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Appunti lezioni di Iconologia e iconografia, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Appunti lezioni di Iconologia e iconografia a.a. 2021-2022 da 6 cfu della prof.ssa Laura Stagno

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 21/06/2023

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Scarica Appunti lezioni di Iconologia e iconografia e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! 1 APPUNTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA Erwin Panofsky è colui che dà il nome e pone, nel 1939, le fondamenta per la disciplina. È un metodo di studio che non si limita a descrivere l’opera, ma intende indagarne la genesi, i significati e la loro pluralità, lo stile, il linguaggio, il rapporto con la tradizione artistica ed il contesto storico in cui nasce. Panofsky sistematizza questa disciplina di studio riordinando tutta una serie di modalità e metodologie introdotte da Warburg. Warburg è dunque considerato il vero padre fondatore della disciplina. Egli fece relazione tenuta al congresso degli storici dell’arte del 1912 che è il primo testo in cui viene impostato chiaramente il metodo di ricerca iconologica, ovvero quell’analisi dell’opera d’arte non tanto nella sua immagine ma nelle origini di questa immagine (es. altre opere di questo tipo, con medesimo soggetto, impostazione e visione influenzata dal contesto storico e culturale, ecc.) Prima di diventare termini tecnici e materie universitarie, stavano a significare un repertorio di immagini presentate come ausilio per gli artisti e i conoscitori. Erano una serie di figure tratte dall’antico (cammei, argenti, ori). In che modo però la materia si differenzia dal repertorio di immagini? Qual è il concetto di questa materia? Panofsky parte dalla distinzione dei due termini partendo dalla radice che vuol dire immagine: l’iconografia ha il compito di descrivere l’immagine; mentre l’iconologia ha il compito di capirne il significato più profondo. Iconografia = grafia, da grafein = scrivere, descrivere Iconologia = logia, da logos = scienza concetto ed interpretazione dell’immagine Nell’iconologia ci sono vari rischi: sovrainterpretazione, soggettività estrema, influenza del period eye Nucleo di origine di questi studi è la Germania; contesto in cui la linea prevalente tra gli storici dell’arte era quello del puro visibilismo (priorità dello stile e del linguaggio formale= contenuti non considerati importanti), approccio rimasto a lungo, ad esempio, in Italia dove si fonde con la visione crociana (estetica), accompagnato spesso da un approccio anche di stampo positivistico (es. ricerche di archivio e simili). Warburg e Panofsky si concentrarono principalmente sulle tematiche allegoriche e classiche. Panofsky alla morte di Warburg, nel 1929, era in America e vi rimane in quanto di religione ebraica. Un altro studioso della materia, ma in ambito francese, fu Emile Male (1862-1954). Inizialmente era interessato all’arte medievale, ma poi si interessò all’arte del 500 concentrandosi su tematiche allegoriche e religiose; in particolare studia l’arte post tridentina, letta attraverso l’analisi dell’impatto che questo evento epocale ebbe sulle arti figurative. Nel 500-600 Iconografia e Iconologia erano termini già usati ma con accezioni in parte simili, in parte diverse (es. raccolta di immagini, figure che fungevano da “catalogo” di modelli, da repertori di immagini). Iconologia di Cesare Ripa (inizio anni 90 del 500), nelle prime edizioni era solo testo descrittivo, solo nel 1603 corredato di immagini, sono soprattutto allegorie e personificazioni, anche inventandole laddove non esistevano, ad esempio raccogliendo insieme tratti specifici e peculiari, andando anche a spiegarle à create ad uso dei poeti, pittori, scultori e altri. Allegoria = scena in cui interagiscono più personificazioni dai significati simbolici. Termine iconografia adottato in modo sempre più vicino a quello moderno durante tutto l’arco dell’800 (soprattutto in ambito di iconografia cristiana in area francese). L’iconologia studia anche le migrazioni e trasmissioni delle immagini (aspetto che affascina molto Warburg), processi che spesso portano con se delle modificazioni rispetto al modello originale Warburg: attenzione a tutte le immagini à sganciare lo studio delle immagini dalle grandi opere e capolavori e quelle che vengono considerate le arti pure, le così dette arti maggiori (denigrazione per lungo tempo delle arti minori), andando ad analizzare anche le arti minori ma anche quegli aspetti del vivere umano che non sono considerate propriamente arte (es. immagini tradizionali, usi e costumi, ecc.), con un taglio anche di stampo antropologico (attenzione anche ai rituali ad es.). Warburg teorizza la buona vicinanza tra tutte le arti dal momento che ritiene che la conoscenza di tutte le declinazioni di una cultura può portare ad una migliore comprensione della stessa. Crisi dell’iconografia tradizionale identificata negli anni 90 del 900 à si ritiene che venga data troppa importanza al testo letterario a discapito del testo figurativo da parte di Panofsky; si ritiene che il rischio (soprattutto per gli epigoni di Panofsky, dal momento che lui invece era un visionario) sia di ridurre le immagini a mera illustrazione di un testo letterario, mentre esse hanno un proprio linguaggio peculiare e proprio. Tale trattazione è sostenuta da un’analisi del rapporto tra letteratura e pubblico ma anche tra letteratura e artisti, che risulta sempre più labile fino ad un totale distacco man mano che si risale indietro nel tempo (ovviamente ci sono eccezioni). È dunque premura andare a scoprire se un artista conosceva determinati testi per via personale (interessante vedere se avevano delle librerie e che testi fossero conservati in esse) o se operava al servizio di circoli culturali o committenti che conoscevano determinati testi (committenze erudite); d’altra parte bisogna sempre considerare he per quanto la committenza potesse essere colta ed erudita, aveva un ruolo minimo nell’elaborazione dell’opera. Fonti principali: Bibbia, Ovidio (ovviamente nelle sue traduzioni, tutt’altro che filologiche e volgarizzanti), Testi come l’Iconologia di Cesare Ripa, contenuti trasmessi oralmente, soprattutto in ambito religioso ma non solo (es. prediche durante le messe). 2 Negli anni 90 tendenza a sottolineare l’importanza del dato visivo, ad indagare il funzionamento delle immagini, anche grazie allo sviluppo della tecnologia e delle indagini diagnostiche che permettono di esaminare i meccanismi di percezione del cervello (tra le altre cose anche i neuroni specchio, educati alla reazione a determinate immagini sulla base delle esperienze tipiche di una data cultura). Importanza della ricezione dell’opera d’arte, il ruolo e la reazione del fruitore à elemento di norma non centrale nello studio dell’arte (di norma si studiava l’artista, poi si iniziò a studiare il committente, poi il collezionista ovvero colui che in fin dei conti determina il gusto)à Studio dei Pubblici, al plurale perché esiste il pubblico per cui l’opera nasce, coevo, e poi i pubblici dei tempi successivi, andando ad analizzare come le opere influenzano nel tempo il pubblico (è la così detta “agency” di cui parla Gell). Tale agency è evidente soprattutto per le immagini sacre: si pensi alle immagini sacre di età medievale, in ambito bizantino soprattutto ma non solo, dove le opere venivano considerate più che per il loro valore di immagine artistica, per il loro valore devozionale, considerate capaci, al pari di persone, di agire sulle vite delle persone à in tal senso non si prega l’immagine, altrimenti sarebbe idolatria, ma si prega il prototipo su cui si basa l’immagine, creata perché l’uomo è di natura duplice, anima e corpo e ha bisogno di un ausilio per mettersi in contatto con qualcosa che è solo spirito; in realtà si è evidenziato come le immagini nella pratica venissero considerate sede del divino e assumevano un ruolo fondamentale nel culto: sono oggetto di preghiera e pratiche di culto indirizzate specificamente a loro, ed esiste un’intera tradizione di miracoli che vedono le opere non solo concedere grazie e simili ma prender vita muovendosi, parlando, sanguinando, ecc. Questa visione delle opere in chiave devozionale è scemata col tempo ma dal punto di vista pratico questontipo di rapporto con le immagini sacre permane tutt’oggi. Erwin Panofsky scrisse nel 1939 un libro intitolato “Studi di iconologia” che era una sorta di testo sacro che prende in esame una serie di opere che si dilatano sia nel tempo che nei luoghi geografici. Le prime opere che si ritrovano all’interno di questo libro, scritto inizialmente in tedesco e poi in inglese, hanno un substrato filosofico mentre le opere della seconda parte presentano un’analisi più concreta di temi e opere d’arte. Panofsky nello spiegare le opere non parte dalla disamina del modo di analizzarle, ma dal parallelo con la vita quotidiana come, ad esempio, il “saluto del cappello”, tipica e propria delle cerimonie sociali di galanteria formale diffuse negli anni 30. Nello spiegare questo esempio tratto dalla vita quotidiana Panofsky spiega che il primo significato è quello fattutale (il gesto del togliersi il cappello), unito al significato espressivo, costituisce il significato primario o naturale di quello. Oltre a questo, esiste anche un secondo livello: togliersi il cappello è un gesto di saluto; ciò lo può capire solo chi viveva nella società del tempo e stava a significare che colui che compiva l’azione aveva intenzioni pacifiche. Questo secondo livello si chiama convenzionale o secondario. Il terzo ed ultimo livello, quello del significato intrinseco o contenuto, va a cogliere una serie di segnali per arrivare ad una conoscenza più profonda. Panofsky applica questi tre livelli allo studio delle opere d’arte: 1. il primo livello naturale o primario è quello che si riconosce identificando i segni, le forme i colori decriptandoli e comprendendo i soggetti del quadro e la loro relazione. Si divide in due a. Significato fattuale b. Significato Espressivo 2. Il secondo livello convenzionale o secondario arriva all’analisi pre-iconografica dell’opera dove la competenza da avere è quella della mera vita quotidiana. Lo si identifica riconoscendo i personaggi e le situazioni, cioè correlando i soggetti alla cultura di una determinata società. L’identificazione delle immagini, delle storie e delle allegorie è il compito specifico dell’iconografia. Questo livello è intenzionale da parte del committente e dell’artista e dà il senso all’opera (cosa si vuole comunicare). à viene riconosciuto come saluto da coloro che appartengono ad una data tradizione culturale 3. Nel terzo livello intrinseco o contenuto, invece. occorre lo studio approfondito di serie parallele, vale a dire degli scritti che hanno prodotto l’opera e la conoscenza delle altre opere d’arte dell’epoca. Questo livello è chiamato Iconologico. Possono essere rappresentate cose che non sono più parte dell’uso comune à non riconoscibili a livello pre-iconografico. Possono essere rappresentate cose che sono sì riconoscibili poiché conosciuti da chi guarda ma rappresentate con modalità che non le rendono leggibili di primo acchito (es, nell’arte bizantina o nell’arte contemporanea) Immagini, secondo Panofsky, sono i soggetti declinati secondo il significato secondario o convenzionale à sono l’oggetto proprio dell’analisi iconografica. Dove si possono reperire le informazioni iconografiche per schedare una scheda di un’opera? • I testi di Ovidio, Apuleio • Alcuni dizionari dei simboli come quello di Hall (dizionario top) • Alcuni siti come Iconos in cui per una serie di soggetti vengono forniti una serie di testi ed immagini per avere dei confronti. • Se si parla di elementi religiosi vi sono una serie di testi di carattere enciclopedico come la Biblioteca Sanctorum. 5 MESE DI APRILE • Registro intermedio: Si vede un toro, simbolo astrale, con sopra un decano che porta in mano una grossa chiave che lo caratterizza. • Registro superiore: vi è rappresentato il trionfo di Venere, divinità associata a questo mese. Nella scena si vede Marte inginocchiato ed incatenato davanti alla dea (tema della vittoria di Venere su Marte). Il carro è trainato dai cigni sull’acqua. La figura della dea non è rappresentata in modo tradizionale ài suoi tratti e la sua creazione derivano da Alberico cioè dalla tradizione dotta dei mitografi del XII secolo in cui si descrive Venere in questo modo: nuota nell’acqua del mare, ha il capo ornato da una ghirlanda di rose bianche e rosse, colombe la accompagnano, di fronte a lei ci sono le tre grazie, accanto a lei si trova cupido alato e cieco. Sono rappresentanti anche i figli di Venere, sono gli amanti, coloro che godono dei piaceri della vita, e i conigli bianchi, simboli di fertilità. La questione dei figli del mese è trattata in molte altre opere: o Venere e i suoi figli, miniatura, circa 1430, Basilea o G. Pencz, Venere e i suoi figli, incisione, 1531 o Venere e i suoi figli, arazzo, 1548, Cologny MESE DI LUGLIO • Registro superiore: In questo registro c’è un sapere di tipo colto ed erudito e vi è rappresentato un doppio trionfo di Giove e Cibele sun un carro trainato dai leoni, con la presenza dei figli del mese, ovvero i discepoli o protetti e i monaci in preghiera. In questo caso si ha la scena di un matrimonio che è stata identificato con il matrimonio tra Bianca d’Este e Galeotto della Mirandola, dal momento che queste divinità sono tutelari del sacerdozio e dei sacramenti à in tal caso sarebbe un’intrusione del registro inferiore in quello superiore. Autore del programma iconografico à Pellegrino Prisciani (erudito e astrologo di corte) in realtà non ci sono documenti specifici che documentino la sua paternità (non è cosa non comune) ma date le sue competenze e il suo ruolo a corte Warburg pensa che possa essere lui, che dato che già lavorava a corte non necessitasse di un contratto ad hoc per lavorare a questo progetto. Il progetto si basa sul Calendario Baldini (calendario astrologico, astrologia greca mediata attraverso Abu Ma’sar), analizzato da Warburg à Mese di Marzo = figura danzante che ha diverse forme tra la prima e la seconda edizione à stessa composizione generale ma nella prima forma più statica e “medievale”, nella seconda forma più dinamica di stampo classicheggiante di discendenza botticelliana. Warburg usa questo esempio per la sua trattazione della rinascita del dinamismo di stampo classico Questo intervento di Warburg verrà considerato dai contemporanei come il manifesto sull’iconologia perché lo scopo dell’intervento non era solo chiarire il significato degli affreschi di Schifanoia, ma appunto richiedere un ampiamento dei confini della storia dell’arte dal punto di vista dei temi che dal punto di vista geografico. 6 ANALISI DEI TEMI BOTTICELLIANI DI WARBURG Warburg affronta in fase giovanile, come tema per la sua dissertazione, i temi botticelliani: egli tende a considerare la Nascita di Venere (1883/85) e la Primavera (1881/82) come un dittico ad illustrare il regno di venere nei vari momenti. In realtà questi due dipinti hanno la medesima committenza, Lorenzo di Pierfrancesco de Medici, ed hanno due datazioni differenti. Warburg, sottolineando la bellezza e la fluidità delle figure, si concentra specialmente sulle fonti. Per la Nascita di Venere individua il testo di riferimento nella Giostra di Poliziano del 1878 (testo quasi contemporaneo) àdescritti dei rilievi immaginari (ekfrasis) che ne descrivono la storia. Poliziano era anche stato precettore di Lorenzo di Pierfrancesco, ed era anche uno dei membri di punta della cerchia di intellettuali che orbitavano intorno a Lorenzo il Magnifico, tra i quali spiccava anche Marsilio Ficino, fondatore del neoplatonismo mediceo (concetto fondamentale è l’importanza della bellezza e dell’amore) à cultura erudita ed elitaria elevatissima condivisa dai membri della cerchia). Per capire questi due quadri occorre tenere presenti i concetti di base del neoplatonismo, tra cui possiamo trovare il più fondamentale che è quello dell’amore, scala per il divino. Nel pensiero neoplatonico sono individuabili tre tipi d’amore: quello bestiale che è deleterio perché porta verso il basso e verso la materia, l’amore umano naturale e l’amore divino che diventa una scintilla per l’ascesa verso ciò che è più alto. Nel quadro di Botticelli si può notare che ci sono una serie di elementi che sono presi da dipinti, documenti o manufatti precedenti come, ad esempio, la figura di Zefiro e la ninfa che si ritrova nella Tazza Farnese, allora di proprietà di Lorenzo il Magnifico. Warburg identifica come fonte principale per la Primavera i Fasti di Ovidio. La ninfa Cloris viene in questo quadro, come da leggenda, raggiunta da Zefiro che attraverso l’unione fertile per eccellenza, la trasforma in Flora e porta la primavera. Le grazie rappresentate non sono nude, come da tradizione, ma arricchite di panneggi trasparenti proprio perché quest’ultimi aggiungono un ulteriore sensazione di movimento. Le tre grazie rappresentano la Castitas (quella di spalle, quella più disadorna), la Voluptas (quella di sinistra, con grosso gioiello e capelli che sfuggono all’acconciatura) e Pulcritudo (caratteri mediani tra le prime due). Cupido, in alto al centro del quadro, con l’arco mira verso la figura di Castitas e la fa entrare nel circolo dell’amore assieme alle altre ragazze. Infine, sulla sinistra vediamo una figura che ha suscitato non pochi dubbi: Mercurio che con un ramo scuote qualcosa in alto. Qui mercurio ha la funzione di dissipare il velo delle nubi (elemento di cui si parla nella dottrina neoplatonica, il fatto che il divino è celato agli uomini a queste nubi che possono essere rischiarate in modo da accostarsi a chi è anima meritevole attraverso la bellezza e l’amore). Tutto il significato quindi del quadro va a confluire nel gesto di Mercurio che sposta le nubi per far conoscere l’amore e la bellezza divina. Questa è una delle interpretazioni, ma ce ne sono molte altre. La Primavera di Botticelli, dipinto su tela realizzato nel 1478 circa per Lorenzo di Pierfrancesco de Medici, è riportata da un inventario che descrive la casa vecchia dei Medici in Via Larga dove aveva abitato Lorenzo di Pierfrancesco. Grazie a questo inventario si risale alla posizione del quadro che si trovava sopra al lettuccio del committente; era quindi un dipinto non per il pubblico. Warburg per primo da non solo un nome, ma crea anche il primo ponte nei confronti delle fonti letterarie che avevano guidato Botticelli ed il committente per la scelta del soggetto rappresentato. In questo caso la prima fonte erano i Fasti di Ovidio (i fasti identificano le motivazioni per cui alcuni giorni sono positivi (fas) o negativi (nefas), quindi sorta di calendario mitologico di stampo eziologico), più precisamente la parte dedicata a marzo e alla nascita della primavera: in questo testo, scritto in prima persona, la ninfa Flora scrive come ha fatto a diventare la primavera: prima si chiamava Clori, inseguita da Zefiro, uno delle divinità del vento che la raggiunge e la prende con la violenza, poi però trasforma la violenza in matrimonio (sorta di matrimonio riparatore, un po’ come nel mito di Plutone e Proserpina). Nel dipinto Zefiro irrompe nella scena piegando gli alberi e con le gote gonfie (attributo tipico delle divinità del vento) e carpisce Clori che appena toccata inizia la sua metamorfosi fino a diventare un'altra figura. Attraverso la lettura di questo testo di Ovidio si vede come Botticelli lo ha seguito alla lettera per la realizzazione del quadro à addirittura dice che appena presa dalla bocca sgorgarono rami e fiori. Flora dea patrona della Primavera, genera tanti fiori da essere incontabili à Botticelli realizza una serie incredibile di varietà floreali riprodotte con attenzioni fitologica da erbario ma realizza anche 12 varietà di fiori botanicamente inesistenti (frutto di fusione di parti diverse di fiori diversi) che dovrebbe forse essere dovuta come scelta alla volontà di rappresentare quei fiori che neppure Flora riusciva a contare (e dunque a conoscere) di cui parla Ovidio. 7 Warburg ad un certo punto, seguendo Vasari, lascia il testo di Ovidio e sostiene che Botticelli si possa essere ispirato anche a fonti più contemporanee come quelle Polizianee o dell’Accademia neoplatonica Fiorentina. Sostanzialmente anche le successive letture di questo dipinto hanno sempre mantenuto la nuova modalità Warburghiana, anche se oggi sappiamo che a Firenze non esisteva nessuna Accademia neoplatonica Fiorentina. Clori nel suo racconto all’interno dei Fasti di Ovidio spiega anche il perché il mese di marzo si chiama così: deriva da Marte, dio agreste e della guerra. A seguire Ovidio però la figura centrale non dovrebbe essere Venere, ma Giunone, moglie di Giove e le tre grazie sulla sinistra danzerebbero per il suo concepimento riuscito grazie ad un fiore che Clori le fa mangiare à Giunone adirata per il fatto che Giove è riuscito a diventare padre senza unirsi con lei (nascita di Minerva dalla sua testa) e assume il ruolo sia di padre che di madre, vuole farlo anche lei vuole partorire “casta”, incontra Clori che le dice che effettivamente potrebbe grazie ad un fiore dei suoi campi àil fiore le tocca il grembo e rimane incinta senza “peccato”; Da ciò nasce Marte dio di Marzo. Una fonte francese dell’800 ripresa poi anche da Panofsky alla primavera sarebbe meglio associabile una figura incinta che secondo il testo ovidiano centrerebbe bene con Giunone (con la quale si allinea anche meglio l’iconografia di donna vestita àquasi mai si vedono Veneri vestite) e ben poco con Venere. Nel testo ovidiano poi si riferisce che arrivano le Grazie a danzare intorno alla giunone incinta. Da questa lettura rimane fuori però la figura di Mercurio. Posa estremamente sacra di Venere (Warburg la chiama Nostra Signora Venere: il termine nostra signora richiama alla figura della madonna la cui iconografia la vuole spesso inserita in un Hortus conclusus ovvero un giardino). Un altro elemento che è a favore della tesi secondo il quale Botticelli si sarebbe ispirato ai Fasti sono le essenze arboree presenti nel quadro come, ad esempio, gli aranci in alto à Aranceto =arance dette anche pala medica =medica nel senso di provenienti dalla Media ma anche come “dei Medici” à leggenda secondo cui degli aranci negli agrumeti dei Medici sopravvissero ad un inverno particolarmente rigido, assimilati ai Medici stessi che sopravvivono a tutte le insidie, e per questo scelgono le arance come simboli sul proprio scudo araldico). Giove dona a Giunone l’arancio (fiori d’arancio usati nei matrimoni proprio perché l’arancio era il dono nuziale di Giove per Giunone, ed dunque il fiore assume anche il significato della castità pre-matrimoniale), lei le adora così tanto che decide di chiuderle in un giardino custodite dalle Esperidi. Quindi le arance richiamano nuovamente alla figura di Giunone e a questa lettura del dipinto. Perché dunque identificata per lungo tempo con Venere? per attrazione: due dipinti con figure simili vicini porta ad una sovrapposizione di interpretazioni. Nelle fonti antiche, d’altra parte, non si dice mai che sia Venere, ma la si descrive solo come una fiura in un giardino. L’unica figura che all’interno del quadro da problemi è Mercurio: qui appare con i simboli iconografici tipici di questa figura come il cabuceo, gli stivali alati, il petaso (cappello per ripararsi dal sole, simbolo dei ladri di cui era protettore à qui non lo ha, ha un elmo che di norma è attributo di Perseo1), spada (simbolo della sua impresa contro Argo; alcuni vi vedono tra le decorazioni dell’elsa dei gigli e dunque una identificazione dei Medici nella figura di Mercurio) e la clamide (abito alla greca tipico del messaggero) con delle fiammelle ascendenti e discendenti, le stesse che Botticelli inserisce nel Cielo di Mercurio (disegni realizzati per la commedia dantesca); Perché Mercurio connotato dalle fiamme? Marsilio Ficino lo descrive come allegoria, come identificazione dello spirito che viaggia tra il mondo materiale e il mondo delle idee (fuoco elemento che sta tra terra e aria) inoltre ricalcherebbe così il ruolo classico di Mercurio psicopompo. Molti affermano che Mercurio con il suo caduceo, simbolo di pacificazione, allontana il cattivo tempo dalla primavera, altri invece pensano che se la clamide fiammeggiante simboleggia il ruolo di mercurio di messaggero tra cielo e terra, allora il suo ruolo sarebbe quello di farci capire che la generazione delle cerchie del mondo avviene con il passaggio tra cielo e terra delle anime che si reincarnano. Nella lettura neoplatonica, dunque, l’astrazione di Mercurio dal resto del contesto sarebbe legato al fatto che sia un qualcosa di intangibile in quanto simbolo dell’anima, lettura ulteriormente rafforzata dall’elmo di Ade che lo rende invisibile. Prefigurazione cristiana di questa scena: concepimento casto che porta il mondo ad essere di nuovo fiorito = molto vicino al Cristo che viene concepito da una Vergine e che dovrebbe portare ad un’era positiva. Inoltre, il tutto si colloca in un hortus conclusus. Salvare la tradizione classica attraverso la trasposizione in chiave contemporanea (la tradizione pagana sarebbe dunque ricca di “profeti” che all’oscuro del mistero cristiano prefiguravano tali accadimenti). Questo processo avrà grande successo un secolo più tardi soprattutto con la Compagnia di Gesù. A sostegno ulteriore della cattiva interpretazione della figura centrale come Venere à perché mettere al centro Venere se tutto il resto del dipinto si basa sui miti legati al meso di Marzo, legato al dio Marte, quando a Venere è legato il mese di Aprile? sarebbe un errore grossolano e insensato à se volevano Venere al centro bastava scegliere il mito e il mese giusto. Firenze considerata come città di origine romana à simbolo di ciò era il battistero di S. Giovanni, nato su un vecchio tempo dedicato appunto a Marte, la cui statua era stata murata in un ponte e poi trascinata via da una piena à quindi stretto legame tra Firenze e Marte. 1 Perseo ànelle Argonautiche (conosciuto nel 400 e commentato da Cristoforo Landino) connotato dal così detto Elmo di Ade che aveva la proprietà di rendere invisibili à nella Gigantomachia di Apollonio Rodio si dice che a Perseo lo diede Mercurio 10 motivazioni del viaggio, tra le più diffuse il voler vedere cosa c’era sul fondo del mare. Qui viene appunto rappresentato dentro a questo cristallo, agganciato con delle catene, sul fondo del mare. Alessandro porta con sé due torce per illuminare il fondo del mare è buio. Cosa vede Alessandro? tradizioni letture più antiche moraleggianti (balena già detta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli, ecc.) mentre nella tradizione medievale vero sbizzarrimento con scene favolose di battaglie e cacce di uomini mezzi pesci e simili. Secondo diverse tradizioni (nate principalmente in ambito tedesco e a questo legate la loro lettura) Alessandro è accompagnato da animali, tendenzialmente un gallo, un gatto e un cane; qual è la loro funzione? Gallo, funzione di “sveglia”, in generale hanno la funzione dei canarini nelle miniere (muoiono prima degli uomini in mancanza di ossigeno). Secondo un ulteriore tradizione gli uomini di Alessandro lo tradiscono e non lo tirano più su, allora Alessandro sgozza il cane e siccome il sangue del cane è impuro (secondo tradizioni molto antiche) e dato che il mare rifiuta tuto ciò che è impuro lo rigetta buttando a riva anche la botte di Alessandro che così si salva (lettura come exemplum morale). Secondo un'altra tradizione (sempre tedesca) era la favorita di Alessandro a controllare le catene per la risalita di Alessandro dal momento che di lei lui si fidava, ma siccome le donne sono intrinsecamente fedifraghe, passa di lì un altro uomo in barca con il quale fugge (exemplum morale) à tradizione di un certo successo ( a volte presente anche in testi che non riportano questa precisa tradizione) Il secondo arazzo termina con la scena che raffigura Alessandro con i suoi compagni che sterminano i mostri senza testa (Blemmi). Ercole eroe del mito greco che stermina mostri e che dunque porta la civiltà à si allinea a questo ruolo Alessandro = Mostri simbolo della barbarie; Blemmi = uomini pelosi privi testa e con i tratti del volto sul petto (alcuni viaggiatori raccontavano di averli visti) Alessandro assume un’iconografia quasi da San Giorgio. à Filippo il Buono propugnava per la proclamazione di una nuova crociata; quindi, l’iconografia di Alessandro che lotta la barbarie in terre lontane, in oriente, per portare la civiltà si pone come perfetto suo prefiguratore. All’interno della società contemporanea gli arazzi avevano la funzione di mezzo di propaganda “portatile”, compatibile con lo stato itinerante. IL MITO DI ALESSANDRO A GENOVA Guerrini studia la diffusione delle fonti classiche nel Rinascimento attraverso la tematica degli uomini illustri (tema presente già dal medioevo) si centra dal Rinascimento sulle figure della classicità. Guerrini identifica due fasi nelle modalità della loro raffigurazione: una più antica che mostra semplicemente la figura stante su fondo (per lo più neutro) e una seconda fase nella quale alla figura dell’eroe o dell’eroina si accosta la narrazione delle loro gesta più famose (fino ad arrivare, intorno al 500, alla pratica di vere e proprie “biografie per immagini” sviluppate. Tra questi eroi uno di quelli di maggior fortuna tra 400 e 500 è l’Alessandro storico (ovvero quello narrato dalle fonti storiografiche tipo Plutarco), ovviamente attraverso exempla, con scene più importanti e scene marginali). Guerrini individua un momento che si va ad affermare nella seconda metà del 1400 in cui si passa dalla descrizione narrativa del personaggio alle azioni che il personaggio stesso ha compiuto. Qui troviamo prevalentemente un singolo episodio per eroe; a ciò vengono sovrapposti e sostituiti con il tema dominante del 500 ovvero il concetto di biografia dipinta (sviluppo in più saloni o in un'unica opera con al centro l’azione più simbolica e tutt’attorno le altre azioni importanti, ma secondarie). Nella corte Borgognona l’intellettuale Vasco de Lussena produce un’altra storia di Alessandro in diretta competizione con le altre opere, dichiarando che questa versione non avrebbe incluso gli episodi non credibili. Questa sarebbe stata la rappresentazione di una storia biografica seria, e quindi basata su autori seri (Curzio Rufo, e altri storici). Lo spostamento riflette un tipo di atteggiamento che in Italia era precoce: nei decenni precedenti gli intellettuali italiani proponevano un’immagine di Alessandro basata su fonti certe, le stesse di cui si servì Vasco. Da un lato venivano rappresentate le vittorie storiche di Alessandro e dall’altro gli episodi in cui si illustra la sua virtù. Il tema della generosità di Alessandro nei confronti della famiglia del nemico Dario è il tema più illustrato nelle opere come si può vedere nella Villa Pallavicino delle Peschiere realizzata da Bergamasco (architetto e pittore di grande cultura). à Al centro si vede Alessandro con davanti le donne di Dario; la vecchia madre di Dario si inginocchia per chiedere pietà (soprattutto per la nuora) ma sbaglia e si inginocchia davanti al sodale di Alessandro Efestione, teme per il suo errore ma Alessandro le dice che anche Efestione è Alessandro e poi concede pietà a tutte le donne, addirittura andando contro gli usi tipici e rifiutando di prendere per sé la moglie del nemico sconfitto. Questa scena è esempio di pietà e clemenza da parte del condottiero. Anche nel palazzo Agostino Pallavicino si trova la stessa scena fatta da Andrea e Ottavio Semino e aiuti, ma con il punto focale spostato verso il figlio di Dario che si lancia su Alessandro abbracciandolo. 11 Tutt’intorno si vedono poi gli episodi minori: due scene di battaglia, il taglio del nodo gordiano e la battaglia di Isso e Alessandro e il basilisco (Il basilisco ibrido tra un gallo e un serpente). Tema medievale che non deriva chiaramente dalle fonti storiche ma da una fonte che deriva a sua volta dal romanzo di Alessandro. Prime menzioni in un testo pseudo- aristotelico àvari segreti svelati dallo stesso Aristotele, tra questi l’episodio in cui Alessandro vede i suoi uomini morire prima avvicinarsi alle mura di una città assediata: indaga e scopre che è colpa del basilisco (re dei serpenti che uccide con lo sguardo, e, in alcune tradizioni, con il suo odore). Egli si fa costruire (eco di Perseo) un grande scudo specchiante, e il basilisco si uccide da solo. La presenza di questo episodio in questo ciclo va ricondotto all’importanza che il basilisco aveva a Genova: San Siro libera Genova dalla nefasta influenza di un basilisco che infettava le acque perché aveva preso residenza in un pozzo da cui il santo lo fa uscire in nome di Cristo. Nel secondo piano nobile del palazzo Giulio Spinola vi è un’altra versione della famiglia di Dario davanti ad Alessandro realizzato sempre da Bernardo Castello dove si vedono sempre le donne inginocchiate fatte alzare da Alessandro in segno di pietà. Su questo ciclo di Castello abbiamo una serie di testimonianze preziose in quanto egli aveva rapporti e legami con molti personaggi illustri del tempo. il Castello era un artista letterato (stretti contati con intellettuali del suo tempo) rapporto epistolario con il Chiabrera (ne abbiamo le sue lettere, in quanto furono tesaurizzate, ma non quelle di Castello) che lo aiuta a stilare le proposte iconografiche à contrasti con il committente: loro propongono tematiche raffinate e desunte da episodi magari poco conosciuti mentre il committente vuole le “storie di donne” (es. incontro di Alessandro con le Amazzoni, dove la fedeltà al testo storico viene abbandonata per rendere più piacevole la scena: le Amazzoni non mutilate, tutte belle e vestite alla femminile e bionde secondo il modello femminile petrarchesco. Qui si trova l’episodio principale affiancato da scene minori che raffigura l’incontro tra Alessandro e la regina delle Amazzoni che si presenta con i canoni della bellezza e dell’eroina femminile. Tra le scene minori troviamo Alessandro e Aristotele (era stato suo maestro, ne delinea dunque il valore), Incontro tra Alessandro e gli storpi alle porte di Persepoli, Alessandro e Diogene (simbolo della rinuncia ai beni terreni: cosa posso fare per te dice Alessandro a Diogene che stima e quello risponde di scostarsi che gli copriva il sole (della serie nulla di terreno che tu potresti darmi a me serve) e Alessandro e il pontefice degli ebrei (Alessandro in ginocchio in segno di omaggio, omaggio del potere temporale al potere religioso, si sottolinea questo concetto politico molto importante per il fatto che il pontefice portava sul suo copricapo il nome di Iavèàprimo esempio di questa iconografia con Perin del Vaga) + Virtù (personificate) che accompagnano questi episodi à vedi Pwp. Alessandro e il Basilisco Incontro tra Alessandro e la regina delle Amazzoni Taglio del nodo gordiano Incontro tra Alessandro e gli storpi alle porte di Persepoli Famiglia di Dario davanti ad Alessandro La battaglia di Isso Alessandro e Aristotele Alessandro e Diogene Alessandro incontra il pontefice degli ebrei 12 Spostandoci avanti nel tempo di circa 30 anni ci si trova in Villa Saluzzo Bombrini, più precisamente nella loggia di ponente in cui sempre Bernardo Castello realizza La battaglia contro Poro re dell’india (Alessandro dopo la battaglia chiede allo sconfitto cosa pensa della sua nuova situazione e lui risponde “il cambiamento della fortuna” = emblema della mutevolezza della fortuna: tema che ricorre nei cicli di affreschi della villa nell’ambito del tema della Vanitas). ERWIN PANOFSKY. IL PADRE TEMPO IN STUDI DI ICONOLOGIA (1939) Panofsky fa un’analisi di un personaggio “presunto classico”: il Padre Tempo. Gli attributi della figura del Padre Tempo che appaiono nell’arte rinascimentale e barocca possono essere vari: ali, falce, serpente che si morde la coda, clessidra, grucce, cerchio dell’eternità. Alcune volte possono trovarsi anche nell’arte tardoantica o classica come, ad esempio, nella figura di kairos (giovane, muscoloso, alato, piedi alati, bilancia =simbolo di instabilità. Ha attributi sì ripresi nell’iconografia del Padre tempo ma che sì allinea maggiormente con l’iconografia dell’Occasione: (ciuffo che copre gli occhi, piedi alati, sfera sotto i piedi) che poi si assimila all’iconografia della Fortuna à tempo istantaneo o attimo fuggente) o nell’occasione spesso personificata dalla Fortuna su un cerchio o una sfera, ma nessuna delle combinazioni di attributi che definiscono il tipo moderno del Tempo è presente nell’arte antica. Panofsky cita anche un’altra figura del tempo, ma un tempo ciclico e a lungo termine che è impersonificata in Aion. Esso viene rappresentato alcune volte con la testa di leone e un serpente arrotolato e con altre caratteristiche specifiche. Un’altra figura del tempo ciclico, più specificatamente legata ai segni zodiacali, è Fanete à simbolo del tempo ciclico e legato alla tematica dl susseguirsi dei mesi e dei segni dello zodiaco (figura avvolta dalle spire di un serpente, dotata di ali e circondata dai segni zodiacali). Panofsky concentra la sua attenzione proprio al serpente arrotolato parlando della fortuna di questo elemento simbolico, emblema del tempo che trascorre e che ritorna, di un’eternità. Il serpente, dunque, torna spesso o avvolto intorno alla figura o a sé stante nella forma dell’uroburo (serpente che si morde la coda = eternità ma in senso ciclico del tempo che si ripete) diffuso sia nella cultura occidentale che in quella araba-orientale. Vi è una contaminazione con la figura di Cronos/ Saturno, una divinità in primo luogo agricola. Panofsky, infatti, riconoscerà questa figura con il simbolo della falce che diventa l’emblema di “falciare” del tempo e della morte. L’iconografia di Saturno come divinità e figura regolatrice dell’universo, oltre che dalla falce, è caratterizzato dal divorare i propri figli, come si può vedere dalle numerose incisioni medievali e dipinti ottocenteschi. Per Panofsky questo porta ad una crasi anche nella sua rappresentazione à attributi di Cronos traslati sulla personificazione del Tempo. Iconografia della falce associata poi anche alla Morte, Tempo che passa di natura oscura. Figli di Saturno= delinquenti, criminali, storpi, malati, anche gli artisti sono definiti saturnini in quanto aventi una natura malinconica oltre il genio e anche i meditativi. Nell’ arte classica non si vede mai Saturno che divora i figli, ma è un’iconografia che sorge nell’età medievale e poi in età rinascimentale. Iconografia del Tempo che divora un bambino o un essere umano desunto quindi dall’iconografia di Saturno (alcune iconografie più tardi vedono il Tempo/Saturno divorare anche gli edifici e quelle cose considerate durature). Individua un passaggio fondamentale per la formazione della figura del tempo: Il Trionfo del Tempo di Petrarca. Il tempo travolge tutto quello che trova, tranne l’eternità. Nell’opera di Petrarca vengono assemblate tutte le caratteristiche e le personificazioni del tempo utilizzate fino a quel momento che andranno a formare una nuova personificazione del tempo con caratteristiche che saranno universali per tutti. La figura del tempo si troverà anche in una serie di allegorie come quella di Jan Rost su cartone del Bronzino, L’innocenza riscattata in cui ha una valenza positiva. Kairos Occasio et poenitentia Aion Fanete L'innocenza riscattata 15 Un altro ritratto di Andrea Doria e quello in cui viene rappresentato con il gatto e l’orologio, di origine prevalentemente fiamminga, quindi molto realistica. La figura del gatto può avere diversi significati: • Una delle spiegazioni per la figura del gatto era che stava a simboleggiare il polo repubblicano, la difesa della libertà e dell’autonomia da parte di Andrea (definito infatti anche pater patriae). • Il gatto è anche simbolo della famiglia Fieschi, nemici del Doria e che furono esiliati e il loro palazzo distrutto dopo la fallimentare Congiura dei Fieschi contro Andre. à questa lettura però risulta poco sensata. Per quanto riguarda l’orologio, invece, ci sono troppe possibili letture, ma nella sua caratteristica a ruote che devono girare precisamente e bene insieme per farlo funzionare bene è simbolo dell’Impero (cerchia di Carlo V) e quindi rappresenta una nota attestata del buon funzionamento dell’impero di Carlo V. La linea di Andrea/Nettuno è una delle linee più forti per festeggiarlo. Nel decreto della magistratura della repubblica del 1528, che stabiliva una serie di privilegi per Andrea Doria: • gli viene donato, come segno di gratitudine, il palazzo di Lazzaro Doria, poi palazzo di Andrea Doria, in piazza S. Matteo, curia dei Doria, già dal medioevo, dove però non vi risiederà mai poiché starà sempre a Palazzo del Principe, voluto e pagato da lui e affacciato sull’attracco delle galee e che permetteva il controllo del porto • fu esonerato dal pagare le tasse • gli venne donata una statua commissionata a Baccio Bandinelli, artista molto richiesto dalle corti italiane e uno degli studiosi più importanti di scultura antica. A giugno 1529 il comune di Genova fece all’artista un versamento di 110 scudi d’oro per l’avvio della commissione e il 20 agosto il contratto fu sottoscritto a Genova. Purtroppo, Bandinelli ritardò di molti anni l’esecuzione dell’opera, a causa di altre committenze e d’incomprensioni con il Doria, e per questo motivo fu licenziato; la statua di marmo incompiuta, iniziata da Bandinelli, che rappresentava il Nettuno come Andrea Doria nel 1536 fu sistemata sulla piazza del Duomo di Carrara. Successivamente, il Doria, che voleva comunque una statua, affidò una nuova esecuzione a Giovanni Angelo Montorsoli, grande artista e collaboratore di Michelangelo, che arrivò a Genova a marzo del 1539 e riuscì a terminare l’opera entro la fine dell’anno. La statua colossale, oggi ridotta in pezzi a causa della rivoluzione del 1797, rappresenta Andrea Doria con indumenti all’antica, stante su un basamento formato dalle spoglie di due turchi da lui sconfitti; riprende l’immagine classica degli imperatori romani che schiacciano i barbari sotto i loro piedi. Secondo le descrizioni doveva avere un bastone in mano. La statua tra il 20 settembre e l’11 ottobre 1540 fu collocata non nella piazza di San Matteo, come era stato progettato, ma sul fianco destro del portone interno di Palazzo Ducale. Leone Leoni, quando entra a servizio di Andrea Doria, inizia a produrre per lui una serie di medaglie e placchette. Un altro ritratto emblematico del Doria è quello realizzato da Leone Leoni64 nel 1541 sul recto di una medaglia, dopo essere stato salvato dalla condanna al remo; infatti, egli nel 1540 venne arrestato per il ferimento del gioielliere papale Pellegrino di Leuti65 e condannato all'amputazione della mano destra, pena che fu poi modificata in un periodo forzato sulle galere. Fu liberato poi da Andrea Doria nel 1541. In questa medaglia si può vedere il busto di profilo di Andrea Doria in armatura classica con il tridente, che qualifica iconograficamente l’ammiraglio come il nuovo Nettuno. Andrea commissionò moltissime opere e ne fece portare altrettante da altri posti per inserirle all’interno del Palazzo del Principe. 16 Tra queste opere troviamo ad esempio “La caduta dei Giganti” realizzato da Pierino del Vaga i cui significati simbolici sono Giove come personificazione dell’imperatore e i Giganti come personificazione della forza, ma della poca intelligenza. Giove è al centro del registro superiore della composizione e rappresentato in atto di scagliare le folgori, circondato da una fascia celeste recante i segni zodiacali, ed è affiancato dalle altre divinità dell’Olimpo sedute sulle nuvole; in basso, in primo piano, sono raffigurati i giganti colpiti dal fulmine; sullo sfondo viene rappresentato l’antefatto, ovvero i giganti che tentano l’assalto dell’Olimpo, e sulla destra una città riconoscibile come Roma antica grazie ad un edificio che riprende le forme del Pantheon. La scelta di questo tema può avere diverse interpretazioni: la prima vede Giove vittorioso come allegoria dell’imperatore Carlo V trionfante sui nemici, gli infedeli. Altri studiosi identificano il dio con lo stesso Doria esaltato come trionfatore sui suoi nemici e come pacificatore della Patria, ipotesi rinforzata dalla presenza nella sala del busto del primo imperatore romano, Ottaviano, creatore della pax augustea, e sul camino due statue raffiguranti la Pace che brucia le armi. Di recente, è stata fatta una lettura che vede in questa scena temi tratti dagli ultimi canti dell'Eneide, in cui viene descritta la vittoria di Enea nel Lazio: le grandi figure in primo piano, quindi, sarebbero i Rutuli sconfitti dall’eroe con la protezione di Giove. La volta sarebbe dunque la celebrazione di Genova come nuova Roma e l’allusione alla nuova età dell’oro inaugurata da Andrea Doria come nuovo Augusto. Alcuni dei punti chiave sui cui si basa questa lettura sono: la presenza di Roma antica sullo sfondo della composizione, le caratteristiche del vecchio nell’angolo di sinistra, rappresentato con il capo coperto e giacente su un vello di ariete, che lo identificherebbe come il re Latino, padre di Lavinia, giovane donna contesa tra Enea e Turno, e la figura giacente in primo piano, identificata come Turno re dei Rutuli221. La scena è inserita in una larga cornice in stucco che reca motivi a grottesca e scene di sacrificio. Le lunette sottostanti presentano divinità marine e fluviali, tra cui Nettuno, rappresentato sopra il camino; sotto di esse corre un fregio continuo in stucco con armi all’antica intervallate da aquile, sia riferimento dello stemma Doria sia attributo di Giove. Nelle vele e nei pennacchi sono posti medaglioni e riquadri con rilievi delle Imprese di Ercole e Davide e Golia222. Documenti attestano che l’affresco fu terminato poco prima del soggiorno di Carlo V al palazzo (28 marzo – 9 aprile 1533) e al di sotto di esso fu eretto il trono dal quale l'Imperatore accoglieva i visitatori. Andrea commissionò a Perin del Vaga il progetto per la facciata settentrionale (quella su via San Benedetto) che però non fu mai eseguito. La commissione probabilmente voleva essere eseguita per l’arrivo dell’imperatore Carlo V nel 33 e doveva essere dedicata a Furlo Camillo, colui che ha convinto i romani a ricostruire Roma e a non abbandonarla, metafora della cacciata dei francesi da Genova nel 1528. Come primo atto Andrea aveva cacciato la guarnigione francese da Genova e poi riforma radicalmente Genova con la creazione dei 28 alberghi nobiliari nei quali confluivano i membri delle grandi famiglie nobili o più famiglie nobili confluivano creando un nuovo cognome e i cui rappresentanti potevano poi essere eletti alle cariche di governo (repubblica aristocratica). 17 I VOLGARIZZAMENTI ILLUSTRATI DELLE METAMORFOSI DI OVIDIO I primi volgarizzamenti si trovano nel libro di Giovanni Bonsignori del 1497, che verrà pubblicato con l’aggiunta di numerose stampe e xilografie. Illustrazioni non bellissime ma fondamentali come modelli iconografici, soprattutto per gli illustratori/incisoti delle successive volgarizzazioni, ma anche degli artisti del primo 400. I nomi degli ideatori di queste illustrazioni (producono i disegni poi intagliati dagli incisori) sono Benedetto Bordon e Secondo Maestro del Canzoniere, non riportatici da documenti ma stabiliti per via attribuzionistica. Sono immagini ideate dalla lettura del testo di Bonsignori: così come il testo è lontano dall’originale ovidiano allo stesso modo anche le immagini presentano dettagli o episodi diversi o ampliati da quelli dati da Ovidio. Questi incisori, nel momento in cui vanno a realizzare l’opera, si rifanno al testo di Ovidio, ma con una serie di dettagli che venivano inventati. Incisione di B. Bordon che rappresenta il mito di Marsia: al centro la contesa musicale, a destra lo scorticamento, a sinistra in alto un banchetto con Marsia che suona una specie di flauto. Bonsignori ci racconta che Minerva, offesa dagli altri dèi dell’Olimpo per il suono del suo strumento, si reca sulla terra. Arrivata davanti ad uno specchio d’acqua si accorge del perché le altre dee la deridessero: le sue guance si gonfiano e diventano paonazze. Offesa scappa e la sua cornamusa viene trovata da Marsia. Bonsignori identifica Marsia non come un satiro ma come un villano, infatti è rappresentato come un umano. Sulla destra in alto tempio circolare con un corpo appeso: Bonsignori (non Ovidio) dice che Marsia scorticato viene appeso da Apollo al tempio come monito per gli uomini che non si devono macchiare di superbia e confrontarsi con gli dèi. Volgarizzamento di Niccolò degli Agostini (Venezia 1522): egli tradusse in ottave la prosa di Bonsignori utilizzando xilografie sul modello dell’incisore del 1497. Da queste due incisioni possiamo vedere come Agostini si rifà palesemente al testo di Bonsignori. Il testo di Agostini ebbe molto successo fino a che non uscì la nuova traduzione di Dolce. Egli lesse direttamente Ovidio e lo tradusse in ottava ariostesca. Le xilografie hanno una fattura di altissima qualità e sono realizzate da Rusconi che si rifà anche lui al testo di Bonsignori e non a quello per cui stava realizzando le incisioni, cioè quello di Dolce. Ovidio racconta il mito di Lotide dicendo che dovette salvarsi da Priapo trasformandosi in pianta. Bonsignori racconta una stria più complessa: Priapo vede delle fanciulle dormienti vicino ad un albero e spinto dall’eccitazione si avvicina a Lotide alzandole il vestito. Un asino inizia a ragliare e le ragazze si svegliano, Lotide così per salvarsi si trasforma in una pianta. Motivo di queste discrepanze: Rusconi non poté rifarsi alle traduzioni di Dolce in quanto non erano ancora pronte, si affidò cosi al testo di Bonsignori. L’editore voleva pubblicare al più presto il libro in quanto stava per uscire un altro volgarizzamento di Giovani Andrea dell’Anguillara del 1561. Da questo momento in poi nessun’altra traduzione verrà più letta. Volgarizzamento di Giovanni Andrea dell’Anguillara à Questo libro era molto fedele al testo di Ovidio, ma anche lui inserirà altri elementi. Attualizza i miti rendendoli più comprensibili al lettore Verranno pubblicate ben 26 edizioni con altrettante xilografie che cambiano nelle varie edizioni. Vi sono due serie principali di xilografie importanti: - Edizione De Franceschi del 1563 (contiene incisioni a mezza pagina) - Edizione Giunti del 1584 (contiene incisioni a tutta pagina) 20 IL MODO DI RAPPRESENTARE EVENTI CONTEMPORANEI: LA BATTAGLIA DI LEPANTO STORIA DELLA BATTAGLIA: Avvenuta il 7 ottobre 1571; Rappresenta il trionfo militare dei cristiani sui turchi nel golfo della Grecia: grazie alla migliore artiglieria e 6 galeazze più grandi N.B. il periodo del ‘500 è un periodo di grandi conflitti tra gli ottomani e i cristiani à i turchi erano sempre in netto vantaggio Decisiva fu la mediazione di papa Pio V2 (1565-72), che portò alla costituzione di una Lega Santa contro i turchi, comprendente oltre al pontefice, la Spagna, Venezia, la Repubblica di Genova, Granducato di Toscana, Savoia e Cavalieri di Malta; restano fuori la Francia e l’impero Asburgico. Il comando generale fu dato a Don Giovanni d’Austria3, fratellastro di Filippo II, re di Spagna, e figlio di Carlo V. Papa Pio V ebbe una visione annunciata la vittoria della Lega àvittoria legata all’aiuto della Vergine. Formazione della battaglia: Sezione centrale della flotta: lo Stato Pontificio, comandato da Antonio Colonna Sezione a destra della flotta: comandato da Giovanni Andrea Doria4, genovese Sezione a sinistra della flotta: la Repubblica Veneziana, comandata da Venier Retroguardia: marchese don Alvaro de Bazan di Santa Cruz. Appuntamento delle galee a Messina per partire verso Lepanto L’avanzata dei turchi appariva invincibile e per questo la vittoria ha avuto una grande risonanza a livello letterario e artistico; da subito si iniziano a commissionare una serie di opere sul tema della battaglia che si protrarranno poi per i secoli successivi. Le immagini di Lepanto si trovano in tutta Italia e anche all’estero come in Spagna e Sud America. Fregio raffigurante IL TRIONFO DI MARCO ANTONIO COLONNA A ROMA, sala del Capitano a Palazzo Colonna (Castello di Paliano): Papa Pio V al ritorno a Roma di Colonna il 4 dicembre 1571, dopo la vittoria, decide di fare un grande corteo trionfale, solenne, legato alla matrice classica, nell’arco di Costantino (perché primo imperatore cristiano); vengono aggiunti sfarzi per celebrare il comandante Colonna. I questi fregi si vedono appunto alcuni episodi di questo trionfo. Una delle tipologie più ampiamente diffusa era il ritratto dei condottieri che parteciparono alla battaglia come: • Ritratto di Sebastiano Venier di Tintoretto dove il condottiero era raffigurato in armi, con bastone del comando e sullo sfondo la battaglia à alta qualità ritrattistica. • Anonimo, I comandanti della Lega Santa: è un ritratto triplo dei tre comandati emblematici della battaglia. A destra ammiraglio Venier (il più vecchio) à Venezia, al centro ammiraglio Marco Antonio Colonna à Roma, a sinistra ammiraglio Don Giovanni d’Austria à Spagna. Sullo sfondo sono raffigurate le galee che combattono. 2 Papa domenicano à riforma rigorosa per contrastare i protestanti e protagonista della lotta contro i turchi 3 Figlio illegittimo ma riconosciuto da Carlo 4 Figlio adottivo ed erede di Andrea Doria 21 Vi è poi la cronaca militare; cioè di come si è svolta dettagliatamente la battaglia: schieramento, posizionamento delle singole galee. Questo compito viene affidato alla stampa che aveva diffusione più rapida e capillare e che spesso usate come fonti di riferimento nelle arti monumentali. • Stampa, spiegazione dello schieramento iniziale: Disegno con scritte didascaliche sui generali e comandanti; è immagine in parte idealizzata à nelle raffigurazioni dello schieramento tutte le galle sono schierate e allineate ma dalle ricostruzioni degli storici sappiamo che non tutte le galee erano schierate quando l’avanguardia inizia lo scontro à Giovanni Andrea Doria fu accusato da Marcantonio Colonna di essere arrivato in ritardo e per questo alcune galee turche sono riuscite a sfondare quel lato e a scappare. • Stampa, Battaglia di Lepanto: Raffigurazione dello scontro delle galee Affresco della Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano, Battaglia di Lepanto, 1580- 83: su disegno del cartografo Ignazio Danti si rappresenta il golfo di Lepanto in modo geografico e per animare la carta geografica viene inserito lo schieramento della battaglia. Andrea Vicentino, Battaglia di Lepanto, dal 1595. Palazzo Ducale, Venezia Un mese dopo la sconfitta ottomana, il Consiglio dei Dieci di Venezia commissionò la realizzazione di un’opera celebrativa della vittoria per la Sala dello Scrutinio a Palazzo Ducale, sede dei dogi e dell’apparato politico della Repubblica, al famoso Tintoretto, che la completò in un anno; purtroppo, l’opera ebbe vita breve, fu distrutta da un incendio il 20 dicembre 1577 e perciò fu sostituita con un’opera firmata dall’artista Andrea Vicentino, di educazione veronesiana, raffigurante lo stesso tema; non conosciamo con sicurezza i rapporti iconografici e stilistici tra l’opera perduta e quella del Vicentino, ma certamente si possono riconoscere in quest’ultima caratteri tintoretteschi nella violenza compositiva e nell’intenso utilizzo chiaroscurale per rendere il movimento. Per realizzare il dipinto nel modo più verosimile, il Vicentino lesse molti testi e studiò le riproduzioni grafiche del tempo. L’artista in quest’opera riuscì a distinguere le truppe alleate da quelle ottomane attraverso l’abbigliamento e le armi, proprio come fece qualche anno prima Vasari a Roma. Guardando con attenzione si possono riconoscere i protagonisti principali della battaglia: sulla galera in primo piano Sebastiano Venier, comandante della flotta veneziana, riconoscibile dal capo scoperto e la barba bianca; don Juan de Austria è raffigurato sulla sua galera collocata nella seconda fila e leggermente a destra del quadro; Marcantonio Colonna è inserito nella galera pontificia, riconoscibile dall’immagine di Cristo in croce. Anche quest’opera, come quella dell’artista Giorgio Vasari, riporta un’immagine forte del momento della battaglia: viene raffigurato il momento dell'arrembaggio delle navi e tutto intorno i corpi in mare dei soldati caduti. Sul primo piano della scena si svolgono scene di combattimento che rendono l’osservatore partecipe della durezza e della brutalità della lotta corpo a corpo e della sofferenza dei combattenti. Troviamo scritta: “no alle armi ma all’aiuto della Vergine si deve la vittoria”. 22 Paolo Veronese, Battaglia di Lepanto, 1572-1573, Venezia, Gallerie dell’Accademia A Venezia anche Paolo Veronese, tra il 1572 e il 1573, fu invitato a commemorare questa grandiosa battaglia con l’Allegoria della battaglia di Lepanto, al tempo collocata nell’altare del Rosario in San Pietro Martire a Murano, ma oggi visibile alla Galleria dell’Accademia di Venezia. La scena è divisa a metà, nella parte inferiore della tela viene raffigurata la battaglia nel momento in cui le due armate si scontrano, in quella superiore, al di sopra di uno strato di nubi che separa le scene, trova luogo un consiglio celeste. Tra i partecipanti del consiglio celeste si riconoscono San Pietro con le chiavi e in ginocchio, protettore dello Stato Pontificio, San Giacomo con il bastone da pellegrinaggio, santo patrono della Spagna, San Marco con il leone e Santa Giustina5, santi per eccellenza della Repubblica di Venezia e la Fede, vestita di bianco. Essi sono supplicanti al cospetto della Vergine e sembrano implorarla di intervenire. L’intervento divino è rappresentato in forma di raggi che attraversano le nuvole e arrivano nella parte inferiore della tela: la luce più scura colpisce le navi nemiche e quella più chiara e luminosa colpisce le galere di Don Juan de Austria, del Venier, che porta lo stendardo del Leone di San Marco, e di Marcantonio Colonna che sventola il vessillo della lupa capitolina; un altro intervento divino è rappresentato dall’angelo a destra del consiglio che tira frecce infuocate alle galere turche; la freccia in questo caso rappresenta l'iconizzazione della sconfitta ottomana per volontà divina. Il pugnale, che tiene in mano Santa Giustina, rivolto verso la parte inferiore del quadro, costituisce il fulcro dell’asse verticale della scena ed è stato utilizzato dal pittore come strumento per catturare l’attenzione dello spettatore, che dalla fascia superiore viene accompagnato in quella inferiore della scena; inoltre, il pugnale è enfatizzato dal contrasto con l’abito bianco della Fede che si trova dietro ad esso. In questa opera Giustina diventa la guida, il modello dei soldati cristiani e mediatrice della loro salvezza grazie al suo martirio; infatti, l’accento della scena è posto sul sacrificio dei soldati cristiani che sono pronti a morire per la propria fede combattendo gli infedeli. 5 La narrazione agiografica del martirio di Santa Giustina racconta che Giustina lasciò la sua dimora, nelle vicinanze di Padova, per incontrare i cristiani perseguitati dall'imperatore Massimiano che nell'anno 304 d.C. Perseguì e cristiani. Ella quando raggiunse la città venne catturata dai soldati romani e condotta davanti all'imperatore che nel frattempo aveva istituito il tribunale presso Prato della valle; durante l'interrogatorio lei non mentì sulla sua religione e si rifiutò di fare sacrifici alla divinità pagana, Marte, e così fu condannata a morte. Fu uccisa per spade sepolta a mille passi dalla città. La popolazione che fu testimone di questo martirio fu profondamente colpita dalla fede di Giustina e così iniziò a venerare le sue spoglie. Un grande impulso della venerazione di Santa Giustina avvenne a seguito della battaglia di Lepanto; infatti, mentre lo stato della Chiesa e gli altri Stati della Lega Santa attribuirono la vittoria alla protezione della Madonna del Rosario, la Repubblica veneziana venerò e ringraziò, oltre alla Madonna, anche Santa Giustina poiché la ricorrenza del suo martirio viene celebrata proprio lo stesso giorno della battaglia, ovvero il 7 ottobre. 25 Tiziano, Allegoria celebrativa della Vittoria di Lepanto, Madrid, Prado Una delle opere richieste dal re per celebrare la sconfitta turca è Filippo II che offre alla vittoria l’infante Fernando, realizzata da Tiziano tra il 1573 e il 1575. In questa raffigurazione si può vedere Filippo II che presenta suo figlio, nato pochi mesi dopo la vittoria a Lepanto, all’angelo di Dio o forse allegoria della Vittoria, raffigurata di scorcio nella parte superiore della tela, che porge all’erede una palma di trionfo da cui spunta un filatterio con la scritta MAIORA TIBI e nell'altra mano tiene una corona di alloro; nel primo piano della tela, sul lato sinistro, è raffigurato un turco incatenato, spogliato delle armi e delle vesti di soldato, con espressione umiliata, con i capelli tagliati ad eccezione di una ciocca, simbolo del suo stato di schiavitù. Sullo sfondo viene raffigurata una battaglia navale che insieme all’immagine del turco e delle vicine spoglie fanno identificare questa scena come la battaglia di Lepanto. L’immagine di don Juan de Austria è del tutto assente. Questa tela è parte della strategia propagandistica di Filippo II che cerca di mostrare sé stesso come unico difensore della fede cattolica. Tiziano in quest’opera riuscì ad unire nella stessa scena i due eventi storici, la vittoria cristiana e la nascita del primogenito e di conseguenza la gloria della dinastia austriaca per la vittoria di questa battaglia navale; questa idea era rinforzata dalla figura del giovane principe che è collocato all'incrocio delle diagonali della composizione e da lui discendono dall'alto l'angelo o l'allegoria che è il simbolo del suo futuro trionfo, in quanto destinato a grandi glorie e vittorie; la stessa diagonale prosegue a destra attraverso la spada di Filippo II e termina con un cagnolino vicino alle colonne che alluderebbe all'immagine della giustizia, una delle virtù che dovrebbe possedere un monarca. LA FORTUNA DI LEPANTO IN MERIDIONE CON VALENZA RELIGIOSA Madonna della Vittoria, primo 600, Catanzaro, Chiesa del Rosario: viene rappresentata una Vergine guerriera, armata, che impugna uno scudo nel quale c’è raffigurato Gesù bambino; con l’altra mano afferra la spada. Ai piedi sono raffigurati i comandati turchi sconfitti (turbate e baffi all’insù). Nel lato destra si vede Papa Pio V, creatore della Santa Lega, e a sinistra Don Giovanni d’Austria. Cornelis Smet, Madonna del Rosario, Muro Lucano, Cattedrale Madonna del rosario à raffigurazione più consueta della vergine. Ai piedi compare Papa Pio V. Il 7 ottobre a Roma si faceva la processione da parte delle confraternite del rosario à diffusa questa associazione al sud tra la madonna del rosario e la vittoria della battaglia di Lepanto. Papa Gregorio XIIIà salda la festa di Lepanto con la madonna del Rosario (1° domenica di ottobre) 26 FORTUNA DELLA BATTAGLIA DI LEPANTO A GENOVA E IN LIGURIA I Turchi dopo la battaglia di Lepanto rimisero in piedi velocemente la loro flotta, riprendendo gli attacchi e le incursioni per molto tempo. Giovanni Andrea Doria, erede di Andrea Doria, fu uno dei protagonisti della battaglia di Lepanto che controllava la flotta di destra. Egli aveva delle galee proprie (11) che aveva messo a servizio della Spagna e quindi non venivano contate nelle galee della repubblica di Genova come le 3 galee al comando di Ettore Spinola e le 3 di proproetà dei Savoia Le committenze artistiche del Doria: Ritratto di Giovanni Andrea Doria I, dipinto da Giovanni Contarini. Egli è ritratto stante e in armi con il piede sinistro che poggia su uno sperone di galera senza la punta metallica, gesto che rimanda a una tattica che utilizzò il giorno della battaglia di Lepanto; è lo sperone della nave che veniva posto sulla punta per incastrarsi con le altre galee durante lo scontro; a Lepanto su suggerimento di Giovanni Andrea si smantellano le parti finali di questi speroni per consentire ai cannoni di poter sparare da più vicino. Sulla base dell'asta dello stendardo riccamente decorata come doveva essere nella realtà quella della Capitana Nova di Giovanni Andrea, si possono distinguere le cifre 571 nel primo rigo dell’iscrizione e l’indicazione AG(ENS) XXII, ovvero l’età del Doria. Questi numeri potrebbero indicare la data, 1571, di esecuzione del quadro ma anche la data dell’evento celebrato. Di notevole interesse è la commissione di Giovanni Andrea Doria che aveva il compito, insieme a memoriali e resoconti della battaglia scritti da lui, di difendere la propria condotta durante la battaglia: sei tele, mandate in Spagna, e la serie di arazzi raffiguranti la battaglia di Lepanto. L’ammiraglio commissionò a Luca Cambiaso, il pittore più affermato in quel momento a Genova, la realizzazione sia delle tele sia dei cartoni preparatori per la realizzazione degli arazzi e a Lazzaro Calvi i disegni preparatori per le scene centrali della narrazione. Queste opere si differenziano dalle altre commissionate in questo periodo per il loro sviluppo narrativo, che segue la flotta dalla sua partenza da Messina fino al suo ritorno a Corfù, e per la totale assenza di riferimenti religiosi, sostituiti da riferimenti mitologici e allegorici. Le sei tele furono mandate in regalo dall’ammiraglio ad Antonio Peréz, segretario dello Stato spagnolo per l’Italia, probabilmente nel 1578, dopo la morte di Marcantonio del Carretto, perché intercedesse presso il Re per la concessione del titolo di Principe di Melfi che era passato in eredità da Andrea Doria a Marcantonio. La prima presunta attestazione di questi dipinti si ha nel 1585, dopo l’incriminazione del Peréz per corruzione nel 1579, nell’elenco dei doni ricevuto indebitamente; nel quale si legge: «Dallo stesso Doria: alcune tele della battaglia navale»299. Le opere d'arte di Perez, comprese le sei tele di Luca Cambiaso, furono sequestrate dal re e intorno al 1590 entrarono a far parte delle collezioni reali e portate all'Escorial a Madrid. Se il rapporto iconografico e di committenza tra le tele mandate in Spagna, i disegni, i cartoni preparatori e gli stessi arazzi è certa, rimangono ancora dubbi sulla cronologia delle esecuzioni di queste serie e su quale di queste sia stata commissionata e realizzata per prima. L’anno della realizzazione delle tele è fissato tra la fine degli anni Settanta del Cinquecento, in particolare tra il 1578, dopo la morte di Marcantonio del Carretto, e il 1579, prima dell’arresto di Antonio Peréz avvenuta a luglio di quell’anno. I disegni preparatori di Lazzaro Calvi e i cartoni preparatori di Luca Cambiaso si datano, invece, tra il 1581 e il 1583, successivamente mandati a Bruxelles dove vennero tessuti gli arazzi. Si sono ritrovati i pagamenti effettuati nel 1581 a Calvi per i disegni della composizione centrale e quelli a Cambiaso tra il 1582 e il 1583 per i cartoni preparatori. Questo chiarisce che i dipinti sono una realizzazione antecedente rispetto agli arazzi, che ritornano a Genova nel 1591. Con questi dati la cronologia di realizzazione delle serie sembra non incontrare problemi, ma parlando successivamente della tela dello Schieramento delle flotte prima della battaglia si noterà che riguardo alla datazione di queste commissioni ci sono ancora punti oscuri, nessuna certezza ma solo ipotesi da confermare o confutare. Attraverso una comparazione delle tele e degli arazzi si può notare che hanno la stessa composizione dei riquadri centrali, ad eccezione di piccole variazioni, anche se negli arazzi le scene sono invertite rispetto alle tele e agli stessi cartoni preparatori, in quanto i tessitori lavoravano con i cartoni sul retro degli arazzi. È probabile che alcuni materiali preparatori, come disegni o bozzetti, dei dipinti furono successivamente riutilizzati come modelli per i cartoni preparatori degli arazzi. La sequenza narrativa di entrambe le raffigurazioni, che hanno una prospettiva dall’alto, parte dall’incontro della Lega Santa a Messina, prosegue con il viaggio lungo la costa calabrese, con lo schieramento delle flotte, lo scontro, la quinta raffigurazione presenta il momento finale della battaglia e la fuga di Uluç Alì e termina con il ritorno trionfale a Corfù. Su ogni tela, ad eccezione della prima (L’incontro della flotta a Messina), è inserita l’immagine di una divinità o la personificazione allegorica legata alla scena raffigurata e compaiono inoltre, su tutte le tele, delle iscrizioni, presenti anche negli arazzi in forma ridotta, che danno informazioni molto dettagliate sulla battaglia (oggi alcuni caratteri sono illeggibili). Nella prima tela è inserita la legenda che riporta la frase «Duecentonove galee, sei più grandi che chiamano galeazze, [ventiquattro] trasporti navi, e circa [cinquanta] "lembi" [vasi minori] della Lega Santa [guidata da] Giovanni d'Austria salparono da Messina». 27 Nel Il viaggio lungo le coste della Calabria verso il nemico è presente Nettuno in veste di protettore della flotta durante il viaggio e l’iscrizione «La flotta, divisa in quattro parti [squadroni], naviga lungo le coste dei Bruttii [di Calabria costa], Juan de Cardona è stato inviato in ricognizione con otto galee». L’allegoria della Fortuna sorveglia la formazione di battaglia e l’iscrizione recita «Entrambe le flotte sono schierate per la battaglia. Nella fascia destra della Lega è posizionato Giovanni Andrea Doria, con cinquantotto cucine; nell'ala sinistra, Agostino Barbarigo con lo stesso numero, al centro Stefano [un errore per “Sebastiano”] Venier con sessantatré e Giovanni d'Austria come comandante supremo, con Álvaro de Bazán come riserva nella retroguardia con trentuno galee.». In que sta terza tela l’immagine è rovesciata, presenta a destra la flotta cristiana anche se, in tutte le opere rappresentanti la Battaglia di Lepanto, viene sempre posizionata a sinistra, nell’arazzo corrispondente a questa tela lo schieramento è invece corretto. La disposizione navale della tela è la stessa che viene presentata sul cartone preparatorio degli arazzi, che tiene conto del procedimento di tessitura di questi. La tela, dunque, sembra orientata come se fosse lei stessa modello per l’arazzo. A questo punto, ci si chiede quale sia il motivo di questa inversione nella tela; ci possono essere due probabili motivazioni, che però senza documenti che le confermino rimangono per il momento solo ipotesi: è probabile che già da tempo l’ammiraglio Doria progettasse la realizzazione di un ciclo di arazzi con questo tema e che abbia fatto eseguire a Cambiaso le tele come modelli preparatori per gli arazzi ma poi successivamente decise di donare queste a Pérez; oppure si può supporre che esistessero già dei cartoni preparatori per gli arazzi, forse solo relativi alle scene di battaglia e alle posizioni della flotta, cioè quei soggetti che sono invertiti nelle tele, e che il Doria li avrebbe fatti copiare a Cambiaso senza alcuna modifica per inviare le tele in Spagna. La dea Bellona, dea della guerra, presiede invece la tela rappresentante la battaglia insieme alla frase «Dopo che le galee si attaccarono l'una contro l'altra attraverso i rampini, la battaglia è combattuta. La galera guidata da Bragadin porta grande massacro agli infedeli. Le due capitane, quella turca e quella cristiana si scontrano e misero fine all'angosciante incertezza [della battaglia]». Sulla quinta tela, Conclusione della battaglia e la fuga di sette galee turche, troneggia la personificazione della Vittoria mentre l'iscrizione recita «I nemici vengono sconfitti con successo e, dopo che è stato compiuto un grande massacro dei turchi, Uluç Alì, dopo aver preso il volo con sette galee al calar della notte, fugge illeso nel mezzo». In questa tela la scena è notturna, illuminata solo dai fuochi appiccati nelle galere. Infine, nel ritorno a Corfù dei cristiani è rappresentata la personificazione della Fama e l’scrizione «La flotta vittoriosa entra nel porto di Messina rimorchiando centotrenta galee catturate, gli altri furono distrutti e affondati durante la battaglia». 30 Nel piedistallo è inserita l’immagine di una lepre, anch’essa simbolo di vigilanza, attitudine indispensabile per affrontare il viaggio in mare. Sul lato destro è raffigurata la Fortuna che assicura il dominio sul mare, rappresentata con una lunga veste azzurra, il tridente di Nettuno, una lunga chioma agitata dal vento, attributo dell’Occasione / Fortuna, a terra, una seppia, simbolo per Valeriano della tempesta. Nella fascia inferiore, destinata generalmente alla rappresentazione dei nemici sconfitti, in questo lato è raffigurata la personificazione dell’Oceano incatenato e i venti che, gonfiando le guance, cercano di innescare inutilmente una tempesta. Nel cartiglio è inserita la frase «[La flotta] in una formazione di quattro parti naviga lungo le coste dei Bruttii». Schieramento Delle Flotte à schieramento corretto a dx i turchi e a sx i cristiani • A sx la speranza à attributi: fiori, gigli e mani giunte • A dx la prudenzaà 3 teste di lupo, leone e cane • Sotto colonnina a sx anguilla bloccata con la mano (valeriano) = la speranza del buon esito in situazioni “scivolose” • In basso a sx uomo con cervo (= timore e panico) • Sotto colonnina a dx civette di Minerva à sapere • In basso a dx à figura con orecchie d’asino + funghi (valeriano dice simboli di sciocchezza) Il terzo arazzo raffigura la formazione di battaglia e l’incontro tra le flotte. La Lega Santa è schierata in ordine lineare e divisa in quattro ali, tre sulla stessa fila e la quarta, comandata da Alvaro Bàzan, dietro a questa. Al centro dello schieramento cristiano è raffigurato il corno comandato da don Juan de Austria, l’ala sinistra è quella comandata da Agostino Barbarigo e quella destra è comandata da Giovanni Andrea Doria. Davanti a questo schieramento sono raffigurate le sei galeazze veneziane; queste sono enfatizzate nelle loro caratteristiche, nella curvatura dei parapetti e nel sovraccarico delle poppe, per rendere più visibile la loro immagine di grandi “fortezze”. In contrapposizione alla flotta cristiana è raffigurata la flotta turca in formazione lineare (nella maggior parte delle raffigurazioni ha una disposizione a mezzaluna) ma senza divisione in gruppi; la Capitana di Alì Pascià è rappresentata al centro dello schieramento; a sinistra, di fronte al corno comandato dal Doria, sono raffigurate le galere di Uluç Alì. Sul lato sinistro della scena si staglia l'allegoria della Speranza, identificata dal giglio, fiore simbolo della speranza, che tiene in mano; poggia sul piedistallo illustrato con una mano che stringe un’anguilla avvolta in foglie di fico, che secondo il testo di Valeriano rappresenterebbe la certezza e la speranza in un esito positivo per una situazione di pericolo e di dubbio. Nel lato destro, invece, compare l’allegoria della Prudenza contraddistinta da tre teste animali, leone, lupo e cane (tradizionalmente alludono ai tre aspetti del tempo, ma Valeriano nei Hieroglyphica fu il primo ad associarle alla Prudenza). Questa raffigurazione poggia su di un piedistallo recante una civetta, simbolo di sapienza attributo della dea Minerva. A sinistra, nella parte inferiore, è raffigurato un prigioniero vicino ad un cervo e una vipera che rappresenterebbe lo stato d’animo dello spavento e la volontà di abbandonare un’impresa. Nella parte destra di questa fascia è rappresentato un uomo con orecchie d’asino, simbolo di ignoranza ma anche di schiavitù, il pavimento su cui poggia è colmo di funghi, metafora della sciocchezza. Nel cartiglio, inserito tra queste ultime raffigurazioni, si legge «[La flotta cristiana] incontra la flotta turca vicino alle isole Echinades ed entrambe le flotte, in formazione da battaglia, inizia il combattimento». La Battaglia • A sx la fortuna à ciuffo in avanti che deve essere afferrato, timone perché guida i destini degli uomini + cornucopia • A dx la fortezza à bastone • registro inferiore due mostri marini L'arazzo dedicato alla Battaglia, presenta lo scontro tra le flotte in una raffigurazione di grande impatto che mette in scena galere incendiate, uomini caduti e frammenti di navi nel mare macchiato, in alcune sezioni, dal sangue. A incorniciare la scena sono raffigurate due allegorie che rappresentano il valore militare cristiano: a sinistra si trova la Fortuna riconoscibile dai suoi attributi, la cornucopia e il timone, che alludono al suo ruolo di portatrice di bene, la sfera, simbolo dell’instabilità, e i capelli portati in avanti, iconografia dell’Occasione e dell’attimo fuggente; a destra è raffigurata la Fortezza, riconoscibile dalla corona e dal ramo di quercia, che calpesta uno scheletro. Sul piedistallo di sinistra compaiono la sfera e il timone, attributi della Fortuna, sul piedistallo di destra l’albero di quercia. Nel cartiglio è inserita la scritta «Da entrambe le parti combattono a lungo e valorosamente, alla fine prevale la flotta della Lega». 31 La Vittoria Cristiana E La Fuga Di Sette Galee Turche • a sx pugnacità/vittoria • a dx vittoria navaleà aquila che sale = simbolo della vittoria + sperone sotto i piedi • registro inferiore turchi catturati Nel quinto arazzo, La vittoria cristiana e la fuga di sette galee turche, nella fascia centrale sono raffigurati i momenti conclusivi della battaglia e, in primo piano, la fuga delle sette galere di Uluç Alì. La scena, in questo caso, ha uno sfondo leggermente più scuro rispetto agli altri arazzi che ha il compito di evocare la notte. La figura allegorica sulla parte sinistra porta con sé molti attributi: si tratta di una figura femminile con una corona di edera e fiori che tiene in una mano un tirso, bastone cerimoniale, e nell’altra un grappolo d’uva; l’edera, l’uva e il tirso sono attributi del dio Bacco, che rappresenta in questo caso il Liberatore. A questa figura è affiancato un gallo, simbolo dello spirito combattivo e della vittoria. Dunque, prendendo in considerazione questi attributi, si può supporre che questa allegoria rappresenti da un lato la liberazione dalla supremazia turca e dall’altra i festeggiamenti che si fecero nell’Europa dopo la vittoria. Alla destra di questa scena è raffigurata la Vittoria navale, figura alata con la palma, l’alloro e l’aquila, che poggia un piede su uno sperone navale. La posizione della Vittoria richiama quella del Ritratto di Giovanni Andrea Doria realizzata da Contarini; probabilmente una scelta voluta e consapevole per richiamare la figura di Giovanni Andrea come grande ammiraglio e portatore della vittoria. Nella fascia inferiore di questo arazzo, tra la rappresentazione dei nemici morti o feriti, è inserita la legenda: «Viene fatta una grande strage di turchi e, con l'aiuto dell'arrivo della notte, solamente sette galere dell’intera flotta fuggirono illeso». Ritorno Della Flotta A Corfù • a sx la gloria • a dx la fama à tromba + ali con lingue e orecchi (deriva dalla descrizione della fama di Virgilio nelle Eneide, dove dice che si muove velocissima e porta voce) • sotto a colonna dx pegasoà connesso al concetto di fama (valeriano) • registro inferiore turchi catturati L’ultimo arazzo presenta la fine della campagna, Il ritorno a Corfù, delle galere cristiane vittoriose mentre trainano le navi turche catturate. Al centro, in primo piano è raffigurata la capitana del Doria, colorata interamente di verde per essere più riconoscibile, che rimorchia l’ammiraglia turca (in realtà fu presa come preda da Juan de Austria). La scena di questo trionfale ritorno è inserita tra l’allegoria della Gloria su un piedistallo decorato con un cigno, simbolo, appunto, della gloria e l’allegoria della Fama con in mano la tromba e il fulmine, con vicino un fanciullo che tiene una lancia; questa figura ha ali tempestate di occhi, bocche e lingue che sono attributi di questa allegoria secondo la descrizione di Virgilio e ripresa da Cartari. Il piedistallo sottostante riporta l’immagine di Pegaso, altro simbolo della fama. Nella parte inferiore dell’arazzo sono rappresentati turchi in catene. Nell’ultima iscrizione di questa enorme composizione si legge «La flotta vittoriosa entra nel porto di Corfù rimorchiando centotrenta galee catturate, le restanti sono andate distrutte e affondate». I magnifici arazzi hanno sicuramente avuto anche un grande impatto nella società di quel tempo. Tra il 1592 e il 1594, Lazzaro Calvi, che aveva contribuito ai disegni preparatori, ripropose sul soffitto della sala a piano terreno, sul versante est, di Palazzo Angelo Giovanni Spinola, in via Garibaldi a Genova, una versione semplificata di cinque dei sei arazzi. La decorazione presenta una scena centrale più grande e quattro minori ai lati. L'opera fu commissionata da Giulio Spinola che aveva combattuto alla Battaglia di Lepanto al comando della galera Perla del Doria. 32 Il medaglione più grande, al centro del soffitto, rappresenta la Formazione di battaglia delle flotte e i quattro ai lati raffigurano: Incontro a Messina, Viaggio lungo la costa calabrese, La Battaglia e Lo scontro finale e la fuga delle galere di Uluç Alì. Non viene inserita la scena finale della narrazione, cioè il ritorno a Corfù. Anche se semplificati, gli affreschi sono basati direttamente sugli arazzi; ne è prova l’inserimento degli errori presenti negli arazzi come la raffigurazione invertita del porto di Messina. Le figure allegoriche e il corredo architettonico della serie degli arazzi non sono stati rappresentati, al loro posto le scene sono inserite in uno sfondo bianco decorato con motivi a grottesca e una serie di otto personificazioni che però non sembrano collegarsi significativamente con i contenuti della narrazione: le Virtù cardinali e teologiche e la Pace. Un esempio di una commissione privata genovese raffigurante la battaglia di Lepanto è il dipinto anonimo custodito al National Maritime Museum di Greenwich voluto forse dalla famiglia Negroni, che impiegò quattro galere nella spedizione. Il dipinto raffigura il momento della battaglia, con un orizzonte alto e un mare colmo di galere in combattimento. Grazie ad alcune iscrizioni, ormai frammentarie e poco visibili, si è riuscito a identificare alcuni dei partecipanti. In primo piano a sinistra è raffigurata la galera di Giovanni Andrea Doria, comandante dell’ala destra della flotta cristiana, che porta l’iscrizione «IL GIOVANNI ANDREA DORIA», gli stendardi con l’aquila a due teste asburgica e la croce di San Giorgio, stemma di Genova; alla sua sinistra, riconoscibile dalla grande croce bianca sul tendone di poppa e la scritta «LA CAPITANIA DE NEGR[O]NI», si trova l'ammiraglia della famiglia genovese Negroni. In primo piano a destra si vedono le galere dell’ala turca di sinistra, una di queste reca un’iscrizione «OCHIALLRE. DALGIERIFUGE. DALLABATTA.GLIA.» cioè Ochiali, re di Algeri vola dalla battaglia, che la identifica come la galera di Uluç Alì. Tra le galere dello sfondo sono visibili gli stendardi del Leone di Venezia, la Croce Rossa di San Giorgio di Genova e gli stendardi d'oro e d'argento dello Stato Pontificio. L'ammiraglia di Don Juan, comandante dell’intera Lega Santa, è raffigurata nel centro sinistro della tela ed è identificata grazia allo stendardo di Cristo sulla Croce e quello dell'aquila bicipite asburgica; questa sta assistendo una galera veneziana nell'attaccare l'ammiraglia di Ali Pasha, il comandante in capo turco, con le 3 mezzelune sullo stendardo. Alla loro destra è rappresentata l'ammiraglia di Marcantonio Colonna, comandante delle galere pontificie. Il fumo intorno alle galere indica la crudeltà della battaglia. La posizione centrale e di primo piano della galera Negroni può indicare questa famiglia come committenti originari di quest’opera. ALTRE COMMITTENZE DI TIPO RELIGIOSO Per la maggior parte sono dedicate alla Madonna del Rosario, fondamentale per la vittoria dei cristiani. G. B. Paggi, Madonna del Rosario con santi, Pio V, angeli che giocano con la raffigurazione dei quindici misteri del Rosario e la Battaglia di Lepanto (lo schieramento delle flotte) sullo sfondo; Albergo dei Poveri ma in origine nel convento domenicano di San Silvestro. 35 Nella cappella della Madonna del Rosario, all’interno della chiesa dei Santi Giovanni ed Evasio, vi sono due grandi tele ai lati che raffigurano la Battaglia di Lepanto e la Battaglia di Muret, entrambi del 1660, sempre di Giovanni Claret. La raffigurazione della Battaglia di Lepanto è ripresa dell’iconografia del precendente dipinto di Claret a Bra con l’aggiunta in primo piano della galea capitana sabauda, riconoscibile dallo stendardo con la croce bianca su fondo rosso (sensato visto a collocazione). La raffigurazione della Lotta agli Albigesi (eretici combattuti con una crociata vera e propria con lotta armata, assedio e sterminio degli abitanti di Alby; è una vicenda legata a S. Domenico, identificato da Alano della Rupe (400) come grande sostenitore del rosario a cui addirittura la madonna compare dicendogli che il rosario è l’arma migliore per vincere le lotta agli eretici che sta combattendo) presenta la madonna del rosario sia sullo stendardo che nel cielo con una bomba in mano (nel mito in realtà la madonna si manifesta durante la battaglia scagliando frecce). I due grandi quadri hanno la particolarità di raffigurare la vergine del rosario guerriera detta anche Conquistadora. La proposta di Claret verrà ripresa da altri pittori nei secoli successivi come, ad esempio, l’affresco di Giuseppe Nuvolone del 1667 circa nella Chiesa di san Donato. Un altro esempio del 1660 si trova nella Chiesa di San Giovanni a Saluzzo ed è realizzato da un pittore piemontese di cui però non si conosce l’identità. Qui sono rappresentate la Battaglia di Lepanto e la Battaglia di Muret. Gli albigesi in questa scena, nonostante la vicenda si collochi nel XIII secolo in Francia, sono rappresentati con vesti e armi alla turca; di norma sono raffigurati in maniera generica, non c’è una tradizione iconografica al riguardo. Qui è visibile il linguaggio di assimilazione indifferenziata di tutti i nemici della cristianità. 36 ICONOGRAFIE DEL TURCO: CASI DI STUDIO GENOVESI Dalla caduta di Costantinopoli c’è un’impennata dell’interesse verso la controparte ottomana. Questo da l’avvio ad un maggiore interesse verso i costumi, le usanze dei Turchi e lo studio della loro cultura; iniziano a circolare così più informazioni su questa popolazione con testi ma anche incisioni. Bisogna tenere conto che vi era anche la presenza di alcuni turchi nel mondo occidentale come, ad esempio, a Venezia e Genova. Un’opera significativa è Liguria trionfante delle principali nazioni del mondo realizzata da Pierre I Loisy per l’antiporta del volume di E. Ferrari. L’opera è particolarmente interessante in quanto vi è la cosiddetta “mano oculata”, uno degli attributi della Liguria. Deriva dal simbolo della Vigilanza, sono elementi positivi che vanno a sommarsi ad altri facendo della Liguria un posto laborioso con un importante impero sul mare. Il cocchio trionfante è tirato da un cavalluccio marino e travolge una sorta di mostro con teste di serpente con la lingua a forma di freccia (simbolo del veleno) assieme alle teste mozzate dei turchi; travolgono quindi il mostro ottomano. L’affresco Guglielmo Embriaco che guida i Genovesi alla conquista di Gerusalemme di Bernardo Castello per il Palazzo Imperiale. era stata di G. Embiraco l’idea di usare il legno delle navi genovesi per realizzare la torre utile a scavalcare le mura e conquistare la città; ed è infatti il tema centrale delle raffigurazioni legate alla presa della città santa a Genova (altrove privilegiati altri episodià ovvio collegamento dunque alla committenza Schiavi: La vita quotidiana Poniamo l’attenzione su una serie di disegni realizzati da che riscuotono un grande successo. Gli schiavi sono ritratti nella zona della darsena del porto di Genova. Questa documentazione, molto insolita in questo grado di dettaglio, ci fornisce molte informazioni dettagliate su quella che era la vita degli schiavi nella società del tempo: hanno tipico segno di riconoscimento del ciuffo su testa rasata, hanno il ferro alla caviglia anche se non la catena, avevano una figura del responsabile degli schiavi (Comito) che era munito di fischietto e dava gli ordini e le punizioni sulla nave e quando erano a terra gestiva le riparazioni delle galee ad opera degli schiavi stessi. Il Papasso era rappresentante degli schiavi che aveva funzione anche di referente religioso per gli schiavi rappresentato abbigliato occidentale sebbene fosse un turco. Sebbene le loro condizioni di vita fossero pessime vi erano delle forme di tutela e di accomodamento come un piccolo spazio per il culto nella darsena, disponibilità di inviare lettere (spesso che denunciavano trattamenti pessimi che potevano avere ripercussioni sugli schiavi cristiani presso i turchi e viceversa), disponibilità di vendere oggetti di piccolo artigianale e di praticare le loro competenze (es. il cavadenti) sempre però in modo controllato; tali soldi extra utili se poi accumulati venivano usati per affrancarsi. Ritratti alla moresca (ovvero in abiti turchi) Diversi nobili cristiani si fanno ritrarre per varie ragioni in questo modo. Gio Agostino Durazzo era stato inviato per riallacciare rapporti diplomatici ed ottenere privilegi commerciali per Genova presso la Suprema Porta ovvero la corte del sultano a Istanbul. 37 IL VERSANTE RELIGIOSO DELLE IMMAGINI Il tema delle immagini sacre è un tema fondante, erano le opere più commissionate sia dalla chiesa che dalle famiglie nobili e aristocratiche. Queste opere non sono solo opere d’arte: in primo luogo sono oggetti di culto con una loro funzione, fondamentale è infatti il loro valore devozionale. Agency, ovvero la capacità di azione dell’opera d’arte, è un termine intraducibile e per questo utilizzato anche in italiano e intende la f unzione dell’opera non solo sul piano estetico ma propriamente del suo impatto sulla vita degli uomini; è un valore sì intrecciato di questo valore con la valenza estetica anche se le due non sono legate in maniera biunivoca, il valore estetico non è necessario al valore di agency (es. Madonna di Guadalupe di Città del Messico non è un opera capolavoro ma è oggetto di un culto fortissimo). Hans Belting in Il culto delle immagini indaga le immagini religiose cristiane in Europa e in area bizantina nel medioevo. Secondo le posizioni dei teologi, le immagini sacre con valore cultuale, ovvero quelle a cui si facevano voti, si rivolgevano preghiere e davanti cui ci si inginocchiava, sono caratterizzate dall’immanenza del sacro, cioè la devozione che ricevono non è rivolta a loro in quanto tali, in quanto immagini, ma è rivolta al prototipo del soggetto che raffigurano à elemento su cui si fondano le controversie legate all’idolatria delle immagini perpetuata dagli iconoclasti prima e dai protestanti poi. In tal senso l’immagine è un tramite, un ausilio visivo per l’uomo che essendo terreno non riesce a comprendere e capace di visualizzare appieno il divino. La tesi di Belting sottolinea come nel tempo l’immanenza del divino in alcune immagini giunge ad assumere le forme di capacità operative dell’immagine stessa (es. la capacità di concedere miracoli e/o grazie, di parlare, di muoversi, di sanguinare, lacrimare, ecc.) portando ad un culto specifico per quella immagine sacra, tradizione poi degli ex-voto. L’Aniconicità, privo di immagini, è presente nell’ebraismo e soprattutto nell’islam Immagine Acherotipa è un Immagine sacra, ritenuta autentica e di origine miracolosa, è un’immagine realizzata senza la mano dell’uomo, prodotte dunque per intervento soprannaturale à sono tra le più venerate, sono sia immagini che anche reliquie. All’inizio sono principalmente cristologiche, legate alla figura di Cristo, solo in seguito, in età moderna ne compaiono legate alla Madonna o di Santi. In età moderna con l’ascesa di grandi figure artistiche molte immagini assumono grande importanza proprio in virtù della mano che le ha realizzate. La definizione di santuario è molto recente, anche se questi edifici sono sempre esistiti: la definizione deriva dalla percezione dei fedeli di un surplus di sacralità di un determinato edificio perché in esso sono conservate reliquie miracolose. Mandylion: esso ha avuto per secoli una lunga fama di Acheropita e di immagine Taumaturgica. Il Mandylion è riconosciuto come immagine edessena. Era un telo, venerato dalle comunità cristiane orientali, sul quale era raffigurato il volto di Gesù. Ve ne sono due esemplari: quello del Vaticano e quello della Chiesa di San Bartolomeo di Genova. Secondo la tradizione questa acheropita nasce da contatto; un’altra immagine acheropita è la Sindone. Questa sarebbe quindi la prima immagine di Dio esistente in quando tutti gli artisti non lo rappresenterebbero fedelmente. Miti delle due immagini: 1. Quella genovese è una delle più antiche e famose d’oriente: Anannia, pittore, fu inviato dal re Addar, che risiedeva ad Edessa, a cercare Cristo, un miracoloso guaritore di cui si sentiva parlare, lo trova ma poiché Cristo ha la sua missione da compiere non acconsente a recarsi ad Edessa, e così il pittore prova a fargli almeno un ritratto, ma siccome Cristo è in parte divino non riesce a raffigurarlo, così Gesù prende un pezzo di stoffa, lo poggia sul suo volto lasciando impressa la sua figura. Questa immagine cura il re e poi viene mantenuta a protezione della città, passando poi a Constantinopoli (non si sa bene poi cosa le succeda dopo la caduta di Costantinopoli) e successivamente donata dall’imperatore di Bisanzio a Leonardo Multaldo che alla sua morte la lascia alla chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni. 2. Quella vaticana: Veronica, una donna pietosa, da un pezzo di stoffa al Cristo perché si possa asciugare durante la sua salita al calvario e miracolosamente il suo volto si imprime nella stoffa. Probabilmente entrambe le immagini non sono le originali delle loro leggende ma rifacimenti medievali; non si sa di chi sia la primogenitura. La categoria delle Acheropite è la più sacra in assoluto. Un’altra categoria è quella delle Madonne di San Luca: immagini della vergine ritenute antichissime che vengono associale alla leggenda secondo cui San Luca avrebbe fatto il pittore ed avrebbe realizzato un ritratto della vergine con il bambino. Molte icone bizantine, giunte poi anche in occidente, erano ritenute realizzate proprio dal santo oppure realizzate replicando l’originale del santo. LA ROTTURA DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI E IL COLLEGAMENTO CON LE IMMAGINI Mandylion della Chiesa di San Bartolomeo di Genova Mandylion del Vaticano (cornice 1623) 40 Un altro modo in cui veniva raffigurata l’Immacolata Concezione erano le Litanie Lauretane come possiamo vedere nell’opera di Juan de Juanes del 1560 circa. Qui vediamo al centro la Vergine in abito bianco, simbolo della purezza, Anna con un abito rosso e verde, colori-simbolo di amore e speranza e Gioacchino. In alto ai lati troviamo i simboli delle litanie (Turris eburnea =torre d’avorio; Ianua coeli; Hotus conclusus; Civitas dei; Speculum sine macula; Fonte Pozzo) e in alto Dio Padre distaccata dal resto dell’opera da una scritta in latino tratto dal Cantico dei Cantici (“Tota pulchra es amicae mea et macula non est in te”). Le litanie sono delle preghiere dedicate alla Vergine che ogni volta hanno come “protagonista” un oggetto diverso, come possiamo vedere nell’opera di de Juanes. Le litanie più famose ed importanti sono quelle di Loreto, importante luogo di pellegrinaggio nelle marche dal momento che era sede della Casa della Vergine che secondo la tradizione era giunta in volo dalla sua sede originale per sfuggire al controllo mussulmano (Loreto importante centro per la conversione di ebrei e mussulmani). Elementi relativi e connessi all’immacolata concezione secondo il Malous del 1570: specchio senza macchia, città di Dio, sole, stelle, fonte, specchio, giglio, torre davidica, porta del cielo, rosa, verga di Jesse. MADONNA DELL’APOCALISSE In alcune opere vi è anche la raffigurazione, oltre che alle normali litanie, di un elemento tratto dall’Apocalisse 12,1: un drago a sette teste e dieci corna (serpente antico=diavolo) che vuole divorare la vergine, ma che viene sconfitto da quest’ultima circonfusa di luce con la luna sotto i piedi e con corona di dodici stelle. Questa tipologia fa si che ci siano delle associazioni tra la donna dell’Apocalisse e la vergine che non rimandano alla figura dell’Immacolata Concezione, ma all’Assunzione della stessa. In origine la descrizione di Giovanni era considerata come prefigurazione della Chiesa, mentre in seguito la si vide come prefigurazione del ruolo della Vergine in generale. Il legame dell’iconografia della Donna dell’Apocalisse e dell’Immacolata non è istantaneo nella sua diffusione: es. in Spagna spesso gli attributi della Donna dell’Apocalisse sono associati all’iconografia dell’Assunta (assunzione con anima e corpo in cielo) poi collegamento tra l’Assunta e l’Immacolata, in quanto può essere assunta in cielo sia con l’anima che col corpo perché, essendo senza macchia, la sua carne non è corruttibile come quella degli altri uomini. Verso la fine del 500 tende ad affermarsi la versione della vergine con la mezzaluna sotto ai piedi che talvolta può avere anche in braccio il bambino. Nella Genesi c’è un passo dove si dice che la donna resa da dio nemica del serpente gli schiaccerà il capo (su questo punto incertezza della traduzione, potrebbe essere riferito alla donna o alla sua progenie, quindi il Cristo nel caso della Vergine; nella tradizione protestante è dunque solo Gesù a calpestare il serpente, mentre nella tradizione cattolica si accetta che sia anche la Vergine a farlo, sia insieme al figlio in quanto coredentrice, sia da sola) mentre lui tenterà di ferirgli il calcagno. L’iconografia della madonna dell’apocalisse ha immagini abbastanza standardizzate soprattutto sul piano della composizione, spesso basate sulle incisioni che circolavano ed erano inserite nei libri d’Ore. ALBERO DI JESSE IMMACOLISTA: si diffondono in origine soprattutto in Spagna gradualmente si semplifica perdendo Jesse e tutti i progenitori riducendosi solamente a dei racemi che sostengono la Vergine o a dei rami che scaturiscono dai suoi genitori e che la sostengono. Parallelo spesso presente tra la Trinità umana (S. Anna, la Vergine e Gesù bambino) e la Trinità divina (Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo). 41 Il tema dell’Immacolata Concezione era molto sentito anche a Genova, specialmente nella comunità Francescana. Nella cappella di Gioacchino in San Lorenzo della Costa vediamo una serie di quadri di Marcello Sparzo realizzati nella seconda metà del XVI secolo: la volta è dedicata ad una serie di temi legati alla storia di Anna e Giacchino, i genitori della Vergine. Bernardo Castello diventa specialiste delle rappresentazioni immacoliste a Genova; Andrea Semino segue in una prima fase le iconografie tradizionali come Castello, poi sviluppa un’iconografia che vuole la Vergine non più stante ma in movimento, in cammino (vesti mosse dal vento). Nella chiesa dell’Annunziata a Genova la Vergine immacolata presenta abiti rosso e blu, per trasposizione e volontà di continuità con la Vergine assunta rappresentata in altri luoghi della chiesa; inoltre, estrema similarità tra Dio Padre e l’Immacolata (soprattutto nei vestiti); c’è una volontà di sottolineare il fatto che la Vergine è fatta a immagine e somiglianza di Dio. LA MADONNA DI GUADALUPE Il nominativo di Guadalupe che assume questa madonna è legato ad un culto spagnolo medievale di carnagione nera, ma che non assomiglia affatto alla madonna messicana. Da qui nasce anche un equivoco secondo cui G.A. Doria, devoto alla madonna spagnola, aveva la sua immagine sulla nave nella battaglia di Lepanto àQuesta informazione è totalmente sbagliata, ma ormai si trova in tantissimi libri. Effettivamente egli venerava la madonna di Guadalupe ma quella spagnola (presso il cui santuario aveva pure mandato come dono dei lampadari d’argento), il culto presso i Doria della madonna messicana si diffonderà ma solo a metà ‘600 (ben più congruente anche con l’effettiva diffusione in Europa delle riproduzioni della madonna messicana e del suo culto: primi del ‘600); di certo non poteva esserci a metà Cinquecento e a Lepanto. Immagine immacolista ritenuta acheropita: la leggenda narra che un modesto contadino locale, Juan Diego, convertito al cristianesimo, ha una visione mentre cammina della Vergine che gli chiede di far costruire un santuario; si reca dunque dall’arcivescovo per chiedergli di costruirlo, lui chiede delle prove, così i reca sul luogo dell’apparizione e la Vergine fa fiorire, anche se era inverno, delle rose come prova miracolosa, raccoglie queste rose e le mette nella sua timma, ovvero il mantello dei poveri. Una volta arrivato al cospetto dell’arcivescovo apre il mantello per mostrare le rose ma oltre ad esse sul mantello si è impressa miracolosamente l’immagine della Madonna che gli è apparsa. Bernardo Castello, Immacolata, Chiavari, Santuario di Nostra Signora dell’Orto Andrea Semino, Immacolata, Genova, Chiesa di S. Pietro in Banchi Giulio Benso, L’Immacolata Concezione, Chiesa della SS. Annunziata, Genova, presbiterio 42 Questa leggenda trascritta nel testo di Sanchez, estremamente nazionalista che vede il Messico completamente cristiano, a discapito dell’Europa attraversata da conflitti, come nuovo centro della cristianità, e in Città del Messico come la nuova Gerusalemme, è il motivo per cui la Vergine decide di apparire lì. Grande diffusione in Messico e poi trasportato in Europa dagli spagnoli. La Vergine di Guadalupe è presenta con la pelle un po’ più scura rispetto alla tradizionale carnagione delle Vergini nelle rappresentazioni europeeà elemento enfatizzato dal testo scritto e poi dalle riproduzioni (soprattutto per il mercato americano). La pelle bianca all’epoca era vista come caratteristica positiva, mentre quella nera come caratteristica negativa. Ma allora perché la vergine ha la pelle più scura? Per sottolineare che questa era la Vergine del Messico e non quella della Spagna. In certi contesti, in cui la destinazione è Europea, si tende a normalizzare l’aspetto di questa Vergine. Diverse versioni, tutte basate sull’originale che viene sempre ripresentata al centro delle raffigurazioni ai lati, a mo’ di contorno, sia riquadri con le scene della leggenda, sia immagine di S. Giovanni (identificazione della Guadalupe come Donna dell’Apocalisse) Assieme al culto della Madonna di Guadalupe, iniziano a diffondersi anche numerose iconografie riguardanti la sua creazione. Madonna di Guadalupe di Santo Stefano d’Aveto, sull’altare della chiesa parrocchiale, originaria di Palazzo del Principe è una replica fedele all’originale probabilmente è la più antica effige di questa Madonna portata in Italia. Nel 1684 grande processione intorno a Palazzo del Principe salvatosi dal bombardamento via mare dei francesi contro Genova e considerato miracolo proprio di questa effige della Guadalupe. Finale ligure e ponente ligure in generale era un’enclave spagnola, perciò grande diffusione dell’immagine e del culto della Guadalupe. Nell’opera di Villegas si vede la Vergine di Guadalupe creata e dipinta da Dio Padre (immagine acheropita). ICONOGRAFIA DI SANT’ANNA S. Anna Metterza quando associata alla madonna e al Bambino spesso presenta un cesto con panno bianco, paio di forbici e gomitolo: plurimi significati, innanzitutto il ruolo di madre nei confronti della Vergine alla quale insegna una delle pratiche tipicamente femminili. Iconografia di questi attributi traslato anche alla vergine e all’annunciazione dal momento che ella cuce col suo corpo la veste carnale per Cristo ICONOGRAFIA DELLA MADDALENA Perché nell’iconografia la Maddalena è la santa più rappresentata in assoluto? Diventa simbolo di vanitas, abbandono del mondo e di penitenza. Ma chi è la Maddalena? Nei Vangeli si parla di lei in molte occasioni, ma viene chiamata Maria di Magdala. Maria Maddalena è menzionata nel Vangelo secondo Luca (8:2-3) come una delle donne che «assistevano Gesù con i loro beni». Da Maria Maddalena «erano usciti sette demoni». È inoltre una delle tre Marie che accompagnano Gesù anche nel suo ultimo viaggio a Gerusalemme (Matteo 27:55; Marco 15:40-41; Luca 23:55-56), e sono testimoni della sua crocifissione. Maria è presente anche alla morte e alla deposizione di Gesù nella tomba. Nel primo giorno della settimana, insieme ad altre donne si reca al sepolcro, portando unguenti per ungere la salma. Le donne trovano il sepolcro vuoto ed hanno una "visione di angeli" che annunciano la risurrezione di Gesù. Maria Maddalena corre a riferire quanto visto a Pietro e agli altri apostoli (Giovanni20:1-2). Ritornata al sepolcro, si ferma piangendo davanti alla porta della tomba. Qui il Signore risorto le appare, ma in un primo momento ella non lo riconosce. Solo quando viene chiamata per nome diviene consapevole di trovarsi davanti Gesù Cristo in persona. Cerca di trattenerlo, ma Gesù la invita a non trattenerlo (a non toccarlo), dicendole: «Non mi trattenere (NOLI ME TANGERE), perché non sono ancora salito al Padre mio; ma va' dai miei fratelli e dì loro: Sto ascendendo al Padre mio e al Padre vostro, al Mio Dio e al vostro Dio»(Giovanni 20:17). Maddalena reca l’annuncio agli apostoli, ed è perciò «apostola apostolorum» Affianco a questa figura vi è Maria di Betania che sarebbe la solita persona. Nel Vangelo secondo Luca10, 38-42, Maria e sua sorella Marta accolgonoGesù in casa, ma mentre Marta si occupa delle faccende domestiche, Maria si siede ad ascoltare la parola di Gesù. Marta si lamenta di ciò con Gesù, ma questi le risponde: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». Nel Vangelo secondo Giovanni 11, 1-46, le due sorelle mandano a chiamare Gesù perché venga a guarire il fratello Lazzaro, caduto malato, ma Gesù si attarda e quando giunge Lazzaro è già morto. Maria lo accoglie esclamando: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù quindi si reca al sepolcro e resuscita Lazzaro. Nel Vangelo secondo Giovanni, 12, 1-8, mentre Lazzaro e le sue sorelle ospitano Gesù a cena, Maria cosparge i piedi di Gesù con un unguento molto prezioso e li asciuga con i propri capelli. Giuda si lamenta che questo unguento sia stato sprecato, mentre avrebbe potuto essere venduto e il ricavato dato ai poveri; ma Gesù lo rimprovera dicendo che il gesto di Maria prefigura l'unzione del suo corpo morto. L’episodio è riferito anche nel Vangelo secondo Matteo (26,6- 13) e nel Vagelo secondo Marco (14,3-9), che però non nominano Maria e situano la cena in casa di Simone il lebbroso. Madonna di Guadalupe, Santo Stefano d’Aveto J. Villegas, Dio padre dipinge l’effigie della Madonna dii Guadalupe, XVIII secolo, Città de Messico, Muse Naz. dell’Arte 45 ICONOGRAFIA DEL SANGUE DI CRISTO Connesso a iconografie anche molto diverse tra loro. Il sangue di Cristo è oggetto di una speciale devozione perché naturalmente il sangue di Cristo è quello che Cristo stesso ha indicato come strumento di salvezza per il genere umano ed è quindi legato da un lato a tutte le iconografie della passione e della crocifissione e della deposizione di Cristo ma dall'altro è legato anche a tutte le iconografie eucaristiche. C'è una valenza mistica che viene attribuita al sangue di Cristo per cui una serie di santi mistici e Sante mistiche che si abbeverano direttamente al sangue di Cristo come fonte di salvezza. Iconografia del torchio mistico à sangue di Cristo paragonato al vino. In talune crocifissioni troviamo intorno al Cristo degli angeli che raccolgono nei calici eucaristici il sangue che sgorga dalle ferite: mani, piedi e soprattutto dal costato; il sangue che esce dal costato è considerato il più puro e prezioso dal momento che deriva da più vicino al cuore. In talune crocifissioni troviamo una figura simbolica femminile a cavallo di una creatura con quattro teste, simboli dei vangeli e degli evangelisti, che regge un calice nel quale zampilla il sangue, l’Ecclesia o Chiesa personificata. A questa figura si contrappone spesso la figura di una donna bendata, la Sinagoga, ovvero gli ebrei ciechi che non hanno seguito Cristo. Iconografia della fontana della vita à Cristo al centro di una vasca nel quale fa zampillare il suo sangue; spesso ci sono degli angeli che riempiono calici di sangue da questa fontana o fedeli che ne vengono inondati in senso salvifico. Spesso iconografia contaminata con quella del torchio mistico. Iconografia del Cristo immerso nel calice eucaristico à iconografia tipicamente veneta e assai poco diffusa al di fuori di quel territorio Iconografia della Messa di S. Gregorio àl’eucarestia si trasforma in cristo stesso che appare sull’altare con il corpo sanguinolento. Insieme di due scene: il torchio mistico e la Messa di San Giovanni. S. Caterina beve il sangue di Cristo, 1648 46 Il tema del sangue di Cristo viene poi ampliato ad altri episodi nel quale Cristo versa sangue oltre alla Passione: sette episodi, numero con valore simbolico à es. circoncisione Iconografia del mare di sangue à il sangue versato dalle ferite di Cristo crocifisso assume la dimensione mistica di un mare: non ha confini nel suo potere salvifico, non può dunque essere contenuto in un caliceà tema importante per Bernini Iconografia del Vir Dolorum (analizzata anche da Panofsky), Man of Sorrows o Imago Pietas (in veneto detto anche Cristo passo) àchiamato così perché è innocente e paga su di sé le colpe altrui. Ha i simboli della passione (sia oggetti sia ferite sul proprio corpo) ma al contempo non è né un Cristo crocifisso (se la croce c’è è un attributo), né un Cristo deposto dal momento che non è morto e non è attorniato da altre figure, né un Cristo risorto (non ha i tipici attributi, es. gli occhi aperti dell’aspetto trionfale) è una raffigurazione a-narrativa, a-storica à raccoglie simboli della passione e li concretizza in questa immagine senza però legarsi in maniera precisa a un episodio; presenta dettagli a metà tra il cristo vivo (es. è in piedi) e il cristo morto (es. occhi chiusi, anche se questi non sempre presenti). È un’iconografia di origine bizantina che voleva fondere a scopi processionali e liturgici le figure del cristo crocifisso e del cristo pantocratore. Emblemi della passione: • Lancia • asta con la spugna • scala • chiodi • gallo • mani con bacinella d’acqua • mani con elementi per tirare a sorte (gioco per le vesti di Cristo) • taglio dell’orecchio • tradimento di Pietro Tutti questi simboli sono etti anche “arma christi” = elementi che servono a riassumere le vicende della Passione che va conosciuta bene per essere compresi. In alcuni casi Cristo affiancato da Giovanni e Madonna in alcuni casi Cristo inserito in parte in un sarcofago. L’iconografia del vir dolorum è molto diffusa nei tabernacoli (legame tra il contenuto del tabernacolo e il soggetto effigiato) 47 TURCHI Dal conflitto con i turchi nascono alcune immagini identitarie di Genova. Es. valore importantissimo di Guglielmo Embriaco nella presa di Gerusalemme durante la prima crociata (valore poi recuperato e riconosciuto in età moderna ad es. da tasso nella Gerusalemme liberata) à aveva fatto demolire le navi per erigere le torri mobili fondamentali per il superamento delle mura (ne parla Caffaro, varie fonti locali e poi anche Tasso). Fuori da Genova ovviamente l’Embriaco non ha il ruolo di grande conquistatore di Gerusalemme che invece gli è attribuito a Genova, dove viene rappresentato spesso. Viene associato questo episodio (molto importante) con le fasi delle origini della repubblica genovese Elemento di riconoscimento dei turchi: principalmente il turbante (e gli abiti), insieme ad alcuni tratti estetici come i baffi; la pelle e la fisionomia invece no dal momento che erano molto variegate e spesso simili a quelle della loro controparte cristiana Ceneri di S. Giovanni battista àgiunte a Genova dalla terra santa tramite l’Embriaco àreliquia molto conosciuta e venerata 1566, Massacro dei Giustiniani àI Giustiniani avevano la gestione dell’isola di Chio, uno degli ultimi capisaldi occidentali in quell’area ---> in quella data conquista da parte dei turchi che rapiscono diversi giovinetti della famiglia allargata dei Giustiniani e portati ad Istanbul dove gli viene imposto di abiurare e convertirsi all’islam per salvarsi; secondo molte tradizioni molti si rifiutano e vengono massacrati. Episodio preso come segno di virtù tradizione che vuole uno dei giovinetti morto poco prima che la spada lo colpisse preservandolo dalla sofferenza e dalla violenza; Visti come martiri moderni e considerata una delle glorie religiose e civiche di Genova
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