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Appunti lezioni di Storia del cinema (magistrale) Tomasi, Appunti di Storia Del Cinema

Sbobinatura delle lezione del professor Dario Tomasi per il corso di Storia del cinema A laurea magistrale Università degli studi di Torino. Analisi dei 6 film: Giglio infranto (Griffith, 1919), Tartufo (Murnau, 1925), L'angelo azzurro (Sternberg, 1930), Rashōmon (Kurosawa, 1950), Questa è la mia vita (Godard, 1962) Eyes wide shut (Kubrick, 1999).

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 06/04/2021

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Scarica Appunti lezioni di Storia del cinema (magistrale) Tomasi e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! STORIA DEL CINEMA A a.a. 2020/21 professor Tomasi D. lezione 1 Giglio infranto Il film “Giglio infranto” è un film che appartiene agli anni del muto, un film americano del 1919 di Griffith. Il più importante regista della storia del cinema americano degli anni 10. Questo film è lontano dai suoi grandi kolossal come Nascita di una nazione (1915) e Intolerance (1916). In esso il montaggio gioca un ruolo interessante perché gli episodi vengono intrecciati. Il Giglio infranto è un film a basso costo, dalla durata contenuta e a carattere intimistica. Il soggetto appartiene a una tradizione romantica, letteratura populista, giornalismo sensazionalistico dell’ottocento. Un amore interazione tra un ragazzo cinese e una ragazza bianca. A carattere provocatorio perché gli amori interrazziali rimasero a lungo un tabù nel cinema statunitense. Fra gli attori che Griffith riuscì a lanciare e imporre come divi ci fu Lilian Gish, protagonista del film e icona del cinema americano di quei tempi, interpreta una ragazza di 12 anni anche se nella realtà è molto più grande. Mentre il ruolo del cinese è interpretato da un attore occidentale, Richard Barthelmess. Fu girato nel novembre del 1918 con appena 92’000$ in diciotto giorni. Ingresso 3$ a biglietto, molto alto per l’epoca. Questo successo popolare fu accompagnato da un grande successo critico. Il soggetto Cheng Huan, uomo di fede, lascia la Cina per raggiungere Londra. Sono passati pochi anni e Cheng, che ha aperto una bottega nel quartiere portuale di Limehouse, sembra aver perso ogni fiducia nel futuro. Nelle stesse strade vive anche l'adolescente Lucy, figlia del brutale pugile Battling Burrows. Cheng è colpito dalla bellezza di Lucy ma non riesce a comunicarle i suoi sentimenti. Una notte, prima di recarsi all'allenamento, Burrows picchia per l'ennesima volta la figlia. Lucy riesce a trascinarsi fino alla bottega di Cheng che la soccorre portandola nella sua stanza. Il casto amore del cinese conquista la ragazza. Intanto, un amico di Burrows scopre l'accaduto e corre ad informarlo. Dopo aver vinto un incontro, il pugile si reca da Cheng, allontanatosi per comprare dei fiori. Burrows devasta la stanza e porta via con sé Lucy. Mentre Cheng accorre per sottrarla a certa violenza, Burrows colpisce la figlia fino ad ucciderla. Quando trova il cadavere, Cheng si scontra con l'uomo e lo uccide a sua volta. Riportato il corpo di Lucy nella sua stanza, l’uomo, prega, e si toglie la vita. All'arrivo della polizia tutto si è già compiuto. Il prologo è ambientato in Cine e ne costituisce un antefatto. Cheng Huan prima del viaggio e dopo il viaggio a Londra. Alla presentazione del cinese segue quella del pugile, il padre e infine della figlia Lucy. Il film può essere definito una sorta di racconto morale che ha come fine quella di insegnare il modo di essere e di rapportarsi agli altri. questo intento moralistico è già evidente nella didascalia introduttiva. Il film si apre con un prologo ambientato in una città portuale della Cina, rappresentata secondo certi canoni come un luogo di pace e serenità. La scena del tempio introduce il personaggio di Cheng, una rappresentazione schematica che entra in un certo modo in cui l’occidente guarda l’oriente in maniera schematica e parziale, senza tenere conto della complessità della realtà a cui si riferiscono. Il film introduce un ellissi di alcuni anni e la storia si trasferisce nel quartiere londinese di Limehouse. L’espressione è timorosa, molto diversa da quella del prologo. Sofferta e pensierosa la posizione delle braccia di Cheng. La parola scritta viene attribuita al nome proprio di Cheng. The yellow man è la definizione del protagonista per esplicitare ciò che 1 in qualche modo le immagini ci hanno detto e cioè che gli ideali dell’uomo sono naufragati nella sordida realtà della vita. Un primo flashback che mostra un suo ricordo, la fumeria d’oppio, luogo tipico dell’orientalismo occidentale. La Cina vista da un lato in maniera positiva, luogo di pace, da un lato in maniera negativa, luogo sordido e misterioso dove prevale il peccato. La scena è volta a rappresentare lo squallore in cui è caduto l’uomo grazie a diversi aspetti: le unghie ad artiglio del musicista, l’uomo col turbante dall’espressione torva, la donna bianca con lo sguardo voluttuoso, la coppia interrazziale e il protagonista che fuma l’oppio. La sala da gioco, anch’essa a suo modo un luogo di malaffare che contrassegna il male dell’oriente che porta in occidente, droghe e gioco d’azzardo. Il film stabilisce un parallelo tra ciò che accade nel presente e ciò che accade nel passato a indicare come qualcosa del vecchio Cheng sia ancora vivo. Una costruzione simile delle due inquadrature, in cui Cheng si trova sempre in mezzo a tentare di dividere i due contendenti. Successivamente seguono le scene del padre Battling Burrows e la figlia Lucy, Cheng è contrassegnato da un’idealismo infranto e purezza incontaminata, Battling è indicata la violenza e di Lucy la disperazione priva di prospettive. tutte e tre si avvalgono di flashback soggettivi, la fumeria d’oppio e la sala da gioco per Cheng, l’incontro di box per Battling, quelle con la madre di famiglia e le prostitute per Lucy, ci narrano in modo esplicito le diverse realtà di ognuno. Battling il bruto, l’animo violento è indicato dal suo stesso nome proprio “battaglia, combattimento” e dagli atteggiamenti che assume anche dalla sua professione di pugile. Altri tratti vengon evidenziati nel corso della presentazione, come il vizio dell’alcol e l’indulgere verso le facili compagnie femminili. Lucy la vittima designata, perché la donna è presentata attraverso due didascalie che la nominano e si collocano nel segmento della presentazione del padre. La prima didascalia presenta come la casa di Battling sia anche di Lucy, la seconda didascalia si riferisce al passato del personaggio e descrivere il modo in cui la ragazza finisce per viverci portata dall’amante dell’uomo. La terza didascalia continua a implicare l’importanza del legame tra i due personaggi e a ribadire il carattere violento del padre oppressore e quello della vittima indifesa senza speranza della figlia. La prima immagine di Lucy non è un assolo che la mostra vicina ad un uomo, l’inquadratura invita a contrapporre due diverse entità fisiche mettendo in evidenza il corpo minuto di Lucy per mettere in evidenza la sua fragilità. Il suo legarsi alle altre due rappresentazione sono due diversi flashback soggettivi. La loro finalità è quella di generalizzare il discorso, un intendo sociale del film. La condizione di vittima di Luci è la stessa di altre realtà femminili segante tutte e senza speranza da una condizione di oppressione di potere e desiderio maschile. Dopo le presentazioni dei tre protagonisti si avvia il gioco dei duetti in cui prima il padre e poi Cheng sono presenti in scena insieme a Lucy. Tra padre e figlia dove l’atteggiamento brutale e la violenza dell’uomo si fermano nella soglia delle semplici potenzialità. Ai modelli del découpage classico si rifà la scena nell’appartamento. La scena è un esempio di découpage classico (anche se in forma ancora minimale), che gioca sull'alternanza di un campo totale (sempre lo stesso e destinato a ripetersi diverse volte) e di piani più ravvicinati dell'uno e dell'altro personaggio, a seguire gli sviluppi della situazione. In questo suo procedere il montaggio analitico stabilisce delle gerarchie visive, a quale personaggio dobbiamo essere più vicino. A godere dei piani ravvicinati è Lucy. Un invito allo spettatore a stare dalla parte di qualcuno rispetto alla parte di qualcun’altra. Nel corso della prima scena a due fra Battling e Lucy, a godere di veri e propri piani ravvicinati è solo la figlia e non il padre. Un modo per stabilire delle precise gerarchie visive (primi e mezzi 2 Resistere (ancora) al desiderio Una lunga sequenza in montaggio alternato lega il match di boxe, da una parte, a Lucy e Cheng nella stanza, dall'altra. La violenza di Battling sul ring è connessa al desiderio di Cheng che, nella prima scena, è espresso da un insistito primo piano del suo volto che si avvicina a Lucy. La violenza virtuale di Cheng passa attraverso questo primo piano del suo volto mentre l’uomo corrotto dal desiderio si avvicina alla donna. Il film si autocita riprende e ridà immagine a qualcosa che è avvenuto in precedenza, Cheng si avvicina per baciare Lucy ma lui desiste. Nella seconda, si ripete quanto era già accaduto in precedenza: di nuovo Cheng si avvicina a Lucy per baciarla ma sono sufficienti uno sguardo di questa e la sua mano che si apre per tenerlo distante, a farlo desistere, e far sì che si limiti a baciare solo la manica dell’abito di questa. Ancora una volta la purezza ha la meglio sul desiderio sessuale come ribadisce la didascalia che chiude la scena. Griffith non fa di Cheng un personaggio edulcorato, pone in primo piano il suo desiderio sessuale, i suoi sentimenti erotici, dandogli però poi la forza di resistervi. Il suo mettere in gioco anche solo la possibilità di un rapporto sessuale fra una bianca e un cinese, fra una ragazzina e un uomo adulto, fa del film un’opera davvero sconvolgente, e non solo per i canoni morali del primo Novecento. La violenza di un padre La sequenza in cui Battling va a riprendersi Lucy è ancora un esempio di montaggio alternato che passa dalla stanza della ragazza, dove irrompe il padre, a Cheng in strada, sino al momento in cui questi è avvisato di quel che sta accadendo nella sua abitazione. La sequenza dà grande spazio alle intemperanze e alle violenze di Battling, che mette a soqquadro la stanza della giovane. Il momento culminante della scena, tuttavia, è rappresentato da un primo/primissimo piano dell'uomo, che si avvicina espressionisticamente all'obbiettivo, ed è drammaticamente accentuato da un breve controcampo sullo sguardo impaurito di Lucy, a sua volta evidenziato da un mascherino circolare. Lo sguardo sostanzialmente in macchina dell'uomo, conferisce alla sua immagina un carattere soggettivo che esprime il terrore di chi le sta di fronte, ovvero di Lucy. Il terrore di Lucy è affidato non solo all'espressionistica soggettiva del volto del padre ma anche a diverse immagini oggettive, di nuovo dal carattere quasi espressionistico per le posizioni del corpo e gli stravolgimenti del volto, che la mostrano in tutta la sua paura. La posa del corpo, delle braccia che disegnano angoli marcati che rendono più tese le inquadrature, le espressioni del volto comunicano tutto il terrore. Griffith muove la scena variando il piano di riprese. La paura dell'altro sesso La dimensione puritana dei film di Griffith si dà anche nella violenta rappresentazione del volto maschile che, di là dalla differente etica dei diversi personaggi, è sempre un volto che fa paura. Pur essendo l'uno agli antipodi dell'altro, il padre e il cinese sono, per Lucy, entrambi uomini. Quando Cheng rientra nella sua abitazione, Battling se ne è già andato, portando via con sé Lucy. Il dolore del cinese per la scomparsa della ragazza è espresso anche dalle sue espressionistiche posture che lo fanno apparire una sorta di Nosferatu ante-litteram. Ancora più violenza, ancora più montaggio La sequenza in cui Battling porta a casa Lucy, prosegue la precedente spingendola più avanti su un livello drammatico e di violenza. L'impennata si dà anche su un piano discorsivo: se la sequenza precedente giocava su un semplice montaggio alternato (fra i due nella stanza e il cinese in strada, A/B), questa si costruisce su un montaggio alternato a tre livelli (da una parte il padre che nella stanza cerca di entrare nello sgabuzzino dove si è rifugiata la giovane, A/B, e dall'altra il cinese prima nella sua camera poi in strada, C). Prima 5 il padre curvo e chino sulla donna, l’essere chino su Lucy si ripete molto spesso con la frusta tra le mani. L’uomo con l’accetta in mano che cerca di sfondare la porta in cui si è nascosta una donna, è un’immagine che ritroviamo in altri film importanti della satira del cinema come Shining di Kubrick. Questo ricorso a un montaggio alternato a tre livelli che congiunge due spazi limitrofi (qui, la stanza e lo sgabuzzino) a un terzo più distanziato (qui, l'altra casa e la strada), nel corso dello sviluppo di un evento particolarmente drammatico, è piuttosto frequente in Griffith, come testimonia una simile sequenza di A Lonely Villa (1909). La morte di Lucy A causa delle percosse subite dal padre, Lucy si spegne stesa sul suo lettino. Griffith mette in scena la sua morte tramite un lungo mezzo primo piano dall'alto, giocando principalmente su due elementi: la bambola (di nuovo, che sempre ne esplicita la purezza e la fanciullezza ma anche il suo legame con Cheng) e le dita della mano della giovane che, ancora una volta, la costringono al sorriso (gesto che ne ricorda la violenta oppressione subita dal padre). Lo scontro finale fra Cheng e Battling segue ancora una volta i dettami del découpage classico, passando da inquadrature d'insieme ad altre più ravvicinate sui due, in campo e controcampo. L'alternanza dei piani contrappone le smorfie dell'occidentale all'impassibilità del cinese. L'immagine ravvicinata dell'ascia innalza la tensione drammatica. Il ritorno ai piani d'insieme chiude l'episodio. Ancora il montaggio alternato domina la sequenza finale, unendo le scene delle indagini della polizia al suicidio di Cheng. L'altarino con la statuetta del Buddha (al presente) e l'inserto in flashback del monaco nel tempio (al passato), testimoniano della salvezza del personaggio che, nonostante abbia perso i suoi ideali, non è comunque venuto meno ai propri principi spirituali. La circolarità del film è espressa anche dall'ultima immagine della banchina che rimanda a quella con cui il film si era aperto. Due equivoci poster di 'Broken Blossoms'. Nel primo si propone un bacio che non sarà mai dato, nel secondo si offre un immagine dell'uomo - attraverso la sua schiena curva, l'espressione ambigua, il suo stare non visto da questa alle spalle della donna – come di una figura infida. Nell'uno e nell'altro caso si travisano i contenuti del film. 6 lezione 2 Tartufo Film di Murnau, uno dei più importanti registi del cinema tedesco degli anni 20. é stato in europa insieme al cinema francese, sovietico, uno dei momenti più alti della grande stagione del cinema muto. Ridotto a volte alla sommaria etichettati cinema espressionista, il panorama tedesco è più variegato. Comprende due grandi tendenze, il teatro da camera e la nuova oggettività. Molti film come molti autori possono avere in comune tratti si può comune dire che l’espressionismo cinematografico è contraddistinto dal ricorso al segno distorto. Un segno distorto che dà colpo a una realtà allucinata. Il gabinetto del dottor Caligari è un esempio. Il teatro da camera è un intimo teatro da camera che tende a fondarsi sul rispetto di unità di tempo, luogo e azione. Ricorre a un numero ridotto di personaggi e didascalie. Si affida al gusto evocativo dei dettagli, privilegia le sfumature, movimenti di macchina a ridosso dei personaggi per stanare i sentimenti. I film più importanti La rotaia, L’ultimo uomo. La nuova oggettività si può parlare di origine pittoriche e di una volontà critica nei confronti della realtà della Germania di quegli anni. Si privilegia un’ambientazione urbana di quartieri di periferie degradati. Il pessimismo di Murnau, Tratto dal testo di Molier, il film Tartufo (1925) è un film sull’ipocrisia, la fragilità e al debolezza umana. Costruito in chiave grottesca e termini meta-narrativi. Il lavoro propone un’idea dell’arte come mezzo salvifico. Eccesso lavoro delle luci, scenografia, composizione delle inquadrature, il fuori campo, le soggettive e i primi piani testimoniano l’eccellenza del regista. Per proteggere il nonno dalle grinfie di una domestica decisa a farsi intestare tutti i suoi beni, il nipote proietta un film che narra la storia dell’ipocrita tartufo. Soggetto Narra di un giovane che per salvare il nonno da una perfida domestica, decisa a farsi intestare tutti i suoi beni, proietta loro sotto mentite spoglie, un film che racconta la storia dell’ipocrita Tartufo e le peripezie di Elmire che, per salvare il marito Orgon dai raggiri dello stesso Tartufo, finge di darsi a questo per rivelarne agli occhi del consorte la concupiscenza e vera natura. Alla fine della proiezione anche l’ipocrita domestica sarà smascherata. Il risveglio La prima sequenza rivela sin da subito la sua volontà, della domestica, di raggirare l’uomo. Il dettaglio della campanella, inquadrature di anticipazione, un segno che rinvia al padrone all’anziano datore di lavoro che pur non essendo in campo è già introdotto. Le espressioni della donna dicono molte sul sentimento di irritazione. La domestica esce dalla stanza per arrivare alla stanza del vecchio, inquadrature con profondità di campo, un effetto ottenuto da una doppia esposizione. Sentimento di irritazione nuovamente espresso dall’azione della domestica che calcia le scarpe dell’anziano signore. Questa accentuata profondità di campo evidenzia le scarpe che stanno metonimicamente per l’anziano signore. Le scarpe hanno una funzione di rivelare la natura dei sentimenti di questa donna verso l’uomo attraverso il calcio che diventa un indizio del modo in cui questa donna si rapporta con questo suo datore di lavoro. L’immagine dell’uomo a letto rivela il gusto del regista per una rappresentazione grottesca e caricaturale della realtà e degli esseri umani che richiamo i quadri di Otto dix e George Grosz. I due personaggi vengono introdotti mentre sono a letto però la loro mole sembra disegnare certi rapporti di forza, debolezza e inetto il padrone rispetto alla domestica. 7 Agli ordini di Orgon i servitori sono invitati a preparare la casa per l'arrivo di Tartufo (che è ancora assente riempie comunque di sé lo svolgersi del film) e a cancellare da essa, per quanto possibile, i segni del lusso e tutto ciò che potrebbe offendere l'ascetismo dell’invitato. Dal canto suo, la sconcertata Elmire, confessa alla fedele domestica Dorine, che non riconosce più Orgon, come se questi fosse vittima di una "mania religiosa" (profondità di campo e sipario). Prima che Tartufo sia effettivamente messo in scena, il film ritorna nella camera di Elmire, che bacia il medaglione con la foto del marito mentre una sua lacrima cade sul volto di questi. L'immagine rafforza il motivo archetipico del triangolo (anche se di un anomalo triangolo si tratta) e fa di Tartufo qualcuno che potrebbe portare via da Elmire il suo amato marito, oltre a ribadire la sincera sofferenza della donna. L'annuncio di un cameriere, che definisce strano l'uomo appena arrivato, dà il via alla presentazione vera e propria di Tartufo. Dal canto suo anche Dorina rivolgendosi alla sua padrona definisce l'uomo come ‘inquietante’ (duplice differimento). Continua la presentazione differita e progressiva di Tartufo, con la sua prima vera e propria messa in quadro ma nella forma di un'enunciazione parziale, che passa attraverso l'immagine del suo braccio che appende al muro un soprabito (raccordo in avanti). (Da notare come la messa in quadro di tartufo attraverso il braccio, sia analoga a quella del nipote nel film cornice). Ad assistere all'accaduto, la domestica Dorina che il film ha ormai configurato come un’adiuvante di Elmire (cosa confermata dal fatto che da qui a poco la donna frugherà nelle tasche del soprabito dell’uomo). Il suo salire le scale accompagnata dalla propria ombra, è un mezzo per accentuare di mistero l'arrivo di Tartufo. Che tartufo possa davvero sconvolgere i modi di vita della casa di Orgon ribadito dalla decisione di questi di licenziare alcuni domestici poiché il suo ospite, contrario al lusso, non vuole troppi servitori. L’immagine in cui questo avviene, va segnalata per la sua attenta composizione e per la maestria di metteur en scene di Murnau. L'inquadratura si avvale di effetti visivi forti, quali l'uso delle ombre (di Orgon) e di una luce dinamica (giustificata dalle candele tenute in mano dai domestici). Essa poi si articola in tre diversi punti focali: il gruppo dei servitori in basso a destra, Orgon in alto e sempre a destra, infine Dorina, nascosta dietro la porta, anche lei in alto ma a sinistra. Ogni personaggio o gruppo di personaggi ha una ben precisa valenza.Si potrebbe poi aggiungere un quarto punto focale, in alto e al centro, rappresentato dal soprabito di Tartufo, con un evidente rinvio a colui che nascosto sembra davvero essere il regista di ciò che sta accadendo. L'ottava sequenza del film, che si svolge il mattino successivo all'arrivo dell'ospite, finalmente enuncia l'immagine proprio di Tartufo, mostrando nel volto allo spettatore mentre questi camminando sembra tutto preso dalle sue letture. Si tratta tuttavia di un'enunciazione ancora una volta progressiva che senza particolari effetti passa da immagini del volto più distanziate (all'interno della dimora) ad altre più ravvicinate (nel giardino). Il mezzo primo piano conclusivo di questa serie è già tutta via sufficiente a fare di Tartufo un personaggio almeno fisicamente sgradevole. Il gesto di Dorino, che solleva minacciosa il vassoio e sputa, non vista da questi, nella direzione dell’uomo, ribadisce il conflitto fra le due coppie dominanti: Tartufo e Orgon, da una parte, e Dorina e Elmire dall’altra. Durante la colazione, il film enuncia il primo vero e proprio primo piano di Tartufo, mentre addenta voracemente la carne si appresta a bere il vino offertogli da Orgn. Un primo piano grottesco che così accentua un modo di fare poco consono a quell’ascetismo così esibito (come quando poco prima invitava l'amico a pregare). Lo smascheramento del personaggio continua attraverso una successione di indizi ad alta valenza informante. 10 Poi, a quest'immagine ravvicinata del volto dell'uomo, ecco aggiungersene un'altra, questa volta in primissimo piano, quando questi adocchia il prezioso anello di Orgon, che vediamo in una soggettiva con il mascherino. L'intensificazione discorsiva - da primo piano a primissimo piano - in un altro modo attraverso cui il film rivela le vere intenzioni di Tartufo e ne smaschera l'ipocrisia (l'alternanza fra il volto di tartufo e il dettaglio dell’anello si protrae lungo 4 inquadrature). Questo sotto-segmento narrativo si chiude con Orgon che consegna il suo peccaminoso anello a Tartufo, il quale, una volta entrato in possesso, se lo mette in tasca, come bene mostra l'ennesima inquadratura ravvicinata. Apertasi con un particolare della mano di Orgon con l'anello al dito, la storia dell'anello si chiude con un'analoga immagine ravvicinata di esso però ora nella mano di Tartufo. La sequenza della colazione di tartufo è in montaggio alternato col risveglio di Elmire e la sua conversazione con Dorina. Il montaggio alternato oltre a legare fra loro le due situazioni, stabilisce così un evidente contrapposizione fra le due coppie: da una parte il truffatore e l’uomo raggirato (in esterno), dall’altra le due donne che debbono salvare Orgon (in interno). Le immagini dedicate a Elmire hanno due funzioni narrative essenziali: ribadire l’amore della moglie per il marito, quando questa si sveglia ha ancora in mano la fotografia di Orgon, ed esplicitare ulteriormente il piano truffaldino di Tartufo. Questo secondo motivo passa attraverso le immagini - ancora inserti in dettaglio - dei diversi assegni versati da Orgon a Tartufo. Elmire raggiunge Orgon in giardino e per un momento sembra quasi farlo rinsavire, riuscendo a stringerlo fra le sue braccia e a baciarlo. Ma è sufficiente che tartufo - un asceta che sembra amare molto l’ozio - si risvegli perché tutto ritorni come prima. La donna capisce che non può sottrarsi a un confronto diretto col truffatore. Il gioco di campi e controcampi sui volti dei due (analogo a quello della storia cornice fra il nipote e la domestica) la dice lunga sul clima da sfida che ormai si è instaurato. Dopo aver chiesto al marito di poter incontrare da sola Tartufo, la donna lascia i due uomini. Orgon chiede all’amico di convincere e convertire anche la moglie al suo ascetico credo. La risposta di questi è data dal suo volto stravolto da uno sbadiglio. Le parole di Orgon e l’immagine di Tartufo non possono che dar vita ad un evidente contrasto, fra il credere dell’uno e l’essere dell’altro. Il primo incontro fra Elmire e Tartufo avviene nell'intimità della camera della donna e trova il suo principale nucleo drammatico nelle ripetute soggettive dell’uomo sul seno di Elmire, in qualche modo ribaditi quando questi vi batte sopra il suo libro. Compito della scena è, nei fatti, rivelare la concupiscenza che si nasconde dietro la maschera del finto asceta. Essendosi resa conto del desiderio carnale di Tartufo, la donna tenta vanamente di convincere il marito della vera natura del suo ospite.il dialogo fra i due avviene in fuoricampo, di nuovo attraverso l'inquadratura di una porta chiusa. Quando il marito l'ape per uscire dalla stanza, il suo "non permetterò che si calunni il mio amico", rivela più che bene gli esiti del dialogo e il nuovo fallimento di Elmire. Decisa ad andare fino in fondo, Elmire tende la sua trappola a Tartufo. Lo inviterà, per smascherarlo, a prendere il the nella sua stanza e dirà al marito di nascondersi dietro le tende, per assistere a quel che è convinta accadrà (metafora teatro). La sequenza della trappola mancante si avvia con la donna che nasconde il marito, pregandolo, inutilmente, di evitarle una tale avvilente messa in scena, fidandosi, invece, delle sue parole. L’intreccio si affida così all’archetipo della donna che si sacrifica (mettendo a rischio il proprio corpo) per amore. L’insistenza sui tendaggi - che evocano una certa teatralità - accenta il carattere di finzione della scena (comune a buona parte del film). L'ingresso di Tartufo nella stanza di Elmire è incorniciato da due immagini della donna che ne liberano due aspetti, quello reale (sacrificio della vergine) e quello apparente (la seduttrice, e quindi ancora il teatro il gioco della finzione). 11 La conversazione fra Elmire e Tartufo è giocata sulla contrapposizione fra i piani americani della donna e i primissimi piani dell’uomo. In questo modo il film concentra la propria attenzione sulla presumibile imminenza del cedimento di tartufo, che sembra davvero essere un passo dal cadere nella trappola della donna. Impressione ribadita dai tre diversi brevi sintagmi che alternano lo sguardo di Tartufo alle sue soggettive sulle gambe di Elmire. Il processo di miglioramento del racconto - lo spettatore sta dalla parte di Elmire e vuole come lei che Tartufo sia smascherato - ha un momento di pausa, al fine di creare tensione, quando l'uomo avvertendo uno spiffero si avvicina alle tende dietro cui è nascosto Orgon. Solo l'intervento della donna e la sua strategia seduttiva, rimetteranno, almeno provvisoriamente, le cose a posto. Tuttavia, quando il topo sembra davvero in trappola, lo sguardo di Tartufo cade sull'immagine, espressionisticamente riflessa sulla teiera, di Orgon nascosto dietro le tende, consentendogli di correre ai ripari. Il principale punto di svolta della scena è così rappresentato da Murnau attraverso il ricorso a un'immagine allo specchio (specchio- rivelazione). La scena si chiude quindi con la sconfitta di Elmire e la risata del marito che crede così di aver dimostrato la buona fede del suo ospite. Finta che qualcosa sia andato storto, Elmire non si dà per vinta e invita per la seconda volta Tartufo in camera sua, questa volta di notte. Prima di tale invito un'inquadratura in profondità di campo dei due esplicita la dimensione della sfida. L'invito avviene nel corso di una scena - molto teatrale in cui ancora una volta Murnau esibisce le sue qualità di organizzazione dello spazio prossemico - . La scena è costruita intorno a una sorta di lampione che divide nettamente lo spazio in due.inizialmente la donna e da una parte l'uomo dall'altra. In un secondo momento, l'invasione dello spazio femminile da parte del soggetto maschile esprime efficacemente l'incontrollabile desiderio di quest'ultimo e l'efficacia del piano della donna. Dopo la scena del lampione, in cui Elmire ha nuovamente gettato la sua rete per catturare Tartufo, il cilm ce la mostra pregare contrita in camera - e vicino al letto - ribadendo così la sua sofferenza e la sua dimensione sacrificale. “Oh signore, dammi la forza di salvare mio marito”. Si arriva cosi allo scioglimento e all’epilogo della storia di Tartufo, del film nel film. La scena si avvia con Tartufo che scende furtivamente le scale per introdursi nella stanza di Elmire, mentre voluti effetti di luce proiettano la sua ombra sulle pareti (ombra come doppio, ombra come segno del male). Anche Dorina, la domestica che lo spia, proietta simili pareti sulle ombre ma, in questo caso, l’elemento pertinente è quello relativo alla candela che la donna tiene in mano, per disegnare cosi una contrapposizione fra chi cerca l’oscurità e chi invece vuole fare luce. Anche in questa scena il ruolo dello spiare è di fondamentale importanza a ribadire il carattere di “Tartufo” come di un film sul sotterfugio; sotterfugio che, in quanto tale, va svelato. Ciò che accade nella stanza di Elmire qualcosa non vede solo lo spettatore, ma anche, spinto da Dorina, lo stesso Orgon, che prende così, con dolore, coscienza della vera natura del suo falso amico. Come nel precedente tentativo fallito, si è qui in un regime di focalizzazione onnisciente, con lo spettatore che ne sa di più del qui ingenuo Tartufo (rovesciamento ruoli Elmire e Tartufo). Lo spiare di Orgon, che struttura la sequenza nella forma di un montaggio alternato, evidenzia il dolore del marito, come in particolare esprime l’immagine - sineddoche delle sue mani che si stringono impotenti. Aspetto essenziale della scena è il suo affidarsi a ripetute immagini ravvicinate del volto di Tartufo. Immagini dal carattere grottesco che ne rivelano (ormai come informanti anziché semplici indizi) l’orrida natura. 12 più acclamate, sensuali e perturbanti dive della storia del cinema, Marlene Dietrich, che insieme allo stesso regista interpretò poi come protagonista, a Hollywood, ben altri sei film c h e n e a f f e r m a r o n o e c o n s o l i d a r o n o i l m i t o ( M a r o c c o  [ M o r o c c o , 1930];  Disonorata  [Dishonored, 1931];  Shanghai Express  [id., 1932];  Venere bionda  [Blonde Venus, 1932];  L’imperatrice Caterina, [The Scarlet Empress, 1934]; Capriccio spagnolo [The Devil Is a Woman, 1935]). Il severo e anziano professor Rath insegna nel ginnasio della sua piccola cittadina. Scoperto che alcuni suoi studenti frequentano un cabaret malfamato, L’Angelo azzurro,   dove si esibisce la cantante Lola Lola, Rath decide di recarvicisi per sorprenderli e impartire loro una meritata lezione. Il professore, però, finisce con l’innamorarsi della soubrette. Lasciata la scuola e chiestala in sposa, la segue di città in città, conducendo una vita sempre più umiliante e degradata, che lo porta a vendere ai clienti dei locali, in cui Lola si esibisce, le foto della cantante seminuda. Quando la troupe della donna fa ritorno all’Angelo azzurro, l’uomo finirà lui stesso per esibirsi sul palcoscenico del cabaret,   in costume da clown, urlando ‘chicchirichì’, davanti ai suoi ex colleghi e alle autorità.  Scoperto che la donna lo tradisce con un altro uomo, Rath esce di senno e tenta quasi di strangolarla, finendo per tornare di notte nel suo ginnasio e lasciarsi morire aggrappato a  quella che fu la sua cattedra. Il lavoro qui proposto si avvia con l’analisi dell’incipit del film e della presentazione dei due protagonisti, soffermandosi sulla natura basso-mimetica del personaggio di Rath. In seguito saranno prese in esame le principali isotopie dell’opera, in particolare quelle relative ai volatili, agli angeli e ai clown, per concludere con alcune osservazioni concernenti lo stile sternberghiano e le sua modalità di regia e di messinscena. L’incipit: aggrappato alle sue gambe Un’inquadratura dei tetti della cittadina in cui vive il professor Rath è l’immagine che apre l’incipit del film, composto da tre soli piani; le linee diagonali, spioventi e ondulate di questi tetti disegnano un mondo a metà strada fra il calco della realtà e la sua rappresentazione artificiale e immaginaria, in perfetta sintonia con certe tendenze meno radicali dell’espressionismo (un po’ alla Murnau), e del cinema dello stesso  Sternberg. L’immagine si accompagna allo starnazzare di alcune oche, aprendo così una delle isotopie centrali del film, quella relativa ai volatili e/o ai pennuti, che troverà un suo punto d’arrivo nel drammatico epilogo dello stesso film, col grottesco ed umiliante chicchirichì dell’ex-professore sul palcoscenico dell’Angelo azzurro. Possiamo considerare così questo segno sonoro come un indizio surrettizio che di fatto avvia la presentazione progressiva e differita del personaggio di Rath, già alludendo a quel che questi diventerà alla fine della storia. Lo starnazzare prosegue, secondo le ‘leggi’ della continuità audiovisiva, nell’inquadratura successiva che mostra un mercato in allestimento e una donna che afferra alcune oche. L’isotopia dei pennuti e l’indizio surrettizio relativo a Rath così si rafforzano, passando da un livello semplicemente sonoro ad uno audiovisivo. Se lo starnazzare dei volatili lega le prime due inquadrature, sarà invece un elemento visivo a stabilire – tramite una rigorosa applicazione delle regole della continuità – un nesso fra la seconda e la terza immagine. Sullo sfondo della seconda, si vedono, infatti, due donne pulire le vetrine di altrettanti negozi, azione che ha il fine di preparare il passaggio alla terza inquadratura che avrà come suo oggetto principale, di nuovo, una vetrina, su cui è affisso il manifesto che riproduce un disegno di Lola nel suo costume di scena, con la gonna sollevata a mostrare le calze nere sino all’altezza delle cosce e con un’ampia scollatura sul seno. È così un segno grafico che avvia la presentazione della cantante, all’insegna della sua femminile sessualità. Anzi si dovrebbe parlare di un doppio segno grafico, quello rappresentato dal disegno e quello che passa attraverso la scrittura del suo 15 nome d’arte: “Lola Lola”. Tale primo passo della presentazione progressiva e differita della donna è enfatizzato da una sorta di ‘effetto sipario’, rappresentato dal sollevarsi della serranda al fine, appunto, di mostrare il manifesto, quasi ad indicare la dimensione teatrale del personaggio, la sua natura per certi versi immaginaria e mitica (così come la vivrà lo sprovveduto Rath). Il manifesto di Lola non avvia solo la presentazione della ballerina, ma prosegue, sempre in modo surrettizio, anche quella di Rath, attraverso l’immagine del putto paffuto – quanto lo è il professore – aggrappato alle gambe della donna. Il disegno prefigura il rapporto a venire fra i due, all’insegna di quell’ ‘essere ai suoi piedi’ che immagini e situazioni future bene espliciteranno. Anche l’altro putto, quello che volante si avvicina alla donna, costituisce un’anticipazione narrativa, che tornerà poi in un altro disegno in cui a volare verso la cantante sarà proprio il professore. I due putti, in sostanza, proseguono sì, in forma surrettizia, la presentazione di Rath, ma indicano anche un aspetto fondamentale di quella che sarà la relazione fra l’uomo e la donna. Inoltre, essi, dotati di ali, come vuole la tradizione, proseguono ulteriormente l’isotopia dei pennuti. La scena del mercato prosegue e si conclude con l’immagine della commessa che, davanti al manifesto, cerca di assumere una posa analoga a quella di Lola. Si tratta di una situazione che sembra voler contrassegnare la cantante della capacita di esercitare una certa influenza su chi la circonda, tanto da spingere qualcuno ad imitarla, e, nel contempo, di continuare il processo di presentazione di Lola, in direzione del suo prossimo materializzarsi, del suo imminente diventare ‘viva’. La presentazione del professor Rath Dopo questa breve introduzione che, attraverso il motivo dei volatili e il disegno dei due putti, già allude surrettiziamente a Rath, il film passa alla scena della vera e propria presentazione del professore. Questa si avvia attraverso un effetto di montaggio, tramite cui il discorso filmico anticipa la storia, legando il manifesto e il nome della donna alla targhetta della porta col nome dell’uomo, facendo già ‘incontrare’ i due (a livello discorsivo) prima che quest’incontro avvenga ‘davvero’ (sul piano della storia). Siamo così di fronte al primo informante esplicito relativo alla presentazione di Rath e alla sua nominazione, nonché all’indicazione della sua professione. A fare da tramite tra il nome proprio e il momento in cui dell’uomo sarà enunciata l’immagine propria, c’è il personaggio della governante le cui funzioni, attraverso le sue parole, sono quelle di sottolineare la presenza dei libri nella camera del professore (a rafforzarne così anche sul piano sonoro la sua dimensione di uomo di cultura, i libri li vediamo e li ‘sentiamo’) oltre che a indicarne un certo disordine (come è abbastanza comune per gli uomini che vivono da soli).  Si arriva, in questo modo, alla prima vera e propria messa in quadro del professore, inizialmente in figura intera, in piedi, e poi in mezza figura, seduto, mentre fa colazione. Insieme alla sua età – è un uomo anziano, anche se nella realtà Emil Jannings aveva all’epoca solo 47 anni – due sono gli indizi più rilevanti, e strettamente connessi fra loro, di questa scena. Il primo, più vago ma ripetuto quando l’uomo uscirà sul pianerottolo, è il suo cercare qualcosa nelle proprie tasche, come a indicare così l’idea di una mancanza. Il secondo è la scoperta della morte del canarino, qualcuno che è venuto a mancare e che a sua volta rilancia l’isotopia dei volatili. Rath è quindi introdotto come un professore, è un uomo solo, circondato da una certa indifferenza – la domestica che getta con fredda noncuranza il corpo del canarino nella stufa -, qualcuno cui manca qualcosa (che cerca) e a cui qualcosa viene a mancare (il canarino), lasciando così un vuoto che in qualche modo dovrà essere riempito, cosa che di 16 fatto pone le premesse dell’incontro – meno salvifico di quel che l’insegnante crederà – con Lola. Inoltre, la scomparsa del canarino, può essere letta anche come un segno dell’ineluttabile prossima morte del protagonista,  come una prefigurazione del finale del film. La presentazione di Lola L’esordio del film prosegue col passaggio dalla dimensione privata di Rath (la casa) a quella pubblica (la scuola). Questa terza sequenza, come vedremo meglio più avanti, oltre a procedere nella caratterizzazione del protagonista, continua anche la presentazione di Lola. Mentre Rath è ancora nel suo appartamento, si vedono i suoi studenti già in aula che, fra l’eccitazione generale, si assembrano vicino a uno di loro, il quale, seduto a un banco, soffia su una cartolina che non è mostrata, se non per il retro. Si crea così una certa attesa per il momento in cui il suo contenuto sarà finalmente rivelato insieme a quello che spieghi il perché del misterioso soffiare. Trattandosi – come si vedrà – di un’immagine di Lola, è un altro passo, pur al momento celato, verso la sua effettiva messa in scena, correlato all’attrazione che la donna esercita verso il sesso maschile. La surrettizia presentazione di Lola continua   quando il professore si accorge, durante l’esercitazione scritta, della stessa cartolina, di cui continua a vedersi solo il retro, tra le mani dello studente, finendo col sequestrargliela. Sarà solo all’uscita della scuola, nel momento in cui il malcapitato capoclasse farà cadere le cartoline della cantante sui gradini dell’ingresso, che sarà finalmente mostrata una prima immagine, non solo disegnata, della donna. Quando poi, lasciato andare lo studente che aveva portato a casa per rimproverare e farsi indicare il luogo dove la cantante si esibisce, il professore rimane solo nella sua camera, eccolo non resistere alla tentazione, e dopo essersi voltato con circospezione verso destra e verso sinistra, soffiare anche lui sul gonnellino di piume per sollevarlo affinché mostri per bene le gambe di Lola. Solo ora, il film mostra la cartolina e l’immagine della cantante in un piano ravvicinato enunciato tramite lo sguardo dello stesso professore, mettendo così ancora una volta in relazione l’uno e l’altra, e facendo di Lola  qualcuno che ‘conta’ soprattutto in relazione a Rath. Riepilogando, il personaggio di Lola, prima che ne venga enunciata direttamente e senza mediazione alcuna l’immagine propria, quella del corpo e del volto ‘dal vero’, è introdotto da una serie di segni che via via la ‘realizzano’ sempre  più passando da una dimensione puramente grafica (il manifesto col suo corpo disegnato e affiancato dal nome proprio) a una fotografica, prima semplicemente allusa senza essere mostrata, poi vista da una certa distanza, e, infine, in piano ravvicinato, attraverso una serie di segni iconici che ne sottolineano il suo potere di fascinazione. Manca ormai solo un passo alla sua  vera  immagine, ma prima che ciò avvenga, il film aggiunge un ultimo segno di avvicinamento e concretizzazione, quello di una sua canzone che funge da ponte sonoro fra la scena della camera di Rath, in cui questi soffia sulla cartolina, e quella dell’Angelo Azzurro, dove Lola si sta esibendo sul palcoscenico, cantando quella stessa canzone. La messa in quadro della donna coincide con un piano in mezza figura di lei sul palcoscenico, col costume di scena, le spalle nude e le bretelline del reggiseno in evidenza. Il suo sguardo, l’espressione del volto e la sua posa ne fanno subito una donna forte, ben diversa da quel personaggio debole che, come meglio vedremo, era invece apparso essere il professore. L’introduzione di Lola non si esime dal legarla a Rath, prima col montaggio attraverso il piano di un angelo di legno appeso nel locale – che rimanda a quello del 17 Un altro momento fondamentale della nostra isotopia è quello del banchetto nuziale, scena non presente nel romanzo di Mann, in cui su invito di Lola che si mette a fare i versi di una gallinella, Rath si esibisce nel suo primo chicchirichì, a suo modo già grottesco, e che in un contesto ancora leggero prepara gli sviluppi drammatici a seguire. Questi si daranno, a chiusura dell’isotopia dei pennuti e dei volatili, nell’angosciosa e disperata esibizione finale di Rath, in veste di clown, sul palcoscenico dello stesso Angelo Azzurro, davanti ai suoi vecchi colleghi e studenti. Prima, quando il mago Kiepert estrae più di una volta delle colombe dal cilindro dell’uomo, poi, quando lo invita davanti a tutti ad esibirsi nel più tragico dei chicchirichì, facendo letteralmente di Rath uno di quei pennuti che hanno attraversato l’intero film, come testimonierà, in modo ancora più netto, l’ultimo chicchirichì dell’ex-professore, ormai incapace di usare la parola ed esprimersi altrimenti, davanti alla porta del camerino di Lola, in cui questa si è rifugiata col suo nuovo amante. Correlata all’isotopia dei pennuti c’è quella dei putti volanti, avviata anch’essa già nell’incipit col manifesto di Lola, in cui la donna è circondata da due angioletti, uno che vola in alto alla sua sinistra, l’altro in basso, aggrappato alla sua gamba destra. Come si è visto, i putti – che riappariranno poi in altre frequenti immagini del cabaret – ritornano, in forma di statuette, nella presentazione di Lola, prima, quando, attraverso il montaggio, l’immagine inaugurale di questa è associata a uno di loro, poi, quando, nell’inquadratura successiva, un secondo angioletto è letteralmente ai piedi della donna. Queste due diverse immagini del putto con le ali e del putto ai piedi della donna, anticipano dei momenti chiave del film, in cui l’immagine del professore, disegnata o reale, ne assumerà identici ruoli.  Da una parte, nei due disegni che gli studenti faranno sulle lavagne dell’aula, in cui il professore apparirà come un putto con le ali e le gambe pelose, con una lira in mano a cantare “Lola Lola”; dall’altra, in almeno due situazioni diverse, in cui l’essere dell’uomo ai piedi della donna, non sarà più un’indicazione metaforica ma un fatto reale: quando durante la seconda visita al camerino il professore si infila sotto la scrivania per recuperare le sigarette goffamente cadutegli dalle mani, e la macchina da presa lo inquadra a lungo a carponi, vicino alle velate gambe della donna; e quando, ormai divenuto un servo, le infila le calze di nylon, senza che il gesto possa in qualche modo avere ormai una benché minima connotazione erotica. L’isotopia degli angeli si realizza così, almeno in parte, attraverso l’uso di disegni, quello del manifesto di Lola e quelli degli studenti sulle lavagne. I manifesti e le fotografie di Lola torneranno in diversi altri momenti del film e in particolare a indicare le tappe della  caduta agli inferi di Rath. Anche in questo caso sono due, strettamente connessi fra loro, i passaggi forse più importanti. Nell’epilogo della scena della prima notte dopo il matrimonio, Rath giura a sé stesso che mai le foto da pin-up di Lola saranno vendute a qualcuno finché lui avrà ancora un penny. Nella scena successiva, lo vedremo aggirarsi fra i tavoli di un locale e offrire agli avventori quelle stesse fotografie. L’immagine iniziale di questa seconda scena, mostra Rath seduto a un tavolino, mentre spettinato e con la barba lunga, fuma abbruttito una sigaretta. A suggellare visivamente il degrado dell’uomo – ma anche il suo masochismo, Gaylyn Studlar considera Rath come il più masochista dei personaggi di Sternberg –, e in qualche modo a evidenziarne la causa, c’è il manifesto di Lola che si trova alle sue spalle, lo stesso dell’incipit, ma mostrato solo dalla vita in giù, a esibire le gambe velate della donna e il putto aggrappatovi. La stessa cosa accade più avanti, quando, dopo l’invito di Kiepert, Rath dice che mai e poi mai salirà vestito da clown sul palcoscenico dell’Angelo azzurro, di fronte ai suoi ex studenti e professori. Di nuovo, la scena successiva si apre con una clamorosa smentita delle parole dell’uomo, attraverso l’immagine di un nuovo manifesto di Lola, su cui ne è affisso un secondo, che annuncia all’Angelo Azzurro la partecipazione allo spettacolo del Professor Immanuel Rath. Un altro 20 stadio, nella sostanza l’ultimo prima dell’epilogo, della discesa dagli inferi dell’uomo è ancora una volta suggellato da un manifesto della cantante. I clown, il cappello e la biancheria intima di Lola Un’altra isotopia centrale del film, forse la principale, è quella relativa ai pagliacci che, di nuovo, trova il suo drammatico punto d’arrivo nell’esibizione finale dell’ormai ex-professor Rath sul palcoscenico dell’Angelo Azzurro, nei panni di un Augusto, il clown incapace e pasticcione per definizione, che si contrappone tradizionalmente all’autoritario e preciso clown Bianco. In rapporto al romanzo originale di Heinrich Mann, la stesso Sternberg ha dichiarato: «Ho introdotto io la figura del clown, così come tutti gli episodi e i dettagli che portano il professore a essere imprigionato in una camicia di forza»È proprio un attimo prima che Rath faccia il suo iniziale ingresso nel cabaret, che il film ci mostra, in modo ancora defilato, il primo dei due clown che fanno parte della troupe di Kiepert. L’inquadratura ha come suo oggetto principale i tre allievi del professore, disposti in fila sul davanti dell’immagine, ma in modo tale da lasciare, fra due di loro, uno spazio vuoto, in cui collocare il pagliaccio.  Come in un racconto classico accade per molti altri aspetti, ne L’angelo azzurro  l’isotopia del clown è trattata attraverso un gioco di avvicinamenti progressivi. Ne è un esempio evidente la seconda apparizione del pagliaccio che, in una successiva inquadratura a quella esaminata, vede, subito dopo l’ingresso di Rath nel cabaret, gli studenti darsi alla fuga, lasciando così il pagliaccio da solo, e trasformandolo in questo modo nel soggetto principale del quadro. Sin dalla sua prima doppia apparizione, il pagliaccio, attraverso il montaggio e la sua funzione connettiva, è associato a Rath, divenendone in qualche modo un corollario semantico. Per dirla con Wagner Goeffrey: «Sin dall’inizio, infatti, il Professore è perseguitato dalla figura del clown sullo sfondo». Poco dopo, altro passo in avanti, Rath e il clown sono mostrati per la prima volta all’interno di una stessa inquadratura e il pagliaccio smette di essere un elemento  passivo per compiere  la sua prima azione, quella di chiudere la porta del camerino di Lola, in cui è finito casualmente Rath inseguendo i suoi studenti. Il gesto del pagliaccio sembra così rinchiudere Rath in quello che è e sarà il suo destino, metaforicamente rappresentato dal camerino della cantante. Sin qui l’isotopia del clown si è costruita in assenza dell’Augusto, attraverso un secondo pagliaccio che sembra in qualche modo costituirne un altro avvicinamento. L’Augusto – che più esplicitamente prefigura il destino di clown di Rath, che anche lui si esibirà in tale guisa – entra in scena nel camerino di Lola, a rafforzare col suo sguardo verso il professore, il momento d’imbarazzo di questi, quando, aprendo una porta, si trova davanti all’affollato spogliatoio delle ballerine di scena. D’ora in poi, molte delle apparizioni dell’Augusto – troppe per elencarle tutte – saranno costruite proprio attraverso il suo sguardo verso il professore, punteggiandone alcuni momenti di particolare importanza drammatica e narrativa, come quando questi sale per la prima volta le scale che portano alla camera da letto di Lola, quando la donna gli chiede il cappello (invitandolo così implicitamente a restare e, in qualche modo, a dare il via alla loro relazione), o ancora quando, dopo lo champagne di Lola e la birra di Guste, Rath finisce per ubriacarsi del tutto col cocktail di Kiepert. I clown, e in particolare l’Augusto, che potrebbe essere forse visto anche come un predecessore di Rath, un ex-amante di Lola, si configurano così, nel loro prefigurare le sorti del professore, come una rappresentazione del suo destino, del suo ineluttabile farsi pagliaccio. Prima del già citato punto conclusivo di questa e altre isotopie – l’esibizione sul palcoscenico dell’Angelo Azzurro – il motivo del clown arriva al suo punto di sutura in due 21 drammatici passaggi. Il primo è quello che segue un’ellissi di quattro anni, dopo la scena che faceva di Rath un servo di Lola, mentre le infilava le calze e le raffreddava lo stira- capelli, e mostra l’uomo mentre si trucca da Augusto, prima di entrare in scena. È forse l’inquadratura più lunga del film, quasi un minuto e mezzo, e ci mostra in primo piano l’immagine riflessa dell’uomo seguendone minuziosamente il suo mascheramento. Il ricorso allo specchio rafforza l’idea del suo trasformarsi in ‘altro’ (l’immagine riflessa) rispetto a ciò che un tempo era e ora non è più (l’immagine reale fuori campo). A questo punto del film, Rath è davvero diventato un clown.   La congiunzione delle due diverse dimensioni è ribadita in una scena successiva, nei camerini dell’Angelo Azzurro, ancora una volta attraverso un’immagine allo specchio, dove però adesso non è Rath a truccarsi da clown, bensì a truccarlo è Kiepert, quasi che l’uomo non ne avesse più la forza, quasi che il suo assoggettamento alla volontà altrui fosse ormai totale, come del resto confermerà la già citata scena del chicchirichì, che, sul palcoscenico, lo stesso Kiepert gli ordinerà di eseguire. Tre indumenti, di cui due strettamente correlati fra loro, danno corpo ad altre due  isotopie del film: il cappello, da una parte, e il fazzoletto di Rath con  la biancheria intima di Lola, dall’altra. Il cappello del professore, floscio e a tesa larga, il primo della serie che indosserà, fa la sua discreta apparizione sulla testa dell’uomo nella breve scena dell’uscita da casa di questi per andare a scuola. Lo si rivede quando, rientrato col capoclasse, Rath lo appende al muro, gesto che pur relativamente ne rafforza la presenza scenica. Sempre lo stesso cappello è indossato dal professore durante il suo tragitto verso l’Angelo Azzurro, così come all’interno del locale, sino all’incontro con Lola. Sarà proprio la cantante a porre per prima l’accento sul copricapo dell’uomo, quando lo inviterà a toglierselo, dal momento che non è buona educazione tenere il cappello in un luogo chiuso, soprattutto se si è davanti a una signora. La prima enunciazione verbale del copricapo, che è anche il momento in cui questo è davvero evidenziato allo spettatore, fa così dell’oggetto qualcosa che si lega al rapporto fra la donna e l’uomo, stabilendo subito un punto a vantaggio della prima. Inoltre, all’intimazione della donna, cui l’uomo sottostà con l’evidente imbarazzo di chi sa di essere dalla parte del torto, segue immediatamente una delle soluzioni care al film per evidenziarne i suoi snodi drammatici: l’ingresso nel camerino del clown che uscendone, dopo averlo attraversato, getta uno sguardo sul professore col cappello in mano. Poco dopo, quando con evidente ingenuità l’uomo dice alla donna di non potersi fermare nel camerino perché la «comprometterebbe», questa replica che, invece, può farlo se non si «comporta male», togliendogli nel contempo il cappello dalle mani e gettandolo sul tavolo. Anche qui il copricapo sembra designare i rapporti di forza fra i due, attribuendo un secondo punto a favore della donna come di colei che prende l’iniziativa e decide per entrambi.  Nel proseguimento della scena il cappello è dimenticato, anche se alla sua non- presenza può rimandare il concitato scambio di battute fra Rath, a testa nuda, e il mago Kiepert, che al contrario, indossa un cilindro. Sarà il mattino successivo, quando il professore si sta preparando per andare a scuola, che questi si rende conto, nella foga di rincorrere i suoi studenti, di essersi dimenticato il cappello all’Angelo Azzurro… una ragione in più per farvi ritorno. A colmare questa nuova mancanza, il professore sostituirà il cappello dimenticato con uno a cilindro, col quale pomposamente si recherà prima a scuola e poi, di nuovo, al cabaret. Quando vi arriverà, ad accoglierlo ci sarà proprio Kiepert, che indossa lo stesso cilindro della sera prima, e lo saluterà togliendoselo, come, replicando al saluto, farà lo stesso Rath (il tutto sotto lo sguardo dei due clown, forse per la prima volta insieme). Il simile cappello che ora i due uomini indossano e sollevano sembra essere lì a indicare l’imminente diventare del professore un membro della troupe di Kiepert.  Entrato poi nel camerino della donna, Rath 22 cinecamera e i personaggi principali (Lola e le ballerine). La teatralità della situazione è accentuata dalla rete a sinistra che – controbilanciata all’ancora più grande a destra – crea una sorta di effetto sipario, così come dal fondale variopinto che con il suo sole a raggi e le sue nuvole ha qualcosa che rinvia al barocco mélièsiano. Tra gli altri oggetti di scena ecco almeno cinque putti (due in basso e tre in alto) e tre diverse colombe, coi loro già ampiamente discussi rinvii semantici. Il tutto a ruotare intorno al perno centrale del piano, Lola in piedi col suo sensuale costume di scena. Quando, dopo aver mostrato Rath in strada avvicinarsi al cabaret, la macchina presa torna sul palcoscenico questo ci appare da una nuova prospettiva. Ora il fondale è sceso, le ballerine, senza più Lola, sono sempre sul palco davanti al pubblico,  al loro posto rimangono le colombe, i putti e le ancore (salvo quella grande che ingombrava la precedente inquadratura). Gli elementi di novità di quest’altro piano sovraccarico sono due: la colonna e l’inserviente. La colonna prende sostanzialmente il posto dell’ancora grande, ingombrando l’avan-piano dell’immagine, e, soprattutto, spaccandolo nettamente in due metà. Nella parte destra viene a trovarsi l’inserviente, l’altro elemento di novità, che compie due azioni minimali, di cui quasi non ci si potrebbe accorgere nel caos complessivo del piano, ma funzionali all’ingresso di Rath e al suo incontro con Lola. La prima è quella del fermarsi dell’uomo a guardare uno degli angioletti che si trova alla sua sinistra, quasi come a chiedersi quanto ancora si dovrà attendere prima dell’arrivo di Rath, e, poi, agendo come i kuroko, che nel teatro classico giapponese disponevano sul palcoscenico durante lo svolgimento dello spettacolo stesso gli oggetti di scena necessari, sistema proprio quel riflettore con cui Lola illuminerà il volto di Rath nel loro primo vis-a-vis. Passando poi alla drammatica sequenza dell’esibizione di Rath all’Angelo azzurro può essere citato il lungo piano in cui Kiepert introduce al pubblico lo stesso professore, che è quasi una summa visiva dello stesso film. Un’immagine che, rispetto alle precedenti appena prese in considerazione, lascia più spazio al pubblico – quel pubblico fra cui ci sono anche gli ex colleghi e studenti del professore, e le autorità cittadine, che aggravano così il senso di umiliazione dello stesso Rath -, e che oltre a riproporre sia gli uccelli volanti, sia un angioletto, mostra anche quella polena a seno sudo sui cui si soffermava lo sguardo ebbro del professore prima di trascorrere la sua prima notte con Lola. Infine, è possibile notare come il carattere ingombro delle immagini di Sternberg, così come la volontà di frapporre qualcosa fra lo sguardo dello spettatore e il soggetto principale dell’inquadratura, insieme alla loro evidente volontà semantica, lo si può trovare anche in piani decisamente più ravvicinati, come nella mezza figura di Rath che al suo primo ingresso nel cabaret si trova impigliato in una grande rete – è già prigioniero – , davanti alla quale c’è posto per una tazza, una corda, delle canne di bambù ed altri ammennicoli. Come è nella tradizione dell’espressionismo, il gioco delle luci e delle ombre – queste ultime con un evidente rinvio al tema del doppio: il professore e il pagliaccio – gioca un ruolo importante nel film. Una vistosa ombra del corpo di Rath accompagna l’uomo mentre, all’inizio, si reca per due volte, all’Angelo azzurro e, in modo ancora più marcato, quando percorre, nel finale, il tragitto all’inverso, sia all’uscita del cabaret, sia sul muro della scuola. Infine, è possibile notare come il carattere ingombro delle immagini di Sternberg, così come la volontà di frapporre qualcosa fra lo sguardo dello spettatore e il soggetto principale dell’inquadratura, insieme alla loro evidente volontà semantica, lo si può trovare anche in piani decisamente più ravvicinati, come nella mezza figura di Rath che al suo primo ingresso nel cabaret si trova impigliato in una grande rete – è già 25 prigioniero – , davanti alla quale c’è posto per una tazza, una corda, delle canne di bambù ed altri ammennicoli. Come è nella tradizione dell’espressionismo, il gioco delle luci e delle ombre – queste ultime con un evidente rinvio al tema del doppio: il professore e il pagliaccio – gioca un ruolo importante nel film. Una vistosa ombra del corpo di Rath accompagna l’uomo mentre, all’inizio, si reca per due volte, all’Angelo azzurro e, in modo ancora più marcato, quando percorre, nel finale, il tragitto all’inverso, sia all’uscita del cabaret, sia sul muro della scuola. Infine, è possibile notare come il carattere ingombro delle immagini di Sternberg, così come la volontà di frapporre qualcosa fra lo sguardo dello spettatore e il soggetto principale dell’inquadratura, insieme alla loro evidente volontà semantica, lo si può trovare anche in piani decisamente più ravvicinati, come nella mezza figura di Rath che al suo primo ingresso nel cabaret si trova impigliato in una grande rete – è già prigioniero – , davanti alla quale c’è posto per una tazza, una corda, delle canne di bambù ed altri ammennicoli. Come è nella tradizione dell’espressionismo, il gioco delle luci e delle ombre – queste ultime con un evidente rinvio al tema del doppio: il professore e il pagliaccio – gioca un ruolo importante nel film. Una vistosa ombra del corpo di Rath accompagna l’uomo mentre, all’inizio, si reca per due volte, all’Angelo azzurro e, in modo ancora più marcato, quando percorre, nel finale, il tragitto all’inverso, sia all’uscita del cabaret, sia sul muro della scuola. Un altro importante richiamo discorsivo che collega il finale a una parte precedente del film è quello relativo ai movimenti di macchina, una soluzione di linguaggio scarsamente usata nel film, e che per proprio per questo rafforza espressivamente il richiamo fra le due scene che vi fa ricorso. L’immagine finale de L’angelo azzurro, che ci mostra il professore senza vita e accasciato sulla sua vecchia scrivania, è costruita su un lungo carrello all’indietro che percorre a ritroso la classe coi suoi banchi, allontanando e isolando sempre più Rath. Si tratta di un carrello strutturalmente identico a quello che, sempre nell’aula sempre deserta,  mostrava il professore seduto alla sedia della scrivania dopo aver deciso di lasciare la sua professione.  Anche in questo caso la morte dell’uomo è discorsivamente connessa a una sua precedente scelta. Un’altra soluzione prettamente visiva cui il film  si affida è quella relativa agli sguardi di cui si è in parte già fatto cenno, a proposito, ad esempio degli sguardi dei clown che punteggiano alcuni dei momenti chiavi della relazione fra Lola e Rath, configurandosi in qualche modo come sguardi del fato, di quel destino, forgiato da sé stessi, cui l’uomo sembra inesorabilmente dirigersi. A fianco di questi sguardi del fato ci sono quelli della disperazione, che appartengono al Rath ormai precipitato agli inferi della seconda parte del film, a partire da quello abbruttito con cui si appresta a vendere le cartoline di Lola, a quello assente con cui si osserva allo specchio mentre si trucca da clown, a quello  disperatamente geloso con cui osserva la scala a chiocciola, su cui sono saliti per appartarsi Lola e Mazeppa, sguardo, quest’ultimo, che  si protrae a lungo, anche durante l’esibizione, verso un fuori campo che ora più che mai e il fuori campo del dolore. Fra i tanti altri tipi di sguardo presenti nel film vanno citati anche quelli del desiderio (misto a un certo turbamento) che Rath esibisce ripetutamente, pur di sottecchi e in modo guardingo, durate la sua permanenza nel camerino di Lola, in particolare nella scena già citata in cui questa si cambia davanti ai suoi occhi (sguardi che di lì a poco si ripeteranno sulla polena a seno nudo durante l’esibizione della cantante). Sguardi del fato, sguardi della disperazione, sguardi del desiderio ma anche lo sguardo della morale (o se vogliamo del decoro), almeno quello di particolare intensità che durante la scena del primo tragitto di Rath in direzione dell’Angelo Azzurro, getta verso il fuori campo, come guadando lo stesso professore diretto alla propria perdizione, un agente di polizia, che è lì davanti all’ennesimo manifesto della ballerina col putto avvinghiato alla sua gamba. Come tutti i grandi film dei primi anni del sonoro, anche L’angelo azzurro usa accortamente le nuove possibilità che tale rivoluzione offrì al cinema. Si  è già detto come 26 esso si avvii con uno starnazzare di oche, affidando così a una componente sonora il compito di introdurre una delle sue isotopie centrali. Si è anche visto come a un ponte sonoro si affidi l’introduzione vera e propria di Lola e come la prima canzone che la sentiamo interpretare ne segni evidentemente la provocatoria sessualità.  Ma altre canzoni nel film intervengono relazionandosi a personaggi e situazioni e in particolare a Rath e Lola. Quando l’uomo si reca per la prima volta nel cabaret, incrocia per strada una prostituta proprio mentre si sente provenire dall’interno di una casa una celebre canzone popolare  che celebra l’eternità dell’amore. Si crea così un evidente contrasto tra amore mercenario e amore eterno, che disegna una bipolarità in cui il professore sembra destinato a muoversi nel suo futuro rapporto con la cantante. Quando, abbandonato il professore, si ritorna al cabaret, il palco è ora occupato da Guste, la moglie di Kiepert, che canta un’altra canzone dalle esplicite valenze sessuali («Voglio ballare con un uomo, un vero uomo / Questa notte lo porterò a casa / Un uomo, un vero uomo / Un uomo il cui cuore frema di passione  / Un uomo i cui occhi promettano molta azione / Un uomo che sappia come baciare una donna / Un uomo, un vero uomo»). Pur pronunciate da Guste, la parole ricadono, attraverso il montaggio audiovisivo, su Lola, mostrata mentre si prepara al nuovo numero in camerino. Esse divengono così una sorta di suo attribuito, disegnandole idealmente al fianco un tipo d’uomo che, di nuovo nella logica del contrasto, è molto diverso da Rath, preannunciando così il futuro tradimento della donna.  Che le parole della canzone abbiano molto a che vedere, in chiave di paradosso, coi due protagonisti è evidenziato dal fatto che, tornata sul palcoscenico,  Lola la riprende, subito prima del suo incontro con Rath, aggiungendovi la strofa che quel ‘vero uomo’ questa sera lo troverà. Sempre in una logica ossimorica, nella scena del risveglio nel letto di Lola, dopo la prima notte passata insieme, Rath si trova fra le mani un pupazzo – già di per sé un’evidente prefigurazione del suo destino –; quando ne aziona il carillon, la musica che si sente è quella di The Fair Maid of the Mill di Schubert, il cui testo, assente nel film, narra di un giovane mugnaio che, al contrario del professore, resiste al richiamo di un seducente spiritello. In altre circostanze, le parole della canzoni di Lola sono tutt’uno con la sua strategia ‘seduttiva’ (o almeno col suo modo di blandire il professore), come quando, dopo essere stata colpita dall’atteggiamento cavalleresco e risoluto dell’uomo – che l’ha liberata coraggiosamente dal marinaio intenzionato a molestarla – ed aver brindato con lui, intona sul palcoscenico ‘Falling in Love Again’ gettando ripetutamente allusivi sguardi verso quel palco dove è accomodato Rath. La stessa canzone verrà ad assumere un significato per certi aspetti opposto, quando nell’epilogo, dopo averlo tradito col baldanzoso Mazeppa, è nuovamente intonata da Lola – che proprio a Mazeppa rivolge idealmente il suo nuovo ‘Falling in Love Again’ mentre il montaggio alterna le immagini della cantante sul palco a quelle dell’ex-professore che, furtivo, esce dal cabaret per andare a morire a scuola. Si può notare, per concludere, che fra le due opposte enunciazioni di Falling in Love Again, c’è la già citata scena di Rath costretto a vendere le cartoline osé di Lola, che si apre con lui abbruttito davanti al manifesto della cantante mentre il montaggio audiovisivo sovrappone alla sua immagine un’ennesima canzone di Lola, le cui parole invitano a fare «attenzione alle bionde». 27 NON SMETTE MAI DI PIOVERE Nei film di Kurosawa non solo piove ma piove anche a lungo, come lo stesso ladro si premura di far notare. La presenza della pioggia così si rafforza: non è solo mostrata, ma anche ''parlata'. DA LONTANO E DA VICINO Un altro esempio del montaggio alla Kurosawa e dei suoi bruschi stacchi da campi lunghi a primi piani che dinamizzano visivamente il film (Sergio Leone ne farà tesoro) NEL BOSCO: FRA LUCI E OMBRE La prima inquadratura del bosco, che mostra il sole fra le fronde degli alberi, introduce quel gioco di luci e ombre che sarà visivamente tutt'uno con la fitta trama di misteri che di qui a poco prenderanno forma. Il passaggio dalla porta di Rashō al bosco è segnato anche da quello che dalla pioggia porta al sole (dinamismo attraverso il contrasto). Inoltre l'immagine prelude, in qualche modo, alla scena dello stupro. IN MOVIMENTO Le prime diciotto inquadrature della scena nel bosco sono tutte dinamiche e giocate sull'uso di ampi travelling. Tale soluzione si contrappone alla fissità quasi imperante nella precedente scena della porta. Inoltre, è solo nel bosco che viene introdotto il motivo del Bolero (che a suo modo prende il posto del rumore delle pioggia). Le diciotto inquadrature dinamiche danno forza, per contrasto, alla diciannovesima che è invece statica. Qui il boscaiolo trova il cappello della donna abbandonato: il mistery può avere inizio. COME UN HORROR Alcune delle immagini che precedono e accompagnano il ritrovamento del cadavere del samurai presentano degli stilemi da film horror VELOCE COME IL VENTO Per accentuare il sentimento d'orrore del taglialegna, dopo il ritrovamento del cadavere, Kurosawa ricorre, per la prima volta nel film, a dei movimenti di macchina velocissimi - tre carrellate e o panoramiche unite da due raccordi leggermente in avanti - che ne accompagnano la trafelata corsa nel bosco. Ne nascono immagini assai dinamiche, giocate su macchie di luci e ombre, dal carattere quasi astratto. DAL BOSCO AL CORTILE: MOVIMENTO VS. STATICITÀ Il passaggio dal secondo luogo (il bosco) al terzo (il cortile) avviene ancora sulla base di un evidente contrasto tra l'accentuato dinamismo dell'ultima immagine del bosco e l'assoluta staticità della prima del cortile. Inoltre, mentre l'immagine del bosco ha per così dire un carattere maculato, quella del cortile gioca su campiture assai nette. Lo spazio del cortile è il terzo dei luoghi del film. Se sotto la porta si è sgomenti e oppressi di fronte al mistero e se il bosco è il luogo in cui questo si crea, qui, invece, si cerca (anche se vanamente) di risolverlo. Il cortile ha una certa somiglianza con un giardino di pietra zen. Dei tre luoghi principali è quello più astratto e, per così dire, più razionale. È uno spazio nettamente diviso in tre fasce orizzontali: la terra, il muro e il cielo. Il punto di vista su cui le immagini sono costruite è quello di un giudice invisibile, sempre fuori campo. Parlando a questi, i diversi personaggi si rivolgono in qualche modo anche allo spettatore, interpellandolo. Un volto misterioso: Nel racconto del monaco, l'apparizione della donna passa soprattutto intorno al velo che ne nasconde il volto. Si intensifica così la generale atmosfera di mistero 30 che invade il film sin dal suo inizio (e senza che ancora si sappia nulla di ciò che è successo). La presentazione di Tajōmaru : Il monaco e il boscaiolo sono stati presentati nel film sotto la porta di Rashō, il samurai e la moglie nel bosco, tramite il racconto del monaco. Tajōmaru, invece, è l'unico fra i personaggi principali ad essere introdotto nel cortile davanti al giudice. Di lui si dice che è un famoso bandito ma l'immagine ce lo mostra legato e impotente. Ciò che più colpisce è la sua indifferenza, testimoniata dal suo iniziale osservare le nubi in cielo, anziché partecipare a quel che sta accadendo e che lo riguarda da vicino. La scelta delle nuvole può essere legata, per ora, alle parole appena pronunciate dal monaco sul carattere effimero e transitorio della vita umana. 'L'ho ucciso io' : Contrariamente a quel che ci si sarebbe aspettati da un tradizionale mistery, quando il bandito si appresta a raccontare gli eventi accaduti, si dichiara subito come il colpevole. Il volto, le luci e le ombre : Quando Kurosawa riprende Tajōmaru steso sotto l'albero nel bosco – un attimo prima dell'incontro con la donna – fa levare un soffio di vento che, muovendo le foglie degli alberi, finisce col disegnare un gioco dinamico di luci e ombre sul volto dell'uomo. (16.21-19.10) I PIEDI DI MASAKO Quasi come in un racconto di Tanizaki, sono i piedi la prima parte del corpo di Masako che attrae lo sguardo del bandito e accende il suo desiderio. Come si può notare, il secondo primo piano di Tajōmaru, quello che chiude il sintagma soggettivo, è più ravvicinato del primo: eros ha preso il sopravvento. L'immagine pensiero : L’inquadratura in cui Tajōmaru , appena dopo aver visto Masako e il samurai, tira a sé e impugna la spada, rappresenta già la sua decisione di liberarsi dell'uomo della donna. L'ipotesi è del resto confermata dallo stesso Tajōmaru, quando, poco dopo, rievocando l'apparizione della donna, affermerà di aver proprio in quel momento deciso di farla propria anche se ciò avesse dovuto significare uccidere l'uomo. L'attimo fuggente: È forse possibile stabilire un nesso tra le due semi-soggettive di Tajōmaru sulle nubi e quelle su Masako. Ce lo spiega lo stesso personaggio quando dice che la donna le è apparsa come una dea, per un attimo, prima di scomparire, proprio come può accadere quando vediamo una nuvola. Ritroviamo qui quel culto per l'effimero, l'evanescente, l'impermanenza delle cose che è proprio alla cultura giapponese. L'istinto animale : L’animale istintualità di Tajōmaru passa non solo attraverso la sovraccarica recitazione di Mifune, tutta balzi, scatti e contorcimenti, ma anche attraverso effetti quasi minimali come il frequente grattarsi o lo schiacciarsi insetti sul proprio corpo. Il triangolo omicida : Mentre Tajōmaru sta tessendo la sua trappola, un piano a tre – tra i tanti del film – che graficamente propone la figura del triangolo, vede la donna ergersi al centro dei due uomini sovrastandoli come una dea ma ponendosi anche come oggetto del loro contendere. 31 Chi vince e chi perde : Il braccio teso (linea obliqua) e la spada di Tajōmaru che sovrastano il samurai sembrano già prefigurare chi sarà il vincitore e chi sarà lo sconfitto dello scontro che seguirà. Un conflitto grafico : Le spade di Tajōmaru e del samurai disegnano qui graficamente due linee che si contrappongono preludendo così all'imminente scontro. Da notare come il samurai, giustamente guardingo, impugni una spada già in parte estratta dal suo fodero. La frenesia delle immagini : Ad accentuare visivamente la tensione narrativa, anche le corse di Tajōmaru nel bosco sono riprese, come quella del boscaiolo, tramite rapide panoramiche e/o carrellate legate fra loro da raccordi in avanti e indietro. Luci, ombre e Tajōmaru : Nel momento in cui Tajōmaru si appresta a tendere il suo tranello anche alla donna, un mezzo primo piano ne mostra il volto segnato da minacciose ombre, così evidente da sembrare disegnate Il maschio e la femmina : L’angolazione dall'alto disegna visivamente un esplicito rapporto fra il cacciatore e la sua preda. La contrapposizione fra i due ruoli è anche evidenziata dal gioco delle luci: il chiaro della donna e lo scuro dell'uomo Apparizioni progressive : Come per la prima apparizione, anche qui, sotto lo sguardo di Tajōmaru, il volto di Masako è preceduto dall'immagine delle sue estremità, là i piedi, qui una mano. Come una maschera : La prima immagine del volto di Masako senza cappello si ha quando Tajōmaru le comunica che il marito ha avuto un incidente. Notevole la somiglianza del volto di Kyō Machiko con una maschera del Nō La vittima e il carnefice : L’immagine del samurai- vittima legato all'albero stabilisce un certo rapporto visivo con quella del bandito-carnefice anch'egli legato davanti al giudice. Quasi a sottolineare l'interscambiabilità dei reciproci ruoli (in particolare per quel che riguarda il rapporto con la donna). Triangolo e profondità : Una delle tanti immagini 'triangolari' del film, la cui profondità è determinata sia dalla disposizione sfalsata dei personaggi su diversi piani, sia dalla presenza sul davanti di rami, arbusti e tronchi che, da una parte, creano una sorta di effetto mascherino, e, dall'altra, sembrano rinviare all'idea della soggettiva (del boscaiolo?). Giochi di sguardo : Un segmento formato da sei inquadrature (e dodici quadri) è interamente composto da giochi di sguardo che coinvolgono ogni volta i tre personaggi, tenendone due in campo e uno fuori campo. Si tratta di sguardi interrogativi e pieni di tensione che preludono a un da farsi ancora molto incerto. Ogni immagine mostra A e B che si guardano, sino al momento in cui B volge il suo sguardo verso C, che si trova fuori 32 Altre profondità triangolari : Tra le tante immagini triangolari e in profondità del film, questa sostituisce al personaggio di Tajōmaru il coltello con cui la donna, di lì a poco, colpirà il marito. Altri raccordi in avanti : Ancora tre raccordi in avanti che uniscono quattro inquadrature ci portano dall'immagine in campo lungo del samurai e della moglie al primo piano di Masako, prima con la testa china e poi col volto sollevato e ben visibile allo spettatore. Il lavoro sul primo piano : Il trasformarsi dell'espressione del volto di Masako di fronte allo sguardo sprezzante del marito: dalla disperazione allo sconcerto. Il sentimento di sgomento della donna è espressionisticamente accentuato anche dalla mano aperta appoggiata alla bocca, prima, e da entrambe le mani sugli occhi, poi. Il gusto del (semi) cerchio : Un altro esempio di movimento di macchina (semi)circolare intorno al volto di Masako che si apre e chiude con un quadro a due Traiettorie geometriche : Quando Masako uccide il marito, Kurosawa alterna le sue immagini a quelle dell'uomo. Il convenzionale gioco di campi e controcampi si impreziosisce del contrasto fra i piani fissi del samurai e quelli dinamici della donna. Un dinamismo, a dire il vero, molto differenziato: carrellate in avanti mentre la donna arretra, indietro mentre avanza, laterali mentre questa si muove a destra o a sinistra, prima, o verso il marito, poi. Il muoversi della donna lungo diverse direzioni è espressione della sua incertezza. Come accadeva per il racconto di Tajōmaru, anche questo si tronca prima dell'omicidio vero e proprio. (43.20-44.20) Postura sconcia : Il ritorno al cortile, subito dopo il racconto dell'omicidio, mostra Masako in una posizione sfatta e scomposta, quasi 'sconcia', nel suo ostentato esibire il proprio corpo, che è tutt'uno con l'alterazione dei suoi sentimenti Conflitti fisiognomici : Il gusto di Kurosawa per il contrasto può anche passare attraverso la contrapposizione all'interno di uno stesso piano di diverse fisionomie ed espressioni, come qui accade per il volto irridente del ladro di contro a quello costernato del monaco Quasi come un horror : Il racconto della medium, tramite cui prende la parola il samurai morto, introduce nel film delle componenti fantastiche, cui Kurosawa dà delle coloriture quasi horror. Ad esempio, quando il ladro sprona il monaco a raccontargli tale testimonianza, la pioggia si trasforma in un vero temporale, con tanto di lampi e tuoni. La scena, poi, è chiusa da due inquadrature di una maschera da diavolo sotto la pioggia scrosciante. 35 Le mosse dello straordinario : Di tutte le deposizioni, quella della medium è indubbiamente la più mossa. Sia sul piano profilmico (i movimenti nervosi della donna in trance, il soffiare del vento che le scompone i capelli, muove le fronde e agita il velo), sia su quello filmico (in particolare per l'uso del montaggio, e, almeno in parte, dei movimenti di macchina, delle angolazioni e della scala dei piani) Essere da parte : L’immagine triangolare e in profondità sembra essere in queste inquadrature soprattutto funzionale a separare il samurai dalla coppia Masako e Tajōmaru, e a evidenziare così i suoi sentimenti di esclusione Conflitti estetici : Il gioco dei conflitti passa spesso in Kurosawa attraverso il montaggio come accade in questo caso attraverso la contrapposizione fra il volto di Masako, di cui si sottolinea la bellezza, e quello della medium. Interpellazioni contro la macchina da presa : L’eccezionalità della figura della medium passa anche attraverso quest'inquadratura in cui la donna non solo interpella lo spettatore guardando in macchina, come del resto facevano anche gli altri personaggi, ma lo fa stando davvero a ridosso dell'obiettivo. Eccezionalmente dal basso : Anche l'improvvisa entrata in campo dal basso mette in scena l'eccezionalità della medium C'è vento e vento : Se anche 'parlato', il vento 'mostrato' sembra ancora essere più forte (come del resto in precedenza accadeva per la pioggia) Altri conflitti : Nel gioco, caro a Kurosawa, dei conflitti visivi del film espressi all'interno di un piano, si può collocare anche quest'inquadratura che gioca sull'evidente contrapposizione fra la fissità dei due uomini, sullo sfondo, e lo scomposto agitarsi della donna letteralmente 'mossa' anche dal vento, in primo piano. Primi piani e sguardi : Più di altri registi giapponesi Kurosawa fa uso di primi piani di volti e particolari di sguardi. Ne è un esempio questa immagine di Masako in cui la donna, mentre chiede a Tajōmaru di uccidere il marito, si nasconde dietro le sue spalle Particolari e campi lunghi : Ancora un esempio del montaggio alla Kurosawa e del suo gusto nel contrapporre, senza soluzione di continuità, piani molto ravvicinati ad altri molto distanziati Quasi come un amicizia virile : Un’ennesima immagine triangolare e in profondità segnata questa volta da una componente di dominio del maschile sul femminile e dall'avviarsi di un momento di solidarietà fra i due uomini 36 Dalle spalle al profilo : Anche il samurai può essere oggetto di un movimento di macchina (semi) circolare - che rinvia alla complessiva circolarità del film, al suo 'eterno' ritornare su di uno stesso evento - come questo che passa da una sua immagine di spalle a una di profilo Sadismi : Il corpo di Masako, schiacciato e immobilizzato, dal piede di Tajōmaru ha un'indubbia componente sadica La 'visione con' : Pur essendo un film costruito sul racconto in prima persona, Rashōmon fa un uso molto parco delle soggettive, preferendo alla 'visione attraverso' (lo sguardo di qualcuno) la 'visione con' (il personaggio che guarda). Anche quando il samurai vede il coltello con cui si toglierà la vita, Kurosawa ricorre a un'immagine che tiene in campo, con un effetto di profondità, sia il personaggio, sia l'oggetto del suo sguardo, di fatto una semi- soggettiva. Il suicidio mostrato e la figurazione : Contrariamente alle versioni di Tajōmaru e Masako, come sarà anche per quella successiva del boscaiolo, in quella del samurai il momento in cui la lama trafigge il suo corpo è mostrato. Con una certa efficacia espressiva, poi, Kurosawa invece di mostrarci il corpo dell'uomo che cade a terra, stacca sulla medium che compirà per lui il gesto eluso, in una sorta di figurazione traslata. Un nervoso camminare: Certamente Kurosawa è uno dei registi che più muovono i suoi personaggi nelle scene di conversazione (o di silenzi), che è un modo per rendere più dinamiche le sue immagini. Spesso, questo agitarsi è anche segno di un'inquietudine, di un disagio interiore, come accade qui per il ripetuto andare avanti e indietro del boscaiolo, in procinto di essere scoperto. Narratore e narratario: È ancora una volta il personaggio del ladro a spingere qualcuno a proseguire con la narrazione e a incarnare così il desiderio dello spettatore che la storia possa proseguire Dar forza alle parole : Un improvviso rovesciamento di campo e prospettiva, dà forza alle parole del monaco quando afferma di non voler sentire altre orride storie. L'altra faccia del bandito : Nel racconto del boscaiolo, l'immagine di Tajōmaru che si inginocchia davanti alla donna, implorandola, è un attacco alla sua dignità di guerriero e seduttore. L'altra faccia del samurai : Nel racconto del boscaiolo, l'immagine del samurai che si rifiuta di battersi per la moglie e un'attacco alla sua dignità di guerriero e marito. Sotto le gambe di un uomo : L’inquadratura di Masako ripresa al di sotto delle gambe del bandito e della sovrastante figura del samurai è assai esplicita della condizione di impotenza della donna in una società patriarcale. Si tratta per altro di una delle immagini forse più imitate della storia del cinema. 37 lezione 5 Questa è la mia vita Un film di Jean Luc Godard, Francia, 1962, egli è uno dei maggiori esponenti della Novelle Vague. A cavallo degli anni 50 e 60 il fenomeno del ‘nuovo cinema’ è un fenomeno di carattere internazionale. Il suo punto di riferimento è la realtà che è maggiormente emersa è quella francese e in particolare per il lavoro di alcuni registi come Godard, Truffaut, Renet, Verda. Quello che propone è un cinema di scrittura, un’affermazione della necessità della macchina da presa che avesse le stesse funzioni di una penna. Trova nel regista il suo vero amore al pari di un romanzo. Viene sottolineato maggiormente la figura del regista. Molti dei futuri registi si formarono nelle sale della simategue di Parigi, tuttora un tempio parigino del cinema. I registi maturarono una vera formazione cinefila, vedendo i film della storia del cinema. Questa formazione con passione fa si che molti di questi entrarono come critici cinematografici su diversi giornali ma soprattutto sulle pagine dei Cahiers du cinema, diretti dal loro punto di riferimento teorico Bazin. Definiti “i giovani turchi” per i loro modi aggressivi per come esercitavano il lavoro del critico, elaborarono quella che è stata chiamata la politica degli autori andando alla ricerca dell’opera dei registi che loro amavano, tematiche narrative, stile inteso come un modo di percepire e mostrare il mondo solo attraverso la forma senza un vero e proprio contenuto. I giovani turchi testimoniarono non solo la grandezza di autori europei già conosciuti come Renaut e Rossellini, ma anche attribuirono lo statuto di autore a registi hollywoodiani di genere, come Haksw, Ford, Hitchcock… Nel 1959 nasce ufficialmente la Nouvelle vague, sono presentati al Festival di Cannes i 400 colpi di Truffat e Hiroshima mon amour di Resnais e l’anno dopo Fino all’ultimo respiro di Godard. La novelle vague con l’uscita di queste film ha davvero preso il via. Il fine della nouvelle vague e in generale del nuovo cinema sia stato quello di reinventare lo stesso cinema a partire anche con il rapporto dello stesso spettatore che no si volevo più soggiogato al potere magnetico del racconto audiovisivo ma al contrario vigile e cosciente consapevole del proprio ruolo. Si tenta di espandere le possibilità narrative ed espressive del cinema attraverso modalità sperimentali che tuttavia, al contrario con il cinema di avanguardia degli anni ’20, lo fa con film che non rinunciano alla narrazione dando pero a questa baraccone dei caratteri diversi da quelli del passato. Ad esempio i protagonisti si fanno più incerti e meno risoluti, sono personaggi banali e più ordinari che non sanno davvero cosa fare, dove andare, che oggetto di valore perseguire, sono più deboli di quelli del cinema precedente. Il rapporto consequenziale fra gli eventi si fa meno rigido, la logica di causa effetto è meno vincolante. Assumono più importanza la casualità, le attese, la diversione. I tempi del filosofo Deluise l’immagine tempo prevale su quella azione, contano meno i fatti e conta di più lo trascorrere del tempo. I finali si fanno più aperti, problematici, deviati, ironici. Più ancora sul linguaggio, la loro vocazione di ricerca e di ripensamento su che cosa è il cinema si nota sul montaggio, ridotto ai minimi termini, è esaltato ai massimi livelli con passaggi fatti di inquadratura brevi poco più che nei flash. Gli autori rinunciano alla classica rappresentazione di una scena di conversazione con campo e controcampo, con alternanza di inquadrature sui volti per sperimentazioni nuove disposizioni. I cineasti praticano una politica dell’errore e della sgrammaticatura attraverso il jump cut, stacchi che uniscono fra loro due inquadrature senza rispettare le convenzioni del cinema classico scardinandone la continuità. I film praticano tutta una serie di altre infrazioni del cinema classico, dall’uso del frame stop , movimenti di macchina a spalla, o dove la cinepresa è montata su un supporto mobile, dalle anomale uscite di campo , dagli sguardi ostentati dei personaggi verso la macchina da presa quindi verso lo spettatore. Innovativo è anche l’uso del sonoro, non solo per al presenza di voci narranti che addirittura arriva a dialogare con gli stessi personaggi, ma anche l’uso della musica più autonoma rispetto all’immagine e 40 meno preoccupata ad accompagnarla drammaturgicamente e per una maggiore libertà fra le singole componenti sonore. Questa è la mia vita è il 4° film di Godard un noir rivisitato, politico dai toni pessimisti sullo sfondo della guerra di Algeria. Trae spunto da un’inchiesta giornalistica sul fenomeno della prostituzione. soggetto Nana, commessa in un negozio di dischi, ha molte difficoltà a sbarcare il lunario, tanto ch eè costretta a chiedere dei prestiti (che nessuno le concede) e a lasciare la sua camera per non avere pagato l’affitto. Le piacerebbe fare del teatro, o del cinema (ha girato un film con Eddie Constantine), e fa delle foto per raccogliere un dossier da presentare alle produzioni cinematografiche. Occasionali prestazioni in squallidi alberghi le permettono di raccogliere qualche soldo per tirare avanti, ma è decisivo l’incontro con Yvette, un’amica divenuta prostituta, che la convince a seguire i suoi passi. Mentre scrive una lettera a una compiacente signora raccomandata da Yvette, ritrova Raoul, già conosciuto assieme a Yvette, un magniaccia che l’accoglie nella sua scuderia dopo averle impartito una vera e propria lezione sul mondo della prostituzione. Un giorno Nana consce un giovane cliente di cui si innamora. Invitata dal ragazzo a trasferirsi da lui per iniziare una nuova vita, Nana decide di chiudere con Raoul e con la miserabile esistenza che conduce. Raoul intanto ha deciso di vendere la ragazza a un’altra banda. Al momento dello scambio, i soldi contro Nana, nasce tra i due gruppi uno scontro nel corso del quale Nana resta uccisa. Il cinema di serie B Questa è la mia vita è dedicato al cinema di serie B, che il film richiama attraverso un intreccio da “melodramma criminale” e due scene di sparatorie. La dedica presente nei titoli di testa è già un indice di come il cinema della Nouvelle Vague - anche attraverso il lavoro critico dei suoi protagonisti - abbia dato un contributo fondamentale nel mettere in discussione la tradizionale distinzione tra “cinema d’autore” e “cinema di genere”, tra cinema ‘alto’ e cinema ‘basso’. (con un biglietto potevi vedere due film, il secondo era sempre di basso budget e quindi di serie B, come la musica la A e B). NELLA DIDASCALIA INIZIALE GODARD DICHIARA CHE IL FILM è DEDICATO AL CINEMA DI SERIE B, UN CINEMA CHE IL FILM RICHIAMA A UN INTRECCIO DI MELODRAMMA CRIMINALE. Come un romanzo, come dodici quadri Diviso in dodici capitoli, da altrettante didascalie, proprio come un romanzo, Questa è la mia vita testimonia di come La Nouvelle Vague cercasse un fertile dialogo fra cinema e letteratura, senza più da parte dello stesso cinema alcun timore reverenziale. Ciò che conta sono le esplicite possibilità di scambio e interferenze fra i diversi linguaggi. Del resto Godard chiama questi capitoli quadri, estendendo cosi il discorso anche alla pittura. Più avanti, nella scena della letteratura de “Il ritratto ovale” di Poe, cinema, letteratura e pittura (ma anche fotografia) troveranno uno straordinario punto di convergenza. I. L’immagine da ogni alto Le prime quattro immagini di Nana nel film, tre nei titoli di testa e una con l’avvisarsi vero e proprio della dieresi, mostrano la donna da ogni lato (profilo destro, volto, profilo sinistro e nuca). Quattro immagini che fanno venire in mente i versi di Montale “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe”. Quattro immagini che sembrano sin da subito segnare il film come una riflessione sui mezzi e i tentavi del cinema di osservare un volto per coglierne l’animo in un’ottica che potremmo definire bermanghiana. (Bergam) 41 Il racconto anticipato Riprendendo una tecnica diffusa nel romanzo settecentesco, ogni capitolo del film è introdotto da una didascalia che ne anticipa gli eventi e le situazioni principali. Un modo per costruire uno spettatore più critico e meno preso dal ‘che cosa accadrà?’. Nel senso che questo ‘accadrà’ è già annunciato. De-drammatizzare Da notare come qui “un bistrot” sia una sorta di equivalente del piano d’ambientazione, ‘Nana’ e ‘Paul’, un’introduzione, attraverso il loro nome proprio, dei due protagonisti della scena, e soprattutto come l’evento drammatico principale il fatto che Nana voglia abbandonare Paul sia di fatto equiparato o meglio messo sullo stesso piano di una semplice partita di flipper (L’appareil a sous). Le nuche Il primo quadro del film mostra le nuche anziché i volti dei protagonisti, quasi che Godard volesse subito prendere le distanze dai modelli di rappresentazione consolidati e sperimentare - anche attraverso una provocazione nuove possibilità del cinema. L’opporsi alla prassi dominante non possa solo attraverso la scelta di sostituire all’espressività dei volti - che intravediamo appena, e di tanto in tanto, in un distante riflesso sfocato - delle nuche assolutamente inespressive, ma anche tramite le scelte di montaggio, che non ricorrono a una successione di campi e controcampi, bensì di inquadrature messe l’una a fianco dell’altra. Come scrive Alberto Farassino: si tratta di una vera e propria “dichiarazione di messinscena: i personaggi del film non sono sullo schermo per lo spettatore disposti nella forma teatrale che deve favorirne la visibilità. Vivono la loro vita e non ne rivelano che frammenti casuali”. Godard contraddice il presupposto classico che vuole che il punto di vista scelto sia sempre il più efficace, quello in grado di mostrarci nel modo migliore l’evento presentato. Qui i “frammenti casuali” sono colti da un punto di vista altrettanto casuale, quello di un ipotetico osservatore non più privilegiato bensì qualsiasi, che si trova alle spalle dei personaggi. Ne consegue in qualche modo un maggior realismo - è come se rubassimo un frammento di conversazione che siamo in grado di percepire solo da un certo punto di vista -, accentuato anche dalla scelta di avviare la scena a conversazione già inoltrata - come se fossimo arrivati dopo il suo inizio - e dal carattere (almeno apparentemente) improvvisato del dialogo, fatto di pause, ripetizioni, esitazioni, silenzi, molto più vicino al modo in cui si parla nella realtà, che a quello in cui, almeno all’epoca, si parlava al cinema. La scena di conversazione non presenta piani di insieme, a una durata di poco superiore a cinque minuti ed è composta da sei inquadrature (non è un piano sequenza come a volte si legge), Tre per ciascuno dei due personaggi (ma quelle di nana hanno una durata maggiore). La conversazione ci dice che Nana ha lasciato / sta lasciando marito e figlio, che vorrebbe fare del cinema, che nel frattempo lavora in un negozio di dischi e che ha bisogno di soldi (chiede al marito 2000 Fr., elemento ricorrente nel film). Quando nana si interroga sul modo migliore di dire una certa frase, o quando afferma che "più si parla e meno significano le parole" il dialogo assume un tono quasi metà linguistico (rivelando una preoccupazione molto cara a Godard, che tornerà più avanti). Interessante anche l'uso della musica, una suggestiva composizione per archi di Michele grande, che interviene due volte: a cavallo fra la prima e la seconda inquadratura (22’) e tra la quinta e la sesta (72’). Tali interventi non sembrano avere, almeno apparentemente, alcun legame con lo sviluppo della conversazione. La musica qui non serve come accade nel cinema classico a drammatizzare a coinvolgere: semplicemente e lì, come qualcosa fra il resto, che tutt'al più può contribuire a determinare una certa atmosfera. Essa peraltro, proprio come la successione di inquadrature, è trattata attraverso un montaggio orizzontale in cui degli ‘stacchi netti’ alternano, a prescindere dalle voci, momenti musicali a momenti di silenzio. 42 tratta dei poster di L’Amèrique insolite (François Reichenbach, 1960), Une femme est une femme (Jean-Luc Godard, 1961) e di Nobi (Fuochi nella pianura, Ichikawa Kon, 1959). IV. Al commissariato Secondo le modalità proprie del racconto ellittico, il film omette l'episodio in cui Nana cerca di impossessarsi di denaro altrui - caduto dalla borsetta di una donna - e, denunciata, viene portata in commissariato. Il fatto è messo a conoscenza dello spettatore attraverso la deposizione della donna in commissariato. In stato di fermo, Nana tocca quello che, per il momento, è il punto più basso della sua situazione. Le parole di Nana esprimono la gravità della sua situazione: è senza denaro, non ha una casa in cui vivere, è costretta a chiedere ospitalità, a volte a degli uomini. Quando il commissario le chiede cosa pensa di fare, Nana risponde di non saperlo e di desiderare di “essere un’altra”. Questa nuova scena di conversazione è costruita attraverso un montaggio in campo e controcampo e consta di cinque inquadrature secondo l'alternanza Nana - poliziotto - Nana - poliziotto - Nana. La donna non solo è presente in tre inquadrature su cinque, ma la durata complessiva dei piani a lei dedicati sovrasta di gran lunga quelle delle inquadrature del suo interlocutore. Pur trattandosi di un campo e controcampo, le modalità di rappresentazione della conversazione si differenziano da quelle dominanti poiché le immagini dei due personaggi non sono riprese di sbieco, bensì frontalmente, così gli sguardi di entrambi quando sollevati sono diretti verso la macchina da presa. Se la frontalità della ripresa non segue i modelli classici, lo fa invece la scelta di accompagnare discorsivamente l’intensificarsi della conversazione (sino al suo drammatico "vorrei essere un'altra") con immagini via via più ravvicinate che passano dall'iniziale mezzo primo piano, attraverso il primo piano, sino al primissimo piano conclusivo. Una classica costruzione del climax di inquadrature tra Nana e il poliziotto. V. Nana si prostituisce Il quinto quadra si svolge sostanzialmente nella strada e nella camera. Si introduce il motivo rilevante del film, la prostituzione. Questo nuovo episodio che prosegue il processo di peggioramento della protagonista la quale si prostituisce per la prima volta, costa di due parti: la prima in esterno sulle strade dei Boulevards periferici, la seconda in interno nella stanza dell'hotel dove la donna si reca col suo cliente. La prima parte è costituita da carrellate laterali sui Boulevards che mostrano diverse prostitute, cui seguono carrellate a precedere di Nana, poi ancora immagini di altre prostitute mentre la protagonista le osserva. Il gioco del montaggio e delle sue alternanze crea quindi un evidente associazione fra Nana e il mondo della prostituzione. Nonostante il progressivo precipitare agli inferi della sua eroina, Godard non rinuncia al gioco delle citazioni, mostrando una prostituta davanti un cinema dove proiettano Spartacus (Kubrick, 1960). Dopo l'incontro col cliente che l’abborda, i due entrano in un infimo hotel. La rappresentazione dell'incontro è quasi del tutto priva di accenti sessuali o sensuali che si voglia e sembra invece privilegiare le ansie, le paure e le incertezze della donna di fronte a una realtà a lei ancora sconosciuta. Da qui la centralità del suo sguardo e dei raccordi che ne conseguono, come quelli che conducono ai dettagli dell'asciugamano e del sapone, o 45 alla mano dell'uomo nella tasca dei pantaloni mentre prende il denaro (immagine questa che sembra anche voler evidenziare qualcos’altro). Si conclude col tentativo della donna di sottrarsi al desiderio dell'uomo di baciarsi sulla bocca, momento evidenziato (soluzione classica) da un movimento di macchina in avanti sui due. Il sesto capitolo del film introduce il personaggio di Raoul, il protettore di Yvette, destinato a giocare un ruolo essenziale nel futuro di Nana. La scena si svolge in continuità ma è suddivisa in almeno cinque diversi micro episodi: 1) L’incontro in strada di Nana e Yvette 2) La conversazione fra le due donne 3) Il guardarsi intorno di Nana rimasta sola 4) Il dialogo di Nana e Raoul 5) La sparatoria. L'incontro fra le due donne in strada, e la breve conversazione che ne segue, è girato in un piano sequenza dinamico a ridosso di Nana e Yvette, la quale è tenuta, più del dovuto, fuori campo in occasione dell'avviarsi del dialogo. Anche se in qualche occasione si vedono i volti delle due donne, l'immagine dominante il piano sequenza è ancora una volta quella delle nuche. La conversazione all'interno del bar, in cui i vette racconta le ragioni per cui è finita col diventare una prostituta, si affida a un'inedita modalità di rappresentazione. Si tratta anche in questo caso di un piano sequenza dinamico a ridosso del viso delle due donne ma strutturato attraverso un gioco di movimenti di macchina in avanti e indietro che dà vita a quattro distinti quadri alternati fra due mezze figure di Nana e Yvette e due primi piani della sola Nana. I due assoli di Nana si differenziano, poi, perché il primo si pone come un piano d’ascolto rispetto al racconto di Yvette, mentre il secondo accentua il suo discorso sulla responsabilità. Rimasta sola, Nana è mostrata in un lungo primo piano in cui guarda ostentatamente al centro dell'obiettivo della macchina da presa (interpellazione diretta). Dopo di che il segmento prosegue tramite una serie di raccordi di sguardo e soggettive che mostrano la donna - su cui continua il gioco degli avvicinamenti e degli allontanamenti della cinecamera - guardare prima una coppia seduta a un tavolo e poi un giovane al juke-box. Le due immagini in soggettiva, accompagnate da una canzone d’amore, sembrano voler esprimere il desiderio da parte di Nana di una vita diversa almeno sul piano sentimentale (la coppia e il giovane). La terza e ultima soggettiva è quella di Yvette e Raoul, a indicare il ritorno alla realtà che essa rappresenta, il fatto che chi ha davanti non sia più una coppia di innamorati o un possibile fidanzato, bensì un protettore e la sua prostituta. Ecco così la brusca interruzione della canzone sostituito dal rumore del flipper. La breve conversazione fra Nana e Raoul in cui l'uomo provoca la donna per vedere come reagisce e capire così se si tratta di un gran drama o di una sgualdrina è filmata ancora una modalità in edita da un unico piano fisso che tiene fuori dei bordi dell'inquadratura Raoul (il quale entra in campo per un breve momento solo alla fine, quando bacia la mano della donna). Arriviamo così alla prima sparatoria del film che ne chiude il sesto capitolo. Se in qualche modo possiamo leggere l'episodio come un'anticipazione narrativa del drammatico finale e una porta di omaggio al cinema di serie B americano esso ha indubbiamente una notevole autonomia del resto del lavoro, qualcosa che sembra arbitrariamente aggiuntivo. Sconosciute sono le sue cause e le sue ragioni, sconosciuti i personaggi che vi prendono parte, compreso l'uomo che, sanguinante, entra nel caffè. Né ne sapremo di più di queste ragioni o di questi personaggi nel corso dello sviluppo del racconto. Si tratta in sostanza di un fatto gratuito, che si dà in sé e perse, senza legami con il resto degli eventi. Un modo di costruzione del racconto decisamente estraneo alle logiche classiche. Da notare anche la panoramica che porta Nana attraverso il locale che danno sulla strada: una panoramica scatti che ricorda una raffica di mitra o se vogliamo la successione a scacchi dei fotogrammi di un film. 46 VII. La lettera e Raoul Dopo che Nana ha scritto la sua lettera a un maîtresse e in cui l'atto di scrittura è rappresentato in un lasso temporale decisamente esteso rispetto alle norme classiche, la conversazione fra Nana e Raoul che qui si svolge dà di nuovo vita a delle soluzioni di discorso che rifiutano i classici modelli del campo e controcampo. Il dialogo vero e proprio dei due ha una durata di 4 minuti e 16 secondi e si compone di due soli inquadrature in cui i movimenti di macchina mettono in successione diversi quadri. La prima inquadratura con i suoi 2 minuti e 40 secondi è la più lunga delle due. Nana e Raoul sono seduti a un tavolo l'uno di fronte all'altro. Alle spalle della donna una grande veduta delle Champs Élyséès si rivela dopo qualche secondo una loro riproduzione fotografica con un effetto di tromp-l’oeil segno evidente di quella dialettica finzione realtà così cara alla Nouvelle Vague. All'inizio del piano la macchina da presa e posta alle spalle di Raoul di cui ci mostra la nuca mentre di Nana è in campo il viso ripreso leggermente di tre quarti. Inquadratura è appena dall'alto e le teste dei due personaggi non arrivano neanche alla metà della verticale del piano, lasciando loro troppa aria in testa (anti-classico). 32 conversano la macchina presa inizia a spostarsi sempre rimanendo alle spalle di Raul lungo una traiettoria quasi semicircolare fissandosi di tanto in tanto e secondo una scansione regolare in tre diversi punti: 1) a destra dei personaggi come nella posizione iniziale 2) e a sinistra 3) e infine dietro la nuca di Raoul, in modo tale che anche il viso di Nana sia del tutto coperto. I quadri a destra e sinistra dei personaggi si ripetono ciascuno per tre volte mentre quello di Raoul si dà in quattro circostanze. L’immagine su cui Godard più insiste è così quella che azzera del tutto quel predominio dell’espressività dei volti che è da sempre ciò di cui più si affida, sul piano visivo, una scena di conversazione. Nel momento in cui i due fanno dei commenti sui propri volti sono momenti in cui Godard occulta i volti dei due personaggi. Meno audace ma comunque sempre lontana dei modelli di rappresentazione dominanti la seconda inquadratura in cui la macchina da presa panoramica dal mezzo primo piano del profilo dell'una e quella dell'altro in quattro successivi quadri. Per arrivare poi nella seguente immagine tenere in campo entrambi ma eccessivamente tagliati dai bordi dell'inquadratura prima di tornare nel finale a un quadro della sola Nana. Il privilegio accordato a Nana alla protagonista all’eroina da questo finale ha un sapore classico. Nei film della Nouvelle Vague può accadere davvero di tutto, il nuovo, come il vecchio: e a volte è proprio il loro intrecciarsi a conferire ad essi parte del fascino che li contraddistingue. Del resto il finale della scena punta di nuovo verso il moderno, con l’inconsueta uscita di campo dei due personaggi sul davanti, ai due lati della cinecamera. VIII. Il lavoro della prostituta L’ottavo capitolo ha un tono quasi documentario e si affida alla voce narrante di raoul, che in modo meccanico, come leggesse un annuale, descrive la vita quotidiana delle prostitute, le disposizioni giuridiche che le riguardano, le possibilità di adescamento, le diverse tariffe, il comportamento della polizia, gli eventuali problemi di gravidanza, la disponibilità verso i clienti, il loro numero quotidiano e i possibili incassi giornalieri. Le parole dell’uomo sono, in realtà, tratte da un’inchiesta giornalistica dell’epoca. Alle parole di Raoul si accompagnano diverse immagini che mostrano Nana al lavoro con numerosi clienti, in strada, sull’ascensore, in camera. Alcune situazioni sono ripetute due o più volte, i tipi di inquadratura dominanti sono i piani ravvicinati, sia su determinate azioni, sia sul volto della donna. Ancora su un effetto di ripetizione giocano le immagini finali del capitolo, in cui Godard si lascia andare alla ricerca di un evidente effetto estetico, quasi volesse ricreare un quadro giocato sul rapporto fra il copro e gli oggetti che può richiamare la pittura di Man Ray. 47 tre sono degli elaborati e fluidi movimenti di macchina - probabilmente realizzati con una steadicam - che seguono e accompagnano i movimenti dei due protagonisti. Si tratta di una modalità di rappresentazione cui Kubrick si affiderà in molte altre sequenze del film. Fa eccezione il breve mezzo primo piano della figlia Helena, quando questa chiede di poter vedere ‘Lo schiaccianoci’. L’inquadratura, così evidenziata perché differente e più ravvicinata delle altre, mette in primo piano il riferimento al balletto e al testo di Hoffman, che narrano di un lungo sogno (e dell’ambigui rapporto tra sogno e realtà), preludendo e ponendo così le basi alla dimensione onirica e piena di incertezze del film a venire. Quasi sempre - in modo potremo dire ossessivo come farebbe un dilettante per guadagnare un po’ di metraggio - Kubrick apre le scene del suo film con degli esterni metropolitani e spesso ci arriva attraverso delle lunghe dissolvenze incrociate. Di particolare effetto questa, in cui la figura di Bill si sovrappone a una strada notturna - dissolvendo come fosse un fantasma - quasi a voler anticipare i suoi lunghi e solitari vagabondaggi per le vie di New York. La seconda sequenza del film, composta da due scene principali, è quella della festa a casa del ricco Victor Ziegler. La sequenza è puntellata da numerose dissolvenze incrociate che ne marcano le ellissi. Va ricordato come la dissolvenza incrociata sia una delle figure dominanti del cinema per la rappresentazione di situazioni oniriche. Appena entrati, Alice e Bill sono accolti da Victor e la moglie. Un modo per dirci che l’uomo è sposato e a preparare così il senso della scena del bagno che arriverà il motivo dell’adulterio (motivo cui fanno cenno anche alcune battute fra l’uomo e la moglie sul ‘guardare le donne’). Proprio l’osservare costituisce l’aspetto forse principale dell’incontro, quando Victor, guardando Alice, le dice “Look at you. God, you’re absolutely stunning”, comportandosi così in modo opposto a Bill che non guardava Alice in bagno. Un modo con cui attraverso lo sguardo si contrappongono i due uomini (Eyes Wide or Shut). Mentre ballano insieme, Alice e Bill si chiedono se conoscono qualcuno dei partecipanti alla festa, “NO”. Una battuta che sottolinea l’estraneità dei due all’alta società e che serve a preparare la scena della festa orgiastica, in cui Bill si aggirerà come un intruso. Oltre a quello col padrone di casa, la sequenza è segnata da tre diversi incontri, il primo, quello con Nick, ha la funzione di preparare l’avvicinamento di Bill all’orgia. Gli altri due, quello di lei con l’ungherese, e quello di lui, con le due giovani donne, si configurano come tentazione e minaccia alla (precaria) solidità matrimoniale dei due protagonisti. L’ungherese L’uomo agisce come un vero seduttore che non nasconde affatto le sue intenzioni: beve dal bicchiere della donna creando cos’ sin da subito una certa possibile intimità, cita L’ars amatoria di Ovidio, la fa ballare, le dice che il vero fascino del matrimonio è che rende l’inganno una necessità per ambo le parti. La messa in campo dell’ungere, a fianco di Alice, avviene alla fine di un movimento di macchina semicircolare introno alla figura della donna, sino a mettere in campo l’uomo. Quasi che si volesse trasmettere l’idea dell’essere circondati da tutte le parti con nessuna possibilità di fuga. Il movimento in cui l’ungere bacia la mano della donna - primo contatto fisico fra i due - è accentuato discorsivamente da un evidente scavalcamento di campo, che rovescia la posizione dei personaggi sullo schermo. Le due amiche Come l’ungere tenta Alice, le due donne che a loro volta sembrano corteggiare esplicitamente Bill, lo tentano. Ed anche qui lo fanno, oltre che attraverso i gesti e gli sguardi, con un gioco di battute allusive, come quella riferita a tutto ciò che si perde quando si lavora troppo, proprio come fanno i dottori. L?incontro termina con Bill che chiede dove lo stiano portando e una delle due donne che risponde ‘Là, dove finisce l’arcobaleno’, una chiara anticipazione del negozio di costumi dove più avanti si recherà 50 Bill. Da notare anche come si tratti non di una sola donna, ma di una coppia, cosa che prefigura la festa orgiastica cui l’uomo si recherà. Diversamente da quel che accade per Bill, che nonni accorge affatto che la moglie sta danzando con un altro uomo, Alice vede il marito insieme alle altre due ragazze, come testimonia un breve sintagma soggettivo differito (prima l’oggettiva e poi la soggettiva). La contrapposizione fra vedere e non vedere, sembra confermare l’idea di Alice come di un personaggio più consapevole (delle cose della vita) di quanto non lo sia invece Bill. La seconda scena della festa si svolge in uno dei bagno della dimora dove una giovane donna Mandy mentre amoreggiava con l’uomo, ha avuto un malore a causa dell’eccesso di stupefacenti. Vale la pena di ricordare che il bagno è un luogo ricorrente del cinema di Kubrick e qui sta anche a indicare la differenza di status quo fra i due uomini. La scena del bagno ha l’evidente funzione di sviluppare il tema del tradimento e del desiderio sessuale, preludendo così, attraverso l’agire di altri, a quel che i protagonisti, e in particolare Bill, vivranno nel corso della storia. Oltre che da quel che è appena accaduto fra Victor e Mandy, la dimensione sessuale della scena passa anche attraverso il gioco del campo e controcampo (8 inquadrature in tutto) che esibisce una doppia nudità femminile, reale l’una e figurata l’altra. Anche in questa scena motivo dello sguardo è riprese esplicitamente sul piano dei dialoghi, attraverso le parole che Bill rivolge a Mandy: ‘Can you open your eyes for me’ Let me see you open your eyes’ ‘Come on, look at me. Look at me’ ‘Look at me. Look at me.’ ‘Look at me.’ ‘Look at me. Look at me, Mandy’. Il montaggio alternato lega quel che accade in bagno alla danza fra Alice e l’ungherese. La moglie, un po’ perché ubriaca, un po’ perché lusingata dall’affascinante ungherese, un po’ perché irritata dall’aver visto il marito con altre due donne, sta al gioco del corteggiamento, sapendolo però interrompere quando questo cerca di oltrepassare una certa soglia. La chiusa degli incontri tentatori di Alice, con l’ungherese e di Bill, con le due donne, è nei fatti molto diversa. Mentre la prima fermerà esplicitamente le ‘avances’ dell’uomo ricordandogli di essere sposata, l’incontro del secondo è interrotto dall’arrivo di un cameriere che gli dice che Ziegler lo vuole. Alice interrompe e agisce, Bill è interrotto ed è agito. La contrapposizione fra il femminile e il maschile diventa così quella fra l’agire e il patire. Una coppia allo specchio La terza scena del film è una breve scena d’amore allo specchio di Alice e Bill, che si avvia ancora una volta con l’immagine della donna nuda vista di spalle. Lo specchio ha una funzione autoriflessiva dove il guardarsi è anche un cercare di capirsi. Importante in due momenti lo sguardo di lei che si dirige altrove quasi a indicare una sua non totale partecipazione all’atto amoroso, una certa distanza testimone di una certa crisi coniugale. La scena di Bill e Alice allo specchio è ripresa attraverso due movimenti di macchina una vanti che mettono fuori campo l’immagine reale dei personaggi per mostrare solo quella riflessa (proprio come avveniva per il piccolo Danny in Shining). In entrambi i casi si potrebbe parlare del progressivo passaggio da una dimensione reale (il corpo) ad una immaginaria (il riflesso del corpo), che prelude agli sviluppi di entrambi i film, al loro ingresso in una dimensione altra, quella delle pulsioni dell’inconscio. Una sequenza costruita sul montaggio alternato ci mostra la vita quotidiana di Bill (nello studio medico) e di Alice (in casa). L’immagine di Bill che palpa il seno nudo di una paziente (la prima delle visite) riprende il motivo della sessualità e funge da supporto alla sfuriata di gelosia di Alice. Inoltre si insiste su una certa prosaicità di Alice che vediamo una seconda volta in bagno svestita (anche durante festa di Ziegler diceva di voler andare in bagno) e in un determinato momento annusarsi le ascelle dopo aver usato del deodorante. 51 La scena del racconto di Alice e del suo tradimento mentale - quando fu talmente presa da un uomo che se solo glielo avesse chiesto avrebbe per lui lasciato tutto e tutti - precipita il film nel suo intrigo vero e proprio, determinando in Bill quel sentimento di gelosia che lo spingeva tra sogno e realtà - a cercare di rivalersi. Si è già notata la contrapposizione fra Alice come agente e Bill come paziente, sia a proposito dello sguardo (lei vede, lui no) sia per il modo in cui terminano gli incontri tentatori (lei interrompe, lui è interrotto). Tale contrasto vale anche per questa scena. Mentre Bill rimane infatti per tutta la sua durata seduto a letto, Alice cambia per dieci volte posizione, mutando postura o andando ad occupare spazi diversi (sdraiata sul letto, in piedi davanti al bagno, vicino a una prima finestra, seduta sullo sgabello, davanti a una seconda finestra, inginocchiata e infine seduta a terra). C’è chi si muove e c’è chi è immobile. Il cinema classico in bianco e nero ci ha insegnato che per rendere più tesa un’immagine è possibile giocare con la luce al fine di costruire dei netti contrasti fra i bianchi e neri. Il cinema a colori può riprendere quest’idea, come in questa scena, ma anche in molte altre, fa Kubrick, affidando alla contrapposizione tra toni caldi (i gialli e rossi dell’interno) e toni freddi (il blu proveniente dall’esterno attraverso la finestra). La scena può anche essere vista come un esempio del campo controcampo in funzione disgiuntiva. A un piano iniziale, in cui i due sono insieme a letto, segue, a partire dal momento in cui la donna si alza perché irritata da una frase del marito, una lunga serie di campo e controcampi in cui i due non saranno più mostrati insieme. La scena del bacio di Marion, si apre con un altro esterno notte, che comprende anche due primi piani di Bill in taxi e un inserto che rappresenta ciò che l’uomo pensa e immagina: Alice che fa l’amore con l’ufficiale. L’inquadratura in bianco e nero mostra la donna che si sfila le mutandine - è lei, non è l’uomo a farlo - indicando così come Bill nella sua gelosia si immagini la disponibilità e il desiderio della moglie di ‘essere presa’, nonché la sua intraprendenza. L’immaginario piano ha anche il compito di introdurre le oniriche atmosfere delle scene a venire, come implicitamente fa anche la stesa Marion quando riferendosi all’improvvisa morte del padre afferma ‘è così irreale’. Almeno due sono le funzioni principali di questa scena. da una parte l’irruzione del motivo della morte, già introdotto da quella rischiata di Mandy, e qui invece realizzata. Motivo che poi ritornerà ancora, sia attraverso un’altra morte vera e propria, quella della modella, sia di nuovo potenzialmente, in forma di minaccia nei confronti dello stesso Bill. In questo film aleggia la figura della morte che dà impotenza. A fianco del motivo della morte c’è quello della tentazione. Per la seconda volta Bill è oggetto del desiderio femminile, che questa volta, attraverso il bacio, si manifesta, in modo più esplicito. Vuoi perché non attratto, vuoi per evitare complicazioni professionali, l’uomo - pur dopo la confessione di Alice - vi resiste. Siamo anche di fronte, con l’arrivo di Carl, ad una nuova interruzione, vera e propria isotopia narrativa di Eyes Wide Shut: quella del cameriere di Ziegler, quella della telefonata che annuncia la morte del padre di Marion, e, ora, l’arrivo del fidanzato di questa. Per latere volta, Bill si trova di fronte una donna in stato di alterazione (le droghe pesanti di Mandy, quelle leggere di Alice, e lo shock per la morte del padre di Marion) si comporta con estrema pacatezza e con modi rassicuranti e professionali. Si tratta di un uomo davvero pacato, forse un po’ troppo. Sul piano visivo, il gioco delle luci ripropone il contrasto censivo tra tonalità calde (il giallo delle lampade) e tonalità fredde (il blu) che era già nella scena del tradimento di Alice. è possibile notare come il bacio sia preparo dal professionale sporgersi in avanti di Bill nel momenti in cui Marion ha una crisi di pianto. In questo modo il verso dell’uomo entra nell’inquadratura della donna, e per cosi dire, le facilita le intenzioni. 52 Milich quando Bill gli riporterà il costume, senza però la maschera, cosa che lo costringerà un extra. Col denaro si comprano cose e si ottengono dei servigi (la prostituta ti dà il suo corpo, Milich apre il negozio di notte, il tassista è disposto ad aspettarti) così come col denaro si crea un mondo quale quello dell’orgia. Da notare che Bill in lingua inglese significa anche banconota. Anche l’inquadratura della villa cui è accompagnato in auto Bill, ripropone ancora una volta il contrasto tra la luce blu che avvolge la dimora e lo spazio circostante, e la macchina rossa, su cui si trova Bill, che appare così sin dall’inizio ancora più come un intruso. Graficamente la figura dominante della prima scena dell’orgia, a metà strada fra un rituale satanico e una cerimonia massonica, è quella del cerchio costituito dal gruppo di donne inizialmente coperte da un mantello nero, disposto intorno all’officiante, che, al contrario, ha un costume rosso, come rosso è il tappeto su cui tutti si trovano. La disposizione a cerchio delle donne è rafforzata dai diversi movimenti di macchina altrettanto circolari che la riprendono. Una situazione in cui il discorso filmico e la dimensione discorsiva si muovono in uno stesso ambito, è circolare ciò che vediamo è circolare il modo in cui il film ce lo mostra. La serie di inquadrature sulle donne in cerchio e l’officiante, sugli astanti e su Nick al piano, è interrotto dallo zoom in avanti su un uomo e una donna mascherati, che guardano verso Bill, a cui - in un gioco di raccordi di sguardo e semisoggettive - l’uomo fa un cenno di saluto, ricevendone una risposta. Chi sono l’uomo e la donna - alla fine del film potremmo presumibilmente identificarli in Ziegler e Mandy - che guardano Bill? Il protagonista sembra così - nonostante la maschera - essere stato riconosciuto, se non altro come intruso, fatto che determina un’innalzamento della tensione. Kubrick sta giocando con i codici del thriller conferendo al film il suo sapore hitchcockiano. Il terzo scavalcamento di campo del film accentua visivamente le parole della donna, accrescendo il livello di tensione del film. Anche l’incontro con la donna misteriosa subisce un’interruzione come era accaduto per i precedenti incontri con le due modelle, con Marion, con Nick e con Milich… Rimasto solo, Bill attraversa la sala delle orge e Kubrick lo accompagna attraverso un sintagma soggettivo alternato di dodici inquadrature (con uno scarto a metà quando abbiamo due soggettive di fila) intervallato da tre dissolvenze e costruito su fluidi movimenti di macchina. Il sapore è un po’ hitchcockiano e l’atmosfera complessiva abbastanza onirica. Il sintagma si interrompe con l’arrivo di Ziegler (?) accompagnato da una nuova donna. Questa si avvicina a Bill e gli propone di andare in un posto più riservato, ma l’incontro è oggetto di una nuova interruzione, da parte della donna col copricapo di piume nere che lo aveva avvicinato per prima. Anche questo secondo incontro, in cui la donna mette di nuovo in guardia l’uomo e gli dice che in gioco sono le loro vite, è interrotto dalla’arrivo di un uomo che invita Bill a seguirlo. Smascherato, l’intruso è riportato nel salone iniziale è costretto a rispondere davanti a tutti a una serie di domande. Prima che ciò avvenga, la tensione della scena è elevata da un sintagma di sei inquadrature su una serie di uomini mascherati che guardano tutti nella direzione in cui si trova Bill. Il sintagma rivela il gusto di Kubrick nel creare simmetrie solo al fine di rompere, di dare ordine alle cose solo per farle precipitare nel disordine. Le prime quattro inquadrature e la sesta sono frontali, e mostrano tutte una maschera sul davanti e in posizione centrale, affiancata da altre maschere in secondo piano, a destra e a sinistra della prima. Graficamente l’inquadratura come un triangolo con un vertice in altro e due in basso. La quinta inquadratura invece, è ripresa di sbieco, e mostra tre maschere disposte, graficamente, lungo una linea che scende dall’alto a destra, al basso a sinistra. Ad 55 accentuare l’idea di simmetria scomposta c’è la maschera centrale che ricorda la pittura cubista, dove il volto umano è privo di qualsiasi simmetria. Graficamente, la figura dominante la prima parte dell’interrogatorio è il cerchio. A cerchio aperto sono disposti gli astanti intorno all’uomo vestito di rosso e circolare è la parte centrale del tappeto su cui questi è seduto. Quando Bill avanza verso il centro gli astanti si chiudono come imprigionarlo. Infine quando l’uomo in rosso lo incastra, chiedendogli l’inesistente seconda parola d’ordine, a ingabbiare il personaggio interverranno anche una serie di movimenti di macchina circolare, che si avvicineranno sempre più all’inquisito e all’inquisitore, e che saranno solo dall’arrivo della misteriosa donna salvatrice. Proseguendo le nostre osservazioni sull’aspetto grafico della scena, possiamo notare che il suo punto di svolta, l’arrivo della donna salvatrice, sia rappresentata attraverso un violento rapidissimo zoom in avanti, che disegna nello spazio una linea retta immaginaria e che si contrappone alla circolarità delle inquadrature precedenti. Anche qui, una svolta narrativa è espressa attraverso un brusco cambio delle modalità discorsive. La contrapposizione fra linea e cerchio, continua nelle due inquadrature che contrappongono la verticale del corpo della donna alla disposizione a cerchio dei personaggi sottostanti. Una contrapposizione ripresa anche su altri piani: dal basso/ dall’alto, uno/tanti, sfondo blu/sfondo rosso. A complicare il tutto la presenza di elementi circolari, ma secondari, nel pino della donna (il copricapo, l’arco) e lineari, ma anch’essi di secondo piano, nell’inquadratura degli uomini (le verticali dei loro corpi). Il tutto in gioco di dominanti e armonici dal sapore ancora una volta eiseinsteinano. Il finale della sequenze dell’orgia ripropone nettamente la dimensione da thriller del film, non solo per l’imprigionamento e la messa alle strette di Bill, ma anche a riguardo della misteriosa donna disposta a mettere in gioco la propria vita per salvarlo, e infine per la minaccia, estesa anche alla sua famiglia, rivoltagli dall’uomo in rosso. Il sogno di Alice Uno stacco passa dalla sequenza dell'orgia al rientro a casa di Bill, che vediamo chiudere le tre serrature della sua porta. Dopo di che il suo sguardo si sofferma per qualche secondo di troppo su esse, come per accertarsi di aver fatto tutto a dovere. Le tre serrature e lo sguardo prolungato di Bill rinviano all’idea di sicurezza presente in diversi momenti de il film (Il negozio di costumi, le guardie del copro del Sonata Cafè e della villa dell’orgia, l’aprire guardingo della seconda prostituta) ma anche - più o meno consciamente - al desiderio dell’uomo di proteggere la propria famiglia (che è appena stata minacciata) e di tenere fuori tutto ciò che ha appena vissuto, per trovare riparo fra le pareti domestiche. Insomma, in un film anche la durata di uno sguardo protratto per qualche secondo in più del dovuto può avere il suo peso. Si è già visto come gli interni di casa Harford sono dominati dal contrasto fra i toni caldi del giallo e quelli freddi del blu. Per ottenere tali contrasti, che talvolta azzera ed altre accentua, Kubrick ricorre a diverse soluzioni. Ad esempio, qui la dominante gialla dell’ingresso, è contrastata - ma solo per un breve arco di tempo, quello che intercorre fra un aprire e un chiudere - dal blu della porta attraverso cui passa Bill. Dopo aver chiuso la porta, Bill attraversa il suo appartamento dando un’occhiata alla bambina, riponendo in un armadio la borsa col costume, sino ad arrivare alla camera da letto dove si trova Alice. Il suo percorso è seguito da un fluido movimento di èmcchinma, interrotto una prima volta da un’immagine della bambina a letto, e poi da una dissolvenza incrociata che lo introduce in camera. Durante il tragitto di Bill, il film ripropone il contrasto fra toni caldi del giallo e toni freddi del blu. Mentre alcuni ambienti vedono la presenza di una sola delle due tonalità (l’ingresso quando la porta è chiusa è solo giallo, lo studio, invece, solo blu), altri le comprendono entrambi in un rapporto di dominanti e armonici. 56 Tra questi c’è la camera da letto che è si immersa dal blu ma contrastato dal giallo che si vede provenire dal corridoio con la porta aperta . Ne risulta un’immagine che per ciò che concerne i rapporti fra dominanti e armonici, è l’esatto contrario di quella che accompagnava il litigio fra i due coniugi. Come se ora, anche cromaticamente, fosse davvero la notte - in quanto tempo del sogno e spazio della trasgressione - ad aver preso il sopravvento all’interno delle mura domestiche. Il racconto di Alice del proprio sogno, in cui questa fa l’amore prima con l’ufficiale di marina e poi partecipa a un’orgia, il tutto davanti agli occhi di Bill, si lega sia alla scena del precedente racconto del marito (tradimento con l’ufficiale, prima solo desiderato, ora consumato) e poi, evidentemente, a quella dell’orgia. Anche se solo nel mondo onirico, e con sgomento, Alice finisce col fare quel che Bill avrebbe forse desiderato fare. Il fatto poi che Alice sogni di partecipare a un’orgia proprio mentre Bill vi assiste, rafforza il carattere onirico del film. Alla ricerca di Nick La sequenza della ricerca di Nick, che nel gioco speculare della struttura del film rimanda a quella del Sonata Cafè, è composta da due scene: quella al bar Gillespie e quella all’hotel, e si conclude senza che Bill possa essere ritrovato. Si tratta di due scene di conversazione, con la ragazza del bar e con l’omosessuale della concierge, dove il passaggio da inquadratura a due a inquadrature ‘a uno’, tende a evidenziare gli sviluppi importanti del dialogo. In entrambi i dialoghi Bill esibisce - in una sorta di affermazione della propria vacillante identità - il suo tesserino medico. Il racconto dell’uomo dell’albergo, relativo al modo in cui Nick ha dovuto lasciare l’albergo, con un occhio livido e scortato da due tipi poco raccomandabili, accentua il carattere thriller della narrazione, inducendo lo spettatore, e lo stesso Bill, a chiedersi quale sia stata la fine di Nick. Di nuovo al Rainbow La seconda scena che si svolge al rainbow, ripropone gli stessi 5 personaggi della prima, ma in una situazione molto diversa. Se nella notte Milich voleva consegnare i die giapponesi, che facevano sesso con la figlia, alla polizia, ora fra questi tutto sembra risolto (grazie a un compromesso presumibilmente realizzatori per mezzo del denaro). Motivo del denaro che ritorna nel dettagliato pagamento di Bill (Il terzo del film, dopo quello alla prostituta e al tassista, oltre a 200 dollari in più già promessi a Milich). I due primi piani della lolita, cos’ come l’offerta di Milich, si danno come le ultime tentazione cui Bill si ritrova di fronte, prima della frase-epilogo di Alice. Anche qui, Kubrick non rinuncia ai contrasti di colore, come testimonia l’accesso rosso della stanza da cui proviene la ragazza: uno spazio proibito, quanto la fatidica ‘Redrum’ di ‘Shining’. Dopo una breve scena di Bill nel suo studio medico - n cui ancora una volta immagina la moglie fare l’amore con l’ufficiale - l’uomo ritorna al cancello della villa, solo per ricevere un’altra minaccia, tramite un messaggio sportogli attraverso le inferriate da un uomo anziano. Il messaggio, la ripetuta inquadratura delle videocamere di sorveglianza, il succedersi delle singole note, con ritmi e volumi diversi a seconda dei passaggi, fanno della scena un altro momento di suspense. Quando l’uomo si trova davanti al cancello le riprese al di qua dell’inferiate ne esprimo visivamente il suo essere in gabbia. Kubrick insiste però su tale idea attraverso un doppio spostamento - del personaggio e della macchina da presa - che fa si, prima dell’inquadratura della videocamera di sorveglianza, che per ben sei volte diverse l’uomo appaia per così dire imprigionato dai sei diversi riquadri, ognuno dei quali identico agli altri. 57
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