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Appunti Lezioni Diritto Privato, Appunti di Diritto Privato

Appunti completi delle lezioni di Diritto privato necessari per sostenere l'esame (preappello scritto + appello). Mancano parti relative al contratto che vanno approfondite sul libro di testo.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 03/08/2023

alex-di-malta
alex-di-malta 🇮🇹

4

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Scarica Appunti Lezioni Diritto Privato e più Appunti in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! DIRITTO PRIVATO 2 LEZIONE 24 FEBBRAIO CODICE CIVILE: Preleggi: norme che fanno parte del Codice civile e si trovano prima del 1 libro del c.c.; ci occuperemo soltanto di tre norme (art.1 che elenca le fonti del diritto, è una norma che necessita di un aggiornamento poiché nel momento dell’entrata in vigore del c.c. 1942,12,14) Primo Libro del C.C. : intitolato “delle persone e della famiglia”; si occupa dei soggetti di diritto. La prima parte del libro è così dedicata alla capacità giuridica, capacità di agire (il soggetto ha la capacità di compiere gli atti giuridici necessari per il regolamento dei suoi interessi). Istituto dell’incapacità naturale. Nel descrivere le persone fisiche, il c.c. si occupa anche di dare un nome al soggetto e disciplinare tutte le situazioni che si possono creare intorno al nome; scomparsa, assenza e morte presunta. Ha una buona parte di norme dedicate al diritto di famiglia relative alla parentela, al matrimonio, al rapporto tra i genitori e i figli. Secondo Libro del C.C. : intitolato “delle successioni”; il nostro c.c. si occupa di regolamentare quello che succede al momento della morte della persona fisica che si verifica ,nel nostro ordinamento, con la cessazione delle funzioni del nostro cervello con cui il soggetto perde la capacità giuridica (capacità di essere titolari di diritti e di doveri, si acquista con la nascita e si perde con la morte) che si contrappone alla capacità di agire (capacità di compiere gli atti giuridici). Il nostro ordinamento, con le norme sulle successioni, si occupa di disciplinare la sorte delle situazioni giuridiche che facevano capo del “de cuius” (dal latino, colui della cui successione si parla). Nell’ambito del secondo libro delle successioni dobbiamo distinguere due tipi di successione, nel nostro ordinamento: la 1) successione legittima (stabilita dalla legge e che si apre nel momento in cui il de cuius non ha disposto la sorte del suo patrimonio e dunque lo stato individua i successori (successori legittimi, i parenti fino al 6° grado, se non si trovassero subentra lo stato ma solo nell’attivo) del de cuius i quali subentreranno nelle situazioni giuridiche del de cuius, sia attive che passive tanto che l’accettazione dell’eredità non è un automatismo ma è l’erede che deve decidere di volere accettare); è possibile però che il de cuius abbia fatto un testamento ed in questo caso si apre la 2) successione testamentaria; il nostro ordinamento ha deciso che una parte del patrimonio del de cuius, la cosiddetta quota di riserva, debba essere riservata a determinati soggetti stabiliti dalla legge, i quali si chiamano legittimari e sono il coniuge, i figli e in assenza gli ascendenti, inoltre c’è una parte del patrimonio, detta quota disponibile che il de cuius la può lasciare a chi desidera; la libertà testamentaria non è libera perché lo stato ha deciso di riservare una quota di patrimonio a determinati soggetti: ci sono dei soggetti a cui il de cuius è obbligato per legge a destinare una parte del patrimonio, e se non lo fa si apre la cosiddetta successione necessaria ovvero che questi soggetti legittimari possono rivolgersi al giudice per tutelare la loro quota di riserva, ossia per pretendere di ricevere la percentuale di patrimonio che gli spetta per legge, rivolgendosi al giudice con un azione che si chiama azione di riduzione poiché è volta a ridurre le disposizioni testamentarie che hanno leso la propria quota di riserva. Esistono tre tipi di testamento: olografo, segreto e pubblico; è detto olografo quello che il de cuius redige da solo, su un pezzo di carta qualsiasi, purché sia scritto di pugno dal testatore, abbia la data e la firma del testatore. Quello segreto lo redige sempre il testatore, da solo, e può decidere anche di scriverlo al computer e dopodiché lo mette in una busta e lo consegna al notaio, il quale scrive di aver ricevuto (atto pubblico) a quell’ora, quel girono e da quel soggetto il suo testamento segreto; terza tipologia, l’atto pubblico, avviene quando si va dal notaio e viene redatto da lui con la possibile presenza di testimoni. I tre tipi di testamento producono esattamente gli stessi effetti. Se venisse trovato più di un testamento vale l’ultimo redatto, dunque un modo per revocare un testamento (il quale è sempre revocabile) è produrne uno nuovo. Il secondo libro delle successioni contiene anche la disciplina di un contratto, il “contratto di donazione”, con il quale una parte “donante” arricchisce un’altra parte “donatario” per spirito di liberalità. Perché il legislatore ha inserito il contratto di donazione nel libro delle successioni? (e non nel quarto libro) La scelta volontaria del legislatore di inserire la disciplina nel contratto di donazione nel secondo libro del c.c. è dovuta allo stretto legame che intercorre tra le donazioni fatte in vita dal de cuius e la sorte del patrimonio del de cuius dopo la sua morte. Le donazioni che la persona fa in vita possono venire in rilievo anche in un momento successivo, rispetto a quando sono state stipulate, e in particolare quando il soggetto muore. (Nel nostro ordinamento da sempre i legislatori guardano con diffidenza gli atti di disposizione a titolo gratuito che un soggetto fa cioè una persona che si spoglia di un bene senza ricevere nulla). È possibile che riducendo le quote lasciate ad altri soggetti dal testatore, il legittimario non riesca ad ottenere quanto gli spetta; il nostro ordinamento stabilisce che il legittimario, il quale non ha ricevuto quanto gli spetti ha la possibilità, dopo aver ridotto le quote, di andare a prendersi ciò che gli spetta andando a ricercare le donazioni fatte dal de cuius in vita. Terzo Libro del C.C.: intitolato “della proprietà” e contiene la classificazione dei beni. È presente il diritto di proprietà che è un diritto reale (un diritto su una cosa), un diritto assoluto (può essere fatto valere nei confronti di tutti) ed è un diritto che è altresì imprescrittibile ovvero che il proprietario, il quale ha il diritto di godere e di disporre in modo pieno ed esclusivo del suo bene, può anche decidere di (non utilizzare il suo bene) non esercitare il suo diritto per tantissimo tempo, ma questo non determina la prescrizione, l’estinzione e la conseguente perdita del suo diritto di proprietà. Non si trova una norma (all’interno del c.c.) nell’ambito della definizione del diritto di proprietà che prescrive che la proprietà è imprescrittibile. L’imprescrittibilità del diritto di proprietà la si ricava dalla norma del c.c. che disciplina l’azione di rivendicazione, una delle azioni a tutela della proprietà, perché in questa norma c’è scritto che l’azione di rivendicazione è imprescrittibile; dunque, se l’azione a tutela del diritto di proprietà è imprescrittibile (per la proprietà commutativa) allora imprescrittibile è anche il diritto di proprietà. DETENZIONE E POSSESSO DA RECUPERARE casi in cui la sanzione ha un ruolo punitivo (ad esempio quando due coniugi si separano può esserci la separazione con addebito ad uno dei due se questo è venuto meno ai diritti e doveri che conseguono al matrimonio); l’apparato è un elemento fondamentale: perché il sistemi funzioni è necessario che ci sia l’autorità pubblica, che forma appunto l’apparato, la quale applichi le sanzioni stabilite dal diritto ed intervenga a risolvere un conflitto. Quindi la norma funziona attraverso la combinazione di questi tre elementi ed è possibile che operino tutti e tre questi elementi. La norma non fa altro che descrivere e regolare comportamenti e situazioni che appartengono alla vita di tutti i giorni; la norma descrive un qualcosa in astratto che poi potrà succedere in concreto. I giuristi spiegano che la norma altro non è che la cosiddetta fattispecie astratta. Si parla di fattispecie astratta e fattispecie concreta (la vicenda che si è veramente verificata e deve essere regolata dal diritto): la prima è la descrizione contenuta nella norma giuridica cioè la norma giuridica ci descrive un qualcosa che sarà poi applicabile a tanti casi concreti che si potranno verificare. Il giudice esaminerà la fattispecie concreta che gli verrà presentata dalle parti dopodiché cercherà nel c.c. quale fattispecie attratta è applicabile alla fattispecie concreta che lui sta analizzando; molte volte non è neanche facile ricostruire correttamente i fatti e quali sono le fattispecie astretta da applicare. [Quali caratteristiche sono tendenzialmente di una norma?] La norma giuridica tendenzialmente ha due caratteri che la contraddistinguono e sono: la generalità e l’astrattezza; Generalità significa che la norma non deve essere dettata per singoli individui ma per tutti i consociati o per almeno categorie generiche di soggetti (lavoratori, casalinghe ecc); astrattezza vuol dire che la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni bensì deve contenere la descrizione di una fattispecie astratta destinata a regolare una serie indeterminata di casi futuri ed eventuali. Ad esempio, l’art. 2043 è un articolo che si caratterizza per la generalità e astrattezza perché è destinato a valere per tutti coloro che con dolo o colpa causerà un danno ingiusto a qualcun altro. 4° LEZIONE 3 MARZO Ci sono nel nostro ordinamento norme che non si caratterizzano per la generalità e l’astrattezza ma si caratterizzano per essere state pensate dal nostro legislatore per regolare un numero di fattispecie finite e ben identificate e sono così dette norme congiunturali che nascono e sono destinate ad applicarsi ad un numero finito di situazioni, e dunque nascono per una motivazione particolare. Non si devono confondere con le norme eccezionali (ossia le norme che derogano a una norma generale del nostro ordinamento) poiché una norma è eccezionale quando disciplina una determinata fattispecie concreta in modo diverso ad una regola già posta nel nostro ordinamento (la regola generale). LE FONTI DEL DIRITTO [Da dove vengono le norme?] La legge è data non più dal monarca in via autoritativa ma è emanata da delle assemblee elette dai consociati che li rappresentano e questi dovrebbero rispettarla. Quando si parla di fonti bisogna distinguere le fonti di produzione e le fonti di cognizione; le fonti di produzione delle norme sono gli atti o fatti che producono diritto o idonei a produrlo; si deve stare attenti a non confonderli con le fonti di cognizione che sono semplicemente i documenti, le pubblicazioni ufficiali, da cui noi consociati possiamo prendere conoscenza del testo dell’atto normativo emanato (es. la legge emanata dallo stato è la fonte di produzione, la gazzetta ufficiale è la fonte di cognizione). Un elenco delle fonti lo si ha nell’articolo 1 delle preleggi. È un articolo formato da un solo comma secondo il quale “sono fonti del diritto le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi”. Non contiene un elencazione esaustiva delle nostri fonti del diritto poiché il nostro c.c. è del 1942 e non poteva fare riferimento alla nostra carta costituzionale che entrerà in vigore 6 anni dopo; così come non potevamo trovare un altro riferimento importante come quello alle norme comunitarie. Questo per le mancanze mentre l’art 1 fa riferimento anche a cose che non esistono più come le norme corporative, che regolavano le corporazioni presenti ai tempi del fascismo, e sono state abrogate ed eliminate con la sua scomparsa. Immaginiamo una piramide che ad ogni livello contiene una delle nostre fonti del diritto; utilizziamo questa immagine poiché il principio principale e fondamentale che regola le nostre fonti è il principio gerarchico ossia che le fonti non sono tutte sullo stesso livello, ma la prima è più importante dell’ultima. È necessario che le norme di rango successivo siano rispettose e conformi con le norme che si trovano nel gradino superiore. PRIMO POSTO : [COSTITUZIONE] SECONDO POSTO: [FONTI COMUNITARIE] Dopo la costituzione, nel nostro ordinamento, vengono le fonti comunitarie (quindi prima delle nostre leggi nazionali). Ricomprendono tanto i regolamenti quanto le direttive. Le direttive sono indirizzate ai singoli stati, i quali hanno un periodo di tempo entro il quale devono “recepire la direttiva stessa”; vuol dire che la direttiva indica come deve essere disciplinata una determinata materia e poi sarà compito dello stato fare una propria legge che tenga conto e si uniformi alla direttiva, dunque, significa che la direttiva non è immediatamente produttiva di effetti nei confronti dei singoli cittadini bensì il primo effetto che produce è un obbligo dello stato di uniformarsi alla direttiva perché se poi esso non lo fa e ci sono dei ritardi ne pagherà le conseguenze; invece i regolamenti, si caratterizzano per essere immediatamente idonei a produrre norme nel nostro ordinamento e quindi a produrre effetti subito nei confronti dei cittadini perché non necessitano di recepimento. TERZO POSTO: [LE LEGGI ORDINARIE] [ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE (decreto-legge e decreto legislativo)] [LEGGI REGIONALI] Nel 2001 è intervenuta una modifica della nostra costituzione e in particolare del titolo V della costituzione che ha modificato il rapporto tra legge ordinaria e legge regionale. Prima del 2001 la legge regionale la si trovava in un livello successivo rispetto a quello in cui è ora. Viene data un autonomia/potere rilevante alle regioni visto che ora le loro leggi sono allo stesso grado della legge ordinaria. 1)La legge ordinaria è quella promulgata dal nostro parlamento, formato dalla Camera dei deputati e dal Senato della repubblica, è necessario che il testo di legge venga approvato da entrambe le assemblee; se una delle due approva il disegno di legge senza modifiche è approvato; se la seconda camera che lo analizza effettua anche solo una modifica di mezzo articolo è necessario che tutto il disegno di legge ritorni nell’altra camera, finché entrambe le camere lo approvano con lo stesso testo. Perché la legge produca i suoi effetti è necessaria prima la promulgazione del presidente della repubblica, il quale deve firmare la legge, poi la pubblicazione nella gazzetta ufficiale; normalmente la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale non è ancora requisito sufficiente per la produzione degli effetti della legge, perché normalmente la legge prevede che la legge produrrà i suoi effetti trascorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione, questo periodo di tempo si chiama vacatio legis (periodo che intercorre dalla pubblicazione sulla gazzetta alla produzione degli effetti). Se la regola è che il periodo di tempo di vacatio legis è di quindici giorni, la legge può prevedere un tempo inferiore come un tempo superiore (o addirittura immediatamente) e rappresenta un tempo funzionale alla conoscibilità da parte dei cittadini delle norme giuridiche; trascorsa la vacatio legis le norme di quella legge produrranno effetti giuridici e noi saremo tenuti a rispettarle. Decreto-legge e decreto legislativo sono anche detti 2) “atti aventi forza di legge” e si caratterizzano per essere atti che non sono emanati dal nostro legislatore (Camera e Senato) ma sono atti del governo (potere esecutivo e non legislativo). Il fatto che siano atti del governo fa sì che è necessario che comunque il nostro legislatore intervenga anche di fronte a questi due atti. [Che differenza c’è tra decreto-legge e decreto legislativo?] Il decreto-legge è un provvedimento che il governo può emanare in caso di necessità ed urgenza proprio perché non si possono aspettare i tempi dell’iter classico parlamentare. Dato che il potere legislativo comunque rimane nelle mani del legislatore, il d.l. produce subito effetto (c’è la necessità che ci sia la norma) ma è necessario che venga convertito in legge entro 60 giorni; significa che il d.l. emanato dal governo viene velocemente inviato alle camere che lo devono approvare. Il decreto legislativo funziona al contrario; non c’è l’urgenza di una normativa veloce che produca i suoi effetti nel nostro ordinamento bensì i decreti legislativi vengono utilizzati nel nostro ordinamento quando c’è la necessità di normare degli argomenti molto tecnici. Camera e Senato fanno una legge, la quale si chiama legge delega (qui l’intervento del legislatore è precedente rispetto al decreto-legge) che appunto delega, dà le indicazioni generali, al governo che dovrà seguire su come deve essere normata una determinata materia, molto tecnica (quindi il legislatore non ha le competenze per poter normare in maniera precisa e puntuale). In entrambi i casi c’è un controllo del legislatore solo che nel decreto-legge è successivo (finisce in parlamento successivamente) mentre nel decreto legislativo è l’opposto, l’intervento del legislatore è precedente ma c’è una materia molto tecnica: il legislatore detta le linee generali nella legge delega e in un periodo successivo il governo emanerà il decreto legislativo di attuazione della legge delega. Sullo stesso gradino delle leggi ordinarie e degli atti aventi forza di legge ci sono le 3) leggi regionali, le quali erano considerate prima del 2001 come leggi secondarie; la modifica del titolo V della Costituzione ha cambiato tutto perché il legislatore ha deciso di fare una ripartizione stato regione che si basi sulla 5° LEZIONE 9 MARZO Di regola la norma (la legge) si applica alle fattispecie concrete (i casi) che si verificano successivamente alla sua entrata in vigore (la legge non dispone che per l’avvenire) perché la legge non ha effetto retroattivo, cioè che una legge non può produrre effetti nei confronti di eventi che si sono verificati prima della sua entrata in vigore. Con riferimento al diritto civile rispetto a quello penale, la regola rimane che la legge non ha effetto retroattivo, è però possibile che l’irretroattività sia ammessa e considerata costituzionalmente legittima laddove motivata da esigenze di tutela di diritti di rilievo costituzionale: la corte costituzionale ha sancito in più pronunce che l’irretroattività della norma civile è motivata quando è ragionevole (ossia quando in base a un bilanciamento di interessi c’è da tutelare un interesse di rilievo costituzionale che legittima l’irretroattività). Un altro problema che si può porre è quello della successione delle leggi nel tempo poiché molto spesso una materia viene regolata dal legislatore in più momenti e spesso la nuova normativa prevede un trattamento di quella determinata materia, diverso dalla legge precedente e quindi si pone il problema di quale norma applicare, se quella più vecchia o quella successiva; il legislatore in questo caso, nell’introduzione della nuova norma, introduce anche delle norme transitorie destinate proprio a regolare questo problema e quindi a disciplinare la tematica della successione della legge. La teoria maggiormente seguita tanto in giurisprudenza che in dottrina è quella del fatto compiuto per cui la legge nuova non si applica alle fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore né tantomeno ai rapporti esauriti. Una norma può essere abrogata; si ha l’abrogazione quando una norma giuridica che era parte del nostro ordinamento perde efficacia (non produce più effetti e i consociati non sono più tenuti a rispettarla). Quando si parla di abrogazione si deve parlare di abrogazione espressa ed abrogazione tacita: l’abrogazione è espressa quando una nuova disposizione dichiara espressamente l’abrogazione di quella precedente; molte volte però l’abrogazione di una norma non è espressa, cioè non c’è una nuova norma che stabilisce espressamente la cessazione degli effetti di quella precedente, ma noi la possiamo desumere, per questo si dice tacita (non detta), perché la nuova norma disciplina la materia con disposizioni incompatibili con la normativa precedente e siccome nel nostro ordinamento vale il principio per cui la legge posteriore, se incompatibile con quella precedente, prevale (qui non si ha la norma nuova che stabilisce che quella vecchia è abrogata ma si ha la norma nuova che disciplina questa determinata materia con regole opposte e incompatibili con la normativa vecchia). Quando si parla di abrogazione è necessario ricordarsi almeno altri due tipi che possono verificarsi nel nostro ordinamento: l’abrogazione che può avvenire tramite referendum abrogativo (cittadini chiamati a decidere se vogliono che una norma sia abrogata o meno e a seconda dell’esito del referendum la norma sarà abrogata oppure no); oppure l’abrogazione si può verificare dopo una pronuncia della corte costituzionale: perché la corte costituzionale possa esprimersi è necessario che si verifichi una fattispecie concreta che richiede l’applicazione della fattispecie astratta (la norma) ed il giudice chiamato a decidere sulla controversia si renda conto che la norma è incostituzionale; dunque è possibile che la corte costituzionale con una pronuncia dichiari l’illegittimità costituzionale di una norma, abrogandola. Quest’ultimo tipo di abrogazione ha effetti retroattivi, quindi significa che è come se quella disposizione non fosse mai stata emanata per cui non può più essere applicata, ma rimangono salve le controversie già decise e passata in giudicato, per le quali non si può più impugnare la sentenza che le ha decise. L’interpretazione della legge Art 12 preleggi (primo comma) -> Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (criterio letterale) e dalla intenzione del legislatore (criterio logico). L’attività di interpretazione della legge è l’attività che ogni interprete del diritto è chiamato in continuazione a fare; la norma giuridica non è altro che un testo scritto contente la descrizione di una fattispecie astratta e che necessita di essere interpretato e capito. L’interprete deve cercare di capire qual era il risultato a cui ambiva il legislatore. L’interprete deve individuare la ratio legis ossia la ragione sottesa alla legge (lo scopo che si prefiggeva il legislatore nel momento in cui ha deciso di introdurre quella determinata norma). L’art 12, al primo comma, ci spiega come si deve comportare l’interprete ossia dalla lettura dell’art 12 noi capiamo quali sono i criteri e in che ordine l’interprete li deve seguire. L’art 12 stabilisce che bisogna attribuire alla legge il significato proprio delle parole, le quali devono essere legate e coordinate nella frase; quindi, il primo criterio che noi intrepreti del diritto dobbiamo applicare nell’interpretare la legge è il cosiddetto criterio letterale, per cui quando è possibile, in realtà l’operazione di interpretazione della legge dovrebbe essere abbastanza semplice perché bisogna attribuire alle parole proprio il significato che noi gli riconosciamo comunemente, ovviamente tenendo conto della connessione fra le parole che stiamo leggendo nella norma. Il primo comma dell’art 12 nella sua parte finale (intenzione del legislatore) introduce il secondo criterio da rispettare, quello logico. L’art 12 al primo comma stabilisce che l’interprete applichi in contemporanea tanto il criterio letterale, quando il criterio logico. L’interprete deve seguire il criterio letterale e (sullo stesso piano) applicare un altro criterio: il criterio logico, il quale può avere due accezioni nel senso che può essere inteso in due modi: in senso psicologico o in senso teleologico. Nella prima accezione vorrebbe dire che l’interprete, nell’interpretare la legge, oltre al criterio letterale, deve indagare sotto il profilo psicologico qual era l’intenzione del legislatore nel momento dell’introduzione della norma giuridica, un operazione praticamente impossibile da eseguire; il criterio logico deve invece essere abbracciato nella seconda accezione, quella teleologica, cioè indagare qual era la ragione giuridica che ha spinto il legislatore a introdurre quella norma (un operazione fattibile poiché “basta” andare a vedere il contesto storico-giuridico-culturale in cui la norma è stata introdotta, nonché andare a vedere la relazione illustrativa che ha accompagnato il disegno di legge per rintracciare qual è la ratio legis). Il comma uno dell’art 12 delle preleggi indica come criteri, che vanno considerati sullo stesso piano, i quali l’interprete deve seguire tanto il criterio letterale quanto il criterio logico nella sua accezione teleologica, cioè ricerca della ratio legis (motivazione che spinto il legislatore a introdurre quella norma). Art 12 preleggi (secondo comma) -> se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione (il giudice non ha trovato nessuna norma che la disciplina), si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato. L’art 12 al secondo comma, sempre parlando dell’interpretazione della legge, indica all’interprete la strada da seguire quando non trova nessuna norma che disciplini la fattispecie concreta che lui sta analizzando. il secondo comma (che ci dice cosa fare in caso di lacune del diritto) disciplina l’istituto che noi giuristi chiamiamo analogia o interpretazione analogica. Di tipi di analogia ne conosciamo due e si desumono entrambi dal secondo comma dell’art 12 delle preleggi. Il primo tipo si chiama analogia legis: Il giudice (siccome non può delegare giustizia se non c’è una norma) se non trova nell’ordinamento nessuna norma che disciplini quella fattispecie concreta, deve andare a vedere tra le norme contenute nel nostro ordinamento se ne sia presente una che disciplina una fattispecie simile oppure una materia analoga. È però possibile che nonostante tutto il giudice comunque non riesca a trovare neanche una norma che disciplini un caso simile ma comunque non può delegare giustizia ma deve decidere; in questo caso, si parla di analogia iuris e l’interprete utilizzerà, come indicatogli dalla seconda parte del secondo comma dell’art.12, i principi generali (quelle regole che anche non scritte si possono desumere da una lettura complessiva dell’ordinamento giuridico, ad esempio, il principio di buona fede). Ricapitolando l’art 12 delle preleggi si occupa di interpretazione della legge e la disciplina, sia al primo comma in cui indica il criterio letterale e quello logico nella sua accezione teleologica quanto risolve al secondo comma il problema della lacuna del diritto attraverso l’istituto dell’interpretazione analogica; nel nostro ordinamento esistono due tipi di interpretazione analogica: quella legis (dove il giudice trova una norma che disciplina un caso simile a quello che lui deve risolvere) e quella iuris (se non ha trovato nessuna norma che disciplina un caso simile, cercherà di decidere sull’applicazione dei principi generali che si desumono dall’ordinamento, in primis i principi desumibili dalla nostra carta costituzionale). L’art 14 preleggi -> Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi (leggi eccezionali) non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati (l’interprete non può utilizzare in via analogica queste norme). Le norme penali e le norme eccezionali il legislatore ha deciso di non considerarle norme idonee attraverso l’interpretazione analogica. Le leggi penali nel nostro ordinamento sono le leggi che decidono di sanzionare determinati comportamenti perché sono comportamenti che vanno a ledere beni molto importanti (es. omicidio). Dato che la sanzione penale è molto forte e incide su libertà importanti del soggetto che subisce la sanzione penale, è giusto che il soggetto sappia con certezza senza alcun dubbio quali comportamenti sono sanzionati penalmente e quali no. Per questione di certezza di diritto e tutela dei cittadini, data la pesantezza e l’importanza delle sanzioni penali, l’art 14 prescrive che il giudice, la legge penale non la possa applicare in via analogica (quindi o si commette proprio il comportamento descritto dalla norma per cui si viene puniti penalmente oppure quella sanzione non può esserti applicata). La dottrina e la giurisprudenza sono molto divise (tra di loro ma anche all’interno) ma entrambe ritengono che l’art 14 delle preleggi vada applicato a tutte le norme eccezionali. Una corrente minoritaria invece ritiene che l’art 14 delle preleggi, quindi il divieto di interpretazione analogica, vada circoscritto soltanto alle norme eccezionali che sono anche congiunturali (che mancano dei caratteri di generalità ed astrattezza) per due ordini di ragioni: il primo è che il nostro ordinamento è pieno di regole ed eccezioni; quindi, applicare il divieto analogico ad ogni eccezione sarebbe una limitazione dei poteri attribuiti all’interprete; in secondo luogo con le norme congiunturali ha senso di parlare di divieto analogico perché è con riferimento a loro andare ad indagare qual è la ratio legis del legislatore. La posizione di chi subisce il diritto potestativo altrui si chiama soggezione ed è appunto la situazione giuridica passiva corrispondente alla situazione giuridica attiva del diritto potestativo. Nel diritto assoluto la situazione giuridica passiva corrispondente si chiama dovere. Nel diritto relativo la situazione giuridica passiva prende il nome di obbligo (ad esempio in cui magari si trova il debitore). INTERESSE LEGITTIMO È una situazione giuridica attiva che è spetta ai privati i quali siano stati toccati direttamente in un loro interesse dall’esercizio del potere pubblico. È una situazione giuridica che viene in gioco quando il privato si trova ad avere rapporti con la pubblica amministrazione, la quale agisce in veste di autorità pubblica, in questo caso il privato è portatore di interesse legittimo (la p.a. è libera in determinati casi di agire nei confronti dei privati utilizzando gli strumenti propri del diritto privato). L’interesse legittimo è la pretesa (diritto) del privato alla regolarità dell’azione amministrativa che incide nei suoi interessi. (la pretesa che la p.a. quando agisce in veste di autorità rispetti le norme giuridiche che regolano la sua azione; ad esempio, quando c’è un concorso pubblico ho il diritto che si svolga in maniera regolare e quindi la p.a. rispetti la normativa) L’interesse legittimo è una figura la cui violazione può costituire danno risarcibile. INTERESSE DIFFUSO O COLLETTIVO È la situazione giuridica (più nuova rispetto alle altre) di un soggetto danneggiato da comportamenti altrui i quali nello stesso tempo danneggiano analoghi interessi di una moltitudine di soggetti (es. pubblicità ingannevole). ONERE Una situazione giuridica particolare (un ibrida non proprio attiva) che si ha quando il diritto attribuisce ad un soggetto un potere ma l’esercizio di quel potere è condizionato dall’adempimento di un certo comportamento. Differenza tra onere e obbligo? Non adempiere ad un onere e non adempiere ad un obbligo causa le stesse conseguenze? La differenza è che se il soggetto non adempie ad un onere non commette nessun illecito, l’unica conseguenza è che non acquisirà un diritto che lo stato gli riconosceva con l’adempimento dell’onere; mentre il debitore che non adempie è inadempiente all’obbligazione quindi sarà chiamato a rispondere del suo inadempimento e quindi a risarcire gli eventuali danni subiti dal titolare della corrispondente situazione attiva ossia dal titolare del diritto titolare potestativo relativo (creditore ad esempio). Diritti soggettivi pubblici -> consentono al titolare di incidere sull’organizzazione pubblica (diritto di voto) Diritto soggettivo privato -> non toccano la sfera pubblica (diritto di proprietà) Diritti patrimoniali -> procurano al titolare un utilità di tipo patrimoniale (es diritto di proprietà) Diritti non patrimoniali -> procurano al titolare sempre un utilità ma di tipo non economico (es morale) Diritti disponibili ( il soggetto ne può disporre) vs indisponibili (il titolare non può disporne liberamente) 7° LEZIONE 16 MARZO Distinguere il fatto, dall’atto giuridico e dal negozio giuridico; tra loro cambia la disciplina e in particolare il grado di intendere e volere in capo al soggetto che lo compie. Gli effetti giuridici sono i mutamenti che si producono nelle situazioni giuridiche dei soggetti. Le situazioni giuridiche non restano immobili nel tempo ma appunto si modificano; i cambiamenti sono gli effetti giuridici e la causa che determina gli effetti giuridici si chiama FATTISPECIE GIURIDICA. (ricapitolando ora sappiamo che il diritto di proprietà è un diritto soggettivo, è la prima situazione giuridica attiva; è un diritto assoluto e la corrispondente situazione giuridica passiva è il dovere di tutti i consociati ad astenersi dai comportamenti che turbino il diritto di proprietà del titolare) Rientrano nella nozione di FATTI tutti gli eventi naturali che accadono e producono i loro effetti giuridici indipendentemente da qualsiasi attività volontaria e consapevole dell’uomo. (es. nascita vitellino) Rientrano nella nozione di fatti però anche quelli riconducibili ad un’attività umana quando questa attività umana è totalmente irrilevante per il prodursi dell’effetto giuridico di cui stiamo parlando. Sono invece ATTI GIURIDICI i comportamenti umani o comunque in generale tutti gli eventi riconducibili all’attività umana la cui rilevanza (cioè dell’atto) dipende proprio quando c’è la presenza del fattore umano; dunque, di atto possiamo parlare solo quando c’è un comportamento umano o un evento riconducibile all’attività umana. (c’è l’uomo) Nell’ambito della categoria generica di atti si deve fare un importante distinzione e il cui tratto saliente è il ruolo della volontà umana rispetto alla produzione degli effetti giuridici. È importante capire nella distinzione, se l’individuo volesse soltanto tenere quel dato comportamento oppure non solo voleva tenere quel dato comportamento ma voleva anche che si producessero proprio quegli effetti giuridici che si produrranno quando lui terrà quel determinato comportamento. Gli atti si dividono tra atto giuridico in senso stretto (o atti non negoziali) da un lato e negozio giuridico dall’altro; in comune hanno che essenziale è la presenza del fattore umano. L’ATTO GIURIDICO IN SENSO STRETTO sono quei comportamenti tenuti volontariamente ma tenuti dal soggetto senza la volontà di produrre gli effetti giuridici che le norme fanno derivare da quel comportamento. Ad esempio, il pagamento da parte del debitore di quanto dovuto è un atto giuridico in senso stretto (il debitore paga liberamente); la conseguenza (l’effetto giuridico) è che si estingue il suo debito, ma il fatto che lui lo voglia o non lo voglia è totalmente indifferente per il prodursi di quell’effetto giuridico poiché la norma stabilisce che il pagamento estingue il debito; quindi, la volontà di produrre quegli effetti giuridici è totalmente irrilevante. L’atto giuridico in senso stretto è configurabile quando abbiamo un comportamento umano ma si trattano di comportamenti tenuti senza la volontà di produrre quei determinati effetti giuridici che le norme faranno discendere da quel comportamento. NEGOZIO GIURIDICO (o di atto negoziale): sono gli atti volontari tenuti dall’uomo nei quali la volontà del soggetto, è non solo la volontà di compiere quell’atto ma è anche, e proprio, la volontà di determinare proprio gli effetti giuridici che le norme fanno derivare dall’atto. Dunque, si parla di negozio giuridico quando l’uomo tiene volontariamente quel comportamento volendo produrre proprio gli effetti giuridici che le norme fanno derivare dal compimento di quell’atto. Il contratto è annullabile se il soggetto che stipula il contratto non è in grado di intendere e volere poiché è viziato; quando si parla di negozio giudico la volontà di produrre quegli effetti giudici è fondamentale. SOGGETTI DI DIRITTO Sicuramente sono soggetti di diritto LE PERSONE FISICHE (quindi possono essere titolari delle situazioni giuridiche attive e passive); l’idoneità della persona fisica ad essere titolare di diritti e di doveri (quindi di situazioni giuridiche) viene definita dal nostro c.c. come capacità giuridica, disciplinata dall’articolo 1 del nostro c.c. al primo libro; sono però soggetti di diritto (quindi possono essere titolari di situazioni giuridiche nel nostro ordinamento) non solo le persone fisiche ma anche GLI ENTI. Gli enti si distinguono in Enti dotati di personalità giuridica, anche detti, persone giuridiche ed enti non dotati di personalità giuridica; fondamentale se vi è la distinzione del patrimonio dell’ente e delle singole persone che ci ruotano intorno (gli enti dotati di personalità giuridica hanno un autonomia patrimoniale perfetta cioè il patrimonio della persona giuridica è ben distinto dai patrimoni delle persone che ci lavorano dentro); possiamo affermare che le persone giuridiche e le persone fisiche non esauriscono la categoria dei soggetti, ma ci rientra un'altra categoria, chi la personalità giuridica non ce l’ha. Il nostro ordinamento tende a riconoscere una certa soggettività giuridica (capacità di essere portatore di situazioni giuridiche) anche a figure che in realtà non sarebbero proprio soggetti di diritto; l’esempio più importante è il condominio, il quale non è in realtà un soggetto di diritto ma è un autonomo centro di interesse al quale, nonostante sia un soggetto di diritto in senso stretto, venga comunque riconosciuta una seppur limitata, soggettività. (studiare associazione, comitato ecc) LE PERSONE FISICHE La capacità giuridica si acquista alla nascita; si devono individuare, per i giuristi, i momenti di nascita e morte: nel nostro c.c. non è richiesta la vitalità del bambino, perché si possa dire nato, ma basta la respirazione autonoma rispetto alla madre che l’ha messo al mondo (c’è un esame per verificare se un bambino è nato vivo o morto, si vede se c’è aria nei polmoni). Dire se un soggetto è nato vivo o nato morto, in molte occasioni è determinante per la risoluzione di situazioni concrete spesso anche rilevanti e di valore economico importante. La capacità giuridica si perde con la morte, dunque, con la cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali. Si contrappone alla capacità giuridica, la capacità di agire: la capacità di compiere atti giuridici nel proprio interesse; si acquista al compimento della maggiore età (e si può anche perdere). Il concepito è un soggetto che pur non avendo la capacità giuridica è tutelato dall’ordinamento; ha una serie di diritti riconosciuti, subordinati all’evento nascita. Un possibile individuo che si è allontanato diventa un soggetto che viene preso in considerazione anche dall’ordinamento poiché era portatore di situazioni giuridiche (patrimoniali e non) e queste meritano di dover essere regolate (es. creditori vogliono essere pagati). I concetti giuridici che entrano in gioco sono: scomparsa, assenza e morte presunta. A questi tre livelli rispondono tre livelli di intervento, da parte dello stato, che sono sempre più forti a seconda del tempo che è trascorso dall’allontanamento del soggetto. È fondamentale che del soggetto di cui si sta parlando, non si abbiano più notizie sennò i concetti scomparsa, assenza e morte presunta non valgono. Nel primo livello con la dichiarazione di scomparsa, l’intervento dello stato è solo conservativo; mentre all’ultimo stadio, quello della morte presunta, l’ordinamento sceglie di trattare la situazione, quasi come se il soggetto fosse morto sul serio (soprattutto sotto il profilo delle situazioni personali). DIRITTO PRIVATO 2 LEZIONE 24 FEBBRAIO CODICE CIVILE: Preleggi: norme che fanno parte del Codice civile e si trovano prima del 1 libro del c.c.; ci occuperemo soltanto di tre norme (art.1 che elenca le fonti del diritto, è una norma che necessita di un aggiornamento poiché nel momento dell’entrata in vigore del c.c. 1942,12,14) Primo Libro del C.C. : intitolato “delle persone e della famiglia”; si occupa dei soggetti di diritto. La prima parte del libro è così dedicata alla capacità giuridica, capacità di agire (il soggetto ha la capacità di compiere gli atti giuridici necessari per il regolamento dei suoi interessi). Istituto dell’incapacità naturale. Nel descrivere le persone fisiche, il c.c. si occupa anche di dare un nome al soggetto e disciplinare tutte le situazioni che si possono creare intorno al nome; scomparsa, assenza e morte presunta. Ha una buona parte di norme dedicate al diritto di famiglia relative alla parentela, al matrimonio, al rapporto tra i genitori e i figli. Secondo Libro del C.C. : intitolato “delle successioni”; il nostro c.c. si occupa di regolamentare quello che succede al momento della morte della persona fisica che si verifica ,nel nostro ordinamento, con la cessazione delle funzioni del nostro cervello con cui il soggetto perde la capacità giuridica (capacità di essere titolari di diritti e di doveri, si acquista con la nascita e si perde con la morte) che si contrappone alla capacità di agire (capacità di compiere gli atti giuridici). Il nostro ordinamento, con le norme sulle successioni, si occupa di disciplinare la sorte delle situazioni giuridiche che facevano capo del “de cuius” (dal latino, colui della cui successione si parla). Nell’ambito del secondo libro delle successioni dobbiamo distinguere due tipi di successione, nel nostro ordinamento: la 1) successione legittima (stabilita dalla legge e che si apre nel momento in cui il de cuius non ha disposto la sorte del suo patrimonio e dunque lo stato individua i successori (successori legittimi, i parenti fino al 6° grado, se non si trovassero subentra lo stato ma solo nell’attivo) del de cuius i quali subentreranno nelle situazioni giuridiche del de cuius, sia attive che passive tanto che l’accettazione dell’eredità non è un automatismo ma è l’erede che deve decidere di volere accettare); è possibile però che il de cuius abbia fatto un testamento ed in questo caso si apre la 2) successione testamentaria; il nostro ordinamento ha deciso che una parte del patrimonio del de cuius, la cosiddetta quota di riserva, debba essere riservata a determinati soggetti stabiliti dalla legge, i quali si chiamano legittimari e sono il coniuge, i figli e in assenza gli ascendenti, inoltre c’è una parte del patrimonio, detta quota disponibile che il de cuius la può lasciare a chi desidera; la libertà testamentaria non è libera perché lo stato ha deciso di riservare una quota di patrimonio a determinati soggetti: ci sono dei soggetti a cui il de cuius è obbligato per legge a destinare una parte del patrimonio, e se non lo fa si apre la cosiddetta successione necessaria ovvero che questi soggetti legittimari possono rivolgersi al giudice per tutelare la loro quota di riserva, ossia per pretendere di ricevere la percentuale di patrimonio che gli spetta per legge, rivolgendosi al giudice con un azione che si chiama azione di riduzione poiché è volta a ridurre le disposizioni testamentarie che hanno leso la propria quota di riserva. Esistono tre tipi di testamento: olografo, segreto e pubblico; è detto olografo quello che il de cuius redige da solo, su un pezzo di carta qualsiasi, purché sia scritto di pugno dal testatore, abbia la data e la firma del testatore. Quello segreto lo redige sempre il testatore, da solo, e può decidere anche di scriverlo al computer e dopodiché lo mette in una busta e lo consegna al notaio, il quale scrive di aver ricevuto (atto pubblico) a quell’ora, quel girono e da quel soggetto il suo testamento segreto; terza tipologia, l’atto pubblico, avviene quando si va dal notaio e viene redatto da lui con la possibile presenza di testimoni. I tre tipi di testamento producono esattamente gli stessi effetti. Se venisse trovato più di un testamento vale l’ultimo redatto, dunque un modo per revocare un testamento (il quale è sempre revocabile) è produrne uno nuovo. Il secondo libro delle successioni contiene anche la disciplina di un contratto, il “contratto di donazione”, con il quale una parte “donante” arricchisce un’altra parte “donatario” per spirito di liberalità. Perché il legislatore ha inserito il contratto di donazione nel libro delle successioni? (e non nel quarto libro) La scelta volontaria del legislatore di inserire la disciplina nel contratto di donazione nel secondo libro del c.c. è dovuta allo stretto legame che intercorre tra le donazioni fatte in vita dal de cuius e la sorte del patrimonio del de cuius dopo la sua morte. Le donazioni che la persona fa in vita possono venire in rilievo anche in un momento successivo, rispetto a quando sono state stipulate, e in particolare quando il soggetto muore. (Nel nostro ordinamento da sempre i legislatori guardano con diffidenza gli atti di disposizione a titolo gratuito che un soggetto fa cioè una persona che si spoglia di un bene senza ricevere nulla). È possibile che riducendo le quote lasciate ad altri soggetti dal testatore, il legittimario non riesca ad ottenere quanto gli spetta; il nostro ordinamento stabilisce che il legittimario, il quale non ha ricevuto quanto gli spetti ha la possibilità, dopo aver ridotto le quote, di andare a prendersi ciò che gli spetta andando a ricercare le donazioni fatte dal de cuius in vita. Terzo Libro del C.C.: intitolato “della proprietà” e contiene la classificazione dei beni. È presente il diritto di proprietà che è un diritto reale (un diritto su una cosa), un diritto assoluto (può essere fatto valere nei confronti di tutti) ed è un diritto che è altresì imprescrittibile ovvero che il proprietario, il quale ha il diritto di godere e di disporre in modo pieno ed esclusivo del suo bene, può anche decidere di (non utilizzare il suo bene) non esercitare il suo diritto per tantissimo tempo, ma questo non determina la prescrizione, l’estinzione e la conseguente perdita del suo diritto di proprietà. Non si trova una norma (all’interno del c.c.) nell’ambito della definizione del diritto di proprietà che prescrive che la proprietà è imprescrittibile. L’imprescrittibilità del diritto di proprietà la si ricava dalla norma del c.c. che disciplina l’azione di rivendicazione, una delle azioni a tutela della proprietà, perché in questa norma c’è scritto che l’azione di rivendicazione è imprescrittibile; dunque, se l’azione a tutela del diritto di proprietà è imprescrittibile (per la proprietà commutativa) allora imprescrittibile è anche il diritto di proprietà. DETENZIONE E POSSESSO DA RECUPERARE casi in cui la sanzione ha un ruolo punitivo (ad esempio quando due coniugi si separano può esserci la separazione con addebito ad uno dei due se questo è venuto meno ai diritti e doveri che conseguono al matrimonio); l’apparato è un elemento fondamentale: perché il sistemi funzioni è necessario che ci sia l’autorità pubblica, che forma appunto l’apparato, la quale applichi le sanzioni stabilite dal diritto ed intervenga a risolvere un conflitto. Quindi la norma funziona attraverso la combinazione di questi tre elementi ed è possibile che operino tutti e tre questi elementi. La norma non fa altro che descrivere e regolare comportamenti e situazioni che appartengono alla vita di tutti i giorni; la norma descrive un qualcosa in astratto che poi potrà succedere in concreto. I giuristi spiegano che la norma altro non è che la cosiddetta fattispecie astratta. Si parla di fattispecie astratta e fattispecie concreta (la vicenda che si è veramente verificata e deve essere regolata dal diritto): la prima è la descrizione contenuta nella norma giuridica cioè la norma giuridica ci descrive un qualcosa che sarà poi applicabile a tanti casi concreti che si potranno verificare. Il giudice esaminerà la fattispecie concreta che gli verrà presentata dalle parti dopodiché cercherà nel c.c. quale fattispecie attratta è applicabile alla fattispecie concreta che lui sta analizzando; molte volte non è neanche facile ricostruire correttamente i fatti e quali sono le fattispecie astretta da applicare. [Quali caratteristiche sono tendenzialmente di una norma?] La norma giuridica tendenzialmente ha due caratteri che la contraddistinguono e sono: la generalità e l’astrattezza; Generalità significa che la norma non deve essere dettata per singoli individui ma per tutti i consociati o per almeno categorie generiche di soggetti (lavoratori, casalinghe ecc); astrattezza vuol dire che la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni bensì deve contenere la descrizione di una fattispecie astratta destinata a regolare una serie indeterminata di casi futuri ed eventuali. Ad esempio, l’art. 2043 è un articolo che si caratterizza per la generalità e astrattezza perché è destinato a valere per tutti coloro che con dolo o colpa causerà un danno ingiusto a qualcun altro. 4° LEZIONE 3 MARZO Ci sono nel nostro ordinamento norme che non si caratterizzano per la generalità e l’astrattezza ma si caratterizzano per essere state pensate dal nostro legislatore per regolare un numero di fattispecie finite e ben identificate e sono così dette norme congiunturali che nascono e sono destinate ad applicarsi ad un numero finito di situazioni, e dunque nascono per una motivazione particolare. Non si devono confondere con le norme eccezionali (ossia le norme che derogano a una norma generale del nostro ordinamento) poiché una norma è eccezionale quando disciplina una determinata fattispecie concreta in modo diverso ad una regola già posta nel nostro ordinamento (la regola generale). LE FONTI DEL DIRITTO [Da dove vengono le norme?] La legge è data non più dal monarca in via autoritativa ma è emanata da delle assemblee elette dai consociati che li rappresentano e questi dovrebbero rispettarla. Quando si parla di fonti bisogna distinguere le fonti di produzione e le fonti di cognizione; le fonti di produzione delle norme sono gli atti o fatti che producono diritto o idonei a produrlo; si deve stare attenti a non confonderli con le fonti di cognizione che sono semplicemente i documenti, le pubblicazioni ufficiali, da cui noi consociati possiamo prendere conoscenza del testo dell’atto normativo emanato (es. la legge emanata dallo stato è la fonte di produzione, la gazzetta ufficiale è la fonte di cognizione). Un elenco delle fonti lo si ha nell’articolo 1 delle preleggi. È un articolo formato da un solo comma secondo il quale “sono fonti del diritto le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi”. Non contiene un elencazione esaustiva delle nostri fonti del diritto poiché il nostro c.c. è del 1942 e non poteva fare riferimento alla nostra carta costituzionale che entrerà in vigore 6 anni dopo; così come non potevamo trovare un altro riferimento importante come quello alle norme comunitarie. Questo per le mancanze mentre l’art 1 fa riferimento anche a cose che non esistono più come le norme corporative, che regolavano le corporazioni presenti ai tempi del fascismo, e sono state abrogate ed eliminate con la sua scomparsa. Immaginiamo una piramide che ad ogni livello contiene una delle nostre fonti del diritto; utilizziamo questa immagine poiché il principio principale e fondamentale che regola le nostre fonti è il principio gerarchico ossia che le fonti non sono tutte sullo stesso livello, ma la prima è più importante dell’ultima. È necessario che le norme di rango successivo siano rispettose e conformi con le norme che si trovano nel gradino superiore. PRIMO POSTO : [COSTITUZIONE] SECONDO POSTO: [FONTI COMUNITARIE] Dopo la costituzione, nel nostro ordinamento, vengono le fonti comunitarie (quindi prima delle nostre leggi nazionali). Ricomprendono tanto i regolamenti quanto le direttive. Le direttive sono indirizzate ai singoli stati, i quali hanno un periodo di tempo entro il quale devono “recepire la direttiva stessa”; vuol dire che la direttiva indica come deve essere disciplinata una determinata materia e poi sarà compito dello stato fare una propria legge che tenga conto e si uniformi alla direttiva, dunque, significa che la direttiva non è immediatamente produttiva di effetti nei confronti dei singoli cittadini bensì il primo effetto che produce è un obbligo dello stato di uniformarsi alla direttiva perché se poi esso non lo fa e ci sono dei ritardi ne pagherà le conseguenze; invece i regolamenti, si caratterizzano per essere immediatamente idonei a produrre norme nel nostro ordinamento e quindi a produrre effetti subito nei confronti dei cittadini perché non necessitano di recepimento. TERZO POSTO: [LE LEGGI ORDINARIE] [ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE (decreto-legge e decreto legislativo)] [LEGGI REGIONALI] Nel 2001 è intervenuta una modifica della nostra costituzione e in particolare del titolo V della costituzione che ha modificato il rapporto tra legge ordinaria e legge regionale. Prima del 2001 la legge regionale la si trovava in un livello successivo rispetto a quello in cui è ora. Viene data un autonomia/potere rilevante alle regioni visto che ora le loro leggi sono allo stesso grado della legge ordinaria. 1)La legge ordinaria è quella promulgata dal nostro parlamento, formato dalla Camera dei deputati e dal Senato della repubblica, è necessario che il testo di legge venga approvato da entrambe le assemblee; se una delle due approva il disegno di legge senza modifiche è approvato; se la seconda camera che lo analizza effettua anche solo una modifica di mezzo articolo è necessario che tutto il disegno di legge ritorni nell’altra camera, finché entrambe le camere lo approvano con lo stesso testo. Perché la legge produca i suoi effetti è necessaria prima la promulgazione del presidente della repubblica, il quale deve firmare la legge, poi la pubblicazione nella gazzetta ufficiale; normalmente la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale non è ancora requisito sufficiente per la produzione degli effetti della legge, perché normalmente la legge prevede che la legge produrrà i suoi effetti trascorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione, questo periodo di tempo si chiama vacatio legis (periodo che intercorre dalla pubblicazione sulla gazzetta alla produzione degli effetti). Se la regola è che il periodo di tempo di vacatio legis è di quindici giorni, la legge può prevedere un tempo inferiore come un tempo superiore (o addirittura immediatamente) e rappresenta un tempo funzionale alla conoscibilità da parte dei cittadini delle norme giuridiche; trascorsa la vacatio legis le norme di quella legge produrranno effetti giuridici e noi saremo tenuti a rispettarle. Decreto-legge e decreto legislativo sono anche detti 2) “atti aventi forza di legge” e si caratterizzano per essere atti che non sono emanati dal nostro legislatore (Camera e Senato) ma sono atti del governo (potere esecutivo e non legislativo). Il fatto che siano atti del governo fa sì che è necessario che comunque il nostro legislatore intervenga anche di fronte a questi due atti. [Che differenza c’è tra decreto-legge e decreto legislativo?] Il decreto-legge è un provvedimento che il governo può emanare in caso di necessità ed urgenza proprio perché non si possono aspettare i tempi dell’iter classico parlamentare. Dato che il potere legislativo comunque rimane nelle mani del legislatore, il d.l. produce subito effetto (c’è la necessità che ci sia la norma) ma è necessario che venga convertito in legge entro 60 giorni; significa che il d.l. emanato dal governo viene velocemente inviato alle camere che lo devono approvare. Il decreto legislativo funziona al contrario; non c’è l’urgenza di una normativa veloce che produca i suoi effetti nel nostro ordinamento bensì i decreti legislativi vengono utilizzati nel nostro ordinamento quando c’è la necessità di normare degli argomenti molto tecnici. Camera e Senato fanno una legge, la quale si chiama legge delega (qui l’intervento del legislatore è precedente rispetto al decreto-legge) che appunto delega, dà le indicazioni generali, al governo che dovrà seguire su come deve essere normata una determinata materia, molto tecnica (quindi il legislatore non ha le competenze per poter normare in maniera precisa e puntuale). In entrambi i casi c’è un controllo del legislatore solo che nel decreto-legge è successivo (finisce in parlamento successivamente) mentre nel decreto legislativo è l’opposto, l’intervento del legislatore è precedente ma c’è una materia molto tecnica: il legislatore detta le linee generali nella legge delega e in un periodo successivo il governo emanerà il decreto legislativo di attuazione della legge delega. Sullo stesso gradino delle leggi ordinarie e degli atti aventi forza di legge ci sono le 3) leggi regionali, le quali erano considerate prima del 2001 come leggi secondarie; la modifica del titolo V della Costituzione ha cambiato tutto perché il legislatore ha deciso di fare una ripartizione stato regione che si basi sulla 5° LEZIONE 9 MARZO Di regola la norma (la legge) si applica alle fattispecie concrete (i casi) che si verificano successivamente alla sua entrata in vigore (la legge non dispone che per l’avvenire) perché la legge non ha effetto retroattivo, cioè che una legge non può produrre effetti nei confronti di eventi che si sono verificati prima della sua entrata in vigore. Con riferimento al diritto civile rispetto a quello penale, la regola rimane che la legge non ha effetto retroattivo, è però possibile che l’irretroattività sia ammessa e considerata costituzionalmente legittima laddove motivata da esigenze di tutela di diritti di rilievo costituzionale: la corte costituzionale ha sancito in più pronunce che l’irretroattività della norma civile è motivata quando è ragionevole (ossia quando in base a un bilanciamento di interessi c’è da tutelare un interesse di rilievo costituzionale che legittima l’irretroattività). Un altro problema che si può porre è quello della successione delle leggi nel tempo poiché molto spesso una materia viene regolata dal legislatore in più momenti e spesso la nuova normativa prevede un trattamento di quella determinata materia, diverso dalla legge precedente e quindi si pone il problema di quale norma applicare, se quella più vecchia o quella successiva; il legislatore in questo caso, nell’introduzione della nuova norma, introduce anche delle norme transitorie destinate proprio a regolare questo problema e quindi a disciplinare la tematica della successione della legge. La teoria maggiormente seguita tanto in giurisprudenza che in dottrina è quella del fatto compiuto per cui la legge nuova non si applica alle fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore né tantomeno ai rapporti esauriti. Una norma può essere abrogata; si ha l’abrogazione quando una norma giuridica che era parte del nostro ordinamento perde efficacia (non produce più effetti e i consociati non sono più tenuti a rispettarla). Quando si parla di abrogazione si deve parlare di abrogazione espressa ed abrogazione tacita: l’abrogazione è espressa quando una nuova disposizione dichiara espressamente l’abrogazione di quella precedente; molte volte però l’abrogazione di una norma non è espressa, cioè non c’è una nuova norma che stabilisce espressamente la cessazione degli effetti di quella precedente, ma noi la possiamo desumere, per questo si dice tacita (non detta), perché la nuova norma disciplina la materia con disposizioni incompatibili con la normativa precedente e siccome nel nostro ordinamento vale il principio per cui la legge posteriore, se incompatibile con quella precedente, prevale (qui non si ha la norma nuova che stabilisce che quella vecchia è abrogata ma si ha la norma nuova che disciplina questa determinata materia con regole opposte e incompatibili con la normativa vecchia). Quando si parla di abrogazione è necessario ricordarsi almeno altri due tipi che possono verificarsi nel nostro ordinamento: l’abrogazione che può avvenire tramite referendum abrogativo (cittadini chiamati a decidere se vogliono che una norma sia abrogata o meno e a seconda dell’esito del referendum la norma sarà abrogata oppure no); oppure l’abrogazione si può verificare dopo una pronuncia della corte costituzionale: perché la corte costituzionale possa esprimersi è necessario che si verifichi una fattispecie concreta che richiede l’applicazione della fattispecie astratta (la norma) ed il giudice chiamato a decidere sulla controversia si renda conto che la norma è incostituzionale; dunque è possibile che la corte costituzionale con una pronuncia dichiari l’illegittimità costituzionale di una norma, abrogandola. Quest’ultimo tipo di abrogazione ha effetti retroattivi, quindi significa che è come se quella disposizione non fosse mai stata emanata per cui non può più essere applicata, ma rimangono salve le controversie già decise e passata in giudicato, per le quali non si può più impugnare la sentenza che le ha decise. L’interpretazione della legge Art 12 preleggi (primo comma) -> Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (criterio letterale) e dalla intenzione del legislatore (criterio logico). L’attività di interpretazione della legge è l’attività che ogni interprete del diritto è chiamato in continuazione a fare; la norma giuridica non è altro che un testo scritto contente la descrizione di una fattispecie astratta e che necessita di essere interpretato e capito. L’interprete deve cercare di capire qual era il risultato a cui ambiva il legislatore. L’interprete deve individuare la ratio legis ossia la ragione sottesa alla legge (lo scopo che si prefiggeva il legislatore nel momento in cui ha deciso di introdurre quella determinata norma). L’art 12, al primo comma, ci spiega come si deve comportare l’interprete ossia dalla lettura dell’art 12 noi capiamo quali sono i criteri e in che ordine l’interprete li deve seguire. L’art 12 stabilisce che bisogna attribuire alla legge il significato proprio delle parole, le quali devono essere legate e coordinate nella frase; quindi, il primo criterio che noi intrepreti del diritto dobbiamo applicare nell’interpretare la legge è il cosiddetto criterio letterale, per cui quando è possibile, in realtà l’operazione di interpretazione della legge dovrebbe essere abbastanza semplice perché bisogna attribuire alle parole proprio il significato che noi gli riconosciamo comunemente, ovviamente tenendo conto della connessione fra le parole che stiamo leggendo nella norma. Il primo comma dell’art 12 nella sua parte finale (intenzione del legislatore) introduce il secondo criterio da rispettare, quello logico. L’art 12 al primo comma stabilisce che l’interprete applichi in contemporanea tanto il criterio letterale, quando il criterio logico. L’interprete deve seguire il criterio letterale e (sullo stesso piano) applicare un altro criterio: il criterio logico, il quale può avere due accezioni nel senso che può essere inteso in due modi: in senso psicologico o in senso teleologico. Nella prima accezione vorrebbe dire che l’interprete, nell’interpretare la legge, oltre al criterio letterale, deve indagare sotto il profilo psicologico qual era l’intenzione del legislatore nel momento dell’introduzione della norma giuridica, un operazione praticamente impossibile da eseguire; il criterio logico deve invece essere abbracciato nella seconda accezione, quella teleologica, cioè indagare qual era la ragione giuridica che ha spinto il legislatore a introdurre quella norma (un operazione fattibile poiché “basta” andare a vedere il contesto storico-giuridico-culturale in cui la norma è stata introdotta, nonché andare a vedere la relazione illustrativa che ha accompagnato il disegno di legge per rintracciare qual è la ratio legis). Il comma uno dell’art 12 delle preleggi indica come criteri, che vanno considerati sullo stesso piano, i quali l’interprete deve seguire tanto il criterio letterale quanto il criterio logico nella sua accezione teleologica, cioè ricerca della ratio legis (motivazione che spinto il legislatore a introdurre quella norma). Art 12 preleggi (secondo comma) -> se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione (il giudice non ha trovato nessuna norma che la disciplina), si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato. L’art 12 al secondo comma, sempre parlando dell’interpretazione della legge, indica all’interprete la strada da seguire quando non trova nessuna norma che disciplini la fattispecie concreta che lui sta analizzando. il secondo comma (che ci dice cosa fare in caso di lacune del diritto) disciplina l’istituto che noi giuristi chiamiamo analogia o interpretazione analogica. Di tipi di analogia ne conosciamo due e si desumono entrambi dal secondo comma dell’art 12 delle preleggi. Il primo tipo si chiama analogia legis: Il giudice (siccome non può delegare giustizia se non c’è una norma) se non trova nell’ordinamento nessuna norma che disciplini quella fattispecie concreta, deve andare a vedere tra le norme contenute nel nostro ordinamento se ne sia presente una che disciplina una fattispecie simile oppure una materia analoga. È però possibile che nonostante tutto il giudice comunque non riesca a trovare neanche una norma che disciplini un caso simile ma comunque non può delegare giustizia ma deve decidere; in questo caso, si parla di analogia iuris e l’interprete utilizzerà, come indicatogli dalla seconda parte del secondo comma dell’art.12, i principi generali (quelle regole che anche non scritte si possono desumere da una lettura complessiva dell’ordinamento giuridico, ad esempio, il principio di buona fede). Ricapitolando l’art 12 delle preleggi si occupa di interpretazione della legge e la disciplina, sia al primo comma in cui indica il criterio letterale e quello logico nella sua accezione teleologica quanto risolve al secondo comma il problema della lacuna del diritto attraverso l’istituto dell’interpretazione analogica; nel nostro ordinamento esistono due tipi di interpretazione analogica: quella legis (dove il giudice trova una norma che disciplina un caso simile a quello che lui deve risolvere) e quella iuris (se non ha trovato nessuna norma che disciplina un caso simile, cercherà di decidere sull’applicazione dei principi generali che si desumono dall’ordinamento, in primis i principi desumibili dalla nostra carta costituzionale). L’art 14 preleggi -> Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi (leggi eccezionali) non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati (l’interprete non può utilizzare in via analogica queste norme). Le norme penali e le norme eccezionali il legislatore ha deciso di non considerarle norme idonee attraverso l’interpretazione analogica. Le leggi penali nel nostro ordinamento sono le leggi che decidono di sanzionare determinati comportamenti perché sono comportamenti che vanno a ledere beni molto importanti (es. omicidio). Dato che la sanzione penale è molto forte e incide su libertà importanti del soggetto che subisce la sanzione penale, è giusto che il soggetto sappia con certezza senza alcun dubbio quali comportamenti sono sanzionati penalmente e quali no. Per questione di certezza di diritto e tutela dei cittadini, data la pesantezza e l’importanza delle sanzioni penali, l’art 14 prescrive che il giudice, la legge penale non la possa applicare in via analogica (quindi o si commette proprio il comportamento descritto dalla norma per cui si viene puniti penalmente oppure quella sanzione non può esserti applicata). La dottrina e la giurisprudenza sono molto divise (tra di loro ma anche all’interno) ma entrambe ritengono che l’art 14 delle preleggi vada applicato a tutte le norme eccezionali. Una corrente minoritaria invece ritiene che l’art 14 delle preleggi, quindi il divieto di interpretazione analogica, vada circoscritto soltanto alle norme eccezionali che sono anche congiunturali (che mancano dei caratteri di generalità ed astrattezza) per due ordini di ragioni: il primo è che il nostro ordinamento è pieno di regole ed eccezioni; quindi, applicare il divieto analogico ad ogni eccezione sarebbe una limitazione dei poteri attribuiti all’interprete; in secondo luogo con le norme congiunturali ha senso di parlare di divieto analogico perché è con riferimento a loro andare ad indagare qual è la ratio legis del legislatore. La posizione di chi subisce il diritto potestativo altrui si chiama soggezione ed è appunto la situazione giuridica passiva corrispondente alla situazione giuridica attiva del diritto potestativo. Nel diritto assoluto la situazione giuridica passiva corrispondente si chiama dovere. Nel diritto relativo la situazione giuridica passiva prende il nome di obbligo (ad esempio in cui magari si trova il debitore). INTERESSE LEGITTIMO È una situazione giuridica attiva che è spetta ai privati i quali siano stati toccati direttamente in un loro interesse dall’esercizio del potere pubblico. È una situazione giuridica che viene in gioco quando il privato si trova ad avere rapporti con la pubblica amministrazione, la quale agisce in veste di autorità pubblica, in questo caso il privato è portatore di interesse legittimo (la p.a. è libera in determinati casi di agire nei confronti dei privati utilizzando gli strumenti propri del diritto privato). L’interesse legittimo è la pretesa (diritto) del privato alla regolarità dell’azione amministrativa che incide nei suoi interessi. (la pretesa che la p.a. quando agisce in veste di autorità rispetti le norme giuridiche che regolano la sua azione; ad esempio, quando c’è un concorso pubblico ho il diritto che si svolga in maniera regolare e quindi la p.a. rispetti la normativa) L’interesse legittimo è una figura la cui violazione può costituire danno risarcibile. INTERESSE DIFFUSO O COLLETTIVO È la situazione giuridica (più nuova rispetto alle altre) di un soggetto danneggiato da comportamenti altrui i quali nello stesso tempo danneggiano analoghi interessi di una moltitudine di soggetti (es. pubblicità ingannevole). ONERE Una situazione giuridica particolare (un ibrida non proprio attiva) che si ha quando il diritto attribuisce ad un soggetto un potere ma l’esercizio di quel potere è condizionato dall’adempimento di un certo comportamento. Differenza tra onere e obbligo? Non adempiere ad un onere e non adempiere ad un obbligo causa le stesse conseguenze? La differenza è che se il soggetto non adempie ad un onere non commette nessun illecito, l’unica conseguenza è che non acquisirà un diritto che lo stato gli riconosceva con l’adempimento dell’onere; mentre il debitore che non adempie è inadempiente all’obbligazione quindi sarà chiamato a rispondere del suo inadempimento e quindi a risarcire gli eventuali danni subiti dal titolare della corrispondente situazione attiva ossia dal titolare del diritto titolare potestativo relativo (creditore ad esempio). Diritti soggettivi pubblici -> consentono al titolare di incidere sull’organizzazione pubblica (diritto di voto) Diritto soggettivo privato -> non toccano la sfera pubblica (diritto di proprietà) Diritti patrimoniali -> procurano al titolare un utilità di tipo patrimoniale (es diritto di proprietà) Diritti non patrimoniali -> procurano al titolare sempre un utilità ma di tipo non economico (es morale) Diritti disponibili ( il soggetto ne può disporre) vs indisponibili (il titolare non può disporne liberamente) 7° LEZIONE 16 MARZO Distinguere il fatto, dall’atto giuridico e dal negozio giuridico; tra loro cambia la disciplina e in particolare il grado di intendere e volere in capo al soggetto che lo compie. Gli effetti giuridici sono i mutamenti che si producono nelle situazioni giuridiche dei soggetti. Le situazioni giuridiche non restano immobili nel tempo ma appunto si modificano; i cambiamenti sono gli effetti giuridici e la causa che determina gli effetti giuridici si chiama FATTISPECIE GIURIDICA. (ricapitolando ora sappiamo che il diritto di proprietà è un diritto soggettivo, è la prima situazione giuridica attiva; è un diritto assoluto e la corrispondente situazione giuridica passiva è il dovere di tutti i consociati ad astenersi dai comportamenti che turbino il diritto di proprietà del titolare) Rientrano nella nozione di FATTI tutti gli eventi naturali che accadono e producono i loro effetti giuridici indipendentemente da qualsiasi attività volontaria e consapevole dell’uomo. (es. nascita vitellino) Rientrano nella nozione di fatti però anche quelli riconducibili ad un’attività umana quando questa attività umana è totalmente irrilevante per il prodursi dell’effetto giuridico di cui stiamo parlando. Sono invece ATTI GIURIDICI i comportamenti umani o comunque in generale tutti gli eventi riconducibili all’attività umana la cui rilevanza (cioè dell’atto) dipende proprio quando c’è la presenza del fattore umano; dunque, di atto possiamo parlare solo quando c’è un comportamento umano o un evento riconducibile all’attività umana. (c’è l’uomo) Nell’ambito della categoria generica di atti si deve fare un importante distinzione e il cui tratto saliente è il ruolo della volontà umana rispetto alla produzione degli effetti giuridici. È importante capire nella distinzione, se l’individuo volesse soltanto tenere quel dato comportamento oppure non solo voleva tenere quel dato comportamento ma voleva anche che si producessero proprio quegli effetti giuridici che si produrranno quando lui terrà quel determinato comportamento. Gli atti si dividono tra atto giuridico in senso stretto (o atti non negoziali) da un lato e negozio giuridico dall’altro; in comune hanno che essenziale è la presenza del fattore umano. L’ATTO GIURIDICO IN SENSO STRETTO sono quei comportamenti tenuti volontariamente ma tenuti dal soggetto senza la volontà di produrre gli effetti giuridici che le norme fanno derivare da quel comportamento. Ad esempio, il pagamento da parte del debitore di quanto dovuto è un atto giuridico in senso stretto (il debitore paga liberamente); la conseguenza (l’effetto giuridico) è che si estingue il suo debito, ma il fatto che lui lo voglia o non lo voglia è totalmente indifferente per il prodursi di quell’effetto giuridico poiché la norma stabilisce che il pagamento estingue il debito; quindi, la volontà di produrre quegli effetti giuridici è totalmente irrilevante. L’atto giuridico in senso stretto è configurabile quando abbiamo un comportamento umano ma si trattano di comportamenti tenuti senza la volontà di produrre quei determinati effetti giuridici che le norme faranno discendere da quel comportamento. NEGOZIO GIURIDICO (o di atto negoziale): sono gli atti volontari tenuti dall’uomo nei quali la volontà del soggetto, è non solo la volontà di compiere quell’atto ma è anche, e proprio, la volontà di determinare proprio gli effetti giuridici che le norme fanno derivare dall’atto. Dunque, si parla di negozio giuridico quando l’uomo tiene volontariamente quel comportamento volendo produrre proprio gli effetti giuridici che le norme fanno derivare dal compimento di quell’atto. Il contratto è annullabile se il soggetto che stipula il contratto non è in grado di intendere e volere poiché è viziato; quando si parla di negozio giudico la volontà di produrre quegli effetti giudici è fondamentale. SOGGETTI DI DIRITTO Sicuramente sono soggetti di diritto LE PERSONE FISICHE (quindi possono essere titolari delle situazioni giuridiche attive e passive); l’idoneità della persona fisica ad essere titolare di diritti e di doveri (quindi di situazioni giuridiche) viene definita dal nostro c.c. come capacità giuridica, disciplinata dall’articolo 1 del nostro c.c. al primo libro; sono però soggetti di diritto (quindi possono essere titolari di situazioni giuridiche nel nostro ordinamento) non solo le persone fisiche ma anche GLI ENTI. Gli enti si distinguono in Enti dotati di personalità giuridica, anche detti, persone giuridiche ed enti non dotati di personalità giuridica; fondamentale se vi è la distinzione del patrimonio dell’ente e delle singole persone che ci ruotano intorno (gli enti dotati di personalità giuridica hanno un autonomia patrimoniale perfetta cioè il patrimonio della persona giuridica è ben distinto dai patrimoni delle persone che ci lavorano dentro); possiamo affermare che le persone giuridiche e le persone fisiche non esauriscono la categoria dei soggetti, ma ci rientra un'altra categoria, chi la personalità giuridica non ce l’ha. Il nostro ordinamento tende a riconoscere una certa soggettività giuridica (capacità di essere portatore di situazioni giuridiche) anche a figure che in realtà non sarebbero proprio soggetti di diritto; l’esempio più importante è il condominio, il quale non è in realtà un soggetto di diritto ma è un autonomo centro di interesse al quale, nonostante sia un soggetto di diritto in senso stretto, venga comunque riconosciuta una seppur limitata, soggettività. (studiare associazione, comitato ecc) LE PERSONE FISICHE La capacità giuridica si acquista alla nascita; si devono individuare, per i giuristi, i momenti di nascita e morte: nel nostro c.c. non è richiesta la vitalità del bambino, perché si possa dire nato, ma basta la respirazione autonoma rispetto alla madre che l’ha messo al mondo (c’è un esame per verificare se un bambino è nato vivo o morto, si vede se c’è aria nei polmoni). Dire se un soggetto è nato vivo o nato morto, in molte occasioni è determinante per la risoluzione di situazioni concrete spesso anche rilevanti e di valore economico importante. La capacità giuridica si perde con la morte, dunque, con la cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali. Si contrappone alla capacità giuridica, la capacità di agire: la capacità di compiere atti giuridici nel proprio interesse; si acquista al compimento della maggiore età (e si può anche perdere). Il concepito è un soggetto che pur non avendo la capacità giuridica è tutelato dall’ordinamento; ha una serie di diritti riconosciuti, subordinati all’evento nascita. Un possibile individuo che si è allontanato diventa un soggetto che viene preso in considerazione anche dall’ordinamento poiché era portatore di situazioni giuridiche (patrimoniali e non) e queste meritano di dover essere regolate (es. creditori vogliono essere pagati). I concetti giuridici che entrano in gioco sono: scomparsa, assenza e morte presunta. A questi tre livelli rispondono tre livelli di intervento, da parte dello stato, che sono sempre più forti a seconda del tempo che è trascorso dall’allontanamento del soggetto. È fondamentale che del soggetto di cui si sta parlando, non si abbiano più notizie sennò i concetti scomparsa, assenza e morte presunta non valgono. Nel primo livello con la dichiarazione di scomparsa, l’intervento dello stato è solo conservativo; mentre all’ultimo stadio, quello della morte presunta, l’ordinamento sceglie di trattare la situazione, quasi come se il soggetto fosse morto sul serio (soprattutto sotto il profilo delle situazioni personali). 9° LEZIONE 23 MARZO Scomparsa, assenza e morte presunta sono tre istituti pensati nel nostro ordinamento per far fronte ai problemi che possono sorgere quando una persona si allontana dai luoghi in cui abitualmente risiede senza fornire più notizie di lei; la prima esigenza dell’ordinamento è la tutela della persona che si è allontanata. Questi istituti vengono regolati dal nostro ordinamento perché l’allontanamento di un soggetto è anche interesse della collettività poiché la persona è titolare di situazioni giuridiche sia attive che passive (molte volte ha delle responsabilità); nel momento in cui un soggetto si allontana ci sono da tutelare anche tutte le persone che avevano dei rapporti con esso (col coniuge, con i creditori ecc). Quindi scomparsa, assenza e morte presunta rispondono a queste esigenze. Oltre a essere i tre istituti che governano la materia dell’allontanamento della persona fisica, l’intervento dello stato si fa sempre più invasivo col trascorrere del tempo; più tempo trascorre dall’ultima notizia del soggetto più aumentano le probabilità che la persona non torni più. Esigenza primaria dell’ordinamento è quello della certezza delle situazioni giuridiche; con l’istituto della morte presunta, lo stato stabilisce che si producano esattamente gli stessi effetti che si sarebbero prodotti laddove la morte fosse stata accertata. Classificazione dei tre istituti ponendo particolare attenzione verso: quale è il giudice competente e il provvedimento pronunciato dal giudice e quali sono i presupposti per la pronuncia. Il giudice non è libero di pronunciare l’assenza piuttosto che la scomparsa ma potrà pronunciare un provvedimento piuttosto che un altro a seconda dei presupposti che la fattispecie concreta presenta e motivando nel suo provvedimento la scelta. Il giudice competente a dichiarare la scomparsa/assenza/ morte presunta è sempre Il tribunale dell’ultimo domicilio/residenza del soggetto in questione; mentre diversi sono i provvedimenti che di volta in volta il giudice deve adottare a seconda che si tratti di scomparsa, assenza o morte presunta. La SCOMPARSA viene dichiarata dal tribunale (dell’ultimo domicilio) con DECRETO, se ricorrono due presupposti (il primo è uguale in tutti e tre, ossia l’allontanamento del soggetto (dal decreto deve emergere che la persona in questione si sia allontanata senza darne notizia) mentre il secondo, per il quale il tribunale possa emettere il decreto con il quale viene dichiarata la scomparsa, è che vi sia la mancanza di notizie della persona oltre un lasso di tempo giustificabile (il quale cambia da persona a persona). Il legislatore in questa fase (1 fase è puramente conservativa) ha deciso di non prevedere un tempo fisso e dunque il giudice deve fare una valutazione caso per caso che tenga conto delle abitudini di vita della persona di cui non si hanno notizie; questa fase è puramente conservativa di tutela del patrimonio dello scomparso. Il giudice se lo ritiene necessario potrà anche nominare un curatore per il patrimonio dello scomparso (con limitati poteri) ma può anche succedere che nessuno faccia ancora nulla. Se lo scomparso torna (basta addirittura che ne sia constata l’esistenza in vita) cessano gli effetti della dichiarazione del decreto che ha pronunciato la scomparsa. L’ASSENZA è il secondo step e qui l’intervento dell’ordinamento è un po’ più incisivo ma non ancora tale da produrre gli stessi effetti della morte vera del soggetto. Il tribunale competente è sempre lo stesso ma quello che cambia è il tipo di provvedimento con il quale viene pronunciata l’assenza: il tribunale utilizza la SENTENZA, un provvedimento nel quale gli effetti del patrimonio di colui che si è allontanato sono maggiormente incisivi. I presupposti per la pronuncia con sentenza dell’assenza sono due: il primo è lo stesso della scomparsa (persona che si allontana senza dare più notizie di sé) mentre il secondo requisito è che dovrà risultare che la persona allontanatasi non ha dato più notizie di sé da almeno due anni (un tempo non cortissimo ma nemmeno così lungo). In questa fase, oltre alla pronuncia di assenza, il tribunale in primis ordina l’apertura degli eventuali testamenti (eventuale poiché un soggetto è libero di farlo o meno). A questo punto vengono immessi nel possesso dei beni dell’assente, gli eredi (testamentari o legittimi a seconda della situazione, se c’è il testamento o se non c’è e dunque sono chiamati gli eredi legittimi, i discendenti per legge fino al sesto grado). Gli eredi non possono però disporre dei beni; nella fase di assenza gli eredi sono amministratori dei beni e possono goderne ma non possono disporne (es casa il soggetto può abitarci ma non venderlo a un terzo né donarlo). La legge prescrive che una parte anche se piccola dei frutti e dei proventi deve essere accantonata per l’assente (es. affitto della casa) quindi gli eredi non possono godere dei frutti al 100%; in questa fase le posizioni familiari e quindi l’eventuale coniuge dell’assente, non può liberarsi dal vincolo matrimoniale o meglio non può risposarsi poiché rimane coniugato (lo status di coniuge rimane) mentre cambia in caso di morte presunta. Se l’assente torna, cesseranno gli effetti che ha pronunciato l’assenza e in particolare coloro che sono stati in possesso dei beni dovranno restituirli oltre a restituire quella parte di interessi e frutti che la legge gli ha imposto di accantonare. Nella fase di MORTE PRESUNTA gli effetti che si producono sono pressoché identici a quelli che derivano dalla morte accertata della persona fisica. Il giudice competente è sempre lo stesso (il tribunale dell’ultimo domicilio/residenza) e come nell’assenza il provvedimento è la SENTENZA; anche in questo caso per dichiarare la morte presunta del soggetto con una sentenza da parte del giudice, è necessario in primis che il soggetto si sia allontanato senza dare notizia di sé; in secondo luogo è necessario che manchino notizie della persona in questione da almeno 10 anni, l’unica eccezione riguarda il caso in cui l’allontanamento (assenza di notizie) si sia verificato in occasione di un infortunio, incidente aereo oppure di operazioni belliche, dove il tempo in questo caso viene ridotto da 10 a 2 anni poiché in occasione di questi particolari eventi è difficile che la persona stia bene e non dia notizie di sé. Con la dichiarazione di morte presunta del tribunale, gli eredi (testamentari o legittimi) conseguono la piena titolarità dei beni (diventano proprietari a tutti gli effetti) e non solo potranno amministrarli e goderne ma anche disporne. L’unica differenza che c’è rispetto alla morte vera è che viene reso obbligatorio un inventario (un elenco dei beni) a tutela del morto presunto, che potrebbe tornare e gli eredi in questo eventuale caso dovranno restituire, nello stato in cui si trovano, i beni ereditati. Il coniuge con la dichiarazione di morte presunta è liberato da questo stato e volendo può contrarre nuove nozze; il Codice civile prevede che se il morto presunto ritorni, il secondo matrimonio viene dichiarato nullo (l’invalidità più grave del nostro ordinamento) come se non fosse mai esistito. La differenza è che all’inabilitato non è nominato un tutore ma un CURATORE; gli atti di ordinaria amministrazione li può compiere l’inabilitato autonomamente; invece, gli atti di straordinaria amministrazione necessitano dell’assistenza (è necessario il consenso di entrambi per la validità dell’atto) del curatore; nell’inabilitazione c’è un assistenza non una sostituzione come nell’interdizione quindi è più limitata l’incapacità dell’inabilitato (incapacità relativa dell’inabilitato e non assoluta, come l’interdizione). L’inabilitato può compiere il testamento mentre l’interdetto non lo può fare. 10° LEZIONE 24 MARZO Il minore emancipato Il minore emancipato ha delle similitudini con l’inabilitato poiché è un’altra ipotesi di inabilità relativa ma è trattato in modo migliore; è un soggetto che da lì a poco diventerà maggiorenne quindi pienamente capace di agire (l’inabilitazione potrebbe durare tutta la vita). È il minore di età ultra-sedicenne (almeno ha 16 anni) il quale può eccezionalmente chiedere di essere autorizzato a contrarre matrimonio, in presenza di gravi motivi che lo giustifichino (stato di gravidanza della compagna ad esempio). Il minore che si sposa diviene minore emancipato; quindi, a lui non si applica più la disciplina del minore di età. Quando la regola non è rispettata l’atto è annullabile (l’annullabilità è un azione che si prescrive) (A differenza della nullità non può chiedere chiunque l’annullamento dell’atto ma può essere chiesto solo dalla parte in favore della quale è prevista l’annullabilità stessa). [Come sono regolati gli atti che il minore emancipato può compiere?] Al minore emancipato viene affidato un CURATORE (se uno dei due è maggiorenne solitamente è il coniuge o se sono minorenni spesso è un genitore quindi una persona vicino alla famiglia). Gli atti di ordinaria amministrazione (siccome è molto simile all’inabilitazione) il minore emancipato può compierli da solo, al pari di qualsiasi soggetto maggiorenne capace di agire; gli atti di straordinaria amministrazione devono essere realizzati dal minore emancipato con l’assistenza del curatore (doppio consenso). Il nostro c.c. con riferimento all’inabilitato e al minore emancipato prevede due regole diverse con riferimento all’esercizio dell’impresa: l’inabilitato può essere autorizzato a continuare l’esercizio di un’impresa già esistente ma non può essere autorizzato ad aprire una nuova impresa; sempre secondo il c.c. il minore emancipato invece non solo può essere autorizzato a continuare un’impresa già esistente ma può addirittura essere autorizzato ad aprire un’impresa nuova (l’idea del legislatore è di aiutarlo e sostenerlo visto che di lì a poco diventerà maggiorenne e guadagnerà la capacità di agire). Dunque, importante ricordare che il tutore si sostituisce all’interdetto nel compimento di ogni atto; mentre il curatore (nell’inabilitazione) interviene solo negli atti di straordinaria amministrazione e quando interviene non lo fa in sostituzione dell’inabilitato ma assistendolo, quindi seguendolo nel compimento dell’atto. Sia per l’interdizione che per l’inabilitazione queste sono regole fisse (la disciplina degli atti) dettate dal legislatore per qualsiasi inabilitazione e qualsiasi interdizioni; dunque, la caratteristica dell’inabilitazione e dell’interdizione sono che le norme dettate dal c.c. valgono sempre in modo uguale per tutti. Amministrazione di sostegno È l’istituto più importante nel nostro ordinamento a tutela delle persone vulnerabili, il quale ha completamente stravolto l’idea e il concetto di tutela delle persone vulnerabili e che si trovano nelle difficoltà di compiere, nel proprio interesse, atti giuridici. La legge che l’ha introdotta è la legge 6 del 2004 ma le norme che la disciplinano sono al primo libro del c.c. Dal 1942 al 2004 c’è stata un evoluzione culturale assai forte; il primo momento di cambiamento è avvenuto pochi anni dopo quando è entrata in vigore nel ’48 la nostra carta costituzionale dove vengono sanciti i diritti inviolabili della persona. L’importanza della persona, negli anni successivi, è stata in continua evoluzione ed è divenuta sempre più forte; questo ha fatto sì che istituti come l’interdizione e l’inabilitazione fossero guardati dalla dottrina e dalla collettività con un po' di sfavore: dichiara un soggetto incapace di agire, anche se a sua tutela, è una limitazione molto forte per la persona; in secondo luogo gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione avevano come risvolto quello di ghettizzare l’individuo andando ad intaccare la sua dignità e il suo essere persona. Quindi ben prima del 2004, la stessa comunità ha sentito l’esigenza di pensare all’introduzione di un nuovo istituto, anche esso capace di tutelare le persone incapaci di agire ma limitando al minimo possibile l’incapacità di agire del soggetto e soprattutto tenendo conto della diversità di ognuno di noi (limite grosso dell’inabilitazione e dell’interdizione è quello di avere delle norme uguali per tutti, applicati a qualsiasi interdetto oppure a qualsiasi inabilitato). “Un vestito su misura a tutela della persona vulnerabile” è la metafora che fa intuire che nell’amministrazione di sostegno non ci sono delle norme ad hoc che si trovano nel c.c. che si applicano a qualsiasi persona beneficiaria dell’amministrazione di sostegno. È rilasciato al giudice il delicatissimo compito di decidere, tenendo conto di tutte le peculiarità della fattispecie che sta esaminando e delle problematiche della persona in questione, e stabilire nel decreto quali atti devono essere compiuti dall’amministratore di sostegno. Il giudice può stabilire che per alcuni atti l’amministratore di sostegno dovrà sostituirsi, quindi, agire in nome e per conto del beneficiario; per altri potrà invece stabilire che quegli atti necessitano dell’intervento del beneficiario dell’amministrazione di sostegno con l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Quindi il giudice tenendo conto delle problematiche della persona e dell’entità del patrimonio dovrà descrivere nel decreto con precisione la disciplina di tutti i singoli atti che potrebbero far capo a quella persona; per tutti gli atti non elencati nel decreto di nomina, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rimane capace di agire. È un istituto che non solo ragiona e si muove a seconda delle necessità del suo beneficiario ma che lo priva della capacità di agire nei limiti dello stretto necessario poiché per tutti gli atti che non sono elencati nel decreto rimane capace di agire al pari di qualsiasi soggetto maggiorenne; quindi, è l’opposto rispetto all’inabilitazione e all’interdizione. (INTERDETTO / INABILITATO / BENEFICIARIO DELL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO; TUTORE / CURATORE / AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO) [Per chi può essere aperta una procedura di amministrazione di sostegno? Chi può essere beneficiario di una amministrazione di sostegno?] Sono presupposti molto più ampi rispetto a quelli tassativi dell’inabilitazione e dell’interdizione; qui la norma richiede che basta che si tratti di un: 1) soggetto che abbia un infermità o una menomazione fisica o psichica (requisito oggettivo) 2) necessario che a seguito di questa infermità o menomazione fisica o psichica il soggetto si trovi, anche soltanto per alcuni atti, nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi (requisito soggettivo) La categoria delle persone vulnerabili che possono essere tutelate da questo nuovo istituto è veramente ampia; rientra in questo istituto anche l’infermo di mente abituale molto grave (quindi a questo soggetto verrà nominato un amministratore di sostegno e non un tutore). L’amministrazione di sostegno ha ormai di fatto sostituito quasi sempre le tutele vere e proprie (interdizione e inabilitazione); non è detto che l’amministrazione di sostegno non sia un intervento molto forte (poiché se il giudice nel decreto riduce di molto il n° degli atti che può compiere il beneficiario dell’amministrazione di sostegno sarà molto limitata la sua capacità di agire); c’è il rischio che spesso non si utilizzi l’amministrazione di sostegno con lo scopo per cui è stata creata ovvero quello di diversificare le persone attraverso le loro problematiche e caratteristiche ma la si riduca ad un prestampato con una forte limitazione della capacità di agire quasi al pari di quella dell’inabilitazione e dell’interdizione. [Chi può chiedere che si apra la procedura di amministrazione di sostegno?] Lo possono chiedere le stesse persone dell’inabilitazione e interdizione con una novità, quella dei responsabili dei servizi sanitari o sociali direttamente impegnati nella cura della persona (gli assistenti sociali e i medici). Nel caso in cui dopo l’audizione del beneficiario, il giudice ritenga di nominare l’amministratore di sostegno, con decreto (può anche essere con termine) in cui vengono disciplinati ed indicati tutti gli atti che possono fare capo al beneficiario (per alcuni l’amministratore lavora come un tutore, per altri come un tutore) mentre per tutti quelli non indicati il beneficiario rimane capace di agire. A prescindere dai poteri che vengono riconosciuti dall’amministratore di sostegno nel nostro c.c. c’è una norma ad hoc che stabilisce che a prescindere dall’ampiezza dei poteri dell’amministratore di sostegno, il beneficiario conserva integra la propria capacità di agire per gli atti necessari per le esigenze della vita quotidiana. Incapacità naturale È possibile che un soggetto maggiorenne e quindi di per sé capace di agire si trovi, in concreto, in una situazione (mentre compie un particolare atto) di incapacità di intendere e di volere; l’ordinamento si occupa anche di questa situazione. Questo stato di incapacità di intendere e di volere può essere sia uno stato passeggero, sia uno stato di incapacità permanente. (si distingue dalle incapacità legali : interdizione, inabilitazione ecc.…) Rientrano anche nell’incapacità naturale tutte le situazioni di quei soggetti che nonostante si trovino in uno stato di incapacità di intendere e volere permanente, non siano mai stati sottoposti né a un procedimento di interdizione né a un procedimento di inabilitazione né ad una procedura di amministrazione di sostegno. L’ordinamento prevede una disciplina diversa a seconda della tipologia dell’atto posto in essere dall’incapace naturale; si deve distinguere tra tre tipologie di atti, al quale conseguono i requisiti per l’annullabilità: - Atti personalissimi -> (es. sposarsi) - Atti unilaterali -> proviene da una persona sola (es. proposta contrattuale) soggetto in relazione a determinati trattamenti sanitari in funzione che il soggetto si potesse trovare nell’impossibilità di esprimere il proprio consenso per via di condizioni di incapacità di intendere e volere) le quali valgono soltanto se la persona in quel momento non è in grado di intendere e volere; le persone possono anche disporre del proprio corpo post mortem). Quando si parla di dritto alla salute bisogna fare anche i conti con l’art 5 del c.c. (primo libro del c.c.) che riguarda gli atti di disposizione del proprio corpo e prevede che sono consentiti gli atti di disposizione del proprio corpo soltanto se sono “non contrari a legge, ordine pubblico e buon costume” (se non c’è una legge che li vieta, se non sono contrari ai principi del nostro ordinamento o alla nostra etica morale) e “non determinano una diminuzione permanente della propria integrità fisica”; sono ammesse nel nostro ordinamento delle eccezioni, ad esempio ciascuno di noi può donare un polmone, rene e fegato e gli interventi di rettificazioni del sesso e le sterilizzazioni volontarie (sono leggi speciali che si sono aggiunte nel tempo). Le parti del corpo diventano beni autonomi di proprietà della persona e il proprietario può disporne come vuole, tanto a titolo oneroso quanto gratuito poiché i beni diventano mobili (es. capelli). Diritto al nome Determinazione del cognome: in caso di figlio nato all’interno del matrimonio il figlio assume il cognome del marito della donna che l’ha generato; è possibile chiedere, con il consenso di entrambi i genitori, che venga aggiunto anche il cognome della madre. In caso di figlio nato all’infuori del matrimonio assume il cognome del primo genitore che lo riconosce, se però il padre lo riconosce per secondo, il figlio può poi scegliere di aggiungere, sostituire o anteporre al cognome materno quello paterno. I bambini adottati prendono il cognome degli adottanti (minorenni). La moglie aggiunge al proprio, il cognome del marito, lo conserva durante la separazione e lo perde solo col divorzio, salvo che venga autorizzata dal giudice a conservarlo anche dopo al divorzio. La legge prevede che gli uniti civilmente possano, se vogliono, scegliere di comune accordo un cognome che sarà poi quello della famiglia. Il nome (immodificabile) può essere tutelato nel caso in cui sia contestato da qualcuno o nel caso qualcuno ne faccia un uso indebito; in questo caso ci si può rivolgere ad un giudice chiedendo tanto la cessazione della condotta, che viola il diritto al nome, quanto chiedere risarcimento del danno. Diritto all’integrità morale È previsto nel nostro ordinamento poiché la legge tutela ogni individuo affinché non siano lesi l’onore, la reputazione e il decoro di ciascuna persona. È un diritto che è destinato ad entrare in conflitto con degli altri diritti costituzionalmente tutelati (es. diritto di critica e cronaca e diritto all’informazione); per cui è compito del giurista valutare in quali occasioni il diritto all’integrità morale sia destinato a soccombere rispetto al diritto all’informazione; perché il diritto all’informazione possa prevalere è necessario che ricorrano congiuntamente tre presupposti: deve trattarsi di una notizia vera (verità della notizia), che ci sia un utilità sociale della notizia ed è necessario che il giornalista, nel dare la notizia, abbia rispettato la cosiddetta continenza espositiva (utilizzare un linguaggio neutro e non offensivo senza dare giudizi, contenendosi nell’esposizione). Se il giornalista non rispetta anche solo uno di questi presupposti viola il diritto all’integrità morale del soggetto e potrà essere chiamato a risarcire il danno e il giudice potrebbe prevedere anche la pubblicazione della sentenza su uno o più quotidiani poiché opportuno per meglio tutelare il diritto all’integrità morale della perdona, leso). Diritto all’immagine È il diritto che impone ai terzi il divieto di commercializzare l’altrui ritratto senza il consenso del titolare. Perché vi sia lesione del diritto la norma richiede che non vi sia il consenso (è un negozio unilaterale avente ad oggetto l’esercizio del diritto d’immagine) del titolare; è un consenso sempre revocabile. Ci sono dei casi in cui la diffusione del ritratto altrui è consentita, senza consenso, se giustificata da notorietà o da ufficio ricoperto, da necessità di giustizia o polizia oppure da collegamenti con avvenimenti di interesse pubblico o che si sono svolti in pubblico. Se non rientrano in queste ipotesi, chi vede utilizzata la propria immagine fuori da questi presupposti potrà richiedere il risarcimento del danno e il giudice potrà provvedere ad ogni altro provvedimento che ritenga opportuno. Diritto alla riservatezza (probabile compitino) È disciplinato in primis dal cosiddetto codice della riservatezza che è il decreto legislativo 196 del 2003 nonché dal 2016 da un regolamento CE che integra la materia (679) ; il suo fine è quello di tutelare la sfera personale e familiare di ciascuno di noi ed evitare ingiustificate intromissioni nella sfera della persona nonché la divulgazione all’esterno di fatti che possano riguardare la nostra persona. Il codice privacy è importante perché disciplina e regola il trattamento dei dati personali dettando delle norme che hanno lo scopo di far sì che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto delle libertà personali e dei diritti. Con dati personali ci si riferisce ad ogni qualsiasi informazione relativa alla persona identificabile o identificata; è considerato dato ai sensi della privacy il sesso, orientamento sessuale, politico ecc..; per trattamento ci si riferisce a qualsiasi operazione che riguarda la raccolta, la conservazione, l’elaborazione, l’utilizzo, la comunicazione a uno o più persone, dei dati. L’interessato deve ricevere l’informativa da chi tratta i dati (foglio in cui viene descritto come verranno utilizzati i propri dati) e in seguito l’interessato deve esprimere il proprio consenso (il quale deve essere espresso e per iscritto, libero e specifico ed è necessario che questo consenso risulti dall’informativa, non in un foglio a parte) il quale può essere revocato in qualsiasi momento ed in qualsiasi momento si può chiedere l’aggiornamento dei dati, la rettificazione e la cancellazione. In caso di lesione di questo diritto il soggetto che subisce la lesione del diritto alla riservatezza avrà diritto al risarcimento del danno. Diritto all’identità personale È un diritto recente ed è il diritto di ciascuno di noi a vedersi rappresentato con i propri reali caratteri (quello che viene fatto vedere di me è rappresentativo di quello che io sono). 12° LEZIONE 31 MARZO BENI Il concetto di bene e di cosa sono spesso confusi, in realtà giuridicamente parlando non qualsiasi cosa è un bene ma un bene è solo la cosa che può essere fonte di utilità o oggetto di appropriazione. L’art 810 prescrive che i beni sono le cose che possono formare oggetti di diritto; questo vuol dire che i beni sono una specie del più ampio genere cosa. Il bene (la resa) è solo quello che può formare oggetto di diritti. Quando parliamo di bene tendenzialmente non parliamo della res in quanto tale ma piuttosto del diritto sulla res; su una stessa cosa fisica possono concorrere più diritti. Beni materiali e Beni immateriali I beni materiali sono quelli percepibili con i sensi o con strumenti materiali (es. un libro, cappotto); tra questi, il legislatore ricomprende anche le energie naturali purché abbiano un valore economico. I beni immateriali sono entità diverse dalle cose, utili per l’uomo e per questo suscettibili di aprire conflitti che necessitano l’intervento del diritto. Tra i beni immateriali i più importanti sono i diritti e possono formare oggetto di contrattazione che spesso aprono conflitti, per l’utilità che danno all’uomo; oppure l’ampia categoria dei prodotti finanziari e anche le opere di ingegno (letterarie, scientifiche, sculture, pittura ecc.…) come pure software e banche dati. Quando si parla di opere di ingegno bisogna distinguere i due profili: il diritto di autore (bene immateriale) con il supporto fisico (bene materiale) tanto che a volte possono appartenere a due persone differenti. Beni Mobili e Beni Immobili L’art 812 del C.C. descrive quali sono i beni immobili tanto che i beni mobili vengono individuati in via residuale (sono quelli che non rientrano nella descrizione di tutti quelli che sono beni immobili). Secondo l’art 812 vengono considerati beni immobili le cose incorporate al suolo (tanto gli alberi quanto un lampione messo artificialmente); inoltre dice che per scelta legislativa sono considerati beni immobili i mulini i bagni gli edifici galleggianti quando siano saldamente ancorati alla riva per destinazione permanente, un requisito essenziale per il quale questi beni vengono considerati beni immobili; tutti i beni che non rientrano in queste descrizioni devono essere considerati beni mobili. È una delle distinzioni più importanti. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà delle forme nel senso che le parti sono libere di stipulare i contratti nella forma che ritengono più opportuna (la forma è libera e basta il consenso tra le parti per concludere il contratto). Il c.c. civile prescrive una forma diversa per gli atti di disposizione di questi beni (ad esempio una compravendita). Nonostante nel nostro ordinamento vige il principio della libertà delle forme c’è una norma nel c.c. che per determinati contratti, aventi ad oggetto determinati beni, prescrive l’obbligo della forma scritta per la validità dell’atto: la forma scritta è prevista per il trasferimento dei diritti aventi ad oggetto i beni immobili. Perché si possa parlare di atti emulativi devono sussistere dei requisiti: 1) Deve esserci un proprietario che esercita il suo diritto (diritto di proprietà). 2) L’atto che si sta attuando lo si compie perché come unico esclusivo scopo che ci si è posti è quello di infastidire il vicino, arrecandogli un danno (quindi la finalità dell’atto è pregiudizievole) (es. costruire un muro alto 4 metri nel proprio giardino che copra la visuale del vicino) 3) L’inutilità dell’atto (ad. esempio il muro non serve). 4) L’atto arreca molestia ad un terzo (ad. esempio il vicino). Se ricorrono questi requisiti siamo di fronte ad un atto emulativo, vietato dalla legge, ed è un modo di abusare del proprio diritto di proprietà, cioè sfrutto il diritto che l’ordinamento mi riconosce ma per uno scopo differente rispetto al motivo per cui l’ordinamento ci riconosce quella posizione giuridica. [Che succede?] Dato che è un atto vietato dalla legge, chi subisce un atto emulativo, può rivolgersi al giudice con due azioni: 1) l’azione inibitoria e 2) l’azione risarcitoria : con la prima chiederà al giudice di far cessare l’atto emulativo (es. di buttare giù il muro); mentre con la seconda azione chiederà al giudice di ricevere un risarcimento del danno in quanto vittima di atto emulativo. Immissioni Il c.c. si occupa anche di tutti quei fumi, gas, odori, rumori che possono provenire dalle case dei vicini. (non è necessario che ci sia un prossimità fisica, potrebbe anche essere tre terreni dopo). La regola che è prevista nel nostro ordinamento gioca tutta intorno al concetto di normale tollerabilità, attorno cui è concesso tutto ciò che rientra in questa categoria. Non si può definire cosa sia tollerabile o meno ma si tratta di un giudizio che andrà fatto caso per caso. La disciplina del c.c. distingue le immissioni sotto la soglia della normale tollerabilità e le immissioni che superano la normale tollerabilità (che rimane un concetto valutabile volta per volta). Se stiamo parlando di immissioni sotto la normale tollerabilità la regola è che chi le subisce deve sopportarle e non può pretendere né di farle cessare né di chiedere un ristoro. Quando si parla invece di immissioni che superano la normale tollerabilità bisogna fare due distinzioni: se sono 1) immissioni giustificate da esigenze della produzione (es. immissioni che vengono prodotte da una fabbrica che dà lavoro a 5000 persone) oppure se sono 2) immissioni non giustificate da esigenze della produzione. Nel primo caso chi le subisce non può farle cessare ma può chiedere al giudice che gli venga riconosciuto un indennizzo (1) se invece stiamo parlando di immissioni che superano la normale tollerabilità ma non sono giustificate da esigenze della produzione, chi le subisce ha il diritto di farle cessare o quantomeno di far adottare delle misure in modo che vadano normalmente tollerabili (per il futuro) e per quanto riguarda il passato ha diritto ad un risarcimento del danno (2). In entrambi i casi il giudice riconoscerà, a chi si sta lamentando una somma di denaro ma i giuristi utilizzano i due termini non a caso. Si parla di indennizzo quando si chiede un ristoro ma chi lo dà ha realizzato un atto lecito, che causa sì un danno ma l’atto è lecito; nel caso invece di immissioni che superano la normale tollerabilità e che non sono giustificate da esigenze della produzione, al giudice verrà sempre chiesta una somma di denaro ma queta volta verrà data a titolo di risarcimento e non di indennizzo poiché l’atto realizzato dal vicino è un atto illecito. Indennizzo/atto lecito risarcimento/atto illecito (leggere sul libro distanze, muri, luci, vedute, acque) 13° LEZIONE 6 APRILE Modi di acquisto della proprietà Nel nostro ordinamento la proprietà può essere acquistata a titolo originario o a titolo derivativo. A questi due modi di acquisto della proprietà corrisponde il fatto che il proprietario possa dirsi con certezza e con tranquillità veramente proprietario del bene. I modi di acquisto della proprietà a titolo originario producono l’effetto acquisitivo del diritto di proprietà (io divento proprietario) a prescindere dalla precedente titolarità. Invece così non è quando si parla degli acquisti a titolo derivativo (derivano da qualcosa) i quali presuppongono la titolarità del diritto di proprietà in capo ad un soggetto (che viene prima di colui che acquista la proprietà); tanto che chi acquista a titolo derivativo, acquista esattamente lo stesso diritto che era del precedente titolare, per cui le eventuali invalidità del precedente acquisto (es. ho acquistato da uno che ha acquistato in base ad un contratto nullo) si riflettono sul mio acquisto. Quando acquisto a titolo derivativo non ho la certezza della proprietà del bene (se l’acquisto del precedente titolare era nullo anche il mio sarà nullo). [ACQUISTI A TITOLO ORIGINARIO] Gli acquisti a titolo originario sono l’occupazione, l’invenzione, l’accessione, unione e commissione, la specificazione, la regola possesso vale titolo e l’usucapione. L’occupazione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario che consiste nell’impossessamento di cose non appartenenti a nessuno. Si parla di beni mobili; ad esempio, le res no lius (es. pesce nel mare). Non si deve confondere le cose abbandonate con le cose smarrite, le prime si acquistano con impossessamento perché si verifichi il modo di acquisto della proprietà tramite l’occupazione; quando si parla di cose smarrite entra in gioco il secondo modo di acquisto della proprietà a titolo originario, ovvero l’invenzione; il termine deriva dal latino dal verbo invenire (significa trovare). Il ritrovamento di una cosa smarrita può si portare all’acquisto a titolo originario del ritrovatore ma in primis il ritrovamento invece è fonte dell’obbligo del ritrovatore di consegnare il bene trovato all’autorità pubblica o al legittimo proprietario, se conosciuto. Dopodiché si aprono due ipotesi: 1)il proprietario si faccia vivo ed in questo caso gli viene consegnato e il ritrovatore non acquista il diritto di proprietà sul bene ma ha diritto ad un premio (presente nel nostro ordinamento per favorire questo comportamento diligente e consiste ad 1/20 del bene) ; 2) passa almeno un anno e il legittimo proprietario non va a reclamare il bene, in questo caso il ritrovatore può recarsi dall’autorità pubblica e diventarne lui proprietario ed acquista la proprietà a titolo originario per invenzione. La differenza tra occupazione ed invenzione è duplice: non soltanto la differenza è del bene di cui si sta parlando (con l’occupazione si parla di cose che non sono mai state di nessuno o abbandonate mentre nell’invenzione si parla di cose smarrite) ma mentre nell’occupazione l’impossessamento fa sì che si verifichi immediatamente l’effetto acquisitivo a titolo originario invece nell’invenzione, dato che c’è da tutelare anche chi la cosa l’ha smarrita, l’invenzione prima è fonte dell’obbligo di consegnare l’oggetto all’autorità pubblica e solo in un secondo momento (passato un anno) il soggetto acquista la cosa per invenzione. L’ACCESSIONE è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà che si verifica quando una cosa accessoria si incorpora o si unisce a una cosa principale. Si deve distinguere tra due tipi di accessione: l’accessione per fatto dell’uomo (gioca un ruolo fondamentale l’attività umana) e l’accessione per fatto naturale (gioca un ruolo fondamentale la natura) 1) Si ha accessione per fatto dell’uomo quando su un fondo/terreno vengono realizzate piantagioni/costruzioni/altre opere con materiali che appartengono ad un soggetto diverso rispetto al proprietario del terreno. (le seguenti regole valgono solo in assenza di accordi tra le parti) - Ipotesi 1: se le opere sono eseguite dal proprietario del terreno con materiali altrui, il proprietario del terreno, acquista la proprietà del tutto pagando semplicemente il valore dei materiali. Salvo che il terzo (proprietario dei materiali) ne chieda la separazione e questa sia possibile senza danneggiare l’opera/la piantagione. (un operazione possibile senza recare danno alcuno). - Ipotesi 2: le opere sono eseguite dal proprietario dei materiali sul fondo altrui; il c.c. disciplina questa ipotesi con due regole: il proprietario del terreno può scegliere che siano tolte a spese di chi le ha fatte; il proprietario del terreno può decidere di farle proprie ma in questo caso deve pagare al proprietario dei materiali la somma minore fra il valore dei materiali e l’aumento del valore arrecato al fondo. 2) L’ accessione per fatto naturale può essere di due tipi: 1) alluvione e 2) avulsione - 1) L’alluvione si ha quando il proprietario di un fondo che si trova lungo un corso d’acqua vede aumentare la dimensione del suo terreno grazie agli incrementi di terreno che lentamente e in modo impercettibile si verificano nel corso del tempo (l’acqua che scorre in modo naturale fa sì che micro-pezzettini di terreno si muovono insieme all’acqua e vadano ad unirsi ad aggiungersi a terreni esistenti e di proprietà di qualcuno, sono incrementi impercettibili e lenti). - 2) nell’avulsione si verifica l’opposto ovvero che una porzione di terreno notevole e riconoscibile (sempre per colpa del corso dell’acqua) si stacca da un terreno per andarsi ad attaccare ad un altro terreno; il proprietario del terreno che acquisisce questa porzione notevole e riconoscibile di fondo, ne acquista la proprietà a titolo originario per accessione e in particolare per avulsione. La situazione è giuridicamente più complicata poiché qui oltre ad un soggetto che si è arricchito c’è anche un soggetto che si è impoverito in maniera notevole; la legge stabilisce allora che il proprietario del terreno che si è espanso, grazie all’avulsione, deve pagare al proprietario del terreno dal quale la porzione si è staccata, una indennità non superiore all’incremento di valore del fondo. UNIONE e COMMISSIONE È un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e si realizza in base allo stesso schema dell’ accessione soltanto che quando si parla di unione e commissione non si parla di terreni ma di beni mobili. Si ha unione o commissione quando: cose mobili appartenenti a proprietari diversi sono unite o mescolate così da formare una cosa unica ma senza dar luogo ad una cosa nuova. Il c.c. detta le regole nel caso in cui si verifichino unione e commissione senza un preventivo accordo tra i proprietari delle due cose mobili; le regole sono due: 1) se le cose si equivalgono come valore, la proprietà diviene comune; 2) se invece una cosa mobile è principale o ha un valore superiore rispetto all’altro, allora dei segni visibili per delimitare il confine (il confine è certo ma non c’è un segno, che anche i terzi possano vedere, di delimitazione). Anche qui i vicini possono accordarsi tra loro; laddove questo non è possibile ciascuno dei due si può rivolgere al giudice, con questa azione, chiedendo che vengano semplicemente apposti o ristabiliti dei segni distintivi dei singoli in modo che sia chiaro il confine tra i due. 5) L’azione di mero accertamento della proprietà È l’ultima azione a tutela della proprietà e non la si trova disciplinata nel c.c. poiché è di elaborazione giurisprudenziale (nell’ambito di processi che riguardavano il diritto di proprietà si sono resi conto che è un tipo di azione che può avere la sua utilità e dunque sarebbe stato opportuno riconoscere). Con questa azione un proprietario che ha interesse ad ottenere una pronuncia del giudice nel quali si afferma che lui è veramente il proprietario di quel bene ha la possibilità di farlo rivolgendosi al giudice. In questo caso non si ha nessuna controversia. Questa azione che la giurisprudenza riconosce a qualsiasi proprietario (che ha o non ha il possesso del bene) ha come unico fine di ottenere una pronuncia del giudice nella quale si accerta che ha veramente il diritto di proprietà sul bene in questione. 14° LEZIONE 7 APRILE ….. Il POSSESSO è definito dall’art 1140 del c.c. (terzo libro); è una situazione di fatto che si caratterizza perché un soggetto ha un potere materiale su una cosa e manifesta un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà (si comporta con l’intenzione di mettere in atto tutte quelle attività del diritto di proprietà) o di altro diritto reale minore. Il possessore illegittimo è il possessore che non ha anche la titolarità della situazione di diritto; mentre nel possessore legittimo la situazione di diritto e quella di fatto coincidono. Non va confuso il possessore illegittimo con possesso in malafede; un possessore illegittimo ben potrebbe essere un possessore in buonafede; es un ladro oltre ad essere un possessore illegittimo è anche un possessore in malafede, poiché il ladro possiede il bene con la consapevolezza di ledere l’altrui diritto. Invece è ben possibile ipotizzare un caso che un possessore sebbene illegittimo sia un possessore illegittimo di buonafede (è colui che possiede illegittimamente ma ignorando di ledere un diritto altrui, es acquistare un telefono rubato). Il possesso è quella situazione di fatto che si verifica quando sussistono due elementi: l’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo; l’elemento soggettivo è costituito dall’intenzione del soggetto di esercitare sulla cosa poteri corrispondenti al diritto di proprietà o altro diritto reale; l’elemento oggettivo consiste nel fatto che il soggetto ha il controllo materiale, effettivo, sulla cosa. In qualche situazione è possibile che vi sia soltanto uno dei due elementi ed in particolare che ricorra soltanto l’elemento oggettivo (un soggetto che ha il controllo materiale sulla cosa); la caratteristica della DETENZIONE è che il soggetto che ha il controllo effettivo sulla cosa, non manifesta però l’intenzione di comportarsi come proprietario (es. il meccanico con l’auto che porto). Detenzione qualificata e detenzione non qualificata Il detentore qualificato è il detentore che ha acquistato la disponibilità del bene nel suo interesse (es. l’inquilino che vive in affitto per suo interesse); la detenzione non qualificata si ha quando colui che acquistato il controllo sul bene lo ha fatto per ragioni di ospitalità o di lavoro (es. meccanico che riceve la macchina per lavorarci). Distinzione tra possesso immediato e possesso mediato Al di là dei due elementi che devono ricorrere, per poter parlare di possesso non è necessario avere attualmente l’uso della cosa. Acquisto del possesso Il possesso si acquista nel momento in cui si cominciano ad esercitare sulla cosa poteri corrispondenti al diritto di proprietà o altro diritto reale; anche l’acquisto del possesso si può verificare tanto a titolo originario (con l’impossessamento) quanto a titolo derivativo (con la consegna della cosa); nel caso in cui l’acquisto del possesso avvenga con la consegna può avvenire o con la consegna materiale o con la consegna simbolica (es. chiavi dell’immobile); ci sono due ipotesi in cui la consegna non è nemmeno simbolica ma è proprio finta (non si verifica): si parla di traditio ficta perché non si ha alcun mutamento nella relazione di fatto che ha il soggetto con la cosa, quello che cambia è l’animus. Le due ipotesi sono la traditio brevi manu e il costituto possessorio: si ha la prima ipotesi quando il detentore acquista il possesso del bene (inquilino che acquista l’immobile in cui viveva); si ha costituto possessorio quando il possessore, perdendo il possesso, diviene detentore ma mantiene il controllo sulla cosa (es. proprietario di un immobile vende il proprio immobile ma continua a viverci facendoselo dare in locazione dal nuovo proprietario). LE AZIONI POSSESSORIE Le azioni possessorie non devono essere confuse con le azioni a tutela della proprietà. (c’è domanda nel compitino) Contro l’altrui condotta volta a privarmi del mio possesso, finché l’azione è in atto io posso difendermi reagendo. Sotto il profilo civilistico, una volta che l’azione è esaurita si è costretti a rivolgersi al giudice attraverso le azioni possessorie. Vi è un rapporto tra le azioni a tutela della proprietà e le azioni a tutela del possesso poiché in molti casi il proprietario è anche possessore, ed in questo caso esso è libero di scegliere se tutelare la propria situazione giuridica attraverso le azioni a tutela della proprietà oppure attraverso le azioni possessorie, le quali seguono una procedura giurisdizionale più snella e veloce (non c’è la prova diabolica); l’azione possessoria offre una tutela provvisoria, dato che chi perde nel giudizio possessorio può poi se vuole agire con un azione a tutela della proprietà. Nel nostro ordinamento vige il divieto di cumulo (finché dura il giudizio possessorio non si può iniziare un giudizio a tutela della proprietà). Le azioni a tutela del possesso sono quattro: 1) L’azione di reintegrazione È la prima azione a tutela del possesso ed è volta a reintegrare nel possesso del bene il possessore che sia rimasto vittima di uno spoglio (privazione duratura del possesso) violento o clandestino. Questa azione spetta non solo al possessore ma spetta anche al detentore, ma solo al detentore qualificato (legittimato attivo). Il legittimato passivo è l’autore materiale dello spoglio e chi si trova nel possesso o nella detenzione del bene. L’azione non è imprescrittibile ma deve essere esercitata entro un anno dallo spoglio o dalla scoperta dello spoglio. 2) L’azione di manutenzione È la seconda azione possessoria e può essere utilizzata in due casi: in primis 1) quando il soggetto vuole reintegrare il proprio possesso laddove il soggetto sia stato vittima di uno spoglio ma non violento né clandestino; oppure è utilizzata 2) quando vi sono delle molestie (di fatto o di diritto) di cui è vittima il possessore. Può esercitare l’azione di manutenzione (legittimazione attiva) non il detentore però non la può esercitare nemmeno qualsiasi possessore bensì legittimato attivo nell’azione di manutenzione è soltanto il possessore di un bene immobile nonché il possessore di un universalità di mobili, a condizione che sia possessore del bene in questione da almeno un anno e lo sia in modo continuato e non interrotto. Legittimato passivo sarà l’autore dello spoglio non violento né clandestino oppure l’autore delle molestie. Anche in questo caso il possessore deve agire entro un anno. 15° LEZIONE 13 APRILE LE OBBLIGAZIONI (fonti delle obbligazioni) L’ Art 1173 del c.c. elenca quali sono le fonti delle obbligazioni ossia come possono sorgere nel nostro ordinamento le obbligazioni; la prima fonte dell’obbligazione è il contratto, la più importante, alla quale si deve aggiungere il fatto illecito; inoltre è fonte di obbligazione ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni perché lo dice l’ordinamento giuridico. Il rapporto obbligatorio è un rapporto che intercorre tra due soggetti, uno è il soggetto attivo dell’obbligazione (il creditore) e uno il soggetto passivo (il debitore); le parti attive o passive o entrambe possono essere anche più di uno. L’oggetto dell’obbligazione è la prestazione: il comportamento dovuto dal debitore nell’interesse del creditore (perché un obbligazione possa validamente sorgere è necessario non solo che abbia ad oggetto una prestazione ma anche che vi sia un interesse del creditore a quella precisa obbligazione) In base alle caratteristiche delle prestazioni distinguiamo le obbligazioni di dare, di fare e di non fare. 1) Le obbligazioni di dare -> in queste obbligazioni la prestazione dovuta dal debitore nell’interesse del creditore consiste nel consegnare una determinata res (cosa); nelle obbligazioni del dare si devono distinguere le obbligazioni nelle quali la res da consegnare al creditore consiste in denaro, poiché in questo caso si parla di obbligazioni pecuniarie, e dato che il denaro è una res particolare, queste obbligazioni ricevono nel c.c. una disciplina specifica proprio per l’oggetto in questione. 2) Le obbligazioni di fare -> qui la prestazione, dovuta dal debitore nell’interesse del creditore consiste in un comportamento attivo diverso dalla consegna di una cosa (es. obbligazione del debitore di costruire una casa, lavoratore rispetto alla sua attività lavorativa nei confronti del datore di lavoro). 3) Le obbligazioni di non fare -> in queste obbligazioni la prestazione, dovuta dal debitore nell’interesse del creditore, consiste in un comportamento di astensione del debitore dallo svolgere qualche attività (che laddove non ci fosse l’obbligazione del non fare, il debitore può svolgere). Quando si parla di obbligazione, come è essenziale che vi sia una prestazione è altrettanto necessario che vi sia un interesse del creditore a quella specifica obbligazione, esso è requisito essenziale dell’obbligazione al pari della prestazione. L’art 1174 con riferimento all’interesse del creditore fa una specificazione importante, la disposizione stabilisce che: l’interesse del creditore può essere sia patrimoniale che non patrimoniale. Il fatto che l’interesse del creditore possa anche essere non patrimoniale non deve far pensare che sia in contrasto rispetto all’affermazione che la prestazione deve essere patrimoniale (suscettibile di valutazione economica). La prestazione, perché possa sorgere un obbligazione valida, deve avere alcune caratteristiche elencate nel Codice civile: 1) La prestazione deve essere possibile: il comportamento dedotto nell’obbligazione deve essere un comportamento possibile; 2) La prestazione deve essere lecita: il debitore non può obbligarsi a tenere un comportamento contrario all’ordinamento giuridico; 3) La prestazione deve essere determinata o almeno determinabile: è necessario che il comportamento al quale si è obbligato il debitore sia un comportamento determinato nel senso che è necessario che si capisca con chiarezza quale è il comportamento che dovrà essere tenuto dal debitore (almeno determinabile nel senso che sono indicati nel titolo in cui sorge l’obbligazione dei dati utili a rendere determinata l’obbligazione in questione); 4) La prestazione deve essere patrimoniale: suscettibile di valutazione economica; significa che la prestazione deve essere traducibile in un valore monetario (il fatto che la prestazione debba essere patrimoniale non è in contrasto con l’affermazione che l’interesse del creditore, a differenza della prestazione che deve essere patrimoniale, può anche non essere patrimoniale). Le obbligazioni civili non vanno confuse con quelle che nel nostro ordinamento chiamiamo obbligazioni naturali. Le obbligazioni naturali sono disciplinate dall’art 2034 e sono delle obbligazioni particolari nelle quali il debitore decide volontariamente/spontaneamente di eseguire il comportamento stabilito dall’obbligazione naturale e sceglie di eseguire l’obbligazione non perché tenuto a quel comportamento dalla legge ma perché mosso da doveri morali o sociali che fanno parte del contesto storico e culturale nel quale il debitore vive (es. debito di gioco, il quale non è un obbligazione civile). Nelle obbligazioni naturali il debitore esegue la prestazione (es. paga) non perché tenuto dalla legge ma solo per un dovere morale ed etico che lo muove; mentre nelle obbligazioni civili il creditore che non riceve la prestazione si può rivolgere al giudice chiedendo l’attuazione del suo diritto, in quelle naturali no. Dall’art 2034 emerge che se il debitore dell’obbligazione naturale volontariamente e spontaneamente adempie all’obbligazione, l’unica conseguenza giuridica che vi è che il debitore non può ripetere quanto è versato (chiedere la restituzione di quanto pagato); perché questa regola che vieta la ripetizione produca i suoi effetti è necessario che l’adempimento dell’obbligazione sia stato effettuato volontariamente e spontaneamente ed è anche necessario che il debitore nel momento dell’adempimento dell’obbligazione naturale sia capace di agire. Quando un debitore di un obbligazione civile adempie non importa se è capace di intendere o volere poiché non vi è una scelta ma l’adempimento è un atto dovuto per legge. Nelle obbligazioni civili il creditore quando riceve l’adempimento deve essere capace di agire perché deve essere in grado di valutare la correttezza dell’adempimento effettuato dal debitore; se il debitore esegue la prestazione nelle mani di un creditore incapace, non si è liberato. L’unica cosa che può liberare il debitore nonostante abbia eseguito il pagamento nei confronti di un creditore incapace è una prova liberatoria attraverso cui deve dimostrare che quanto è stato versato, è stato versato a vantaggio dell’incapace (la prestazione è rimasta integra fino a quando il soggetto è diventato capace). Normalmente l’adempimento è effettuato direttamente dal debitore. L’obbligazione può essere adempiuta da un terzo (un soggetto che non sia il debitore)? Il creditore deve accettare l’adempimento effettuato da un terzo? Tendenzialmente l’adempimento può essere effettuato anche da un terzo. Ci sono però due ipotesi in cui il creditore può rifiutare l’adempimento del terzo: 1) il creditore può rifiutare l’adempimento del terzo quando ha interesse a che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore; 2) il creditore può rifiutare l’adempimento del terzo se anche il debitore dell’obbligazione si oppone all’adempimento del terzo. Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento sono: la compensazione, la confusione, la novazione, la remissione e l’impossibilità sopravvenuta della prestazione. (da studiare nel libro) IL CONTRATTO (fondamentale da sapere tutto nel compito) È la fonte delle obbligazioni più importante. L’art. 1321 del c.c. ci dà la definizione di contratto: è l’accordo tra due o più parti per costituire (far nascere) regolare o estinguere (eliminare) un rapporto giuridico patrimoniale. Dalla definizione si evince che è un negozio giuridico (quindi quando le parti concludono un contratto vogliono che si producano quegli effetti che la norma farà derivare dalla stipulazione del contratto); è un atto bilaterale o plurilaterale; è un atto patrimoniale; elemento essenziale del contratto è l’accordo delle parti, e a norma dell’art. 1325 gli elementi essenziali del contratto sono: l’accordo, l’oggetto, la causa e la forma, solo se prescritta a pena di nullità; si chiamano elementi essenziali perché: 1) devono esserci per forza perché venga stipulato validamente un contratto; 2) per venire distinti dagli elementi accidentali del contrato (la condizione, il termine e il modus) i quali possono esserci o meno. [Come si forma un contratto?] La regola è che un contratto è concluso quando chi ha fatto la proposta (il proponente) è a conoscenza dell’accettazione; la proposta (Un atto unilaterale ricettizio) è diretta ad un determinato soggetto (l’oblato). Quando proponente ed oblato non si trovano nello stesso luogo lo schema generale è quello per cui il contratto è concluso quando il proponente viene a conoscenza dell’accettazione. Tanto la proposta quanto l’accettazione sono atti unilaterali, a differenza del contratto che è un atto bilaterale, inoltre sono atti ricettizi (quegli atti che producono effetti solo quando giungono a conoscenza del loro destinatario). Dato che la conoscenza non può essere una conoscenza soggettiva; agli atti ricettizi, come proposta ed accettazione, nel nostro ordinamento si applica una regola che si chiama la regola della presunzione di conoscenza (art. 1335 del c.c.): è la presunzione per cui un atto si presume conosciuto dal suo destinatario quando giunge al suo indirizzo, salvo che il destinatario dimostri di non aver potuto conoscere senza colpa l’atto in questione. Vi sono altre due ipotesi in cui il contratto non si conclude: 1) quando l’accettazione è un accettazione tardiva, nel senso che l’accettazione dell’oblato è giunta all’indirizzo del proponente ma in ritardo rispetto ai tempi indicati nella proposta; questo impedisce la formazione del contratto. 2) L’altra ipotesi in cui il contratto non si conclude, nonostante l’accettazione dell’oblato giunga all’indirizzo del proponente, è quando l’accettazione dell’oblato è difforme rispetto alla proposta inviata dal proponente; l’accettazione difforme nel nostro ordinamento equivale, nel nostro ordinamento, a nuova proposta, vuol dire che chi era inizialmente l’oblato diviene un nuovo proponente il quale fa una nuova proposta e chi era originariamente il proponente diventa l’oblato, ossia il destinatario di questa nuova proposta; a questo punto si andrà avanti fino a che non si raggiunge l’accordo, quando proposta e accettazione non sono conformi. C’è uno schema previsto dal c.c. nell’art 1327 che prevede la possibilità che il contratto si concluda non con l’accettazione dell’oblato ma mediante esecuzione; in questi casi non è necessaria un accettazione preventiva ma perché il contratto possa dirsi concluso basta che l’oblato esegua la prestazione dovuta in base al contratto; questo modo di formazione del contratto è possibile nel nostro ordinamento o su richiesta dello stesso proponente oppure si può avere questo modo di conclusione del contratto perché lo richiede la natura dell’affare o è previsto secondo gli usi presenti in quel contesto. Anche nelle ipotesi in cui il contratto si conclude mediante esecuzione, senza preventiva accettazione dell’oblato, è però necessario che l’oblato dia prontamente avviso al proponente di aver iniziato l’esecuzione del contratto, in caso non lo faccia dovrà risarcire l’eventuale danno causato. OGGETTO, CAUSA E FORMA DEL CONTRATTO L’OGGETTO è costituito dalle prestazioni dedotte nel contratto; l’oggetto deve avere determinate caratteristiche: deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Deve essere possibile poiché non avrebbe senso un contratto che prevede delle prestazioni irrealizzabili; deve anche essere lecito nel senso che le prestazioni dedotte nel contratto non possono essere prestazioni disapprovate dall’ordinamento; l’oggetto del contratto è illecito quando è contrario a norme imperative (quelle norme che non possono essere derogate dai privati nell’esercizio della loro autonomia contrattuale perché sono norme che volutamente limitano la libertà contrattuale allo scopo di proteggere valori ed interessi fondamentali per il nostro ordinamento), contrario all’ordine pubblico (quei valori che informano l’organizzazione pubblica ed economica del nostro ordinamento) e contrario al buon costume (si intendono quelle regole di comportamento non scritte ma comunque riconosciute vincolanti secondo la coscienza etica diffusa nella società); il contratto illecito nel nostro ordinamento è un contratto invalido e un contratto nullo. La regola nel nostro ordinamento è quella per cui qualsiasi spostamento di ricchezza deve avere una giustificazione; parlando del contratto qualsiasi spostamento di ricchezza deve avere una causa, deve essere giustificato. La CAUSA del contratto è la ragione giustificativa degli spostamenti patrimoniali che si realizzano col contratto (es. nel contratto di compravendita la causa è lo scambio di una cosa con un prezzo, una somma di denaro). Differenza tra la causa e i motivi che hanno spinto le parti a stipulare il contratto; i motivi, come regola generale nell’ambito della conclusione del contratto, sono irrilevanti; c’è un unico caso in cui il motivo ha rilevanza, in ambito contrattuale, poiché rende il contratto nullo: è il caso in cui il motivo è illecito e comune ed entrambe le parti. La FORMA è l’ultimo elemento essenziale del contratto ma è un elemento essenziale solo quando è prescritto dall’ordinamento a pena di nullità. Il c.c. stabilisce tutta una serie di casi in cui il contratto deve avere almeno la forma scritta per poter essere stipulato validamente, si parla di contratti a forma vincolata: contratti per il perfezionamento dei quali deve essere utilizzata dalle parti la forma prescritta dalla legge (art. 1350 elenco di contratti che devono essere stipulati per iscritto, tra cui contratti che trasferiscono diritti reali su beni immobili). Se non lo fanno il contratto è nullo, se non rispettano la forma scritta. Ci sono nel nostro ordinamento anche altri contratti a forma vincolata, previsti da altre norme per i quali sono previste delle forme ancora più severe. C’è un contratto per il quale non basta l’atto pubblico ma è necessaria addirittura la presenza di due testimoni: contratto di donazione. Per la validità dell’atto si parla di forma ad sustantiam (se non è rispettata la forma prescritta dalla legge il contratto è nullo); ci sono casi in cui la forma scritta è richiesta soltanto per provare il contratto (in un contenzioso futuro) ma per la validità del contratto non è necessaria. 17° LEZIONE 27 APRILE 18° LEZIONE 28 APRILE Mentre l’annullabilità è orevista nell’interesse particolare di un contraente mentre la nulllità è invece un azione prevista nell’interesse generale della collettività. Ci sono due almeno eccezzioni : vi è un casi di annullabilità ji cui l’annullamento del contartto può essere chiesto da chiunque ne abbia interesse (annullabilità assoluta); il caso in questione è quello dell’interdetto legale. Ci sono dei casi dove la nullità può essere chesta da una sola pare; un esempio è la nullità prveesita per i conratti stipulati in detrimati casi dal consumatore; pur parlando di nullità, enon di annullabilità, eccezionalmente si tratta di una nullità che può essere sollevata soltatno dal consumatore. Convalida del contratto annullabile : la convalida è uno strumento che permette alla parte nell’interesse della quale è prevista l’annnullabilità di salvare (convalidare) il contratto annullabile. Si tratta di un atto unilaterale ricettizzio che può essere posto in essere solo dalla parte di cui l’; e perché la convalida possaprodurre i suoi effetti è necessario che l’iniziativa sia presa dalla parte e che emerga la volontà della parte di convalidare il contratto e soprattutto cje la parte era a conosenza. La convalida può essere tanto espressa quanto tacita la conversione del contratto nullo : il contratto nullo non può essere uno srumento che opera per volontà della legge per far produrre al contratto nulllo degli efeftti è lo strumento della conversione del conratto nullo. Rescissione: è un caso di invalidità del contratto che si può verificare quando un contratto viene stipulato in condizioni particolari/anomale che portano uno dei contraenti proprio a causa di queste condizioni dello stato in cui si trova, a stipulare un contratto svantaggioso; quindi, le due circostanze che accomunano le due ipotesi di rescissone di contratto sono lo squilibrio economico e il fatto che si stipula il contratto in circostanze anomale. Nello stato di pericolo uno dei contraenti si trova a concludere un contratto a condizioni svantaggiose che cacetta proprio per il quale si trova Stato di bisogno Nel nostro ordinamento si può divenire alla rescissione di un contratto in particolare in due casi: il primo è lo stato di pericolo mentre il secondo è lo stato di bisogno; si ha stato di pericolo quando un contraente stipula un contratto a condizioni svantaggiose per salvare se o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona. Perché il contratto sia rescindibile è necessario un altro requisito: che lo stato di pericolo fosse nota a controparte. (es. la guida alpina) Lo stato di bisogno è la seconda ipotesi in cui è possibile adivenire alla rescissione del contratto; si ha stato di bisogno quando un contraente decide d sipulare un contratto a cui, a dterminate codniizoni svantaggiose, porpio perché si trova in uno stato di bisogno, con ciò intendendosi un bisogno di tipo economico anche momentaneo (mancanza di liquidità come nell’esempio). Come nello stato di pericolo è necessario che l’altro contraente (chi ha acquistato la casa ad un prezzo vantaggioso) fosse a conoscenza dello stato di bisogno della controparte (fosse in malafede). In caso di stato di bisogno la legge che lo squilobrio si auna squilibrio paricolarmente significativo (il nostro legislatore quantifica lo stquilibrio stabilendo che debba trattarsi di uno squilibrio oltre la metà) cioè è necessario, ad esempio,
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