che avrebbero potuto essere religiose più degli altri, quelle che si scagliano, a causa della delusione, con maggiore asprezza contro i preti.” ➔ espressione che definisce l’atteggiamento di Michele verso la religione. Quindi Michele, intellettuale che è in grado di proporre cambiamenti positivi e che ha un’etica rigorosa, al tempo stesso è dotato di un carattere tutt’altro che facile e simpatico. È un personaggio non eroicizzato anche se compie un atto eroico, personaggio che non spinge il lettore all’immedesimazione. Di notte gli sfollati cercano di intrattenersi raccontandosi storie ➔ Michele promette di raccontare qualcosa e la gente si aspetta una storia vivace, d’amore. Invece Michele leggerà la parabola di Lazzaro del Vangelo: è importante notare che l’anticlericale Michele legge il Vangelo, lo usa come strumento di una proposta allegorica e morale. Michele vuole proporre un’idea di rinascita, di rinnovamento; quello che non pensava all’inizio è che la parabola sarebbe diventata un’atto d’accusa verso gli immorali. “Mi limiterò ad osservare, invece, che via via che Michele andava avanti nella lettura, intorno a lui i visi dei contadini esprimevano sempre più, se non proprio la noia, per lo meno l'indifferenza e la delusione. Si erano infatti aspettati una bella storia d'amore; e invece Michele leggeva loro una storia di un miracolo al quale, per giunta, almeno da quanto mi sembrava di capire, essi non credevano come del resto non ci credeva neppure lo stesso Michele. Ma la differenza tra Michele e loro era che, mentre loro si annoiavano, tanto che due delle donne avevano ricominciato a parlottare tra di loro, ridendo sottovoce, e la terza non faceva che sbadigliare e Paride stesso, che sembrava il più attento di tutti, mostrava, chinandosi in avanti, un viso del tutto ottuso e insensibile; la differenza, dico, era che Michele, a misura che leggeva, sembrava invece commuoversi per quel miracolo al quale non credeva. Anzi, quando fu giunto alla frase: -E Gesù disse: io sono la resurrezione e la vita,- si interruppe un momento e tutti potemmo vedere che si era interrotto perché non poteva più andare avanti per via che piangeva. Io capii che lui piangeva a causa di quello che leggeva e che, come ci fu chiaro in seguito, egli riferiva in qualche modo alla nostra presente condizione; ma una di quelle donne, che si annoiava, era tanto lontana dal pensare che fosse stato l'episodio di Lazzaro a riempirgli gli occhi di lacrime, che osservò, sollecita: -Ti dà fastidio il fumo, Michele?... qui c'è sempre troppo fumo... eh, si sa, siamo in una capanna.- […] Quella donna voleva scusarsi per il fumo con Michele, per cortesia, ma lui, ad un tratto, si asciugò le lacrime e saltò su a gridare in maniera imprevista: -Macché fumo e macché capanna... io non vi leggerò più perché voi non capite... ed è inutile cercare di far capire a chi non potrà mai capire. Intanto, però, ricordatevi questo: ciascuno di voi è Lazzaro... e io leggendo la storia di Lazzaro ho parlato di voi, di tutti voi... di te Paride, di te Luisa, di te Cesira, di te Rosetta e anche di me stesso e di mio padre e di quel mascalzone di Tonto e di Severino con le sue stoffe e degli sfollati che stanno quassù e dei tedeschi e dei fascisti che stanno giù a valle e insomma di tutti quanti... siete tutti morti, siamo tutti morti e crediamo di essere vivi... finché crederemo di essere vivi perché ci abbiamo le nostre stoffe, le nostre paure, i nostri affarucci, le nostre famiglie, i nostri figli, saremo morti... soltanto il giorno in cui ci accorgeremo di essere morti, stramorti, putrefatti, decomposti e che puzziamo di cadavere lontano un miglio, soltanto allora cominceremo ad essere appena appena vivi... Buonanotte.- Dette queste parole, si alzò rovesciando la lampada a olio che si spense e uscì sbattendo la porta della capanna.” ➔ messaggio forte e morale: davanti alla morte, alle tragedie della guerra la gente continua a pensare ai suoi affari e non ha capito che è necessaria una diversa autenticità morale. È importante anche che questo messaggio sia esattamente quello che Cesira ricorda alla fine del libro: lei capirà solo dopo il senso di quel messaggio, capirà che il passo di Lazzaro è un riferimento a una vita morale, autentica, capace di discernere le cose che contano da quelle che non contano. Moravia insiste sulla necessità di accettare il valore della vita. 
 
 

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