Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti lezioni del Seminario 'Storia dell'idea di Europa' (anno 2020-21), Appunti di Filologia romanza

Appunti delle lezioni del Seminario sulla 'Storia dell'idea di Europa' di Giuseppina Brunetti (anno 2020-21)

Tipologia: Appunti

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 09/05/2021

Bdpc
Bdpc 🇮🇹

4.5

(54)

20 documenti

1 / 35

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti lezioni del Seminario 'Storia dell'idea di Europa' (anno 2020-21) e più Appunti in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! STORIA DELL’IDEA DI EUROPA 22.03.2021 Introduzione L’Europa è l’unico progetto democratico in cammino che c’è sul pianeta terra. È un esperimento, una cosa in costruzione. Europa culturale: se c’è un Europa monetaria, delle istituzioni, non c’è ancora una costruzione efficace e completa dal punto di vista culturale: non c’è una biblioteca europea, una costruzione identitaria dal punto di vista culturale, nonostante la forte globalizzazione che ci fa sentire tutti cittadini del mondo. Come nasce l’idea dell’Europa? Non come nasce l’Europa. Non è la storia delle istituzioni europee, ma la storia dell’idea culturale dell’Europa. Dal punto di vista geografico, l’Europa non è definita nei suoi confini: se abbiamo dei confini chiari e netti a nord, a sud e ad ovest, non abbiamo altrettanti confini netti ad est. Non abbiamo confini geografici: dove finisce l’Europa? Finisce a Istanbul? Ad Ankara? Comprende San Pietroburgo? La definizione anche geografica dell’Europa è problematica. Partiamo dal concetto di confine e quanto sia importante. Dal punto di vista fisico già si pone il problema di dove l’Europa termini: nella nostra coscienza non c’è dubbio che la Grecia faccia parte dell’Europa, o la spagna, per tutte queste regioni e stati che si pongono nei confini orientali ogni volta dobbiamo discutere se potrebbe essere annessa o no all’organismo europeo. A lungo il confine fisico fu Urali, Ural, Caspio, depressione Kuma-Manyc, foce del Don: confini che sono sempre stati messi per definire i confini dell’Europa a est. Se guardiamo la cartina del mondo ci sono delle convenzioni più o meno accettate. In realtà è molto fragile questa definizione, ha una grande quota di incertezza: qualcosa che è legata a un’identità nazionale o sovranazionale. Quando ci diciamo europei siamo disposti a cedere una quota della nostra identità nazionale: c’è un minimo comune multiplo che dobbiamo cercare (alcune cose che mi apparentano a uno spagnolo, a un greco ecc., ma non tutte le cose che mi definiscono in quanto italiano definiscono uno spagnolo) non un massimo comune divisore. C’è uno spazio di negazione che i nazionalisti non accettano. Non si può abdicare a un sentimento nazionale in virtù dell'accogliento di un paradigma piu ampio come quello europeo senza rinunciare a qualcosa. Il limite come soglia Limen/limes è una parola latina, la cui area semantica va dal significato di soglia, limite, ingresso a quello di confine, di casa e dimora, fino a quello di traguardo. L’idea che accomuna tutti questi termini è la presenza di una linea di demarcazione che stabilisce un rapporto di inclusione/esclusione tra gli elementi interni ed esterni ad essa Categorie letterarie ma anche profondamente storiche: cosa intendiamo come limite e come confine? Limite deriva dal latino, la cui area semantica va dal significato di soglia a quello d confine, casa, dimora fino a quello di traguardo. Quando parliamo di limite geografico intendiamo cose diverse. Non è che l’Europa non abbia delle frontiere: es. il muro di Berlino. Questione antropologica, storica e profondamente letteraria: il limes che dà la parola limite e anche la parola confine comprende un area semantica diversa. Se intendo soglia includo l’dea della permeabilità dei due territori: la soglia mi permette di attraversare da una di qua a un di là. Se intendo limite questa impermeabilità è negata. L’idea che accumuna questi termini è una linea di demarcazione che, come abbiamo detto, è immaginaria, politica (non tracciata nel terreno da una catena di monti o dal corso di un fiume). Rapporto di inclusione o esclusione. Ci fa ragione in termini scientifici di problemi politici specifici: emigrazione e sbarchi, elementi importanti della nostra vita quotidiana. Limen può implicare l’idea di casa, di dimora, di un luogo in cui ognuno è se stesso: ci sentiamo appartenenti a questa idea che è Europa. C’è un’accezione più inclusiva che implica l’osmosi, la permette, a quella di confine che è opposta. Limite come frontiera L’esigenza di imporre un controllo al passaggio dei confini dipende dall’istituzionalizzazione del limen come frontiera fra due mondi. All’interno del confine ogni suo elemento è conosciuto e perfettamente coerente con i codici culturali condivisi. Al di là della frontiera tutto è ignoto perché si tratta di una zona ‘altra’, i cui elementi sono incoerenti e sconosciuti. La barriera della frontiera possiede una funzione di rigida separazione per evitare invasioni o sconfinamenti. Quando metto un muro in Ungheria, a Seuta, la barriera dall’Africa, un muro in Germania, fra est sovietico e ovest occidentale, posso (andrebbe articolato, la sovranità nazionale può?) farlo. Istituzionalizza il limen come frontiera fra due mondi, fra un qua e un là diversi dal punto di vista complessivo. Coloro che sono fuori dalla frontiera sono gli altri, non sono gli europei. Si trasforma ciò che è un confine immaginario, non naturale in una frontiera fra mondi. I confini naturali sono importanti: banalmente pensando ai dialetti, le valli, i l di qua e il di là determina diversi dialetti. Non si nega l’importanza del confine geografico, ma perché a est l’Europa non ha confini geografici chiari anche se di volta in volta sono stati accampati quelli detti prima di fatto non ci sono confini così netti e ciò implica una riflessione culturale di dove inizia e finisce l’Europa. Quando in momento di difficoltà come son questi in cui gli europei si sentono invasi da un mondo che preme alle frontiere: sono ari i momenti in cui al confine si palesano quelli che vengono definiti gli altri e che pongono il problema di istituzionalizzare i confini, che sanciscono un limite come una frontiera fra mondi. L’identità come limite Dal punto di vista dell’antropologia contemporanea, parlare di limite o di confine significa parlare di identità. Solitamente, l’identità è concepita come costruzione culturale di confini interni (status, genere, età, professione, ecc.) e di confini esterni (razza, etnia, religione, lingua ecc.) al gruppo sociale. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, tuttavia, la riflessione sull’identità e sull’alterità diventa per l’antropologia il punto di partenza per una valutazione critica dei processi di globalizzazione. L’irrimediabile esaurimento del formalismo e del razionalismo impone una revisione delle tradizionali categorie interpretative applicate all’indagine sulle strategie di costruzione di identità e sul concetto di autenticità. Dal punto di vista dell’ordine transnazionale e postcoloniale, la questione dell’appartenenza si pone sempre meno su un piano territoriale e sempre più su un piano simbolico. Se viviamo in un mondo globalizzato, se è effettivamente così, è vero che siamo in un momento che la globalizzazione è un fatto culturale l’appartenenza (identità) si pone sempre più su un piano simbolico, culturale. L’identità italiana era costruita anzitutto su un piano territoriale in momenti come la Prima guerra mondiale. Adesso invece è diverso: sul piano simbolico e culturale ora ci dobbiamo intendere. Cosa significa essere europei e protezione dell’essere europei rispetto al mondo. Attacco all’Occidente: distruzioni. Sfioriamo argomenti di tipo politico, discorso sulla fragilità della cultura: non si autodetermina. Anche le cose che noi sentiamo piu stabili nella nostra concezione culturale, non necessario di protezione, invece non è vero. La costruzione dell’identità che a volte può diventare violenta, colpisce la cultura, che è fragile. Non viene riconosciuto come un valore, non ci riconosce una identità che appartiene. Si possono buttare cose considerate desuete perché le trovo non utili alla vita. Anche la cultura europea è fragile, esiste nella misura in cui noi siamo disposti a negoziare per lei e a proteggerla. L’equivalente dell’euro dal punto di vista culturale e identitario non sappiamo cosa sia, bisogna ragionarci e studiare. l’Europa entrava finalmente tutta abbracciata, nel corpo e nel sorriso, nella Memoria che cicatrizza le ferite e nella Speranza di crescere come un albero dalle radici antiche e profonde. A distanza di meno di trent’anni, quelle brecce di Muro gettano tristi germogli materiali e ideali in tutti i rami dell’albero: dal passo del Brennero a Calais, da Ventimiglia ai 'Prima noi' del Canton Ticino; per non parlare dell’algida Inghilterra, figlia di un 'dio maggiore'! Oltre ai muri, il difficile collante sociale, la deriva della frammentazione politica e culturale, la radicata presenza dei corrotti e la «la morbosità dell’individualismo» denunciata nella Evangelii Gaudium. «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?», ha chiesto papa Francesco ai capi di Stato e di Governo europei guidati proprio da Juncker. Una domanda che non può non colpire chiunque consideri come propria questa cara 'nonna' e la ami davvero. Vedere i politici europei sbandare di fronte alle forze centrifughe populiste, arrendersi di fronte all’assenza di un’anima e di un progetto organico e vitale per tutta la 'zona', chiudersi nelle rispettive e private ragion di Stato, è veramente triste. «Chi percorra la Francia scopre forse con stupore che, fin dall’ultimo villaggio, su tutti i municipi – inciso sulla pietra, come la legge mosaica – si trovi il motto risalente alla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: liberté, égalité, fraternité », scrive Christoph Theobald in un prezioso libretto intitolato: Fraternità (Qiqajon, 2016). Il problema sta nel fatto che i tre valori «non si trovano allo stesso livello. Libertà e uguaglianza dei cittadini, qualora vengano violate, possono essere rivendicate di fronte a un tribunale; appartengono alla sfera del diritto, con i suoi effetti e le sue applicazioni concrete. Al contrario la fraternità, nessuna legge può prescriverla». Senza fraternità è impossibile, però, la coesione sociale e il rapporto con l’altro – che sia il fratello o l’oriundo, il profugo o il musulmano – non vive senza 'cuore' e 'compassione'. «Fraternità, parità e libertà – fa contralto un altro autore, Silvano Fausti –. Pongo prima la fraternità, senza la quale il resto è vacuità». Di estrema suggestione sono le parole che il noto gesuita italiano rivolge a Voltaire, in una ideale lettera scritta al 'chiaro di luna': «Caro Voltaire, hai curato la libertà, ma trascurato parità e fraternità. Libertà e relazione. Se del relativo fai un assoluto, diventi idolatra. È la morte tua e altrui. Devi coniugare libertà con parità e fraternità. Ma non solo nelle idee, che è già qualcosa. Non ghigliottinarti: la tua testa sia con il corpo, il tuo pensare con l’agire. Non togliere all’umanesimo un Dio ignoto e sempre nuovo. Questi apre l’uomo a libertà senza fine. L’uomo è immagine di Dio. Senza Dio diventa immagine di sé stesso. Specchio che specchia sé stesso. Nulla. O forse le cornici». È un piccolo gioiello di prosa poetica (Lettera a Voltaire. Contrappunti sulla libertà, Áncora) in cui le frasi sono come raggi di musica e d’intelligenza: «Eccoci al nodo: Allora il Signore disse a Caino: Dov’è tuo fratello? Egli rispose: Sono forse il responsabile di mio fratello? (Gn 4,9-10). Il resto lo sai già. Basta questo per capire la responsabilità. Se ignoro l’altro come fratello, crolla il castello di 'libertà, parità, e fraternità'». È evidente che bisogna partire dalla domanda: l’Europa è davvero in crisi? La costruzione culturale dell’Europa è imperfetta, irrealizzata? L’altro ora si configura ancora più minacciante nei confronti dell’Europa. La presa di posizione è: senza fraternità non c’è né libertà né uguaglianza. Si segue una linea cronologica seguendo Chabod e vedremo sviluppo dell’idea d’Europa in maniera diacronica partendo dal quarto secolo avanti cristo fino ad oggi e poi offriremo affondi su testi e temi specifici che ci permettono di incrociare temi particolari, espressioni più illuminate, più avanzate, che ci permetteranno di condurre riflessioni ulteriori. Non bisogna svilire la qualità olistica dei sogni: la capacità dei sogni è la capacità di promuovere il futuro, lo riscaldi prima dentro di te. FEDERICO CHABOD (pagina 2) Corso universitario Storia dell’idea di Europa: ‘Dalla fede in alcuni valori supremi, morali e spirituali, che sono creazione della nostra civiltà europea, è nato infatti l’impulso a ripercorrere storicamente l’iter di questa civiltà e, anzitutto, a rispondere al quesito, come e quando i nostri avi abbiamo acquistato coscienza di essere europei?’ C’è bisogno di capire quando abbiamo cominciato a dirci europei e che cosa significava, quando ne abbiamo preso coscienza e quando essa è diventata una realtà da costruire e proteggere. Dei valori che volevamo difendere. C’è una specie di identità significativa fra storia dell’idea di Europa e civiltà europea. Che cos’è la civiltà europea? Che cos’è la storia dell’idea d’Europa? 580-560 a-c- a Selinunte, metopa del tempio Y, dove viene raffigurato il mito di Europa (versione di Ovidio, ma che nasce ben primo, già attestazioni in Esiodo e poi in omero). Chabod parte dalla Grecia del quarto secolo avanti cristo: procede per grandi medaglioni, come grande carrellata di uomini illustri: momenti centrali della storia europea. Parte quindi ovviamente dalla Grecia. METAMORFOSI DI OVIDIO, II, V 858 E SEGUENTI (pagina 21) Cos, mosaico della casa detta d’Europa: elementi costitutivi del mito vi sono tutti rappresentati: nudità, toro, mare e dislocazione. Il mito parla secondo il suo linguaggio, in maniera simbolica e raggruppa gli elementi cardine del discorso. Europa è colei che dà poi il nome al nostro continente: è una mediorientale. Questo mito di fondazione (della città cretese, minoica) è una dislocata, non è un’autoctona. Grande paradigma che il mito ci insegna: perché le grandi civiltà non sono mai state fondate in autoctonia. Si pensi solo alla grande civiltà di Roma: enea è colui che fugge da un altrove. Ha bisogno di un suo territorio, la sua gente ne ha bisogno. Le grandi ipotesi di civiltà sono tutte state fondate da esuli: il futuro è dei migranti intrinsecamente. La storia ce lo insegna. Alla base della grande costruzione simbolica dell’Europa abbiamo un mito di fondazione che ci insegna che Europa non è una greca. Con una forzatura attualizzante potremmo dire che è una migrante. I greci erano gelosi della loro origine pura, chi non era greco era barbaro, balbuzienti, che non sa neanche parlare. I romani sono molto più moderni: molto più aperti da questo punto di vista (cfr. Seneca). L’inclusività è determinata benissimo nella civiltà di Roma. Per i greci non è così: sono estremamente gelosi della loro grecità, eppure conservano nel mito di fondazione una radice, una spina nel fianco, la memoria che connette alla loro origine una barbara, una dislocata, l’altro. Il mito ci insegna molto. GEORGE STEINER Nato in Francia da una famiglia ebrea di lingua tedesca, formatosi negli Stati Uniti, docente a Ginevra e a Cambridge, lettore vorace in tutte le lingue europee colte e cittadino parimenti disinvolto nel mondo della filosofia come in quello della storia, della letteratura e delle belle arti, poche figure contemporanee incarnano meglio di lui il prototipo dell’umanista europeo moderno. (Mario Vargas Llosa) È uno dei più grandi intellettuali europei. Mentre prendeva la laurea ad honorem in Lettere all’Università di Bologna ha voluto ricordare che le lettere, la magnificenza che la civiltà europea ha raggiunto per musica, lettere a arte non ha prodotto niente, non ha protetto dall’orrore (della Seconda guerra mondiale): coscienza della fragilità dell’Europa, coscienza che ci sono quei famosi valori che dobbiamo mantenere e riconoscere (bisogna vedere se siamo tutti d’accordo). Una certa idea di Europa Propone un’idea di Europa che si sviluppa secondo 5 punti, 5 parametri.  I parafulmini devono essere saldamente infissi nel terreno. Le idee più astratte e più speculative devono essere ancorate nella realtà, nella materia delle cose. Che dire allora dell’idea di Europa? Una frase bellissima, estremamente istruttiva per la nostra vita. I parafulmini allontana la tempesta, protegge dal fulmine, devono essere infissi nel terreno, se no non funzionano. I parafulmini non colgono il loro obbiettivo se non sono infissi saldamente nel terreno. Il primo principio è: l’Europa è i suoi caffè, come luogo di elaborazione e aggregazione intellettuale. Spesso Steiner si diverte a stupire, spiazzare. Parte con quello che sembra una banalità: cela una radice ancora molto efficace. Le cose stanno cambiando in questa parte d’Europa. Il consumismo, l’americanesimo sta prendendo piede anche in Europa. Il caffè era essenziale per l’incontro, la discussione, l’elaborazione: non ci può essere buio come nei bar, c’erano i giornali e ci si può stare tutto il giorno. Questo è uguale in tutti il continente europeo. È questa uniformità la trovi esclusivamente in Europa. Se c’è magari da qualche parte è perché stata importata dai colonizzatori: è una forma della vita analoga. Sono cose uniformi in tutto il continente europeo. È il primo dei principi di Steiner. 23.03.2021 L’UNIONE EUROPEA:  500 milioni, 27 paesi  24 lingue ufficiali  Fondatori: Konrad Adenauer, Robert Schuman, Winston Churchill, Alcide De Gasperi, Jean Monnet  Simboli dell’UE: Il motto ‘unità nella diversità’, l’inno europeo, l’euro, la bandiera europea e la Festa dell’Europa il 9 maggio Allargamento da 6 a 28 paesi: 1952, 1973, 1981, 1986, 1995, 2004, 2007, 2013 Il grande allargamento: l’unione di est e ovest o 1989: cade il muro di Berlino – fine del blocco comunista. Inizi l’aiuto economico UE: programma Phare. o 1992: fissati i criteri per l’adesione all’UE: democrazia e stato di diritto, economia di mercato funzionante, capacità di attuare le norme europee muove dalla fiducia in alcuni valori supremi che sono creazione della nostra civiltà europea, che sono il prodotto della civiltà che è stata sviluppata in questa parte del mondo. Il senso delle istituzioni è determinato dal fatto che la civiltà europea aveva stabilito dei valori, aveva inventato delle cose e che i nostri avi avevano capito, e ne avevano coscienza, che erano europei. L’abbiamo effettivamente acquistato questa coscienza o è ancora da costruire? Non sono valori venuti da fuori, ma che sono stati creati qui: idee e parole sono nate in Europa. Riconosciamo cose che abbiamo creato qui? Non per la primogenitura, ma per la cosa in sé, per il valore che ha. Non parliamo in astratto, non definiamo cose, non ci facciamo delle domande se non ci riguardano davvero. L’idea di Europa per come Chabod la intende nasce da un’esigenza, da un problema del presente, come sempre. Io posso proporre la stessa domanda: siamo europei? in base a quali ragioni? La stessa domanda può averla fatta una persona di un altro momento storico e quindi la risposta sarà diversa perché si fonda su hic et nunc. Siamo in un momento che mostra in maniera feroce il pericolo per cui, mancando lo spirito filologico critico-scientifico con cui guardiamo alla tradizione, non avremmo più storia ma cronaca: c’è una differenza profonda, così come fra informazione e studio. Studiare implica tempo, riflessione, paragonare le fonti, ragionare, in maniera quanto piu possibile critica, scientifica. Dobbiamo trasformare i dati in dati vitali, generativi (che ha la capacità di generare, che ha una vis) perché servano a qualcosa. Bisogna intendere le cose che vediamo come dei processi: condizione di prodotti, qualcosa che si porta attraverso. Bisogna sempre chiedersi chi l’ha fatta, quando, come, dove e perché: i famosi cinque interrogativi. Se tu rispetto a qualunque cosa incontri ti poni queste cinque domande già parti in maniera critica. Vedo quella cosa e me ne faccio interessare: giudicare criticamente. Secondo Chabod, la risposta alla domanda è soggettiva, è legata al tempo in cui mi faccio la domanda, ma da questo momento soggettivo può scaturire una riflessione che è storica, che dà storia, oppure una riflessione che è pura cronaca. Devo togliere tutto ciò che sia legato al mio interesse specifico. Non bisogna ricercare degli anacronismi cronici: non si può forzare, bisogna evitare di imprestare a generazioni lontane le nostre vite, i nostri punti di vista. Rischio di dare significati che siano miei, di proiettarli indietro, ma questo è sbagliato. Se c’è un momento soggettivo (domanda: cosa vuol dire per me in questo momento essere europeo), c’è poi un momento oggettivo della ricerca. È più facile vedere il mio nel passato, ma non serve niente, anzi proietta il presente all’indietro. È molto difficile: questo testo risente dell’atmosfera del dopo guerra. Distingue fra storia dell’idea d’Europa e europeismo, capacità facilona di essere europei: capire cos’è l’idea dell’Europa e i valori della civiltà europea. Cominciamo la ricerca dei fatti, delle cose che ci fanno dire di essere europei. La storia dell’idea si è trasformata in una forma di civiltà, di un modo di essere al mondo, diverso evidentemente di un abitante non europeo. Di cosa è fatto questo modo? Steiner Il paesaggio dell’Europa è camminabile: intimamente, dal punto di vista dell’emozione e dal punto di vista culturale vuol dire che l’uomo domina il paesaggio, non è sovrastato dalle forze della natura. L’uomo europeo è un uomo che domina il mondo, non come un padrone, ma che vive nel paesaggio in maniera armonica. Tutto il nostro paesaggio è armonico, in alcune zone particolarmente. Significa che l’uomo europeo non si spaura davanti al mondo, perché è governabile. Secondo principio: camminabilità, territorio non ostile, dove si può vivere. In tutte le altre zone del mondo non è così. 29.03.2021 Chabod (pagina 2) Precisa alcune coordinate di tipo epistemologico, filosofico. Cosa intendiamo quando diciamo civiltà? Valori morali europei? Cita: sistema di vita e educazione, la paideia greca. Questo sistema di vita è abbastanza uniforme: nessuno può sentirsi estraneo, fatte salve le differenze nazionali. Condizione determinata da valori, ma anche da educazione, da un livello di civiltà riconosciuta, ma anche delle tradizioni riconosciute. Parla di abito, vocabolo ambiguo, non si capisce a cosa si riferisca. Si riferisce all’abito civile, comprende qualcosa sotto la parola ‘civiltà’. L’identità è performativa: non ci sono più le essenze (o razze, etnie). Non esiste questo nella biologia, siamo il risultato di milioni di catene di modificazioni. Non ci sono civiltà o valori affibbiate da una forma della civiltà che non sia frutto della storia, della volontà degli uomini. La ricerca dei fatti è necessaria: dalla ricerca dei fatti passiamo alla ricerca della coscienza dei fatti. Quando gli europei hanno avvertito e quindi difeso il fatto di essere europei? A questa parola cosa corrisponde? Sempre la stessa cosa? No. Ci sono dei costanti? Forse. Il punto di vista che Chabod assume è non quello dei fatti e basta ma della coscienza di quei fatti, dell’assunzione nel significato di quei fatti. Ciò che non ha coscienza di sé non diventa storia. Chabod chiude la sua premessa con una frase lapidaria: io farò la storia dell’idea, comincio dalla Grecia, dal passato, dal mondo antico, attraverserò un momento cruciale che è quello medievale, perché è quando nascono le nazioni effettivamente, nascono le lingue che le identificano (siamo un unicum nel panorama mondiale: la nostra unificazione è stata fatta attraverso la lingua e la letteratura). Appunti per la storia dell’idea d’Europa: dal mito alla letteratura e ritorno (pagina 18) Un mito collegato a Europa è il mito di Cadmo. Fenice, il padre, dà l’incarico al fratello di Europa, Cadmo, di andare a trovare la sorella. Da primogenito è colui che avrà l’investitura regale, ma se non dovesse trovare Europa non diventerebbe re. Non riuscendo a trovarla, Cadmo si rivolge all’oracolo che gli dice che egli vedrà una giovenca bianca e che quando essa si poggerà a terra quella sarà la sua terra. Non dovrà quindi più tornare dal padre. Quella terra sarà Tebe. La terra, però, è dominata da un drago mostruoso, terribile, che è da sconfiggere. L’oracolo lo descrive dicendo che esso ha tre linee di denti, ha tre dentature (senso legato alla mostruosità viene da qui: ripreso nella modernità). Cadmo perde tutti i suoi compagni in questa lotta terribile con il mostro, ma l’oracolo gli dice di prendere i denti del drago e di seminarli: da quelli sorgeranno come la tenda del palcoscenico di un teatro gli uomini (che saranno gli antenati di Edipo, il popolo di Cadmo, di Tebe). Questo perché nel teatro le tende erano poggiate per terra e venivano tirate su: la tenda sorgeva dal suolo verso l’alto. Nelle tradizioni antiche Cadmo è l’inventore dell’alfabeto: Tacito dice ‘noi romani prendiamo l’alfabeto dai greci, i quali lo presero dai fenici’. La capacità di scrivere, la capacità di avere memoria scritta arriva quindi direttamente dal mito di Cadmo. Nello stesso mito Europa - Cadmo abbiamo due elementi importantissimi per la civiltà europea. Cadmo è l’inventore dei segni che fissano la memoria della nascita dell’idea d’Europa: la scrittura è la tecnologia dell’intelletto, ci permette di avere una memoria diversa rispetto a quella legata all’oralità. Steiner Quando cammini a piedi sei costretto a vedere tutto: straordinaria possibilità moderna di viaggiare velocemente, ma non vediamo niente. È un camminare lento, solo la lentezza ci permette di vedere, non la velocità. Questa condizione rende l’Europa percorribile perché è un piccolo pezzo del mondo, ma che ha più grande la sua documentazione, dove c’è documentazione scritta rispetto alla popolazione che c’è e alla storia che ha. Quindi: una forma della vita, non solo avuto, ma pensato come avuto, una forma del vivere che ci fa europei, perché un portoghese condivide questa cosa con un tedesco, un italiano. Una forma della vita analoga. Il secondo principio è la camminabilità che ci dà tanta gioia: non è un terreno ostile, che ci uccide, non ci sono barriere fisiche che ce lo impediscono. Gestione del territorio e amicalità del territorio si collega alle marce che hanno attraversato il continente e dell’idea letteraria che abbiamo costruito su questo: il camminatore, forma letteraria molto presente. L’idea del mendicante, il pellegrino. È una forma che ha poi costruito una sua autorappresentazione: consapevolezza di quello che siamo. 30.03.2021 Teogonia di esiodo (Pagina 20) È un mito quindi è autoevidente, è sicuramente vero: la parola del mito. Il mito per i greci è autoevidente. Fari è un vero arcaico, latino: fas est (è detto, è vero). È una parola che non bisogno di una spiegazione: i latini hanno tante parole per dire parlo o dire, ma il verso fari ha un significato importante (> profeta, colui che parla prima, > professore, professare, parlare per qualcun altro, > fata, > profezia). Idea di quello che significa questo verbo che troviamo come espressione del mito: non è il mito qualcosa che bisogna spiegare in termini dimostrativi, ma è vero in di per sé, nessuno lo mette in dubbio. Non è dato di fede, ma l’espressione trova la sua giustificazione non in una dimostrazione (se A allora B), ma in una verità che prescinde dalla sua dimostrazione perché è autoevidente, la parola del dio che si auto manifesta, che non ha bisogno di dimostrare. Mito di verità che è accettate da tutti non in maniera supina, religiosa, a cui obbediamo, ma perché è così. Questa parola mito, quando passa poi a Roma si dice fabula, che per noi è impregnato di tutto ciò che è il contrario della verità (per noi Cappuccetto Rosso non ha niente di vero), il suo statuto di verità non poggia su quello che Aristotele chiamava verosimile: lo statuto di un racconto. Non pensiamo a un tempo, a un luogo, a una determinazione, la verità di quell’enunciato sta a un altro livello, a un livello di verità sua che on è inferiore. Non racconta bugie ovviamente, ma delle verità secondo il suo sistema di significazione, che non ha bisogno di essere dimostrato. Questo ci riguarda, da Aristotele in poi: ciò che perette il verosimile, ciò che mi fa piangere, la credibilità, la tenuta di verità si tiene in una serie di leggi che lo rendono verosimile (cfr. Manzoni): non ha bisogno di dimostrazioni. Questo mito ci dice che Europa non è una greca, è alle origini della civiltà occidentale, in quanto non autoctona: le etnie sono tutte storiche. Alle radici dell’Europa c sta la mescolanza, un ricordo di migrazione, questo ci dice il mito. Discorso profondamente politico, ma anche letterario: i grandi fondatori di quelli stati non sono autoctoni, ma migranti che hanno bisogno di terra. Questo discorso è come se l’Europa lo avesse dentro di sé, ma non lo riconoscesse: questione della migrazione. Se tuti fossimo consapevole che la migrazione è un dato ineludibile delle civiltà, non ci sono civiltà o razze pure (cfr. quando abbiamo pensato così abbiamo avuto i totalitarismi) la politica funzionerebbe meglio. Questa ricchezza che viene dalla mescolanza l’Europa se la conserva attraverso questo mito che è di dislocazione che ci dice che sono quelli che migrano coloro che hanno bisogno di territori, e sono costoro che fondano le civiltà, chi ha già la terra non ha niente da fondare. I Persiani di Eschilo (Pagina 31) Chabod (Pagina 2) Europa esplorata, ma ancora idea mitica, più che l’Europa che abbiamo adesso, questo lago centrale che è il mediterraneo, un mondo chiuso che non ha le onde dell’atlantico, navigabile, che già da Omero ha sulle sponde i mostri. Nell’immaginario greco il centro non è la terra ma l’acqua, c’è una distinzione geografica dell’Europa che va fino all’Europa esplorata. In Erodoto troviamo che l’Europa finisce con il mare adriatico. Noi a Bologna non saremmo Europa: conoscevano il mondo sin lì, non si erano ancora spinti fin là, ci si basa su quello che si conosce. E poi c’è un Europa più ampia: da Gibilterra si immette nel mare. Dal punto di vista geografico è un Europa che si sta ancora gestendo sulle sue dimensioni. L’identità intima dell’essere è profondamente europea. In questa prospettiva quella prima anima, Atene, si coglie immediatamente. La natura di essere figli di Atene è indubbia nelle parole, nelle cose che abbiamo imparato e portato avanti, queste tre luci perfette del pensiero speculativo. È indubitabile che trovano la loro radice in Grecia. Andiamo al secondo corno della questione, il contrario: la città di Socrate è contraria alla città di Isaia. In cosa consiste la città di Gerusalemme. È difficile che questa coscienza occidentale ed europea non sia stata toccata dall’identità dell’ebraismo: Steiner viene fuori in maniera anche personale. La sfida del monoteismo, la sfida della religione cristiana è il monoteismo: è un’invenzione, non c’è prima. Tutte le altre civiltà, oriente, Grecia, Roma non hanno il monoteismo. È un discorso culturale, si rispettano le diverse religioni, ma l’invenzione, la definizione di un principio creatore del mondo, di un principio unico è un’invenzione giudaico cristiana. Differenze profonde con la grecità: diversità della concezione di tempo. Il tempo giudaico-cristiano è teleologico, che nasce con un gesto simbolico del dio monoteista: dio che crea attraverso non un fare, ma un dire (è il logos, il verbo, che crea il mondo: è molto vero rispetto a quello che studiamo). Il tempo è teleologico, va sempre in avanti, finché non finirà il mondo. Incarnazione di dio che non è più dio ma è un uomo: spartiacque del prima di Cristo e dopo Cristo. Visione della storia come un tempo dotato di significato. Diversa è la concezione greca del tempo: 3 modi per dire tempo. Bisogna conciliare queste due concezioni, convivono. Per un romano il tempo, il fine delle cose, non è il nostro, non è il tempo del mondo e della storia come nella concezione giudaico-cristiano: dobbiamo negoziare. Siamo figli di Atene per tutte le cose di prima, ma siamo anche figli di Gerusalemme. Paradossalmente la formula einsteiniana è quasi religiosa, il laicissimo Einstein sta portando avanti qualcosa che va d’accordo con la religione. La parte religiosa e la parte scientifica non è detto che non vadano necessariamente d’accordo. Questa radice giudaica e il giudaesimo lo ritroviamo ovunque in realtà. Il rapporto non è mai stato facile. La tensione (tutto quello che la calamita fa su una barra di ferro) è difficile, non è definito in una volta per tutte. Il conflitto nasce dalla radicalizzazione di queste due istanze: se estremizzo Atene non è Gerusalemme, l’istanza razionale non è l’istanza religiosa. L’estremizzazione: è per questo che performativo e negoziazione sono due parole così importanti. Significa essere disposti a lasciare una parte: non è facile, è doloroso, ma non è evitabile. Abbiamo queste due istanze schizofreniche, ma le abbiamo. Nel momento in cui io rispetto le varie religioni è evidente che c’è un discorso di negoziazione e armonizzazione, e non è impossibile. L’Europa deve candidarsi a dire che la pace è sempre possibile. È importante dire che non sempre ce la si fa: due storie che sono in conflitto, difficile da combinare. Si arriva al quinto criterio. Noi sappiamo che il mondo finirà: ce lo dice anche la scienza. L’idea che in questa zona del mondo, l’Europa è come se avesse dentro di sé l’idea della sua moribilità: è il punto più oscuro e tragico di Steiner. L’arte e la letteratura sono moribili, esistono solo nella misura in cui noi le sistemiamo e le difendiamo. L’arte e la letteratura, tutto quello che siamo riusciti a raggiungere, esiste nella misura in cui le diamo un valore, non sono autoprotette, le dobbiamo proteggere: ci deve rendere consapevoli. L’Europa se esiste (e sembrerebbe si sì), la vita e l’arte è contornata da tutto questo: abitudini e vite diverse. Anche sul piano culturale, sul piano di ciò che in Europa abbiamo costruito e inventato: l’Europa è ancora una grandissima scommessa per il futuro. Abbiamo già raggiunto delle cose eccezionali, perché ci possiamo muovere con tranquillità fra le nazioni. Questa complessità della propria storia, questa moribilità rende il discorso più cupo: conclude con una domanda. Il libro non chiude con una risposta al: e adesso? Steiner si ferma. Non risolve tutta questa bellezza. 13.04.2021 Steiner Non propone un’ipotesi felice, propositiva per l’Europa. Partiti dai momenti che ci avevano anche tanto rinfrancato siamo sprofondati nelle contraddizioni: non ci protegge dalla catastrofe della guerra mondiale. Aggiunge in queste ultime pagine alcune idee e che cambiano un po’ il parametro: non danno delle soluzioni. Steiner alla luce anche della sua vita personale (ebreo, di cultura francese, che ha vissuto anche in America) punta il dito a quelle che sono state le catastrofi. Il fatto che la letteratura, l’arte e la filosofia, tutto ciò che la mente occidentale è riuscito a raggiungere non ha protetto dall’orrore, dalla catastrofe. Vargasia: L’Europa comunque vive nella tensione di essere qualcosa di bello. L’educazione è una cosa seria, ex ducere, tirare fuori dall’individuo la sua parte migliore e promuoverla (maieutica). L’educazione vuole promuovere la parte migliore di un individuo. La professione è quello che sono tenuto a compiere perché sono tenuta ad essere: quello che ora chiamiamo vocazione, qualcosa che è curato (sa di quello che parla perché ha studiato, si è educato). Il pericolo del nostro tempo è di trasformare in burocrazia manageriale, che ci fa sentire intelligenti, ma riduce la vita della mente che è una cosa più ampia, complicata e bella. ‘Aristocrazia’ significa che non è di tutti? Che la democrazia è apparente? Che tutti accedono all’educazione, ma il vero sapere appartiene a un’aristocrazia degli spiriti, quindi a pochi? L’aristocrazia è avere la forza di indossare dei paraocchi per concentrarsi sulla perfezione di quello che si fa: fa un esempio filologico evidentemente (esaltazione del particolare). Cosa vuol dire che bisogna diventare monaci? C’è l’dea di un medioevo in cui i monaci salvano i classici trascrivendo nei monasteri: sembra un atteggiamento di ripiegamento, ma in realtà è la chiave per contrastare il livellamento indistinto, l’americanizzazione, la trasformazione del sapere in merce, la burocrazia della mente. Chi fa solo applicazione pratica: sam0 immersi in un mondo in cui se non c’è applicazione pratica la speculazione non ha valore. È un punto importante; è la ricerca libera che scopre le cose nuove. La ricerca applicata è quando io stato do un finanziamento perché tu mi hai dato un progetto, un brevetto, chiedo dei soldi per una cosa che progetto e realizzo. La ricerca di base è io tipo pago perché tu studi e basta: la ricerca libera, senza sapere già cosa si realizza o si scopre. Si danno sempre meno soldi per la ricerca di base, che è in realtà ciò che fa veramente andare avanti il mondo. Essere posseduti dalla ricerca di verità, spesso astratta: è questo che sta dicendo. Non possiamo finanziare solo la ricerca applicata, perfezioniamo solo ciò che già sappiamo, in campi noti, sempre gli stessi. È questo che abbiamo inventato in questa parte del mondo: la speculazione. Quando si parla di eudemonia, di felicità: pace che viene da una unificazione, ti senti unito, il cervello è unito al corpo e al cuore. Gli antichi distinguevano fra mente e intelletto. È quando siamo unificati, interi. È a questo che si rivolge Husserl quando dice che Europa allude all’unità di una vita. Questi orizzonti indicano una nuova storicità. Legame con il discorso di prima delle scienze applicate: è disinteressato, fuori dalla monetizzazione. È una speculazione non fine a se stessa, ma libera dalla monetizzazione. La comprensione delle cose implica lo stupore: quando finalmente diventa chiara, perché comprensibile. Lo vedi per la prima volta finalmente: quando studi una cosa e a un certo punto al capisci, come un’illuminazione. La stanchezza che viene dal peso dei libri degli studenti: sapere occidentale che diventa materie di museo, non è piu viva, non si trasforma in sapere che aggiunge qualcosa alla nostra vita, è un saper inerte. Moribilità: l’idea di Europa può morire se non c’è qualcuno che la sostiene, i valori della civiltà europea possono morire. È il concetto su cui insiste Steiner: qui esce il pessimismo dell’uomo, derivato dalla sua esperienza. Il grande museo dei sogni del passato che chiamiamo storia: consideriamo l’idea della memoria, la storia se non diventa vita è storia da museo, è l’inerte che proteggiamo in una teca ma che non riguarda la mia vita, la mia esperienza. Un inglese o un americano che parla una varietà d’inglese si sente a casa nel mondo: parlano la lingua di tutto il mondo. La lingua franca è diventata l’inglese: ha portato a una standardizzazione linguistica. La santità dei minimi particolari: quello che è differenza è un’estrema ricchezza dell’Europa, rispetto ad altri territori dove il livellamento costante sta producendo un mondo uguale dappertutto. L’Europa è la parte del modo dove è raggiungibile il maggior numero di informazioni storiche: il problema è come gestire questa memoria storica. C’è la possibilità di mantenere la differenza nella pace. Il desiderio di uniformità, che è sempre una tentazione perché tutto uguale è più facile, è la forza e la debolezza dell’America. La minaccia minore è l’uniformità, la massificazione culturale. Steiner non si nasconde: dietro al fatto che lui non abbia la risposta. Non vuol dire che non ci sia una risposta. Al di là dell’essere o non essere credenti, l’Europa è impregnata fortemente dal cristianesimo. Anche questa è una verità, bisogna tener conto di tutto (anche della memoria più fastidiosa e spiacevole): in questo perimetro di spazio dove abbiamo avuto Socrate, Platone, Michelangelo non ha protetto dall’orrore, dal fatto che il virus, l’antisemitismo, l’odio per il diverso, l’intolleranza verso ciò ce non è come me è sempre dietro l’angolo e se non è dominato dalle leggi della ragione, della cultura, non è risolvibile. Scavalla nell’utopia: rivoluzione contro industriale. È qualcosa che in realtà sta avvenendo in qualche modo. È un Europa che diventerà più povera, inevitabilmente. In questa prospettiva che valorizza il significato della vita sulla terra, in questa parte della terra potrebbe essere visto non necessariamente come un regresso, perché quel tipo di progresso legato soltanto al consumo è un regresso. Ce lo ha detto in un certo senso il covid, i mari, i fiumi: la terra non ha più la forza di reggere questa produzione incontrollabile e incontrollata. L’Europa può candidarsi per questa ipotesi perché in Europa sono nate queste idee. È impietoso, di chi altri deve essere la colpa se non di chi studia l’arte, la letteratura, la cultura. Aver dato valore alla parte umana che si è inventata qui. Quindi: i cinque parametri dell’idea di Europa: 1. L’Europa è i suoi caffè 2. L’Europa è stata, e viene ancora, camminata 3. Le strade, le piazze dove camminano gli uomini europei hanno preso il nome da statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi 4. Il dualismo primordiale della doppia eredità di Atene e Gerusalemme 5. La consapevolezza escatologica L’Europa non è una cosa che esiste in sé, che esiste una volta per tutta: popone una condizione di vita vulnerabile, è vulnerabile, se esiste esisterà nella misura in cui la proteggiamo. C’è bisogno di una quota di sogno, se non ci fosse una parte di sogno nessuno di noi avrebbe inventato le cose della nostra vita. Una parte di sogno è necessario proteggerla, non per diventare dei sognatori falliti, ma perché ci vuole quello slancio che porta avanti. Confligge su che cosa possa essere la memoria e la memoria dell’Occidente. Steiner era partito guardando una cosa più complicata: frase di Weber e Husserl. Si pone in un momento in cui l’Europa era crollata, quel lungo periodo che va dal 1914 al 1945 per il quale ci fu una carneficina continua in Europa. L’interludio fra la prima e la Seconda guerra mondiale non fu una vera pace. Le notti chiare erano tutte un’alba: antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale a cura di Andrea Cortellessa (Milano, Bruno Mondadori, 1998) (pagina 55) Andrea Cortellessa comincia a disegnare, a partire dai testi poetici che lui guarda della Prima guerra mondiale. Abbiamo detto che la costruzione dell’Europa deve avere una quota di sogno, e che quindi esiste nella volontà di costruzione di qualcosa. Steiner stesso ha sottolineato come l’idea d’Europa, l’eccellenza Noi viviamo di una tecnica che non vediamo più: un artigiano conosceva perfettamente il suo artigianato, i suoi strumenti, controlla tutto quello che fa. Noi viviamo invece di strumenti che non sappiamo com’è fatto: proviamo a usarlo perché pensiamo di capire come funzione. Si è perso il nesso fra il governo della tecnica e la tecnica. Se la violenza è invisibile: violenza a livelli diversi. La relazione fra una violenza invisibile: in automatico c’è la sospensione della morale  non mi tocca, non c’è un giudizio. Era sottratto alla vista l’orrore della guerra: non si vedevano le foto dei campi di concentramento, venivano tenute segrete. È la prima guerra la premessa ideologica dei campi di sterminio: nesso modernità-violenza, equiparazione della guerra a una produzione, affinamento della tecnica in funzione di devastazione. Se stiamo cercando le ragioni morali e culturali non possiamo non confrontarsi con quel periodo in cui quelle sono state più sconfessate, sono venute più a patto. ‘Quel che resta di Auschwitz’ di Giorgio Agamben Se il problema delle circostanze storiche (materiali, tecniche, burocratiche, giuridiche) in cui è avvenuto lo sterminio degli ebrei può considerarsi oggi sufficientemente chiarito, ben diversa è la situazione per quanto concerne il significato etico e politico dello sterminio o anche soltanto la comprensione umana di ciò che è avvenuto - cioè, in ultima analisi, la sua attualità. Non soltanto manca qui qualcosa come un tentativo di comprensione globale, ma anche il senso e le ragioni del comportamento dei carnefici e delle vittime e, molto spesso, le loro stesse parole continuano ad apparirci come un enigma. Tra il voler capire troppo e troppo presto di coloro che hanno spiegazioni per tutto e il rifiuto di capire dei sacralizzatori a buon mercato, questo libro sceglie una terza via: prova ad ascoltare non tanto la voce dei testimoni, quanto la lacuna intestimoniabile, la "presenza senza volto" che ogni testimonianza necessariamente contiene (cioè, nelle parole di Primo Levi, coloro che hanno "toccato il fondo" - i "musulmani"). In questa prospettiva, Auschwitz non si presenta più soltanto come il campo della morte, ma come il luogo di un esperimento ancora impensato, in cui i confini fra l'umano e l'inumano si cancellano; e, messa alla prova di Auschwitz, l'intera riflessione morale del nostro tempo mostra la sua insufficienza per lasciar apparire fra le sue rovine il profilo incerto di una nuova terra etica: quella della testimonianza. Siamo di fronte a una frangia di persone che negano l’esistenza della Shoah. La maggior parte delle persone accampando ragioni nobili. Quando ci si confronta con il limite dell’umano. 20.04.2021 Memoria di Jacques le Goff Se questa civiltà europea non è servita fra prima e seconda guerra a mondiale a proteggere da momenti di assoluta barbarie, allora a cosa serve? È necessaria questa cultura? Non è riuscita a proteggerci in un momento in cui avrebbe dovuto. Nel De oratore [2, 86] Cicerone ha narrato sotto forma di leggenda religiosa l’invenzione della mnemotecnica per opera di Simonide. Durante un banchetto offerto da Scopa, un nobile tessalo, Simonide cantò una poesia in lode di Castore e Polluce. Scopa disse al poeta che non gli avrebbe pagato se non la metà del prezzo convenuto: chiedesse l’altra metà agli stessi Dioscuri. Poco piú tardi Simonide venne avvisato che due giovani chiedevano di lui; egli uscí ma non trovò nessuno. Ma, mentre era fuori, il tetto della casa crollò seppellendo Scopa e i suoi convitati, riducendo irriconoscibili i loro cadaveri. Simonide li identificò rammentando l’ordine nel quale essi erano seduti a tavola, cosicché si poterono restituire le salme ai rispettivi parenti [cfr. Yates 1966, trad. it. pp. 3 e 27]. In tal modo Simonide fissava due principi della memoria artificiale secondo gli antichi: il ricordo delle immagini, necessario alla memoria; l’appoggio su di un’organizzazione, un ordine, essenziale per una buona memoria. Ma Simonide aveva accelerato la desacralizzazione della memoria e accentuato il suo carattere tecnico e professionale perfezionando l’alfabeto e facendosi, per primo, dare un compenso per i propri componimenti poetici [cfr. Vernant 1965, trad. it. p. 64, nota 1]. Sarebbe da attribuirsi a Simonide una distinzione capitale nella mnemotecnica, quella tra i «luoghi di memoria», nei quali si possono disporre, per associazione, gli oggetti della memoria (lo zodiaco doveva presto fornire un tale quadro per la memoria, mentre la memoria artificiale si costituiva come un edificio suddiviso in «stanze di memoria»), e le «immagini», forme, tratti caratteristici, simboli che consentono il ricordo mnemonico. In questo raccontino si fissano una serie di cose importanti per la memoria: p in grado di riconoscere perché ricorda le facce dei convitati e dove sono seduti, ha un’immagine di loro. Sono seduti secondo un ordine. C’è l’immagine della cosa e l’ordine in cui la cosa è disposta. È un racconto simbolico. Ce lo hanno anche confermato degli esperimenti: modello antico concorda. C’è una relazione fra lo spazio che si percorre e la memoria che viene a galla (come con i sogni, vai per immagini che hanno però una disposizione spaziale). Per questo usiamo dire ‘luogo della memoria’, che articola una sintassi della memoria. Esce da questo racconto però che la memoria intanto serve nella catastrofe. Attraverso il suo sapere ricorda: legame fra memoria e morte. La memoria esiste nella misura in cui è un gesto di vita per qualcosa che non c’è più: può essere una data, una persona o un fatto che non c’è più. Può appartenerci intimamente o esserci estranea. C’è una distinzione in queste immagini: la memoria emotiva è diversa dalla memoria e basta. Questo brano che mette al centro della sua trattazione fissa due cosa importanti: la memoria è sempre contro la morte, qualcosa che reagisce, si oppone alla morte, alla dissoluzione, all’olio, alla dimenticanza, all’indifferenza. Opponendosi costruisce qualcosa che è una vita seconda, è una vita della memoria, che più si va avanti egli anni più si amplia: il bambino ha pochissimi ricordi, anche se fondamentali. Si accumulano: il bagaglio di ricordi è funzionale all’0identità di una persona, lo si organizza, in modo funzionale cancella e mantiene determinate cose, toglie dalla compresenza certi dati. Però se qualcuno ve li richiama questi dati vengono di nuovo a galla: ci sono da qualche parte, ma c’è bisogno di questa capacità di ritirarli fuori. La memoria culturale è una cosa complicata, funziona in fondo nello stesso modo. Ci sono delle cose che devono essere portate a galla attraverso lo studio culturale che poi da valore a quell’elemento. Si riprendono i ricordi da un luogo che conserva quelle cose, ma per far sì che diventino attive c’è bisogno di un percorso di riconoscimenti, di ricordo. Non è automatico il ricordo. Ci sono quei ricordi che non vanno mai via. Ci sono altri ricordi che richiedono una fatica per essere riportati a galla. L’archivio e la testimonianza di Giorgio Agamben (da Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone) Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale di Aleida Assmann, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 149 e seguenti La rigida contrapposizione fra storia e memoria mi sembra altrettanto inadeguata che la loro completa identificazione. […] Vorrei invece proporre di considerare storia e memoria come due diverse modalità del ricordo che non devono necessariamente escludersi a vicenda, né costituire una vicendevole minaccia. […] Per superare l’impass, contrapposizione o identificazione tra storia e memoria, bisogna fare un passo in avanti e intendere il funzionamento di memoria vivente e memoria astratta come due diverse modalità del ricordo. Propongo di definire ‘memoria funzionale’ la memoria vivente. Le sue caratteristiche peculiari sono: l’essere inerente al gruppo, la selettività, l’eticità e l’orientamento verso il futuro. Le discipline storiche si interessano invece a un secondo tipo di memoria: una sorta di memoria delle memorie, che include tutto quanto abbia già perduto una relazione vitale con il presente. Propongo di definire ‘memoria-archivio’ questa memoria delle memorie. […] Non c’è nulla di più comune del continuo decadimento nel dimenticato, l’irrimediabile cadere nell’oblio di conoscenze e di esperienze di vita una volta importanti. Questi resti, ormai astratti dal vissuto e divenuti oggetto senza padrone, possono essere accolti sotto l’ampio manto delle discipline storiche, o essere rielaborati in modo tale da avere di nuovo accesso alla memoria funzionale. […] La memoria-archivio conserva a livello collettivo l’inutilizzabile, il diverso, il sorpassato e il sapere specialistico neutro per l’identità, ma anche il repertorio delle occasioni perdute e delle opzioni alternative e delle opportunità non utilizzate. La memoria funzionale, invece, è una memoria strutturata da un processo di scelta, di collegamento, di costruzione del senso. Gli elementi a sé stanti e privi di strutturazione passano nella memoria funzionale solo a patto di divenire organici a essa, strutturati per essa e a essa collegabili. Da questo atto creativo scaturisce il senso, una qualità fondamentalmente estranea alla memoria-archivio. Abbiamo altre due qualifiche: memoria vivente e memoria astratta. Una memoria funzionale: è funzionale alla vita, è una parte della tua vita, ma che implica a un gruppo, è inerente a un gruppo. C’è una compartecipazione. La selettività significa che ricorda qualcosa e non qualcos’altro. La selezione: quando accade qualcosa, non tutto noi ricordiamo. L’eticità: il giudizio che diamo su quello che ricordiamo. Orientamento sul futuro: è il tuo bagaglio che orienta la tua vita. Tutti abbiamo un debito di riconoscenza verso qualcosa che ci ha generato: sia che sia positivo o negativo, siamo tutti figli di qualcuno. C’è stato un altro che ha deciso che nascevi, non l’hai deciso tu. Memoria delle memorie: se io penso a una battaglia famosa o a un avvenimento famoso non c’è una relazione vitale con quel fatto. Non mi fa né piangere né ridere, è solo un fatto. Quella che è appannaggio della storia è la memoria delle memorie, non è la memoria funzionale. Ci sono elementi che vanno nel decadimento, nell’oblio in maniera perenne: accade sempre nella nostra vita (per esempio la morte di qualcuno)  il cadere nel dimenticato. Bisogna sempre mettere degli argini che impediscano la dimenticanza, perché essa dietro l’angolo sempre. La nostra mente non può trattenere tutto, fa pulizia. Ma quando poi un elemento della nostra vita caduto nell’oblio viene richiamato può rientrare nella nostra memoria funzionale. Il senso è dato dal fatto che quell’elemento singolo lo metto in una struttura, in una biografia che sia anche la mia, in un ordine che diventa significativo: la memori archivio è costituita da elementi inerti, diventati significativi. La memoria culturale si ha quando a quegli elementi che fanno parte della memoria archivio, che ci sono appartenuti come i manuali di storia, gli si dà un significato che fa passare quest’energia, che è il senso. Atto creativo lo chiama Agamben: quando si mettono insieme le cose per cercare un significato. Attraverso questo riusciamo a togliere dalla rigidità, gli si dà vita, a diventare significante e parlante. Rispetto all’Europa cosa c’è che vi parla. Anche le memorie faticose! Tutte le memorie se non ci appartengono sono oggetti di museo. Cosa ci appartiene della storia culturale dell’Europa? Cosa serve? Cosa ci fa muovere? Molto poco. Perché quello che ci a muovere è uno sforzo, una ricostruzione di senso, che non è mai gratuita, mai automatica. Per quanto indispensabile e suggestiva, la scrittura come metafora della memoria è anche imperfetta e fuorviante, perché la persistenza della trascrizione contraddice in modo eclatante la struttura del ricordo, che è di per sé intermittente e presuppone necessariamente l’intervallo della sua non-presenza. Non ci si può ricordare di ciò che è presente: perché sia possibile ricordarlo, è necessario che esso venga temporaneamente rimosso e riposto in un luogo dal quale si possa poi richiamarlo alla mente. Il ricordo non presuppone una presenza permanente, né tantomeno un’assenza, bensì un’alternanza di presenza e assenza. La metaforica della scrittura, che implica al contempo la fissazione segnica e la leggibilità permanente dei 21.04.2021 Verrebbe da ripetere, a proposito della comunità internazionale, la risposta che diede Gandhi quando gli chiesero cosa pensasse della civiltà occidentale: ‘Sarebbe un’ottima idea’. La citazione di Gandhi è ironica: questa civiltà occidentale non è così salda, ferma e incrollabile come avremmo pensato, perché non ha protetto dalla guerra. Cos’è memoria nell’antichità? Mnemosine sovraintende a tutto il resto, senza memoria non è possibile nulla, non è possibile storia, presente, vita. È la madre delle nove muse, da essa generate in nove notti trascorse in compagnia di Zeus. Il canto II dell’Iliade: interminabile elenco di navi  valore dell’elenco, l’elencazione è la prima forma della memoria. L’accumulo dei dati è proprio dell’immagazzinamento della memoria-archivio. Si definiscono delle figure che sono i custodi della memoria (sciamani). I funzionari della memoria: mnemon, riprendono direttamente da Mnemosine. Poi vi è la famosa storiella del dio egizio hot riferisce Platone nel Fedro. Della mnemotecnica parla già Aristotele. Come abbiamo detto, il mito di Europa si lega anche all’invenzione della scrittura, fondamento della memoria. Dentro il termine sofia, di filosofia, il legame con la memoria e con l’eccellenza della memoria all’interno delle arti e delle muse che le governano. Nel passo del De Oratore di Cicerone ritroviamo Simonide di Ceo e l’invenzione della mnemotecnica. Testimone Siamo in un momento in cui la memoria subisce uno scossone forte, un momento doloroso per la civiltà occidentale: Seconda guerra mondiale. Il testimone è implicato nel discorso sulla storia. Si ha storia solo perché si ha dei testimoni (indiretti o diretti).  In latino ci sono due parole per dire testimone. La prima: testos, da cui deriva il nostro termine testimone, significa etimologicamente colui che si pone come terzo (*terstis – tertium stat) in un processo o in una lite tra due contendenti (per essere testimone imparziale dev’essere estraneo a quella lite, non è implicato: conflitto di interesse). La seconda, superstes, indica colui che ha vissuto qualcosa, ha attraversato fino alla fine un evento e può dunque renderne testimonianza. Poiché è un superstite, è ancora vivo. Nessuno di coloro che sono stati nei campi è un testimone, sono tutti superstiti. Da Agamben: un tipo perfetto di testimone è Primo Levi. Diventa uno scrittore quasi suo malgrado solo per testimoniare (non era uno scrittore e forse non lo è mai diventato). Che tipo di testimone è Levi? Non è un terzo, egli è in ogni senso un superstite, ma la sua testimonianza non è abbastanza neutrale. Non è il giudizio che gli importa o il perdono. Vi è una consistenza non giuridica della verità in cui la questio facti non può mai essere ricondotta alla questio iuri: questo è affare del superstite, tutto ciò che porta un’azione umana al di là del diritto. Il verbo latino spondeo da cui deriva il nostro termine responsabilità e tante altre significa portarsi garante per qualcuno o per se stesso di qualcosa di fronte a qualcuno  posso usare la parola spondeo quando sono garante per qualcuno di qualcosa di fronte a qualcun altro. Così, per esempio, nella promessa di matrimonio, la pronuncia di spondeo da parte del padre come garanzia per la figlia di fronte allo sposo (sponsor deriva da spondeo: io garantisco per). Il gesto dell’assumere responsabilità è dunque genuinamente giuridico e non etico (lo diventa). Non esprime nulla di nobile o luminoso, ma implica solo l’obbligatio: legarsi, in prigionia per garantire il debito. È strettamente intrecciato al concetto di colpa come tale, che in senso alto indica l’imputabilità di un danno. Responsabilità e colpa indicano due aspetti dell’imputabilità giuridica. Insufficienza e opacità che emergono con chiarezza ogni volta che c’è bisogno di tracciare il confine fra l’etica e il diritto. Distinzione fra responsabilità/colpa morale e responsabilità/colpa giuridica: Eichmann durante il processo di Gerusalemme.  Testimone si dice in greco martis, martire. E deriva dal verso che significa ‘ricordare’. Il superstite ha la vocazione della memoria, non può non ricordare. Il martirium è la morte di uno che testimonia. Aushwitz non fu un martirio: su questi i superstiti sono tutti d’accordo. Se li chiamiamo martiri mistifichiamo il loro destino. Il termine martis si lega alla parola ricordare. Il superstite non può non ricordare. Questo legame che il superstite ha rispetto alla memoria del suo ricordo. Martis, che inizialmente, appunto, significava solo testimone, passa a significare martire attraverso l’accezione di questo grecismo nel latino dei cristiani  la dottrina per martirio nasce per coprire lo scandalo di una morte insensata (la persecuzione dei cristiani continua per 300 anni). Di fronte allo spettacolo di una morte apparentemente sine causa (il riferimento a Luca e a Matteo è chiarissimo) permetteva di interpretare il martirio come un comando divino e trovare una ragione all’irragionevole. Ma tutto ciò non ha niente a che fare con i campi di concentramento. Tutti i tentativi di spiegazione dello sterminio degli ebrei sono falliti: è sbagliato interpretarlo come una punizione divina. Il fatto di essere insensato lo rende ancora più spaventoso. Primo Levi L’olocausto è filologicamente sbagliato, nasce dall’esigenza di giustificare la morte sine causa: restituire un senso a qualcosa che non ce l’ha. È la trascrizione dotta del latino holocaustum, che traduce il termine greco holocaustus, che per un aggettivo significa ‘tutto bruciato’. La storia semantica del termine è essenzialmente cristiana perché i padri della chiesa senza troppa coerenza se ne servirono per indicare una complessa dottrina cristiana della bibbia: il levitico riduce quattro tipi fondamentali di sacrifici. I nomi di due di essi sono significativi. La traduzione latina del greco traduce uno di questi con holocaustum e l’altro con obblatio. Il termine holocaustum passa quindi a indicare i sacrifici degli ebrei nei numerosi commenti del testo sacro. Lo stesso sacrificio di Cristo sulla croce viene indicato olocausto. Assumerà sempre più il significato di sacrificio grandissimo, totale.  Il termine olocausto non stabilisce una connessione lontana non può essere adoperato, perché quello biblico era un sacrificio, liberamente scelto dall’uomo per dare omaggio a dio: sacrificare qualcosa per celebrare. Un ebreo che ha attraversato i campi non può accettare il termine: non un sacrificio, ma un’aberrazione della storia di cui difficilmente ci si assume la colpa, ma non può essere chiamato sacrificio. Ineffabile: ‘non soggetto a parola’. Primo levi dice: il massacro nazista è indicibile (non ha paragoni quantitativamente e qualitativamente), ma perché conferire allo sterminio il prestigio della mistica (ciò che è ineffabile è mistico)? Dire che Aushwitz è indicibile e incomprensibile equivale a adorarlo in silenzio, a contribuire alla sua gloria. Noi invece non ci vergognano di tenere fisso lo sguardo: ciò che è inenarrabile lo troviamo facilmente in noi. Questa indicibilità ha un’eccedenza. Poste queste condizioni come si può organizzare la testimonianza di questo? Contiene una lacuna e su questo tutti i superstiti sono d’accordo: in ogni testimonianza manca qualcosa perché tutti, essendo superstiti, hanno subito un privilegio, il fatto di non essere morti. Il testimone integrale è quello che è morto: ciò con cui combatterà Levi fino alla fine. Quelli che l’hanno vissuta non lo diranno mai, mai veramente, mai fino in fondo: il passato appartiene ai morti. Chi è sopravvissuto non l’ha sperimentato. Il vero testimone è colui che è morto, colui che non può parlare. 26.04.2021 Rinnovo della Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea La dichiarazione di Roma (25 marzo 2017) Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell'UE, siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dall'Unione europea: la costruzione dell'unità europea è un'impresa coraggiosa e lungimirante. Sessanta anni fa, superando la tragedia di due conflitti mondiali, abbiamo deciso di unirci e di ricostruire il continente dalle sue ceneri. Abbiamo creato un'Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare. L'unità europea è iniziata come il sogno di pochi ed è diventata la speranza di molti. Fino a che l'Europa non è stata di nuovo una. Oggi siamo uniti e più forti: centinaia di milioni di persone in tutta Europa godono dei vantaggi di vivere in un'Unione allargata che ha superato le antiche divisioni. L'Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche. Insieme, siamo determinati ad affrontare le sfide di un mondo in rapido mutamento e a offrire ai nostri cittadini sicurezza e nuove opportunità. Renderemo l'Unione europea più forte e più resiliente, attraverso un'unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni. L'unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni. Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile. Per il prossimo decennio vogliamo un'Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione. Vogliamo un'Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica. Vogliamo un'Unione che resti aperta a quei paesi europei che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli. In questi tempi di cambiamenti, e consapevoli delle preoccupazioni dei nostri cittadini, sosteniamo il programma di Roma e ci impegniamo ad adoperarci per realizzare: 1. Un'Europa sicura: un'Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un'Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata. 2. Un'Europa prospera e sostenibile: un'Unione che generi crescita e occupazione; un'Unione in cui un mercato unico forte, connesso e in espansione, che faccia proprie le evoluzioni tecnologiche, e una moneta unica stabile e ancora più forte creino opportunità di crescita, coesione, competitività, innovazione e scambio, in particolare per le piccole e medie imprese; un'Unione che promuova una crescita sostenuta e sostenibile attraverso gli investimenti e le riforme strutturali e che si adoperi per il passato e presente si parlano e annunciazione: non posso che metterci il tempo. Il tempo imprime il suo segno: ogni storia è storia contemporanea. Riconosciamo il tempo in cui quell’immagine è realizzata, però ripetiamo delle cose che diventano identiche, i gesti in particolare. Warburg dice che c’è qualcosa dal passato che è permanente e quindi non è vero che il passato è inconoscibile, ma il presente arricchisce quella cosa. Le alterità bisogna riconoscerle, ma qualcosa del passato lo possiamo riconoscere. I gesti sono ancora quelli che facciamo adesso, ma è semantizzato ogni volta.  Warburg spiega che fra la tradizione e l’innovazione, fra il passato e il presente io posso riconoscere quelle famose pile che creano un cortocircuito, un’energia fra passato e presente e permettono al presente di essere significativo, significante. Siamo fatti di significati, ed essi si riconoscono solo attraverso la cultura e lo studio. E così vale anche per ciò che riguarda l’Europa. 27.04.2021 Chabod (pagina 2) Con le guerre persiane la definizione di Europa è per contrapposizione ad Asia, che vuol dire assenza di costumi e leggi, mollezza. Si tratta quindi di attributi di tipo morale, ma anche politico. Ancora in Dante abbiamo la definizione territoriale dell’Europa, ma non abbiamo ancora l’aggettivo ‘europeo’: la nascita dell’aggettivo europeo, la formazione di questi termini avviene intorno al VI-VII secolo con la rinascita dell’impero carolingio (nono secolo dopo cristo). Rinascita dell’Impero romano, ora Sacro romano impero: l’elemento religioso diventa preponderante. Pur essendo Carlo un franco fomenta la nascita e lo sviluppo della cultura occidentale europea. Grande rinascita che significa riscoperta dei classici che significa che si copiano di nuovo i manoscritti dei classici. Attorno a questi anni c’è la rinascita di una restaurazione dello spirito imperiale. Si viene a definire che l’Europa diviene la cristianitas: sovrapposizione fra questi due concetti inevitabile. Il VI-VIII secolo dopo cristo: momento dell’alto medioevo, momento non rilevato dalle storiografie ufficiali, momento di germinazione della storia dell’Europa. Fioriscono delle parole proprio in questo momento: modernus (diversi dagli antichi). La prima attestazione di ‘europeo’ però ce l’abbiamo in una cronica dio Isidoro Pacensis che racconta della Battaglia di Poitiers del 732: battaglia che Carlo Martello combatte per fermare l’avanzata dei saraceni (frontiera fra attuale Spagna e Francia). Nella continuazione della cronaca di questo fatto del 740 (ottavo secolo dopo cristo) si ha, quindi, per la prima volta l’aggettivo ‘europeo’. Prospiciunt Europeens Araba tentoria ordinata: non si dice che hanno fermato, come sarebbe stato giusto, i franchi. Carlo martello era sì un franco, ma governava un esercito costituito da altre gentes: quindi coloro che fermano i saraceni vengono detti ‘europei’. A partire da questa dinamica, gli europei sono tout court i cristiani ora: sovrapposizione definitiva. [pp. 28-29] C’erano stati altri tentativi sì: l’aggettivo ‘europico’ che usa Boccaccio, dovendo descrivere le terre europee all’interno di una perifrasi sempre. È un aggettivo che rimarrà inutilizzato: sta per ‘europeo’, non ha nessuna fortuna. Avrà fortuna quell’europeens. Lo troviamo definitivamente nell’opera di Enea Silvio Piccolimini (Adrian Van Heck, Prolegomena): vox europae ei idem sonat atque christianitatis ac humanitatis […] vox Asiae ei contraria significar mundum turcicum, mundum impium, ubi Christus non colitur, non adoratur. La contrapposizione ora è massima: l’idea di cristianitas è completamente sovrapposta a quella di Europa. Siamo in tutt’altra condizione. Non è più il 732 dopo cristo. Il pericolo ora sono i turchi, sconfitti poi definitivamente nella Battaglia di Lepanto. Sottolinea Van Heck nei Prolegomena che Europa significa cristianità e umanità, mentre Asia significa un mondo turco, empio dove Cristo non viene venerato o adorato  si compie qualcosa, un‘idea che era già presente in una contrapposizione antica (greci contro barbari). [pp. 48-51] (pagina 3): l’evoluzione della storia dell’idea d’Europa trova un momento di definizione più chiaro. Come dice Chabod: le definizioni che troviamo fin da quelle greche iniziali sono di tipo geografico. C’è poi una definizione ideologica che sovrappone l’idea di Europa a quella di cristianità. Per arrivare a una definizione laica dell’idea di Europa che non tenga conto né della geografia né della religione dobbiamo arrivare a Machiavelli. Rispetto all’Asia si perpetua la prospettiva già vista nella Grecia antica: Asia come luogo della non democrazia dove non ci sono cittadini, ma sudditi. L’Europa invece è la sede di un modo di vivere che assembla molte virtù individuali (capacità, forza). Con Machiavelli il concetto di Europa fa un salto qualitativo, l’accento è posto sull’organizzazione civile, politica, piuttosto che su condizioni fisiche o religiosi. La scoperta dell’America ridefinisce l’Europa: identificazione del concetto di selvaggio. [pp. 113-4] Con voltaire altro paradigma del tutto nuovo. L’Europa è il luogo della miglior vita possibile e realizzabile  idea di progresso. [p. 116] L’Europa è un’identità culturale anzitutto: ‘si è vista una repubblica letteraria stabilita insensibilmente nell’Europa, malgrado le guerre e malgrado le religioni diverse. Tutte le scienze, tutte le arti hanno ricevuto così dei soccorsi reciproci; le accademie hanno costituito questa repubblica. L’Italia e la Russia sono state unite dalle lettere. L’Inglese, il Tedesco, il Francese, andavano a studiare a Leyda… i veri scienziati in ogni ramo hanno stretto i legami di questa grande società degli spiriti, ovunque diffusa, e sempre indipendente. Questi legami durano tuttora; essi sono una delle consolazioni ai mali che l’ambizione e la politica spargono sulla terra. Quella societas, quel modo di vivere culturale, quel modo di aggregazione politica di Machiavelli qui acquisisce non solo la condizione politica della vita, ma diventa la vita più progredita e avanzata al mondo: da una parte l’idea di progresso dall’altra il fatto di essere un’unità culturale. Solo il 700 arriva a definire in maniera chiara questi elementi. Montesquieu dice che sono gli asiatici ora a guardarci: si rovescia il paradigma della centralità dell’Europa. Per la prima volta è l’Europa l’oggetto di sguardo. Questi traguardi che si tengono in quell’idea di civilizzazione. È un’acquisizione che abbiamo solo con il 700, con la civiltà dei lumi. L’idea d’Europa raggiunge nel 700 il suo momento migliore. [pp. 122-5] Nella seconda metà del 700 comincia a crescere l’idea di nazione. Si intreccia la definizione contro l’Europa e la definizione per l’Europa. Quando c’è l’idea particolaristica l’idea di Europa viene messa in crisi, così come quando ci sono degli organismi sovranazionali, come con gli imperi, non c’è l’idea di Europa. Per esempio, il mondo antico non è solo europeo, ma è mediterraneo-centrico, ha una parte di Africa del Nord, la parte di Oriente: è una visione geografica, ma culturale diversa. [p. 137] (pagina 4) [pp. 165-9] Questo è il pericolo da cui ci dobbiamo proteggere ora che i nazionalismi vengono fuori, l’autarchia spirituale. È impossibile ora, tanto piu in un momento di globalizzazione, e può essere pericoloso, porta a pensarsi piccoli e belli, ‘qui è meglio di là’, ‘ce la faccio da solo’. Che non significa sconfessare le identità nazionali, particolari. Non significa eliminare le realtà nazionali, peculiari e particolari, ma basta non individuare in esse un’autarchia. [pp. 170-2] il naturalismo non esiste: non ci sono purezze etniche, ma è tutto volontaristico. Non ci sono razze o condizioni etniche che fanno l’Europa: non c’è il carattere. Lo spirito di una nazione particolare, l’individualità che fanno quel carattere non confliggono con il fatto che quei valori dell’Europa si devono costruire per via culturale: l’unità europea è culturale. La possibilità di proteggere un’idea democratica in cammino, per quanto imperfetta, che metta al centro pace e collaborazione. Dopo il momento della formazione degli stati nazionali c’è poi la catastrofe della prima e della Seconda guerra mondiale: attraverso quei momenti l’Europa è fragile, le sue idee e i suoi valori devono essere protetti. Il momento duro della grande guerra l’abbiamo superato, ora rimane da guardare alle soluzioni. 28.04.2021 Wegbereiter Aby Warburg si poneva il problema della trasmissione della tradizione dopo la tragica caduta dei valori della civiltà europea durante e con la guerra mondiale. ‘Che cosa resta?’ è la domanda di questi studiosi. Significa riconoscere nella tradizione culturale occidentale ciò che può essere ancora vitale, utile alla vita, significativo dopo un momento di crisi tragico, enorme e definitivo come quello procurato con la Seconda guerra mondiale. È da inquadrare il problema della trasmissione e della sopravvivenza della tradizione letteraria nel nostro mondo. Il tema della memoria, della significazione di cosa è Europa precipitano nel buco nero della guerra mondiale che portò gli spiriti attenti a riflette su che cosa si poteva traghettare, conservare per le nuove generazioni e cosa poteva essere ancora vitale nella tradizione occidentale. Erich Auerbach, Ernst Robert Curtius, Leo Spitzer rimangono da analizzare. Essi hanno una parabola vitale sincrona, sono dei contemporanei fra di loro. L’analogia con questi tre metodi: nascono dalla stessa esigenza di trovare qualcosa di significativo ancora nel presente, far rivivere la tradizione. Mettono questi metodi nella stessa prospettiva. I metodi sono simili, ma anche profondamente diversi. 2. Erich Auerbach (1892-1957) È un filologo romanzo, grande critico letterario. È l’autore di Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, tradotto nel 1956 da Roncaglia. Scrive Filologia della letteratura mondiale (Philologie der Weltliteratur) in esilio. Fare letteratura mondiale significa svincolare le storie letterarie da un orizzonte nazionale. Auerbach parte dall’idea che bisogna trovare degli anticorpi a quello che è successo e poi dei metodi che colleghino passato e presente e che lo rendano significativo. Mimesis si occupava del realismo, dell’eterno problema di realizzare in un libro la realtà di fuori, trasportare nelle parole della letteratura il reale: binomio reale e realtà rappresentata. È un tema incredibile che ossessiona almeno da Aristotele. In Filologia della letteratura mondiale Auerbach propone di trovare un punto. Non possiamo dominare tutto quello che è fatto, che è leggibile, ma il particolare può essere dotato di una significazione enorme se ben scelto: un punto luminescente, che vuol dire per se stesso, ma anche per tutto quello che ha intorno, lo illumina. Sembra una scelta di ripiego studiare le piccole cose, ma quelle cose sono significative in maniera trasversale. Bisogna trovarle queste piccole cose. Essendo un filologo queste cose sono esercizi concreti sui testi: la letteratura del passato dialoga con la letteratura del presente. 3. Leo Spitzer (1887-1960) Leo Spitzer è il fondatore della critica stilistica. Cos’è lo stilema? È ciò che permette le attribuzioni. Parte anche lui dal particolare. Il modo di parlare, l’espressione di un artista, dice Spitzer, è sempre uguale. Guardando bene un’opera dell’artista il critico può riconoscere i tic che fanno di quella parola una parola individuata: quanto un artista è piu un artista egli ha un tocco, una lingua che è solo sua. Questo riconoscimento avviene attraverso piccoli particolari, piccole forme di stile e di significato, ovvero stilemi. La
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved