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Ruolo del Lavoro e delle Donne nell'Arte Vittoriana, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Come il lavoro e le donne sono stati rappresentati nell'arte vittoriana, con un focus particolare su come gli artisti idealizzarono il lavoro nella società industriale e la nuova classe borghese. Casi specifici di artisti come ford maddox brown, millais, e william holman hunt, e il loro ruolo nella rappresentazione del lavoro e delle donne nella società vittoriana.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 02/01/2024

Asiam98
Asiam98 🇮🇹

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Scarica Ruolo del Lavoro e delle Donne nell'Arte Vittoriana e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Dal realismo sociale a nuovi modelli artistici A)LAVORO IDEALIZZATO E SGUARDI SULLA REALTÀ >Il lavoro idealizzato nella società industriale Ripartiamo dalla questione del lavoro che però similarmente alla questione contadina vide anche una sua idealizzazione e non solo l’aspetto come di denuncia ma anche un lavoro idealizzato che di fatto vuole glorificare la nuova epoca industriale e gli artisti reagiscono in diverso modo a questa nuova realtà sociale, uno dei modi è proprio quello di porlo al centro della rappresentazione artistica, ne diventa il soggetto, rendendolo l’asse portante della società ma in un certo senso è quell’elemento che crea un nuovo equilibrio sociale che non può essere scomposto, che vedrà l’apice una nuova classe, la borghesia industriale e sotto una grande massa popolare operaia di lavoratori che viene tenuta in equilibrio. Come vediamo nel caso di Ford Maddox Brown (1821-93), questa pretesa è proprio quella di idealizzare la visione del lavoro, ebben per Brown fu una figura centrale per il cosiddetto realismo vittoriano, una corrente di realismo che si è sviluppato nel Regno Unito (durante il regno della regina vittoria) e fu importante anche per i pre raffaeliti (Brown potrebbe essere parzialmente associato a loro), è stato anche una sorta di insegnante, maestro per Rossetti, aveva studiato ad Anversa, era stato per un periodo a Parigi e torna in Inghilterra nel 1848. Si distanzia però dai pre raffaeliti perché meno poetico, meno lirico, pur legato ad un realismo visivo, e cerca di rappresentare la realtà sociale della sua epoca; una realtà sociale che è tuttavia fortemente idealizzata e può essere definito realismo perché porta al centro della scena pittorica la classe operaia è l’esempio più calzante è: Ford Maddox BROWN: “Work” (1852-65) È una rappresentazione del lavoro, il lavoro come un’attività che rende produttiva la società, la unisce e la tiene in un nuovo equilibrio. La scena che si vede qui, di realismo vittoriano, è in effetti un’immagine di una zona a nord di Londra, quartiere residenziale e di lusso, e al centro della rappresentazione ci sono questi lavori sul manto stradale, ma non ci sono solo gli operai che stanno riparando o costudendo questa strada, ma attorno a loro avviene un po’ di tutto e c’è tutta la società vittoriana dell’epoca; dagli alto borghesi a cavallo sullo sfondo; a delle signorine borghesi, con l’ombrellino, in passeggiata; fino agli operai al centro della scena e tutta una serie di rappresentanti dei vari strati sociali che vivevano e formavano la vita nella metropoli londinese, a sinistra una venditrice di fiori scalza con vesti strappate, e dei bambini, probabilmente orfani che fanno l’elemosina e assistono ai lavori di questi operai; si vede anche uno giu nella buca, di cui si intravede solo la mano. Tutto sono febbrilmente intenti a fare la loro parte nella società, una gerarchia sociale stabile emerge da questa rappresentazione, c’è una divisione del lavoro e dei ruoli molto precisa e netta. Brown stabilisce un ordine sociale ma ciò non implica che vi sia una possibilità di progressione tra le classi. C’è un richiamo diretto alla visione sociale influenzata da Thomas Carlyle , che lo si vede sulla destra con il bastone e si trattava di un influente pensatore di epoca vittoriana che teorizzava la necessita di questo genere di nuova armonia sociale basata sulla divisione del lavoro. In questo senso, work non è altro che il lavoro idealizzato, il ritratto di una porzione topograficamente precisa di Londra in cui racchiude tutto il mondo vittoriano dell’epoca, rigidamente strutturata e armonizzata secondo il nuovo pensiero corrente. Una forma analoga dell’idealizzazione del lavoro la troviamo anche in Germania, dove è importante citare un’opera: Adolf MENZEL: “Laminatoio (Moderni ciclopi)” (1870-75) Questa ciclopica (perché è un dipinto enorme) rappresentazione di una fabbrica, pone al centro il lavoro operaio all’interno di un laminatoio, quindi di una fonderia di metalli. Menzel fu, nella seconda metà del 800, il pittore più influente in Germania, uno degli accademici più influenti; era nato nella Prussia orientale, era figlio di uno stampatore e infatti già a 14 anni pubblicava illustrazioni; si trasferì poi a Berlino dove stabilì prima una stamperia, iniziando poi a dipingere nel 1837 e divenne accademico all’accademia di Berlino nel 1856. Con l’ascesa della Prussia, fino a diventare la potenza unificatrice della Germania, fu il pittore di stato della nuova Germania. La sua opera più conosciuta e influente fu il Laminatoio in pieno accordo con i dettami accademici perché si basò prima di tutto sullo studio dal vero (andò in Silesia), in un laminatoio e la potenza Prussiana e sulla Germania intera si stava basando sul rapido sviluppo delle fonderie. Il Laminatoio fu il dipinto pensato per l’esposizione universale di Parigi del 1878 (le esposizioni universali divennero dei momenti in cui le nazioni si confrontano e vengono dati dei premi e sono presenti anche le migliori produzioni artistiche dei vari paesi), si portava la forza dei tedeschi che va glorificata ecco perché Menzel riteneva che l’industria in se, tedesca, meritasse un dipinto della dimensione della pittura storica. Al centro del dipinto non ci sono gli operai, non è una denuncia del lavoro pesante, ma sta idealizzando la potenza industriale della Germania presentendocela come un tutt’uno organico armonico che lavora alla perfezione, ogni attimo è perfettamente coordinato tra gli operai che in silenzio stanno domando il fuoco, bastano i movimenti per ingranarsi. I vari momenti che Menzel ci presenta contribuiscono a rendere l’idea di una macchina perfettamente funzionale. Dipinto accademico perché nonostante il soggetto moderno industriale, Menzel utilizzò la pratica accademica di essere presente sul posto e fece oltre un centinaio di bozzetti di diversi operai, di diverse posizioni che poi compose insieme in questo grande ritratto. Quindi non è un istantanea del lavoro ma una ricomposizione di diversi aspetti posti assieme per creare un tutt’uno armonico. >Questioni di genere e donne al lavoro Emily Mary OSBORN: “Nameless and Friendless” (1857): (= senza nome e senza amici) questa donna che entra in una galleria d’arte e che forse sta tentando la sua fortuna come pittrice ed era entrata in questa galleria sperando di poter vendere qualcosa. Il gallerista non sembra per nulla impressionista dal quadretto che gli viene sottoposto, più che per il dipinto forse per la donna che glielo porta e questa donna stringe tra le mani la borsetta (indica la sua condizione di precarietà economica), ai polsi non ha bracciali o nastri che indicherebbero che si tratti di una donna sposata (= nameless perché è il nome della famiglia del marito che consente l’accesso alla società ed una stabilità economica). All’interno della galleria, sulla sinistra, vediamo due uomini con il cilindro che sollevano lo sguardo, incuriositi, quasi con uno sguardo predatorio e maschilista perché se si osserva bene la stampa che tengono in mano è la stampa di una ballerina. Questa sono le difficolta che incontra una donna di metà 800, che lavora duramente e che però non ha la stabilita di un matrimonio ed è anche una denuncia sociale. Rimanendo nel tema della prostituzione ma in modo più pesante, è: Henri de Toulouse-LAUTREC: “Rue des Moulins” (1894) Sono colori a cera su cartaccia, sono degli appunti all’interno di un bordello che mostra uno dei momenti più degradanti delle prostitute nella zona dei mulini (era diventata la zona dello svago della borghesia francese, in particolare degli uomini) e questo è il momento dell’ispezione corporale, da parte delle autorità sanitarie, delle prostituite — per malattie come la sifilide, trasmissibili — Lautrec era molto attratto da queste figure perché lui era affetto da nanismo. Sempre su questo tema ambiguo delle dame di compagnia, della prostituzione latente e diffusa all’interno della società di metà 800, Gustave Courbet fece uno dei suoi grandi colpi al Salon parigino con uno scandalo che fece molto parlare. Questo scandalo, nel 1856-57, fu quello di un dipinto: Gustave COURBET: “Demoiselles des bords de la Seine” (1856-57) Nel suo solito stile, si tratta di un dipinto di grandi dimensioni che fece molto discutere perché prima di tutto fu presentato con il titolo “due giovani donne alla moda durante il secondo impero” (secondo impero quello di Napoleone III) che era noto per avere numerose amanti. Questa è come la fotografia vera, il realismo sociale dello stato morale o amorale della Francia di Bonaparte e poi venne cambiato con “Damigelle sulle rive della Senna”, fu ritenuto scandalo per altri motivi oltre al titolo: la donna in primo piano è in lingerie per l’epoca, indossa un corsetto — per l’epoca equivalente di una donna svestita — Courbet ce la mostra in biancheria intima. È una scena in cui lo spettatore stesso, attraverso lo sguardo di questa donna in biancheria intima, viene inserito nel momento depravato e Courbet sta esponendo l’ipocrisia della classe dominante francese che era basata anche economicamente sul controllo legale della prostituzione persino Napoleone era solito accompagnarsi con più dame che non con l’imperatrice. B)NUOVI APPROCCI ALLA REALTÀ ARTISTICA >Scandalo dentro al Salon Courbet creò scandalo nel 1850 con la presentazione di un dipinto: Gustave COURBET: “Un enterrement à Ornans” (1849): (= un funerale a Ornans) Si trova al Museo d’Orsay a Parigi, presentato al Salon nel ’51 (a lui con una sua opera precedente gli era stato il lascia passare), ed è un dipinto colossale e fu subito motivo di grande scandalo proprio a partire dalle dimensioni perché Courbet presenta questo dipinto che contraddiceva in varie maniere ogni dettame della pittura accademica dell’epoca. Si trattava di ritratti e pertanto fin da subito si attirò le ire degli accademici, ancor più che Courbet aveva presentato questo dipinto non nella categoria di genere ma aveva osato presentarlo nella categoria della pittura storica. Anche il titolo non piacque, era troppo vago ma in realtà l’episodio che lui racconta è un fatto storico ma un fatto storico che ha una importanza personale perché si trattava del funerale del suo prozio e che in maniera strisciante era una polemica pesante nei confronti della presunta cultura nazionale francese. Dimostrava invece la grande frizione che esisteva in Francia fra Parigi e le province, e c’era una molteplicità di culture provinciali che soffrivano e avevano già sofferto la centralizzazione dell’assolutismo borbonico e poi anche dell’impero napoleonico. Le legislazioni napoleoniche del 1808 imposero, non solo in Francia ma anche in Italia, imposero la costruzione di cimiteri al di fuori delle città per motivi di salubrità — e questo creò un distacco psicologico culturale molto pesante che in molte province francesi non vede subito seguito e questo sarebbe l’evento storico rappresentato con molta polemica, questo funerale è il primo funerale celebrato nel nuovo cimitero fuori dalla cittadina di Ornans ed è come se fosse un momento di capitolazione di questa cultura provinciale nei confronti della periferia. Per Courbet questo fatto storico diviene l’occasione di presentare una sorta di trittico in cui la popolazione che presenta sono dei ritratti; sul lato sinistro c’è la chiesa, a centro le autorità civili tra cui il sindaco, sul lato destro le donne (motivo di particolare sconcerto per l’accademia, donne come gruppo autonomo). Erano però dei ritratti anonimi, di persone di provincia. La giuria però non potè escludere questo dipinto e Courbet con questo aveva già segnato una sua contrapposizione voluta, cioè un tentativo, pur stando nelle istituzioni, di ribellione molto forte. >Protesta fuori dall’Esposizione Nel 1855 arriverà a Parigi e per questa occasione i singoli padiglioni nazionale volevano presentare il meglio della produzione artistica locale, pertanto una giuria sceglieva non solo gli artisti ma anche le opere precise. Courbet non poteva non essere presente in quanto sulla bocca di tutti in quel momento, presentò oltre una 50ina di opera al comitato di selezione ma solo 11 furono inclusi nella mostra di arte francese nell’esposizione universale. Courbet non accettò che così tanti suoi dipinti furono stati rifiutati e in quell’occasione, si permise, con l’appoggio di mecenati e pensatori o molto importanti, di organizzare la propria esposizione in una zona limitrofe all’area dell’esposizione universale e costruì un piccolo padiglione privato che chiamò Pavillon du Realisme. Facendo vedere che aveva preso su di se questo termine di realismo, lo assume come etichetta con orgoglio anche perché nel termine realismo è insita una pesante critica all’arte di tipo accademico. Nel Padiglione, espose una enorme quantità di suoi dipinti e può essere considerata una delle prime mostre personali di un artista — nel senso modernista del termine. All’interno di questo padiglione presentò anche: Constantin GUYS: “The London Illustrated News (Guerra di Crimea)” (1854-55) vediamo una serie di illustrazioni, suoi disegni che sono abbastanza dettagliati. Sembrano caricaturali ma sono tipici. Non fu mai un pittore nel senso tradizionale, ma una volta tornato in Francia a Parigi, utilizzò questo stesso metodo del reportage per riportare la realtà quotidiana della metropoli della grande Parigi. Constantin GUYS: “Deux grisettes et deux soldats” (1860?) sempre con questo suo stile quasi rapido da disegnatore, con ampi tratti di inchiostro che determinano i contorni delle figure, ci presenta scene della vita variopinta all’interno della metropoli parigina. Baudelaire conosce molto bene le illustrazioni di Guys e lo riteneva il migliore più vivido ritrattista dei piaceri della Francia del secondo impero, con il suo tratto veloce, a volte ricolorati con acquerello, era in grado di riportare vivacemente la vera vita moderna. Baudelaire ad un certo punto fa riferimento ad un’opera, The Man of the Crowd, un racconto di Edgar Alan Poe, e ne fa riferimento perché fa il paragone della situazione di questo personaggio che sarebbe un uomo dentro la folla della grande metropoli, che la sta osservando e quindi non partecipa direttamente alla vita moderna, la sta osservando internamente. Questa persona lo definisce un convalescente, cioè come una persona che per molto tempo è stato a un passo dalla fossa, si è risvegliato e ne assapora di nuovo le delizie, aveva quasi dimenticato tutto e ad un certo punto sovviene di nuovo. Ed ecco il paragone di Baudelaire — di un artista che questo atteggiamento, come se fosse un convalescente che è ritornato alla vita e guarda tutto con curiosità ed attenzione delle cose che si trova di fronte, nota tutte le differenze. Ed è questo che gli sembra fare Guys, non gli scappa nulla.
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