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APPUNTI LETTERATURA SPAGNOLA 2 - 30 E LODE, Appunti di Letteratura Spagnola

Appunti di lezione con annessa analisi delle poesie e dei brani dalla dispensa.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 12/06/2024

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benedetta-trenta-1 🇮🇹

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Scarica APPUNTI LETTERATURA SPAGNOLA 2 - 30 E LODE e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LETTERATURA SPAGNOLA Prof. Sara Carini A.A. 2023/2024 GLI ELEMENTI CARATTERISTICI DELLA EDAD MEDIA ESPAÑOLA Innanzitutto il Medioevo spagnolo è epoca abbastanza peculiare, perché abbiamo un evento storico fondamentalmente importante che è l’arrivo degli arabi dal nord Africa nel 711, conquistando la penisola spagnola. Questa conquista è irruente e con molta forza arriva a conquistare tutta la parte centrale e del sud della Spagna; restano fuori dalla conquista araba i regni che si trovano otre i Pirenei. Parte verde = territori che vengono conquistati dagli arabi Parte rossa-arancio = territori che restano cristiani Nel corso dei secoli, il dominio arabo perde di importanza ed espansione territoriale: inizia a perdere potere e territori un po’ per questioni interne e un po’ perché i regni cristiani del nord iniziano la Reconquista, ovvero una serie di campagne militari, a volte singolarmente, a volte invece raggruppati in quelli che oggi chiameremmo consorzi, per riconquistare territori. Questi riconquistano man mano, vuoi perché gli arabi perdono coesione, vuoi perché delle … importanti come quella del 1412 a Tolosa permettono ai cristiani del nord di recono tutta Spagna. 1492 = Toma de Granada; il dominio arabo è definitivamente sconfitto. Ci rendiamo conto di quanti secoli passano: di mezzo c’è per esempio la cultura mozárabe (cultura dei cristiani assoggettata al dominio arabo), le guerre e tutti i problemi che coinvolgono i diversi regni cristiani del nord che comunque cercano di assoggettare i propri vicini. Quel che ci interessa pensare è che nel 1492 i regni che dominano sul territorio iberico sono 2: el Reino de Castilla y el de Aragón. Questi 2 regni hanno importanza maggiore rispetto ad altri piccoli regni che ancora resistono e sono importantissimi perchè poi diventeranno un solo regno, quello de Los Reyes Catolicos Isabel de Castilla y Ferdinando de Aragón. Isabel è anche la promotrice del viaggio di Cristoforo Colombo, Ferdinando suo marito. Si sposano per evitare guerre tra i due grandi regni (matrimonio di comodo) e la peculiarità è che per un certo periodo anche dopo il matrimonio tra Isabel e Ferdinando i due regni continuano ad avere una propria struttura amministrativa. Nel 1492 però non abbiamo ancora una Spagna unitaria: abbiamo 2 regni che governano gran parte del territorio spagnolo, guidati da Isabel la Católica e Ferdinando de Aragón. Complice anche l’arrivo degli spagnoli in America e quindi l’allargarsi del territorio di competenza per i due regni, si inizia a creare l’idea di un’unica Spagna, una Spagna che è già un Reino de España. Questo ci interessa perché il 1492 è l’annus mirabilis della Spagna, in cui inizia il suo apogeo. Dal punto di vista culturale, non abbiamo però detto quale fosse la situazione: il dominio arabo della penisola iberica aveva lasciato un’eredità importantissima, quella del mozárabe e della convivenza di religioni e culture diverse. La penisola iberica è famosa per essere stata a lungo teatro di convivenza pacifica tra religione ebraica, mussulmana e cristiana. Tutto questo con i Re Cattolici viene meno, in parte in seguito alla fervente fede di Isabel la Católica e in parte come esito del gran sforzo fatto dai regni cristiani del nord per riconquistare il territorio della penisola iberica. Dopo una convivenza pacifica, si inizia quindi a distinguere a seconda dell’appartenenza religiosa. Con il 1492, Isabel la Católica decide che ciò non è più possibile, caccia gli ebrei e obbliga alla conversione i mussulmani. Questo evento per Isabel la Católica sarà un evento importantissimo, molto più della scoperta delle Americhe, non ancora concepita in tutta la sua grandezza per varie altre decadi. Avremo modo di parlare anche di questo, perché il 1492 è la data con cui di solito si indica l’inizio dell’epoca moderna. Siamo quindi ormai alla fine del Medioevo e all’inizio dell’epoca moderna, con tutto ciò che ne segue. Tutto questo preambolo per far presente quale fosse più o meno il contesto a partire dal quale inizieremo a studiare letteratura spagnola quest’anno. 1. EL CONTEXTO HISTÓRICO: ESPAÑA EN LOS SIGLOS XVI Y XVII Un paso atrás: 1492 Il 1492 è stato l’annus mirabilis della Spagna, in cui la Spagna ha fatto ciò che nessun altra potenza europea era stata in grado di fare: ha allargato i propri confini oltre oceano. Nonostante già ci fossero stati i portoghesi a fare questi viaggi, la Spagna è stata infatti la prima a organizzare una “conquista/scoperta” (l’America già esisteva ed era popolata da culture con un proprio sistema di valori e organizzazione politica). Con l’arrivo degli spagnoli nelle Americhe, la Spagna acquisisce una posizione predominante in Europa, per il prestigio che segue la scoperta delle Americhe e anche per i benefici che queste scoperte portano con sè: almeno in una prima fase infatti, la Spagna riesce ad avere un risultato positivo dalla conquista e d’aiuto commerci che si vanno stabilendo tra penisola iberica e territori oltreoceano. Allo stesso modo, la politica interna riesce a mettere a tacere tutti i problermi della borghesia (verso metà del XV sec, i nobili spagnoli erano infatti molto insoddisfatti della corona e molto frustrati, quindi ci furono diversi bandi e schieramenti e ci fu ad una guerra di successione in cui si appoggiò o meno Isabel la Católica). Quindi 1492 = annus mirabilis per il prestigio internazionale seguito alla scoperta delle Americhe e alla situazione economica prospera e favorevole. Il 1492 è poi la data con cui – come anticipato – si stabilisce di solito per convenzione l’ inizio dell’Epoca Moderna. Ovviamente questo non avviene dall’oggi al domani: noi stabiliamo tale data perché a posteriori, osservando dinamiche che si vanno sviluppando dal 1492 in poi, possiamo diere che in quell’anno si sono stabiliti i criteri e i cardini per quel che poi sarà ad esempio il capitalismo e l’Epoca Moderna. C’è un cambio totale di percezione di sè stessi e dell’altro: gli europei riescono a compiere esplorazioni geografiche, ad avere migliorie dal punto di vista tecnico grazie al fervore scientifico che si era prodotto, che era iniziato nel Rinascimento e che nel Rinascimento trova il suo apogeo. Ciò spinge verso altre terre e l’incontro con altre culture porta gli europei a farsi altre domande e vedersi come portatori di ciò che considerano cultura e civilizzazione; li porta vedersi il centro di un mondo, a dichiararsi il vecchio mondo e vedersi contrapposti al nuovo mondo, visto come da organizzare e istruire. Quindi le basi del capitalismo le possiamo ritrovare per esempio nella tratta atlantica degli schiavi e in tutti quei commerci che si vanno a sviluppare dopo il 1492. Quindi ad oggi noi diciamo che siamo di fronte a una data che segna l’inizio della Modernità perché i meccanismi e dinamiche che si vanno creando dopo il 1492 come conseguenza delle scoperte geografiche e delle esplorazioni danno come risultato fenomeni che ancora oggi ci interessano come il capitalismo, ma soprattutto dando luogo a un cambiamento nel pensare degli intellettuali dell’epoca. Col tempo, più che una scoperta era dunque un’imposizione: era un’immagine che si confaceva piu che altro a strutture immaginarie o che avevanno costituito le strutture del sapere nel corso dei secoli. Quindi, dopo il 1492 tutto cambia e lentamente si manifesta in tutti gli ambiti di società, politica e cultura (livello economico, politico e culturale) e a livello culturale soprattutto, perché l’incontro con l’altro mette in gioco una serie di considerazioni che a inizio XVI secolo sono ancora in nuce, ma che acquisiranno maggiore importanza più avanti. La España prerrenacentista Los Reyes Católicos Per capire il contesto è utile pensare al contesto della Spagna prerenascimentale. Sotto l’egida dei Re Cattolici, la Spagna riesce a trovare un’unità che era stata impensabile per moltissimi secoli: l’unico momento in cui la penisola iberica aveva vissuto l’unità prima dei re cattolici, infatti, era stato sotto il dominio romano (Impero Romano). Come anticipato, all’inizio si tratta di un’unificazione a medias (il regno di Castilla e quello di Aragón mantengono infatti le proprie strutture amministrative) e solo più tardi si parlerà di regno di Spagna e di un’unica struttura. Isabel la Católica non è conosciuta per essere stata una regina progressista, anzi: la sua politica fu di stampo estremamente conservatore. A tal proposito, caccia gli ebrei dalla Spagna – obbligando invece i mussulmani alla conversione – e nel 1478, dopo aver avuto il parere favorevole di Papa Sisto IV, Isabel costituisce il Tribunale della Santa Inquisizione, che inizierà a lavorare a partire dal 1480 nella città di Siviglia. Come anticipato poi, durante gli anni del suo regno, Isabel riuscì a fare quel che i suoi predecessori non erano riusciti a fare: controlla le velleità di aristocrazia e borghesia; controlla i nobili ribelli, che addirittura nel caso di un suo predecessore erano riusciti a organizzare una farsa in cui il re veniva giudicato e condannato a morte, e soprattutto prende decisioni molto forti dal punto di vista religioso e culturale. Tutto questo si va a inserire anche nella ‘conquista’ dell’America, nel senso che, arrivati in America, gli spagnoli – su mandato dei re cattolici - si fecero portatori della religione cattolica > il termine “re cattolici” venne infatti concesso a Isabel la Católica e Ferdinando da Papa Alessandro III a inizio XVI secolo, per il loro ruolo di portatori della fede nel Nuovo Mondo. Isabel la Católica fu dunque una regina di stampo conservatore. Nonostante ciò, non si puo dire che il regno dei Reyes Católicos sia stato un regno repressivo: fu un regno nel quale si diede importanza alla letteratura di stampo storico, morale-religioso, e in cui la pubblicazione di libri di stampo umanistico non fu ostacolata, ma anzi vide un incremento come conseguenza della nascita delle prime stamperie. Carlos V (1517-1556) Con Carlo V dell’Impero Asburgico (o Carlo I di Spagna) si apre l’epoca dell’Impero spagnolo. Egli eredita il regno nel 1517 e con lui i territori dei re cattolici espansi oltre oceano si sommano ad ampissimi con Giacomo I di inghilterra e con i ribelli olandesi, cercando così di fermare l’emorragia economica e di forza militare che su quel fronte aveva perso. Nel 1609 (e fino al 1614) vengono espulsi definitivamente i moriscos (ovvero los moros, gli arabi che avevano continuato a vivere in Spagna e che professavano religione islamica). Dal punto di vista culturale e sociale, questa espulsione apre ad una serie di considerazioni e sviluppi poi importantissimi anche per capire certi temi della letteratura de Los siglos de Oro. Dei moriscos, alcuni se ne vanno, mentre altri si convertono, cosa che darà il via alla grande distinzione tra cristianos nuevos y viejos. Si instillerà allora il principio de la Limpieza de sangre, che si evolverà come istituzione sempre più importante > a un certo punto infatti, per essere beneficiari di incarichi pubblici o di prestigio nella corte bisognerà saper dimostrare d iessere cristianos viejos. Questi sono letteralmente i “cristiani vecchi”, ovvero coloro che potranno dimostrare di essere sempre stati cristiani e che la propria famiglia non professava una religione diversa dal cattolicesimo, contrapposti ai “cristianos nuevos”, ovvero coloro i quali non potranno dimostrare ciò in quanto convertiti e discendenti dunque da una famiglia che professava una religione diversa da quella cattolica. Tutto ciò sfocerà nella costruzione di un concetto poi importantissimo per la letteratura dei Secoli d’Oro, ovvero il concetto dell’onore, per cui ci sarà una fortissima attenzione all’onore e al poter dimostrare di non avere macchia. Tutto deriva dalla cacciata dei moriscos e si era già insinuato nel 1492, quando Isabel la Católica aveva cacciato gli ebrei e costretto alla conversione i mussulmani. I moriscos verranno poi cacciati, perché nell’arco del XVI secolo molti saranno accusati di essersi convertiti ma di professare ancora il proprio credo mussulmano; molti saranno espulsi, altri convertiti, ma manterranno la macchia di “cristiani nuovi” > il fatto di essere indicati/sospettati di essere cristiani nuovi poteva infatti portare a conseguenze catastrofiche, per cui la Spagna dell’epoca è piena di situazioni in cui personalità anche importanti hanno dovuto dimostrare di non essere “cristiani nuovi”. Finisce l’epoca del Duque de Llerma e quando sale Felipe IV ha solo 20 anni; il potere passa dunque al valido del rey Conde-duque de Olivares, il quale persegue obbiettivi che sono esattamente il contrario di quelli de Llerma: vuole riconquistare l’Olanda e riaffermare il dominio e il potere della Spagna in Europa, tornando all’epoca di Carlo V e puntando all’idea di una Spagna come monarchia mondiale. Ricomincia la Guerra delle Fiandre nel 1618 e va avanti fino al 1648, rivelandosi catastrofica per la Spagna. Al contempo, Olivares tenta di risolvere lo stato di corruzione in cui versava la Spagna e che aveva caratterizzato il regno precedente aumentando la fiscalità (tassazione), ma ciò provoca solo un’altissima inflazione. Per di più, intorno al 1630 la Spagna vive anche un ribasso dei commerci con le Americhe. Dieci anni più tardi, nel 1640, la Spagna va poi incontro al suo annus orribilis: la guerra delle Fiandre intentata da Olivares mostra infatti il proprio risvolto negativo, provocando una serie di risentimenti in politica interna che porteranno la Catalogna e il Portogallo a ribellarsi, chiedendo l’indipendenza. Entro il 1643, anno che segna la fine del governo del Conde-duque de Olivares, la Spagna non ha riconquistato l’Olanda e anzi questa ha riaffermato e rafforzato la propria indipendenza; la Catalogna è stata pacificata grazia ad accordi che non saranno però esattamente duraturi, e invece il Portogallo si è dichiarato indipendente. Quindi, alla fine del governo di Olivares la Spagna si ritrova a perdere i primi pezzi. Con l’arrivo di Carlo II siamo forse di fronte al momento più basso della Spagna imperiale. Egli sale al trono a solo 4 anni e muore senza discendenza. La salita al trono in età infantile porta ad una serie di guerre dinastiche per il controllo del governo, che si protrarranno per molto tempo: ci saranno moltissime guerre di successione, durante le quali anche la Francia si mostrerà interessata al trono spagnolo, che per moltissimi decenni andranno avanti con colpi bassissimi e senza alcun tipo di volontà di porvi fine. La situazione del governo è pessima: e c’è un persistentre vuoto di potere, che si fa sentire tanto in politica interna quanto estera; l’autorità reale collassa e c’è una situazione di crisi permanente. Con la morte di Carlos II, si apre una guerra di successione per il trono che inizia nel 1702 e finisce nel 1714, installando però subito dopo un’estenuante guerra europea; inoltre, già quando Carlos II eredita il trono ci si ritrova con lotte per la reggenza, che nel caso di Carlos II va poi a finire a sua madre. La Spagna passa quindi da una situazione di dominio e potenza assoluta ad una fragilità da dover gestire, pur rimanendo essa un impero vastissimo (le colonie saranno perse solo molto piu avanti). Abbiamo quindi una traiettoria politica che influisce sulla percezione sociale e culturale del popolo spagnolo e sulla percezione di come questa condizione influisce sul livello artistico. Passiamo dal Rinascimento (epoca a cui si torna ai classici per equilibrio e forma) al Barocco (caratterizzato da un’esuberanza, un’esagerazione e una rottura con l’equilibrio che sembra quasi un’idiosincrasia e che si è rivelato incapace di reggere le condizioni storico-sociali dell’epoca), passando per il Manierismo. 2. CAMBIOS SOCIOPOLÍTICOS El siglo XVI Quello che succede nel secolo XVI nel secolo XVII si acuisce, ma possiamo vedere questi due secoli come secoli che vivono un po’ le stesse esperienze, tenendo poi conto che si tratta di un periodo di tempo piuttosto ampio. Sia il XVI che XVII secolo sono secoli d’intensa lotta sociale tra i cosiddetti cristianos nuevos y viejos. Nel 1556 Papa Paolo IV aveva approvato lo statuto della Lipieza de sangre (statuto promosso nel 1545 da Juan Martínez Silíceo) e più tardi lo avrebbe fatto anche Felipe II, che per mezzo di esso avrebbe fatto sì che la società spagnola diventasse una società estremamente attenta alle manifestazioni esteriori dell’onore e della reputazione. Questo aspetto non solo è interessante dal punto di vista culturale, ma diventa anche un elemento che sfocia in decisioni politiche: a un certo punto de los Siglos de Oro (XVI- XVII) infatti, non potranno piu svolgere attività pubbliche o incarichi pubblici los cristianos nuevos. Questa attenzione alla Limpieza de sangre e alla ricerca dell’onore diverrà un elemento che bloccherà l’intraprendenza che prima poteva permettere qualsiasi cambio di classe sociale: ci ritroviamo sempre più in una società in cui le classi sociali sono immobili, governate dal ruolo, dall’eredità che viene dalla famiglia e dalla radice piu o meno vicina al cattolicesimo di ciascuno. Ciò vuol dire che la società spagnola inizia a vivere per far in modo di dimostrare di avere onore, di essere una persona o una famiglia che non ha disonori da dover espiare. Questo comporterà una nuova attenzione a gerarchia, classe sociale, posizione, atti compiuti e anche relativi alle persone appartenenti alla propria famiglia che possono essere causa di disonore. A tal proposito, una cosa su tutte importantissima in questo senso era il ruolo della donna, che spesso poteva essere disonorata da un’azione volontaria o involontaria di qualcuno. Inoltre, lo statuto de la Limpieza de sangre, il suo sviluppo e la sua sempre maggiore importanza portano anche ad un maggiore uso del Tribunale della Santa Inquisizione, che diviene vero e proprio strumento repressivo; ciò significa anche una maggiore controllo, il quale però, in numerose occasioni, sarebbe stato basato più su supposizioni che su prove concrete. Quindi estrema attenzione a ciò che non andava fatto o non si doveva fare, perché avrebbe causato/avrebbe potuto causare problemi. Ej. Tale scritto anonimo che aveva come bersaglio alcune nefandezze compiute all’interno degli ambiti ecclesiastici e per cui l’autore lllll– probabilmente un ecclesiastico – non desiderava conseguenze anche rispetto a quella che poteva essere l’azione del Tribunale llllldell’Inquisizione. Dal punto di vista politico, nel XVI secolo inizia a costruirsi l’idea di Stato moderno, ma iniziano anche a definirsi quelle dinamiche che poi sfocieranno nel capitalismo: è infatti in quest’epoca che si stabiliscono le modalità com cui poi nei secoli si svilipperà il capitalismo, ovvero lo sfruttamento per motivi economici di qualcosa – e purtroppo, nel caso della scoperta delle Americhe, anche di qualcuno, con gli indigeni da un lato e gli afrodiscendenti dall’altro (tramite la tratta degli schiavi e la schiavitù in piantagioni). Durante il XVI secolo, le principali fonti di ricchezza sono agricoltura e allevamento, che in partre sono abbandonate dalla borghesia. Questa abbandona tali attività per dedicarsi al commercio, oppure semplicemente per cercare nuove forme di ricchezza che non derivino dal lavoro manuale. Quest’ultimo viene poi abbandonato anche da una certa classe di nobili – los hidalgos (> hijo de algo) –, che si rifiutano di occuparsene in quanto si ritengono appartenenti alla nobiltà, seppure appartenenti alla categoria piu bassa di questa. Se iniziano a rifiutarlo i borghesi e a non amministrarlo i nobili e terratenenti di piccole dimensioni, il risultato è che il lavoro agricolo non lo fa più nessuno e di conseguenza viene abbandonato; ciò porta ad una paralisi produttiva, che si trascina in Spagna per molto tempo e che poi sarà causa di problemi anche in epoche successive. Dal punto di vista politico poi, abbiamo sì uno Stato moderno, ma accentrato sul potere reale, con una grandissima burocrazia, una fortissima idea di nazionalismo, un forte capitalismo e delle reti di interesse internazionale molto difficili da amministrare. In tutto ciò, nonostante le Americhe fossero foriere di argento e pietre preziose, la Spagna non riesce a a sfruttarle in maniera adeguata, nel senso che – se in principio queste risorse arrivano e vengono vendute, portando a uno scambio che produce ricchezza – col passare dei secoli esse vengono sì vendute, ma solo per essere poi riacquistate sottoforma di oggetti. La Spagna, quindi, andrà in perdita per non aver sviluppato un artigianato che sappia trasformare argento e oro in oggetti, ma anche le spezie e tutto il materiale proveniente dalle Americhe. Tra le altre cose poi, l’arrivo di ingenti quantità di materiale prezioso porta anche ad una crescente inflazione, che perdurerà per molto tempo nella Storia spagnola: non c’è infatti equilibrio tra ricchezza in entrata, in uscita, e soprattutto con il cibo che la popolazione spagnola può effettivamente permettersi di acquistare. El siglo XVII Il XVII secolo è considerato un’epoca depressiva. Nel corso di questo secolo, è fornitissima la frustrazione per la fine del sogno imperiale: è ormai chiaro che la Spagna non ha più il potere che aveva nei due secoli precedenti ed è ormai chiaro che la società del XVII secolo deve confrontarsi con una condizione di scarsa ricchezza e scarse possibilità. Questo ovviamente fomenta un’introspezione e una riflessione che portano moltissimi intellettuali a guardare la realtà attraverso un filtro e una prospettiva personale: non abbiamo più intellettuali che parlano per la propria generazione o classe sociale, ma che riflettono e ragionano osservando la realtà in modo totalmente autonomo. Questo è un grandissimo cambio rispetto a quello che era stata sempre la tradizione della letteratura spagnola e delle arti spagnole fino alla fine del XIV sec. Los problemas internos y la organización del estado provocaron una condición de precariedad que conduce la población a sufrir epidemias y catástrofes demográficas. Continúan los conflictos de castas; en 1609 son expulsados todos los moriscos, como consecuencia se agudizan los problemas sociales y hay una verdadera caza a los cristianos nuevos. Se institucionaliza el valimiento y, con esto, la monarquía absoluta se convierte en un absolutismo monárquico ejercido por la clase del valido (la aristocracia) con todo lo que esto conlleva para las clases menos adineradas. La aristocracia se constituye en un élite y para que no haya cambios frena cualquier tipo de movilidad social. Las clases productivas son despreciadas y abandonan sus actividades por esto y por los impuestos. El malestar genera una actitud reflexiva que configura la personalidad del hombre moderno. El tema de España y sus problemas aparecen en varias obras. 3. LA EDAD DE ORO DE LA LITERATURA ESPANOLA Hay que aprender que quiere decir ‘Siglo de Oro’ y de que hablamos cuando hablamos del ‘Siglo de Oro’ o de los ‘Siglos de Oro’. En la literatura italiana, tenemos una temporada que fue en absoluto una temporada de riqueza y de alto nivel literario que fue el Renacimiento, y en particular un siglo, el 1300, conocido en la literatura italiana porque se ha caracterizado por una riqueza que nunca había sido antes. En España tenemos lo mismo, pero en una temporada diferente: con el Siglo de Oro/los Siglos de Oro nos estamos refiriendo a una época en la cual la literatura tiene un apogeo, una altísima calidad y muchísimos autores. Antes de hablar de manera precisa del termino, vamos haciéndo un resumen. Del Renacimiento al Barroco / 1 El reino de Carlos I de España (Carlos V de Asburgo) y de Felipe II todavía corresponden al Renacimiento. El reino de los Reyes Católicos todavía corresponde a la Edad Media. Según la crítica podemos dividir el Renacimiento español en dos mitades: 1. La primera, la epoca de Carlos I, es una epoca de expansión y erudición. Aunque haya problemas desde el punto de lllllvista religioso, aunque en politica externa Carlos I tenga problemas con las rebeliones que se dan por ejemplo en lllllFlandes, en el territorio olandes y sobretodo con los problemas en Alemania, la situación española durante el reinado lllllde Carlos I es una situación positiva: hay una idea de expansión, que se cumple con el reinado de Felipe II, cuando el lllllimperio español amplía su territorio (Filipinas y Portugal). 2. Con la segunda mitad, bajo el el reinado de Felipe II, la cuestión religiosa se hace más fuerte: empieza la Guerra de llllllos 100 años en Flandes y el vitalismo de la epoca de Carlos I se ve sustituido con la rinuncia ascética y el rigor llllideológico, o sea, todo se pone un poquito menos positivo, la idea de expansión y futuro se reducen. Esta reducción lllllse darà de forma siempre más s importante a partir del reinado de Felipe II, hasta llegar al siglo XVII. El siglo XVII es ya un siglo de pleno Baroquo. Entonces, ¿En el Barroquo que pasa? Si en el Renacimiento se había dado atención a los clásicos y a la recuperación de las normas de equilibrio que venían de la época clásica, en el Barroco no renunciamos a estas normas, sino las rompemos, con la exageración; la perspectiva es una perspectiva que no busca la elegancia, sino la abundancia. Por lo tanto, las formas artísticas rompen con los modeles del Renacimiento, porque necesitan nuevas modalidades expresivas: ¿Como es posible describir la desconfiancia del Barroco o como simplemente es posible describir la realidad sin perspectiva futura del hombre barroco con formas literarias? Entonces, el Barroco es conoscido por ser una epoca que trabaja por acumulación, que intenta destacar y completar la complejidad de la realidad y trasponerla al arte . Es una época que se da cuenta de cómo es imposible regresar al pasado o a una idea de belleza y equilibrio que eran propria del pasado, porque el contexto político y social no lo permite: es diferente y por lo tanto no permite regresar a una idea de cultura y arte propria del pasado. Del Renacimiento al Barroco / 2 La época barroca española va, aproximadamente, de finales del siglo XVI (1599, cuando se publica El Guzmán de Alfarache) a las últimas décadas del siglo XVII (1681, la muerte de Calderón de la Barca). Entonces, ¿Qué podemos decir sobre las fechas cuando hablamos de literatura? Digresión de metodologia: las fechas, cuando hablamos de literatura, son fechas fijas si estamos hablando de la publicación de un libro o de la fecha de nacimiento/muerte de un autor; pero, cuando hablamos de las corrientes literarias, a menos que nos hablamos de un manifesto, no es posibile identificar una fecha de comienzo de una corrente o epoca. Por lo tanto, cuando hablamos de Barroco, hablamos de una época que se concreta desde un punto de vista artístico y literario en obras que se produceron a partir de 1599 y que más o menos termina en 1681, pero estas fechas son una convención que utiliza la crítica para establecer un comienzo. ○ 1599: es la fecha de publicación de El Guzmán de Alfarache, la segunda gran novela picaresca española (la primera es llllel Lazarillo de Tormes, mientras El Guzmán de Alfarache ya tiene elementos más barrocos que renacentistas). Detto questo, ancue quando siamo di fronte a un manifesto, le sensibilità letterarie non cambiano in modo improvviso, ma nel tempo, a volte anche in modo piu sfumato (grazie a eventi, esperienze che portano gli autori a cercare di descrivere la realtà attraverso nuove prospettive, forme, parole, linguaggi). Aquí os he puesto algunas del arte barroca española: El primer cuadro son Las Meninas de Diego de Velázquez, mientras que el segundo es Mujeres a la ventana de Miguel Esteban. Entonces, lo barroco aquí está en la voluntad de representar la realidad a través del detalle > estos cuadros intentan reproducir la realidad a a través del detallismo, como fotografías. Tenemos estas representaciones iconicas con un uso particular de la luz, con contraste forte entre luz y ombra, que sirve para poner em primer plano algunas figuras y dejar en posición secundaria el contexto. La tercera imagen es la fachada de la catedral de Murcia, tipica barroca, con una serie di decorados y detalles arquitectónico que la hacen muy rica (estatuas, símbolos que se van superponendo uno al otro). Esta muestra sirve para realizar como se representaba el barroco también en otras artes. El término Siglos de Oro Entonces, el término Siglos de Oro, que podemos encontrar tanto al singular (si hablamos de la literatura di uno de los dos siglos) como al plural, corresponden por lo general a los siglos XVI y XVII. Claramente, se trata de dos siglos que comprenden los restos del Renacimiento y el Barroco español. Es una epoca que se caracteriza entonces por un florecimiento artistico notable y por albergar movimientos ideológicos y estéticos de muy diversa indole. Por eso, puede que haya sido la epoca más importante de la literatura española, tanto que sus rastros, su influencia, su huella, se nota también en los siglos posteriores. Fue una época en la cual hubo una altísima densidad de obras y autores de calidad, fue quizás una de las épocas más importantes de la literatura española y su fuerza se percibe a lo largo de los siglos en los siglos posteriores. Aqui también tenemos una nota metodologica: el término Siglos de Oro durante la epoca romantica, a finales del siglo XVIII. La crítica acuñó este término para destacar la grandeza de producción literaria y artistica de la época, que tenía características únicas de nivel y de riqueza. Por lo tanto, se trata en parte de una etiqueta critica, útil para identificar un momento de auge para la literatura y las artes españolas en general. Los autores que escribieron en esa época no se reconocían en dicho término porque, simplemente, todavía no existía, ni sabían que su escritura y obras servirían en un futuro para identificar esta epoca como la epoca de oro de la literatura española. Nunca ha existido una escuela literaria de los Siglos de Oro: existió un periodo el el que albergó muchísimos autores de alto nivel literario, muy diferentes entre sus mismos y todos capaces de producir muchas obras, las que han hecho la de los Siglos de Oro una de las épocas de la literatura española más ricas. Cuáles son las características de esta época Para recordar y comprender esta epoca, tendremos que pensar en algunas cuestiones. En particular, hay que recordar: • La convencida defensa de la fe católica perseguida por los monarcas españoles: la semana pasada hablamos de varias guerras de religión que siguieron en el siglo XVI-XVII; esta es una carta che determina por alguna forma la realidad de los siglos de ora. La unidad religiosa de esta epoca se consideraba algo fundamental. Se pensaba que era fundamental para consolidar el Estado y mantener la paz social, y a partir de este pensamiento es posible decir que el mantenimiento de la fe – o en general la fe católica – es frecuentemente la base del pensamiento español. En la epoca de los Siglos de Oro, la fe es un motivo que estimula el pensamiento y estimula las recepciones alrededor de las luchas religiosas (en particular, aquellas luchas que surgían de la reforma protestante o aquellas que surgían del mantenimento de las colonias). Aquí en particular, nos referimos por ejemplo a la Junta de Valladolid, un momento en el cual se discutió la institución de la esclavitud en las colonias y el ser de los indígenas (si los indígenas podían ser sujeto de esclavitud o tenían que ser considerados hombres como loa demás españoles). Desde este punto de vista, Bartolomé de las Casas escribiò el famosísimo texto En defensa de los Indios, en el cual nos denunciaba los estragos cumplidos por los indígenas. De esta epoca es la fundación de la compañía de Jesús. Se fundó en 1691 y será sobre todo en América el centro en el cual se instituirán michismimos intelectuales del siglo XVI-XVII. Por lo tanto, la fe es un tema principal y fúndante del pensamiento de la epoca de los Siglos de Oro. • El tipo de sociedad vigente en la epoca: en los Siglos de Oro tenemos una sociedad testamental, conformada por la nobleza, el clero y el pueblo. Dentro de cada una de estas categorías había varias diferencias: como vimos antes, no toda la nobleza tenia el mismo valor, ni los mismos recursos; no todo el clero tenía la misma vocación y objectivo. Así, entre los nobles había quienes podían vivir de manera acomodada y quienes – sobre todo en la categoria de los caballeros y hidalgos – no tenia recursos ni para sobrevivir. En el clero, por otra parte, había mucho relajamiento moral, por lo cual las reformas de clero intentaron “limpiar” la gerarchia ecclesiastica de algunas actitudes moralmente discutibles. En el pueblo también había una gran variedad de condiciones: por un lado los comerciantes, por otro los pastores, los labradores o los picaros; estas eran personas que no tenían ningún tipo de recurso y que tenían de sobrevivir hacia expedientes como el robo o la ayuda por parte de alguien más rico. Sin embargo, todas estas categorías tenían una ambia consciencia de su valor y – como se había desarrollado la Reconquista – a categorias sociales que a partir de los Siglos de Oro iban ser imprescindibles, como por ejemplo la categoria del honor. Entonces, tenemos una sociedad bastante varia, con muchos problermas, y ademas tenemos también la cuestión de la limpieza de sangre, que junto con el honor serà otro tema que adquirirá más importancia. NB; Hidalgos = ya existían antes de la Reconquista y con el término de la Reconquista esta clase se ve numericamente llllllllampliada > se daba privilegio de hidalguía a todos los que habían participado en esa; Caballeros = reconquista; tienen título, pero ni tierras ni privilegio de nobleza. Las consecuencias de estas condiciones sociales abren a categorías que se volverán imprescindibles y veremos incluso con Cervantes cuanto estas categorías serán imprescindibles para que una persona pueda trabajar (ej. ve estatuto de limpieza de sangre que se pronuncia en su favor). El honor y la honra En la España de los Siglos de Oro, el honor es algo imprescindible. Pero, para comprendere que es el honor tenemos que pensar que es un concepto ampio y polisémico, que pude abrirse a mas accepciones. Según Menéndez y Pidal, que fueron unos famosos críticos del a literatura española, honor es ‘loor’ (lode), consideración o reverencia que el sujeto gana por su virtud o buenos hechos. En contra, la honra, aunque se gane por actos proprios, depende de acciones ajenas, de la estimación y fama que otorgan los demás. La honra la perdemos por decisión de los demás. Ej. El tratado de Lázaro, servo de un caballero: Lázaro se encuentra viviendo con un caballero sin siquiera un lugar donde dormir, pero que desde fuera parece un caballero en todos los aspectos y que sigue compitiendo como tal. En la literatura del Siglo de Oro el tema del honor está ampliamente documentado y es muy frecuente encontrar el honor destruido o la honra arruinada por acciones que luego trastocan la vida de los protagonistas de las obras y que sobre todo provocaron trágicos acontecimientos en los acontecimientos narrados. Esto lo veremos sobre todo con el teatro barroco (Lope de Vega y Calderón de la Barca). El desarrollo de este concepto de honra y onor hace que la sociedad española empieze a vivir para el exterior, para complacer a los demás y para mostrarse a los demás sin temor a críticas, chismes; hace que viva para evitar que los demás puedan aludir de forma negativa a nuestra persona. Siempre a partir de la honra y del honor tenemos también la hombría, que se relaciona con el coraje, la audacia, el valor militar, las hazañas. Con respecto a la Limpieza de sangre, esto tiene que ver con la conversión obligada que tuvieron que hacer musulmanes y judíos y con la expulsión de los judíos en 1609. De este momento, este estatuto adquiere una importancia notable, porque abre las puertas a la vida social: ser un cristiano nuevo es incluso un motivo de deshonra social, mientras que poder demonstrtar que la persona pertenece a una famiglia de cristianos viejos supone ya una buena reputación y una condición honraría. Hemos dicho que en los Siglos de Oro hubo mucha diversidad en formas estéticas, ideas, ideologías y en propuestas estructurales; fue tambien un gran florecimiento de todos los géneros, pero tambien un gran desarrollo de la imprenta de libros: se producirán más libros con respectos a los siglos anteriores y cambió tambien la forma de publicar. En particular, a partir de 1558, fue necesario que todos los autores que tuvieran la voluntad de publicar libros obtuvieran el privilegio real. Entonces, debido a esto, cada autor tuvo que obtener un privilegio que de alguna manera era como un copyright actual, con el cual el consejo del reino aprobaba la publicación de un texto y controlaba tambien lo que las clases eruditas podían leer. Entonces, en 1583 aparece el Índice Gaspar Quiroga (Indice dell’Inquisizione) y a partir de esa fecha las obras se expurgan, es decir, se eliminan algunas partes consideradas no adecuada. Esto fomenta un trabajo por parte de los autores sobre el lenguaje, las formas y los temas que les permitieran decir lo que querían decir sin incurrir en una expurgación por parte de la Inquisición. De ahí, también la búsqueda de la ambigüedad de la que hablábamos antes. Este momento favorece, por ejemplo, la publicación de obras anónimas como el Lazarillo de Tormes, publicado de forma anónima porque contiene diferentes críticas al orden eclesiástico (y por tanto el autor – un supuesto eclesiástico – publica la obra de forma anónima para evitar incurrir en una condena por la Inquisición). 4. MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA Uno de los autores más importantes del mundo, capaz de escribir en casi todos los géneros, un autor capaz de publicar, en 1605, una obra totalmente innovadora. Un autor peculiar porque también es contemporáneo de otro brillante autor, Shakespeare. Su influencia se siente en todas las épocas posteriores, que lo dividen y lo leen: de hecho, fue capaz de escribir una obra capaz de hablar a todas las generaciones a partir de 1605, aunque en su época todavía no se podía ver y no tuvo el éxito que realmente tuvo el trabajo. La genialidad de Cervantes radica también en que escribió todo tipo de obras, desde sonetos, pasando por dramas, pasando por novelas pastorales, etc. Desafortunadamente para él, nunca pudo ser reconocido por la grandeza que luego demostró por sus contemporáneos, por lo que su fama recién comenzó a surgir de manera póstuma. Apunte biografico Cervantes fue alguien que durante su vida tuvo que trabajar mucho para mantener una posición que no era ni buena ni mala, sino normal. Nace Alcalá de Henares, una ciudad cerca de Madrid, en 1547, y muere en 1616. De él no sabemos demasiado, pero sabemos estas cosas porque tenemos el registro de lo que le pasó y el registro notarial de la época. Sabemos que nació en 1547 y que era el cuarto hijo de Rodrigo de Cervantes y Leonor de Cortinas. De su padre sabemos que era un hidalgo, que tuvo algunos problemas políticos en 1552-53, y luego sabemos que en 1566 se declara cirujano en la ciudad de Sevilla. Por esa época, lo que sí podemos pensar es que Miguel se quedó con sus hermanos y junto con su madre en Alcalá, pero ya en 1566 parece ser que se trasladen todos a Madrid. Entonces, nace a Alcalá y se traslada a Madrid a circa 20 anni. En 1567 compone su primera obra conocida, un soneto dedicado a la reina Isabel con motivo del nacimiento de su hija. La hija es Catalina Micaela, hija de Isabel de Valois y de Felipe II. El soneto se titula Serenísima reina en que se halla. En 1568 los documentos demuestran que era alumno de Juan López de Hoyos; él fue un humanista y pedagogo madrileño que vivió entre 1530-40 y murió en 1573. Entonces, fue alumno de un importante pedagogo y humanista, conocido en la corte y también redactor de la Relación de las exequias de la reina Isabel > entonces no era una humanista ni un pedagogo cualquiera, sino reconocido. Cervantes publicarà 4 poemas en la Relación de las exequias editada por Juan López de Hoyo. Por lo tanto, la calidad literaria de Cervantes es bastante buena en 1568 como para que sus poemas se habían publicado en la Relación de las exequias de la reina. En 1569 algunos documentos testimonian problemas de Miguel de Cervantes con la autoridad, es decir que es acusado de haber herido un vecino y por ese motivo está sujeto a una providencia (decisión del rey) que comunica a quienquiera que hay de tomarlo preso y encarcelarlo. Esto hecho se resuelve, pero no serà la única vez en la que Cervantes tendrá que enfrentarse con la autoridad. Una vida convulsa en determinados aspectos, por la que nunca vivió tranquilo: En 1569, los documentos también testimonian la emisión de una información de Limpieza de sangre a favor de Miguel de Cervantes; esta información de Limpieza de sangre, que con mucha probabilidad le servía para gestionar sus negocios, lo ubíca en Roma, en el sentido que los documentos son “para Miguel de Cervantes, situado en Roma”. Eso porque por ese momento ya se encontraba en Italia, y con mucha probabilidad ya estaba trabajando en el seguito del Cardenal Giulio Acquaviva de Aragona. El ano después (1570) aparece ya la información que es camarero en el seguido de Giulio Acquaviva de Aragona. En 1571, en cambio, aparece alistado en el ejército y en particular lo encontramos en la batalla de Lepanto (1571), donde sabemos que quedó herido y perdió a mano izquierda (es llamado el “manco de Lepanto” por sus contemporáneos). En 1573 lo encontramos en Nápoles, siempre alistado en el ejército. En octubre de 1574 nuevamente lo encontramos desplazado en el ejercito en Túnez. En 1575 embarca en Nápoles hacia España y allí es cacturado delante de las costas de Cataluña por los corsarios de berberiscos; es rescatado 5 anos más tarde, después de varios intentos de fuga (4 por exactitud), todos fracasados. En 1561 cumple misiones con el ejercito en Oran, via Caraghena, pero emparentadas a las noticias militares empezamos a ver algunas noticias literarias. Entonces, durante el rapto y la captura por parte de los corsarios berberiscos, Cervantes ya escribía y había escrito y lo sabemos porque ya en 1566 le había entregado a su compañero Bartolomé Rufino de Chambmeri dos sonetos > tenemos una prueba que durante el cautiverio de Cervantes ya estaba escribiendo. A partir de 1580 tenemos más informaciones literarias que se acompañan a las militares. Entre 1581 y 1587, compone varias comedias. En 1582, empieza a redactar La Galatea, por la cual adquirirà la aprobación en 1584 y que publicarà en 1585. los problemas del ánimo humano común a cualquier lector; también supone cierta maestría en saber narrar de forma realista. Sin embargo, no todos los trabajos de Cervantes son verosímiles: en el Persiles y Sigismunda (una novela bizantina) el único rasgo de verosimilitud reside en los problemas que atañen a los protagonistas, que son típicos del ánimo humano y comunes al hombre de siglo XVI. Cervantes era un hombre muy culto y muy libresco; entonces, tenemos que pensar que había leído muchísimo. Era tambien una persona que tenía una capacidad impresionante por la escritura > … de alto nivel. Don Quijote de la Mancha Don Quijote de la Mancha es considerada la primera novela moderna por varios motivos: por la forma que tiene, por los recursos retóricos que utiliza y por la perspectiva que ofrece al lector. La obra consta de dos volumenses: el primero pòublicado en 1605, con la imprenta de Juan de la Cuesta, y el segundo en 1615. El segundo es una consecuencia de la publicación de la versión apócrifa del Quijote en 1614 por Alfonso Fernanfrez de Avellaneda y conocida como El Quijote de Avellaneda; eso era en realidad su pseudonimo, pero no sabemos a quién correspondía: podemos pensar que se trataba de un enemigo de Cervantes, o de alguien que quería aprovechar del éxito de la primera parte. Lo que nos interesa, es que Cervantes publica un segundo volumen del Quijote, y allí está la maestría: Cervantes retoma, en el principio de la segunda parte, las experiencias de los protagonistas, alludendo de forma directa a la primera parte; eso es un primer ejemplo de intertextualidad, es decir, de cómo Cervantes era capaz de hacer también metanarrativa: es el autor que alude a su propria obra dentro de una otra obra. Eso le sirve a Cervantes para “proteger” su obra y su autoría: haciendo alusión directa a las hazañas que sus personajes habían protagonizado en el primer volumen al principio del segundo, el autor renova su autoridad sobre el Quijote, una autoridad que se había visto borrar en parte por las imprentas de un Quijote apocrifo. Entonces, Cervantes reflexiona sobre el arte de reconstruir las aventuras del Quijote, retoma a sus personajes y al final hace que don Quijote muera, así que nadie podía escribir otro Quijote apócrifo. Cervantesd demonsotra así de saber manejar el elemento literario con maestria y habilidad. Y hay más: Miguel de Cervantes escribe rápidamente, porque el segundo volumen del Quijote sale el año siguiente de la versión apocrifa. Es un segundo volumen más maduro y esto lo notamos a partir de la estructura, que es as complicada, y tambien a partir de como don Quijote se relaciona con las personas que lo circundan. Es seguramente un personaje que va adquiriendo autoridad: si en el primer tomo es un loco, en el segundo ya es un loco que muestra rasgos de sabiduría y que al momento de su muerte se darà cuenta de cuanta locura hay en el mundo y de cuanta locura permite el mundo a través de … En el momento de la muerte, entonces, la locura de don Quijote se transformará as en sabiduría. Por lo general, podemos decir que el Quijote es un libro escrito por un hombre que había nacido y crecido en el Renacimiento (1547) y que del punto de vista biográfico pertenece a la última generación renacentista; sin embargo, es una obra que tiene todas las características del Barroco, ya que intensifica, exagera, retuerce y parodia los temas y las formas de todos los géneros de novela que representaban la moda, la literatura a disposición del lector. Para comprender mejor este aspecto, tenemos que pensar en cuales eran los géneros que se habían difundido a lo largo del siglo XVI. Estos eran: – Las novelas de caballería, novelas de las que los protagonistas vivían aventuras en mundos imaginarios, de os lllque las normas no tenían que ser iguales a las que vigian en la realidad y en los que era muy presente el lllelemento sobrenatural; – La novela pastoril, un tipo de novella que se desarrolla en un plano ideal; – La novela picaresca, que se desarrolla en un plano realista, pero particular, porque examina las aventuras de lllun personaje (el picaro) que tiene una situación social no muy elevada y las mira desde un punto de vista muy lllsubjetivo. En el Quijote, Cervantes hace proprios los tópicos de casa uno de estos géneros y los parodia, para costruir un contragenero. De esta manera, Cervantes quiere mostrar al lector los límites de las propuestas literarias que habían existido hasta la fecha de publicación del Quijote. El Quijote tiene otra particularidad, que se relaciona con su connotación de contragenero y se construye alrededor de la locura de su protagonista. Don Alonso Quijano es un hombre que ha leído muchos libros de caballeria, tanto que ya no sabe dónde termina la función y donde empieza la realidad; por este motivo, decide intraprender una vida de caballero andante y como caballero andante decide cambiar su nombre, ponerle un nombre importante a su caballo y luego salir a la búsqueda de situaciones y personas que necesiten su ayuda. Es por eso que la obra se titula Don Quijote de la Mancha: la elección del nombre es ya una parodia de libro de caballería, porque todos los protagonistas de libros de caballeria tenían un nombre altisonante y sobre todo que estaba relacionado con un lugar geografico. Don Alfonso Quijano se llamará Don Quijote de la Mancha, lo que es bastante ironico porque la Mancha es una región enorme, que se encuentra en el centro de espana y que no tiene elementos naturales predominantes (es un altiplano largo, amplio y sobre todo siempre igual, monotono. Por lo tanto, el nombre no se relaciona o vincula con ningún espacio fascinante o característico, más bien con una de las regiones más monótonas que podemos encontrar en España. De esta manera, Cervantes parodia los libros de caballeria para crear una crítica social a todos aquellos valores que se habían difundido a lo largo del siglo XV y que permanecían en la España del siglo XVI: el ideal caballeresco que, por ejemplo, caracterizaba a los idalgos; o la idea de lograr y ganar sobre el próximo; la idea de tener un provecho a espensa del próximo (como hacían los pizaros); la idea de prevalecer sobre el otro para ganar algo (la idea de burla). Cervantes parodia todos estos elementos para monstrar la aspereza de la época y sobre todo la entidad de esta época. Ya hemos dicho que don Quijote no sabe dónde termina la ficción y donde empieza la realidad y que esta locura se debe a que él ha leído demasiados libros de caballería y confunde la realidad con la realidad de un libro de caballería. Esto da lugar a varios elementos que son irónicos y humorísticos, y básicamente la locura de don Quijote sirve para destacar como los demás lo tratan: si tienen piedad de él, si quieren tomarle el pelo, si quieren burlarse de él o simplemente ofenderlo. Por lo tanto, a través de realismo, Cervantes parece describir los tipos ideales de personas que existían en la epoca en la cual él vivía. Entonces, todos los géneros que hemos dictado con antelación le permiten a Cervantes parodiar la realidad española de la época: el Quijote tiene una fuerte crítica social de base y quiere ser el eje alrededor del cual se construye la interpretación de la … enfermedad del protagonista. En la epoca de Cervantes, la locura era el resultado de un desequilibrio en los humores del cuerpo (teoria de los humores): tra fine XV inizio XVI sec si pensava che il corpo fosse governato da 4 umori fondamentali legati ai 4 elementi e che uno squilibrio in uno di questi umori comportasse il palesarsi di una malattia. Gli umori erano melancolía, bile, sangue e flemma (terra, aria, fuoco e acqua). Uno squilibrio degli umori legati a terra e fuoco dava origine alla pazzia; l’equilibrio dava come risultato una persona di indole mediocre; lo squilibrio dava come risultato una persona originale. Don Quijote ha uno squilibrio degli umori ed è matto. Entonces, el desequilibrio entre los umores era necesario para un desarrollo mental o una actitud sobresaliente, pero don Quijote tiene demasiado desequilibrio y está loco. Sin embargo, él es un loco sobresaliente, porque es capaz de cordura y en determinadas situaciones mostra tener mucha sabiduría. Desde esta perspectiva, recalca la imagen del loco visto como figura de diversión y receptáculo de una cordura que permite ver donde otros no ven. Por lo tanto, la locura de Don Quijote es un lente que permite observar la realidad desde una perspectiva diferente: Cervantes hace que don Quijote asuma la imagen del loco cuerdo (o sabio), o sea, un loco que es capaz de sabiduría, que observa la realidad y en determinadas situaciones es capaz de ver lo que los demás no son capaces de percibir. En el siglo XV-XVI es frequente el uso de la imagen del loco: quien ha leído a Shakespeare seguramente recuerda la figura del fool y cuando llegaremos a Lope de Vega veremos que tendremo una figura similar en el teatro de la época nueva. El loco era una persona que podía decir lo que los demás no podían; entonces, en la figura del loco se ponía lo que no se podía decir y eso es un topico común en la época barroca. Si tomamos en consid esta perspectiva, a veces las palabras de don Quijote parecen no tener alcun tipo de sentido, y sin embargo esconden … que le permiten destacar problemas de la sociedad española del tiempo y comentarlos. Encontes, su locura es ambivalente: por un lado grotesca, por el otro sabia, capaz de ver lo que los demás no ven. Todos los locos literarios de esta epoca son locos que tienen esta condición: todavía no existe la idea de locura como disagio mental como la tenemos ahora, así que todos los locos están relacionados con el poder decir lo que los demás no pueden decir. Vemos la locura como trámite para comentar lo que los demás encubren o no ven. Entonces, algo muy importante con respecto a esto es que, cuando Cervantes quiere destacar la actitud de algunos de sus personajes y cuando quiere que tomemos en serio las palabras de don Quijote, voltea las reacciones de los demás personajes que lo encuentran destacando el asombro que producen. La parodia de la caballería Uno de los logros del Quijote – junto con otros que veremos – es la parodia de la caballería. El romanticismo caballeresco y la moda de la caballeria fueron muy populares en Europa y sobre todo en España, pero para cuando escribe Cervantes ya están superados. Como todos los caballeros, Don Quijote cree en la honra y luce el título de hidalguía, pero lo luce con todos los límites que este instituto tenía en el siglo XVI. El hidalgo tenía que defender los más necesitados, los más débiles, tiene que ser un señor. El problema era el siguiente: la crisis de 1600 está haciendo declinar estos ideales y la irrupción del capitalismo ya no coincide con la idea de ocio y no trabajo que querían mantener los caballeros; en el nuevo siglo ya no hay espacio para los caballeros, que ya no encuentran motivo para existir y por eso se vuelven menos importantes. Los ideales caballerescos son románticos, mientras que el mundo se está volviendo un mundo realista; por eso, el hecho de que a partir del siglo XVI se narren las adventuras de un caballero andante es ya una parodia de un género que había existido antes …, pero ya no valen. Genesis del Quijote Exactamente no sabemos cuáles fueron los años en los que Cervantes decidió escribirlo, ni cuáles fueron los motivos que estimularon la escritura del Quijote. Lo que sabemos es que lo escribió porque los demás géneros no habían adquirido un éxito de público ni entre las críticas de sus contemporáneos. En el prólogo, Cervantes afirma que lo que quiso hacer con el Quijote fue “derribar la maquina mal fundada de estos caballerescos libros”, pero sin duda hubo una voluntad más profunda, ya que a lo largo de libro es posible encontrar varias reflexiones acerca de las relaciones entre literatura y vida, así como razonamientos sobre la literatura de la época que llegan a ser tratados de crítica literaria. La sensibilidad poetica de Cervantes y su ingenio para escribir, le permitieron crear un texto en el cual criticaba los valores de la sociedad de su época y tambien el contexto literario en el cual estaba escribiendo. Tampoco sabemos cuánto influyo la publicación del Quijote apócrifo sobre la escritura del segundo volumen. Lo que sí podemos destacar es que, en su conjunto, se trata de tomos diferentes. El segundo Don Quijote aumenta su estatura moral en contraste con sus burladores, participa en todas las aventuras (en el primer tomo no es asì) y ya no tenemos novelas intercaladas. Los logros del “Don Quijote de la Mancha” • El rechazo de los géneros establecidos. Cervantes hace propios los tópicos de cada uno de estos géneros y los parodia, lllmostrándole al lector los límites de su propuesta. De las novelas de caballería Cervantes elabora un contragénero en el lllcual todo es al contrario de como debería ser. • La búsqueda de la verosimilitud. Cervantes hace un uso limitado de lo sobrenatural y aboga por la construcción del lllargumento por medio de la disposición de los eventos. • El rechazo de la preocupación por la autoridad. Cervantes parece totalmente desinteresado al giudicio de los demás; lllen realidad, sabíamos que sufría mucho para las críticas de sus contemporáneos > siguramente es un recurso que el lllutiliza. El estilo y el lenguaje del “Don Quijote de la Mancha” En el Quijote podemos encontrar una multitud de estilos que siempre están en relación con el personaje y con la escena narrada. Cervantes explora y ejemplifica la variedad estilística como resultado del perspectivismo > ya hemos visto con las Novelas exemplares que Cervantes era un autor capaz de cambiar de estilo con frecuencia y en el Quijote encontramos varios estilos: los personajes hablan según su condición y con tonos diferentes (ironico, elegante, ecc.). Similarmente, el lenguaje del Quijote los estilos que Cervantes utiliza en el Quijote siempre están en relación con el personaje y la escena que tiene que narrar (heteroglosia). Esto significa que Cervantes tenía un don para trabajar con la lengua: no era usual que los personajes hablaran según su condición o profesión > en el teatro por ej. es en 1609 – cuando …. tratado su come escribir la comedia nueva – que se explicita la necesidad de que los personajes hablasen en relación con su propria condición, mientras aquí ya tenemos esta característica: el barbero hablara como tal, el campesino como tal ecc. Esto significa no solo consciencia de la lengua, sino capacidad de trabajar con el lenguaje. Cervantes utiliza esta multitud de varied estilísticas dentro del testo con el resultado de perspectivismo. Este pone en perspectiva la realidad, es decir, nos muestra la realidad desde el punto de vista del personaje; entonces, el perspectivismo se relacióna siempre con la búsqueda de verosimilitud de la que hablamos al principio de la clase. El registro más importante es, quizás, el de la escritura alta, elegante, retórica, clásica, sin embargo, esto no coincide con una visión de la realidad seria y solemne. En Cervantes es todo lo contrario, el Quijote no elige enseñar lo trágico y dramático de la vida, al contrario, es una obra en la que predomina la alegría de la vida. En esta multitud de géneros podemos decir que prevalece la ironia, el humor, y esto no es casual. La elección de un registro ironico y humorístico es una elección abierta de Cervantes, que elige para segnalar un rasgo de la vida con ligereza > de hecho, Cervantes describe la tragedia que es vivir, pero con un tono ironico y ligero, y sobre todo destacando el factor edonico (del gozo). Entonces, la ironia y el humorismo hacen del Quijote una obra en la cual se canta la alegria de la vida, predomina la alegria. Y podemos decir que por muchos aspectos esta es una novela comica, que se relaciona por ejemplo con una otra novela de la epoca que es la … de Pantagruel (novela en la que la exageración sirve para describir la realidad y los problemas de la realidad de forma menos abstracta). Todas estas novelas son novelas que quieren mostrar los límites de la norma y al mismo tiempo destacar y describir la complexidad e irregularidad de la vida; son novelas que muestran cuánto complexa puede ser la vida de una persona y cuantos elementos se incluyen en la vida de una persona. DISPENSA: El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha El título es ya de por sí irónico porque utiliza el termino ingenioso; según el diccionario de auctoridades, ingenioso quiere decir abil, sutil, que tiene ingenio y capacidad para resolver las cosas, pero sabemos que es todo lo contrarios: don Quijote es una persona que quiere combatir con molinos y piensa que son gigantes, de hecho, una persona que está completamente fuera de la realidad. Aquí tenemos una referencia a la edad de Cervantes, que en el momento de publicar el don Quijote tenía 57 años. Entonces, el autor le pregunta al lector que le dirá el legislador (quien decide lo que es bueno y lo que es malo) > tenemos una referencia a los literatos y lectores de la epoca …. Este dato es importantísimo porque ya le está diciendo al lector que no va a leer una obra inverosímil, más bien una obra que tiene una conexión con la realidad, en el sentido de que es una obra verosímil, que intenta trasponer al texto una realidad que tenía sentido en el mundo del epoca. Sigue Cervantes haciendo un resumen de todo lo que los autores solían … en sus proprias obras: citas eruditas, imitaciones de los clásicos y el ….. Y dice: De todo esto ha de carecer mi libro, porque ni tengo qué acotar en el margen, ni qué anotar en el fin, ni menos sé qué autores sigo en él, para ponerlos al principio, como hacen todos, por las letras del A B C, Aquí tenemos un rechazo a la moda de tener que incluir cuáles fueran las fuentes > Cervantes escribe una obra totalmente nueva para la epoca, y entonces esto quiere decir que no sabe a qué autor se està apoyando. Todavía, sigue diciendo: “comenzando en Aristóteles y acabando en Xenofonte y en Zoilo o Zeuxis, aunque fue maldiciente el uno y pintor el otro”. Después de haber dicho que no quiere poner al principio una serie de autores, los nombra > el autor nombra algunos famosos autores de la época clásica, y al principio ya había nombrado Aristotele y Platón. De alguna forma, aquí es ironico: demonstra al autor que conoce tanto a los autores más grandes como a los menos conocidos (Xenofonte, Zoilo, Zeuxis etc.). Alude a la falta de sonetos dedicados a… y después dice: “aunque, si yo los pidiese a dos o tres oficiales amigos, yo sé que me los darían,” > aquí hace referencia a la poesia cortesana, a la moda de escribir poesías que tenían los caballeros, los hombres de arma y letras como había sido por ej. Garcia ?? Y no solo dice que podría hablar con algunos oficiales (Cervantes había sido militar) y que esos … los sonetos que …, peor que aquellos sonetos podrían igualar a los sonetos de los más grandes de España. Y aquí hay otra crítica bastante evidente a uno estilo poético che en muchos casos era una imitación de los grandes poemas. Critica la poesía cortesana de la nobleza, no siempre original. Decir que no se conocen autores y luego citarlos: una muestra de humildad que también hará Lope De Vega; de esta manera, Cervantes demuestra ser un verdadero erudito, nombrando no sólo a autores muy famosos, sino también a otros menos conocidos. Por tanto, siempre tenemos ese doble propósito, una falsa humildad que los autores utilizan para demostrar cuáles son sus capacidades (ver Lope: dirá que nunca estudió, pero que ya leía con 7 años y enumerará todas las obras que leyó en su juventud). Esto que acabamos de decir lo vemos también a través de las citas en latin que encontramos en el prólogo. Cervantes trata de forma ironica la erudición: dice que no la tiene, pero en realidad demonstra al lector que él sabe de literatura y que sobre todo tiene una erudición amplia en literatura y en aquellas materias que eran fundamentales en la erudición de los intelectuales de la época; conoce a los clásicos y los puede citar (los cita incluso en el prólogo). Pero, la ironía incluso risiede en la importancia que el autor le da al estilo de su obra. El estilo del prólogo, de hecho, no es ampolloso: hace lagunas citas en latino y después dice: “Y con estos latinicos y otros tales os tendrán siquiera por gramático, que el serlo no es de poca honra y provecho el día de hoy.”. Aquí tenemos una ironía clara y evidente que Cervantes hace a quienes daban la impresión de tener o tenían una gran formación y por eso se hacían llamar gramáticos o se comportaban como si fueran intelectuales y podían entender a la realidad desde el punto de vista de la erudición. El autor sigue con suyas consideraciones y comentarios críticos del texto literario, pero en cierto punto del prólogo le dice al lector de que obra están hablando y dice: Este vuestro* libro no tiene necesidad de ninguna cosa de aquéllas que vos decís que le faltan, porque todo él es una invectiva contra los libros de caballerías, de quien nunca se acordó Aristóteles, ni dijo nada San Basilio, ni alcanzó Cicerón. * vuestro: termina de ser ‘mi’ obra y ya es la obra ‘del lector’ > esta es una actitud estremamente moderna para la época: el autor que se aleja de su propria obra y la da al lector. Y sigue: ni caen debajo de la cuenta de sus fabulosos disparates las puntualidades de la verdad, ni las observaciones de la Astrología; ni le son de importancia las medidas geométricas, ni la confutación de los argumentos de quien se sirve la retórica; ni tiene para qué predicar a ninguno, mezclando lo humano con lo divino, que es un género de mezcla de quien no se ha de vestir ningún cristiano entendimiento. Aquí, Cervantes afirma que el objetivo principal de su obra es una invectiva contra los libros de caballeria. En realidad, sabemos – porque lo hemos visto ya cuando presentamos la escritura de Cervantes – que el don Quijote es mucho más, y que utiliza la parodia del libro de caballeria para criticar y poner en cuestión los valores de la sociedad de la época. Al final del prólogo, tenemos la presentación del protagonista del don Quijote: Con silencio grande estuve escuchando lo que mi amigo me decía*, y de tal manera se imprimieron en mí sus razones que, sin ponerlas en disputa, las aprobé por buenas y de ellas mismas quise hacer este prólogo, en el cual verás, lector suave, la discreción de mi amigo, la buena ventura mía en hallar en tiempo tan necesitado tal consejero, y el alivio tuyo en hallar tan sincera y tan sin revueltas la historia del famoso don Quijote de la Mancha, de quien hay opinión por todos los habitadores del distrito del campo de Montiel, que fue el más casto enamorado y el más valiente caballero que de muchos años a esta parte se vio en aquellos contornos. Yo no quiero encarecerte el servicio que te hago en darte a conocer tan noble y tan honrado caballero; pero quiero que me agradezcas el conocimiento que tendrás del famoso Sancho Panza, su escudero, en quien, a mi parecer, te doy cifradas todas las gracias escuderiles que en la caterva de los libros vanos de caballerías están esparcidas. Y con esto, Dios te dé salud, y a mí no olvide. Vale. * Aquí, Cervantes està utilizando un recurso retórico que es el hablar dentro en el prólogo de una carta que recibió de un amigo; claramente, no recibió ninguna carta ni existió ningún amigo; por lo tanto, aquí demonsttra nuevamente la capacidad de saber usar el estilo para crear en el lector una percepción de la obra distinta. Y lo mismo hará más adelante al aludir a la existencia de un famoso manuscrito que recupera y del que - según él - se tomó la historia del libro > es un expediente literario que sirve al autor para poder tomarse libertades y liberarse de la responsabilidad frente a quienes luego serán las consecuencias que dará su trabajo. Sin embargo, al mismo tiempo es un juego de perspectiva, que pone al lector en la posición de escuchar diferentes voces hablando dentro de un mismo texto; esto, si hoy es algo normal para nosotros, en la época de Cervantes era algo que nunca se habia visto antes: de hecho, hablar de polifonía (presencia de múltiples voces) era algo que aún no se había convertido en una tradición. Cervantes describe el don Quijote como un casto enamorado y valiente caballero. Presenta también al co-protagonista de la obra, que es Sancho Panza; su personaje es fundamental en el don Quijote, porque representa la voz otra del don Quijote, el contraccambio de la realidad que el protagonista representa: si don Quijote representa a los valores que ya no tienen manera de continuar a existir en la sociedad de la epoca, Sancho Panza representa a los valores más concretos y pragmáticos, que se relacionan de manera más directa a los deseos y necesidades de la gente común. Entonces, Sancho Panza es un personaje más cercano al posible lector que viene del vulgo que don Quijote. Capitulo 1 Trata de la condición y ejercicio del famoso hidalgo don Quijote de la Mancha > cada capítulo tiene un título que es como un resumen del capítulo. Claramente, el incipit del don Quijote es muy famoso: En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo corredor. Una olla de algo más vaca que carnero, salpicón las más noches, duelos y quebrantos los sábados, lantejas los viernes, algún palomino de añadidura los domingos, consumían las tres partes de su hacienda. El resto della concluían sayo de velarte, calzas de velludo para las fiestas, con sus pantuflos de lo mesmo, y los días de entresemana se honraba con su vellorí de lo más fino. Tenía en su casa una ama que pasaba de los cuarenta, y una sobrina que no llegaba a los veinte, y un mozo de campo y plaza, que así ensillaba el rocín como tomaba la podadera. Frisaba la edad de nuestro hidalgo con los cincuenta años; era de complexión recia, seco de carnes, enjuto de rostro, gran madrugador y amigo de la caza. Quieren decir que tenía el sobrenombre de Quijada, o Quesada, que en esto hay alguna diferencia en los autores que deste caso escriben; aunque por conjeturas verosímiles* se deja entender que se llamaba Quijana. Pero esto importa poco a nuestro cuento: basta que en la narración dél no se salga un punto de la verdad. “el famoso hidalgo” > ya podemos ver, a partir de resumen del Capítulo 1, que el estilo de Cervantes es solemne, que contrasta con las advernturas que tiene el don Quijote; este, lo podemos entender de la descripción que tenemos en el primer párrafo, es un personaje poco caballeresco: no es ni fuerte ni valente, ni bello, y no tiene tampoco un caballo que tenga fuerza, sino un simple rozin (y de aquí el nombre Ronzinante). Entonces, “famoso hidalgo” es un estilo solemne por un personaje totalmente impreparato y ajeno a las características de los libros de caballeria. Y la intención cómica, irónica y paródica de Cervantes la tenemos también a lo largo de la presentación de don Quijote por la construcción de la imagen de este protagonista, que es una imagen totalmente absurda. En el primer párrafo tenemos la presentación de quien es don Quijote y tenemos tambien la presentación del lugar del cual viene. Por lo que confiere la primera frase, “de cuyo nombre no quiero acordarme” es una locución que ya abbia aparecido en otras obras clásicas y es una frase cuya interpretación es bastante ambigua: ¿quién no quiere acordarse? ¿Cervantes o el autor del manuscrito? No podemos saberlo. Lo que sí podemos saber es que esta frase indica cierta ambigüedad, lo que significa que la duda/el misterio es un elemento fundamental en la literatura > de hecho, sentimos mayor atracción por un texto que nos mantiene en la entrigua con respecto a un texto que nos explica todo. Entonces, ¿Quién es que no quiere recordarse? No podemos saberlo, pero sí podemos percibir la ambigüedad, la que nos accompagna desde el principio hasta el final del volumen y es una ambigüedad entre lo que puede ser y lo que no puede ser. El astillero es un mueble en el cual se guardaban las armas. Entonces, si la lanza està en el astillero, quiere decir que don Quijote hace mucho tiempo que no se compromete en algo que tenga que ver con el arte de la guerra, porque ya no utiliza sus armas. De la misma forma, “adarga” es el escudo y es una adarga “antigua” porque hace mucho tiempo que don Quijote no practica el arte de caballeria. Además, tiene un “rozin flaco” (‘ronzino’, caballo de carga); este seguramente no es el típico caballo del caballero (que solía ser purosangre) y además él de don Quijote es flaco > este elemento que caracteriza esta descripción nos dice que don Quijote es pobre, tanto que no puede dar de comer al rozin, que por eso es flaco. El galgo es un perro comun en Andalucía, estremamente bonito y que pero se utiliza a menudo para … En seguida, tenemos la descricpcion de los accesorios del guerrero. Después, hay la descripción de lo que come don Quijote. “olla” (pentola) > alude al cocido, que tiene tanto vaca como verduras; la vaca es menos costosa del carnero. “salpicón”: ensalada fría de carne que no se utiliza para el cocido. “duelos y quebrantos”: comida que podemos imaginar como cocino (lardo) y verdura. De todas formas, es una comida que no prevé el uso de carne de vaca o de carnero, entonces una comida más pobre con respecto al cocido. Aquí tenemos algunas informaciones extremamente importantes sobre quien era don Quijote, porque sabemos que come cocido (y entonces come cerdo) y que el cerdo no lo podían comer los musulmanes. Entonces, de lo que come sabemos que don Quijote se profesa cristiano viejo, y ya sabemos la importancia de ser cristiano nuevo o viejo en la epoca de don Quijote: tener más o menos estima por parte de los demás. Esto nos lo dice al principio. Consumía los ¾ de lo que producía en su hacienda, es decir, que cada semana consumía casi todo lo que producía> eso significa que el hidalgo sobrevivía y no podia de alguna forma crear una riqueza de la producción de su hacienda. En seguida, Cervantes nos habla de la vestimenta de don Quijote, qhe se vestía asì: La pulcritud con la cual se viste y con la cual utiliza un vestuario que es ya viejo por la epoca en que vive nos tiene que hacer pensar en cual atención y esmero ponía en su aspecto, porque parte de la honra que tenía en cuanto hidalgo le venía de su aspecto. De hecho, él se vestía en una manera ya vieja por su epoca, pero que representaba a aquella clase (la de caballeros) a la que don Quijote quería pertenecer. Tenemos que pensar que, a la epoca, 40 anos eran como ahora 70. “podadera” (cesoie): este mozo de campo y plaza ensillaba el ronzin como tomaba la podadera > entonces, podemos imaginar que no era demasiado apto ni para lo uno, ni para lo otro. “frisaba” (estaba más o menos): 50 años por la epoca eran como 80-85 años ahora = una persona bastante madura. * Aquí tambien es una alusion a esta verosímiltud que Cervantes buscaba como elemento fundamental de su producción literaria. “Pero”: Cervantes le guiña un ojo al lector y le dice ‘sígueme, que te voy a contar’. Es, pues, de saber que este sobredicho hidalgo, los ratos que estaba ocioso, que eran los más del año, se daba a leer libros de caballerías, con tanta afición y gusto, que olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza, y aun la administración de su hacienda; y llegó a tanto su curiosidad y desatino en esto, que vendió muchas hanegas de tierra de sembradura para comprar libros de caballerías en que leer, y así, llevó a su casa todos cuantos pudo haber dellos; y de todos, ningunos le parecían tan bien como los que compuso el famoso Feliciano de Silva; porque la claridad de su prosa y aquellas entricadas razones suyas le parecían de perlas, y más cuando llegaba a leer aquellos requiebros y cartas de desafíos, donde en muchas partes hallaba escrito: «La razón de la sinrazón que a mi razón se hace, de tal manera mi razón enflaquece, que con razón me quejo de la vuestra fermosura». Y también cuando leía: «... los altos cielos que de vuestra divinidad divinamente con las estrellas os fortifican, y os hacen merecedora del merecimiento que merece la vuestra grandeza». Don Quijote lee tantos libros de caballeria que se olvida la caza, pasión que había cultivado en otros momentos de su vida, y aún más la administración de su hacienda. En este párrafo también tenemos una descripción de cómo eran los hidalgos, o sea, personas que ya no tenían que guerrear y que entonces se quedaban ociosos en su casa por la mayor parte del año. “hanega de tierra” = misura agraria simile all’ettaro però molto pià grande, che serve per distinguere la grandezza di un appezzamento di terreno. El primer fue …, pero el uso de la lengua española ya no se aplicaba a la forma y entonces no podia conseguir un gran resultado. Por lo tanto, con Garcilaso se concreta esta tradición en algo que tiene éxito y todo el siglo XVI es un desarrollo de esta herencia garcilassiana. Conceptismo y culteranismo A lo largo de finales del siglo XVI y comienzo del siglo XVII, España sufre algunos momentos de crisis tanto económica como social y política y de base empieza a desarrollarse una percepción de la poesía y de la mirada poetica que empieza a incluir en su perspectiva el disanimo y el desaliento social que se percibe en la época. Los autores dejan a lado …. y se encuentran más en una reflexión sobre la realidad en la cual entran varios temas: la caducidad de la vida, la caducidad del amor, el sueño etc. Se trata entonces de una poesia que percibe la decadencia, el desencanto y el desaliento que se sentía en la sociedad española. Es la poesia de la epoca barroca, que es una época de mayor reflexión sobre sí mismos. Entonces, la poesía del silgo XVII sigue las faucas y los patrones de la del siglo XVI (Renacimiento), pero es más pesimista y cruda en la descripción de la realidad; es más áspera, a tal punto que parece una poesia completamente diferente con respecto a la de Garcilaso > si pensamos en la poesia de Quevedo o de Góngora, nos parecen otra cosa con respecto a aquella. Es sin embargo una epoca en la cual florece el mecenazgo: los poetas pueden contar sobre la protección de los nobles y esto estimula tambien la creación de escuelas que crean un círculo > entonces, la poesia circula mucho, los poetas y los literatos escriben poesías y esto escribir poesía sirva para que las ideas, los recursos y las formas tengan difusión. Entonces, en la epoca de la poesía barroca se definen dos diferentes movimientos, que son el conceptismo y el culteranismo. • El culteranismo es un estilo artificioso, que busca escribir una poesía difícil, en la cual la sintaxis le debe mucho al latín, en la cual la dicción y las palabras que se utilizan son en lo posible lo más alejadas de la lengua cotidiana. Los culteranos escribieron dificil, escribieron para la élite culta; escribieron tan dificil que la palabra ‘culterano’ llegó ser utilizada con acepción desceptiva, porque fue asociada a la palabra ‘luterano’ y a una idea de herejía en la poesía (= una poesia che diventa cosi difficile da essere eretica) > Góngora, que vamos a estudiar en breve, fue acusado muchas veces de ser un "poeta oscuro"; luego se justificó diciendo que la suya no era una poesía oscura, sino que su objetivo era hacer sentir placer al lector, haciéndole leer y releer un verso varias veces antes de poder decir que lo había entendido. NB: non sono correnti a compartimento stagno, ma che saranno piu o meno presenti in ciascun autore; esse sono infatti llllllllcorrenti che caratterizzano la poesia barocca, che è una poesia difficile, colta, erudita, e che funziona sulla base di llllllllconcetti. • El concettismo es una relación nueva entre dos objectos que nunca habíamos pensados en relacionar entre esos. Entonces, no tenemos una definición cierta y unívoca de concepto: según Baltasar Gracián, los conceptos son «el acto de entendimiento que expresa la correspondencia que se halla ("que se descubre") entre los objetos». En otras palabras, el concepto era básicamente una herramienta por medio de la cual podíamos expresar imágenes sensoriales y ampliar el contexto intelectual al que nos referíamos, gracias a una imposición de significados; es como si se tratara de un gigantesco oxímoron, pero los objectos no están in oposición, sino crean una relación de senso nueva e inusual. Entonces, se trata de una especie de condensación de significado > cfr. en la Edad Media los emblemas medievales: de esa idea nació el conceptismo, en el cual se agrupaban varios conceptos en una sola palabra o serie de palabras a la vez. Por tanto, el uso del emblema, ligado a su forma alegórica y simbólica, es la base del conceptismo, que es una condensación de significado. El conceptismo es la otra corriente que se desarrolla en la poesia del siglo XVII y no es una corriente situada en un compartimiento estaño: más o menos, en todos los poetas de la epoca se notan rastros de culteranismo o conceptismo > entonces, se nota por ejemplo la búsqueda de un lenguaje alto, aulico, o la búsqueda de la construcción de imágenes complejas. Y estos son los conceptos. Conceptos quieren decir literalmente “concetti”, entonces conceptismo es un trabajo sobre los conceptos. Sin embargo, no tenemos una definición cierta de conceptismo, pero podemos llegar a definirlo en una forma que es bastante completa por ejemplo a través de las palabras de Baltasar Gracián, qwue dijo que los conceptos eran «el acto de entendimiento que expresa la correspondencia que se halla ("que se descubre") entre los objetos». Entonces, el acto de entendimiento que expresa la correspondencia entre dos objectos > il concettismo è creare un’associazione inconsueta tra due oggetti che solitamente non sono collegati tra loro. Ya hemos anticipado en la clase pasada que este tipo de agudeza de ingenio (capacidad de la persona) era una expresión analogica y metaforica; el concepto se desarrolla per analogías y por metáforas y es por eso que decíamos en la pasada clase que se trata de una condensación de sentido: la metáfora, de hecho, trabaja condensando una imagen en varias palabras, o sea, crea una imagen que se relacióna con un campo semantico qwue no tiene que relacionarse a la fuerza con el significado de la palabra. La metafora, entonces, amplia la portada del significado de un significante; extende y asocia una palabra a algo che se refiere a otra cosa, ampliando el significado del significante. En la práctica, el conceptismo recuerda mucho los emblemas medievales.  Los emblemas son imágenes en las cuales se condensa un significado; y como los interpretamos: llltenemos que conocer el significado de cada uno de estos elementos presentes en la imagen.  Esta es una imagen que quiere decir affrettati lentamente y que recuerda la construcción de un lllllemblema; esta frase es además la frase con la cual Aldo Manuzio escribió su manuscrito. lllllEntonces, este tipo de emblema es un ejemplo para que podéis comprender el sentido de lo lllllque estamos diciendo: tenemos una tortuga, simbolo de lentitud, y tenemos tambien una vela; lllllesta vela nos recuerda en cambio la imagen de un barco, con el viento en popa, símbolo de la lllllrapidez. Entonces, festina lente era un deseo para asegurar un camino tranquilo, pero que lllllllegaba a la meta. LllAquí condensamos un sentido. En el emblema que vimos anteriormente de la nobleza, por llllejemplo, los símbolos que detectamos al interno de la imagen denotan un valor y un significado lllldependiendo de la familia. El conceptismo trabaja de la misma forma: condensa en una imagen varios significados; por eso, recordaba tambien las pequeñas miniaturas que se hacían en los manuscritos medievales, que solían empezar con una pequeña imagen al principio que condensava un significado importante para poder enterpretar el texto. En principio, la imagen tenía elementos que querían asegurar una buena interpretación, luego se volvieron a imágenes simplemente figurativas. Con respecto a los poetas de conceptismo, las manifestaciones de capacidad y habilidad se dan tanto en el punto de vista conceptual, o sea, en le punto de vista de la relación que se construye entre dos términos que parecen antiteticos o inusuales puestos el uno cerca del otro, cuánto en el punto de vista verbal, el que significa saber utilizar el lenguaje de una forma innovativa, en el sentido de que deja el lector frente a el estupor. El lector queda estupefacto por lo que está leyendo, porque verbalmente el poeta estimula algo nuevo. 6. FRANCISCO DE QUEVEDO (1580-1645) Su apariencia es también causa de su genio o mal genio, dependiendo de cómo queramos interpretarlo. Quevedo era muy miope, cojo, y digamos que no era un hombre fascinante y esto de alguna forma implica cierta rabia en él. Apunte biográfico Quevedo nace en Madrid en 1580, en una familia con una buena posición social. El padre era un hidalgo y era el secretario de la reina Ana María, la mujer de Felipe II. La madre de Quevedo era una de las damas de honor de la reina; por lo tanto, la posicion de la familia Quevedo era una buena posición social. Gracias a la posición de su familia dentro de la corte, Quevedo tiene la posibilidad de cursar estudios como humanista en el Colegio imperial de los jesuitas y frecuentar la Universidad de Alcalá de Henares (ciudad). El autor frecuenta tambien la Uìniversidad de Valladolid, ciudad en el centro de España. En 1599 empieza trabajar en la corte y ya entre 1601 y 1605 un autor conocido en los ambientes culturales y literarios. Por lo tanto, desde muy temprano en su vida empieza a tener una posición. Con respecto a su vida dentro de la corte, tenemos que pensar que hay un antes y un después, porque en cierto momento – como recordareis – los poderes van al valido del rey, que es el Duque de Osuna, diplomatico que intenta restablecer una paz social y militar en España. En este momento, Quevedo – que antes de la llegada de Osuna era un cortesano de segunda categoria – empieza tener una buena relación con el poder > conoce a Ozuna, es su amigo y tiene un contacto directo con él, el que lo ubica en una una posición privilegiada. Entonces, con antelación a 1613 Quevedo es un cortesano que no tiene contactos con los centros de poder: está en la corte, pero es de segundo nivel. Esto le provoca rabia, un poco porque está fuera de los juegos políticos y un poco también porque es miope, un timido, tiene una buena posición en el centro de la corte, pero su familia no es rica o noble y es además cojo > tiene atributos físicos que lo hacen sentir inferior y siente que dentro de la corte la procedencia de su familia es secundaria con respecto a las de otras familias nobles de sangre. Pero, Quevedo está decidido a construirse una carrera dentro de la corte; por eso, en esta etapa empieza a escribir una poesía extremadamente satírica y escribe tambien poesías amorosas y pastoriles. La poesia satirica de Quevedo es uno de los rasgos más importantes de su trayectoria literaria: el blanco de … y de sus poesías satíricas son los estupidos y los tipos humanos; el autor se divierte en ser políticamente incorrecto y en el ser áspero; para construirse una trayectoria literaria, alterna los cumplidos con las riñas; también se burla de sus contemporaneos o le escribe sátiras (vd. Góngora). Entonces, alterna los cumplidos a las riñas, a las burlas, y así se da a conocer dentro del campo literarios. Un enemigo de Quevedo es, por ejemplo, Góngora: los dos se escriben/dedican poesías, poemas y sonetos en particular despectivos el uno al otro. Después del Duque de Osuna, la posición de Quevedo es totalmente diferente: está en concacto con los centros de poder y claramente cuando cambia el valido del rey cambia también su posicion. Entonces, cuando – con la subida al tron de Felipe IV – los poderes pasan al Duque de Olivares (quien quería que España regresara a los faustos de siglo XV y XVI), para Quevedo empieza una época descendiente, en la cual tendrá también que ir a la cárcel > serà encarcelado en dos ocasiones y es una época en la que todavía es uno de los poetas más importantes de España y en la que pero ya no tiene contactos con la política (quiere tenerlo a fuera de los circuitos de influencia); por eso, es también detenido y confinado lejos de Madrid. Esto por lo que se refiere a la politica. Por los que se refiere a la biografia de Quevedo en relación con la escritura: Ya en 1607, algunos poemas suyos son recogidos en el volumen Flores de poetas ilustres de España de Pedro de Espinosa. Estos poemas anticipan temáticas que serán típicas de la poesia de Quevedo y el hecho de que sean recogidos en este volumen nos dice su nombre ya es es el nombre de un poema reconocido, tanto que sus poemas entran en un volumen dedicato a los poetas ilustres de España. Entre 1608 y 1609 conoce el Duque de Osuna, con el que viajará a Sicilia en 1613. Se quedará en Italia hasta 1620. En 1613 tambien tiene su primera crisis de tipo espiritual. Esto pero no le impide seguir escribiendo obras satíricas y burlescas, que acompaña con obras más serias; sin embargo, abandona de cierto modo poesías de tipo amoroso y pastoril, que se relacionan con los años juveniles. Empieza tambien a traducir del griego ya de judío, porque quiere profundizar su formación y entrar en contacto con los clásicos; de hecho, era algo muy frecuente que los poetas de esta época se dedicaran a traducir obras del griego, judío o latin: era un ejercicio de formación muy común y, por ejemplo, lo hace también Fray Luis de Leon. Escribe también Heraclito cristiano. En 1621 muere Felipe II y sale al trono Felipe IV. Hay una dura represión contra todos los sujetos relacionados con el gobierno de Felipe II y las voces criticas; por lo tanto, Quevedo tiene que sufrir un cambio en su posición: el autor será confinado, Osuna detenido. El autor tiene algunos contactos con el duque de Olivares, que sin embargo no lo llegan a obtener una posición en la corte > de hecho, Quevedo había escrito cosas para Olivares y en 1632 había sido nombrado secretario real, pero al final las relaciones entre los dos se quiebran. Por lo tanto, a partir de 1621 la vida de Quevedo es ya la vida de un hombre que queda confinado a un lado del poder. En 1639 es detenido en Madrid, encarcelado por 4 años en un convento del que sale en 1643 para ser confinado. Muere en 1645. Desde el principio de su vida en la corte, Quevedo se da a conocer por ser una mala lengua; ya entre 1601 y 1605, sus obras circulan en la corte y se le conoce por ser un poeta que utiliza la rudeza verbal para burlarse de todos aquellos que tienen una posición mejor que la suya. Esto se debe en parte a esa rabia que Quevedo sentía con respecto a la posición que tenía en la corte, pero tambien a una índole pesimista y a un … muy fuerte que Quevedo sentía por la decadencia moral y cultural de España. Digamos que Quevedo es un poeta que declama la amargura existencial, una amargura que es sin esperancia; de hecho, uno de los símbolos más importantes de la poesia de Quevedo es “la vida como teatro”, que además es un simbolo frecuente en el barroco, y representa la vida como un espacio en el que todos actúan, todo es actuación, nada es natural o real. De estos años juveniles y rabiosos son dos de las obras más conocidas de Quevedo: El buscón (en realidad el titulo completo es Historia de la vida del buscon llamado Don Pablo) y Los Sueños. Allí, en la primera parte de su vida, se condensa toda la construcción de su sabiduría. Quevedo en la corte Quevedo fue un autor que vivió el drama político de la España de la época, y lo vivió desde el interior del espacio del poder; de hecho, su posicion en la corte le permitió un punto de observación privilegiado e interno sobre las dinámicas que interesaban los centros del poder. Fue un intelectual y un moralista, comprometido y apasionado: quería dar su opinión, participar en la discusión pública de los problermas de la España de la época. Entonces, toda su arte se da en dos vertientes: ensayo comprometido (saggio impegnato) y obra de sarcasmo y sátira. Pero no faltan obras de tema amoroso y pastoril. Los escribe sobre todo en la parte inicial de su carrera (sus años juveniles), durante los cuales tambien afina su habilidad para escribir obras sarcástico-morales (por los cuales será famoso). En las obras de tema amoros y en la poesia breve (sonetos), Quevedo da muestra, ya desde su juventud, de una altísima calidad literaria y habilidad poetica. Respecto a su trayectoria literaria, podemos dividirla entre un antes y un después de Osuna. Antes es un cortesano de segunda categoría, con complejos de inferioridad. Después, es un cortesano en contacto con el poder, reconocido e ilustre entre sus contemporáneos por su capacidad de desentrañar la realidad y respetado por su habilidad poética. El arte de Quevedo El tema principal de esta silva es el tema de la fugacidad de la vida. Sobre todo, este topico – que es un tópico común en todo el barocco – se relacióna con la idea de tempus fugit de Virgilio, pero también con la idea de la caducidad del tiempo. El reloj de arena existía desde hace muchísimo tiempo (Edad Media); el reloj mecánico es un descubrimiento que empieza a desarrollarse a partir del siglo 1617. La c…. de relojes estimula la necesidad de medir el tiempo y de hacer que el tiempo … de hombre. Entonces, esto es … el desarrollo de la idea de reloj como herramienta que tiene que contar el tiempo que pasa, que cuantifica el tiempo y mide las horas que van pasando. Claramente, la metáfora detrás de este simbolo es la de tiempo que pasa y se acerca a la muerte; entonces, el poeta reflexiona alrededor de la fugacidad de la vida, porque nada es eterno y todo termina. Si vamos por la estructura, el reloj de arena tiene una forma peculiar: son 2 partes ovaladas que en el medio tienen un punto de conjunción más estrecho. La estructura de este poema sigue este esquema, entonces tenemos: – 2 estancias* de la misma longitud: la primera vv.1-18, la segunda vv.19-36 *estancia es el nombre que asume la lllllllllllestrofa dentro de la silva. – el punto de conjunción de las dos estancias es la conjunción “pero” (v.19), con adversativa que sirve también para lllllllllllmarcar el momento de cambio; pone una antítesis entre lo que se dice en la primera y en la segunda parte. El punto de vista de este poema es el del yo, extremamente subjetivo. Quevedo está reflexionando sobre el tiempo que pasa y lo hace desde una percepción propria; sin embargo, tambien tenemos otra forma verbal – el tu –, que sirve para identificar el reloj: esto se personifica ya en los primeros 3 versos y se le habla con un tu, que lo evoca como elemento con el cual podemos establecer un diálogo. vv. 1-3: Pregúnta retórica. Enseguida, podemos ver que el reloj es clasificado como molesto > la adjectivación sirve para establecer una calificación que luego se desarrolla a lo largo del poema. El “soplo de vida” del segundo verso forma parte de una isotopia (metafora vertical) que se va creando y que encontramos a principio y final del poema, siempre para mantener esta simetría > entonces, el soplo de vida se relaciona con el aliento fugitivo del vv. 33: soplo y aliento son isotopias de lo inconcreto, de algo que puede pasar y no se ve, no se puede tocar. vv. 4-6 “camino-jornada” = imagen que se va creando y que termina en el v. 7. “Este y otro polo” son el polo de la vida y el del mas alla, de la muerte. La vida ya es un camin estrecho (dificil) y es tan breve que solo da un paso > esa idea se relaciona tambien con la imposibilidad de hacer todo lo que nos gustaría hacer. vv. 7-10 Esta frase es una muestra del trabajo gramatical que Quevedo hace para que las frases tengan un ritmo y un sonido y que no respecten, si necesario, la sintaxis. La frase quiere decir que si … El mar es claramente la vida y detiene su paso al llegar a la muerte. El mar como vida que termina en cierto momento recuerda Nuestra vida son los ríos de Jorge Manrique, o sea, la idea de vida como agua que fluye y en cierto momento encuentra algo que le cierra el paso. vv. 11-14 “Ni que me notificques de esta suerte” = de esta manera, no hace falta que me digas que están pasando las horas (y el por qué lo descubriremos en la segunda estancia). En la segunda estancia el tema principal es la proximidad de la muerte. Nuovamente, el yo poetico increpa el reloj y le dice: vv.19-32 Esta es una frase larguísima; el ritmo es más rapido y lo es porque el yo poetico está cansado, está increpandole al reloj para que lo deje en paz. “pero si a caso” = “por si a caso” (ma nel caso in cui…) “contarme” (v. 20) tenemos que relacionarlo con el “medir” del v. 12 Entonces, el tiempo como medida que establece lo que ya no puede ser. “que los cuidados” = porque los cuidados… “llama atrevida” = fiamma temeraria “abréveme” = me abrevia “dar cercos” = caminar alrededor. vv. 33-36 Imagen en la que encontramos la idea de la muerte como polvo y de la desaparición del cuerpo en algo inmaterial (polvo, ceniza) o de la fragilidad del tiempo si se sigue viviendo (ref. al vidrio y la arena del reloj de arena). Isotopía = metáfora vertical en la que palabras pertenecientes al mismo campo semántico se difunden dentro de un mismo poema para construir un eco semántico y construir una imagen vertical. La isotopía se encuentra en los últimos 4 vv. y nos hace pensar en algo impalpable. Antitesi entre lo que se dice en la primera estancia y lo que se dice en la segunda. En la primera parte el yo poético pregunta, mientras que en la segunda parte el yo poético afirma que lo que está experimentando en la vida ya lo está destruyendo y que la vida ya lo está lastimando lo suficiente como para acercarlo rápidamente a la muerte. Por tanto, no es necesario que el reloj siga contando las horas que le alejan de la muerte. Por tanto, la idea de tempus fugit y la fugacidad de la vida la encontramos en la idea de la impalpabilidad de lo que es la vida y en la imposibilidad de medir en términos completos lo que es la vida > cfr. “Un camino que es una jornada […] siendo una jornada que es solo un paso”: todo es desproporcionado respecto a lo que debería ser la imagen de la vida, compuesta de muchas imágenes y momentos. El yo poético se queja de que el reloj está provocando prisas innecesarias, porque el yo poético ya está pagando el precio de la vida que atraviesa, con el dolor que siente por el amor y por la condición en la que vive. La isotopia, entonces, es isotopia del impalpable y del inconsistente y hay también cierto gusto para la iperbole característico de Quevedo. El mecanismo de argumentación es llevado al extremo; las preguntas que encontramos en la primera parte de las estancias son respuestas > son preguntas retóricas, luego, respuestas. Aun más en la segunda estancia: el yo poetico concreta la respuesta a las preguntas retóricas y … al reloj. Leyendo esta poesía es latente el pesimismo de Quevedo y también la posición del yo poetico, que no puede nada contra el tiempo que pasa. Es una oposición de subordinación, la del yo poetico, que no pide nada sino pedirle al reloj que no marque el tiempo tan fuerte, porque – aunque no lo detengamos (el tiempo del reloj de arena) – la vida pasa lo mismo. Amor constatante más allá de la muerte, Francisco Quevedo Es una muestra de sonetos de Quevedo, el punto más alto de la poesia de Quevedo. Son la forma poética en la cual se nota mayormente su habilidad y capacidad con la escritura. Amor constante más allá de la muerte Cerrar podrá mis ojos la postrera sombra que me llevare el blanco día, y podrá desatar esta alma mía hora a su afán ansioso lisonjera; mas no, de esa otra parte, en la ribera, 5 dejará la memoria, en donde ardía: nadar sabe mi llama el agua fría, y perder el respeto a ley severa. Alma a quien todo un dios prisión ha sido, venas que humor a tanto fuego han dado, 10 medulas que han gloriosamente ardido, su cuerpo dejará, no su cuidado; serán ceniza, mas tendrá sentido; polvo serán, mas polvo enamorado. Los sonetos son la forma poetica en la cual se nota mas la habilidad poetica de Quevedo; se nota sobre todo la sabiduría con la cual construye las imágenes que le sirven para argomentar su pensamiento. En el caso de los sonetos y de las formas breves, el titulo que acompaña el soneto es la sentencia que después el poeta desarrolla entre los dos cuartetos y los dos tercetos del soneto. Entonces, el contenido del soneto argomenta esta sentencia. En este caso, entonces: amor constante más allá de la muerte. El tema de la muerte es un tema que predomina en Quevedo, la idea de una vida que antes o después termina y que sobre todo nunca es una vida de alegrías, sino una vida de penas. En esta vida de penas que le toca sufrir al yo poético, el amor es algo que permite aferrarse a lo inconcreto, a un ideal que nos hace pensar que podríamos estar bien y nos llena el corazón. vv. 1-4 Primer cuarteto. “postrera sombra” = “ultima ombra”. La última sombra es la muerte; entonces, “cerrar podrá mis ojos la muerte, el último instante de la vida podrà separar esta alma mia de su cuerpo, lisonjeando el deseo que esta alma tiene de morir” > siempre estamos frente a un yo poético que siente que la muerte está detrás de él. “lisonja” = “lusinga” > entonces, el alma espera a la muerte y la última hora podrá al fin separar el alma del cuerpo > idea que se relaciona con la filosofía de la … = la idea de que el alma pueda vivir otra vida en el más allá. Estro es lo que podrá hacer la muerte: cerrarme los ojos y destacar mi alma de mi cuerpo. vv. 4-8 Segundo cuarteto. “más” = “pero” Cuarteto en el cual tenemos varios iperbatos presentes; esto es una construcción gramatical que no sigue la sintaxis normal del verbo o que cambia de posicion a los elementos sintácticos, creando un cambio en la percepción de la frase > el lector debe ser muy attento, busca significado en los vv. posteriores y, por tanto, sigue pendiente. Muy utilizado por Góngora, quien quiere que el lector relea varias veces un verso para comprender su significado, para luego quedar satisfecho. “riviera” = “riva”. La idea de una rivera nos hace pensar en el rio que según los clásicos teníamos que superar cuando llegamos en el más allá. Entonces, aquí en el v. 5, la rivera del rio es la rivera del Rio Aqueronte, en el cual las almas llevaban la fragilidad del cuerpo > aquí tenemos por lo tanto una referencia clásica y culta, que no es una cita, pero una referencia a un elemento proprio de la tradición clásica. El sentido del cuarteto es que mi alma no dejará a otro lado, en el cuerpo, la memoria: mi alma sabe nadar en las aguas frías y sobre todo sabe faltar de respecto a la muerte > es la imagen de un alma valiente, que qualquier cosa pase no va a dejar lo que ha pasado en vida. Es un alma fidel a su cuerpo, también después de la muerte. vv. 9-11 Primer terceto. Descripción del alma. Aquí, el dios que ha hecho prison del alma es Eros, Amor. “humor” > cfr. Don Quijote y la teoría de los humores. “médulas” = midollo, la parte más interna de nuestro cuerpo. vv. 12-14 Segundo terceto. “cuidado” = amor Las venas y las médulas serán ceniza y polvo, pero serán un polvo enamorado. La construcción de los sonetos en cuestión es una construcción basada en una elipsis progresiva, ya que en realidad el tema principal se construye en la primera cuarteta y en la segunda, para luego concluir en el terceto final. Es algo nuevo: si tomamos un soneto de Garcilaso, el tema quedó expresado al principio, en el primer cuarteto, y luego se desarrolla. En esto, sin embargo, hay una construcción que se basa en una elipsis continua, es decir, la eliminación de un término > el argumento que se hace en torno al amor constante más allá de la muerte es en realidad algo que llegamos a comprender sólo al final del segundo terceto, pero que no queda claro ni al principio ni en la mitad. Dice que su amor no tiene parte alguna terrestre, Francisco Quevedo Dice que su amor no tiene parte alguna terrestre Por ser mayor el cerco de oro ardiente del sol que el globo opaco de la tierra, y menor que éste el que a la luna cierra las tres caras que muestra diferente, ya la vemos menguante, ya creciente, 5 ya en la sombra el eclipse nos la entierra; mas a los seis planetas no hace guerra, ni estrella fija sus injurias siente. La llama de mi amor que está clavada en el alto cenit del firmamento, 10 ni mengua en sombras ni se ve eclipsada. Las manchas de la tierra no las siento: que no alcanza su noche a la sagrada región donde mi fe tiene su asiento. Este soneto podría aparecer dedicado al amor; en realidad, en este soneto Quevedo habla de su propria fe. Luego, podemos semplificarla como la fe de amor o la fe en el sentido religioso. Este soneto habla de la fe, de la fe del yo poético que se establece en la región del empireo, o sea, en la región más alta del firmamento, en la cual reside también dios. Todo el soneto se construye alrededor de imágenes astronómicas, que recuerdan el movimiento y la posición de los astros. En el primer cuarteto podemos ver lo que dicimos antes sobres la elipsis: no ritiene un cierre, sino nos embauca a leer el segundo cuarteto, o no comprendemos el sentido. En el v. 4 tenemos una coma y el punto lo tenemos solo en el v. 8 > ténemos una única unidad semantica que comprende el primero y el segundo cuarteto. El cerco de oro del sol es el resplandor que se ve alrededor del astro del sol y el cerco de la luna es el resplandor que vemos cerca de la luna en la noche. 3 facce che mostra differenti = le fasi lunari (menguante, creciente) vv.7-8: está hablando de la luna. Lo interesante aquí es percibir la diversidad de la conciencia astronómica del universo respecto a la nuestra: los 6 planetas a los que se refiere el autor son el Sol, Mercurio, Venus, Marte, Júpiter y Saturno, que para los contemporáneos eran, junto con la Tierra. y la Luna, los únicos planetas del universo. Las estrellas fijas, en cambio, eran estrellas que no necesitaban moverse y que, a diferencia de los planetas, permanecían fijas. La idea de estrella fija, en realidad, ya para los contemporáneos de Quevedo no estaba relacionada con una estrella que estuviera fija en un punto, sino que siempre podíamos encontrarla en el mismo punto, a pesar de que la Tierra se moviera; y las estrellas fijas, en la idea del universo de los contemporáneos de críticos que a él no le interesa escribir para el vulgo (publico corriente, el pueblo): él escribe para una élite y esta tiene que trabajar para encontrar un placer en el texto > es decir, la élite tiene que leer y re-leer el texto y, cuando encuentra la llave para interpretarlo de forma opportuna, allí siente el plaze7r del texto. Esa afirmación es muy importante, porque en el siglo XVII estamos frente (y lo veremos a partire de Lope de Vega) al auge del teatro y de la comedia nueva; esa será una forma de hacer teatro que cambiarà y invertirá totalmente los destinatarios de las obras, que ya no serán los nobles y cortesanos, más bien será el pueblo/vulgo. Entonces, Góngora se impone en la escena literaria del siglo XVII como un poeta que no acepta uno de los grandes cambios de la literatura de la epoca, que es adaptar un género o a los gustos de los posibles destinatarios; ante un nmundo literario que empieza escribir para todos, Góngora sigue escribiendo para pocos, y es más: no solo quiere escribir para pocos, sino para una élite que tiene una formación muy profunda y es capaz de interpretar sus textos. Por esto, Lope de Vega cuestiona en varias ocasiones, incluso dentro de sus obras, el culteranismo > de hecho, “culteranismo” es una palabra que tiene una acepción negativa al ser una palabra que es similar a “luteranismo”: a la epoca, eso era visto como una herejía y el culteranismo también era visto por los literatos del siglo XVII como una herejía poética. Los temas de la poesía de Góngora Básicamente, Góngora reelabora los temas que ya pertenecían a la tradición poetica: de hecho, reelabora formas y termas que son parte de la tradición poetica, pero las innova desde el punto de vista metrico y del lenguaje. Entreq los temas que reelabora podemos recordar lo efímero y lo mudable en los asuntos humanos y la permanencia y la belleza de la naturaleza; estos también eran temas de Quevedo, por ejemplo > son temas que forman parte de un conjunto de temas que es típico de la época. En particular, tenemos que destacar que la mudanza es un tema gongorino muy presente, junto con la naturaleza. Estos dos temas frecuentemente son reelaborados por Góngora y la naturaleza sobre todo es descrita por el autor como un refugio que le permite al hombre encontrar un espacio protegidio; como un refugio contra los males; como entidad protectora de sus hijos; como mansión apacible, permanente; como espacio en el cual encontrar un equilibrio que era imposible encontrar fuera de la naturaleza. Entocnes, desde este punto de vista, la naturaleza es un espacio que le permite a Góngora rechazar lo heroico; le permite alejarse de los asuntos mundanos de la corte, que en cambio encontramos por ejemplo en varias sátiras de Quevedo. Esto hace que la naturaleza adquiera el valor de lo sano, de lo tranquilo, de los sentidos delicados y que pueden desarrollarse con tranquilidad. Recursos gongorinos más frecuentes Los recursos gongorinos más frecuentes son varios. Ante todo, podemos decir que la revolución de Góngora se basa sobre pocos pero importantes recursos y elementos que se repiten en cada obra: la poesía tiene que ser culta, para poco lectores, y obscura al vulgo. Por eso motivo, en la poesía gongorina son presentes los cultismos léxicos, es decir palabras que se utilizan en su segunda o tercera acepción, así que en la frase parezcan erradas, pero en realidad son correctas (por ej., el uso de ‘esclarecido’ por ‘noble’, ‘pompa’ por ‘aparado suntuoso’, ‘purpureo’ o ‘purpura’ para aludir al color rojo etc.; son todas palabras que forman parte del lenguaje literario culto, pero que el pueblo del siglo XVII con mucha probabilidad no podía detectar dentro de una poesía como palabras asociadas con ciertas significaciones). También tenemos frecuentes cultismos sintácticos, p.e. un uso abundante del hipérbato. Eso es el uso de un orden sintáctico que no es el orden sintáctico que no esperaríamos en un texto (por ej. 'este que siempre veis alegre prado'; 'Este, que en traje lo admiráis, togado; el acusativo griego: 'de un blanco armiño el esplendor vestida'; 'Montaña inaccesible, opuesta en vano'). También es frecuente el uso de sintagmas y expresiones enfáticas y evocadoras, que se vuelven una marca de su estilo poético (por ej. ‘venenosa pluma’ para aludir a la escritura y a aquellos autores que lo criticaban, o ‘extenso muro’ para aludir al edificio en el cual tenía la residencia una importante familia). Otros recursos frecuentes son la reelaboración de los tópicos literarios de la antigüedad, las alusiones mitológicas, las alusiones emblemáticas y el uso abundante de metáforas. Los sonetos Los sonetos de Góngora no conforman un cancionero: Góngora los escribió a lo largo de su trayectoria poetica en distintas ocasiones y por lo tanto no conforman un cancionero y no pueden ser organizados como cancionero. En los sonetos, Gongora recrea una multitud de asuntos y contenidos que son típicos de la poesía renecencista y barroca. Por lo tanto, no se enfrenta con temáticas diferentes a las que reelabora Quevedo. En el conjunto de su producción tenemos varias tipologías de sonetos: tenemos sonetos dedicatorios (dedicados a alguien, como el soneto LXXIII), sonetos amorosos (que escribió sobre todo al principio de su carrera poética), sonetos satíricos (como por ej. el que dedica a Quevedo), sonetos fúnebres y sonetos de tema vario. Estos sonetos, que no conforman un cancionero, pueden sin embargo ser catalogados por el tema que tratan o por su datación cronológica. Si aceptamos esta segunda clasificación, en la cual entran tanto el tema como la fecha, es posible dividir la producción de los sonetos en varias etapas: ➤ 1582-1586: el ciclo de la juventud, que se caracteriza por la presencia de poesia amorosa y en particular por la escritura lllllde poesía amorosa de inspiración petrarquista y de factura manierista; ➤ 1588-1608: el primer ciclo de poesía circunstancial (poesia que se escribe en det circunstancias), que oscila entre lllllcomposiciones heroicas o dedicatorias de la vida cortesana (vd. canzonieri rinascimentali); destaca el núcleo laudatorio llllla los marqueses de Ayamonte (1606-1607) y la satírico burlesca que también está inspirada en el menosprecio de la lllllcorte; ➤ 1609-1616: el segundo ciclo de poesía circunstancial, en el que destaca la poesía fúnebre y la poesía laudatoria y los lllllpoemas satíricos-burlescos, sobre todo, destacan poesías sobre el desengaño cortesano; ➤ 1617-1624: el ciclo de la cortesanía poética, en el que el autor escribe siguiendo los dictados de la urgencia cortesana, lllllescribe para registrar los acontecimientos de la corte, pero tambien escribe poesías que forman parte de un ciclo que lllllla crítica quiso llamar el ciclo de la vejez o de la senectute, en el que el poeta el poeta rinde tributo a la filosofía de lllllraigambre moral y se debate entre esperanza y desengaño. Entonces un Góngora que comienza a escribir con temas juveniles de carácter armonioso (ver Quevedo) y que sin embargo a medida que crece ve lo cortesano y poético desde un punto de vista cada vez más lejano > la distancia le permite centrarse en lo que ve de una manera mucho más madura. Soneto LXXIII, Luis de Góngora Este soneto Góngora lo escribió en ocasión de la muerte de la reina Margarita y en cierto momento se pensó que era un poema que Góngora había escrito para las exequias de la reina Margarita; en realidad, este soneto forma parte de un trittico de poemas que dedica al momento de la muerte de la reina > es como si fuera una glosa a lo que representó en la corte la muerte de la reina. Este poema es un poema extremadamente compolejo desde el punto de vista sintáctico, pero básicamente es un comentario al tono que tuvieron las exequias de la reina; entonces, el objectivo del soneto es describir la inudilidad de la pompa que se utilizó para las exequias de la reina > es un soneto que en realidad critica la vanidad con la cual se celebraron las exequias de la reina Margarita, con una pompa que es inútil en el momento de la muerte. LXXIII No de fino diamante, o rubí ardiente, luces brillando aquél, éste centellas , crespo volumen vio de plumas bellas nacer la gala más vistosamente. Qué oscuro el vuelo , y con razón doliente , 5 de la perla católica, que sellas, a besar te levantas las estrellas, melancólica aguja, si luciente. Pompas eres de dolor , seña no vana de nuestra vanidad, dígalo el viento, 10 que ya de luces, ya de aromas tanto. Humo te debe. ¡Ay, ambición humana! prudente pavón hoy con ojos ciento, si al desengaño se los das, y al llanto . Los primeros dos cuartetos aluden a la forma que tenía la tumba de la reina; en esos se describen la forma del ataluz que acompaña la reina, mientras los últimos dos tercetos describen la inutuilidad de esta fastosidad para un momento tan triste como es lo de las exequias. Lo veremos después, pero una clave de la interpretación de la poesía de Góngora es la visualidad: Góngora escribe muchísimo la poesia a través de imágenes; es un poeta que utiliza con frecuencia metáforas visuales > por lo tanto, si al releer el soneto sabemos a qué corresponde cada cuarteto y terceto, podemos imaginar de forma más clara como se desarrolla el soneto. Como decía antes, se trata de un soneto dedicado a comentar la pompa que se utilizó para celebrar las exequias de la reina Margarita. Os he hablado de que en los primeros dos cuartetos tenemos una descripción del altaluz de la reina; de hecho, los reyes – y más en general las personalidades que morían en el siglo XVII – solían ser enterradas con unas exequias que preveían un cierto tipo de protocolo: en el caso de la reina Margarita, podemos imaginar un altaluz en el medio, unas velas al lado, y después una madera cortada en oro que servía para crear una … de duelo del altaluz. Claramente se trata de una forma de celebración que ya no se utiliza, pero en e l siglo XVII esto tenía ia una importancia estetica y, claramente, cuanto más … la imagen de las exequias, más importante la persona que se había muerto. Por lo tanto, cuando en el segundo cuarteto Góngora habla de luces y de algo que va hacia las estrellas, tenemos que imaginar las velas y posiblemente las cruces o de todas formas la estructura sobre la cual estaba el altaluz. Entonces, como os decía con antelación, los sonetos y la poesia de Góngora en general es de tipo muy visual y por lo tanto tenemos muchas imágenes. Este soneto se escribió en 1611, un poco antes de publicarse Las Soledades; como hemos dicho, en el momento de publicar Las Soledades, la poesia de Góngora ya es muy difícil > por lo tanto, puesto que Las Soledades se terminaron de escribir con antelación y se publicaron nen 1612, este soneto ya forma parte de a una fase en la que la poesia de Góngora ya se ha vuelto muy difícil. Por este motivo, tenemos que pensar que la estructura sintáctica de este soneto es muy complicada. Primer cuarteto (vv.1-4) “luces” y “centellas” aquí son sinónimos: las luces que emana un brillante cuando lo toca la luz y las centellas que emana un rubin cuando la luz lo ilumina. Este primer cuarteto es totalmente invertido: Góngora nos está hablando de las luces que emanan de diamantes y del rubin, que non son tan fuertes como las que vienen de las plumas que se utilizaron para ornamentar el túmulo funerario de Margarita. R Segundo cuarteto (vv.5-8) En el segundo cuarteto la referencia es a un “oscuro velo” > aquí el yo poético se està refiriendo a la vela, la luz que está dandole iluminación al catafalco de la reina. El “vuelo” al cue se refiere es el que tiene de cumplir la “perla catolica”, o sea la reina Margarita; esta fórmula alude a la reina Margarita. El yo poético siempre está hablando conm una vela personificada o con el catafalco, refiriéndose directamente a la estructura. “aguja” = “ago”; entonces, ago melancólico, pero sí lucente; aquí ya tenemos el preambolo de lo que vendrá después, que es la crítica a la pomposidad con la que se han realizado las exequias, que no es nada si non una crítica a la sociedad de la época. Primer terceto (vv.9-11) “pompas eres de dolor” no se refiere solo a la estructura, sino a todas las exequias de Margarita. “seña no vana de nuestra vanidad”: eres seña de lo innecesariamente vanidosos que somos, porque esta demostración de vanidad no es inútil ni vana, sino que tiene la utilidad de hacernos reflexionar sobre lo necio que es celebrarse en la muerte. Segundo terceto (vv.12-14) El segundo terceto crea una relacion con el primer terceto, en cuanto hace una alusión a como la pompa funebre que se construye alrededor de las exequias de la reina Margarita es como la cola de un pavon > es una muestra de vanidad. El desplegarse de todas las celebraciones alrededor de las exequias de la reina Margarita son una inútil vanidad, son como humo; y el pavon será prudente si esos ojos ciento (los de la cola) los dará al desengaño y al llanto. Entonces, la paráfrasis de estos dos tercetos es la signuente: el trémulo luminoso que se ha construido para las exequias de la reina Margarita, con velas encendidas, supera el esplendor de la cola desplegada del pavón, pero es una segna no vana de la vanida del hombre, a diferencia de la cola del pavón, que es una segna de vanidad. Estructura del soneto y figuras del lenguaje Desde el punto de vista de la estructura poetica de este soneto, claramente sigue la forma poética típicas de soneto: se compone de 14 versos, dos cuartetos y dos tercetos, en endecasílabos; la metrica es perfecta y lo que podemos destacar es que tenemos varios versos bimembres, o sea, compuestos por dos partes, que ponen en la misma imagen dos elementos que funcionan en contraposición (vd. vv. 1; 2; 5; 8; 9). Entonces, dentro del verso tenemos un cierre en una significación completa, pero tenemos dos elementos/referentes distintos. Luego, hay algunos versos que son claros ejemplos de hipérbaton, como por ej. el v.2 y el v.5: el orden sintáctico correcto sería “aquel brillando luces y este brillando centellas”; aquí trabajamos con una elipsis que además se refiere también a la pompa, porque ya estamos hablando del exceso de decoraciones pára las exequias de la reina Margarita, pero no lo nombramos hasta el primer terceto. Otro ejemplo de hipérbaton es tambien el v.6: ‘que oscuro el vuelo’ y ‘con razón doliente’. Luego, el v.1, el v.8, el v.9 y el v.14 pueden verse como fórmulas que son típicas de Góngora, porque – como hemos dicho durante la explicación – Góngora tiene formulas estilísticas, evocativas y poéticas proprias, que se repiten a lo largo de todos sus poemas. Estas fórmulas a menudo juegan con el visual, el color, la imagen; entonces: - en el v.1, el lector tiene que pensar en las piedras preciosas, en su color, y ya tenemos tambien un valor relacionado con estos elementos; - en el v. 8, el verso es muy visual y metaforico: la aguja es algo que puede puntar hacia arriba, pero tambien es algo que puede lastimar > en este caso es una aguja melancólica, que es melancólica, pero si luciente (anticipación de la crítica que vendrà en los tercetos siguientes). - en el v. 9, el uso también de una palabra como ‘pompa’, que tiene varias acepciones y que Góngora utiliza con la meno usual, es un rasgo típico de Góngora. - en el v 14, hablar de ‘desengaño y llanto’ es un elemento que se reelabora varias veces dentro de la poesía gongorina. Como ultima cosa, ponemos la atención sobre cuales palabras utiliza Góngora para aludir a lo efímero en los últimos 2 tercetos: humo, viento, aroma. Entonces, tenemos la referencia a la vanidad, a lo vano, que No todos son ruiseñores No todos son ruiseñores No son todos ruiseñores los que cantan entre las flores, sino campanitas de plata que tocan a la alba, sino trompeticas de oro, 5 que hacen la salva a los soles que adoro. No todas las voces ledas son de sirenas con plumas cuyas húmidas espumas 10 son las verdes alamedas. Si suspendido te quedas a los süaves clamores, no son todos ruiseñores los que cantan entre las flores, 15 sino campanitas de plata que tocan a la alba, sino trompeticas de oro, que hacen la salva a los soles que adoro. 20 Lo artificioso que admira y lo dulce que consuela no es de aquel violín que vuela ni de esotra inquieta lira; otro instrumento es quien tira 25 de los sentidos mejores. No son todos ruiseñores los que cantan entre las flores, sino campanitas de plata que tocan a la alba, 30 sino trompeticas de oro, que hacen la salva a los soles que adoro. Las campanitas lucientes y los dorados clarines, 35 entre olorosos jazmines, con sus canoros torrentes, no solo recuerdan gentes, sino convocan amores. No son todos ruiseñores 40 los que cantan entre las flores, sino campanitas de plata que tocan a la alba, sino trompeticas de oro, que hacen la salva 45 a los soles que adoro. La letrilla es una forma metrica usual en la poesia del Siglo de Oro, que está costituida por versos breves, divididos en estrofas al final de las cuales tenemos siempre un estribillo (ritornello). Ante todo, en principio la crítica dijo que era una letrilla dedicada al tema amoroso, pero en un segundo momento también la crítica adfirmó que podría ser una letrilla dedicada al tema religioso > cfr. Quevedo titulo: esta letrilla es igual; todo se corresponde con un canto que parece de amor, pero – en realidad – com mucha probabilidad es un canto de tema religioso. Eso porque era usual hablar de religión utilizando un lenguaje amoroso, que imitaba el lenguaje con el cual se hablaba de amor. Eso ritiene claramente una relación con toda la tradición mística de la España de la época. La poesía mística española es importante sobre todo en dos autores: Santa Teresa de Águila y Sant Juan de la Cruz; en Santa Teresa el tema es religioso práctico???, mientras que en San Juan el tema de la unión entre el alma y dios se desarrolla en el tema del encuentro entre una amada y un amado. Entonces, esto era algo usual en la época. En esta poesia, como en otras de Góngora, predomina el aspecto visual, pero también hay un fuerte aspecto sonoro, que ya podemos imaginar a partir del título > el “ruiseñor” es el “usignolo”. Y dentrov de la letrilla esteaspecto sonoro tiene mucha importancia, sobre todo en la construcción de imágenes que le sirvben al lector para percibir lo que el poeta le quiere describir. Estribillo (vv.1-7; 14-20; 27-33; 40-46) Las campanillas de platas le piden permiso a los soles que el yo poético adora para hacer algo. vv.8-13 Tenemos que imaginar el bosque/las serenas, que vistas desde lo alto parecen plumas > esta imagen de las serenas con plumas la tendremos tambien en Las Soledades y es una imagen frecuente en Góngora. vv. 21-26 Aquí una referencia que parece aludir a algo que suena mucho más que una lira, mucho más que un violín; una musica que es más importante de estos dos instrumentos, que eran los más importantes para la musica de la epoca > por lo tanto, aquí podemos imaginar que es la palabra de dios que es el elemento capaz de hacer un musica más fuerte (en el sentido de más evocativa) que el violín y la lira. El violín que vuela claramente no es un violin que alguien lanzó en el medio de la lameda, sino un violín que suena una música muy suave. “otro instrumento es quien tira de los sentidos mejores” = alusión religiosa: es dios que es capaz de atraer los mejores sentimientos de los que somos capaces. Esta es la estrofa por la cual es fácil pensar en una alusión al tema amoroso, pero podemos ver que el tema amoroso y religioso en realidad se equivalen. Soledades Se tratta de una obra incompleta, de la que la primera parte se pública completa en 1613 (completada en 1612) y la segunda (sin terminar) aparece en 1618. La primera parte consta de 1041 versos y es un poema pastoril; la segunda parte (en la parte que conocemos) consta de 979 versos y es un poema piscatorio (= que tiene relación con la pesca). El metro utilizado es la silva. Ya dicimos que con Las Soledades la escritura de Góngora alcanza su climax de dificultad: es la obra que crea escándalo porque es una obra extremadamente compleja, en la cual tanto la forma como el lenguaje es elitista y el culteranismo gongorino es llevado al estremo. Según el proyecto de Góngora, Las Soledades tenían que ser cuatro, pero finalmente solo se publicaron dos, la segunda incompleta. Aparecen más o menos cuando aparece la segunda parte del Quijote, y con el Quijote comparten la idea de representar una realidad que no sabe adónde ir. Entonces, a primera vista la sociedad y la crítica social no están presentes en el texto, pero esa solo es apariencia. En la “Soledad primera”, Góngora canta las aventuras de un joven noble herido de amor y naufrago (se embarca después de un desamor) en las costas atlánticas; el joven, que básicamente es un hombre vagabundo por el mundo, vive distintas experiencias que van de lo pasando por un estadio primitivo y arcádico hasta un estadio urbano y ciudadano. A través de estas adventuras, el planteamiento de Góngora era él de describir los estadios de la evolución humana: en cada una de Las Soledades, él náufragos tenía que hacer experiencia de una distinta realidad humana, que se encontraba en distintos momentos de desarrollo y que seguía leyes sociales diferentes, y entonces el yo poético tenía la posibilidad de comentar las distintas actitudes de los personajes dentro de estos distintos contextos sociales. Por lo que pertenece a la ambientación, entonces, el tiempo de Las Soledades parece idílico; en realidad las aventuras del peregrino cubren un lustro y representan el tiempo necesario para alejarse de la vida mundana. Las unidades escenográficas que sirven como telón de fondo de la acción son varias (4): - la casi-Arcadia del albergue de los cabreros; - los campos de labranza y la aldea de la boda en el valle al pie de las montañas; - el mundo piscatorio y el islote en al que llega el peregrino; - el castillo sobre el cerro que domina la ribera. Entonces, aún si básicamente la obra no parece tener relación con la sociedad, en realidad Góngora (que como hemos dicho siembre vivió dentro de la corte, pero siempre escribió alrededor de una naturaleza que era protectora de sus hijos y que era …) describe, a través de las adventuras del náufrago, todos los problemas que las distintas sociedades humanas iban tendiendo. O mejor: no descrive los problermas, sino la forma de ser de cada una de estas comunidades. Esto permite al ego poético hacer comentarios sobre las actitudes, méritos y defectos de todas estas comunidades > hay por tanto un deseo de observar la realidad por parte de Góngora que es muy evidente, aunque no sea el tema principal; De hecho, esto era para hacer reflexionar al lector a través del poema, pero al mismo tiempo brindarle una experiencia poética (de interpretación del texto poético). Soledad primera (primeros versos) El argumento de la ‘Soledad primera’ es muy simple: un pobre noble, herido de amor y peregrino (porque claramente busca sosiego, pero no lo encuentra) es naufrago en las costas atlánticas y es hospedado en una cabaña, donde asiste a un matrimonio rústico. En la ‘Soledad segunda’, el mismo peregrino naufrago se embarca con algunos marineros que lo llevan a su isla y más tarde asiste a una partida de caza al arcón. Desde cierto punto de vista, la forma de Las Soledades es un conjunto de épica y novela pastoril, porque el naufrago – cuando lleva a las costas atlánticas – vive en un locus amoenus, pero es imposibilitado a quedarse en este lugar idillico y siente que tiene que seguir su peregrinación, exactamente como lo hacían lo héroes épicos > cfr. los héroes de la antigüedad: empezaban un viaje y regresaban cambiados por las adventuras que habían tenido. Por este motivo, podemos decir que Las Soledades son un conjunto de épica y novela pastoril, porque el ambiente inicial es un ambiente típico de la novela pastoril, pero el protagonista no puede quedarse > necesita moverse y buscar nuevas adventuras, lo que, en cambio, es una actitud típica de los héroes épicos. Entonces, veamos juntos estos primeros versos. Soledad primera (selección) E | ra | del | a | ño | la es | ta | ción | flo | ri | da en que el mentido robador de Europa (media luna las armas de su frente, y el Sol todos los rayos de su pelo), luciente honor del cielo, 5 en campos de zafiro pace estrellas, cuando el que ministrar podía la copa a Júpiter mejor que el garzón de Ida, náufrago y desdeñado, sobre ausente, lagrimosas de amor dulces querellas 10 da al mar, que condolido, fue a las ondas, fue al viento el mísero gemido, segundo de Arión dulce instrumento. Este es un íncipit bastante dificil y es un íncipit en el cual encontramos varios elementos que tienen todos que ver con la mitología. Ante todo, la silva – como en el caso de Quevedo – es una combinación de endecasílabos y eptasillabos. ‘Soledad primera’ (titulo) = “soledad” tiene una doble significación: por un lado, es soledad como género, en el sentido de coro que canta (cfr. tragedias); por otra parte, es ‘soledad’ como estado del naufrago. Esta es la primera soledad del naufrago que el yo poetico va describiendo y esto tiene una significación bastante profunda, porque la soledad del naufrago se encuentra entre las personas > de hecho, el naufrago encuentra varias personas, pero se siente solo. Entonces, la soledad se percibe como estado de ánimo del peregrino naufrago. “Era del año la estación florida” = primavera. “robador de Europa” =Júpiter (Zeus). Aquí tenemos una metonimia y una simil que nos sirve para hacernos comprender que estamos en el atardecer; de hecho, solo en el atardecer tenemos los rayos de Sol y la Luna a lo mismo tiempo. “en campos de zafiro” = en lo más alto del cielo. Aquí siempre la visión es mitologica y el ‘garzón de Ida’ es … Aquí, el naufrago herido de amor da al mar “dulces querellas lagrimosas de amor” > tenemos aquí un hipérbaton y tambien un oximoron (las dulces querellas son un oximoron). El gemido se hace dulce como el sonido de la lira de Arión (otra alusión mitologica) > Arión, a través del sonido de su lira, solicitaba la ayuda de la diosa del amor, y lo mismo hace el naufrago. v. 22: Aquí tenemos una imagen muy visual: el naufrago ha sido sorbido y luego vomitado por el oceano sobre las costas > es una imagen extremadamente poética y visual, porque es extremadamente concreta. Las plumas y las espumas aluden a Venus; esta ‘pluma’ y espuma – qie tambien vimos en algunos sonetos – es algo tipico, una alusión tipica de la poesia de Góngora. Hay toda una red de conexiones con la mitología clásica, que tiene – como en este caso preciso de Venus – el intento y el objetivo de discutir por ej. el poderío patriarcal de Jupiter sobre los demás dioses del Olimpio. v. 94: tenemos la alusión al beatus ille, el trópico oraciano del vivir sereno dentro de la natura: Bentrovato ristoro a qualsiasi ora (porque la naturaleza está abierta a qualcuier ora), tempio di Pales, spazio di Flora (diosa que se relaciona con la naturaleza). Aquí tenemos una descripción de la naturaleza com si fuera un edificio y eso se relaciona con la idea de la naturaleza como albergue para el hombre, un espacio que siempre accoglie el hombre de forma tranquila y agradable. 8. EL TEATRO DEL SIGLO DE ORO El teatro, así como lo conocemos, empieza a desarrollarse durante los reinados de Carlos V y Felipe II (siglo XVI), en este periodo los dramaturgos adquieren nuevas técnicas y amplían el conjunto de temáticas de sus obras. – el escenario se eleva; se concentra la mirada en los actores; – el recinto se cierra, permite controlar la asistencia y los ingresos y permite una organización regular del llllllllespectáculo teatral. El Corral de comedias era, básicamente, un patio con un tablado en uno de sus extremos. En los demás lados, estaba delimitado por las paredes de las casas que surgían a su alrededor. En su mayoría no se trataba de teatros cubiertos, las representaciones se organizaban en el patio al aire libre. El público más sencillo permanecía de pie en el centro. A los lados del teatro (bajo la galería cubierta) había gradas y, encima de estas, las ventanas de las casas que formaban las paredes laterales del patio. Estas ventanas constituían los "aposentos" que las familias ricas podían alquilar a lo largo de un tiempo. Pasa asistir a las representaciones era necesario pagar para entrar y para sentarse (tres pagos, el primero para la compañía, el segundo para la cofradía, el tercero para sentarse). La temporada empezaba en Pascua y terminaba con el comienzo de la Cuaresma del año siguiente. A la cabeza de la compañía había un director o empresario ("autor de comedias") que conseguía las obras desde los mismos autores o de textos preexistentes. Las compañías solían estar compuestas por 4 hombres jóvenes, 2 hombres más viejos, dos cómicos (que hacían el gracioso), 5 actrices y la primera dama. En España no había una compañía Real, las autoridades se limitaban a ordenar que una u otra compañía acudieran a efectuar la representación. La puesta en escena de los teatros comerciales Era responsabilidad del director de la compañía teatral. El autor influía en la puesta en escena por medio de las acotaciones que añadía al texto. No sabemos cuál pudo ser el grado de realización de las acotaciones, así como no sabemos si ciertos elementos escénicos realmente llegaban al escenario o se quedaban en un nivel verbal. Por lo general, las acotaciones son escasas y se limitan a los "aparte" y a las informaciones sobre el vestuario. En muchos casos, en el texto de la obra se hace referencia a un lugar específico para ahorrar en la puesta en escena, que eran muy "económicas". Podían darse algunos cambios (en el decorado, de escenario etc) pero mínimos. Sin embargo, la puesta en escena tenía su importancia y una buena escenografía podía decidir un mayor o menor éxito de la misma. Para imaginar el corral de comedias en el siglo XVII • Corral de comedias de la ciudad de Almagro, único ejemplar de teatro que mantiene la estructura de los teatros barrocos llldel siglo XVII: https://www.youtube.com/watch?v=WzYDqqmpUU0 • Los Corrales de comedia así como debían ser en la época de Lope https://www.youtube.com/watch? v=egQH6wRwMUc Ll(de la película Lope, 2010) • Para comprender los detalles de la estructura del teatro: https://www.youtube.com/watch? v=rZHQvPiBEBQ Precursores de Lope de Vega ➤ Juan de la Cueva (1550-1610): lllllno tiene la calidad de Lope, pero es capaz de crear buenas escenas. Sus escritos se representaron entre 1579 y 1581 lllllen los primeros teatros públicos. Tenía una buena variedad métrica y fue uno de los primeros autores que introdujeron lllllla historia y la leyenda en las escenas. ➤ Miguel de Cervantes (1547-1616): lllllfue un dramaturgo en la primera década del teatro del siglo XVII. Su actividad como dramaturgo puede ser divida en llllldos etapas: una que comienza con el regreso del cautiverio de Argel, en la que todavía respeta las normas clasicistas lllll(Los tratos de Argel, de 1580, y El cerco de Numancia, de 1585 aprox.); la otra que corresponde a la etapa lopesca lllll(Ocho comedias y ocho entremeses). 9. LOPE DE VEGA Lope de Vega fue un hombre excepcional desde el punto de vista poético y literario y sobre doto fue un hombre extremadamente influyente en la literatura de su siglo y tambien en la literatura de toda la historia de la literatura española tras el siglo XVII. Digamos que, de los autores que vimos, hoy podemos encontrar ecos en la literatura incluso contemporánea > son autores que conforman un bloque de autores clásicos que forman parte de la tradición de la literatura, pero sobre todo de un conjunto literario que es sempre ocasión de reflexión y de inspiración. Biografía Por lo que se refiere a Lope de Vega, hemos dicho que es uno de los dramaturgos más significativos del Siglo de Oro y podemos decir que es a partir de su experiencia en los teatros que tenemos otra forma de esceribir teatro. En lo que concierne su vida, tuvo una vida bastante …: fuer un ombre extremadamente …, que tuvo muchísimo amores, fue un hombre que no contempló la vida deste un estagno lejos de la…, más bien vivió mucho y se ve tambien en su trayectoria biográfica. Lope de Vega se llamava en realidad Lope Félix de Vega Carpio; sin embargo, todos lo llaman Lope de Vega y en literatura es famoso solo como Lope. Nace en Madrid en 1562. Es hijo del bordador (alguien que borda) Félix de Vega y de su mujer Francisca a Fernández Flores y, según lo que afirma el mismo Lope, sus padres eran originarios de Asturias > de forma implicita, este detalle le permite a Lope relacionar el origen de su familia con los cristianos vjegos, porque Asturias está en el norte de España y entonces fue uno de los reinos que durante la conquista árabe no habían sufrido la ocupación arabe. No sabemos demasiadas cosas sobre cómo fue su infancia, pero tampoco nos interesan, es decir: en las obras de Lope de Vega seguramente entran muchos detalles biográficos de su vida como adulto; los disemina porque utiliza su propria materia autobiografica para escribir o crear … en sus obras. Entonces, por lo que concierne su vida antes de … no tenemos demasiadas informaciones. Sabemos que por algún tempo vivió en Sevilla en casa de su tío, el inquisidor Miguel Carpio (de quien tomarà el apellido Lope Félix de Vega Carpio); lo que nos interesa destacar que si tío era un inquisidor y que, entonces, trabajaba en las instituciones de la monarquía. Estudió con Vicente Espinel, que es un sacerdote, músico y escritor del Siglo de Oro sevillano, conocido por haber escrito la novela picaresca Vida del escudero Marcos de Obregón y luego por aver modificado un verso, de forma que tenemos la espinela (un verso que utilizo parta escribir su obra y que de allí tuvo su nombre). Hacia 1574 sabemos que Lope de Vega entra en el colegio de los jesuitas de Madrid > hemos destacado la importancia que detiene el teatro de los jesuitas y la conformación que tiene la cultura de muchos autores del Siglo de Oro; por lo tanto, este pasaje en la escuela jesuita seguramente pone Lope en una condición de aprender a través del teatro y entonces estimula tanto su interés en la obra gramática como su interés en como la obra se construía. En el colegio de los jesuitas el teatro se utilizaba como método de educacion: servía tanto para instruir a los estudiantes sobre determinados conceptos, como para ensenarles cómo manejar la argumentación y la retórica; entonces, el teatro servía para aprender a hablar y escribir y por eso el hecho de que Lope de Vega entra en un colegio jesuita es muy importante: Lope y todos los demás autores del Siglo de Oro en muchísimos casos pasan por las escuelas de los jesuitas, que utilizaban el teatro y la literatura para enseñar como hablar. Y esto seguramente es uno de los motivos por los cuales estos autores tienen una formación y cultura literaria de altísimo nivel: no solo tiene datos y tienen informaciones, sino que también han absorbido las técnicas, las formas. Por lo tanto, todos estos autores – y entre esos Lope de Vega – tienen una formación literaria que le viene de aver sido en un sitio particular (el colegio de los jesuitas) que les permite trabajar con la materia literaria con facilidad y les permite también manejar la materia literaria con un conocimiento de lo que habia antes (normas clásicas o antecedentes) que es de miucho valor, porque saben muy bien cuando las están compiendo o modificando y el motivo por el cual lo hacen. Cuatros años más tarde, en 1578, muere su padre y Lope de Vega ya da muestra ser un espirito bastante libre > el autor huye de casa con un amigo, el que no tiene particulares consecuencias, pero destaca su índole poco conforme a quedarse en un sitio y a seguir normas preestablecidas. Hacia 1580, Lope empieza a ser conocido como poeta y entonces su carrera literaria empieza hacia finales del siglo XVI (empieza a tener éxito ya en la última decada del siglo XVI). En estos años, puede que haya sido estudiante en la Universidad de Salamanca, pero no tenemos pruebas ciertas; lo que sí sabemos es que entra en la corte y empieza a trabajar. Hasta 1587 será secretario para el marqués de las Navas; en esta etapa se coloca tambien el alistamiento de Lope en la expedición del marqués Santa Cruz a la isla Terceira (1583). Este dato también es un dato que tenemos que relacionar con la personalidad del literato del Siglo de Oro: de hecho, casi todos los literatos del Siglo de Oro son hombre de armas > en el caso de Garcilaso De la Vega, por ejemplo, estos dos elementos comparten mucho espacio a lo largo de toda su biografía. Sin embargo, con Lope de Vega el dato militar es marginal: sabemos que se alista en una expedición y más tarde también en la Invincible Armada, pero no tenemos …. en batallas. Lo que sí i sabemos es que era un hombre de armas y letras. Entonces, si bien eran hombres de armas y letras, era hombres que se dedicaban muy pronto a la vida religiosa (ej. Calderón). Tras la expedición de 1583, de la cual no tenemos demasiadas informaciones, Lope empieza una relación con Elena Osorio, su primer gran amor. Sin embargo, este amor en cierto momento se termina porque Elena Osorio decide dejar y sostituir a Lope, quien empieza a escribir 2 libelos insultantes en contra de Elena Osorio; eEtos libelos le causarán una condena al destierro por 4 años Madrid. Entonces, en 1588 sale hacia el destierro en Valencia; allí, el autor se casa con su primera mujer Isabel Urbina y se alista en la Invincible Armada (con mucha probabilidad se alista, pero …. expedición). Los primeros años del destierro de intenso trabajo literario, contacto con los dramaturgos del grupo valenciano > de hecho, Lope se fue encerrado en Valencia, que es uno de los centros más importantes desde el punto de vista dramático, junto con Sevilla y Madrid. Po lo tanto, esos son años de intenso trabajo con los dramaturgos del grupo valenciano. Regresa la corte en 1590 y entra al servicio del marqués de Malpica, en Toledo (todavía alejado de Madrid); más tarde será el segretario del duque De Alba, un cortesano importante que influyó muchísimo en el mecenazgo del siglo XVII; por lo tanto, como segretario del duque de Alba, Lope de Vega pudo contar con un apoyo cierto, poderoso y amplio. Entonces, en el palacio del duque de Alba escribirá uno de sus poemas más importantes (porque además de ser dramagutro es también poeta), que se titula Arcadia. Su regreso a la corte está caracterizado por una vida intensa, de duro trabajo literario, pero también plagada de escándalos amorosos. A lo largo del tiempo tendrá varitas relaciones y muchas tragedias que lo golpearán: en Alba de Tormes mueren su hija mayor y su primera mujer, así que en 1596 será procesado por amancebamiento y luego se casarà con su segunda mujer, Juana Guardo. Tendrá varias relaciones ulteriores, en muchos casos con comediantas, de las cuales nacerán varios hijos. Con Micaela de Luján, actriz, tendrá cinco hijos; luego tendrá relaciones también con Jerónima de Burgos, también actriz; con Lucía Salcedo y su último gran amor Marta De Salcedo, de la cual tendrá una hija, Antonia Clara. Esta última mujer serà su último gran amor y tambien materia de escándalo, porqué Marta estaba casada con alguien, pero ella decide mantener una relación con Lope > entonces se trataba de una relación fuera del matrimonio. Las muertes también serán una constante: además de su primera mujer y de su primogénita (que muere mientras es secretario del duque de Alba), su hijo Carlos muere en 1612, en 1613 muere Juana (del parto de su hija Feliciana). Una de sus hijas, Marcela, decide hacerse monja y abandona el hogar paterno pata entrar en un convento > Lope vive este abandono como un momento tragico. A lo largo de esta vida intensa, es importante la relación que Lope tiene con su espiritualidad; de hecho, la evolución espiritual del autor es muy peculiar (que, sin embargo, no le impide mantener una intensa vida amorosa poco morigerada, como vimos). Concretamente, tenemos por lo menos 2 ocasiones bastante originales: – En 1605, Lope vive una primera crisis espiritual que lo empuja a ingresar en la Congregación de Esclavos del llllllllSantísimo Sacramento; allí, el autor empieza escribir poemas de arrepentimiento. llllllllSin embargo, esta crisis espiritual no lo aleja de los amores turbios y pasionales y sigue tenendo relaciones. – En 1614, otra crisis religiosa lo empuja a ordenarse sacerdote, pero esto tampoco impide sus amores. llllllllEso es el año en el que imprime las Rimas sacras. Entonces, la fig de Lope de Vega es una figura bastante particular: por un lado, es la representación mejor de su propria epoca, un hombre que no conseguía estar dentro de las normas que limitaban la acción del invididuo. Sin embargo, los años de su senectud serán bastante melancólicos y tristes, en parte porque había leído muchísimas tragedias durante toda su vida y en parte porque había experimentado muchas perditas de afectos cercanos, y – aunque Lope fuera un hombre a quien le gustaba la pasión, la diversión y tambien el amor – es un hombre que también demuestra tener una sensibilidad peculiar. Entonces, con mucha probabilidad los últimos años de su vida son melancólicos, porque siente el peso de las tragedias que lo golpearon y tambien sente que ya no es el Lope del principio de siglo: de hecho, a partir de la segunda epoca del siglo XVII, Lope ya es un autor que forma parte de la generación de autores que están dejando espacio a nuevos autores; por eso, a lo largo de la segunda década de siglo XVII y hasta el momento de su muerte, Lope empezará a darse cuenta que ya no es el gran autor de teatro y otros autores más jóvenes están ganando espacio dentro de la escena literaria. Entonces, en los últimos años de su vida, el autor se siente de cierta manera más al margen, y sobre todo siente que el teatro está cambiando: su forma de escribir ya no es la que dicta la norma, más bien es una forma que es vista como tradición, ejemplo (pero ya no es el autor de teatro que todos quieren copiar). Sin embargo, es ono le impide continuar a esceribir y de cierta forma veremos que la trayectoria literaria de Lope tiene una evolución evidente: el autor seguirá escribiendo obras como El castigo sin venganza y en 1632 escribirá La Dorotea. Esa es un obra que importante, porque destaca una forma ulterior de escribir teatro por parte de Lope de Vega: de hecho, La Dorotea en sí no es una obra dramática, más bien es una obra de acción en prosa > por lo tanto, representa una nueva honesta con el prójimo; una honradez, entonces, que viene de lllllllllnuestras proprias acciones y que no es, en cambio, conseguida a través de las palabras/la mirada de los demás. lllllllllLope le dedica incluso una obra El villano en su rincón en 1611. lllllllllNon è un caso che portatore di questi valori positivi sia chi viene dal basso, se pensiamo che Lope de Vega ha lllllllllcambiato la forma del teatro per avvicinarsi al pubblico: possiamo infatti definire Lope de Vega come un autore lllllllllestremamente cortigiano, che ha lavorato per numerosi mecenati di corte e ha avuto una vita di sollazzi e anche llllllllltragedie; tuttavia, fu probabilmente una persona conscia della propria condizione privilegiata, conscia di quali che lllllllllfossero i limiti delle classi sociali e dei valori che la società spagnola dell’epoca imponeva > non a caso, ne El caballero lllllllllde Olmedo si parla proprio del delitto d’onore (Donr Rodrigo uccide don Alonso, ritenuto responsabile dei suoi lllllllllinsuccessi e della sua umiliazione pubblica). l– El Viejo: representación del personaje prudente. La capacidad innata de elaborar la materia teatral: la métrica Otro elemento fundamental del teatro de Lope de Vega es la perfección de la métrica. El trabajo de Lope sobre la metrica fue aquel de crear a través de la métrica sobre el metro una enfasis que se traducirá en emoción. Gracias a su talento innato, Lope es capaz de utilizar la metrica a la perfección y es capaz de crear diálogos que nunca desentonan: siempre son diálogos que se corresponden con el principio de verosimilitud y que escenifican de manera perfecta la relaciones entre los personajes. Es cierto que tenía un don estético, tanto que se le conocía como a un hombre capaz de hablar en verso en cualquier momento y sobre cualquier tema. A esto se añade una inmensa imaginación y una prolífica actividad poética. En sus obras es posible encontrar siempre una variedad de versos muy amplia, siempre adecuada al estatus social y a la clase del personaje, así como de la atmósfera de la escena; este punto (adecuar el metro y las palabras a la clase social de los personajes) es uno de los puntos e fondamentales del arte nueva de hacer comedia de este tiempo. A este propósito, en la preceptiva de 1609 enumera varios tipos de verso y especifica cuándo es más oportuno utilizarlos, porque cada uno de estos versos – debido a la metrica, al ritmo que tiene y a la rima – sirve para propósitos diferentes. Entonces, en El arte nuevo de hacer comedias López identifica varios versos: • romance: narración de hechos que no suceden en escena y que cuenta el personaje; • octava: hechos solemnes; 6 • décima: en disertaciones (frecuente en boca de los graciosos); • soneto: en situaciones de soledad; • lira: en diálogos apasionados o en momentos melancólicos; • terceto: hechos solemnes o reflexiones serias; • redondilla: diálogos de tipo amoroso. * La décima es un metro extramsamente ridmado; entonces, la encontramos frecuentemente en boca a personajes de llllclase social baja. Todo esto no viene de una decisión subjetiva, sino de cómo el verso suena según el ritmo que da a las palabras, según el ritmo que exige que las palabras mantengan para poder estar en los versos. La capacidad innata de elaborar la materia teatral de Lope, en perspectiva Si miramos en peropsectiva su capacidad innata de manejar la materia poetica, podemos decir que, a lo largo de su trayectoria literaria, Lope fue capaz de cambiar y evolucionar en un proceso continuo: el estilo y las técnicas de Lope han mejorado, tanto desde el punto de vista de su escritura como desde el punto del desarrollo del argumento. En las últimas obras que escribe en su periodo de senectud, cuando siente que ya no es el auctor de referimiento y que los jóvenes están tomando espacio, se se percibe cómo Lope se orienta hacia un teatro de ideas, en el cual tanto la acción como la caracterización están determinadas por las exigencias del tema. En este teatro de ideas es importante la dimensión que le damos al público, pero también es importante la caracterización de los personajes y de la tematica. Su habilidad en el manejo de la materia teatral y el conocimiento de cómo animar al público y satisfacerlo hacen que su forma de hacer comedias (y más en general, su forma de hacer teatro) sean seguidas como una escuela*, que a partir de él se fue mejorando > ej. Calderón nace cuando ya Lope es bastante viejo, pero estudia el teatro de lope y lo escribe de una forma más cientifica (vd. La vida es sueño). * Es un ejemplo de esto la intriga secundaria: Lope la desarrolla hasta llegar a convertirla en un complemento significativo lllde la intriga principal. Lope fue entonces capaz de construir una escuela que fue desarrollando sus normas, sus principios, y los fue desarrollando sin que esos fueran limites que no se podían superar, más bien los ha ido desarrollando a partir de una idea de innovación continua. Las distintas tipologías de comedia que escribió Lope de Vega Lope de Vega escribió distintas tipologías de obras y sobre todo comedias de diversa indole. Es muy complicado clasificarlas y podríamos clasificarlas desde el punto de vista cronológico, temático, escritúral etc.; nosotros vamos a comentar las 4 grandes tipologías que caracterizan las comedias de Lope: ➤ Comedias de carácter histórico: Lope y sus coetáneos se inspiraban a la Historia y hacían que esta entrara en las representaciones de material dramático y en los corréales. De hecho, sabemos que el teatro del siglo XVII es una raíz de teatro que no nace de la nada: también Shakespeare escribe a partir de núcleos narrativos que ya habían existido, así como la hacían los clásicos; luego, la originalidad/peculiaridad es como cada autor adapta un núcleo a otro y como cada autor desarrolla el mismo nucleo. Entonces, Lope – como cada autor – utiliza la Historia como base para sus obras dramáticas, pero lo peculiar es que no utiliza todos los elementos de la Historia (o sea, los relatos que se insertan en el pasado compartido de un pueblo o una nación): de hecho, el autor no utiliza la Historia así como procede, sino alterando los sucesos a favor de lo que él pensaba fuera la verdad universal o poetica que había que darle al público. Esto implicaba cierta alteración de los pormenores históricos, porque creía que la verdad histórica o particular era inferior a la verdad universal o poética (a menudo estas modificaciones eran algo hecho de un modo muy consciente para sugerir cuestiones concretas de orden moral, filosófico o político). Entonces, sus comedias históricas no son representativas de un acontecimiento histórico, más bien son reformulaciones de un acontecimiento histórico en el cual los eventos a veces son alterados a favor de lo que el autor piensa que es una verdad universal o una verdad poética que es importante darle al público. En resumidas cuentas, Lope y sus contemporáneos con frecuencia modificaban detalles históricos, porque pensaban que era más útil modificarlos y dar resalto a otros valores universales que entraban en la comedia; desde este punto de vista, la Historia en el siglo XVII era una fuente, pero la verdad histórica es menos importante que la verdad universal o poética. Estas modificaciones, que vamos a encontrar en varias obras, sono importantes, porque denotan una forma de influir en ciertas temáticas que un autor decide mantener > las modificaciones eran hechos conscientes y los autores las ponían en marcha para subrayar aspectos que le interesaba aprofondir (y esos podían ser aspectos filosóficos, políticos etc.) ➤ Comedias a lo divino, comedias de santos: frecuentes en el siglo XVII, los dramaturgos las escribían sobre todo con un entiento de arrepentimiento/con una intención piadosa, ya que las consideraban un medio de instruir en la doctrina practica del cristianismo y con frecuencia también ciertas profundidades teológicas. Por eso, digamos que estas son comedias que ven el teatro como herramienta de instrucción: frente a una cantidad indescrivibile de población que todavía era analfabeta, los dramaturgos escriben teatro porque eso es un escenario desde el cual se pueden difundir conceptos e ideas. En particular, los corrales podían enseñar principios esenciales del cristianismo a algunos espectadores que no iban regularmente a la iglesia > de hecho, tenemos que recordar que el teatro es una de las tres fuerzas/de los tres espacios educativos de la epoca, junto a los cientistas públicos y al pulpito de la iglesia. En lo que concierne las representaciones, la costumbre y el decoro imponían una importante limitación en las comedias bíblicas, sobre todo en lo que concierne la temática > de hecho, las comedias del divino que se representaban en los corrales podían dramatizar solo el nacimiento y la infancia de Cristo, pero nunca la vida posterior (esta se daba solo en los actos sacramentales). En el siglo XVI-XVII era normal la …, es decir dandole un corte más relacionado con una interpretación espiritual. Sin embargo, el género por el cual Lope de Vega es conocido y apreciado sobre cualquier otro autor son sin duda: ➤ Las comedias de capa y espada: esas son las comedias en las que tenemos una dama, un caballero, una querella de amor. A partir de Lope, se conforman como un género que tiene normas definidas y también personajes que se configuran como arquetipos narrativos. El tema central de estas comedias solía ser el amor, al que se acompañaba la intriga y el enredo. Aunque el tema pareciera superficial, la verdad es que estas comedias eran también un pretesto para abordar cuestione morales, políticas y filosóficas y escondían verdaderas lecciones morales y críticas al comportamiento social. Estas comedias nos muestran un Lope en su versión más divertida, capaz de tratar de un modo hábil, ligero y a veces satírico las costumbres, los tabúes y los prejuicios de su propia clase social. Desde el punto de vista de la historia de teatro, podémos decir que las comedias de capa y espada son una variante de la tradición de la comedia que va de Plauto y Terencio hasta la comedia domestica; esta una variación de la comedia clásica que va luego desarrollándose en el tiempo, hasta llegar al siglo XVII y al a comedia de capa y espada. Entonces, son comedias que quieren retratar estos aspectos típicos de la …. ni tragedia ni drama, solo comedia y risa. Por esto, las de capa y espada tenían que ser comedias capaces de entretener y sobre todo en las cuales el ritmo era ágil como el choque de espadas durante un duello (entonces, un ritmo vibrante). Los temas tenían que ser conocidos al público, para que esto pudiera sentirse parte de la trama. A este propósito, el desarrollo del tema del honor y de la honra funciona como una prueba definitiva de las idiosincrasias que caracterizaban la sociedad de la época y eran también una ocasión para discutir los roles sociales impuestos por la sociedad de la epoca > el personaje femenino, por ejemplo, cobra especial importancia en Lope, que en parte critica los modelos de mujer que detesta (curiosas y prediganales) y en parte da espacio a mujeres valientes y que plantan cara a la sociedad de la época (esto tambien relacionado con lo que veníamos diciendo antes sobre quien era Lope, un personaje que vivía en una condición privilegiada y que pero era cosciente de eso). Este tipo de comedias, sobre todo gracias a Lope, se caracteriza por el uso de la comicidad incluso en sus tragedias; esa entra y es una parte fundamental del desarrollo de la comedia, y en esto el personaje del gracioso es fundamental. Sin embargo, tenemos que acordarnos que las comedias tienen sobre todo un fin práctico > por eso, durante las representaciones (que podían ser de varias horas), la comicidad significa también un momento de descanso emocional e intelectual o artistico por el público, que puede reír, sentirse más tranquilo y luego – después del momento comico – regresar al a discusión de temas más importantes. Es la incorporación de una perspectiva cómica a un tema desarrollado desde el punto de vista trágico. En resumidas cuentas, todas estas comedias, que podían parecer comedias extremadamente superficiales, son en realidad comedias en las cuales la ironía y la comicidad permiten ver a las cosas de una forma …, permiten enfocar en lo feo que persiste en la sociedad de la epoca o en las … que la caracterizan desde un punto de vista más directo. N.B. non si tratta di sarcasmo, ma corrisponde al “riderci su”! Las obras más famosas de Lope de Vega La mayoría de sus obras, Lope de Vega las escribió desde 1605 adelante. Entre las más famosas, tenemos que mencionar: • Peribáñez y el Comendador de Ocaña (1608): muy famosa, tiene algunos aspectos que se podían relacionar con El llllcaballero de Olmedo. El cuento es un conflicto entre un labrador y un Comendador por razones amorosas: el llllcomendador se enamora de Casilda, recién casada con Peribáñez, nombra a este caballero y lo envía a la guerra; al llllregreso, Peribáñez lo sorprende en su casa y luego defiende su honor. El comendador es un hombre que no sabe llllcontrolar sus deseos. llllHay una fuerte connotación y razonamiento de los roles sociales. • Fuenteovejuna (1612): dramatiza un suceso histórico recogido en la Crónica de las tres órdenes de Francisco Rades: llllel comendador de Fuenteovejuna comete toda clase de abusos contra sus vasallos; soberbio y lujurioso, humilla a los llllhombres y fuerza a las mujeres. Le agrada una campesina, Laurencia, prometida de Frondoso, y trata por todos los llllmedios de conseguirla. La sorprende en un campo, pero Frondoso utilizando la propia ballestra del comendador, lo llllobliga a dejarla ir. El argumento se organiza alrededor de dos núcleos, el de los acontecimientos que tienen lugar en la llllciudad y los que tienen lugar entre Frondoso y Laurencia, que representan los villanos oprimidos. • El castigo sin venganza (1631): obra tardía de Lope, tiene una historia particular porque se dice que se representó o lllluna sola vez y luego fue ritirada porque el tema no era un tema apropiado. Es una obra donde ya se nota un Lope más llllconsciente de un tipo de teatro diferente de aquel que se había acostumbrado a escribir y donde también es bastante llllevidente que la representación del tema de capa y espada se va más allà > tiene un tema más profundo, que es el tema llllde derecho a vengarse de alguien, pero tener la honra en todos los casos. llllLa obra es un drama de honor, inspirada en una novela de Bandello. Con esta obra Lope pone en escena dos tipos de llllconflicto: el amoroso, entre un marido y una mujer, y el familiar, entre un padre y un hijo. El núcleo de la historia es el llllamor incestuoso entre Federico y la mujer de su padre, Casandra; al descubrir la relación el duque de Ferrara, el padre llllde Federico, conocido por ser un mujeriego impenitente que se había casado por interés, decide castigar a su hijo y llllvengarse de su mujer con una artimaña basada en el engaño. De esta forma salva su honor, pero el público, que es el llllúnico que llega a conocer lo ha realmente ha pasado, lo puede juzgar por su cuenta. llllPeculiar es la presentación del duque como un personaje que tiene dos caras (vd. máscaras de carnaval): como él llllactúa de forma incorrecta en su vida privada, quiere que los otros actúen de forma correcta delante a él, pero no es llllcapaz de tratarlos de misma forma. llllAl final, el público es el unico a darse cuenta de lo que está pasando, pero asi Lope pone el público frente de un lllldilema social: ¿es justo lo que ha hecho el duca o no? No es. Federico y la madrazca, de hecho, se enamoran cuando lllltodavía no sabían ser el hijo y la mujer del duque. llllEntonces, eso es un ejemplo como una comedia de capa y espada puede llegar tener un fuerte … Una obra que merece un tratamiento a parte es La Dorotea (Madrid 1632). No es una verdadera obra de teatro, sino una 'acción en prosa'. Se compone de 5 actos al término de los cuales hay un coro que pone en verso una moraleja. La trama se compone de una multitud de incidentes y esto nos da la idea del espacio que Lope concedía a las supersticiones, sueños, presagios, predicciones astrológicas que regían el destino de las personas. Es una obra que tiene cierta influencia de La Celestina, sobre todo en el diálogo. La obra es la demostración del desengaño y es la puesta en escena de cómo el amor que se rige solo en los sueños alimentados por la literatura pueda ser trágico. Los desatinos del amor, el amor marcado por las estrellas, la imposición del fatum son todos elementos muy frecuentes en  Arte nuevo de comedias en este tiempo: estructura y temas PARTE PROLOGAL G Empecemos por la dedicatoria, dirigido a la academia de Madrid. En realidad, no sabemos de quien iba compuesta esa academia, pero podemos imaginar que la componían personajes eruditos y autores que se acercaban ás a la teoría clásica de la obra dramaturgica que al teatro de corral de comedias. Como ya dijimos la semana pasada, esa obra no se escribe al comienzo del teatro de corral, sino cuando eso ya es una realidad que trabaja desde hace varias décadas; es una obra que Lope escribe sobra una forma de texto que ya existe. Por lo tanto, el hecho de que sea dirigida a la academia de Madrid tiene con mucha probabilidad una vinculación con las personas que criticaban el teatro de corral , aunque no sabemos exactamente quiénes componían esta academia y quienes eran los destinatarios precisos de este poema. Entonces, como “adacemia” podemos pensar un conjunto de personas eruditas que tienen unas normas en común. [1] CAPTATIO BENEVOLENTIAE (vv. 1-48) En la primera parte del poema tenemos una captatio benevolentiae, en la cual Lope – con una umildad que es claramente una humildad destacada por una forma de querer parecer humilde – reintenta captar la benevolencia del público y, en particular a taves del uso retórico de ciertas citas, dar a conocer al lector cuál es su formación literaria. Entonces, dice: Mándanme, ingenios nobles, flor de España, (que en esta junta y academia insigne en breve tiempo excederéis no sólo a las de Italia, que, envidiando a Grecia, ilustró Cicerón del mismo nombre,2 5 junto al Averno lago, si no a Atenas, adonde en su platónico Liceo se vio tan alta junta de filósofos) que un arte de comedias os escriba, que al estilo del vulgo se reciba. 10 2 Villa de Cicerón en Campania, cercana al lago Averno; allí es cribió las Questiones Academicae, de ahí el «ilustró del mismo nombre». Este es el proposito: me mandan escribir un arte de comedias que se diriga al vulgo. Por lo tanto, podemos imaginar que este texto Lope lo escribiera para contestar a alguien que criticaba el teatro de corral o que exigía que también el teatro de corral tuviera unas normas estrictas de referencia, porque hasta cuando no las hubiese tenido no pudiera ser reconocido como verdadero arte dramático. Entonces, en estos breves versos que hemos leído, Lópe cita a Ciceron pero también a la tradición de teatro griego y del italiano de Renacimiento > por lo tanto, ya tenemos tres referencias cultas. Fácil parece este sujeto, y fácil fuera para cualquiera de vosotros, que ha escrito menos de ellas, y más sabe del arte de escribirlas, y de todo; Aquí es muy irónico, porque lo que dice Lope es que parece ser un sujeto facil y que sería muy fácil para qualcuier de los componentes de esta academia, que han escribio menos comedias de las que escribió él y que pero saben más de teatro de lo que sabe él (es irónico: les está tomando el pelo). que lo que a mí me daña en esta parte 15 es haberlas escrito sin el arte. No porque yo ignorase los preceptos, gracias a Dios, que ya, tirón gramático,3 pasé los libros que trataban de esto antes que hubiese visto al sol diez veces 20 discurrir desde el Aries a los Peces. 3 De MARCO TULIO TIRÓN, secretario de Cicerón, por antonomasia aprendiz de gramático, joven gramático. FORNER lo sabía ya muy bien al escribir: ¿A qué tirón la adulación no inquieta de la futura gloria premio vano que al obstinado estudio le sujeta? (BAE, Poetas del siglo XVIII, 2, pág. 304.) “Seréis más buenos vosotros en escribir este texto, no porque yo no supiera la teoria del arte dramático” > aquí, en estos versos, tenemos una alusión astronómica para indicar que antes de los 10 años Lope ya se había leído toda la teoría literaria sobre el arte dramático (perífrasis astronómica para decir “10 años”). Entonces, Lope dice “no es porque yo ignorase los preceptos, porque ya los conocía todos antes de los 10 años”, más bien porque: Mas porque, en fin, hallé que las comedias estaban en España, en aquel tiempo, no como sus primeros inventores pensaron que en el mundo se escribieran, 25 mas como las trataron muchos bárbaros que enseñaron el vulgo a sus rudezas; y así, se introdujeron de tal modo que, quien con arte agora las escribe, muere sin fama y galardón, que puede, 30 entre los que carecen de su lumbre, más que razón y fuerza, la costumbre. Aqui dice que él no es que no sabe escribir versos porque no conoce la teoria literaria: esprime comedias para le vulgo porque … que las comedias en España las habían escrito autores que no habían seguido algún tipo de norma y que habían bajado el nivel …. Curando en el v. 27 dice que “quien con arte agora las escribe”, Lope alude a aquellas obras dramáticas que a lo largo del siglo XVI todavía no tenían la misma fuerza dramática que adquirió la comedia a finales de siglo. Entonces, aquí Lope está aludendo a los primeros dramaturgos españoles, que no tenían una sabiduría y una … que les perimtiera escribir buenas obras de teatro y que establecieron una tradición por la cual ahora quien escribe con talento “muore sin fama y galardón”. Entonces, se estableció una tradition con la que el público se ha acostumbrado a una forma sin calidad y por la cual quién escribe con calidad no tiene recontecimiento. “Lumbre” = talento. Verdad es que yo he escrito algunas veces siguiendo el arte que conocen pocos, mas luego que salir por otra parte 35 veo los monstruos, de apariencia llenos, adonde acude el vulgo y las mujeres que este triste ejercicio canonizan, a aquel hábito bárbaro me vuelvo; Aquí, Lope dice: verdad es que yo he escrito a veces sigueindo las normas clásicas del teatro, pero (“mas” sin tilde es sinonimo de “pero” en español) – como veo que el vulgo acude a ver obras llenas de monstruos y apariencias (y aquí se esta refiriendo a las puestas en escenas, a las representaciones que se basaban solo sobre el espectáculo de la puesta en escena y no tenían ni trama ni argumento) – me vuelvo (mi rivolgo) a aquel hábito bárbaro. y, cuando he de escribir una comedia, 40 encierro los preceptos con seis llaves; saco a Terencio y Plauto de mi estudio, para que no me den voces (que suele dar gritos la verdad en libros mudos), y escribo por el arte que inventaron 45 los que el vulgar aplauso pretendieron, porque, como las paga el vulgo, es justo hablarle en necio para darle gusto. Y, cuando quiero escribir una comedia, “chiudo i precetti a chiave con sei mandate; butto fuori Terenzio e Plauto perchè non mi parlino, perchè la verità è solita urlare da libri muti. Scrivo per l’arte che hanno inventato coloro i quali hanno ricercato l’applauso del volgo, perché per il volgo è giusto parlare la sua lingua per dargli piacere”. Aquí, Lópe afirma que se aleja de manera voluntaria de la clasicidad, para que el público llegue a comprender la obra, para que pueda entender lo que está viendo. Entonces, aquí hay que pensar que para Lope la obra no es solo un momento de diversión, sino también un momento de educación: un momento a través del cual permitirle al público reflexionar sobre temas morales, políticos y sociales que iban dentro de las comedias. Cfr. Il corral de comedias: sotto alla superficialità che sembra predominare las comedias de capa y espada, in realtà ci sono lllllllltemi che hanno a vedere con critica morale dell’epoca in cui vengono rappresentate le opere > critica tanto sociale llllllllquanto morale/politica dell’epoca in cui l’opera era messa in scena. El v. 48 es un verso que establece una relación conflictiva de la obra del teatro con el publico, pero aquí – utilizando estas palabras para decir la forma con la cual el autor escribe sus comedias – Lope se está adelantando a sus detractores y entonces está diciendo que él escribe de una forma diferente de la que establece el clasicismo porque quiere dar gusto, quiere ir hacia los gustos del público. [2] DEMONSTRACIÓN DE ERUDICIÓN (vv. 49-127) Aqui empieza un discurso muy importante, que es en relación con la idea de verosimilitud: Ya tiene la comedia verdadera su fin propuesto, como todo género. 50 de poema o poesis, y éste ha sido imitar las acciones de los hombres y pintar de aquel siglo las costumbres. La comedia ya tiene su finalidad y la tiene como todo género de poema o poesia: el hecho de que …. y establece un canon para que la comedia sea vista como un género no menor de los demás. “Imitar” y “pintar” = dos acciones visuales con las cuales puedo hacer que algo se refleje en otra cosa: cuándo imito estoy representando algo y cuando pinto esto representando algo sobre un papel. También cualquiera imitación poética se hace de tres cosas, que son plática, 55 verso dulce, armonía, o sea la música, que en esto fue común con la tragedia, sólo diferenciándola en que trata las acciones humildes y plebeyas, y la tragedia, las reales y altas. 60 ¡Mirad si hay en las nuestras pocas faltas! Aqui establece un primer elemento de defensa de la comedia: quiere decir que la comedia tiene la misma finaldad que la tragedia; la diferencia es que la comedia trata de hechos, motivos que tienen que ver con las acciones humildes y plebeyas, mientras que la tragedia trata de acciones reales y altas. Questo a partire dal fatto che chiama “genere” la commedia, dandole quindi una dignità letteraria, e stabilendo poi che essa ha lo stesso fine della tragedia, ma un soggetto differente. Sigue con el discurso, pero nosotros vamos directamente al v. 111. Del v. 60 al v. 111 la obra va estableciendo una serie de similitudes entre comedia y tragedia. Va diciendo como se desarrolla la tragedia, por ejemplo, y al v, 111 dice: Por argumento la tragedia tiene la historia, y la comedia, el fingimiento; por eso fue llamada planipedia12 del argumento humilde, pues la hacía sin coturno y teatro el recitante. 115 Hubo comedias palïatas, mimos, togatas, atelanas, tabernarias,13 que también eran, como agora, varias. Con ática elegancia los de Atenas reprehendían vicios y costumbres 120 con las comedias, y a los dos autores del verso y de la acción daban sus premios. Por eso Tulio las llamaba espejo de las costumbres y una viva imagen de la verdad, altísimo atributo, 125 en que corren parejas con la historia. ¡Mirad si es digna de corona y gloria! 12 Planipedia, del latín planipedius, bajo, humilde. 13 Paliara: de pallium, manto griego, que llevaban los actores; se opone a la togata, de la toga romana; atelana, de la ciudad de Atella, origen de una comedia popular semejante a la que fue luego la commedia dell’arte. Aquí empieza un preámbulo que le sirve a López Lara llegar as la parte mas preceptiva del poema. Y sigue: [3] JUSTIFICACIÓN Y ENLACE ANAFÓRICO (vv. 127-146) Pero ya me parece estáis diciendo que es traducir los libros y cansaros pintaros esta máquina confusa. 130 Creed que ha sido fuerza que os trujese a la memoria algunas cosas de éstas, porque veáis que me pedís que escriba Arte de hacer comedias en España, donde cuanto se escribe es contra el arte; 135 y que decir cómo serán agora contra el antiguo, y qué en razón se funda, es pedir parecer a mi experiencia, no [al] arte, porque el arte verdad dice,14 que el ignorante vulgo contradice. 140 Si pedís arte, yo os suplico, ingenios, que leáis al doctísimo utinense Robortelio, y veréis sobre Aristóteles, y, aparte en lo que escribe De Comedia,15 cuanto por muchos libros hay difuso, 145 que todo lo de agora está confuso. 14 1609: no el arte. 15 Pongo con mayúsculas y en cursiva De Comedia, pues se refiere, al parecer, concretamente al tratado de Robortello de este título, fuente principal de Lope (V. Parte general, 1. El texto). En este preámbulo que va del v. 11 al v. 146 mas o menos, Lope establece nuevamente un paralelo entre la tragedia, la historia y la comedia y dice que el argumento de la tragedia es la historia y que a lo largo Aquí tenemos la explicación del esquema de la intriga en la comedia nueva: tenemos tres actos, en los cuales asistimos a: • la presentación del tema, que suele cubrir el primer acto y parte de segundo; • la presentación del mundo, que suele cubrir el segundo acto y un trocito del tercero; • el final (tercer acto). Lope dice que hay que hacer entender desde el principio al público cuál es el … de la obra, pero no hay que hacerle entender cual es el final (si lo entiende, el público pierde interés hacia la obra). Y sigue: [d)] Cortes a la estructura. Quede muy pocas veces el teatro 240 sin persona que hable, porque el vulgo en aquellas distancias se inquïeta y gran rato la fábula se alarga, que, fuera de ser esto un grande vicio, aumenta mayor gracia y artificio. 245 Aqui, Lope està haciendo referencia a la velocidad con la cual tiene que desarrollarse la escena. Cuando hemos hablado del teatro de la comedia nueva, hemos dicho que era un teatro muy rapido, porque tiene que mantener la abstención de público; y uno de los preceptos de Lope es que la escena nunca se lleve vacía, que no hayan demasiados momentos de relajamientos. El relajamiento se ve cuando lo cómico es puesto en escena > en el Caballero de Olmedo, por ejemplo, tenemos alternancia de cómico y tragico: durante los momentos cómicos, el público se relaja, pero después hay que retomar muy pronto el tragico. [B] ELOCUCIÓN [4] LENGUAJE (vv. 246-297) Lo ultimo que tenemos que destacar se encuentra en el v.246 y tiene que ver con el lenguaje: [a)] Lenguaje y situación. Comience, pues, y con lenguaje casto no gaste pensamientos ni conceptos en las cosas domésticas, que sólo ha de imitar de dos o tres la plática; mas cuando la persona que introduce 250 persüade, aconseja o disüade, allí ha de haber sentencias y conceptos, porque se imita la verdad sin duda, pues habla un hombre en diferente estilo del que tiene vulgar, cuando aconseja, 255 persüade o aparta alguna cosa. Dionos ejemplo Arístides retórico, porque quiere que el cómico lenguaje sea puro, claro, fácil, y aun añade que se tome del uso de la gente, 260 haciendo diferencia al que es político, porque serán entonces las dicciones espléndidas, sonoras y adornadas. [b)] El cultismo. No traya la escritura, ni el lenguaje ofenda con vocablos exquisitos, 265 porque, si ha de imitar a los que hablan, no ha de ser por pancayas, por metauros, hipogrifos, semones y centauros. [c)] Lenguaje y personaje. Si hablare el rey, imite cuanto pueda la gravedad real; si el viejo hablare, 270 procure una modestia sentenciosa; describa los amantes con afectos que muevan con extremo a quien escucha; los soliloquios pinte de manera que se transforme todo el recitante, 275 y, con mudarse a sí, mude al oyente; pregúntese y respóndase a sí mismo, y, si formare quejas, siempre guarde el debido decoro a las mujeres. Aqui, básicamente lo que dice Lope es que cada personaje tiene que hablar por su propria clase social, como hablaría en la realidad dentro de su clase social. Entonces, afirma que el lenguaje de la obra tiene que imitar el lenguaje de la realidad. Habla también del decoro, que tiene que relacionarse con el lenguaje > el decoro no en el sentido que tenga que ser un lenguaje puro y sin palabrotas, sino en el sentido de verosimilitud: tiene que ser un lenguaje que entra el la escena del teatro como si estuviéramos en la calle. Lope da indicaciones también sobre como teiene que vestirse los actores > [( )] (Paréntesis sobre el disfraz de varón.) Las damas no desdigan de su nombre, 280 y, si mudaren traje, sea de modo que pueda perdonarse, porque suele el disfraz varonil agradar mucho. Por ejemplo, las mujeres que tienen que vestirse de hombre tendrán que hacerlo, per con económia porque no se necesita: de hecho, el teatro de la comedia nasce junto con las compañías de actores profesionales y por lo tanto es un teatro en el cual cada actor puede interpretar un solo rol. Esto nos hace entender que, cuando Lope escribió esta obra, ya existía todo un conjunto de personas que conformaban el teatro que permitía una puesta en escena más profesional. [sigue c)] [Guárdese de] imposibles, porque es máxima que sólo ha de imitar lo verisímil; 285 el lacayo no trate cosas altas ni diga los conceptos que hemos visto en algunas comedias extranjeras; y de ninguna suerte la figura se contradiga en lo que tiene dicho, 290 quiero decir, se olvide, como en Sófocles se reprehende, no acordarse Edipo del haber muerto por su mano a Layo. [d)] El remate de las escenas. Remátense las scenas con sentencia, con donaire, con versos elegantes, 295 de suerte que, al entrarse el que recita, no deje con disgusto el auditorio. Al v. 295 abbiamo dei riferimenti alla struttura. V. 305 altri riferimenti al linguaggio, al verso e allo stile. Al v. 324 il tema Al v. 339 il verso. 9. EL CABALLERO DE OLMEDO El Caballero de Olmedo es una de las obras más famosas de Lope, seguramente una de las más conocidas. La raíz de la obra es la leyenda del Caballero de Olmedo, que se relaciona con un hecho histórico real: la muerte de don Juan de Vivero, Caballero de Olmedo, a mano de su vecino Miguel Ruiz en noviembre de 1521 en el camino real De la Villa de Medina a la de Olmedo. El hecho histórico se corresponde con uno de los núcleos narrativos de la obra de Lope de Vega. La fecha de redacción de la obra es incierta, algunos críticos indican que pudo escribirse entre 1620 y 1625. Lo que si sabemos y es cierto es que el tipo de verso utilizado y el estilo coinciden con esa época de escritura lopesca. El Caballero de Olmedo se imprime por primera vez en 1641, en el volumen Venticuatro parte perfeta de las comedias del Fénix de España, en Zaragoza. Eso nos prueba de nuevo como lo importante durante el siglo XVII no era imprimir la obra, más bien darla a los escenarios: por eso, El Caballero de Olmedo fue una de las obras mas exitosas de Lope de Vega y sin embargo se imprimió solo en 1641, en el tomo 24 de las obras de Lope de Vega*. * Esas se publicaron en 25 volúmenes, de los cuales Lope y su … curaron los tomos que van del… al… Argumento El argumento de la obra es un amor correspondido entre don Alonso y doña Inés que moelsta a un enamorado de doña Ines, don Rodrigo, que se ve rechazado. Don Alonso es un caballero según la definición de caballero que conoscemos a partir de la Edad Media: es un hombre honrado, valiente, atento, que se enamora de doña Inés viendola en el mercado y es correspondido desde el comienzo de la obra. Este elemento es extremadamente importante, poruqe el amor entre don Alonso y doña Ines es un amor desdichado por don Rodrigo, que no … Don Rodrigo es el prototipo del criminal, amante rechazado, que, molestado por el amor que siente, decide matar al rival. Veamos ora el desarrollo de la obra: ➤ Acto I: Es una especie de "introducción" al drama en el que se cuenta el enamoramiento de Inés y Alonso. Se presentan llllllos personajes y la situación en la que se encuentran. Aparecen también dos personajes fundamentales: Fabia es el lllllpersonaje de la alcahueta*; ella "resolverá" la cuestión entre los dos enamorados. Su intervención, como en la Celestina, lllllpuede dar al lector la idea de que algo malo va a pasar. Tello, en cambio, es el sirviente/criado de don Alonso. * alcahueta = personaje que se relaciona con una vieja bruja que funcionaba como arreglador. En el caso especifico de esta obra, Fabia tiene una relación fundamental con otro personaje importante de la literatura de la Edad Media y de la literatura española en general, que es la Celestina.  La Celestina es el personaje principal o protagonista de la obra archifamosa que se titula La Celestina, escrita por Fernando de Rojas a finales del siglo XV; una obra que es una primer intenty de novela dialogada o obra de teatro, que sin embargo es casi imposible representar. La importancia de La Celestina va más allá de la forma y estructura que el autor eligió para el material literario: se trata de una obra que rompe los esquemas de las obras medievales y empieza a elaborar una visión y perspectiva que es ya una perspectiva más renacimental y moderna. El personaje de la Celestina dentro de La Celestina es una alcahueza que ayuda los enamorados Calisto y Melibea a completar su amor; en lo especifico, ayuda sobre todo Calisto, que pide su intervención para convencer a Melibea de que él es su amor. Y ¿cómo convence Celestina a Melibea? Dandole un conjuro (incantesimo) > con artes de magia, convince Melibea de que Calisto es su grande amor. Sin embargo, todo eso lleva a tragedia: Calisto muere y Melibea se suicida. En El Caballero de Olmedo, Fabia es alcahueta que recuerda a La Celestina, pero no tiene el mismo … literario: es simplemente un personaje que auyda a don Alonso porque él es forastero en Medina y necesita un apoyo para contactar esa chica que vió en el mercado y de la cual se enamoró. La intervención de Fabia, como en La Celestina, puede hacer pensar que algo malo va a pasar y de hecho – casi seguramente – Lope utiliza este epersonaje para relacionarlo con la idea de la alcahueta que lleva a una tragedia, pero realmente no es Fabia el motor de la tragedia (vs. La Celestina: allí es La Celestina el motor de la tragedia!). Lope usa cioè la fama di un personaggio per fare in modo che il personaggio di Fabia, che condivide con la Celestina lo stesso mestiere, richiami una eco di ciò che era la Celstina di Fernando de Rojas; tuttavia, in realtà Fabia non ha la stessa funzione all’interno dell’economia dell’opera di quella che aveva la Celstina: è semplicemente una tuttofare, una sistema-cose, una persona che si interessa dei fatti degli altri per risucire a trovare una soluzione che possibilmente le porti un guadagno. ➤ Entre el Acto I y el Acto II: don Rodrigo se da cuenta de que doña Inés no queire casarse con él: para no casarlo, ella llllldecide fingir que tiene una vocación y quiere entrar en un monasterio. Don Rodrigo, entonces, decide vengarse de don lllllAlonso: de hecho, cuando lo ve una noche delante de la ventana de doña Inés y ve que los dos se miran comprende lllllque Inés no está enamorada de él, sino de otro hombre. ➤ Acto II: Don Rodrigo declara sus planes de venganza, mientas que Alonso expresa su amor por Inés y recibe su amor. lllllEl amor entre los dos es un tipo de amor cortes, que se relaciona a un servicio de amor en el cual el amante muere de lllllamor para su amada (y este morirse de amor es una alusion al destion trágico que caraterizara el final de la obra y la lllllmuerte de don Rodrigo). De hecho, también las frecuentes alusiones a la muerte (de amor) son un presagio de lo que lllllva a ser su fin (v. 1351, don Alonso es indicado por primera vez como "aquel de Olmedo"; v. 1748 y ss. Alonso relata a lllllTello la pesadilla que tuvo). ➤ Acto III: Sigue al pie de la letra el baile medieval que se había difundido después de los acontecimientos históricos de lllll1521 y que por lo tanto circulaba anteriormente a la salida de esta obra. Inés y Alonso deciden casarse y encuentran el lllllparecer desfavorecido del padre de ella, que en principio quiere que su hija se case con don Rodrigo; este se ve … en lllllfrente de don Alonso en una festa en honor del rey que pasa por Medina y decide matarlo. lllllAlonso se diolcuenta de los malos presagios pero sigue adelante hacia Olmedo. Encuentra varias figuras que lo advierten llllldel peligro (una Sombra,lun labrador) pero sigue caminando. Tiene temor de que los presagios sean para él, pero sigue llllladelante con valentía porque es un caballero, hasta que encuentra Don Rodrigo y don Fernando. Los dos lo matan. lllllTello, al que don Alonso dice quien le ha disparado antes de morirse, lo "vengará" denunciando el suceso y pidiéndole lllllal Rey que haga justicia; el Rey condenará don Rodrigo y don Fernando a muerte en el escenario. lllllDespués de la muerte de Alonso, Inés se encerrará en un monasterio, esta vez por la frustración de haberse quedada lllllsin su enamorado. Las fuentes históricas y literarias: panorama general Las fuentes de El Caballero de Olmedo son tanto históricas como literarias. ➤ Las fuentes históricas Por lo que se refiere a las fuentes históricas, la fuente histórica es la leyenda del Caballero de Olmedo, en la cual se narra la historia de la muerte de Juan de Vivero por mano de Miguel Ruiz . Casado con doña Beatriz de Guzmán, don Juan de Vivero era caballero De Santiago (lo que significa que pertenecía a cierte tipo de nobleza corporativa) y se había distinguido en la toma de Tordesillas y en Villalar, al servicio de Carlos V. Al momento de su muerte había acabado de ser elegido regidor de Olmedo, pero finalmente es asesinado por Miguel Ruiz por motivos varios, debido tanto a su éxito como a su posición. Tras el acontecimiento luctuoso, las leyendas lugareñas sobre el Caballero crecieron hasta la frontera del prodigio y permanecieron en la memoria popular. Hay que descartar la posibilidad de que Lope tuviera información históricamente fidedigna sobre el suceso de 1521 o que conociera la identidad real del "Caballero de Olmedo", porque en otros casos similares – cuando Lope conoce un texto histórico – lo sigue al pie de la letra; en El Caballero de Olmedo, en cambio, hay una parte que es ficcional. A este propósito, hay que destacar que aunque haya correspondencia entre los nombres de los protagonistas de la tragicomedia y los nombres de los antepasados de Vivero esta es totalmente casual: Alonso y Inés son nombres que pertenecen a la tradición … y además son nombres muy usuales en la obra de Lope, quien los emplea para más de una pareja de sus comedias. Por lo tanto, podremos decir casi seguramente que Lope nunca había tenido acceso a los documentos históricos relacionados con la muerte de Juan de Riveira. En cambio, sí había tenido acceso al baile teatral, al melodrama anónimo y a la seguidilla. La fuente primaria de la obra de Lope es el baile teatral sobre el Caballero de Olmedo que empezó a difundirse en 1604 (la versión en su estadio más avanzado de evolución); según Francisco Rico (famosísimo crítico español), todas las viñetas y las pinceladas menores del baile tienen equivalente exacto en la tragicomedia y la mayoría de las reminiscencias del baile se concentran en la jornada tercera (Acto III) de la obra de Lope. De hecho, la jornada tercera sigue el baile punto por punto, salvo en las escenas que Lope intercala para trenzar los hilos de la trama que por su propia cuenta había desplegado en los dos actos anteriores. El Caballero de Lope de Vega / De la leyenda a la obra La tradición literaria del Caballero inspira al autor de comedia (Lope) y le proporciona un pretexto para organizar una refundación de un hecho histórico en una tragicomedia de corral. Lope reorganiza los elementos dramáticos que ya existen en la tradición literaria para escribir una obra en la cual una intriga nueva (1-Il jornadas) introduce hechos que narraba también el baile teatral sobre el Caballero de Olmedo (III jornada). En este sentido, la reducción de la leyenda a una seguidilla que todos conocen y que ha sobrevivido al pasar de los años proporciona a Lope un paradigma lírico que le permite pensar en un desarrollo de esta seguidilla con imágenes en el Acto I y en el Acto II , mientras que la representación del baile le proporcionaba al poeta una invitación a ampliar la trama en el Acto III. Entonces, a través de la copla el público puede "entrar" en la obra: el público reconoce la copla, maneja la copla y sabe lo que va a pasar > por ej. cuando don Alonso es llamado “aquel de Olmedo”, el público sabe que el en cierto momento va a morir, porque el público conoce el sentido de la copla y sabe que esa sirve como amonedación de lo que será el destino del protagonista. Su función viene a ser la de un coro que acompaña los acontecimientos representados en el escenario. En el desenlace, al mencionar la pervivencia de don Alonso "en lenguas de la fama" Lope alaba al público y le rinde homenaje. Todo eso sirve porque, según los dictámenes del propio Lope en el Arte nuevo, el éxito de la tragicomedia era en parte debido al texto y en parte a la participación del público, quien estaba dispuesto a ver la obra a la luz de la tradición y a detectar cómo la vieja leyenda se cifraba en la nueva versión del Caballero de Olmedo. El caballero de Lope de Vega / El amor y la muerte  Los primeros dos elementos de los que vamos a tratar son el amor y la muerte. ➤ El amor El amor es el tema central de la obra y el motor de toda la accion, porque es per amor questo se mueven los personajes: por una parte, tenemos el amor puro y sincero de Alonso; por otra, tenemos los celos, la rabia y la posesión pálida de don Rodrigo, que representa el amor en capaz de amar. Además, el amor también abre la obra, es el primer tema que escucha el espectador: en el Acto I, don Alonso pronuncia un soliloquio en el cual habla ante todo del amor según las normas y los principios de la filosofía clásica. Más tarde, aparecerá en la obra otro tipo de amor, el amor cortés, en el que destacan dolor, separación y frustración; este amor cortés será representado una vez más por don Alonso (caballero amante que hace su servicio de amor) y por doña Inés (la amada idealizada que vive el amor cortés como servicio también).  En este caso, doña Inés y don Alonso se corresponden de forma mutua y esa es una primera infracción del amor cortes; sin embargo, su forma de amarse refleja el estilo y el lenguage del amor cortés > por ejemplo, doña Inés es describida en el texto por una representación física con todos los elementos que podemos encontrar en el Cancionero; don Alonso, de la misma forma, es un caballero honrado, valiente, siempre capaz de estar en la parte justa de los acontecimientos.  Los primeros 30 vv. de la obra están dedicados al amor y esto es un recurso tipico de Lope; el recurso no es hablar del amor al principio de la hobra, más bien empezar la obra con un discurso que parece que ya estaba siendo pronunciado*. * NB: la acción en Lope no se abre en medias res, pero se abre e una escena que parece que ya estaba desarrolandose. Aqui tenemos un primer soliloquio de don Alonso y después los dos personajes que aparecen son Tello y Fabia (Tello le pide a Fabia que lo ayude porque su … está enamorado de doña Inés). La referencia a los principios filosóficos del amor indica la constancia de Lope de escribir obras que fueran accesible, pero de contenido alto; entonces, el autor escribe de una forma fácil y accesible, pero deaarrolla un contenido alto, que no pertenece a la formación del vulgo (pero Lope lo proporciona lo mismo). Otro recurso frecuente en Lope es la anticipación del nucleo de la obra en las primeras escenas del Acto I; en este caso tenemos una condensación del nucleo de la obra en estos primeros 30 vv., porque lo primero que dice Alonso es:  ALONSO Amor, no te llame amor el que no te corresponde, pues que no hay materia adonde imprima forma el favor. Naturaleza, en rigor, 5 conservó tantas edades correspondiendo amistades; que no hay animal perfeto si no asiste a su conceto la unión de dos voluntades. 10 De los espíritus vivos de unos ojos procedió este amor, que me encendió con fuegos tan excesivos. No me miraron altivos, antes, con dulce mudanza, 15 me dieron tal confianza; que, con poca diferencia, pensando correspondencia, engendra amor esperanza. 20 Ojos, si ha quedado en vos de la vista el mismo efeto, amor vivirá perfeto, pues engendrado de dos; pero si tú, ciego dios, 25 diversas flechas tomaste, no te alabes que alcanzaste la vitoria, que perdiste, si de mí solo naciste, pues imperfeto quedaste. 30 vv. 1-2: (“se non sono corrisposto, non posso chiamarti amore”) refleja la actidud de don Rodrigo, que en cierto momento de la obra dice que no está correspondido por Inés, pero él la ama lo mismo.  vv. 3-4: esto es el principio escolastico de la forma que imprime la materia, o sea: no hay materia si no hay forma y, de la misma manera, no hay amor si no hay dos personas que se corresponden. vv. 5-7: “en rigor” = latinismo, lo podemos sostituir con un “realmente”. Aquí el tópico es el tópico de la amistad entre dos personas > entonces, otra vez es necesario que alguien te corresponda. vv. 8-10: en los primeros versos, Alonso destaca la importancia de ser 2 personas para decir que se ama; claramente, esa es una sugerencia a cuál será el motivo de la tragedia, o sea que alguien (don Rodrigo) quiera amar pero solo, sin que haya otra persona que lo corresponda. vv. 11-14: los “espirutus vivos”, en este caso, son los ojos. Aquí, nuevamente, las personas que recuerdan los cancioneros recuerdaran tambien que los ojos eran un elemento fundamental para trasmitir el amor: de hecho, la pasion y el amor de los amantes en los cancioneros no se podían transmitir por medio de acciones concretas, pero sí a travez de los ojos: de allí , la imagen de los ojos como “esipiritus vivos” capaces de dar una respuesta. A partir del v. 12, está hablando a partir del momento en el que ve a doña Inés en el mercado.  vv. 14-20: “no me miraron activos (implicito: los ojos de doña Inés)”: aquí, don Alonso no sabe todavía que ella lo corresponde y es por eso que pide ayuda a Fabia, pero poco despues sabrá que ella lo corresponde > aquí se encierra todo el tema moral de la historia.  vv. 21-30: aquí esta hablando de un futuro amor con Inés y reitera la idea de que para encontrar una amor hay que ser dos. Eros tiene una benda en los ojos. Por lo tanto, estos primeros 30 versos son importantísimos.  ➤ La muerte La muerte es también otro tema preponderante en la obra. La encontramos desde muy pronto y es presente de forma continua en la copla, a través de las alusiones que Lope disemina en el texto por medio de presagios y alusiones a la muerte de amor > cfr. el servicio de amor de don Alonso, que dice que se muere por Inés y finalmente se va a morir por motivo de que alguien tiene celos de Inés. Todos esos son continuos presagios de una futura tragedia, y cuando en el verso 7408 …? La crítica ha discutido alrededor de la significación que podemos darle a la muerte de don Alonso, si podíamos vincularla a una forma de castigo por alguna falta suya o a una forma de destino inevitable; sin embargo, la idea de que don Alonso haya cumplido alguna falta no tiene sentido: a lo largo de toda la obra, Alonso es un caballero estimado y valiente, que no tiene mancha moral. Entonces, en El Caballero de Olmedo la muerte es la consecuencia de un destino fatal que pesa sobre Alonso, y al mismo tiempo es un recurso escénico y temático que acompaña (en paralelo) el amor como tema de la obra. En la escena, es la consecuencia de una conducta criminal, la de don Rodrigo (Acto III, don Rodrigo). Aquí tenemos una muestra de la actidud criminal de don Rodrigo, que en el v. 2645 les dice a don alonso: RODRIGO Yo vengo a matar, no vengo 2645 a desafios, que, entonces, te matara cuerpo a cuerpo. Tírale. Don Rodrigo rompe con todas las normas de caballeria y mata a don Alonso con un esparo; de esta manera, don Rodrigo se muestra por ser un vil: no lo desafia, sino lo mata con un esparo.  El Caballero de Lope de Vega: los personajes y la dualidad ➤ La dualidad En lo que concierne con la dualidad, se da sobre todo en la mixtura de comicidad y tragedia que caracteriza la obra; de hecho, toda la obra es muy equilibrada en la organización de partes cómicas y trágicas, tanto que al final el mismo autor – en uno de los versos finales – habla de “tragicomedia” (= obra que es en parte trágica y en parte cómica). Eso se vincula al hecho de que para Lope era fundamental que una obra dejara el espectador satisfecho también por la risa que le proporcionaba: según el autor, en las partes trágicas el público observa lo que está pasando y puede empezar a desarrollar un juicio proprio sobre la obras, mientras que en las partes cómicas el público se relaja, se divierte y luego está listo para seguir reflexionando. En este sentido, la tragedia apasiona el espectador, la comicidad lo divierte y lo deja satisfecho. ➤ Los personajes En lo que concierne a los personajes, todos (como es usual en Lope de Vega) tienen un perfil que encaja con un prototipo escénico/arquetípico: • Así los dos enamorados, don Alonso e Inés, son personajes que encajan con el prototipo del enamorado del amor lllcortés (el galán y la dama); don Rodrigo, en cambio, es el prototipo del criminal que, no pudiendo soportar la frustración llldel rechazo y del fracaso decide matar a don Alonso. • En lo que concierne a Fabia y Tello, también tienen los rasgos típicos de los personajes de Lope de Vega. lllFABIA tiene una connotación similar a la de la Celestina; pero en realidad sus poderes mágicos no son iguales a llllos de Celestina. En la obra se alude a ellos, pero más bien parecen un pretexto para crear tensión emotiva y delinear lllmejor la atmósfera funesta. lllEntre los literatos se discutió cual es la función de Fabia dentro de la obra y porque en la obra al final entre este personaje. lllLa respuesta que da el critico Arellano Ignacio es que, con mucha probabilidad, don Alonso se había visto obligado lllacudir los servicios de Fabia porque ella era una alcahueta; eso quería decir que ella tenía muchos contactos, y – lllsiendo don Alonso forastero – el necesitaba un trámite > por eso, su criado Tello (elemento del pueblo) encontra un llltramite de la forma más rapida, acudiendo a la alcahueta. lllSin embargo, desde el punto de vista narrativo el personaje de Fabia tiene en realidad una función: el halo (aura) de llltragedia que el personaje de la alcahueta se lleva en cima desde La Celestina y adelante hace que Fabia funcione, llldentro de la obra de El Caballero de Olmedo, como un presagio de tragedia. De hecho, aunque ella no tenga los mismos lllpoderes mágicos de la Celestina, ni participe del destino trágico de don Alonso (que es consecuencia de las acciones lllde otro personaje), si presencia contribuye a crear una atmósfera de presagio trágico y a hacer que todos los elementos lllque se relacionan con la copla sobre el Caballero de Olmedo y con la leyenda histórica se arrastren hasta llegar al llldesarrollo final. lllPor eso, digamos que el hecho que don Alonso recurra a Fabia no tiene que crear un paralelismo con lo que hace lllCalisto en La Celestina > Don Alonso acude a los servicios de Fabia por otras razones (ante todo, porque es un forastero llly no conoce a nadie y ella es la opción más fácil; en segundo lugar, no acude a ella porque necesita que ella le lll"proporcione" algo para hacer enamorar a Inés, porque Alonso e Inés ya se aman: simplemente, le sirve un trámite). lllTELLO es el prototipo del sirviente muy cercano a su amo; lo protege y su amo puede confiar en él. No falta el elemento maravilloso; el público de Lope admitía sin dificultad el elemento prodigioso en su visión del mundo, como perteneciente a un orden de cosas reales aunque extraordinarias y superiores. Ni autor ni público los rechazaban en la "farsa convenida" del teatro. En El Caballero de Olmedo el elemento maravilloso está representado por los personajes de la Sombra y del labrador que Alonso encuentra en su camino hacia Olmedo. En particular: • La Sombra le habla y le anuncia que se va a morir > le recuerda que hay un peligro;  estilísticos de su época (o sea del teatro de corral) y de todos los registros verbales vigentes, que maneja con gran habilidad (por ej. el de la caballería, de la nobleza, del pueblo etc.). Es un teatro más conceptual con respecto al de Lope de Vega. Con frecuencia, sus versos se sustentan en correlaciones, bimembraciones o diseminaciones recolectivas; eso quiere decir que los versos tienen una relación entre ellos, las palabras tienen una relación y se repiten porque significan algo (y por eso hemos dicho que el teatro de Calderón es un teatro más complejo).  Por ejemplo: en el primer monologo de Rosaura se habla de una caída del mondo, pero esa caída no es una simple caída, sino simboliza la caída del hombre; entonces, es una caída simbolica, algo que en Lope de Vega por ejemplo es menos usual (el suyo es un teatro mas directo). Desde este punto de vista, Calderón elabora la expresión verbal con la misma atención con la que elabora la estructura de sus obras, por lo tanto, nada es casual y todo tiene un peso. Esto se nota también en el lenguaje, frecuentemente dominado por el silogismo y las estructuras lingüísticas del razonamiento escolástico, y en los elementos líricos, que dejan de ser una añadidura y se vuelve partes indisociables de la acción y del escenario. Lo mismo sucede con la música. Temáticas Uno de las grandes características del teatro de Calderón es sin duda el tono trágico; con respecto a Lope, Calderón es un autor muy trágico: Lope escribe obras que permiten reflexionar, pero tambien divierten; en cambio, Calderón escribe obras que tienen un fuerte contenido filosófico y esto en parte refleja su propria actitud por la vida. Los hechos dramáticos que vive en su propria vida … el desengaño de la vida, que se pareja con la época histórica que vive: en el siglo XVII, España vive una condición de crisis permanente bajo varios puntos de vista; Calderón vive esta fase histórica que no da muchas esperanzas al individuo y también vive una vida determinada por hechos trágicos, cómo la muerte de su padre, su condición de desamparo emotivo y también economico (al principio della decada del 1602, i fratelli Calderón sono accusati di un crimine; devono dunque innanzitutto scappare per sfuggire al processo e vendere poi anche l’attività del padre; pertanto, Calderón ha vissuto un’epoca di desamparo emotivo y también económico, che con molta probabilità poi è stata anche una delle ragioni per cui ha iniziato a scrivere, e a farlo con tanta professionalità, le opere di teatro). Entonces, el tono tragico caracteriza le obras de Calderón, que inevitablemente lleva el lector a una reflexión interior. Algo que diferencia de manera particular el teatro de Calderón con respecto al teatro de sus antecesores es que el conflicto en Calderón es individual: ya estamos ante a un conflicto que no es colectivo, sino individual; es el yo que se enfrenta a una condición que no puede arreglar. Ignacio Avellano, que estudió con detalle todo el teatro del Siglo de Oro, resume las distintas opiniones de la crítica al respecto de lo tragico en las obras de Calderón. Aquí tenemos tres opiniones, que nos ayudan a dar una pista para comprender y enterpretar el contenido de La vida es sueño: • para Parker, los principios básicos que estructuran la tragedia de Calderón son: el concepto de responsabilidad difusa, que entra luego en contacto con la fatalidad del nexo causal de los acontecimientos. Cada error individual se mezcla a otros para construir una cadena trágica en la que los protagonistas con parcialmente responsables y quedan atrapados en la red colectiva de otras culpabilidades; En otras palabras, dse trata de una cadena continua de errores que atrapa el individuo dentro de una situación que no sabe como huir. Tenemos un ejemplo de eso en La vida es sueño, en como Segismundo es atrapado dentro de una vida que no le gusta, porque su padre ha decidido encerrarlo en el momento del nacimiento porque unos presagios astrológicos le habían dicho que su hijo causaría su perdida de poder. El encierro de Segismundo provoca que él no tenga educación y por lo tanto, cuando Sigismundo llega a palacio, se porta como un animal (porque no tiene educación) y las consecuencias son que hay un levantamiento contra del rey. Al final, el levantamiento se arregla y Sigismundo reconoce la autoridad del padre; sin embargo, el rey pierde su poder, porque el pueblo y Sigismundo ya no aproban ….?. • para Ruiz Ramón, en cambio, las tragedias se pueden dividir en dos tipologías: las que representan el conflicto libertad / destino y las tragedias de honor; las tragedias de honor las imaginamos un poquito más como las que vimos de Lope, mientras que las que representan el conflicto libertad /destino siempre son tragedias en las cuales el yo se encuentra entre un dilema moral y filosófico. • para Vitse, una de las constantes de la visión trágica es el fracaso de la instancia paterna, es decir, las carencias de aquellos que en la pieza desempeñan el papel de generación adulta: el padre es carente, no desempeña su papel y entonces no es capaz de dar lugar a un hijo que sepa como portarse en la sociedad. Podéis ver que el tono del teatro de Calderón es más filosófico, psicológico, y necesita de una atención más alta con respecto a la obra de corral de Lope de Vega y incluso con respecto a la obra de corral que se … según las normas del Arte nuevo. Entonces, tenemos un teatro que sigue todas las normas del Arte nuevo en la estructura y conformación de la obra, pero que aplica a esta obra contenidos psicológicos y … más altos;eso debido en primer lugar al hecho de que el publico que asistía a esta obra ya no era el público de corral, sino él de palacio > por eso, Calderón … Luego, las obras pasaban al público de corral. Respecto al treatro que lo precede, en Calderón individuamos: Respecto al teatro que lo precede, en Calderón individuamos algunos elementos que tenemos que recordar: • Respecto a la elaboración ideológica: hay una diferencia entre obras serias y cómicas; en las obras serias hay una mayor elaboración ideológica > por ejemplo, en La vida es sueño tenemos una profunda reflexión filosofica a la base de toda la obra; en El príncipe constante tenemos una profunda reflexión alrededor de la fe y alrededor de como llevar adelante la propria fe en un momento de crisis. En las obras cómicas, en cambio, tenemos una menor preponderancia de la ideologia y reflexión filosófica. Esto no se debe solo a una mera evolución cronológica, hay que examinar este cambio en relación a la tipología de teatro que Calderón cultiva en las distintas fases de su vida. • Respecto a la forma: destacamos un cambio en cómo Calderón trabaja el texto a lo largo de los años. En una primera fase, el autor sigue apegado a las técnicas de Lope, pero las va sometiendo a una depuración crítica; en particular, depura el modelo de Lope de todos los elementos que son demasiado relacionados con la improvisación y lossostituye con elementos que vienen de una reflexión formal, estética y dramática que se debe a sus estudios. Entonces, Calderón asimila los elementos fundamentales de la dramaturgia y los modela, rechaza o intensifica según sus exigencias. Adatta quindi il teatro che lo ha preceduto a nuovi tempi e tematiche, conservando cio che ritiene e mettendo da parte/sostituendo quel che invece ritiene vada modificato, che può essere tanto il come gestire il dialogo, ma anche come gestire la trama secondaria. Quest’ultima, per esempio, perde di importanza risp a Lope de Vega, divenendo quasi uno specchio della principale; allo stesso modo, il gracioso di Calderón ha le stesse funzioni del gracioso di Lope, ma ha meno contatti col padrone, si mantiene piu distante (c’è dunque una relazione meno forte tra amo y gracioso). • Respecto al conflicto: en Calderón se hace interior. Ya no estamos delante de conflictos que ven el enfrentamiento en la escena pública, sino asistimos a conflictos que interesan el hombre y su percepción del mundo. Calderón ya no discute elementos que tienen que ver con la sociedad de la epoca o rasgos de la sociedad de la época, ni critica, por ejemplo, la forma en la que los españoles tratan el tema de la honra; en sus obras, es el individuo en sí a tratar el tema de la honra, de la fe, del conflicto etc. Esto debería hacernos pensar en como la literatura va evolucionando a lo largo de las décadas y en como la literatura reelabora tópicos que son siempre los mismos para darnos nuevas formas de ver la realidad. De hecho, incluso los contemporáneos hablan de conflictos, pero ¿de que tipo de conflictos hablan? Calderón habla a un publico que tiene que reflexionar por su propria cruenta; eso nos quiere decir que sus obras no tengan reflejo en la sociedad española de su tiempo, pero seguramente eso tiene que ver con cómo el individuo viva determinadas circunstancias y no con cómo se portaba en determinadas circunstancias. El conflicto del protagonista de Calderón no sirve para expresar el sentimiento, sino para explicar la dialéctica interior del personaje, el debate tenso que se establece entre valores contrarios que él tiene que gobernar. • Respecto a la disposición de la trama: la acción secundaria se subordina de modo riguroso a la principal, ejerciendo funciones especulares o contrastivas, y cada escena responde a una coherencia perfectamente trabada. En este contexto es interesante destacar los cambios que interesan al gracioso. En Calderón el gracioso tiene menos relaciones con sus amos o con los protagonistas y éstas se complican. El gracioso adquiere múltiples facetas y una integración particular en las acciones serias, pero va siendo despojado de su capacidad risible. 10. LA VIDA ES SUEÑO La vida es sueño es la obra maestra de Calderón de la Barca y es una obra que el autor da a los escenarios en 1635. Entonces, es una de las primeras obras que marcan el paso de Calderón cómo gran autor dramático del Siglo de Oro, ya que la obra de Calderón de la Barca empieza a ser muy exiutosa a partir de los años 30 del siglo XVII. Consta de tres jornadas, en las cuales Calderón relata la historia de Sigismondo y Rosaura; los dos personajes comparten un mismo destino, es decir que ambos tienen que enfrentarse con una condición que le viene de una situación que no han querido ellos: ambos tienen que enfrentarse con un horror que han comitido sus padres. De hecho, Segismundo es un príncipe legítimo, que vive preso en una torre desde su nacimiento por el miedo que su padre tiene de los presagios astrológicos funestos que se le materializaron el día de su nacimiento; Rosaura, en cambio, es una princesa que tiene que demostrar su origen noble porque ha sido repudiada por su prometido, Astolfo. Desde este punto de vista, el error del padre de Sigismundo es que él lo ha encerrado en una torre porque las estrellas le han indicado que Sigismundo sería el motivo por el cual él habría perdido el poder; Rosaura, en cambio, tiene que enfrentarse con la codardia de su padre, que non la reconoce al momento de su nacimiento. En la obra nos encontramos frente a dos grupos de personas: verdugos y víctimas. Los conflictos dramáticos surgen del encuentro entre esos dos grupos: cuando Sigismundo se enfrenta con su padre, se cumple un conflicto dramático, el dramatismo se concreta y allí se establece el fulcro de la obra. Entonces, podemos decir que La vida es sueño es una obra profundamente psicológica, en la cual asistimos a una evolución psicológica e interior de parte de todos los personajes; el objetivo es hacernos pensar y reflexionar sobre cuanto el hombre puede modificar su proprio destino y también resistirse a eso. En la JORNADA PRIMERA (ESCENAS I-VIII) tenemos dos tipologías de escenas: las del grupo de la torre y las del grupo de palacio. Al principio, la primera escena se abre con Rosaura que camina por el monte y estamos en el grupo de escenas de la torre; en este grupo de escenas estamos en la naturaleza y allí se concreta el tema de vida según normas que no tienen relación directa con la racionalidad. La vida de Sigismundo es vista como la vida de un primer Adam, que ha vivido fuera de las normas sociales y no tiene consciencia de lo que existe fuera de su propria torre. Las escenas de palacio, en cambio, representan todo lo contrario: representan la convencionalidad que rige la vida de palacio y entonces representan la sociedad, con toda sus normas y principios; por lo tanto, las escenas de este segundo grupo están en contraposición con las del primero y no es un caso que encontramos esta contraposición en la primera jornata. En la JORNADA SEGUNDA (ESCENAS I-XIX) se relata la experiencia de Segismundo en el palacio. Aquí también pasamos de un momento de animalidad (cuando Sigidsmundo despierta en el palacio y, no sabiendo cómo portarse, se porta rompiendo todas las normas sociales) a una segunda parte de la jornada, en la cual Sigismundo reflexiona sobre su experiencia en el palacio . Después que le han dicho que su experiencia ha sido un sueño, Sigismundo reflexiona sobre el concepto de vida como sueño, es decir, algo que pasa tan rápidamente que no podemos darnos cuenta de lo que hemos vivido. En la JORNADA TERCERA (ESCENA I-XIV) asistimos al desenlace. El desenlace aquí es representado por el levantamiento del pueblo y, finalmente, por la evolución de Segismundo, que pasa dal estado animal al estado de hombre, reconocido cómo príncipe (es decir, pasa a un estado en el cual su verdadera origen es reconocida). Trama La obra empieza con Rosaura que viaja disfrazada de …. a Bologna, para demostrar que es de origen noble y así vengarse de Astolfo, que la rechaza para tener un origen humilde. Luego encontramos Segismundo, encerrado en una torre desde su nacimiento, que està hablando con … La historia luego se ve de esta forma: Sigismundo encuentra Rosaura y el encuentro con ella marca el primer momento en el cual el príncipe conoce otra persona > esto es claramente el contacto con el mundo que Sigismundo nunca ha tenido. Esa es la primera jornada, donde también se presentan los demás personajes. Entre estos, tenemos también: > Alfonso y Estrella (galan y dama) > el rey Basilio, que a lo largo de la primera jornada relata a Astolfo y Estrella que existe un príncipe legitimo de Bologna llllque esta encerrado en una torre. Luego tenemos una segunda jornada, en la cual Basilio hace que Segismundo sea … dormido para que este pueda dar prueba de su capacidad de saber gobernar claramente. Segismundo se despierta y al despertarse, no tenendo él una educación como príncipe, se porta muy mal y es un desastre (incluso, lanza por una ventana un eserviente y lástima al otra persona!). Por eso, Basilio lo encierra nuevamente en la torre y lo convince que lo que ha vivido al palacio solo era un sueño > de allí el título La vida es sueño. Segismundo, que no sabe que hacer, espera en la torre. En la tercera jornada, el pueblo se da cuenta de que hay un principe legitimo y … Esto supone la perdida de poder del rey Basilio y, finalmente, el reconocimiento de Segismundo como principe del reino de Bologna. Mientras tanto, Rosaura puede demonstrar que es hija de Clotaldo (que es el viejo su tiene imprigionado a Sigismundo) y por lo tanto vengarse de Alfonso, demostrando que tiene origen noble. Esto el desarrollo de la obra, que corresponde al desarrollo y crecimiento interior de ambos personajes. Primera jornada: escenas del grupo de la torre En la primera jornada, las escenas del gripo de la torre reúnen escenas muy ricas en reflexiones filosóficas y teológicas. En esta primera parte, el primer encuentro y aparición de los personajes los define para el resto de la obra; en particular, los personajes se presentan a través de monólogos que definen las características de su indole y también el mortivo por el cual están en el escenario y por el cual sufren (el motivo de su crisis espiritual). Rosaura se presenta cayendo de una montaña, el que recuerda del nacimiento del hombre en el pecado original; el alma es quien viene arrojada por un caballo: el caballo es el cuerpo humano y la parte sensitiva del alma con la cual de debato es la razón. De hecho, a lo largo de toda la obra teneos un constante contraste entre sentimiento y razón: Rosaura ….; sus sentimientos se enfrentan con la necesidad de racionalidad. Segismundo, por otra dramático está en gran parte ligado a experiencias y sorpresas expresadas con los verbos ver, oír y escuchar. Eso es bastante peculiar, porque supone una representación muy concreta de los pensamientos de los personajes: las palabras de los personajes tienen una relación con los conceptos filosóficos, pero estos se concretan en imágenes que son materiales, físicas > por ejemplo, la imagen de la caída de monte o la imagen que utiliza Segismundo para describirse como si fuera un animal de monte. Por lo tanto, los conceptos filosóficos se transponen al texto por medio de imágenes que son muy concretas y encierran un sentido filosófico que claramente el público que ve la obra tiene que desentrañar. El monólogo y el diálogo en La vida es sueño ➤ Los monólogos El monólogo es muy importante en La vida es sueño, porque permite a los personajes de presentarse y tomar forma delante del publico (o del lector); de hecho, las sustantividad de los caracteres se muestra en la atención que reclaman del auditorio y la prueba de esta atención son sus monólogos. • Los monólogos narrativos de Basilio y Rosaura resumen historias cuyo efecto se recoge en la comedia. Suprimen lllla acción para concentrar los hechos con verosimilitud, en un espacio y tiempo limitados. Este hecho se relaciona con la lllidea del monólogo como espacio en el cual encerrar historias comprimidas > Calderón lascia più spazio alla llldrammatizzazione della parola rispetto all’azione, mentre in El arte nuevo de hacer comedias si dice che non doveva lllesserci spazio per la tranquillità o la calma, che l’azione non doveva rompersi. • Sin embargo, los monólogos más importantes son los de Segismundo. Estos son las columnas que sustentan la llllcomedia. Hay 4 monólogos:  I, 2: contiene todas las preguntas de Segismundo sobre la situación que vive desde que tiene vida (se pregunta cuál es el motivo por el cual se encuentra encerrado);  II: última escena: Segismundo se da cuenta de que la vida es sueño, de que la vida pasa y no nos damos cuenta de lo que estamos vivendo. Es el más conocido entre los cuatros;  III, 10: Segismundo aprovecha de su sabiduría para comportarse horriblemente con Rosaura (intenta violarla);  III, 16: Segismundo enseña con autoridad y prudencia al "sabio" rey Basilio que ha cambiado y le demuestra tener la sabiduría t maduridad para poder gestionar/gobernar el reino. llllLos dos primeros monólogos están distribuidos a base de unos motivos (ave, bruto, pez, arroyo) que concretan en llllimágenes poéticas de la naturaleza los tres elementos agua, tierra, agua; al verse comparado con ellos, llllSegismundo se siente un fuego. En estos dos monólogos, entonces, predominan los elementos naturales y esto porque llllson monólogos en los cuales la naturaleza viene de la condición en que ha sido encerrado Segismundo; en los llllmonólogos posteriores, la razón y la prudencia ya entran a formar parte del ser de Segismundo y por lo tanto los llllelementos naturales dejan el paso a una argumentación que ya se define con conceptos. llllEn el tercer monólogo el único titubeo se da en el recuerdo y contraste de los dos extremos: pasión y ley. llllEl cuarto monólogo es un "acto de acusación" al rey Basilio por haber faltado a su deber de padre y de rey: llllSegismundo acusa a su padre de no haberlo educado, pero tsambiern lo perdona > aquí es la dimensión de la prudencia, llllde la sabiduría y de la capacidad de perdonar (fundamental dentro de la filosofía cristiana y dentro de la idea del perdón). ➤ El diálogo dramático Al contrario del monólogo, dentro de La vida es sueño el diálogo dramático apenas existe. Esto es un dado importante si lo relacionamos con la importancia del dialogo dentro de las comedias de Lope o, en general, de las comedias de corral; sin embargo, en Calderón el dialogo es un momento secundario: son los monólogos los momentos máslimportantes, en los que encontramos … En los diálogos que existen, la contribución de los hablantes se debe fundir en el resultado final. • Los diálogos amorosos: Segismundo/Rosaura, Astolfo/Estrella, siguen todos un patrón: el varón se exalta en un llllapasionamiento progresivo y al llegar al punto más alto canta la dama como voz de la serenidad y la templanza. En llllcontraste con el diálogo de amor está el diálogo de amor ofendido entre Astolfo y Rosaura. Los sentidos de la obra Hay varios: • Un sentido ontologico: la memoria es nuestra conciencia de continuidad, igual a nuestra personalidad. La vida humana lllse juega en la lucha entre dos niveles: el del suelo, el nivel en que vivimos, y el nivel de la verdad y del compromiso lllcon ciertos ideales. lllPor lo tanto, la vida se juega en el hacer que nuestro compromiso se corresponda con las acciones que cumplimos lllenlnuestra vida real. • Un sentido teologico: en la obra se discuten dos problemas teológicos: el poder de las estrellas sobre la libertad y llllos fines del matrimonio. El hombre es una libertad fundida en tres coordenandas determinantes: cosmos, lllsociedad, lengua. En la obra queda claro que el hombre prudente vence a las estrellas, cada individuo es lllresponsable de su conducta. Además el saber de las estrellas es puramente conjetural e inseguro. El gran pecado de lllBasilio consistió en faltar a la doctrina revelada para seguir la vanidad de su investigación. Un saber seguro debe lllpreceder al conjetural y un padre que no educa produce un "monstruo" un "hipogrifo violento" un puro ente de razón. lllEntonces, la invitación que hace Calderón es una invitación a la prudencia, a la razón y sobre todo a la lllresponsabilidad: Basilio no ha sabido interpretar el saber de las estrellas (saber puramente conjetural) y por eso ha llldado vida a la creación de un hipogrifo violento; entonces, la falta no es de Segismundo, sino de su padre. • Un sentido moral: dos cosas quedan claras: todo hombre y todo príncipe viven en lucha constante entre la pasión y lllla prudencia; la segunda debe imponerse sobre la primera. • Un sentido jurídico-politico: Basilio ha faltado a su obligación de padre con Segismundo y ha faltado a su pueblo lllprivándole del príncipe legítimo. Además, todo levantamiento es al fin castigado. lllEntonces, la moraleja de La vida es sueño es tener que reflexionar sobre como jestionamos nuestra se proprias llresponsabilidades; sobre como intentamos equilibrar las pasiones y la razón. Y lo que básicamente muestran los llpersonajes son los extremos a los que podemos llegar si no incluyamos demasiada razón o demasiada pasión. Métrica e imágenes Hay seguramente una predominancia de octosílabos a lo largo de la obra. En lo que concierne las imágenes: el v. 1 es Hipógrifo violento, el último "qué discreto y qué prudente" al margen del destinatario (claramente un comentario hace el porta miento de Segismundo); las dos forman el marco dentro del cual se desarrolla un proceso que va de la lucha violenta entre las pasiones y la razón, a un estado en que el hombre ha logrado el dominio de sí mismo. Entonces, toda persona puede evolucionar, pero tiene que hacerlo sabiendo cual es su punto de partida y tomándose las responsabilidades necesarias. El móvil por el cual se pasa de la pasión a la razón es el sueño. Está idea la tenemos, en esta obra, en tres diversas acepciones: 1. Sueño de dormir, que es el móvil dramático; 2. Sueño de soñar, el sueño actúa como predicción. 3. Los dos significados fundidos dan origen al tercero: sueño como nivel de conciencia, dormir o estar despierto significa que no recogemos plenamente nuestra existencia. Cfr: Sor Juana Inés de la Cruz escribió una obra que se llama Primero sueño, en la que la mente del yo poético viaja durante el sueño y durante el sueño se da cuenta de que lo que puede llegar a conocer en el momento de estar en la fase más profundas del sueño es la totalidad de la sabiduría. Cuándo ya entra la luz del día y entonces la cotidianidad, la mente pierde el poder sobre el saber y deja de saber. La idea es más o menos similar: el sueño como nivel de consciencia, que nos pone en relación con los ….. de nuestro ser. Entonces, para recoger enteramente nuestra existencia tenemos que reconocer que la vida es sueño, o sea, que todo pasa y nosotros percibimos solo parte de lo que pasa. Le opere di Calderón sono delle opere che sono dei grandi classici del teatro europeo e vengono interpretate, a seconda delle epoche, in modo diverso. A tal proposito, La vida es sueño ha avuto molte interpretazioni proprio a ragion del fatto che è un’opera estremamente filosofica e dunque duttile nell’accomodarsi a diverse prospettive; infatti, l’idea della vita come sogno fa parte della letteratura da sempre, l’idea della vita come momento fugace che non sappiamo cogliere realmente. Quello che fa Calderón è semplicemente dargli un contesto drammatico, in cui i personaggi fungono da rappresentazione concreta di ciò che vuol dire “la vita è sogno”. • Conceptismo: Como todo opera barroco, también Calderón utilizza muchísimo los conceptos (como Lope). Tras la lllenumeración de unos motivos se repiten en orden inverso, quedando el poema perfectamente redondeado (cerrado, lllque funciona en su totalidad); este procedimiento se emplea en todos los poemas líricos de "la vida es sueño", la lllcorrelación y recapitulación de los elementos produce una sensación de orden. La pasión de sus personajes lllsiempre es controlada por la razón. • Recursos retóricos: Rimas internas, paralelismos, quiasmos, epanodiplosis, visión o hipnosis, repetición etc. Pedro Calderón de la Barca, La vida es sueño La escena ocurre en Polonia; Rosaura estaba viajando hacia Polonia, que en la epoca de Calderón era un lugar muy alejado y entonces exótico, de cual el público no sabía nada. Rosaura está viajando disfrazada de hombre, ante todo porque no era normal que una dama viajara tan lejos, y en según lugar porque ha sido rechazada por parte de su prometido (Alfonso) y entonces tiene que cubrirse hasta que haya recuperado su honor (que ha sido manchado). En realidad, Rosaura se descurbirà ser una dama de origen noble, hija de Clotaldo. Clarín es el compañero de viaje de Rosaura y el gracioso de la obra. El otro personaje que encontraremos es Segismundo y luego, al final de esta parte de texto, también Clotaldo. Sin embargo, básicamente en la obra no tenemos demasiados personajes: estos cuatros (Segismundo, Rosaura, Clarín y Clotaldo), Basilio, Estrella, Alfonso, las guardas y el pueblo. Pero los personajes principales son menos de 5. Jornada I Sale en lo alto de un monte ROSAURA en hábito de hombre, de camino, y en representando los primeros versos va bajando. ROSAURA Hipogrifo violento, que corriste parejas con el viento, ¿dónde rayo sin llama, pájaro sin matiz, pez sin escama y bruto sin instinto 5 natural, al confuso laberinto de esas desnudas peñas te desbocas, te arrastras y despeñas? Quédate en este monte, donde tengan los brutos su Faetonte; 10 que yo, sin más camino que el que me dan las leyes del destino, ciega y desesperada, bajaré la cabeza enmarañada deste monte eminente 15 que arruga el sol el ceño de la frente. Mal, Polonia, recibes a un extranjero, pues con sangre escribes su entrada en tus arenas; y apenas llega, cuando llega a penas. 20 Bien mi suerte lo dice; mas ¿dónde halló piedad un infelice? Rosaura se está quejando de su proprio destino y claramente la idea del hipogrifo violento es una metáfora que nos tiene que hacer pensar en el concepto de la escolastica de violencia como alejamiento de la naturalidad de las cosas. Después del la metafora del hipogrifo violento, Rosaura enumera una serie de términos que son imágenes que son oximoron (rayo sin llama, pájaro sin matiz, pez sin escama y bruto sin estinto natural); estas imágenes, que son un oximoron detrás del otro, le sirven a Rosaura para establecer la base sobre la cuál se funda la idea de pasión sin razón (el problema de Segismundo). No a caso, las penas están desnudas y la arrastran (trascinano). Despenarse = caerse. Faetonte era el hijo del Sol, que le pidió al padre poder conducir el carro de Sol, lo consiguió y casi encendió la tierra. Por lo tanto, lo que està diciendo Rosaura es “quédate en este monte donde quedan los brutos como Faetonte, que piden cosas que luego no saben controlar” > està hablando de las pasiones. Enmarañada = annodata; “la cabeza enmarañada” > ve que las imágenes son muy concretas. Luego habla de Polonia, que la esta recibiendo. (Sale CLARÍN, gracioso.) CLARÍN Di dos, y no me dejes en la posada a mí cuando te quejes; que si dos hemos sido 25 los que de nuestra patria hemos salido a probar aventuras, dos los que entre desdichas y locuras aquí habemos llegado, y dos los que del monte hemos rodado, 30 ¿no es razón que yo sienta meterme en el pesar y no en la cuenta? Clarín le pide a Rosaura de que no se aleje de él en un sentido metaforico, más bien que lo incluya en sus …, porque los dos han empezado el viaje de aventuras juntos y juntos están cayendo del monte. Esta primeras parte de la primera jornada tiene también un tono que recuerda los libros de caballería, allí donde Clarín y Rosaura parecen ser dos caballeros andantes que luego se van a encontrar con una torre encantada en la cuál descubren a un monstruo. El hecho de que en esta parte hayan ecos de libros de caballería también es una consecuencia de la presencia de un estilo muy lirico en el lenguaje con le cual se expresan los dos personajes. ROSAURA No quise darte parte en mis quejas, Clarín, por no quitarte, llorando tu desvelo, 35 O sea: ¿Porqué yo que soy hombre tengo menos libertad que un ave? Nace el bruto, y con la piel que dibujan manchas bellas, apenas signo es de estrellas, 135 gracias al docto pincel, cuando, atrevido y crüel, la humana necesidad le enseña a tener crueldad, monstruo de su laberinto: 140 ¿y yo con mejor distinto tengo menos libertad? Aquí, hace referencia su propria belleza: reconoce que tiene un buen carácter y entonces se domanda ¿Porqué un bruto puede vivir y yo no? Nace el pez, que no respira, aborto de ovas y lamas y apenas bajel de escamas 145 sobre las ondas se mira, cuando a todas partes gira, midiendo la inmensidad de tanta capacidad como le da el centro frío: 150 ¿y yo con más albedrío tengo menos libertad? Aquí, hace un paralelo con el pez, que apenas nace ya puede ir donde le va la gana. El paralelismo es con el albedrío, del cual el hombre es dotado. Nace el arroyo, culebra que entre flores se desata, y apenas, sierpe de plata, 155 entre las flores se quiebra, cuando músico celebra de las flores la piedad que le dan la majestad, el campo abierto a su ida: 160 ¿y teniendo yo más vida tengo menos libertad? Aqui, se compara con un arroyo y dice: tenendo yo mas vida que un rio, no puedo tener mi libertad. En llegando a esta pasión un volcán, un Etna hecho, quisiera sacar del pecho 165 pedazos del corazón. ¿Qué ley, justicia o razón negar a los hombres sabe privilegio tan süave, excepción tan principal, 170 que Dios le ha dado a un cristal, a un pez, a un bruto y a un ave? Aquí, Segismundo se está comparando con un Etna, con un volcán, con la representación misma del fuego (algo que explota, que está tan vivo que no puede controlarse); por lo tanto, se identifica con algo que está fuera del control de la razón. Rosaura escucha a Segismundo y dice: ROSAURA Temor y piedad en mí sus razones han causado Segismundo se da cuenta de que haya alguien que lo ha escuchado y promete a Rosaura de matarla, a respuesta de esta actitud violenta que conoce como forma de actuar: SEGISMUNDO ¿Quié[n] mis voces ha escuchado? 175 ¿Es Clotaldo? CLARÍN (Aparte.) Di que sí. ROSAURA No es sino un triste, ¡ay de mí! que en estas bóvedas frías oyó tus melancolías. SEGISMUNDO (Ásela.) Pues la muerte te daré, 180 porque no sepas que sé, que sabes flaquezas mías. Sólo porque me has oído, entre mis membrudos brazos te tengo de hacer pedazos. 185 Rosaura le dice: ROSAURA Si has nacido humano, baste el postrarme a tus pies para librarme. Rosaura ya empieza a hablar a Segismundo de otra forma con respecto al a que conoce Segismundo. Y Segismundo contesta: SEGISMUNDO Tu voz pudo enternecerme, 190 tu presencia suspenderme, y tu respeto turbarme. ¿Quién eres? Que aunque yo aquí tan poco del mundo sé, que cuna y sepulcro fue 195 esta torre para mí; y aunque desde que nací (si esto es nacer) sólo advierto este rústico desierto, donde miserable vivo, 200 siendo un esqueleto vivo, siendo un animado muerto; Segismundo recoge en pocos versos su vida. Define la presión en la cual se encuentra encerrado como un sepulcro, “cuña que nos recoge cuando somos niños y sepulcro, que nos recoge cuando somos muertos” > entonces, una imagen más que concreta. “esqueleto vivo, animado muerto” = imagen ossimorica y concreta y aunque nunca vi ni hablé sino a un hombre solamente que aquí mis desdichas siente, 205 por quien las noticias sé de cielo y tierra; y aunque aquí, porque más te asombres y monstruo humano me nombres, entre asombros y quimeras, 210 soy un hombre de las fieras, y una fiera de los hombres; y aunque en desdichas ta[n] graves la política he estudiado, de los brutos enseñado, 215 advertido de las aves, y de los astros süaves los círculos he medido, = soy un hombre que ha crecido como un animal, una fiera entre los hombres. Al V. 219, Segismundo dice: tú sólo, tú, has suspendido la pasión a mis enojos, 220 la suspensión a mis ojos, la admiración al oído. nueva admiración me das, y cuando te miro más 225 aun más mirarte deseo. Primera alusión a la razón como algo que puede controlarlo. Ojos hidrópicos creo que mis ojos deben ser; pues cuando es muerte el beber, beben más, y desta suerte, 230 viendo que el ver me da muerte, estoy muriendo por ver. Pero véate yo y muera; que no sé, rendido ya, si el verte muerte me da, 235 el no verte qué me diera. Fuera, más que muerte fiera, ira, rabia y dolor fuerte; fuera muerte; desta suerte su rigor he ponderado, 240 pues dar vida a un desdichado es dar a un dichoso muerte. Conceptos y palabras típicos del Siglo de Oro, conceptos que se desarrollan a través de un uso hábil de lenguaje > por eso los llama “ojos idropicos” (che devono continuare a bere). Leggi sola l’ultima parte, nella quale si instaura un dialogo tra i due.
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