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Vittorio Alfieri: Autobiografia e Filosofia del Potere, Appunti di Letteratura Italiana

Storia della filosofia occidentaleStoria della letteratura italianaFilosofia del DirittoStoria della civiltà occidentale

Vittorio Alfieri, massimo esponente del teatro tragico italiano, scrisse la sua Autobiografia riconoscendo come suoi maestri Platone, Tacito, Bacon e Huig de Groot. Egli affermava che la storia del 'mondo civile' sia accertabile e conoscibile, mentre la natura rimane misteriosa. Alfieri si forma in un contesto culturale dominato dall'Illuminismo, ma la sua personalità tormentata anticipa tendenze dello spirito romantico. Egli tratta del potere assoluto, della tirannide e dell'indipendenza dell'intellettuale. Le sue opere esaltano la passionalità, la spontaneità e l'immaginazione dell'uomo contro il razionalismo scientifico.

Cosa imparerai

  • Come tratta Vittorio Alfieri del potere assoluto e dell'indipendenza dell'intellettuale?
  • Che pensieri di Vittorio Alfieri riguardano la natura e la storia?
  • Come influenzarono Platone, Tacito, Bacon e Huig de Groot la filosofia di Vittorio Alfieri?

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 25/09/2021

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4.8

(4)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Vittorio Alfieri: Autobiografia e Filosofia del Potere e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! GIAMBATTISTA VICO (1668-1744) Giambattista Vico fu un grande filosofo, storico e giurista italiano. La vita, le opere Notizie sulla sua vita e sulle sue opere sono ricavabili dall’ Autobiografia o Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo (1725-28). un prezioso documento del suo itinerario intellettuale, scritto sul modello letterario delle Confessioni di Sant'Agostino. Vico nacque a Napoli il 23 giugno 1668 da famiglia di modeste condizioni economiche. Dopo gli studi di logica e metafisica presso i Gesuiti, la sua formazione proseguì come autodidatta e si laureò in Giurisprudenza. Esercitò la professione di insegnante e negli ultimi anni della sua vita ricoprì il prestigioso incarico di storiografo regio. Partendo dal presupposto che l'uomo non può conoscere razionalmente ciò che non ha creato (la natura e l'ordine metafisico), il filosofo s'impegna nell'elaborazione di un'opera, la Scienza Nuova (prima stesura in compendio: 1725) incentrata sulla storia di tutte le attività umane (politiche, religiose, letterarie ecc...). Negli stessi anni scrisse la sua Autobiografia, in cui riconosce come suoi maestri quattro pensatori: Platone, il grande filosofo dell'antichità, del cui pensiero egli riprende la natura ideale dell'uomo; Tacito, il più grande storico romano, da cui Vico attinge la concretezza storica nella trattazione delle vicende umane; Bacone, il filosofo fondatore del metodo empirico; Huig de Groot , il fondatore del diritto internazionale basato sull'affermazione dell'esistenza di un diritto naturale condiviso da tutte le genti. Nel 1744 riuscì a far pubblicare per intero la “Scienza nuova”. Morì nel gennaio dello stesso anno. Il pensiero filosofico Il pensiero filosofico di Vico è racchiuso nei cinque volumi della sua opera maggiore, “La Scienza Nuova” (1725). Per lui la nuova scienza era la storia. Vico prende le distanze da Cartesio (Cogito ergo sum, penso dunque sono) ovvero dà un approccio esclusivamente razionale alla storiografia. Vico però si serve di quel principio per portare avanti le sue obiezioni alla filosofia cartesiana trionfante in quel periodo. Egli afferma: “Il cogito cartesiano infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire conoscenza della natura del mio essere”. Il criterio del metodo cartesiano dell'evidenza procurerà, dunque, una conoscenza chiara e distinta, che però per Vico non è scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano e della natura, solo Dio, creatore di entrambi, possiede la verità. Contro lo scetticismo (posizione filosofica che nega la possibilità di raggiungere con la conoscenza una verità assoluta) Vico sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico: non è il sapere in assoluto. Vi è, dunque, un “primo vero” il quale è infinito e di carattere naturale e si identifica con Dio. In Lui sono presenti le forme, simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina. Inoltre, prende le distanze anche da Galileo ma ne riconosce la validità del suo metodo basato sulla curiosità (metodo induttivo galileiano) soltanto che mentre lo studioso 1 pisano lo applicava alla natura, il Vico lo applicò alla storia. In realtà, si differenzierà da entrambi (sia da C. sia da G.) poiché introduce la filosofia nell'indagine storiografica dal momento che essa viene ritenuta l'unica in grado di offrire una conoscenza assoluta dell'essere. Vico, dimostra come la storia abbia in sé un ordine fondamentale e che ci siano delle leggi immutabili che ne governano l'evoluzione. Secondo Vico, la storia è l'unica scienza degna di studio, in quanto è l'uomo stesso a generarla. Infatti, il principio da cui egli parte è quello del verum ipsum factum: è accertabile solo ciò che è stato fatto. (tale principio non era un'originale scoperta di Vico ma era già presente ad es. nel metodo baconiano che richiedeva l'esperimento come verifica della verità.) La storia del "mondo civile", dunque, essendo opera dell’uomo, può essere pertanto accertabile e conoscibile, mentre la natura rimane ammantata di mistero. La teoria di Vico individua nella storia un'evoluzione simile a quella della vita del singolo. Secondo il Vico, tutti i popoli, pur differenziandosi per l’età in cui si svilupparono, per l'area geografica e molti altri fattori, hanno avuto un excursus (percorso) comune con: un inizio, una maturità, un apice e un declino. Vico individua, dunque, delle costanti e delle ricorrenze (i cosiddetti “corsi” e “ricorsi” della storia ovvero i fatti storici che si ripetono: nessuna epoca è distaccata e poiché il progresso non è orientato verso alcuna meta, il percorso storico non esclude la possibilità di processi regressivi, dunque i “ricorsi”, per ogni grande progresso vi è un periodo di regressione.) Più precisamente, tale excursus è stato contraddistinto da tre fasi fondamentali della civiltà: l’età degli dèi, l'età degli eroi e l'età degli uomini. La storia umana, secondo Vico, inizia con il diluvio universale, quando gli uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevano in uno stato di completa anarchia. Questa condizione bestiale era conseguenza del peccato originale. L'uscita dallo stato di ferocia quindi avviene: per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato; per l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Le fasi di un popolo, di conseguenza, corrisponderebbero a quelle della vita di ogni singolo uomo: la fanciullezza governata dai sensi e dall'immaginazione; la giovinezza, in cui prevalgono la fantasia, i miti e le passioni; e la maturità, segnata dal prevalere della razionalità. Vico supera così la tradizionale distinzione tra società primitive e società “civili”, dimostrando che le prime sono tappe essenziali nell'evoluzione della civiltà. La Scienza Nuova rappresenta una svolta importante nella storia del pensiero occidentale, poiché getta le basi su cui si svilupperà lo storicismo romantico e dà origine allo studio scientifico di aspetti della cultura rimasti trascurati come la mitologia, la religione, il linguaggio. Soltanto i romantici compresero a pieno la portata rivoluzionaria del pensiero vichiano, che fu il vero inventore dello storicismo (componente caratterizzante del romanticismo italiano). Fino a quel tempo i moderni avevano guardato al passato con disprezzo; mentre con il pensiero del Vico emerge il concetto che ogni età vada messa in relazione con il 2 Alfieri giunge poi alla conclusione che il binomio "monarchia e lettere" sia dannoso per lo sviluppo di queste ultime. * Vita scritta da esso. (1790/1803) Una delle opere più importanti è la sua Autobiografia: Vita scritta da esso (me medesimo) pubblicata postuma nel 1806 e rimasta incompiuta, è considerata la principale fonte per la conoscenza della personalità di Alfieri. In essa si evincono non solo tutti i momenti salienti della sua esistenza, è la storia appassionata di come egli scoprì sé stesso (l’ultimo Alfieri) e la sua vocazione letteraria intorno a cui ruota tutta la sua esistenza. Il racconto venne suddiviso dallo stesso Alfieri in quattro "epoche": puerizia, adolescenza, giovinezza e maturità. Lo schema su cui il racconto è costruito ricorda la storia di una conversione religiosa. D'altronde è lo scrittore stesso ad usare il termine “conversione” a proposito della scoperta della propria vocazione tragica. Alfieri ha un vero e proprio culto della poesia: non è solo esercizio tecnico, ma è la realizzazione suprema dell’essere. Questa identificazione tra vita e poesia è un altro fattore che colloca l'esperienza interiore di Alfieri già in un clima romantico. Insieme al maturarsi della vocazione tragica, nel racconto troviamo anche il formarsi di una personalità eroica che per Alfieri coincide con la figura del poeta e che riflette il suo disagio esistenziale. Tale personalità, tuttavia, si scontra sempre con uno scettico pessimismo. Ne “La vita” la consapevolezza del limite umano è presente, ma non in chiave tragica: piuttosto lo scrittore contempla a distanza se stesso e le proprie debolezze che compromettono la sublimità eroica. Egli, inoltre, analizza la sua vita, si prende come esempio. A differenza di altre autobiografie, Alfieri risulta molto autocritico. In maniera cruda e razionale, egli non si risparmia neppure quando deve accusare il suo modo di fare, il suo carattere eccentrico e soprattutto il suo passato; tuttavia, Alfieri non ha né rimorsi né rimpianti per quest'ultimo. Per quanto riguarda lo stile, il linguaggio è caratterizzato da una forma colloquiale ma incisiva ed è ricco di termini inusuali, in genere personali neologismi. Temi delle opere Per quanto riguarda i temi notiamo che sono i grandi personaggi tragici a ispirare in Alfieri una proiezione di sé. Lui desidera perciò un contatto autentico con i suoi personaggi. Alfieri sviluppò presto l'amore per: la figura del gigante infelice, il titano e l'eroe sfortunato e generoso che muore per valori assoluti, senza mai scendere a compromessi, sfidando l'impossibile. (il foscoliano Jacopo Ortis potrebbe essere personaggio tragico degno di una tragedia alfieriana. Ci sono intere pagine dell'Ortis che riprendono da vicino il titanismo alfieriano e il suo pessimismo nei confronti della società) Poetica Lo stile tragico non deve essere lirico, ma esprimere forza e azione. Alfieri rispetta le tre unità aristoteliche (Tempo, Luogo, Azione). Per comporre le sue tragedie egli individuò tre distinte fasi, tre «respiri» (spiegati ne “La vita”): ideare, stendere e verseggiare. Le 5 prime due fasi possono seguire forze irrazionali, mentre la terza prevede una rigorosa revisione. Ideologia Benché le basi della formazione di Alfieri siano costituite dagli Illuministi francesi (Rousseau, Montesquieu, Voltaire), le sue opere mostrano una visione diversa della realtà: egli esalta la passionalità, la spontaneità e l'immaginazione dell’uomo contro il razionalismo scientifico; la sua visione è pervasa dal pessimismo, dal senso della miseria e dell’impotenza dell’uomo; pur non avendo fede positiva, è mosso da uno spirito religioso che tende verso l'infinito; disprezza lo spirito borghese teso all’utile e all'interesse materiale; nutre una concezione elitaria della cultura e non la intende come strumento di divulgazione di conoscenza; celebra l'individualità contro la massa. Lo stesso pensiero alfieriano, riconducibile apparentemente all'Iluminismo per l'avversione contro la monarchia e per il culto della libertà, stenta a definirsi in un progetto concreto di cambiamento. Incapace di adattarsi a una realtà sentita come mediocre, lo scrittore si chiude in un aristocratico isolamento, che indica la condizione di sradicamento dell’intellettuale romantico. Libertà ideale (astratta), titanismo e catarsi Fin da giovane, Alfieri dimostrò un forte accanimento contro la tirannide e tutto ciò che può impedire la libertà ideale. In realtà, risulta che questo antagonismo fosse diretto contro qualsiasi forma di potere che gli appariva iniqua (disonesta) e oppressiva. Anche il concetto di libertà che egli esalta non possiede precise connotazioni politiche o sociali, ma resta un concetto astratto. La libertà, dunque, in concreto non esiste, potrebbe esistere solo se fossimo tutti anarchici. La libertà alfieriana, infatti, è espressione di un individualismo eroico e desiderio di una realizzazione totale di sé. Infatti Alfieri sembra presentarci, invece che due concetti politici (tirannide e libertà), due rappresentazioni mitiche: il bisogno di affermazione dell'io, desideroso di spezzare ogni limite, rappresentato dall'eroe alfieriano, e le forze oscure che ne ostacolano l'agire. Questa ricerca di forti passioni, quest'ansia di infinita grandezza, di illimitato è il tipico titanismo alfieriano (termine indicato anche con il lemma prometeismo derivato dal titano Prometeo che, con un eroico e disperato spirito di sfida, sottrasse il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini. È l'atteggiamento spirituale e materiale, tipico del Romanticismo, della lotta che ogni uomo conduce contro la tirannide (qualsiasi forma di governo essa sia). Egli, vive perlopiù una lotta tirannica interiore: il suo “io” è combattuto tra la percezione della finitezza umana e l’ansia di infinito pur sapendo di non poter vincere porta fino in fondo la sua battaglia, anche quando è cosciente che solo la sconfitta lo attende. Il titano è ,per l'appunto, l'eroe che non rinuncia a combattere, pur prevedendo la sua sconfitta. Tuttavia, è proprio nel tirannicidio (uccisione o assassinio di un tiranno), e spesso nella successiva morte, che molti dei suoi eroi trovano la pace. Il sogno titanico è accompagnato da un costante pessimismo che ha le radici nella consapevolezza dell'effettiva impotenza umana. Inoltre la volontà di infinita affermazione dell'io porta con sé un senso di trasgressione che gli causerà un senso di colpa di fondo, che verrà proiettato appunto nelle sue opere per trovare un rimedio al proprio malessere; fenomeno, questo, che viene chiamato catarsi, concetto della tragedia teorizzata da Aristotele e dai greci. In filosofia ha assunto un significato simbolico il cui termine si riferisce alla purificazione dell'anima dai mali interiori. 6 UGO FOSCOLO (1778-1827) Foscolo fu uno dei più notevoli esponenti letterari italiani del periodo a cavallo fra Settecento e Ottocento. Egli incarna le tendenze tipiche della cultura del suo tempo: l’egualitarismo e il materialismo illuministici, le più moderne sollecitazioni del Preromanticismo, il Neoclassicismo. Anche nella sua vicenda biografica, segnata dalla delusione per il fallimento degli ideali rivoluzionari e dall’esilio, si rispecchia la crisi di un'epoca che vide le speranze patriottiche italiane “tradite” dal regime napoleonico e poi soffocate dalla Restaurazione. Vita. Nasce a Zante, una delle isole lonie allora appartenente alla Repubblica Veneta, il 6 febbraio 1778, da padre veneziano e madre greca. L'essere nato in terra greca rivestì molta importanza per il poeta che si sentì per tali origini profondamente legato alla civiltà classica e ai suoi ideali. Dopo la morte del padre si trasferì a Venezia (la Serenissima). Nonostante un fortissimo legame con l'Italia che considerò la sua madrepatria, si sentì esule per tutta la vita a causa di motivi politici: ebbe sempre un forte impegno politico ed anche un carattere ribelle e impetuoso, sosteneva i principi della Rivoluzione francese, fece parte dell'esercito napoleonico e fu un oppositore degli austriaci. Deluso da Napoleone, dopo la firma del Trattato di Campoformio (1797) in cui aveva ceduto il Veneto agli austriaci, decise di partire in volontario esilio per Milano dove conobbe Parini e Vincenzo Monti. Nel 1815 (congresso di Vienna e definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo), gli austriaci occupano Milano e per coerenza con le proprie idee politiche, Foscolo lascia l’Italia ed è accolto in Svizzera. Successivamente si trasferisce a Londra e collabora con varie riviste. A causa della povertà e dei debiti, vive nei sobborghi più poveri della città. Negli ultimi anni della sua vita si ammalò gravemente e muore poi nel 1827 nel villaggio di Turnham Green. Nel 1871 i suoi resti furono portati in Italia e sepolti in Santa Croce, a Firenze. La cultura e le idee. Foscolo si forma nel solco del gusto arcadico (la poesia del ‘700 è caratterizzata dal rifiuto delle stravaganze barocche. Vi è, dunque, un recupero dei modelli classici secondo le linee guida indicate dall'Accademia dell’Arcadia, fondata a Roma nel 1690. Quest'ultima, prendeva come modello quello petrarchesco, considerato come massima espressione del “buon gusto”, della chiarezza e di sentimenti sani e morali, in opposizione all’edonismo marinista. Tema prediletto è il mondo pastorale, nel quale viene proiettata una vita ideale basata sulla semplicità). Ma presto i suoi orizzonti culturali si fanno più ampi, accogliendo suggestioni dai classici greci, latini, italiani e dai moderni Parini, Alfieri, Rousseau ecc. Foscolo aderì con convinzione alle teorie illuministiche di stampo materialistico e meccanicistico. Tali teorie, determinarono in lui l'angoscia davanti al "nulla eterno", all'oblio che avvolge l'uomo dopo la morte. Per questo motivo, visse in modo lacerante il periodo di crisi dell'Illuminismo, tanto da determinare in lui una visione pessimistica della vita. Il materialismo (nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma) è la posizione di chi ritiene che tutta la realtà sia materia, ed esclude quindi lo spirito se non come prodotto della materia stessa. Ne deriva la negazione del trascendente e della sopravvivenza dell'anima dopo la morte. Tutto il reale non è altro che un continuo moto di aggregazione di elementi materiali, che poi si disgregano per andare a formare altri corpi. Il mondo, quindi, non è regolato da un'intelligenza superiore, bensì da una “cieca forza meccanica”. La morte determina l'annullamento totale dell'individuo. La visione attiva ed
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