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Importanza delle Relazioni Precoci e Angoscia nello Sviluppo Infantile, Appunti di Psicologia Clinica

Psicologia della FamigliaPsicologia clinicaPsicologia infantile e sviluppo

Una profonda analisi della terza prospettiva in psicologia infantile, che mette in evidenza l'importanza delle relazioni precoci e il ruolo dell'angoscia nel sviluppo psichico. Il concetto di bisogno di tenezza e attaccamento, il ruolo della trasmissione di contenuti emotivi e la dinamica di moi (modelli operativi interni). Vengono presentati casi clinici per illustrare come esperienze traumatiche possono influenzare lo sviluppo psichico in modalità prototassiche e paratassiche.

Cosa imparerai

  • Come le relazioni precoci influiscono sullo sviluppo psichico?
  • Che ruolo gioca l'angoscia nel sviluppo infantile?
  • Come i modelli operativi interni (MOI) influiscono sulla rappresentazione di sé e degli altri?

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 20/07/2022

andrea-francesca-fasanella
andrea-francesca-fasanella 🇮🇹

4.3

(19)

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Anteprima parziale del testo

Scarica Importanza delle Relazioni Precoci e Angoscia nello Sviluppo Infantile e più Appunti in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! Clinica appunti 12 la terza prospettiva ha come fulcro l’importanza delle relazioni precoci, esse sono le matrici generative di sintomi disfunzionali. L’elemento organizzativo della vita infantile è la necessità di inquadrare i bisogni per noi importanti, e un elemento importante è il bisogno di tenerezza. Il bisogno di attaccamento è imprescindibile e fondamentale, abbiamo bisogno di un contenimento affettivo, altrimenti avremmo difficoltà ad avere una vita psichica funzionale. Un altro elemento centrale di questa prospettiva è gestire in modo prevalente il tema dell’angoscia, la quale è una minaccia nascosta che interferisce con lo sviluppo infantile, può essere collegata a tante azioni della vita del bambino. L’aspetto imprescindibile è che l’angoscia dev’essere catturata dal caregiver, il quale deve contenerla e restituirla depotenziata. Attraverso la trasmissione di contenuti emotivi e attraverso la reverì è un fattore determinante della presenza o dell’assenza di angoscia nel bambino, noi troviamo che nei primissimi momenti della nostra vita c’è un contenitore che collega bambino e caregiver, quindi uno squilibrio da una parte viene percepito dall’altra. Quando siamo sottoposti ad un momento di stress usciamo dalla nostra finestra di tolleranza e abbiamo libero arousal e libera attivazione raggiungendo un’ipoattivazione per poi raggiungere uno stato di blocco e crisi, questo ragionamento è collegato al fatto che la capacità della madre di comprendere gli stati interni del bambino deve essere un trampolino di lancio per depotenziare l’angoscia, questo è collegato in ambito clinico al fatto che l’adulto che ci si presenta non ha ricevuto il trattamento precedentemente descritto durante le relazioni precoci. I MOI (modelli operativi interni), collegati alle teorie dell’attaccamento, essi sono teorie di sé e degli altri, noi vediamo che non c’è solo la madre come soggetto frustrante, la rappresentazione di una buona madre determina quel passaggio e quella creazione del me buono. Se da una parte c’è la madre buona dall’altra parte c’è il me buono, se invece, c’è la madre cattiva la conseguenza sarà il me cattivo, come sempre mancando la dimensione intersoggettive la rappresentazione dell’altro è una rappresentazione di me, il collegamento può essere sviluppato con la tematica kleiniana (seno buono e seno cattivo). Gli esiti del trauma possono essere collocati nel me cattivo. Nel me buono il bambino è sereno, in una dimensione di contenimento, funzioni fondamentali per lo stato d’animo del bambino. Nel me cattivo invece, il gradiente di angoscia dipende da qualcuno che continua provocare angoscia nel bambino, così si crea un effetto valanga, cioè l’angoscia sull’angoscia, cioè la mamma restituisce l’angoscia NON depotenziata, così si sviluppano esperienze traumatiche prevalentemente somatiche. Esperienze traumatiche non possono essere connesse e ordinate restano per tutta la vita senza significato, non è possibile integrarle psichicamente e si creare uno stato di freezing. Tutti queste aree rimangono simboli paratastici, durante la dissociazione c’è una crisi, noi abbiamo 3 modalità di organizzazione del mondo. La prototassi tipica della prima infanzia è tutto ciò che è fatto di simboli rudimentali, fatta da esperienze momentanee non ha distinzioni temporali o spaziali, non c’è riferimento tra io e il me, ci sono solo appercezioni, è il primissimo momento della vita psichica, ci sono elementi disorganizzati e grezzi. La fase della paratassi è la fase della fanciullezza con primarie forme di pensiero e di pensiero operativo, manifestazione verbale di tipo autistico, cioè centrata e individuale, non ci sono connessioni logiche, un esempio tipo è il sogno. Quando parliamo di modalità prototassiche, cioè quando c’è questo tagli di emozioni la zona del non me, si inerisce nel fatto che le esperienze traumatiche frizzanti rimangono simboli primitivi e rudimentali. Le esperienze traumatiche restano nei sintomi paratassici, non fanno cadere nella disorganizzazione generale, c’è una distinzione tra me e non me, ma queste esperienze organizzano la vita psichica in termini paratassici all’interno di un’area già strutturata, però questi rimangono senza significato, all’interno della modalità paratassica c’è una totale disorganizzazione delle rappresentazioni, si parla di gruppi illusori duali, questo contenuto angosciante non può essere schematizzato in una struttura sintattica, se invece, si va verso il brackdown allora parleremo di dimensione prototassica Caso clinico La paziente arriva dopo aver vissuto un’esperienza traumatica: si era data un appuntamento sui social era molto felice di quest’appuntamento, ma ad un certo punto la prima cosa che lei sente è che sto tipo non le piace, prova disgusto, pensa quanto sia brutto, però, continua prendendosi un caffè, sto tipo le confessa una cosa “io direi che appena finiamo di prendere questo caffè e ci separiamo non ci sentiamo più, perché mi sembri una persona poco interessante e non mi piaci per nulla”. Questo ragazzo paga se ne va e lei rimane paralizzata, cade in uno stato di totale frustrazione, rimane bloccata davanti al bancone e non riesce a muoversi, questo sviluppa un trauma. Il problema che può essere riscontrato è che lei era speculare al ragazzo, però non era nelle condizioni non era stata capace di sottrarsi, nonostante il disgusto lei non riusciva a sottrarsi all’esperienza. Quello che provoca scompenso è anche il fatto che lei sia stata rifiutata da una persona che voleva rifiutare e per la quale provava disgusto. A partire da questa esperienza è possibile ricercare altre esperienze, che provocavano malessere nella vita psichica, lei parla delle relazioni come vittima, si sente minacciata dall’altro, sembra che per la paziente le relazioni sono fonte di veleno, lei ha una sorta di freezing come se questa consapevolezza inconscia le avesse provocato uno sconvolgimento interno molto forte. Scoprendo le relazioni precoci, la ragazza racconta che durante l’infanzia il compagno della mamma nonché suo padre aveva provocato una serie di situazioni di angoscia sulla mamma la quale aveva anche delle dipendenze. Nella dimensione prototassica iniziale la madre arriva già con un forte carico d’angoscia, quindi il bambino angoscia la madre e viceversa, c’è un corto circuito di angoscia e si ha un’inversione del processo di trasmissione, perché l’angoscia non viene depotenziata ma viene restituita la massimo. Successivamente la madre prende un’infezione e non riesce più ad allattare la figlia, cosa accade? La bambina comincia a perdere peso, non riesce più ad alimentarsi. Le rappresentazioni inconsce che scattano a livello prototassico, creano delle zone di dissociazione, così si intensificano diverse dicotomie come ad es. vittima- carnefice, non riusciamo però a distinguere le due figure. La madre che non riesce a nutrire la figlia è carnefice, la bambina è vittima, ma nello stesso tempo se cambiamo il punto di vista la bambina che rifiuta le cure della madre è carnefice che vittimizza la mamma sviluppando in lei sei sentimenti di inefficienza nel saper dare cura alla figlia. Entrambe sono vittima e carnefice. Le prime quattro polarità sono vittima-carnefice e viceversa. C’è un corto circuito di angoscia, la madre è spaventata-spaventante, nella sua impossibilità di contenere l’angoscia della figlia, la mamma è spaventante perché l’angoscia che vive spaventa la bambina, ma l’inconsolabilità della bambina determina il fatto che quella madre è spaventata dall’angoscia della bambina, perché non riesce a contenere i pianti della bambina. Si può fare un’altra riflessione salvatore-salvato, la madre che riesce a contenere la bambina che non piange più è un salvatore, però, la bambina che non piange è salvata dalla mamma e la mamma è salvata dalla bambina che si tranquillizza. In questa dimensione iniziale, si possono visualizzare i gruppi illusori duali. Lei crolla quando viene rifiutata dal ragazzo rivive la situazione tossica e il veleno tornando nella dimensione più intollerabile da integrare cioè le relazioni velenose, sono tutti questi aspetti che si riattivano e si ripristinano nel suo sistema psichico, lì non c’era una donna delusa in termini narcisistici ma collegamenti più profondo con la sua vita psichica. L’esperienza che era stata ripristinata viene riattiva e funziona come matrice fondamentale della vita psichica, la diagnosi è il disturbo bordeline di personalità, basata sull’instabilità delle relazioni, sulla paura di essere abbandonati, sviluppando una drammatica instabilità delle relazioni affettive, ci sono sentimenti cronici di vuoto, comportamenti autolesivi, comportamenti di dipendenza, di promiscuità sessuale.
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