Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti lezioni diritto pubblico., Appunti di Diritto Pubblico

All'interno del file trovate gli appunti della materia sopra citata; organizzato e chiaro.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 25/11/2021

sil.molli.00
sil.molli.00 🇮🇹

4.7

(3)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti lezioni diritto pubblico. e più Appunti in PDF di Diritto Pubblico solo su Docsity! DIRITTO PUBBLICO Il diritto pubblico si occupa di due ambiti: 1. L'organizzazione dei pubblici poteri 2. La disciplina giuridica dei rapporti fra l'autorità pubblica e i singoli soggetti privati Quando si fa la distinzione tra diritto pubblico e privato sottintendiamo a monte un'altra distinzione, ovvero la distinzione tra diritto soggettivo e oggettivo. DIRITTO SOGGETTIVO: pretesa giuridica che l'individuo rivendica nei confronti degli altri soggetti o nei confronti dello Stato DIRITTO OGGETTIVO: insieme di norme giuridiche dettate da un ordinamento giuridico. Lo Stato è l’unico soggetto dotato di una caratteristica particolare, ovvero è l’unico soggetto che detiene il monopolio della forza legittima, ovvero lo Stato detta le norme giuridiche, ne cura l'applicazione e ha la forza di imporre il rispetto di quelle stesse norme. Le regole contenute negli atti giuridici vengono poi interpretate dagli studiosi di una certa materia (dottrina= insieme degli studiosi di una certa materia). Tali norme giuridiche vengono quindi interpretate dai singoli giudici che devono applicare. Il significato che i giudici attribuiscono alle norme applicandole viene denominato come giurisprudenza. FONTI DEL DIRITTO, ATTI NORMATIVI E ATTI DELL'AMMINISTRATORE INTRODUZIONE: 1. Nozioni fondamentali in materia di fonti del diritto 2. Principio di esclusività, norme di riconoscimento, tecnica del rinvio normativo 3. Interpretazione degli atti normativi 4. Come si costituisce il sistema delle fonti del diritto nell'ordinamento italiano alla luce di determinati criteri: criterio gerarchico Criterio cronologico Criterio di specialità Criterio di competenza Riserva di legge, principio di legalità NASA 1) NOZIONI FONDAMENTALI IN MATERIA DI FONTI DEL DIRITTO FONTI DI PRODUZIONE: qualunque atto o fatto giudicato idoneo dall’ordinamento giuridico a dettare norme giuridiche. E° l'ordinamento giuridico statale che identifica gli atti e/o i fatti idonei a dettare regole di condotta obbligatoria per tutti i consociati. FONTE DI COGNIZIONE: quegli strumenti con cui ciascuno può prendere conoscenza delle norme giuridiche. -fonte di cognizione ufficiali -fonti di cognizione non ufficiali a. FONTI DI COGNIZIONE UFFICIALI: quegli atti che contengono le norme giuridiche, ovvero che contengono gli atti giuridici che l'ordinamento qualifica come idonei ad introdurre norme giuridiche (es. Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, la gazzetta ufficiale dell'UE, i singoli bollettini ufficiali delle regioni) La pubblicazione degli atti normativi all’interno delle fonti di cognizione ufficiali è un fatto importante per due motivi: -la pubblicazione determina l’entrata in vigore di quelle norme giuridiche -la pubblicazione determina una presunzione di conoscenza, da parte dei privati, della pubblica amministrazione e dei giudici. b. FONTI DI COGNIZIONE NON UFFICIALI: mezzi di conoscenza promanate da pubbliche autorità o da privati (case editrici). Le notizie che esse pubblicano non hanno valore legale. > RINVIO MOBILE: non rimanda ad un atto normativo di un altro ordinamento, ma ad una fonte normativa di un altro ordinamento. ES. L'art. 10 comma 1 della Costituzione stabilisce che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Esso stabilisce, quindi, che l'ordinamento giuridico statale si conforma a quelle che si è soliti chiamare come consuetudini internazionali, cioè norme di diritto internazionale che tutti gli Stati riconoscono. Tali norme hanno una fonte consuetudinaria ma sono comunque vincolanti. Mentre per quanto riguarda il rinvio fisso la norma interna dello Stato (l'ordine di esecuzione) si riferisce specificamente ad un determinato trattato internazionale, l'art. 10 comma 1 Cost. non rimanda ad un atto o ad un fatto normativo determinato ma rimanda genericamente a tutte le consuetudini che si siano formate e che si formeranno nell'ordinamento internazionale. 4-7) CRITERI PER DARE ORDINE ALLE FONTI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO E PER RISOLVERE EVENTUALI CONTRASTI FRA NORME. Nell'ordinamento giuridico italiano vi è un numero elevato di fonti. ELENCO: 1. Costituzione e leggi costituzionali 2. Consuetudini internazionali 3. Leggi dello Stato e delle regioni e gli atti con forza di legge (fonti primarie) 4. Regolamenti (fonti secondarie) 5. Consuetudini ANTINOMIA NORMATIVA: contrasto tra due norme. La soluzione dell’antinomia normativa presuppone determinati criteri per la sua risoluzione, che sono: ® Criterio gerarchico ® Criterio cronologico ® Criterio di competenza ® Criterio di specialità L'applicazione di uno o più di questi criteri consente di risolvere le singole antinomie normative. Non esiste un ordine di importanza per questi criteri. CRITERIO GERARCHICO: buona parte delle fonti dell'ordinamento giuridico italiano possono ricostruirsi secondo un criterio gerarchico, esiste cioè una vera e propria scala gerarchica delle fonti. Le fonti che stanno sui “gradini” più alti della scala gerarchica prevalgono sulle fonti collocate sugli scalini più bassi. La Costituzione e le leggi costituzionali rappresentano la fonte normativa di grado più elevato. Al secondo posto della scala gerarchica vi sono le consuetudini internazionali (art. 10 c.1 Costi.). L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle consuetudini internazionali, purché quest'ultime rispettino i principi fondamentali della Costituzione, per questo motivo occupano uno scalino più basso della Costituzione. Scendendo di uno scalino ulteriore vi sono le leggi e gli atti con forza di legge. La legge può essere statale o regionale. Vi sono degli atti normativi previsti dalla carta costituzionale che sono diversi dalla legge ma hanno la stessa forza, occupano cioè lo stesso gradino nella scala gerarchica delle fonti. Tra i più importanti vi sono: il decreto legislativo delegato (art. 76 Cost.) e il decreto legge (art. 77 Cost.). Scendendo di un ulteriore gradino vi sono le fonti secondarie, ovvero i regolamenti, statali da una parte e regionali dall’altra. AI livello più basso della scala gerarchica vi sono le consuetudini interne all'ordinamento giuridico statale. Cosa significa quindi stabilire che vi è un ordine gerarchico fra le fonti? Significa che le fonti di rango inferiore debbono rispettare le fonti di grado superiore. Quando una norma di grado inferiore contrasta una norma di grado superiore (antinomia normativa), quest’ultima prevale sull'altra. Qual è l’effetto di questa prevalenza? La norma contenuta in un atto fonte di grado inferiore che contrasta con una fonte di grado superiore è illegittima e, quindi, priva di validità (=conformità di un atto rispetto alle norme giuridiche che lo disciplinano). L'effetto giuridico di questa illegittimità è l'annullamento. Quest'ultimo consiste nella dichiarazione di illegittimità della norma contenuta nella fonte di rango inferiore. L’annullamento ha effetti generali, vale cioè nei confronti di tutti i consociati. L’annullamento ha anche effetti retroattivi: esso non dispone l’invalidità di una certa norma solo nel momento in cui l'annullamento viene disposto (quindi per il futuro), ma vale anche per il passato. Se l’atto è invalido e, quindi, illegittimo lo è fin dall’origine, ovvero fin da quando è diventato vigente nell'ordinamento. Tuttavia la retroattività dell’annullamento non è illimitata, incontra il limite dei rapporti giuridici esauriti. | rapporti giuridici si possono distinguere fra: RAPPORTI GIURIDICI APERTI e RAPPORTI GIURIDICI ESAURITI. Quest’ultimi sono quelli che non possono più venire messi in discussione (es. Se io stipulo un contratto d’appalto, vengo a lite con l'appaltatore sull’interpretazione di alcune clausole contrattuali, finiamo davanti ad un giudice e quest’ultimo decide il nostro caso con una sentenza che diventa definitiva, io non posso più pretendere di discutere il contenuto di quel rapporto giuridico come definito da una sentenza definitiva). Nell'ordinamento giuridico vi sono alcuni istituti che determinano la chiusura di un rapporto giuridico: il decorrere del tempo determina la prescrizione di determinati diritti; ci può essere la decadenza, ovvero in alcuni casi la legge mi impone l'esercizio di un diritto entro una certa data, oltre la quale decade dall'esercizio di quel diritto; una sentenza definitiva (sentenza passata in giudicato) definisce in modo incontestabile un determinato rapporto giuridico. Prescrizione, decadenza e giudicata sono istituti giuridici che determinano la chiusura di un rapporto giuridico. L’annullamento opera retroattivamente ma esplica effetti solo sui rapporti giuridici ancora pendenti (aperti). CRITERIO CRONOLOGICO: nell'ipotesi di contrasto tra due norme che stiano sullo stesso piano della scala gerarchica delle fonti si deve preferire la norma più recente rispetto a quella più datata. Nello stesso scalino delle fonti accanto alla legge vi sono anche gli atti con forza di legge (decreto legge da una parte e decreto legislativo dall’altra), atti-fonte che non hanno la forma della legge ma hanno la stessa forza. Nell'ipotesi in cui una norma contenuta in un decreto legislativo delegato contrasti con una norma contenuta nelle leggi dello Stato, siano di fronte ad un'autonomia normativa fra due atti fonte posti sullo stesso piano nella scala gerarchica delle fonti e quindi anche in questo caso darò prevalenza alla norma più recente. Qual è lo strumento giuridico attraverso cui opera il criterio cronologico? Per il criterio cronologico lo strumento è quello dell’abrogazione. L'abrogazione è l’effetto che produce la norma più recente sulla norma più datata, consistente nel delineare l'efficacia della norma giuridica più vecchia nel tempo. Ciò significa che fino ad un certo punto sarà vigente la norma più vecchia, mentre da un certo punto in poi diventerà vigente la norma più recente, la quale quindi abroga la norma più datata. Gli effetti dell’abrogazione solitamente sono solo nel futuro. Nel momento in cui il legislatore introduce una norma abrogante, potrebbe disporre degli effetti retroattivi? Dipende. Il legislatore non può mai introdurre norme retroattive in materia strettamente penale. Costituzione e nei regolamenti parlamentari e solo la legge formale ordinaria può intervenire in quelle materie. ESEMPI l'art. 77 individua nel decreto legge un atto normativo. Il decreto legge è un atto normativo adottato dal Governo e consente di introdurre nell'ordinamento norme che hanno la stessa forza di legge. L'art. 77 afferma anche che entro 60 giorni quel decreto legge deve essere convertito in una legge da parte delle Camere. Se ciò non avviene, le regole giuridiche introdotte con decreto legge decadono e decadono fin dall'origine, ovvero sin dal momento in cui sono entrate in vigore. ART. 76 - decreto legislativo delegato - la Costituzione stabilisce che in determinate condizioni le Camere possono delegare la funzione legislativa al Governo. Il Governo esercita la delega ricevuta adottando un atto normativo definito decreto legislativo delegato. Gli art. 76 e 77 introducono una riserva di legge, stabiliscono cioè che una legge intervenga a convertire il decreto legge, ovvero a ratificare l’attività del Governo, oppure a delegare a monte la funzione legislativa al Governo. Entrambe queste riserve di legge sono riserve di legge formali, cioè laddove la Costituzione parla di legge si riferisce alla legge formale ordinaria escludendo gli atti con forza di legge. RISERVE DI LEGGI SEMPLICI/COMUNI: la riserva di legge semplice impone che una certa materia sia disciplinata dalla legge o dagli atti con forza di legge. Si distingue fra: a) RISERVE DI LEGGE ASSOLUTE: impone che una certa materia, un certo oggetto o un certo rapporto giuridico sia disciplinato integralmente dalla legge o dagli atti con forza di legge. ES. la Costituzione stabilisce che per la libertà personale le misure limitative debbono essere previste da norme di legge. La riserva di legge dell’art. 13 prevista per la libertà personale è una riserva di legge assoluta, cioè le forme, i modi con cui la libertà personale può essere limitata devono essere previsti da una legge o da un atto con forza di legge, non possono cioè essere previsti da fonti di grado inferiore. b) RISERVA DI LEGGE RELATIVA: nell’ipotesi di riserva di legge relativa, la Costituzione vuole che la disciplina fondamentale della materia sia contenuta in una legge o in un atto con forza di legge, tuttavia ammette che ad integrare la disciplina possono intervenire anche fonti secondarie. E’ la Costituzione a dirmi espressamente che una certa riserva di legge è assoluta o relativa? No, la Costituzione si limita a stabilire che determinate materie, oggetti o rapporti giuridici siano coperti da riserve di legge. Da che cosa quindi scaturisce la distinzione fra riserve di legge assolute e relative? E° una distinzione che si ricava in via interpretativa cioè interpretando le singole disposizioni sistematicamente. La logica delle riserve di legge semplici è una logica essenzialmente garantista, si vuole cioè consentire al Parlamento di intervenire nella disciplina di una certa materia, materia che può essere disciplinata da un atto con forza di legge ma anche in questi casi è previsto un controllo da parte del Parlamento che interviene con una legge a monte o a valle dell'attività normativa dell’esecutivo. RISERVE DI LEGGE RINFORZATE: in alcuni casi la Costituzione non solo stabilisce che un certo rapporto giuridico, un oggetto o una certa materia debba essere disciplinata dalla legge o da atti con forza di legge ma impone anche un determinato contenuto a queste leggi o a questi atti oppure impone un particolare procedimento per la loro approvazione. a) RISERVE DI LEGGE RINFORZATE PER CONTENUTO: esempi: l’art. 14 Cost. disciplina la libertà di domicilio, l’ultimo comma di tale articolo dice che “accertamenti e ispezioni sono regolati da leggi speciali qualora ricorrano motivi di sanità, di incolumità pubblica oppure per fini economici e fiscali”. Qualora cioè ricorrano queste condizioni la legge può prescrivere una disciplina speciale per le limitazioni della libertà domiciliare. L'art. 16 disciplina la libertà di circolazione, ognuno può circolare liberamente sull'intero territorio nazionale, salvo (!) le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. L'art. 16, dunque, istituisce una riserva di legge per le sue limitazioni. E' la Cost. stessa a stabilire quando la libertà di circolazione può essere limitata. b) RISERVA DI LEGGE RINFORZATE PER PROCEDIMENTO: esempio: l'art. 8 disciplina i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica. All'ultimo comma afferma che lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica possono regolare con legge i loro rapporti ma sulla base di intese che vengono stipulate a monte tra lo Stato e la rappresentanza di una determinata confessione religiosa. L'art. 8 quindi introduce innanzitutto una riserva di legge, in quanto la materia dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diversa da quella cattolica devono essere disciplinate con legge. Però, la riserva di legge è anche rinforzata per procedimento in quanto l’approvazione della legge che regola tali rapporti deve essere necessariamente preceduta da una intesa, deve essere cioè stipulato un accordo. La razio della riserva di legge rinforzata per contenuto è quello di porre un limite alla discrezionalità del legislatore. La razio della riserva di legge rinforzata per procedimento è una logica che richiama l'esigenza di porre un limite alla maggioranza politica nei confronti di determinate minoranze. PRINCIPIO DI LEGALITA”: in forza del principio di legalità l'esercizio di qualsiasi potere pubblico deve necessariamente fondarsi su una norma giuridica che attribuisca quella specifica competenza ad una autorità pubblica. Qual è la razio che sottende questo specifico principio? La logica la si comprende riflettendo sul fatto che il principio di legalità costituisce una delle caratteristiche principali che segnano il passaggio dalla forma di stato assoluta allo stato di diritto. Il principio di legalità può declinarsi in due modi: a) PRINCIPIO DI LEGALITA’ FORMALE: è necessario che qualunque potere pubblico trovi un fondamento in una norma giuridica. b) PRINCIPIO DI LEGALITA’ SOSTANZIALE: non solo qualunque potere pubblico debba fondarsi in una norma giuridica ma s'intende anche che la norma giuridica indichi contenuti e limiti di quel particolare potere. LEZIONE 12/03/2020 COSTITUZIONE 1. Nozioni di Costituzione 2. Contenuti, le parti che la compongono 1. se nessuno fa nulla decorsi 3 mesi, si passa alla promulgazione e alla successiva pubblicazione, quindi la riforma diventa vigente. 2. nell’arco di 3 mesi, 1/5 dei membri di una Camera, 500.000 elettori o 5 Consigli regionali possono chiedere che sulla riforma si svolga un referendum. Il referendum viene convocato, il corpo elettorale vota, se i “sì” superano i “no” la riforma viene promulgata e pubblicata, se i “no” superano i “sì” la riforma si arresta. Per il referendum costituzionale non è previsto un quorum che ne sancisca la validità, in quanto il referendum è considerato in questo caso uno strumento a tutela delle minoranze che vogliono opporsi alla riforma costituzionale. Nella storia repubblicana ci sono stati 3 referendum costituzionali e se ne sarebbe dovuto svolgere un quarto. Il primo si è svolto a seguito di una riforma costituzionale nel 2001, tale riforma modificò il titolo V della parte Il della Costituzione riscrivendo la parte sulle autonomie territoriali. I due referendum successivi, il primo nel 2006 e il secondo nel 2016, ebbero esito negativo. Entrambi puntavano ad una riforma delle forma di Governo. Il quarto referendum riguarda una riforma costituzionale che ha tagliato in modo significativo il numero dei parlamentari. E' possibile modificare integralmente la Costituzione? E° possibile cioè introdurre qualunque modifica delle disposizioni costituzionali? No, la Costituzione può essere modificata, possono essere approvate leggi costituzionali che ne integrino il contenuto oppure che ne modifichino l’articolato, ma vi è un limite sancito in Costituzione e in più vi sono una serie di limiti che si ricavano in via interpretativa, quest'ultimi sono stati riconosciuti come limiti insormontabili da parte della stessa Corte costituzionale. -LIMITE ESPRESSO: l’art. 139 afferma che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale, non è quindi possibile passare da una forma di Stato repubblicana ad una forma di Stato monarchica. Il limite dell'art. 139, è l’unico limite che si impone ad una revisione costituzionale? No, l’art. 139 è stato interpretato non isolatamente, ma sistematicamente, ne è stata data cioè una lettura che ne coordina il contenuto con quello di altre disposizioni della stessa Costituzione. L'art. 139 è stato letto insieme all'art. 1 (“l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”). L’art. 139 sancisce l’immodificabilità della forma repubblicana di Stato e l'art. 1 connota l'ordinamento repubblicano come democratico, quindi tutto ciò che concorre a connotare in senso democratico l'ordinamento repubblicano sarebbe sottratto a revisione costituzionale. Che cosa connota in senso democratico un ordinamento giuridico? Si definisce democratico un ordinamento che rispetti determinate caratteristiche: a. La separazione dei poteri b. La tutela dei diritti fondamentali (art. 2 diritti inviolabili> quelli riconosciuti dagli art. 13 e seguenti) c. Carattere elettivo degli organi di Governo Principio di laicità dello Stato Tali principi, in quanto concorrono a connotare in senso democratico l'ordinamento giuridico sono anch'essi limiti alla revisione costituzionale. La stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che vi sono alcuni principi contenuti in Costituzione che possono essere definiti come principi supremi e che non sono soggetti a revisione costituzionale. Nell'ambito della Costituzione, quindi, possiamo distinguere una serie di principi giuridici che si collocano su uno scalino ancora più alto della scala gerarchica in quanto non possono essere oggetto di alcuna revisione costituzionale. Esiste un elenco dei principi supremi che non possono essere modificati nemmeno con una legge di riforma costituzionale? No, in quanto è più adeguato valutare di volta in volta il contenuto di una legge di riforma costituzionale chiedendosi se quella particolare legge contrasta con uno di questi principi supremi. E' la Corte costituzionale ad avere la competenza di tutelare la Costituzione dei confronti di leggi incostituzionali che pretendono di modificare delle parti della Costituzione che non possono essere modificate. 4) VWVIWVWVWv DISTINZIONE TRA COST. RIGIDA E COST. FLESSIBILE, POTERE COSTITUENTE E POTERE COSTITUITO, DIVERSI SIGINIFICATI DI COSTITUZIONE. (libro cap. 4 “la Costituzione” pag. 313-332) Diversi significati del termine “Costituzione”: con l’ottica del sociologo o di coloro che studiano la scienza politica, il termine Costituzione rimanda alla descrizione di un determinato sistema politico, cioè rimanda alla descrizione di come è organizzato di fatto un determinato sistema politico. Da questo punto di vista qualunque ordinamento giuridico ha una Costituzione, può anche non avere una Costituzione intesa come atto normativo ma può essere descritto nelle sue modalità di funzionamento. In un secondo significato la Costituzione può essere invece intesa come un manifesto ideologico o politico; questa seconda accezione interessa soprattutto gli studi degli storici e dei filosofi. Nel significato inteso dai giuristi la Costituzione è un atto normativo. POTERE COSTITUENTE: potere normativo in capo ad un'assemblea legislativa o ad un singolo soggetto il cui esercizio genera la Costituzione. Si dice che questo potere sia “libero nei fini”, cioè nel momento in cui si scrive la Costituzione contemporaneamente si affermano anche i principi e i valori che si sono affermati in quel particolare contesto storico. Una volta esaurito il potere costituente, cioè una volta scritta la Costituzione, nascono i POTERI COSTITUTIVI (es. potere legislativo), ovvero quei poteri subordinati nelle forme e nei contenuti alla Costituzione. 25/07/1943 caduta impero fascista Aprile 1944+ patto di Salerno Referendum giugno 1946+ scelta tra monarchia o Repubblica ed elezione dell’Assemblea costituente. LEZIONE 13/03/2020 FONTI PRIMARIE: LEGGI E ATTI CON FORZA DI LEGGE Atti con forza di legge: Decreto legislativo delegato (art. 76 Cost.) Decreto legge (art. 77) Decreti del Governo in caso di guerra (art. 78) Decreti di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale Referendum abrogativo (art. 75) la Cost. e i regolamenti parlamentari stabiliscono che vi possono essere modalità diverse con cui un disegno di legge viene esaminato, viene discusso e viene successivamente fatto oggetto di un voto che, se favorevole, consiste nell’approvazione dello stesso. L'approvazione delle leggi può avvenire per: -commissione referente -commissione deliberante -commissione redigente C. FASE DELLA PROMULGAZIONE: Si tratta di una fase necessaria, prevista in Cost. e che integra l’efficacia dell’atto; cioè è una fase senza la quale l'atto normativo approvato dalle Camere non acquista l’efficacia propria della legge. Si tratta di un controllo che il Capo dello Stato fa sull’attività legislativa delle Camere, un controllo formale e un controllo sostanziale. CONTROLLO FORMALE: il Capo dello Stato ha l'obbligo di controllare che il testo della legge votato da una Camera sia identico a quello votato dall’altra Camera. CONTROLLO SOSTANZIALE: il Capo dello Stato può rinviare la legge alle Camere. Esso deve rinviare il disegno di legge quando egli ravvisi violazioni evidenti della Costituzione. AI contrario egli non può rinviare alle Camere una legge in quanto egli dissenta dal contenuto politico di quella legge, in quanto il Capo dello Stato è un organo di garanzia costituzionale e non ha poteri di decisione politica. MERITO COSTITUZIONALE: si tratta di un’ “area” che sta in mezzo tra la legittimità costituzionale e la discrezionalità politica nella quale a volte il Capo dello Stato invita - le Camere a riflettere sulla compatibilità di una legge con l'assetto costituzionale dell'ordinamento. Il Capo dello Stato può rinviare la legge alle Camere, ma lo può fare una sola volta. Se a seguito del rinvio le due Camere approvano comunque quella legge, il Capo dello Stato deve necessariamente promulgare la legge (art. 74 comma 2 Cost.). D. FASE DELLA PUBBLICAZIONE: La legge viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale e diventa vigente. Altri tipi di legge: > LEGGI RINFORZATE: sono quelle leggi particolari che la Cost. contempla in quanto riferite a materie coperte da riserva di legge rinforzata per procedimento. Rispetto al procedimento legislativo ordinario, nel caso di riserva di legge rinforzata per procedimento, la Cost. aggiunge delle fasi ulteriori. ES. l'art. 8 Cost. impone che i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica siano disciplinate con legge; la legge però deve necessariamente essere preceduta dalla stipula di un accordo, denominato “intesa”, fra lo Stato e i rappresentanti della stessa singola confessione religiosa. In questo caso la riserva di legge non solo impone che questa materia sia disciplinata dalla legge, ma impone anche un particolare procedimento per l'approvazione di quella legge, laddove al normale iter legislativo si aggiunge una fase ulteriore, ovvero quella dell’intesa; in questo caso la riserva di legge rinforzata fa si che la stessa legge che viene approvata e deliberata all'esito di quel particolare procedimento risulta rinforzata. Che cosa significa dire che una legge è rinforzata? Significa evidenziare una particolare forza attiva e una forza passiva di quella legge. Quando siamo di fronte ad una legge rinforzata per procedimento, significa che quella particolare materia potrà essere disciplinata da una legge approvata solo all'esito di quel particolare procedimento. Ciò significa che quella legge rivolta a disciplinare solo una particolare materia e nessun'altra legge diversa da quella adottata con quel particolare procedimento potrò disciplinare quell'oggetto. La legge rinforzata ha una forza di legge passiva più “forte” delle altre leggi formali ordinarie, perché per abrogarla, per modificarla servirà un'altra legge che segna quello stesso procedimento. > LEGGI ATIPICHE: le leggi atipiche si differenziano per una forza di legge, attivo o passivo, diversa dalle altre. In questo caso, però, la diversa forza di legge non scaturisce da un procedimento particolare, ma discende da disposizioni costituzionali che in ragione delle particolari caratteristiche di determinate leggi, assegna loro una forza di legge diverse dalle altre che, quindi, rende questi atti fonte atipici, cioè diversi dal tipo della legge formale ordinaria. Diverse tipologie di leggi atipiche: - Leggi che si vedono riconosciuta in Cost. una forza di legge passiva rinforzata. Le leggi possono essere abrogate dal voto dello stesso corpo elettorale attraverso referendum abrogativo. Tuttavia, la Cost. stabilisce che alcune leggi non possano essere oggetto di un referendum abrogativo. Si tratta delle leggi tributarie e di bilancio. Le leggi di amnistia e di indulto e le leggi volte all’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Queste particolari categorie di leggi hanno, dunque, una forza di legge passiva rinforzata. - Leggi meramente formali: leggi che hanno la forma della legge ma non ne hanno il contenuto tipico, ovvero quello di introdurre disposizioni normative che valgono per tutti i consociati. TIPOLOGIE DI LEGGI MERAMENTE FORMALI: 1. Legge di approvazione del rendiconto consuntivo 2. Legge di approvazione del bilancio di previsione (ora no) 3. Legge di autorizzazione alla ratifica di alcuni trattati internazionali 1) Alla fine di ogni esercizio finanziario il Governo presenta al Parlamento il rendiconto consuntivo. Il rendiconto consuntivo è una fotografia contabile che viene sottoposta alle Camere per un controllo formale. Viene approvato con legge, ma, tale legge, non introduce nuove norme giuridiche vincolanti, ma con la fama della legge viene controllato l'operato dell'esecutivo e viene approvato il rendiconto. 2) La legge di approvazione del bilancio di revisione era considerata una legge meramente formale fino alla riforma costituzionale dell’art. 81 Cost. Prima di tale riforma, questa legge non modificava la legislazione sostanziale vigente, non introduceva disposizioni che incidessero sull’assetto finanziario dello Stato. Oggi, con la riforma, il nuovo art. 81 stabilisce che è una legge specifica che stabilisce il contenuto della legge di bilancio, ovvero la legge rinforzata 243/2012. Il rispetto di questo adempimento procedurale costituisce un obbligo giuridico per il Governo (es. può imporre al Governo l'adozione di un atto normativo sentite le regioni). Come il Governo esercita la delega legislativa ricevuta dalle Camere con la legge di delega? La legge di delega viene esercitata dal Governo con l’adozione di un decreto legislativo delegato. Il decreto legislativo delegato è l'atto normativo con forza di legge che il Governo adotta nell'esercizio della delega legislativa ricevuta dalle Camere ai sensi dell'art. 76. Nel momento in cui il decreto legislativo delegato viene pubblicato in Gazzetta ufficiale, acquistando quindi vigenza, la sua denominazione è quella di decreto legislativo. Il decreto legislativo delegato viene adottato all'esito di un particolare procedimento: ricevuta la delega delle Camere, i ministri competenti in materia si incaricheranno di elaborare una bozza di decreto legislativo, che viene sottoposto all'esame del Consiglio dei Ministri. In quella sede viene deliberato (approvato) il decreto legislativo delegato. A questo punto si aprono due strade: ® Se la legge di delega introduce uno di quei limiti ulteriori menzionati prima, il Governo sottoporrà la bozza del decreto nelle sedi imposte della legge di delega. ® Se la legge di delega non contempla limiti ulteriori, a seguito della deliberazione del Consiglio dei Ministri, il decreto legislativo delegato viene emanato dal Capo dello Stato. In fase di emanazione, il Capo dello Stato può svolgere una funzione di controllo, analoga a quella che svolge in sede di promulgazione delle leggi. Alla fase di emanazione segue la fase della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. OBBLIGATORIETA’ ED ISTANTANEITA' A fronte di una delega legislativa, il Governo è obbligato giuridicamente all'esercizio di quella delega? Vi sono sanzioni giuridiche per il Governo che decida di non esercitare quella delega? No, il Governo è libero di decidere se accogliere la delega oppure no. ES. La legge di delega indica un termine di 18 mesi, ma al dodicesimo mese il Governo esercita la delega adottando un decreto legislativo delegato. Nei sei mesi che mancano alla scadenza del termine il Governo potrebbe adottare ulteriori decreti legislativi delegati che correggano o completino la disciplina legislativa contenuta nel primo decreto legislativo delegato? Le Camere prevedono che entro il termine fissato nella legge di delega, il Governo possa adottare ulteriori decreti, chiamati correttivi o integrativi. RAPPORTI TRA LEGGE DI DELEGA, COSTITUZIONE E DECRETO LEGISLATIVO DELEGATO La legge di delega deve necessariamente avere quei contenuti obbligatori fissati dall'art. 76 Cost. Qualora uno di questi contenuti obbligatori mancasse la legge di delega sarà illegittima, sarà quindi annullabile da parte della Corte costituzionale. Non solo la legge di delega deve rispettare la Cost., ma anche il decreto legislativo delegato deve necessariamente rispettare la legge di delega. Ma se la legge di delega e il decreto legislativo delegato sono sullo stesso scalino della scala gerarchica delle fonti, perché il decreto legislativo delegato non può contraddire la legge di delega, facendo riferimento al principio cronologico? Questo ragionamento in termini giuridici è sbagliato: è vero che parliamo di fonti che stanno sullo stesso piano della scala gerarchica, tuttavia il decreto legislativo delegato ha una particolarità: costituisce un atto normativo con forza di legge che la Cost. ammette ma, ai sensi dell'art. 76, la ammette nei limiti della legge di delega. Quindi, il decreto legislativo delegato che contraddica la legge di delega, sarebbe illegittima, in quanto contraddicendo la legge di delega, violerebbe l'art. 76. TESTI UNICI + come fonte di produzione > Come fonte di cognizione In taluni casi la delega legislativa può avere come scopo quello di chiedere al Governo che in una determinata materia riordini la normativa vigente in quel settore, selezionando le norme da mantenere in vigore e abrogando le altre. Le Camere chiederanno al Governo di adottare un testo unico, cioè un atto normativo che contenga tutta la disciplina vigente in un settore. Nell'esercizio di quella delega il Governo potrà selezionare la normativa ritenuta vigente e abrogare quella superata; l’esito finale di questa operazione sarà che una determinata materia non sarà più regolata da un insieme di norme disomogenee tra di loro, ma da un unico atto normativo che conterrà tutta la normativa di quel settore. Questa è la definizione di testo unico inteso come fonte di produzione. Può capitare che in un settore dell’ordinamento nel quale la normativa si sia fastellata nel tempo in modo caotico che ad esempio un determinato ministero decida di fare ordine e raggruppi la normativa vigente in quel settore in un unico atto per facilitare l’attività dell'’amministrazione stessa. Questi atti sono semplici fonti di cognizione perché non vi è nessuna delega legislativa a monte che autorizzi il Governo a riordinare la normativa in quel settore. Al di fuori della delega legislativa si parlerà di testi unici denominati “di mera compilazione”. LEZIONE 19/03/2020 DECRETO LEGGE (ART. 77 COST.) In casi straordinari di necessità e di urgenza il Governo può adottare un atto con forza di legge, il quale entra in vigore immediatamente. Se non viene convertito il legge entro 60 giorni, quell’atto normativo decade. RAZIO? La Cost. ha voluto disciplinare un fenomeno giuridico che si è manifestato in tutti gli stati di diritto. Gli stati di diritto dell'800, erano forme di Stato non ancora compiutamente democratiche, nelle quali vi era però una separazione delle singole funzioni dello Stato (non erano più accentrate in capo ad un unico soggetto) e in quest'ambito cadeva sovente che in situazioni di necessità, situazioni nelle quali l'adozione di una legge avrebbe richiesto un tempo incompatibile con l'urgenza di disciplinare immediatamente una determinata situazione, ecco che il Governo ricorreva a normazione che non aveva un fondamento costituzionale; questa situazione, viene superata in quasi tutte le Cost. del ‘900, le quali prendendo atto di una situazione di fatto, ritengono di disciplinarla con norme di rango costituzionale. La decretazione d'urgenza diventa una fonte normativa che ha un fondamento in Cost., quindi diventa legittima, allo stesso tempo però la Cost. individua anche i fondamenti, le condizioni e i limiti con cui il Governo può adottare decreti legge che rispondano a situazioni di urgenza. Il decreto legge viene deliberato dal Consiglio dei Ministri, viene emanato dal Presidente della Repubblica e viene successivamente pubblicato in Gazzetta ufficiale. La pubblicazione determina l’immediata vigenza di quell’atto normativo, mentre per gli atti normativi, a seguito della pubblicazione, segue contenuta nel decreto legge decaduto, ma lo scopo è farsi carico di situazioni che, da situazioni disciplinate da norme di diritto divengono situazioni prive di qualsiasi disciplina. Oltre alla legge di sanatoria l'ordinamento giuridico, in forza dell'art. 77 prevede un altro strumento con cui far fronte alla mancata conversione di un decreto legge. Questo secondo strumento è la responsabilità del Governo che ha adottato il decreto legge non convertito. L'art. 77 comma 2 afferma: “quando in casi straordinari di necessità e di urgenza il Governo adotta sotto la sua responsabilità provvedimenti provvisori con forza di legge”. La Cost. cioè richiama espressamente la responsabilità governativa. Che tipo di responsabilità può essere imputata al Governo per l’adozione di un decreto legge non convertito? -responsabilità politica -responsabilità giuridica La responsabilità politica è la responsabilità che il Governo ha nei confronti della maggioranza parlamentare che lo sostiene. La responsabilità giuridica è la responsabilità che viene fatta valere da norme giuridiche. La responsabilità giuridica può essere distinta tra: a. Responsabilità penale b. Responsabilità civile, la quale può essere di natura contrattuale o extracontrattuale c. Responsabilità amministrativa-contabile, responsabilità dei funzionari pubblici che laddove causino un danno patrimoniale all'amministrazione pubblica possono essere chiamati a risarcirlo in tutto o in parte. La Cost. richiama il Governo ad una responsabilità politica e giuridica ma, di fatto, è improbabile che la responsabilità giuridica scatti. PRASSI DELLA REITERAZIONE DEI DECRETI Fino al 1996 si era assistito ad una vera e propria distorsione della disciplina costituzionale dell'art. 77. L'art.77 si configura come uno strumento normativo idoneo a fronteggiare situazioni di emergenza. Per lunghi decenni, invece, lo strumento del decreto legge è stato utilizzato come una fonte normativa ordinaria. Venivano adottati decreti legge in grande quantità e venivano adottati per disciplinare situazione laddove la necessità e l'urgenza si convertivano in realtà, nell’opportunità di intervenire normativamente in un certo settore dell'ordinamento scavalcando il procedimento legislativo ordinario in seno alle Camere. Inoltre, alla scadenza dei 60 giorni, molto raramente le Camere intervenivano per convertire quel decreto legge e quindi succedeva che, per evitare la decadenza, il Governo adottava un altro decreto legge; quindi, alla scadenza dei 60 giorni il Governo reiterava la disciplina normativa con un altro decreto legge. Questa prassi è stata poi sanzionata dalla sentenza numero 360 del 1996 della Corte costituzionale che ha stabilito che la reiterazione di un decreto legge è illegittima. LEZIONE 20/03/2020 REFERENDUM ABROGATIVO Il referendum è la richiesta fatta al corpo elettorale, ai soggetti cioè dotati diritto al voto, di esprimersi direttamente su una determinata questione. Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, in quanto il corpo elettorale si pronuncia direttamente su una determinata questione, a differenza delle forme di democrazia rappresentativa. La sovranità popolare si esprime attraverso la rappresentanza elettiva. L'art. 75 Cost. stabilisce che possono essere abrogati tramite referendum, in maniera parziale o totale, le leggi e gli atti con forza di legge. L'art. 75 contemporaneamente sottrae a referendum determinate categorie di leggi in quanto leggi con forza di legge passiva rinforzata, ovvero: le leggi tributarie di bilancio, le leggi di amnistia e di indulto e le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Abrogazione significa determinare la cessazione dell'efficacia di una legge o di un atto con forza di legge. Per quanto riguarda il procedimento, l’art. 75 è stato integrato da una disciplina legislativa (legge 352/1970). FASI: -INIZIATIVA: il referendum abrogativo si svolge su richiesta di soggetti qualificati: 500.000 elettori o 5 Consigli regionali. Una volta che la richiesta sia stata formulata, vi è una prima valutazione da parte dell’ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione. Questo organo giurisdizionale giudica la conformità a legge della richiesta referendale. Segue poi una seconda fase di giudizio sull’ammissibilità del referendum, svolta dalla corte cost., la quale giudica la conformità del referendum a Costituzione (valuta che la richiesta non punti all’abrogazione di una legge sottratte a referendum ai sensi dell'art. 75 comma 2 ad esempio). Tuttavia, in realtà, la giurisprudenza della Corte costituzionale non si arresta ad una mera valutazione della compatibilità dell'istanza referendaria con l’art. 75; quello che la Corte ,invece, va a giudicare è la complessiva ammissibilità dell'istanza referendaria in rapporto ad altri principi costituzionali, è una giurisprudenza sviluppata dalla Corte costituzionale fortemente criticata da una parte degli studiosi in quanto la Corte lungida ad arrestarsi ad una semplice valutazione dell’ammissibilità referendaria rispetto all’art. 75 comma 2, ma si spinge più in là. Una volta superati questi passaggi viene indetto il referendum. Affinchè il referendum sia valido è necessario che partecipino al voto il 50% più 1 degli aventi diritto. Nell'ipotesi in cui si raggiunga il quorum, a quel punto si contano i Sl e i NO. Se i Sl’ sono maggiori dei NO, il risultato del referendum viene recepito da un decreto del Presidente della Repubblica che dichiara l'avvenuta abrogazione della legge o dell’atto con forza di legge sottoposto a referendum, quel decreto viene pubblicato in Gazzetta ufficiale e da quel momento cessa l'efficacia di quella legge o di quell’atto con forza di legge. In quanto il referendum determina l'abrogazione di una legge o di un atto con forza di legge, ne consegue che il referendum sia anch'esso un atto fonte dell’ordinamento dello stesso rango della legge e degli atti con forza di legge. Si dice che il referendum sia una forma di legislazione negativa; significa che è uno strumento normativo con cui il corpo elettorale può ottenere l'abrogazione di una legge o di un atto con forza di legge ma non posso introdurre nell’ordinamento nuove disposizioni; posso cioè intervenire in negativo eliminando tramite l'abrogazione disposizioni vigenti nell’ordinamento contenute in leggi o in atti con forza di legge, ma non posso produrne di nuove. Tuttavia, anche l'abrogazione indirettamente produce nuove norme: se una certa condotta è vietata dalla legge, l'abrogazione di quel divieto rende quella condotta lecita. REFERENDUM MANIPOLATIVO: Il referendum può colpire anche singole parti della legge o dell'atto con forza di legge. Oltre quindi a poter colpire singoli art. di legge, può colpire anche delle singole parti di una disposizione. competenza limitata. La Cost. (art. 117) stabilisce che vi sono materie di competenza esclusiva dello Stato, vi sono materie di competenza residuale regionale e nel mezzo vi sono materie di competenza concorrente. Sulle solo materie di competenza esclusiva statale, lo Stato ha anche competenza regolamentale. Il fondamento, ovvero la norma che dà validità ai regolamenti dell’esecutivo come atti fonte la rinveniamo a livello di fonti primarie, ciò significa che oggi la disciplina dei regolamenti dell'esecutivo è contenuta in una legge dello Stato (legge numero 400/1988) ma nulla impedisce al legislatore di dettare una nuova disciplina, modificando quella vigente. L'art. 17 della legge numero 400/1988 introduce una distinzione tra: I Regolamenti governativi: adottati dal Governo nella sua collegialità; Il Regolamenti ministeriali: adottati dai singoli ministri Vi è poi una terza categoria, costituita dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, atti normativi con cui in attivazione di un decreto legge vengono introdotte le regole giuridiche che governano la condotta dei consociati alla luce della situazione di emergenza in corso (art. 77 Cost.). PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE: iniziativa da parte di 1 o più Ministri a cui segue la deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo però parere da parte del Consiglio di Stato (organo di rilievo costituzionale che svolge due funzioni: per un verso è organo giurisdizionale d'appello rispetto ai giudici amministrativi di primo grado; ha anche una funzione consuntiva, cioè viene chiamato dalla legge a svolgere tale funzione nei confronti soprattutto dell’esecutivo). E' un parere obbligatorio? Sì, è una norma di legge a stabilire che la deliberazione di un regolamento normativo deve essere preceduto da un parere del Consiglio di Stato; se il Governo ammette questa fase di controllo il regolamento è illegittimo. E' un parere vincolante? No, il Governo può disconoscere quanto affermato dal Consiglio di Stato ma in quel caso ha l'obbligo di motivare congruamente le ragioni. Qual è la natura del controllo svolto dal Consiglio di Stato? Si tratta di un controllo di legittimità: il Consiglio di Stato non entra nel merito del regolamento, non discute le scelte di natura politica. Ciò che il Consiglio di Stato controlla è la conformità del regolamento alle fonti primarie. Segue poi l'emanazione da parte del Presidente della Repubblica. La forma giuridica che i regolamenti governativi prendono è la forma del decreto del Presidente della Repubblica. Dopo l'emanazione vi è un'ulteriore fase di controllo contabile da parte della Corte dei Conti e, una volta superata questa seconda fase, il regolamento sottoforma di decreto del Presidente della Repubblica viene pubblicato in Gazzetta ufficiale. Diverse tipologie di regolamenti governativi, distinzione contenuta nell’art. 17 della legge 400/1988: 1) REGOLAMENTI DI ESECUZIONE O ESECUTIVI 2) REGOLAMENTI DI ATTIVAZIONE O ATTUATIVI 3) REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 4) REGOLAMENTI INDIPENDENTI 5) REGOLAMENTI DELEGIFICATI 1) Regolamenti che puntano all'esecuzione di norme di legge. Contengono regole giuridiche che facilitano l'operatività di norme di legge. Proprio perché dettano semplici regole applicative di norme di legge si ritiene che regolamenti strettamente esecutivi siano ammissibili anche materie coperte anche da riserva di legge assoluta. 2) Ammnissibili solo in materie coperte da riserva di legge relativa. Sono regolamenti che attuano e integrano la normativa di rango legislativo; con questi regolamenti cioè il Governo detta disposizioni normative ulteriori in una certa materia. Regolamenti attuativi completano la disciplina normativa contenuta in fonti di rango legislativo ma lo possono fare nei limiti in cui quella stesse stesse fonti li contemplano, cioè nei limiti in cui quelle fonti chiamano l'intervento governativo a completare la normativa e rispettando il contenuto della disciplina normativa prevista dalle fonti legislative. 3) Siamo nell’ambito della materia dell’organizzazione degli uffici pubblici e in questa materia, coperta da riserva di legge relativa art. 97 Cost., possono intervenire regolamenti di organizzazione. Anche in questo caso, come nei regolamenti attuativi, l'esecutivo interviene integrando la disciplina contenuta in norme di legge che a monte ci devono necessariamente essere. 4) Sono regolamenti ammessi nelle materie in cui non vi sia già una disciplina dettata da leggi o da atti con forza di legge e non siano materie coperte da riserva di legge. La disposizione dell’art. 17 della legge 400/1988 che configura la possibilità per il Governo di adottare regolamenti indipendenti non è conforme al principio di legalità in senso sostanziale, perché questa norma non contiene alcuna indicazione sul contenuto e sui limiti di quel potere normativo. Tuttavia, da un punto di vista pratico, è una disposizione che ha avuto un’attuazione molto limitata. 5) Regolamenti che si sostituiscono a fonti legislative: una certa materia è oggi disciplinata da una legge o da un atto con forza di legge, in forza di un regolamento delegificante quella materia da domani viene disciplinata da un regolamento. Lo scopo di questo meccanismo giuridico è quello di “abbassare” il livello di normazione, cioè portare la disciplina di una certa materia dalle fonti primarie a quelle secondarie. Lo scopo è quello di rendere per il futuro più facilmente modificabile quella stessa materia, in quanto modifiche normative a livello di fonti legislative richiedono determinati procedimenti che possono non essere brevi. Come può una fonte secondaria sostituire una fonte primaria? Qual è il meccanismo giuridico attraverso cui l'ordinamento ottiene l’obiettivo della delegificazione? Un regolamento delegificante ha sempre alle spalle una legge (chiamata legge di delega ma che non va confusa con la legge di delega dell’art. 76) che legittima l'adozione di un regolamento delegificante. Questa norma di legge dovrebbe indicare anche la cornice normativa entro cui il Governo adotterà il regolamento delegificante. A questo punto il Governo provvede all'adozione del regolamento delegificante e l’entrata in vigore del regolamento delegificante determina l'abrogazione delle norme legislative che disciplinavano quella materia. L'effetto abrogativo non è disposto dal regolamento delegificante, ma dalla norma di legge che ne sta a monte. Per quanto riguarda i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, vi è una norma contenuta in un decreto legge attribuisce una funzione normativa secondaria al Governo. Se decadesse questo decreto legge, verrebbe meno la norma attribuita del potere normativo secondario in capo all’esecutivo, quindi la conversione è condizione di legittimità di questi decreti. temporaneamente alle fonti legislative. Di contro però è anche vero che in quell’ambito di tempo ristretto introducono pur sempre norme giuridiche, producono cioè diritto. Quindi, ordinanze di necessità e di urgenza possono essere collocate sia fra gli atti fonte, ma possono essere anche studiate come atti amministrativi in quanto non sono idonee a produrre norme giuridiche che abbiano carattere di stabilità. Di fatto, la tecnica normativa delle ordinanze come strumento derogatorio alle fonti legislative è stato praticato nell’ordinamento anche in altri ambiti, fuori da situazioni di emergenza. ES. è stata la tecnica normativa con cui sono stati disciplinati alcuni grandi eventi, tra cui l’organizzazione dei giochi olimpici invernali a Torino nel 2006, i campionati del mondo di ciclismo su strada nel 2008. Ciò significa che nella legislazione vigente sia una tecnica normativa che si è diffusa in svariati settori dell’ordinamento al di là delle situazioni realmente emergenziali. ASSETTO NORMATIVO DETTATO DAL GOVERNO PER FRONTEGGIARE L’EMERGENZA SANITARIA Assetto normativo che vede un decreto legge a monte, che chiama poi in causa come fonti destinate a integrare la disciplina dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, atti fonte qualificati come fonti secondarie assimilabili agli altri regolamenti dell’esecutivo. Nell'attuale dibattito fra gli studiosi vi è in realtà chi ritiene di configurare questi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri non come fonti secondarie assimilabili ai regolamenti, ma li ritenga espressione di quel particolare potere normativo volto a fronteggiare situazioni d'emergenza. Il decreto legge numero 6/2020, il primo dettato dal Governo per fronteggiare l'emergenza sanitaria conteneva l'indicazione di alcune misure normative e stabilita anche con uno o più decreti successivi del Presidente del Consiglio dei Ministri si sarebbe data ulteriore implementazione a quelle misure necessarie. Quindi il decreto legge rimandava in questo ambito a dei DPCM e richiamava anche le ordinanze contingibili ed urgenti adottate dal Ministro della salute ai sensi di una legge del 1978, la quale per fronteggiare situazioni di emergenza, accorda al Ministro della salute un potere di ordinanza. C'è chi di contro ritiene che questi atti normativi (DPCM) siano riconducibili alla categoria delle ordinanze di necessità e di urgenza. Argomenti a fondamento di questa tesi: 1) Si chiamano DPCM, non ordinanze ma questo non è decisivo perché bisogna guardare al contenuto dell'atto e non alla sua intestazione. 2) Sono atti normativi volti a fronteggiare una situazione di emergenza, hanno dei contenuti derogatori alla legislazione vigente, hanno a monte un fondamento legislativo che li contempla e sono soprattutto atti normativi a termine. Alla luce di tutto ciò c'è chi afferma di non essere di fronte a fonti secondarie ammissibili ai regolamenti ma a degli atti normativi riconducibili allo schema delle ordinanze di necessità e di urgenza. Se così fosse, sono atti normativi che rispettano i limiti che la Corte costituzionale ha indicato come limiti imposti al potere di ordinanza dell'esecutivo? A. C'è un fondamento legislativo (art. 3 del decreto 6/2020) B. Sono atti normativi a termine che quindi indicano la necessità di fronteggiare una situazione contingente. Quello che manca è l'indicazione puntuale delle disposizioni legislative che il potere normativo dell’esecutivo può derogare. Tuttavia si potrebbe dire che un'indicazione implicita c'è in quanto nel momento in cui il decreto legge indica l’oggetto dei successivi provvedimenti governativi, tutte le misure normative indicate sommariamente nel decreto legge e puntualizzate poi nei singoli DPCM, in qualche modo indicano indirettamente anche i settori dell'ordinamento che possono essere derogati dalle norme contenute negli atti dell'esecutivo. RISERVA DI LEGGE L'esercizio del potere di ordinanza per fronteggiare situazioni d'emergenza da parte dell'esecutivo incontra svariati limiti nell'ordinamento, il primo tra i quali quello dettato dalle norme costituzionali. Fra le regole costituzionali vigenti vi sono quelle relative alla riserva di legge. In una materia coperta da riserva di legge, non vi è spazio per una disciplina dettata da un'ordinanza d'emergenza; diverso il discorso per le riserve di legge relative, laddove è ammesso l'intervento anche di una fonte secondaria con quelle particolari caratteristiche che hanno le ordinanze dell’esecutivo di necessità e di urgenza. Quali diritti costituzionali vengono limitati con le singole disposizioni assunte dai DPCM che si sono succeduti? Ad essere limitata soprattutto è la libertà di circolazione disciplinata dall'art. 16 Cost., esempio di riserva di legge rinforzata per contenuto, cioè l'art. 16 dice che la libertà di circolazione può essere limitata per motivi di sanità e di sicurezza con norme che dispongono in via generale. Motivi di sanità e sicurezza, cioè occorre che la legge assuma quei contenuti, regoli quei particolari settori dell’ordinamento, che tuteli quegli specifici interessi pubblici- sanità e sicurezza- individuati in Costituzione. In questo caso i nostri DPCM tutelano l’interesse alla salute, quindi rientrano dello schema dell’art. 16. La riserva di legge dell'art. 16, è l’unica riserva di legge in materia di libertà fondamentali che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto come relativa. Ecco che legittimamente si sarebbe contemplato il meccanismo normativo per fronteggiare l'emergenza in materia sanitaria, configurando un fondamento legislativo in un decreto legge e l'intervento di successivi atti dell'esecutivo che possono essere qualificati come fonti secondarie assimilabili ai regolamenti dell'esecutivo oppure come espressione di uno specifico potere di ordinanza volta a fronteggiare l'emergenza sanitaria ma pur sempre nei limiti di legge; nell’uno e nell’altro caso la riserva di legge dell’art. 16 non impedirebbe l’ingresso dell’un tipo e dell’altro tipo di atti normativi dell'esecutivo. CONSUETUDINE La consuetudine costituisce la ripetizione nel tempo da parte di un certo corpo sociale, di una determinata condotta con la convinzione di sottostare ad un dovere giuridico oppure con la convinzione di stare esercitando un diritto. Il ripetersi nel tempo di queste condotte unitamente alla convinzione che quelle condotte si accompagnino ad una vera e propria connotazione in termini di giuridicità, fa sorgere la consuetudine come fatto normativo. Se la consuetudine deve necessariamente rispettare tutte le fonti normative di grado gerarchico superiore, una consuetudine potrà sorgere o potrà rimanere valida solo se conforme a tutte le fonti di rango superiore. Dalle consuetudini come fatti normativi bisogna distinguere poi le consuetudini interpretative, cioè gli usi, le abitudini interpretative che si sviluppano in determinate zone. ES. DI CONSUETUDINE NORMATIVA: art. 1374 cod. civ. “un contratto obbliga le parti a quanto è contenuto nello stesso contratto ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o in mancanza secondo gli usi.” ES. DI CONSUETUDINI INTERPRETATIVE: art. 1368 cod. civ. “nel caso di clausole ambigue in contratti in cui una delle due parti sia un imprenditore, si REGOLAMENTI: sono una fonte a competenza generale, introducono norme generali, norme astratte che vincolano tutti i consociati e sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri (si può dire che equivalgono alla legge). Dire che sono direttamente applicabili significa che le norme che sono contenute all’interno del regolamento, possono essere applicate all’interno di ciascuno Stato membro. Non occorre cioè da parte dello Stato un atto normativo che recepisca quel regolamento. DIRETTIVE: le direttive intervengono anch'esse in ambiti di competenza dell’Unione, ma hanno un contenuto diverso da quello dei regolamenti. Innanzitutto si rivolgono agli Stati membri, non a tutti i consociati, e li vincolano imponendo loro di raggiungere un determinato risultato entro un certo termine. Ciascuno Stato membro è vincolato dall’obiettivo da raggiungere, è vincolato dal termine ma può raggiungere quell’obiettivo ricorrendo ai mezzi che ritiene più opportuni, quindi scegliendo liberamente modi e forme. Tuttavia, di fatto, ci possono essere disposizioni normative contenute in regolamenti dell’Unione che non sono direttamente applicabili, richiedono cioè l'intervento da parte dello Stato; ma soprattutto vi possono essere disposizioni contenute in direttive, dette “direttive dettagliate”, che sono formulate in maniera così precisa, così specifica da risultare in realtà già direttamente applicabili, da risultare idonee ad essere applicate direttamente all'interno degli Stati membri; si tratta di eccezioni al modello tradizionale. DECISIONI: sono atti normativi obbligatori in tutti i loro elementi, sono direttamente applicabili ma hanno la caratteristica di rivolgersi nei confronti di un singolo Stato membro o di un singolo soggetto (es. società). (Le decisioni dell'UE sono riconducibili agli atti e ai provvedimenti dell’amministrazione; l'’amministrazione applica le norme di legge attraverso l'adozione di atti amministrativi ad un caso concreto). Fonti di cognizione dell’UE: Gazzetta ufficiale dell'UE DISTINZIONE FRA DIRETTA APPLICABILITA' ED EFFETTO DIRETTO DIRETTA APPLICABILITA': ne abbiamo già parlato a proposito dei regolamenti dell’Unione e delle decisioni, sono cioè atti direttamente applicabili che devono essere fatti valere anche all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, senza la necessità di un atto statale che recepisca o attui quelle disposizioni giuridiche contenute nei regolamenti o nelle decisioni. EFFETTO DIRETTO: l’effetto diretto come caratteristica giuridica non riguarda gli atti normativi dell’Unione, ma riguarda le norme giuridiche contenute in atti dell’Unione. È un concetto che è stato via via elaborato nel tempo dalla Corte di giustizia dell'UE, ovvero l'organo giudicante che sulla base delle norme contenute nel diritto convenzionale ha il monopolio dell’interpretazione del diritto dell’Unione e giudica della legittimità del diritto derivato dell’Unione in rapporto al diritto convenzionale. La Corte afferma che quando una norma contenuta in un atto fonte europeo, si presenta come sufficientemente chiara, precisa e non condizionata dall'intervento normativo dello Stato, In questo caso quella norma ha effetto diretto. Quella norma nel momento in cui configura diritti in capo ai singoli, può essere rivendicata dal singolo anche nei confronti dello Stato al quale egli appartiene. Lo scopo è quello di assicurare la prevalenza del diritto europeo su quello degli Stati, laddove le norme ricavabili in via interpretativa da atti fonte dell’Unione siano così chiare, precise e incondizionate da poter essere rivendicate direttamente nei confronti dello stesso Stato da parte di un soggetto. QUATTRO POSSIBILI COMBINAZIONI: 1. Norme dotate di effetto diretto contenute in atti direttamente applicabili: ad esempio le norme contenute nei regolamenti dell'UE. 2. Norme contenute in atti direttamente applicabili, ma non munite dell’effetto diretto: è il caso dei regolamenti dell'UE che a dispetto di come sono costruiti nel diritto convenzionale, in realtà necessitano dell’intervento di altri regolamenti per la loro attuazione o in taluni casi chiamano in causa gli Stati membri per essere in parte attuati. 3. Atti non direttamente applicabili, che contengono norme prive di effetto diretto: esempio le direttive europee. 4. Atti non direttamente applicabili, muniti però di norme direttamente efficaci: è il caso di quelle direttive dettagliate che contengono norme chiare, precise, incondizionate tali che possono essere applicate direttamente. COLLOCAZIONE DELLE FONTI EUROPEE NEL NOSTRO SISTEMA DELLE FONTI Ciascuno Stato aderendo all’UE accetta di cedere una parte della propria sovranità. Il diritto dell’Unione in concreto trova applicazione nei singoli Stati membri, ovvero dev'essere garantita la prevalenza delle fonti europee sulle fonti interne qualora in ambiti di competenza dell’Unione. Moltissimi Stati membri hanno via via modificato la loro Cost. legittimando l'appartenenza dello Stato all'Unione, la cessione di sovranità e regolando anche spesso i rapporti tra le fonti dell’Unione e le fonti interne. Così non è stato per l'ordinamento italiano; per lunghi anni e in parte ancora oggi l'art. della Cost. che è stato individuato come fondamento per legittimare l'appartenenza dell’Italia all'UE è stato l’art. 11, il quale detta “consente in condizione di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”. Questo inciso era stato pensato per consentire la partecipazione dell’Italia in realtà a quegli organismi sovranazionali (ONU) che avrebbero dovuto sovrintendere a nuovo ordine mondiale scaturito dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questa formulazione dell’art. 11 è stata posta dalla Corte costituzionale a giustificazione dell’adesione dell’Italia all'UE. Solo nel 2001 con una riforma costituzionale che ha riscritto in larga parte il titolo V della parte II della Costituzione, nella riscrittura dell'art. 117 al comma 1, per la prima volta una disposizione costituzionale si è fatta carico di collocare le fonti dell’UE nell’ambito dell’ordinamento italiano. L'art. 117 comma 1 dice che la potestà legislativa viene esercitata dallo Stato e dalle regioni e le leggi statali e quelle regionali devono soggiacere al rispetto della Cost., degli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Quindi, nel momento in cui ricostruiamo la collocazione delle fonti europee nell’ambito dell'ordinamento italiano, si tratta di fonti subordinate alla Cost. o almeno ad una parte di essa, sono però fonti che si collocano su uno scalino gerarchicamente superiore alla legge e agli atti con forza di legge. “entrano” nell'ordinamento italiano in forza della legge di esecuzione dei singoli trattati. La legge di esecuzione, la legge formale ordinaria con cui gli obblighi giuridici assunti dallo stato sul piano internazionale sottoscrivendo un trattato entrano e diventano obblighi giuridici all'interno dell’ordinamento statale, essendo appunto una fonte primaria subordinata alle fonti secondarie, dal punto di vista giuridico l'ipotesi di una fonte secondaria che contrasti con una norma europea, si risolve nel contrasto tra una fonte secondaria e la legge di esecuzione nella parte in cui ha consentito l'ingresso della norma europea contrastante. Quindi in questo caso la risoluzione avviene con il criterio gerarchico e quindi con l'annullamento della fonte secondaria. In questo caso non venendo in gioco in legittimità di una fonte legislativa, il giudice competente all'annullamento della fonte secondaria è qualunque giudice amministrativo. 4) Contrasto tra norme europee e norme costituzionali. Le norme europee possono contraddire le norme costituzionali, possono derogare ad alcune norme costituzionali, ma non possono contraddire i principi fondamentali della Costituzione. Non vi è un elenco di questi principi fondamentali ma grossomodo si tratta degli stessi principi supremi che la Corte cost. vede sottratti a modifiche anche con leggi costituzionali (es. tutela dei diritti fondamentali, carattere democratico dello Stato, diritto alla tutela giurisdizionale, principio di eguaglianza, separazione dei poteri). Le norme europee potranno derogare a norme europee non fondamentali (non possono annullarle o abrogarle). LEZIONE 02/04/2020 FONTI DEGLI ENTI AUTONOMI TERRITORIALI Il nostro è uno stato regionale, è cioè uno stato che riconosce all’interno l’esistenza di enti autonomi su base territoriale (regioni) e all’interno di queste vi sono anche altri enti (enti locali), anch'essi su base territoriale, le province e i comuni. Nell'ordinamento italiano la funzione legislativa è ripartita tra lo stato e le regioni; la funzione esecutiva (o meglio le funzioni amministrative) si ripartiscono tra stato, regioni ed enti locali; la funzione giurisdizionale spetta esclusivamente allo stato. Distinzione tra: » Regioni ordinarie (15 regioni); » Regioni speciali (5 regioni). Le regioni orinarie vedono la disciplina della loro autonomia integralmente prevista in costituzione (art. 114 e seg., titolo V, parte II). E vi sono invece 5 regioni speciali (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia giulia e Trentino- Alto Adige) che vedono la definizione in termini giuridici della loro autonomia fissata nell’ambito dei rispettivi statuti speciali di autonomia. Il termine autonomia significa titolarità di funzioni, legislative e amministrative, con la possibilità nei limiti di quelle funzioni di darsi un indirizzo politico diverso da quello dello stato centrale. FONTI DELL'ORDINAMENTO REGIONALE (solo regioni ordinarie) > Statuto regionale >» Legge regionale >» Regolamenti regionali STATUTO REGIONALE A differenza delle regioni ordinarie, lo statuto delle regioni speciali è contenuto in una fonte di rango costituzionale. L'autonomia delle regioni ordinarie è contenuta in costituzione (titolo V della parte Il), l'autonomia di ciascuna regione speciale è contenuta in una fonte anch'essa di rango costituzionale , diversa per ogni regione speciale. Se lo statuto delle regioni speciali è una fonte di rango costituzionale, lo statuto delle regioni ordinarie è una fonte di rango inferiore; la disciplina dello statuto delle regioni ordinarie è contenuta nell’art.123 cost. Lo statuto serve essenzialmente a disciplinare due punti fondamentali: 1. La forma di governo regionale 2. | principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della stessa regione. I limiti dello statuto sono anch'essi scritti in cost. : l’art. 123 comma 1 diche che lo statuto contiene norme che devono necessariamente essere in armonia con la costituzione. La frase “in armonia con la cost.” vuole significare che lo statuto è tenuto a rispettare qualunque disposizione normativa contenuta in cost. PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE: la cost. delinea un procedimento di formazione che ricalca il procedimento di formazione per l'approvazione delle leggi di rango costituzionale. Lo statuto deve essere approvato con una doppia deliberazione dal consiglio regionale (organo legislativo di ciascuna regione), adottate a distanza di almeno due mesi ed entrambe a maggioranza assoluta. All’approvazione possono seguire entro 30 giorni l’impugnazione da parte dello stato dello statuto davanti alla corte costituzionale. Oppure, entro 3 mesi da una prima pubblicazione sul bollettino ufficiale regionale, può essere chiesto referendum, qualora ne facciano richiesta 1/50 degli elettori di quella regione oppure 1/5 dei componenti del consiglio regionale. Se i sì superano i no, lo statuto verrà promulgato dal presidente della regione e successivamente pubblicato. Se i no superano i sì, l'iter di formazione si arresta ed è necessario ricominciare da capo. Nonostante sia un procedimento che richiama quello di formazione di leggi di rango cost., lo statuto non è la cost. di ciascuna regione, non contiene ad esempio principi fondamentali in materia di diritti individuali, ma è semplicemente la fonte che serve alla regione per darsi la propria forma di governo e per delineare quei principi fondamentali relativi all’organizzazione e al funzionamento della stessa regione. Collocazione dello statuto regionale nel sistema delle fonti, con riferimento alla legge statale e alla legge regionale: per quanto riguarda i rapporti con la legge statale, li risolviamo in termini di competenza; la cost. riserva determinate materie allo statuto regionale, quindi una legge dello stato che pretendesse di invadere questo ambito di competenza che la cost. riserva allo statuto sarebbe lesiva dell'ambito di competenza statutaria, quindi quella legge sarà illegittima. Per quanto riguarda il rapporto tra statuto e leggi regionali, la corte cost. lo ha ricostruito in chiave gerarchica, quindi la legge regionale successiva allo statuto dovrà rispettare le disposizioni giuridiche contenute nello statuto e dovrà farlo in quanto fonte gerarchicamente subordinata allo statuto. LEGGE REGIONALE La legge delle regioni ordinarie è una legge formale ordinaria, si tratta quindi di una fonte primaria che la cost. ai sensi dell'art. 117 comma 1 in qualche modo parifica alla legge dello stato. La costituzione ripartisce la funzione legislativa fra stato da una parte e regioni dall’altra, quindi la funzione legislativa spetta tanto allo stato quanto alle regioni; il criterio con cui la cost. ripartisce la Nell'ambito dell'ordinamento regionale, a differenza di quello statale, la Costituzione non contempla una norma di riconoscimento che introduca degli atti normativi che abbiano forza di legge regionale, cioè che stiano sullo stesso piano gerarchico della legge regionale. Senz'altro però può invece riprodursi lo stesso schema quanto al rapporto fra fonti di rango primario e fonti di rango secondario. | regolamenti regionali nell'ordinamento regionale svolgono la stessa funzione che i regolamenti statali svolgono nell'ordinamento delle fonti statali. Ovvero, danno esecuzione o danno attuazione alle disposizioni normative contenute nelle fonti legislative. L'art. 117 comma 6 contiene il riparto della competenza regolarmente fra Stato e regioni: nelle materie di competenza esclusiva (art. 117 comma 2) statale, la potestà regolamentare spetta allo Stato, il quale può delegarla alle regioni. In tutte le altre materie, sia quelle di competenza concorrente sia quelle di competenza residuale, la potestà regolamentare spetta alle regioni. Ciascuna regione con il proprio statuto, può configurare le tipologie di regolamenti che ritiene preferibili; quindi da quelli esecutivi, a quelli attuativi, a quelli organizzativi, indipendenti, delegificanti, ciascuno statuto può introdurli nell'ordinamento regionale. Quindi, è la fonte statutaria a stabilire le diverse tipologie ammesse nell’ordinamento regionale. FONTI DEGLI ENTI LOCALI L’art. 114 Cost. indica i livelli di Governo che pongono l'ordinamento repubblicano: comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato sono le componenti della Repubblica. Esistono due tipi di atti fonti degli enti locali: 1) Statuto 2) Regolamenti L’art. 117 comma 6, al secondo periodo dice che gli enti locali hanno una potestà regolamentare per la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle loro funzioni. Quindi, l’art. 114 comma 2 per gli statuti degli enti locali e l'art. 117 comma 6 per i regolamenti degli enti locali sono le norme di riconoscimento contenute in Cost. che fondano questi due atti fonte. 1) STATUTO: lo statuto dell’ente locale vede la propria norma di riconoscimento nell’art. 114 comma 2; è disciplinato poi da una fonte 2. legislativa, cioè il testo unico degli enti locali, decreto legislativo 267/2000, fonte legislativa che dice come lo statuto detta le norme fondamentali dell’organizzazione dell'ente. Come per lo statuto regionale, lo statuto degli enti locali è una fonte che ha una sfera di competenza riservata, nel senso che nelle materie di competenza statutaria le altre fonti non hanno titolo per entrare. In questo caso, quindi, il criterio di competenza è il criterio con cui risolvere eventuali conflitti fra norme. REGOLAMENTI: fondamento in Cost., art. 117 comma 6, norma che indica anche il contenuto. I regolamenti degli enti locali disciplinano l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni amministrative di cui è titolare quell’ente. Alla luce della giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in linea di massima i regolamenti degli enti locali per certi versi hanno anch’essi un ambito di competenza riservata, cioè laddove l’ente locale abbia determinate funzioni che insistono su una certa materia, la legge regionale non potrebbe disciplinare quelle funzioni e quella materia in modo da compiere qualunque autonomia normativa comunale. Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria ricostruisce il rapporto tra il regolamento comunale e legge statale o regionale in termini rigidamente gerarchici, cioè il regolamento dell'ente locale rimane pur sempre un atto normativo secondario e quindi ha diritto di rivendicare un proprio spazio nella disciplina delle funzioni amministrative comunali, ma lo deve fare rispettando le fonti legislative. LEZIONE 08/04/2020 INDICE ARGOMENTI 1° PARTE NOZIONI INTRODUTTIVE: Fonti di produzione e fonti di cognizione Distinzione fra fonti atto e fonti fatto Nozione di norma di riconoscimento, principio di esclusività e rinvio normativo Criterio gerarchico, criterio cronologico, criterio di specialità, criterio di competenza Riserva di legge e principio di legalità COSTITUZIONE doONOSHN1A * * LEGGE E ATTI CON FORZA DI LEGGE Nozione di forza di legge Legge formale ordinaria Decreto legge Decreto legislativo delegato Referendum abrogativo REGOLAMENTI DELL'’ESECUTIVO ORDINANZE AMMINISTRATIVE DI NECESSITA’ E URGENZA CONSUETUDINE REGOLAMENTI PARLAMENTARI FONTI EUROPEE FONTI DEGLI ENTI AUTONOMI TERRITORIALI Fonti dell'ordinamento regionale Fonti degli enti locali ESERCITAZIONE Ipotizziamo che una norma contenuta in un decreto legge contrasti con un’altra norma contenuta in una legge formale ordinaria. SOLUZIONE: siamo nell’ambito di atti fonte che si collocano sullo stesso piano della scala gerarchica delle fonti e quindi nell'ipotesi di contrasto il corretto criterio di risoluzione di un’antinomia è quello cronologico. Quindi l'atto fonte più recente abroga l’atto-fonte meno recente. Giusto a condizione che non ricorra il criterio di specialità: nell’ipotesi della specialità c'è una norma che disciplina un determinato oggetto e un’altra norma che all’interno di quell'oggetto ritaglia una fattispecie più circoscritta, in questo caso la norma speciale deroga la norma generale. Ipotizziamo che una legge costituzionale introduca delle norme in parte contrastanti con la Costituzione. SOLUZIONE: nell’ipotesi in cui una legge costituzionale contenga delle norme che sostituiscano, ad esempio, disposizioni vigenti in Cost., quella legge costituzionale sta abrogando norme costituzionali vigenti sino ad oggi. Da un punto di vista della gerarchia delle fonti, la legge costituzionale approvata rispettando la procedura dell’art. 138, legittimamente abroga norme scritte contenute in Cost., quindi si ricorre al criterio cronologico. LEZIONE 15/04/2020 Come detto all’inizio del corso, le norme giuridiche contenute negli atti normativi introducono regole giuridiche che sono formulate in termini generali e astratti. A questa prima attività segue poi la fase dell’applicazione di quelle norme giuridiche a dei casi concreti. Come si applicano quelle norme contenute in quegli atti normativi? Chi le applica? Può avvenire innanzitutto da parte di privati (sig. Rossi e il sig. Bianchi che stipulano un contratto d’appalto, applicano le norme contenute nel cod. civ.); possono essere poi applicate dai giudici, definendo le controversie; possono poi essere applicate da parte dell'’amministrazione pubblica, la quale è titolare di particolari poteri esercitando i quali, tutela gli interessi pubblici ad essa affidati e lo fa anch'essa applicando le norme giuridiche, con l'adozione di atti amministrativi. ATTI AMMINISTRATIVI: gli atti amministrativi sono atti giuridici, quindi sono comportamenti consapevoli e volontari da parte di soggetti che danno luogo ad effetti giuridici. Sono quegli atti con cui l’amministrazione pubblica esercita i poteri ad essa conferiti dalla legge, al fine di tutelare gli interessi pubblici che la legge stessa assegna all’amministrazione. Esistono diverse tipologie di atti amministrativi; una prima distinzione può essere tra: 1. Atti e contenuto generale 2. Atti a contenuto provvedimentale o puntuale 1) Gli atti amministrativi generali sono tutti quegli atti che si rivolgono in modo indifferenziato a determinate categorie di soggetti e, in linea di massima, hanno anche la caratteristica dell’astrattezza, cioè sono suscettibili di essere comunque applicati in una serie indefinita di casi, infatti gli atti amministrativi generali hanno anche un contenuto normativo. Tuttavia, rimangono atti amministrativi (non sono cioè fonti del diritto) ma comunque si differenziano dagli atti amministrativi a contenuto puntuale (2) (o provvedimentale) perché di contro un atto amministrativo a contenuto puntuale, comunemente chiamato “provvedimento amministrativo”, ha invece la caratteristica specifica di rivolgersi ad un destinatario determinato. Quali sono gli atti amministrativi generali? Sono, ad esempio: 1. I bandi di concorso; un particolare concorso ha le sue regole concorsuali come fissate nell'atto amministrativo generale denominato bando. Si parla di atto amministrativo generale perché quel bando di concorso si rivolge a tutti i consociati che, possedendo determinate caratteristiche, possono partecipare a quel concorso. 2. Atti che hanno caratteristiche pianificatorie o programmatorie; vi sono settori dell'ordinamento nei quali l'esercizio da parte dell’amministrazione dei poteri conferiti per legge necessita di una strategia complessiva a monte; cioè la legge impone che, ad esempio, la tutela dell’interesse pubblico coinvolto venga svolta in concreto con una strategia a monte, una strategia contenuta in atti amministrativi generali che abbiano una funzione pianificatoria oppure programmatica. 3. Ordinanze contingibili e urgenti; si tratta di atti dell'amministrazione che derogano alla normativa vigente per fronteggiare situazioni di emergenza (vedere lezione 26/03) 4. Circolari amministrative; sono degli atti interni all'amministrazione, sono cioè atti con cui l’amministrazione cerca di coordinare l’attività dei suoi uffici indicando quella che si ritiene essere l’interpretazione corretta delle norme di legge che debbono essere applicate. 2) Atti a contenuto puntuale o provvedimentale Distinzione tra: A. Atti amministrativi a contenuto puntuale favorevoli per il privato B. Atti amministrativi a contenuto puntuale sfavorevoli per il privato A. Sono tutti quegli atti dell’amministrazione che ampliano la sfera giuridica del soggetto destinatario, tutti quegli atti che gli conferiscono diritti, facoltà che prima di quell’atto quel soggetto non aveva. ES. autorizzazione, concessione, l'incentivo. ® AUTORIZZAZIONE: la legge vuole che per svolgere determinate attività io debba ottenere un’autorizzazione da parte dell’amministrazione. ® CONCESSIONI: attribuiscono al soggetto concessionario la facoltà di utilizzare determinati beni o di svolgere determinate attività che in assenza di quell’atto amministrativo favorevole egli non potrebbe svolgere. ® INCENTIVO: somma di denaro che l’amministrazione riconosce a chi si trovi in determinate situazioni. B. sono tutti quei provvedimenti dell’amministrazione che restringono la sfera giuridica del soggetto destinatario. ES. sanzioni, espropriazione Caratteristiche degli atti amministrativi a contenuto puntuale: 1) UNILATERALITA' 2) AUTORITARIETA' 3) TIPICITA” 4) ESECUTIVITA' 5) ESECUTORIETA' 1) In linea di massima tutti i provvedimenti dell’amministrazione sono unilaterali, ovvero sono adottati dall'’amministrazione a prescindere dal consenso o meno del soggetto destinatario. 2) L'amministrazione impone le proprie decisioni al soggetto destinatario e lo fa in forza del fatto che la legge assegna all’amministrazione la cura di un determinato interesse pubblico e quell’interesse pubblico può prevalere sugli interessi e sui diritti dei soggetti privati. L’amministrazione qualora ritenga l'interesse pubblico come prevalente all'interesse del soggetto privato destinatario, adotta quel particolare provvedimento. VIZI DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI L'atto amministrativo deve essere necessariamente conforme alle norme che regolano l’attività dell'amministrazione. L'amministrazione nell’adottare i suoi atti deve innanzitutto rispettare le norme che disciplinano l’organizzazione di quell’amministrazione e quell’attività specifica; vi sono poi un insieme di norme giuridiche che valgono per qualunque attività svolga l’amministrazione, rappresentano, cioè, principi e regole generali che disciplinano l’attività dell’amministrazione. Se l'atto dell’amministrazione non è conforme alle norme giuridiche che disciplinano in via generale o nello specifico l’attività dell’amministrazione, quell’atto si dice essere affetto da vizi. L'atto dell’amministrazione affetto da vizi può essere o nullo oppure annullabile. Un atto dell’amministrazione è NULLO quando: non abbia uno dei suoi elementi essenziali (oggetto, contenuto, forma) - nell’ipotesi in cui l'atto sia stato adottato da un soggetto incompetente. In questo caso di parla di incompetenza in senso assoluto, per distinguerla dall’incompetenza in senso relativo che determina, invece, l'illegittimità. Si ha incompetenza in senso assoluto allorché il soggetto che adotta quell’atto era completamente sprovvisto dell’autorità per farlo. - nell’ipotesi in cui l'atto amministrativo sia stato adottato violando o aggirando una sentenza definitiva. - vi possono essere ipotesi specifiche nelle quali singole norme di legge comminano la nullità di un atto amministrativo per determinati vizi. La nullità non è sanabile e può essere contestata da chiunque ne abbia interesse, senza limiti di tempo. L’illegittimità, invece, si ha allorché l’atto dell'amministrazione sia affetto da determinati vizi, ovvero: 1. INCOMPETENZA IN SENSO RELATIVO 2. VIOLAZIONE DI LEGGE 3. ECCESSO DI POTERE 1) Esempio: la legge stabilisce che un determinato provvedimento comunale debba essere adottato dal sindaco. Invece che dal sindaco viene adottato da un soggetto che è dipendente di quel comune e ricopra un ruolo dirigenziale nell’ambito dell’amministrazione comunale. In questo caso l’INCOMPETENZA non è così grave da determinare la nullità dell'atto, ma è annullabile in quanto illegittima. 2) Si parla del vizio di VIOLAZIONE DI LEGGE allorché la lesione di quel parametro normativo si riferisca esattamente alla lesione delle norme di legge che disciplinano l’attività dell'amministrazione svolta in concreto. Nell'attuale ordinamento “violazione di legge” deve intendersi come violazione di qualsiasi parametro normativo che regola l’attività dell’amministrazione (ad es. la violazione di norme contenute in fonti secondarie). 3) Il vizio dell’ECCESSO DI POTERE tradizionalmente nasce come uno strumento con cui l'ordinamento vuole consentire al giudice di sindacare la legittimità delle decisioni prese dall’amministrazione senza però sconfinare nell’ambito di competenza dell’amministrazione. Nel momento in cui l’amministrazione può legittimamente fare scelte diverse nel rispetto della legge, queste scelte non possono essere sindacate da un giudice, se non qualora esse siano illegittime. Non a caso si distingue una sfera di discrezionalità dell’amministrazione denominata come “MERITO AMMINISTRATIVO” che denota esattamente quella sfera di competenza dell’amministrazione nella quale un giudice non può entrare. Al di fuori di quella sfera di competenza, il giudice può verificare che le scelte dell'amministrazione siano effettivamente conformi a legge, ovvero: a. L'atto deve essere adottato dal soggetto che la legge indica come competente. b. Occorre che quel particolare provvedimento dell’amministrazione rispetti le norme di legge che ne disciplinano l'adozione c. Occorre che l'esercizio di quel potere da parte dell’amministrazione sia conforme ad una serie di parametri normativi ulteriori. L’eccesso di potere di per sé non esiste, esistono invece delle situazioni, denominate “FIGURE SINTOMATICHE DELL’ECCESSO DI POTERE”, al ricorrere delle quali il giudice stabilisce l’illegittimità di un atto dell’amministrazione, poiché viziato per eccesso di potere. Quali sono queste situazioni? >» Lo sviamento del potere: la legge assegna determinati poteri all'’amministrazione in vista di un fine; se l'’amministrazione esercita quei poteri per un fine diverso, l'atto è segnato per uno sviamento di potere che ne determina l’illegittimità » Ipotesi in cui l’amministrazione incorra in un “travisamento dei fatti” (es. durante la fase dell’istruttoria l'’amministrazione raccoglie erroneamente dei dati) > Atto illogico, contradditorio: l’amministrazione esplicita determinate premesse, ma fra queste premesse e la decisione assunta non vi è conseguenza logica » Ipotesi in cui la motivazione non sia congrua > Ipotesi dell’ingiustizia manifesta: ipotesi in cui l'atto dell’amministrazione sia formalmente corretto, ma nella sostanza disciplini in modo manifestamente ingiusto situazioni simili. QUALI SONO LE CONSEGUENZE DI UN ATTO NULLO O ILLEGITTIMO? La legge stabilisce che l’amministrazione possa riprendere in mano un proprio provvedimento e valutarne la legittimità o meno e determinarsi di conseguenza. L'atto nullo non è sanabile; se l’atto invece è illegittimo in alcuni casi l'amministrazione può sanare i vizi, la legge cioè ammette che vi possano essere dei casi nei quali un determinato provvedimento affetto da incompetenza relativa, violazione di legge o eccesso di potere possa essere convalidato. L’amministrazione, però, può convalidare un proprio atto illegittimo quando sussistano le ragioni di interesse pubblico che devono essere esplicitate e lo possa fare entro un termine ragionevole. Oltre all'ipotesi della sanatoria, l’amministrazione, preso atto dell’illegittimità di un proprio atto, può disporre l'annullamento d’ufficio. Ciò significa che a determinate condizioni, l'amministrazione può essa stessa determinare l'annullamento di un proprio atto. Le condizioni sono: in primo luogo che l'annullamento avvenga entro un termine ragionevole (non superiore a 18 mesi); la legge chiede poi che l'’amministrazione valuti le ragioni di interesse pubblico che sorreggono principale dello Stato come forma di organizzazione del potere politico sia la sovranità. La sovranità acquista due declinazioni diverse: 1) SOVRANITA’ VERSO L'ESTERNO: cioè nei confronti degli altri Stati. Lo Stato nei confronti degli altri Stati si pone su una posizione di parità, lo Stato è indipendente nei confronti di tutti gli altri Stati. 2) La sovranità ha anche una sua DECLINAZIONE INTERNA, cioè l’attitudine dello Stato a governare un determinato territorio, rivendicando su di sé il monopolio della forza legittima. Con l’espressione FORMA DI STATO rimandiamo alle particolari caratteristiche che connotano il rapporto che intercorre fra soggetti governati e l'apparato governante. La forma di Stato risponde a questa domanda: “quali sono i principi e i valori ai quali un determinato Stato ispira la propria organizzazione e la propria azione, e che si riflettono sul rapporto che intercorre fra apparato di Governo e soggetti governati?”. Come detto, lo Stato come forma di organizzazione del potere politica si afferma in Europa tra il XV e il XVII secolo e si afferma in contrapposizione al sistema feudale che aveva connotato l’organizzazione sociale, economica e politica dell'Europa sino a quel momento. Lo Stato si connota fin dall'origine per caratteristiche opposte rispetto al sistema feudale, lo Stato cioè nasce per assicurare stabilità, ordine, assicurare un Governo dell'economia che garantisce di nuovo accettabili livelli di benessere, nasce soprattutto per porre fine a quei decenni di guerre religiose che avevano insanguinato l'Europa generando instabilità sociale e miseria. Proprio perché nasce in contrapposizione al sistema feudale, lo Stato si afferma fin dall'origine rivendicando l'autorità di Governo su un determinato territorio e la rivendica accompagnata dal monopolio della forza legittima. La prima forma di Stato che si afferma nella storia è quella ASSOLUTA; nasce soprattutto nell’Europa continentale, tra il ‘400 e il ‘500, ma si afferma definitivamente a seguito della pace di Westfalia nel 1648 che pone fine alle guerre di religione che avevano segnato l’Europa in quegli anni. Lo Stato assoluto si afferma con caratteristiche funzionali a quelle esigenze di stabilità, sicurezza che volevano superare la frammentazione sociale e politica che aveva contraddistinto l’epoca feudale. Nello Stato assoluto nella figura del sovrano si accentrano tutte le funzioni statali: si accentra la funzione legislativa, quella esecutiva e quella giudiziaria (“lo Stato sono io “, Luigi XIV). Da un punto di vista giuridico, l’autorità dello Stato, quindi l'autorità regia, non incontra limiti legali che possono essere fatti valere dai sudditi. Tuttavia, anche nello Stato assoluto il sovrano si avvaleva di un apparato amministrativo, c'erano cioè funzionari che materialmente redigevano le norme di legge, che curavano l'applicazione, che assistevano l'autorità regia nel momento in cui giudicava dell’applicazione. Il punto fondamentale era che questo apparato amministrativo non aveva una sua autonoma rilevanza. La forma di Stato assoluta entra in crisi e viene superata solo tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Subito dopo si affermò la forma di STATO LIBERALE, detta anche Stato di diritto. Lo Stato liberale si connota innanzitutto per la separazione dei poteri: il re rimane titolare della funzione esecutiva, ma la funzione normativa spetta ad un soggetto diverso, ovvero all'Assemblea parlamentare. La funzione giudiziaria spettava allo Stato ma ad organi diversi dal sovrano. Ciò significa che determinati diritti, determinate libertà dell’individuo possano essere rivendicate anche nei confronti dello Stato. Altra caratteristica fondamentale dello Stato di diritto è l'affermarsi del principio di legalità, quindi qualunque potere esercitato nello Stato deve necessariamente avere un fondamento normativo. Altra caratteristica vi è poi la concezione di uno Stato minimo: nell’assolutismo regio lo Stato interveniva direttamente anche nel Governo dell'economia, anche come produttore di determinati beni; nello Stato liberale, invece, l'idea è quella che lo Stato interviene il meno possibile nell'economia, lasciata all'iniziativa imprenditoriale dei singoli. Altra caratteristica significativa è quella che lo Stato liberale conosce per la prima volta nella storia un principio rappresentativo: l'assemblea legislativa è soggetto diverso dal sovrano, è soggetto chiamato all'esercizio della funzione normativa, rappresenta il corpo elettorale. Quali sono le ragioni che hanno determinato il superamento della forma di Stato assoluta in favore della forma di Stato liberale? Lo Stato assoluto entra in crisi perché storicamente ad un certo punto la legittimazione politica del sovrano inizia a “scricchiolare”, perché nello Stato assoluto il sovrano garantisce gli interessi di una classe sociale determinata, l'aristocrazia, di cui è espressione e garante. Tuttavia, la crescente imposizione fiscale a carico dell'intera collettività, determina squilibri sempre più significativi fra gli aristocratici e la restante parte della società, nella quale si afferma una nuova classe sociale: la borghesia (imprenditori), la quale rivendica il diritto di “governare” le scelte di governo dello Stato. Lo Stato assoluto entra quindi in crisi per ragioni essenzialmente economiche, per disparità sociali e in via cruenta lo Stato assoluto crolla sotto i colpi della Rivoluzione Francese. La forma di Stato liberale aveva però anche una caratteristica che nell’evoluzione della storia ha rappresentato anche il suo limite: era cioè uno Stato che garantiva gli interessi dell’aristocrazia sempre tramite la presenza dell’autorità regia, garantiva gli interessi della borghesia che trovava rappresentanza nell'Assemblea legislativa, ma al fondo di caratterizzava per essere uno Stato monoclasse; ciò significa che al di fuori degli interessi della classe sociale borghese, tutte le altre componenti della società erano escluse dalla possibilità di partecipare prima e di condizionare quindi l'indirizzo politico dello Stato. Questa forte limitazione dell'elettorato attivo ha determinato col tempo uno squilibrio non diverso da quello che secoli prima portò al superamento dell’assolutismo regio in favore dello Stato liberale. Non a caso tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 assistiamo, pur nel rispetto di una sostanziale continuità storica nella forma di Stato, all'ampliamento significativo della base sociale dello Stato, che da Stato monoclasse si trasforma in Stato pluriclasse, cioè in uno Stato che riconosce e accoglie nei suoi meccanismi rappresentativi e quindi di Governo gli interessi anche di classi sociali diverse da quella aristocratica, da una parte e borghese, dall'altra. L'affermazione dello Stato pluriclasse si accompagna all'estensione progressiva del suffragio universale, che in Italia, ad esempio, si raggiunge solamente nel 1919 (suffragio universale maschile). Le vicende dell'evoluzione delle forme di Stato nel secolo scorso vedono l'affermarsi di forme di Stato AUTORITARIE, fascismo in Italia e nazismo in Germania, che scatenano la 2 guerra mondiale. Si affermano una volta conclusa la 2 guerra mondiale delle altre forme di Stato, come ad esempio lo Stato SOCIALISTA ispirato all'ideologia comunista nell'allora Unione Sovietica, mentre nell'Europa continentale e in Inghilterra si afferma quella forma di Stato nella quale ancora oggi ci troviamo, denominata come forma di Stato DEMOCRATICO-COSTITUZIONALE. Lo Stato democratico-costituzionale si caratterizza innanzitutto per la presenza di una COSTITUZIONE RIGIDA. Seconda caratteristica, lo Stato democratico- costituzionale contempla a livello di fonte costituzionale alcuni diritti fondamentali che sono disciplinati in Cost. e sono garantiti all'individuo nei conoscono una pluralità di partiti politici che tendono a coalizzarsi tra di loro (es. nel primo caso Inghilterra, nel secondo Italia). PRASSI (modo in cui gli organi costituzionali si comportano): una determinata condotta reiterata nel tempo non può condurre al formarsi di regole di comportamento contrarie alle regole scritte in Cost., tuttavia laddove la Cost. non disciplini determinate situazioni, ecco che possono formarsi alcune prassi istituzionali che in qualche modo colmano le lacune costituzionali. SISTEMA ELETTORALE: è il meccanismo con il quale i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi. Ciascun Paese ha un suon sistema elettorale che ha caratteristiche specifiche. Distinzione principale tra: sistemi elettorali maggioritari e sistemi elettorali proporzionali. Premesso che un determinato sistema elettorale ripartisce il territorio in collegi e che all’interno di questi collegi vengono posti 1 o più seggi, con il sistema elettorale maggioritario il/i seggio/i vengono attribuiti a chi ottiene il maggior numero di voti. Nei sistemi elettorali proporzionali, invece, i seggi sono distribuiti a seconda della quota di voti ottenuta dalle liste in competizione. Con una legge elettorale proporzionale il numero di seggi assegnato rispecchia proporzionalmente il voto dato dall’elettorato. Esistono poi sistemi elettorali maggioritari/proporzionali puri e sistemi elettorali misti. A seconda del sistema elettorale scelto muteranno di molto le modalità con cui determinate regole scritte in Cost. troveranno applicazione. (integrare il punto 3 con il libro). FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE: l'elemento che accomuna tutte le forme di Governo di questo tipo è dato dall’esistenza di un rapporto fiduciario fra Governo e maggioranza parlamentare che lo sostiene. In questi sistemi, l’elettore con il proprio voto elegge l'Assemblea legislativa, la quale poi esprime un determinato Governo votandogli la fiducia. La fiducia come viene concessa, può essere revocata. Quindi in una forma di Governo parlamentare l'elemento caratterizzante è il rapporto di fiducia che deve sussistere tra una maggioranza parlamentare e il Governo. In una forma di Governo parlamentare, quindi, l'indirizzo politico è dato dall'azione congiunta di maggioranza parlamentare e Governo. Distinzione fra: A. FORME DI GOVERNO PARLAMENTARI ISPIRATE AL PARLAMENTARISMO MAGGIORITARIO B. FORME DI GOVERNO PARLAMENTARI A PREVALENZA DEL PARLAMENTO A. Nel primo caso rientrerebbero quelle forme di Governo parlamentari contraddistinte tendenzialmente da un sistema politico bipartitico o comunque dalla contrapposizione fra due coalizioni politiche omogenee e contraddistinte anche tendenzialmente da un sistema elettorale maggioritario. In linea di massima, contrapponendosi due soli partiti è vero che l’elettore elegge l'Assemblea legislativa, ma di fatto con il proprio voto elegge anche l'esecutivo. L'esecutivo sarà conseguenza diretta dello schieramento vincitore. B. Nel secondo caso rientrano quelle forme di Governo parlamentari caratterizzate da un sistema politico segnato da una molteplicità di partiti e sovente a questo si accompagna anche una legge elettorale proporzionale. Non essendoci all'esito delle elezioni uno schieramento nettamente vincitore, ecco che riacquisterà centralità il Parlamento. FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE: E’ quella particolare forma di Governo in cui il Capo dello Stato viene eletto direttamente dal corpo elettorale. Il corpo elettorale elegge direttamente anche l'Assemblea legislativa. Sia il Capo dello Stato, sia l'Assemblea legislativa, concorrono alla formazione di indirizzo politico esercitando ciascuno le funzioni che la Cost. gli riserva, funzione legislativa per l'Assemblea legislativa e funzione esecutiva per il Presidente. L'esperienza storico-costituzionale più nota in cui la forma di Governo presidenziale si attiva è quella degli USA. Il Presidente nomina un Governo nel senso che individua alcuni soggetti che debbono assisterlo nell’esercizio della funzione esecutiva, ma a parte la libertà di nominare e di revocare i membri del suo governo, non esiste alcun rapporto fiduciario fra Assemblea legislativa e Presidente. Ciò significa che l'Assemblea legislativa non può sfiduciare il Presidente, e quest’ultimo non può sciogliere l'Assemblea legislativa. Il Parlamento si compone di due assemblee legislative: » il Senato, che è una Camera di rappresentanza degli Stati membri; ciascuno Stato membro elegge due senatori. > Camera dei rappresentanti: eletta su base nazionale. L’organo legislativo è titolare della funzione legislativa e nell’ambito dell’esercizio della funzione legislativa approva, ad esempio, la legge di bilancio annuale, legge con cui vengono stanziate le risorse per attuare determinate politiche pubbliche; ecco quindi che nell'ipotesi in cui Presidente e maggioranza parlamentare siano espressione di schieramenti politici contrapposti, se l'Assemblea non concede i mezzi finanziari per l'attuazione di determinate politiche pubbliche, l'azione presidenziale può essere fortemente compromessa. Nel sistema costituzionale americano, Presidente e organo legislativo sono indipendenti l’uno dall'altro; lo stesso Presidente può, per esempio, opporsi all'approvazione di leggi che non condivida, ma questo veto può essere superato dalla Camera (dal Congresso) con un voto successivo a maggioranza qualificata. L'organo legislativo, inoltre, può mettere in stato d’accusa il Presidente in determinate situazioni e ha un forte potere di condizionamento rispetto alle nomine riservate al Presidente, in quanto quelle nomine devono passare per uno scrutinio da parte dell'organo legislativo. FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE: Forma di Governo vigente nell’ordinamento francese. La forma di Governo semipresidenziale ha caratteristiche in parte della forma di Governo presidenziale, in parte di quella parlamentare, perché: A. Vi è un Capo dello Stato eletto direttamente dal corpo elettorale B. Il corpo elettorale elegge anche un’Assemblea legislativa C. Il Presidente nomina un Governo, il quale deve avere la fiducia del Parlamento. Nella forma di Governo semipresidenziale, quindi, la funzione esecutiva non spetta solamente al Presidente, ma viene divisa tra Presidente e Governo. D. Il Presidente della Repubblica può sciogliere l'Assemblea legislativa. Questo insieme di regole costituzionali ha determinato che in taluni casi la maggioranza parlamentare e Presidente fossero espressione di forze politiche o di coalizioni diverse; ciò comportava che il Presidente doveva necessariamente nominare il Governo che tenga la fiducia dell'Assemblea legislativa e quindi era costretto a nominare un Governo di orientamento politico diverso dal suo. Per superare questa situazione, dal 2000 una riforma PREROGATIVE PARLAMENTARI: sono degli istituti, cioè sono un insieme di regole giuridiche che si riferiscono ad uno stesso fenomeno giuridico, che non puntano a salvaguardare l'autonomia e l'indipendenza delle Camere in quanto organi collegiali, ma puntano a garantire l'autonomia e l'indipendenza di ciascun singolo parlamentare. Autonomia e indipendenza nei confronti del potere giudiziario. L'art. 68 Cost. disciplina le prerogative parlamentari, e distingue due diversi istituti: 1) L’INSINDACABILITA’: ciascun parlamentare non può mai essere chiamato a rispondere in nessuna sede giudiziaria per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio della sua funzione di parlamentare. Essa copre l’attività del singolo parlamentare anche dopo la scadenza del mandato. 2) IMMUNITA' PENALE: qualora un magistrato voglia adottare misure restrittive della libertà personale, della libertà domiciliare o della libertà di comunicazione deve farlo chiedendo prima l’autorizzazione alla Camera di appartenenza. La valutazione delle Camere non è arbitraria perché ciascun giudice può impugnarla e contestarla davanti alla Corte cost. L'immunità penale opera in corrispondenza della durata del mandato del singolo parlamentare. In merito all'istituto della insindacabilità, la Corte cost. ha elaborato un particolare concetto giuridico, che è quello di “NESSO FUNZIONALE”: cioè se le dichiarazioni rese dal singolo parlamentare sono funzionalmente collegate all'attività che il parlamentare svolge, egli è coperto dall’insindacabilità; se la dichiarazione è sganciata completamente dall'attività che svolge quel parlamentare, l’insindacabilità non opera. FUNZIONI DEL PARLAMENTO: 1. Innanzitutto, il Parlamento è titolare di una funzione legislativa, cioè dell’adozione di atti normativi (art. 70 Cost.) 2. Attribuzione della fiducia al Governo; la Cost. disciplina espressamente le modalità con cui le Camere accordano o revocano la fiducia al Governo. Il rapporto di fiducia non è presunto, richiede un voto, una manifestazione formale di volontà da parte delle Camere. La stessa cosa vale per l’ipotesi in cui le Camere desiderano togliere la fiducia all’esecutivo, in questo caso la Cost. disciplina le modalità con cui questo avviene. La Cost. all'art. 94 ci dice che il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere; la fiducia viene accordata oppure revocata mediante nozione motivata e votata per appello nominale. La fiducia si accorda o si revoca con una maggioranza semplice; la maggioranza semplice con cui può essere accordata oppure revocata la fiducia all’esecutivo va di pari passo con la maggioranza semplice con cui vengono approvate le leggi. Una volta accordata la fiducia al Governo, quest’ultimo governa fino alla fine della legislatura oppure fino al momento in cui una Camera non vota una mozione di sfiducia. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti di una Camera e inoltre deve essere messa in discussione non prima di 3 giorni dalla sua presentazione. La mozione di sfiducia deve essere votata con le stesse regole che valgono per la mozione di sfiducia. Non solo le Camere possono porre in discussione il rapporto di fiducia presentando una mozione di sfiducia, ma è lo stesso Governo che può porre le Camere di fronte ad un'alternativa: o tu mi voti un determinato provvedimento oppure io lo intendo come voto di sfiducia e quindi mi dimetterò. 3. Le Camere svolgono una funzione parlamentare di controllo nei confronti del Governo; gli strumenti di controllo a disposizione dei singoli parlamentari sono due: - lPINTERROGAZIONE, che viene posta all’esecutivo sulla veridicità o meno di un determinato fatto; - l’INTERPELLANZA, che sempre su un fatto o su una determinata situazione chiede quale sia l'orientamento politico che intende prendere l'esecutivo. 4. FUNZIONE/POTERE DI INCHIESTA: ciascuna Camera o le due Camere assieme possono costituire commissioni d'inchiesta su materie di pubblico interesse (art. 82 Cost.). Le commissioni sono formate in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari (proiezione di un partito, di un movimento politico in seno ad una Camera), ciò significa che in una commissione d’inchiesta siedono sia membri della maggioranza sia membri dell'opposizione. Le Camere svolgono inchiesta con gli stessi poteri e con gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria. L'attività di una commissione d'inchiesta si conclude con una relazione; vi possono essere più relazioni: molto spesso vi è una relazione di maggioranza e una o più relazioni di minoranza; questo perché è vero che la commissione opera con gli stessi poteri dell’attività giudiziaria, ma è pur sempre un organo politico e quindi sugli stessi fatti vi possono essere valutazioni politiche divergenti fra maggioranza e opposizione. La relazione è comunque un atto inidoneo ad incidere sui diritti dei terzi. 5. funzioni del Parlamento in relazione all’appartenenza dell’Italia all'UE. - Esigenza di dare attuazione alle direttive dell'UE rispettando i termini fissati dall'UE - Esigenza di influire sui processi decisionali dell’UE laddove questi vanno a definire l'indirizzo politico che debbono prendere le singole attività dell’UE. Queste due esigenze hanno una loro disciplina specifica in atti legislativi interni, in particolare esistono degli strumenti legislativi di cui lo Stato si è dotato nel tempo e che per un verso consentono la partecipazione del Parlamento alla formazione di quegli indirizzi politici dell'UE ed esiste una disciplina legislativa interna che regola le modalità con cui le direttive europee vengono attuate. (integrare con il libro al paragrafo 3.6, capitolo IV) LEZIONE 24/04/2020 IL GOVERNO Organo costituzionale complesso, nel senso che si compone di più soggetti (art. 92 Cost.): 1. Presidente del Consiglio dei ministri 2. | singoli ministri 3. L'organo collegiale formato dal Presidente del Consiglio dei ministri più i singoli ministri che assieme danno vita al Consiglio dei ministri. FUNZIONI DEL GOVERNO A. Il Governo assieme alla maggioranza parlamentare che lo sostiene attraverso il rapporto fiduciario è titolare della funzione di indirizzo politico. B. Il Governo è titolare della funzione esecutiva, funzione con cui alla luce delle disposizioni normative generali e astratte, vengono successivamente adottati degli atti amministrativi che applicano quelle disposizioni normative a determinate fattispecie concrete. C. Funzione normativa, la quale si esplica tramite l'adozione di atti con forza di legge e con l'adozione di fonti secondarie. FORMAZIONE DEL GOVERNO La Cost. agli art. 92/93/94 dice che spetta al Presidente della Repubblica nominare il Presidente del Consiglio. Inoltre, sempre al Presidente della 1. Viè un vero e proprio principio di responsabilità politica in capo a ciascun ministro. Potere da una parte e responsabilità dall'altra negli ordinamenti democratici costituzionali contemporanei vanno necessariamente di pari passo. Quindi, se la Cost. mi dice che ciascun ministro risponde individualmente per gli atti del suo ministro, significa che quegli atti egli ha il potere giuridico di determinarli e quindi ciascun ministro è autonomo nella direzione del suo ministero. 2. Principio della responsabilità politica collegiale incentrato sul Consiglio dei ministri; delle decisioni che assume il Consiglio dei ministri rispondono collegialmente Presidente del Consiglio e singoli ministri. 3. Direzione politica monocratica; la Cost. riserva al Presidente del Consiglio dei veri e propri poteri di direzione politica dell'esecutivo. Egli dirige la politica generale dell’esecutivo, ne è responsabile e mantiene l’unità dell'indirizzo politico coordinando l’attività dei singoli ministri. Se queste sono le regole giuridiche fissate in Cost. da cui si ricavano questi 3 principi, in realtà è solo guardando ai diversi contesti politico-partitici nei quali quelle regole si sono calate che si comprende come abbiano effettivamente operato quelle regole giuridiche nell’ambito dell'attività dell'esecutivo. Il punto di equilibrio tra autonomia dei singoli ministri e unità di indirizzo garantita dall’attività del Presidente del Consiglio, è variato moltissimo nella storia repubblicana. Vi sono state cioè fasi in cui un Presidente del Consiglio dotato di una fortissima leadership, ha garantito l’unità dell’azione governativa a scapito dell'autonomia dei singoli ministri. Vi sono state altre fasi in cui la debolezza del Presidente del Consiglio unitamente alla forza di alcuni singoli ministri, ha determinato un punto d’equilibrio molto più sbilanciato a favore dell'autonomia del singolo ministro rispetto alle esigenze di unità dell’azione di Governo. ORGANI GOVERNATIVI COSTITUZIONALMENTE NON NECESSARI Nell’esperienza repubblicana si possono ricordare: - I SOTTOSEGRETARI DI STATO - I MINISTRI SENZA PORTAFOGLIO - VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Sono figure che sono state determinate in via legislativa, si sono affermate a seguito di prassi istituzionali che sono state poi codificate da norme giuridiche. | sottosegretari sono figure politiche che affiancano i ministri nella direzione di un certo ministero. La figura del Vicepresidente del Consiglio è una figura che ha trovato consacrazione nell’esigenza di assicurare forze politiche che compongono la maggioranza. | ministri senza portafoglio sono ministri che non sono preposti ad un determinato ministero, ma si occupano di particolari politiche pubbliche a cui però non corrisponde una struttura burocratica deputata al Governo di un certo settore dell'ordinamento (rimando al libro cap. IV, paragrafi 2.9/2.10) LEZIONE 29/04/2020 PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (art. 83/91 Cost.) Tutte, o quasi tutte, le forme di Governo parlamentari oltre ai due organi costituzionali, Parlamento e Governo, conoscono anche un terzo organo costituzionale, organo che assume il ruolo di Capo dello Stato; può essere il monarca nelle forme di Stato monarchiche, può essere il Presidente della Repubblica nelle forme di Stato repubblicane. Nella forma di Stato parlamentare, il Capo dello Stato può assumere due diversi ruoli: - In alcune forme di Stato, il Capo dello Stato in una forma di Governo parlamentare, ha storicamente assunto un ruolo di tipo governante; cioè accanto al raccordo maggioranza parlamentare e Governo, alla formazione dell’indirizzo politico concorre anche il Capo dello Stato. - In altre forme di Governo parlamentari, nella maggioranza delle forme di Governo parlamentari contemporanee, il Capo dello Stato assume un ruolo diverso, è cioè considerato un organo di garanzia. Organo di garanzia della Cost. e del buon funzionamento del sistema costituzionale. La disciplina contenuta in Cost. a proposito del Capo dello Stato stabilisce alcune regole sulla sua modalità di elezione e sulla durata del mandato: a. Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune. Nel caso dell’elezione del Presidente, il Parlamento in seduta comune viene integrato da dei soggetti, i delegati regionali, che vengono indicati dalle singole regioni. Questo perché il Presidente della Repubblica, secondo l'art. 87 Cost., essendo il Capo dello Stato e rappresentando l’unità nazionale, essendo quindi un organo dell'intero ordinamento, il quale si compone tanto dello Stato quanto degli enti autonomi territoriali, la Cost. vuole che anche le regioni concorrano all'elezione del Capo dello Stato. L'elezione avviene a scrutinio segreto e richiede per le prime 3 votazioni la maggioranza dei 213; dopo la terza votazione occorre la maggioranza assoluta. b. Il mandato presidenziale dura 7 anni, alla scadenza dei quali si può essere rieletti. La Cost., all'art. 87 ci dice qual è il ruolo del Capo dello Stato e ci indica un lungo elenco di specifiche attribuzioni che gli spettano. Tuttavia, vi sono altre svariate disposizioni costituzionali che riservano altre competenze al Presidente. Si possono raggruppare le competenze del Presidente a seconda della diversa tipologia: 1) Egli è titolare di rilevanti poteri nel procedimento di formazione del Governo 2) Egli ha rilevanti attribuzioni nell’ambito dei diversi procedimenti normativi 3) Egli ha rilevanti poteri di nomina (es. nomina di 5 giudici della Corte cost.) 4) Egli presiede degli organi collegiali; in particolare presiede il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della Magistratura. Come già detto, il ruolo del Capo dello Stato è un ruolo di garanzia; garanzia costituzionale e garanzia del buon funzionamento del sistema costituzionale. Ruolo di tutela della Cost. + nell’ambito dei procedimenti di formazione delle leggi e degli atti con forza di legge il Capo dello Stato intervenga promulgando le leggi o emanando gli atti con forza di legge, svolgendo in quella sede una funzione di controllo; egli, cioè, può rinviare gli atti evidenziando eventuali contrarietà di quegli atti legislativi alla Carta costituzionale. Tutte quelle attribuzioni assai rilevanti di cui è titolare il Presidente nella formazione del Governo, attribuzione alla quale si affianca un ulteriore potere, ovvero quello di scioglimento anticipato delle Camere, sono tutte attribuzioni che la Cost. gli dà in quanto egli è chiamato a garantire che il sistema funzioni. Gli atti che il presidente adotta non devono essere guidati da motivazioni di tipo politico. Quando il presidente conferisce l’incarico ad un soggetto perché provi a formare un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare, è ovvio che il conferimento dell'incarico e la successiva nomina siano atti che hanno effetti di tipo politico. Ma egli deve assumere decisioni non seguendo le proprie motivazioni politiche, ma seguendo il fine che la cost. gli indica, cioè il fatto che egli deve riattivare il sistema consentendo la formazione di un governo. nell’ipotesi in cui si verifichi una crisi di Governo tale per cui il Capo dello Stato accentri l'inesistenza di una qualsiasi maggioranza parlamentare disposta a sostenere un Governo, a quel punto egli può sciogliere anticipatamente le Camere. Il potere di scioglimento anticipato può riguardare anche una sola Camera. Nell'ipotesi in cui nelle due Camere si formi una maggioranza diversa, siccome il Presidente può sciogliere anche solo una delle due Camere, con una maggioranza politica diversa in seno alle due Camere è improbabile che si formi una coalizione che sostenga un Governo; a questo punto quale delle due Camere egli scioglie? Ovvio che qui la scelta potrebbe essere condizionata dall’orientamento politico del Presidente. Alla luce di ciò, la configurazione dello scioglimento anticipato delle Camere come atto complesso eguale, vuole costituire un freno al possibile rischio che il Presidente abusi di questo suo potere. Allo stesso tempo, il fatto che l'atto non sia di esclusiva spettanza dell’esecutivo, vuole porre un altro freno alle possibilità che sia il Governo ad abusare di questo strumento. LEZIONE 06/05/2020 REGIONI E GOVERNO LOCALE Esistono diversi livelli di Governo a cui la Cost. riconosce una sfera di competenza: esiste il livello di Governo statale, esiste un livello di Governo regionale, esiste un livello di Governo locale, tra cui il livello di Governo provinciale e il livello di Governo comunale. L'ordinamento repubblicano è dato dalla somma di questi diversi enti. Si dice che l'art. 114 comma 1, cioè l’art. che apre il titolo V della parte Il della Cost., titolo dedicato alla disciplina dei livelli di Governo regionale e locale, ha definito nell'ordinamento una sorta di principio di equiordinazione dei livelli di Governo nell'ordinamento repubblicano; ciò significa che livello statale, regionale e locale sarebbero riconosciuti come di pari dignità costituzionale. La Cost. differenzia questi diversi livelli di Governo per le funzioni che essa assegna, ma non li differenzia per importanza. Le regioni italiane sono, innanzitutto, titolari di un'autonomia politica, ciò significa che esse nei limiti delle competenze conosciute dalla Carta cost., hanno la possibilità di darsi un indirizzo politico anche diverso da quello perseguito dallo Stato. Quali sono queste competenze? La prima attribuzione è l’attribuzione normativa: le regioni hanno competenza legislativa e hanno competenza regolamentare, nelle materie di competenza concorrente (art. 117 comma 3) e in tutte le materie che non sono di competenza concorrente o di competenza esclusiva dello Stato e quindi si dicono di competenza residuale regionale (art. 117 comma 4). Le regioni sono anche titolari di una competenza amministrativa, sono cioè titolari di funzioni amministrative nelle materie indicate dall'art. 118 Cost. Mentre l’art. 117 opera un riparto della competenza legislativa costruito sul criterio della materia, l'art. 118 opera un riparto delle funzioni amministrative costruito sul criterio di sussidiarietà. La sussidiarietà mi dice che un determinato interesse pubblico deve essere amministrato dal livello di Governo che gli è più prossimo, a condizione che quel livello di Governo sia idoneo a governare quell’interesse pubblico*. Le regioni sono anche titolari di un'autonomia finanziaria ai sensi dell'art. 119 Cost. Autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria disegnano il quadro degli enti regionali in Cost. (regioni ordinarie). *Chi e come decide la dimensione dell'interesse pubblico coinvolto? La questione dell’attribuire una dimensione statale oppure regionale ad un interesse pubblico che viene in gioco, è un tipo di valutazione tendenzialmente a cavallo fra merito e legittimità; è cioè una valutazione che, certo, risponde a determinati criteri giuridici ma risponde anche a degli apprezzamenti di natura politica. La maggioranza degli ordinamenti statali composti conosce sedi istituzionali e meccanismi procedurali che consentono allo Stato centrale da una parte, e agli enti autonomi-territoriali dall'altra, di confrontarsi a monte delle decisioni che devono essere assunte in ordine al Governo di una certa materia. Nel rispetto delle regole costituzionali, la disciplina di un determinato settore dell'ordinamento è questione talmente complessa che è inevitabile che si intreccino interessi sia dello Stato centrale che degli enti autonomi, e allora governare quella somma di interessi in una certa materia richiede una sede politica di confronto. Molto spesso determinare quando una norma dello Stato sia legittimamente una norma di principio poiché rivolta a tutelare interessi di livello statale, è questione difficile da stabilire, ed è questione che la maggioranza degli Stati composti, risolve con un dibattito politico a monte fra Stato ed enti autonomi. Nell'ordinamento italiano tutto ciò è storicamente mancato: la Cost. ha designato fin dal principio una forma bicamerale del Parlamento ma con le due Camere poste sostanzialmente sullo stesso piano. Il Senato viene eletto su base regionale ma non può essere considerato una Camera di rappresentanza delle regioni in seno allo Stato centrale. Questo obiettivo si sarebbe raggiunto se la riforma costituzionale del 2016 avesse superato il referendum costituzionale; il voto però negativo stoppò quel tentativo di riforma costituzionale che configurava il Senato come una Camera di rappresentanza degli enti autonomi. Le conseguenze sono state quelle per cui mancando una sede istituzionale di confronto politico a monte, il confronto fra Stato e regioni si è trasferito a valle delle decisioni assunte. Il modello di Stato regionale italiano si è contraddistinto per un tasso di contenzioso elevatissimo che ha visto contrapporsi lo Stato e le regioni davanti alla Corte cost. ed è stata la Corte cost. che nel corso di decenni chiamata in causa da una continua contrapposizione fra regioni e Stato, a fornire le chiavi interpretative per ricostruire il riparto di competenza fra Stato e regioni. L'assenza di una sede istituzionale di rappresentanza degli enti autonomi in seno allo Stato centrale e l'assenza di conseguenza di procedimenti idonei a far sì che le decisioni che riguardano tanto materie statali che materie regionali intrecciate tra loro, garantiscano un confronto politico a monte, è stata, solo in parte, colmata con l'adozione del cosiddetto sistema delle conferenze. In via legislativa si è disciplinato tale sistema, è stata cioè configurata una conferenza Stato-regioni a cui si affianca una seconda conferenza fra Stato ed enti locali; le 2 conferenze in taluni casi possono unirsi assieme e danno vita alla conferenza unificata. Queste sono le sedi istituzionali che nell'ordinamento italiano consentono un confronto politico a monte fra Stato e regioni. Tanto per lo Stato, quanto per le regioni, siedono in conferenza rappresentanti dell’esecutivo, competenti per le materie che si affrontano. Il confronto in sede di conferenza può portare a degli accordi che hanno un rilievo meramente politico, oppure, in taluni casi, l'accordo che si raggiunge assume la forma dell'intesa, la quale ha una sua valenza giuridica. Se nell'ordinamento italiano sono state configurate queste sedi istituzionali di confronto, a cosa servirebbe una Camera di rappresentanza degli enti autonomi visto che ci sono queste conferenze che possono funzionare allo stesso modo? Non è così; salvo ipotesi eccezionali, le decisioni assunte in sede di conferenza, non vincolano il legislatore statale. LEALE COLLABORAZIONE: La giurisprudenza della Corte cost. ha, fin dagli albori dello sviluppo del regionalismo italiano, riconosciuto la leale collaborazione fra livelli di Governo come uno dei principi cardine dell'ordinamento regionale italiano. La leale collaborazione consiste in ciò: qualora in una determinata materia o in più materie sovrapposte tra loro, vengano in gioco tanti interessi di rango statale, quanto interessi di rango regionale, le decisioni spettano all'ente competente secondo le regole fissate in Cost., ma la decisione legislativa, innanzitutto, amministrativa, poi, di quell’ente deve necessariamente tenere conto degli interessi della controparte. Secondo la Corte cost., la leale collaborazione è un sostituisce all'ente provinciale; è governata da un sindaco metropolitano che di regola è il sindaco del comune capoluogo: è la forma di Governo locale pensata dalla Cost. prima, e dal legislatore poi, per l’amministrazione della città più popolose (rimando al libro cap. V , paragrafo 7) LEZIONE 07/05/2020 FORMA DI GOVERNO DELL’UE +sStudiare dal libro Pg. 87/91 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Oggi l’amministrazione non è più un'amministrazione gerarchicamente ordinata e corrispondente all’amministrazione dello Stato; esistono diverse amministrazioni: quella dello Stato, delle singole regioni e l’amministrazione locale. Siccome questi enti sono enti autonomi su base territoriale, l’amministrazione di questi enti risponderà all'indirizzo politico stabilito da quegli enti. Accanto a queste amministrazioni pubbliche si affiancano, poi, altri soggetti che sono anch'essi pubbliche amministrazioni e che sono, però, titolari di una sfera di competenze diversa. Vi sono cioè enti pubblici che sono cosa diversa dell’amministrazione statale/regionale/locale. Vi sono poi altri enti pubblici che assumono la denominazione di agenzie, che sono forme speciali di organizzazione dell’amministrazione pubblica e che sono deputate al conseguimento di particolari scopi. Vi sono poi le autorità amministrative indipendenti, cioè amministrazioni deputate alla disciplina e si occupano dell’amministrazione di determinati settori dell'ordinamento. PRINCIPI COSTITUZIONALI COMUNI A TUTTE LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: 1. Principio di legalità dell'amministrazione pubblica; qualunque potere esercitato da un’amministrazione deve avere un fondamento normativo. 2. Riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa. Quelli di organizzazione sono proprio quei regolamenti che l’amministrazione adotta per disciplinare l’organizzazione degli uffici in esecuzione della riserva di legge relativa che la Cost. contempla nell’art. 97. L'art. 97 dice che per l’organizzazione degli uffici pubblici vi è una riserva di legge relativa. 3. Principio di imparzialità dell'amministrazione. L’art. 97 ci dice che l’amministrazione agisce alla luce di 2 principi guida: a. Quello di imparzialità b. Quello di buon andamento Il principio di imparzialità concretizza, traduce nell’ambito dell’attività dell’amministrazione il generale principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. Il principio di eguaglianza formale ha una declinazione anche nei confronti dell’amministrazione, laddove all’art. 97 la Cost. impone che l’attività dell’amministrazione si connoti per imparzialità, ovvero rispettare l'eguaglianza di trattamento. Accanto al principio dell’imparzialità dell'amministrazione c’è poi quello del “8UON ANDAMENTO”. L'espressione buon andamento è un’espressione generica che acquista contenuti giuridici se declinata sotto due specifici campi: quello dell’efficienza e quello dell’efficacia. Efficienza significa il miglior rapporto possibile fra mezzi impiegati e risultati conseguiti. Efficacia significa la capacità di raggiungere gli obiettivi fissati dalla legge. La legge indica all’amministrazione gli obiettivi che l'’amministrazione deve necessariamente conseguire; l’amministrazione dovrà conformare l’attività al canone dell’efficacia e quello dell'efficienza. 4. Principio del concorso pubblico per l’accesso a qualunque rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni. Un rapporto di lavoro con una pubblica amministrazione si accede solo e sempre tramite un concorso, cioè una selezione che premi i/il soggetti/o più meritevoli/e. La regola del concorso pubblico è sancita all'art. 97 comma 4 Cost. 5. Dovere di fedeltà che incombe su qualunque soggetto che eserciti pubbliche funzioni. Il funzionario pubblico deve perseguire gli interessi fissati dalla legge e dagli organi di indirizzo politico e deve farlo omettendo favoritismi e di tenere condotte che siano dovute da interessi di natura privata. La Cost. attribuisce alla legge la possibilità per alcune categorie di dipendenti pubblici (magistrati, funzionari e agenti di polizia ad esempio) di introdurre limiti all'iscrizione ai partiti politici, al fine di evitare a monte qualunque possibile commistione fra interessi di parte ed interesse pubblico. 6. Principio di separazione fra politica e amministrazione. Gli organi politici legittimamente individuano l’indirizzo di natura politica che deve essere perseguito; l’amministrazione deve tradurre quell’indirizzo politico in atti amministrativi. Quali sono i rischi? In un caso, quello di asservire l’attività dell’amministrazione agli interessi politici perseguiti dagli organi che in quel momento rivestono il ruolo di Governo. In un secondo caso, il rischio di un’amministrazione del tutto svincolata dal controllo degli organi di indirizzo politico, i quali si ritroverebbero privi degli strumenti per poter attuare l'indirizzo politico per il quale sono stati eletti. La soluzione adottata è quella secondo cui l’amministrazione è separata dalla sfera dell'indirizzo politico; fra la sfera però politica e quella amministrativa non c'è incomunicabilità, anzi, la struttura burocratica deve conseguire gli obiettivi che vengono individuati dagli organi deputati all'indirizzo politico. La soluzione per raggiungere l’equilibrio tra queste due opposte tensioni è quella per cui alla fine l’amministrazione viene in parte valutata anche sulla base del raggiungimento o meno degli obiettivi che le vengono assegnate. 7. Responsabilità personale dei dipendenti pubblici (art. 28 Cost.). | dipendenti pubblici rispondono dell'esercizio dei singoli poteri che la legge gli conferisce e lo fanno solidalmente con lo Stato o con l’ente pubblico a cui appartengono. 8. Principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.); l’amministrazione pubblica deve essere tendenzialmente amministrazione locale. Cioè, qualunque funzione amministrativa spetta al livello di Governo più vicino ai soggetti amministrati, quindi, il livello di Governo locale; se quel livello di Governo è inidoneo allora la funzione sale al livello di Governo tendenzialmente più ampio. ATTIVITA’ DELL’AMMINISTRAZIONE L'attività amministrativa non è un'attività libera, ma è un'attività che assume le forme del procedimento amministrativo (sequenza di atti preordinati all'adozione dell'atto amministrativo conclusivo). Quali sono queste fasi: a. Iniziativa > a distanza di parte (su iniziativa del privato) 3d'’ufficio (su iniziativa dell’amministrazione) b. Istruttoria: Nella fase dell’istruttoria possono inserirsi anche l'acquisizione da parte dell’amministrazione, che viene detta “PROCEDENTE”, di atti di assenso da parte di altre amministrazioni pubbliche c. Decisoria, cioè alla fase costitutiva, e quindi adotta il provvedimento amministrativo conclusivo di quel procedimento.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved