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Appunti lezioni frontali e sbobinature videopillole, Appunti di Psicopatologia generale e dello sviluppo

Il file riporta tutto quanto è stato spiegato a lezione e include anche le sbobinature delle videopillole (alcune parti sono riportate tali e quali come presentate nelle slide), più alcune immagini.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 10/09/2023

elena-cavicchioli
elena-cavicchioli 🇮🇹

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3 documenti

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Scarica Appunti lezioni frontali e sbobinature videopillole e più Appunti in PDF di Psicopatologia generale e dello sviluppo solo su Docsity! PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO VIDEOPILLOLA “Organizzazione modulare del sistema cognitivo” Il modello di Fodor si articola su tre principali fasi: la prima realizzata dai traduttori, la seconda che è realizzata dai sistemi di input o moduli o unità computazionali, e la terza fase che è a carico del sistema cognitivo centrale. I trasduttori, che coincidono con gli organi di senso, trasformano i segnali fisici ambientali in segnali elettrochimici utilizzabili dal SNC. In questa prima fase non vengono compiute operazioni di selezione (il trasduttore non “decide” cosa può vedere/sentire, a meno che non ci sia un deficit agli organi di senso). Nella fase dei sistemi di input avviene un’elaborazione in parallelo dei segnali provenienti dai trasduttori ad opera delle varie unità computazionali, che funzionano in maniera autonoma e separata, tanto che vengono chiamate unità computazionali informazionalmente incapsulate. Anche in questo caso non ci sono operazioni di selezione. Nella terza fase, il sistema cognitivo centrale opera integrazioni di tutte le informazioni ricevute (non ha un funzionamento modulare), anche se sono di natura diversa. Tuttavia, proprio perché il sistema cognitivo centrale è in grado di fare una serie di operazioni tutte insieme, ha capacità limitata e risorse esauribili (le selezioni che non vengono fatte negli step precedenti, vengono fatte a questo livello). Un’inefficienza dei sistemi di trasduzione può essere totale (es. non vedente) o parziale (es. ipovedente), ed è il caso dei disturbi di apprendimento da deficit sensoriale. Quando invece abbiamo un’inefficienza del sistema cognitivo centrale, si verificano difficoltà a mettere insieme le diverse informazioni, come nel caso del disturbo generalizzato di apprendimento. In questa condizione di danno del sistema cognitivo centrale è possibile che un bambino si sviluppi normalmente imparando il linguaggio, la scrittura e il calcolo, ma non sarà poi in grado di utilizzare funzionalmente queste abilità. Quando invece c’è un problema a livello computazionale, cioè a livello del singolo modulo, si producono i cosiddetti disturbi specifici di apprendimento (DSA). Oggi è opinione condivisa che l’architettura funzionale del sistema cognitivo sia il punto di arrivo, ma che all’inizio ci siano funzioni molto più aggregate e molto meno numerose: nasciamo con delle predisposizioni (aree specializzate nel linguaggio, nella motricità ecc.), ma la specializzazione delle aree cerebrali avviene attraverso i processi di apprendimento, infatti si parla di sviluppo inteso come un processo di modularizzazione (specializzazione dei sistemi di elaborazione dell’informazione). L’apprendimento, dunque, è il motore della modularizzazione e determina dei cambiamenti: di stato della rete neurale, di formato rappresentazionale e di grado di attivazione di un’area corticale. LEZIONE 30 Settembre “I disturbi specifici dell’apprendimento” I disturbi specifici dell’apprendimento sono un insieme di condizioni, a insorgenza in età evolutiva (possono esserci anche disturbi dell’apprendimento acquisiti, ad esempio in seguito a danno neurologico), caratterizzate da difficoltà significative nell’acquisizione di una o più abilità scolastiche di base (lettura, scrittura e/o calcolo) nonostante capacità intellettive nei limiti della norma, l’assenza di deficit sensoriali, l’assenza di importanti disturbi psicopatologici e normali opportunità educative. Caratteristiche cliniche dei DSA: - disturbo del neurosviluppo - fattori genetici (cromosoma 15DYX1, famigliarità) e ambientali - esordio nei primi anni di scolarizzazione - espressività variabile - persistenza di difficoltà ad acquisire una determinata abilità (nonostante l’esercizio) La prevalenza dei DSA viene posta dalla maggioranza degli studi epidemiologici internazionali tra il 2 ed il 10%, con una maggiore concordanza per valori intorno al 2,5-5%. In genere si sente parlare di dislessia intendendo anche disortografia e discalculia: nella maggior parte dei casi infatti si trovano quadri di dislessia associata a disortografia e/o discalculia, ed è molto difficile trovare quadri isolati di disortografia o discalculia, mentre è molto probabile trovare dei quadri isolati di dislessia. I disturbi dell’apprendimento sono un fattore di rischio per disturbi psicopatologici nella tarda infanzia e nell’adolescenza: - 15%-25% di sintomi esternalizzanti - 20%-25% sintomi internalizzanti 1 - 14% lamentele somatiche (es. bambini che devono andare a scuola e presentano sintomi come mal di pancia) - 20%-28% iperattività - 15% ansia Tra i sintomi internalizzanti ci sono ansia scolastica e sociale, depressione, bassa autostima e preoccupazione. Tra i sintomi esternalizzanti ci sono aggressività e rabbia, disattenzione, irritabilità e agitazione. Per quanto riguarda l’incidenza rispetto al genere, vari studi danno prove di maggior presenza di problemi di lettura nel sesso maschile rispetto al sesso femminile (rapporto pari a 3/4:1; valido per tutti i disturbi del neurosviluppo). Secondo altri autori (Shaywitz e Faglioni-De Renzi) l’incidenza sarebbe pressoché identica nei due sessi. Tra i criteri di inclusione definiti dall’ICD-10, la principale caratteristica è la specificità: - disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità - in modo significativo ma circoscritto - lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale Sempre tra i criteri di inclusione, il principale criterio diagnostico è la discrepanza tra l’abilità nel dominio specifico interessato (deficitaria in rapporto alle attese per l’età e/o la classe frequentata) e intelligenza generale (adeguata per l’età cronologica, non inferiore a 85). Altri criteri di inclusione sono: - coinvolge uno o più specifici d o m i n i d i a b i l i t à d i apprendimento (lettura, scrittura e/o calcolo) - l a c o m p r o m i s s i o n e dell’abilità specifica deve essere significativa, cioè inferiore a -2DS (deviazioni s tandard), o < del 5° p e r c e n t i l e , d a i v a l o r i normativi attesi per l’età o la classe frequentata - significativa interferenza con l’andamento scolastico e le attività quotidiane Tra i criteri di esclusione le caratteristiche da considerare sono: - disabilità intellettiva - disturbi neurologici, traumatici o malattia - disturbi sensoriali, visivi o uditivi - condizioni di svantaggio psicosociale - inadeguato ambiente educativo - inadeguata conoscenza della lingua Per quanto riguarda l’evoluzione del disturbo, ci sono diversi livelli di espressione del disturbo (che indice sull’età della diagnosi): i DSA si presentano con caratteristiche multiformi che possono variare tra soggetto e soggetto ed anche in uno stesso soggetto, in funzione del tempo, del percorso scolastico effettuato e delle strategie di compenso che sono state messe in atto. L’ampia eterogeneità di profili funzionali condiziona l’evoluzione. In particolare, assume diversi gradi di espressività in funzione di: - gravità del disturbo (lieve, medio, severo) - caratteristiche cognitive e comorbilità - opportunità educative e sociali Altri esempi di caratteristiche dei DSA nel periodo della scuola dell’infanzia, sono: - a 4-5 anni difficoltà di linguaggio, pronuncia dei suoni non buona o frasi incomplete - scarsa abilità nell’utilizzo delle parole nei giochi linguistici, nelle rime, nelle storielle inventate… - non adeguata padronanza fonologica (es. dire quali sono le sillabe in “cane”) - nella copia da modello, difficoltà o disordine nel foglio - lentezza nelle varie attività - manualità fine inadeguata - disturbo della MBT - goffaggine nel vestirsi, allacciarsi le scarpe… 2 - la padronanza della lingua precede la sua conoscenza formale (struttura fonotattica, regole grammaticali ecc.); noi impariamo le regole grammaticali molti anni dopo averle imparate ad utilizzare nel linguaggio. Le caratteristiche della lingua scritta invece sono: - non tutti i sistemi ortografici sono ugualmente facili (o difficili) - la lingua scritta non viene appresa spontaneamente, ma le regole di trascrizione devono essere insegnate - la padronanza delle regole di trascrizione precede sempre la padronanza d’uso - la comunicazione non è importante per l’apprendimento della lingua scritta - ciò che è importante è la gradualità nell’introduzione delle regole di transcodifica La transcodifica è un processo di trasformazione di un codice in un altro, nei due sensi. Il problema può nascere se i due codici (parlato e scritto) hanno unità costitutive di “grana” diversa. L’unità minima costitutiva del parlato è il fonema, mentre l’unità minima costitutiva della lingua scritta è la lettera. Un secondo problema, connesso con il processo di transcodifica, nasce dal fatto che mentre le lettere sono unità discrete (posso contarle), i fonemi non sono unità discrete (nel parlato produciamo una sequenza di variazioni continue —> i fonemi sono co-articolati), questo perché la maggior parte dei fonemi non hanno autonomia produttiva e recettiva (ascolto), in quanto il fonema non può essere prodotto isolatamente e non può essere percepito se viene prodotto in modo isolato: quindi non coincide quasi mai con i suoni, con i foni o con le sillabe (escluse le vocali perché sono dotate di autonomia percettiva e recettiva), che sono unità con autonomia produttiva e recettiva. La lettera, invece, è l’unità costitutiva dello scritto, ovvero è un simbolo che denota un segmento del parlato ed è un’unità che è sempre percepita come discreta. Nei sistemi alfabetici puri, una lettera denota un singolo fonema (come ad esempio il turco), ma in pratica, nella maggior parte dei sistemi alfabetici, le lettere denotano più di un fonema. Il processo di transcodifica è semplice da apprendere e da realizzare se la corrispondenza tra fonemi e lettere, e viceversa, è 1:1. Quando il grado di corrispondenza è diverso, il processo di transcodifica si complica. In generale, il grado di accostamento delle due componenti del sistema ortografico (fonema —> lettera) viene definita consistenza: - consistenza perfetta —> corrispondenza 1:1 (un fonema corrisponde ad una lettera) - consistenza media —> corrispondenza 1:2 (un fonema, due modi di scriverlo) - consistenza scarsa —> 1:>2 L’italiano ha 30 fonemi (?) che debbono essere rappresentati con 21 lettere; in inglese ci sono 44 fonemi che corrispondono a 26 lettere. Esistono 4 forme (allografi), ovvero lo stampato maiuscolo e minuscolo, il corsivo maiuscolo e minuscolo, per un totale di 84 segni; inoltre, fanno parte dell’ortografia anche gli accenti, gli apostrofi e la punteggiatura. L’elenco dei fonemi dell’italiano, così come lo codifica l’International Phonema Association (IPA), comprende 30 fonemi e 21 lettere, tuttavia, i fonemi da trascrivere si riducono a 25, e abbiamo 27 grafemi. Quindi, se il sistema fosse perfettamente consistente (1:1), l’apprendimento del processo di tanscodifica richiederebbe tempi brevissimi e comporterebbe un unico processo, cioè l’apprendimento delle corrispondenze tra suono e segno. Nel 2005, Ziegler e Goswami hanno costruito una teoria, la Phycolinguistic Grain Size Theory, che parte dall’idea del “mapping dilemma”, secondo cui il mappaggio dei suoni e dei segni (transcodifica) è un processo universale, comune a tutti i sistemi linguistici, tuttavia le soluzioni adottate nei secoli sono diverse e dipendono dalle caratteristiche specifiche dei sistemi linguistici. Quindi, le strategie di apprendimento della lettura e della scrittura si sviluppano in maniera diversa a seconda delle differenze tra le strutture ortografiche. In particolare, le predizioni della teoria affermano che: - lo sviluppo delle rappresentazioni metafonologiche delle parole è più lenta nei sistemi ortografici meno consistenti (opachi) - l’acquisizione delle capacità di transcodifica grafema-fonema (sine qua-non per l’acquisizione della lettura nei sistemi non ideografici) è più lenta nei sistemi ortografici meno consistenti. La teoria del mapping dilemma dice che: - nei sistemi ortografici più consistenti (più regolari) l’apprendimento poggia su strategie di transcodifica grafema-fonema - nei sistemi ortografici meno consistenti (es. inglese, francese) l’apprendimento poggia su strategie di transcodifica multiple (strategie miste), come le parole intere (lettura lessicale), interi morfemi e la conversione grafema-fonema. Nell’apprendimento della scrittura, una trentina di anni fa, Uta Frith propose un modello a tre fasi dell’organizzazione gerarchica nell’apprendimento della scrittura. La prima è la fase alfabetica, in cui ad ogni fonema corrisponde una sola lettera (M-A-N-O). Nella successiva fase ortografica vengono introdotti fonemi con corrispondenze più complesse (es. ghiro richiede l’inserimento di 5 un’h, altrimenti diventa giro). Infine, la fase lessicale viene chiamata così in quanto per interpretare alcune parole mi devo rifare al lessico, quindi al loro significato. In questo livello ci sono parole omofone non omografe, quindi che si pronunciano nello stesso modo, ma si scrivono in modo diverso (hanno, anno). Ci sono anche stringhe omofone non omografe, che possono essere: - sovralessicali, quindi più di una parola —> l’una (la una), l’ago (lo ago) - sublessicali, ad esempio taqui e taccui-no (hanno una stessa componente, ma scritta diversa) Il processo di scrittura parte dalla rappresentazione fonologica della parola (ma c’è anche la rappresentazione ortografica diretta che porta subito al processo grafo-motorio), che viene successivamente analizzata nelle sue singole componenti. Naturalmente questo prevede che io tenga nella MBT dentro un buffer fonologico (magazzino) tutti i fonemi della parola che ho analizzato. Il passaggio successivo è la conversione dal fonema al grafema, per cui devo pescare dentro un buffer grafemico i grafemi nell’allografo in cui vanno scritti. Infine, devo realizzare i processi grafo-motori e scrivere materialmente le lettere. VIDEOPILLOLA “L’apprendimento e l’insegnamento della scrittura e della lettura” pt. 2 Nella scrittura della parola singola, tutta l’attenzione viene indirizzata sul compito di transcodifica, mentre il dettato ortografico del testo prevede un doppio compito: - scrivere - ascoltare e memorizzare Nella scrittura della singola parola indirizzo l’attenzione sui processi linguistici ed ortografici in modo sequenziale, ma quando ci si trova in una situazione di dettatura noi possiamo raggruppare i processi fonologici e di trascrizione sotto forma di processi linguistici (fonologia lessicale), ma abbiamo anche a che fare con i processi ortografici e i processi grafomotori. Ad esempio, quando scrivo “Oggi sono venuto a Reggio Emilia”, i processi linguistici memorizzano le parole della frase, poi successivamente, attraverso la transcodifica, vengono trasformati in processi ortografici e, infine, in grafomotori per scrivere le parole. Mentre sto realizzando questi processi, durante un dettato, vengono inseriti altri processi linguistici, quindi si tratta di un alternarsi di processi linguistici e processi ortografici, per cui la mia attenzione viene distribuita in due processi. Per distribuire l’attenzione è necessario che entrambe le caratteristiche del compito siano automatizzate: quindi, sia i processi di transcodifica ortografica, che di realizzazione grafomotoria e di analisi del parlato devono essere automatizzati, altrimenti possono esserci degli errori. Gli errori ortografici si distinguono in: - errori fonologici —> errori di sostituzione di un fonema con un altro; omissione di qualche lettera, sillaba o parola; inserzione di qualche lettera; inversione di lettere. Sono chiamati così perché producono un effetto sulla fonologia per chi li legge e spesso richiedono l’intervento della logopedista che deve correggere alcuni processi di analisi fonologica dei suoni - errori non fonologici —> errori ortografici e lessicali (es. anno invece di “hanno”), e sono errori che riguardano solo il sistema di trascrizione La valutazione dell’ortografia avviene in modo diverso a seconda della fase e dell’età del bambino: - dettato di parole —> viene utilizzato in prima primaria con parole di livello alfabetico (es. scatola, pensiero…); mentre dalla seconda primaria possono essere inserite parole di livello ortografico. - dettato del testo —> viene usato dalla seconda primaria con modalità incalzante (sia parole di livello alfabetico che ortografico) quindi cercando di sovrapporre il livello linguistico con quello ortografico e viceversa. Se il bambino nelle parole isolate scrive correttamente, mentre con le parole in un testo fa più fatica, è inutile fare schemi di riabilitazione con singole parole, ma è necessario creare un esercizio che richiami il doppio compito: ortografico e linguistico (si parla del dettato incalzante, per creare una situazione simile a quella che sperimentiamo quando scriviamo un testo nel compito naturale). VIDEOPILLOLA “La lettura dell’italiano” Il processo di lettura è abbastanza complesso e solitamente viene distinto in attività di basso livello e attività di alto livello. Quando si parla di dislessia ci si riferisce unicamente all'aspetto che coinvolge i processi di basso livello, ovvero i processi visivi, la decodifica fonologica e la velocità e automaticità, mentre vengono lasciati in disparte il vocabolario, la comprensione del parlato e la comprensione del testo perché sono, in parte, indipendenti dai processi di basso livello. Per cominciare ad analizzare i processi di basso livello, possiamo dire che il nostro sistema ortografico, cioè le lettere di cui noi disponiamo per rappresentare il parlato, è composto da 21 lettere per rappresentare 26 fonemi, quindi c'è una proporzione (=ratio) dello 0,75% (numero di lettere inferiore al numero di fonemi che dobbiamo trascrivere in ortografia). Il nostro sistema ortografico ha 4 forme (=allografi) che sono lo stampato minuscolo\maiuscolo, corsivo minuscolo\maiuscolo, per un totale di 84 segni; poi fa parte del sistema ortografico anche 6 l'accentazione e la punteggiatura. Naturalmente se si confronta lo stampato maiuscolo e minuscolo ci sono delle lettere uguali nelle due forme e che semplicemente sono più piccole nello stampato minuscolo (es. c, o, p, s, u, v, z). Ciò significa che noi siamo obbligati ad apprendere in realtà non 21+21 lettere, ma 21+14, perché ci sono 7 lettere identiche. Pur essendo l'italiano un'ortografia molto trasparente, abbiamo nella fase iniziale la necessità di imparare degli elementi che sono multipli rispetto ad un sistema completamente trasparente. La trasparenza di un codice o consistenza, è la relazione fra due particelle di un insieme, in cui l’insieme è fonografico e le due particelle sono da un lato la lettera e dall'altro il fonema. Gli elementi di un insieme possono avere una consistenza: - perfetta → corrispondenza 1(lettera):1(fonema) - media → corrispondenza 1:2 - scarsa → corrispondenza 1:>2 L’ortografia dell’italiano non è sempre stabile, ma dipende da quale condizione noi utilizziamo: per esempio se chiamiamo in causa la presentazione dell'insegnante in prima elementare che mostra l'alfabetiere, la consistenza è perfetta per le 5 vocali. Per quanto riguarda le consonanti, abbiamo una consistenza perfetta per 13 su 15 (l'H non ha nessuna consistenza), mentre abbiamo una consistenza media per 2 lettere (c, g). Tuttavia, se si va a leggere lettera per lettera all'interno della parola, si possono fare molti errori e si può notare che il grado di consistenza scende, perché non tutte le vocali sono ugualmente consistenti. Esempio: prendendo la parola “giacca”, la “i” non si legge, quindi non c'è una consistenza perfetta fra lettera e suono. Di 15 consonanti ce ne sono 13 con una corrispondenza perfetta, che in questo caso scendono a 9 (B, D, F, M, P, Q, R, T, V) perché ci sono 3 consonanti che hanno una corrispondenza media (la L, N, Z) perché la L può essere letta all'interno del gruppo “GL” come anche la N che può essere letta all'interno del gruppo “GN” e la Z che può essere letta diversamente. Ci sono, infine, 3 lettere che hanno un grado di consistenza bassa (la G, S, C). Non è esatto, quindi, dire che l'ortografia dell'italiano ha una consistenza perfetta, ma il vantaggio dell'italiano deriva dal fatto che noi abbiamo delle regole stabili anche se non c'è la corrispondenza perfetta. Se noi in italiano invece che applicare una corrispondenza lettera per lettera, applichiamo una corrispondenza sillaba per sillaba, passiamo ad una consistenza perfetta per il 99,9973% degli elementi, perché abbiamo solo una sillaba che in italiano si può leggere in due modi diversi ed è la “GLI” (detta omografa non omofona), quindi bisogna ricorrere al significato per cambiarla. Se il nostro sistema è così facile, quanto ci si impiega per impararlo? Nelle fasi iniziali c'è un lento periodo di assemblaggio fonologico, ma molto presto questa abilità diventa ben padroneggiata e addirittura automatica. Come si fa a vedere quando un bambino\adulto ha automatizzato il processo di lettura? C'è un sistema che è stato messo a punto da un neurologo americano negli anni ’60, che consente di confrontare la velocità di risposta alla lettura della parola con la velocità di risposta alla denominazione di una figura. Se io presento una parola al soggetto chiedendo di rispondere quanto prima possibile su ciò che è scritto o chiedendo la denominazione di una figura, quando la risposta alla parola è più rapida della risposta alla figura allora possiamo sostenere che la lettura è stata automatizzata, perché è diventata più rapida della denominazione. Nell'adulto ovviamente la lettura è più rapida della denominazione, ma nel bambino no. Siccome il passaggio dalla velocità di denominazione alla velocità di lettura viene chiamato turning point, ovvero punto di viraggio, si è andati a cercare nel 2006 in che punto del percorso di scolarizzazione è il turning point. In prima primaria si ha una maggiore rapidità nella denominazione, in seconda primaria i tempi sono simili e si ha il punto di equilibrio, in terza primaria è nettamente più veloce la lettura e la differenza è altamente significativa, quindi i bambini italiani impiegano circa due anni per imparare ad automatizzare la lettura. Ma come avviene questo processo di lettura? Si tratta di un processo che viene definito un modello a due vie, perché disponiamo di due sistemi per trasformare i segni dell'ortografia in suoni. Il primo si chiama via fonologica o indiretta, perché il percorso parte dall'analisi visiva e va ad un sistema che converte i grafemi in fonemi che noi abbiamo nella nostra MLT, entra nel magazzino fonologico di uscita e può produrre la parola; oppure può andare al magazzino delle rappresentazioni lessicali per vedere se esiste questa rappresentazione lessicale. Quindi l'accesso al lessico avviene dopo la segmentazione sillaba per sillaba o lettera per lettera (lu-cer-to-la). L'altra via si chiama via 7 parole ed il testo per vedere se c'è l'effetto lessicale. Ad esempio, un testo complesso con elementi lessicali difficili che costringono il soggetto a rallentare per decifrarli accuratamente, è come se fosse pieno di non parole e quindi la velocità di lettura si avvicina a quella di non parole. Un altro problema può essere che il soggetto risenta di alcune condizioni di analisi visiva che si manifestano nel testo e non nella lettura di parole. Ad esempio, le colonne di parole che il soggetto legge sono distanziate e richiedono un unico punto di fissazione, mentre se un soggetto legge un testo può avere difficoltà nella lettura che derivano: dalla necessità di coordinare un meccanismo di inseguimento visivo (richiede la coordinazione dell'attività binoculare), cioè di mantenere e spostare lateralmente il punto di fissazione lungo la riga, e dall'affollamento visivo, cioè dal fatto che il testo si presenta come uno stimolo percettivo molto affollato e noi attraverso l'attività di focalizzazione e puntamento dobbiamo entrare in questo affollamento e mantenere la capacità di leggere in modo ordinato. Il problema dell'affollamento visivo è stato affrontato molto spesso negli ultimi anni perché si sostiene che modificando la spaziatura fra le righe si ottengono delle facilitazioni per i soggetti dislessici, migliorando la capacità di lettura. Un altro fattore da considerare, è la distanza dalla media. Nella distanza dalla media bisogna calcolare sempre il numero di errori che vengono compiuti, o il tempo, o la variabile velocità. Per concludere non si può considerare la difficoltà di lettura come un fenomeno univoco, ma ci sono soggetti dislessici che hanno problemi prevalentemente di tipo visivo, di tipo fonologico, o perché manca l'effetto lessicale, o perché alcuni meccanismi connessi al sistema di lettura, come l'inseguimento e l'affollamento visivo, disturbano il processo di decodifica. Nelle prime fasi dello sviluppo il dislessico legge tutto nello stesso modo e, siccome ha grandi difficoltà nella lettura, si comporta ugualmente di fronte alla lettura di un testo, così come parole isolate o non parole. Con la fine della scuola primaria si vedono meglio i profili della dislessia e si può orientare meglio l'intervento. LEZIONE 7 Ottobre “Il disturbo di lettura, caratteristiche cliniche” pt.1 Per poter parlare di DSA si fa riferimento all’ICD-10 e alla Consensus Conference, un documento di consenso pubblicato nel 2007 in cui i massimi esperti nazionali hanno definito come debba essere la valutazione in base a dei parametri fondamentali. La Consensus Conference afferma che è bene somministrare un test di intelligenza multicomponenziale (ci sono anche monocomponenziali —> es. matrici progressive di Raven), dove non si valutano solo gli aspetti non verbali e di ragionamento non verbale, ma anche quelli linguistici, mnemonici e di velocità di elaborazione. A questo proposito, ci sono le scale di Wechsler, e nello specifico per i bambini dai 6 anni ai 16 anni, c’è la scala WISC-IV con cui si possono calcolare 5 punteggi compositi: - un quoziente intellettivo totale (QIT) per rappresentare le capacità cognitive complessive - 4 fattori sottostanti che vanno a determinare il QIT —> l’indice di comprensione verbale, l’indice di ragionamento percettivo, l’indice di memoria di lavoro e l’indice di velocità di elaborazione L’indice di comprensione verbale misura le capacità del soggetto di formulare e di utilizzare i concetti verbali, cioè la capacità di ascoltare una richiesta, di recuperare informazioni precedentemente apprese, di pensare e di esprimere verbalmente la risposta. L’indice di ragionamento percettivo valuta la capacità del soggetto di esaminare un problema, di avvalersi delle proprie abilità visuo-motorie e visuo-spaziali, di pianificare, di cercare delle soluzioni e quindi di valutarle. L’indice di memoria di lavoro valuta la capacità del soggetto di memorizzare nuove informazioni, di conservarle nella memoria a breve termine, di mantenere l’attenzione focalizzata e di manipolarle per produrre una soluzione. L’indice di velocità di elaborazione misura la capacità del soggetto di focalizzare l’attenzione e di scansionare rapidamente gli stimoli. La letteratura scientifica sottolinea che c’è una differenza nel profilo intellettivo dei bambini con DSA, rispetto a bambini con una disabilità intellettiva: analizzando i 4 indici, i DSA presentano valori molto bassi rispetto alla memoria di lavoro e alla velocità di elaborazione, ma hanno valori normali o superiori alla norma negli altri due indici, motivo per cui nei DSA non viene quasi mai calcolato il QIT (si potrebbe trovare un totale inferiore alla media a causa della discrepanza); gli stessi indici, nel funzionamento intellettivo borderline, presentano una discrepanza rispetto ai primi due, ma non così elevata (e i punteggi complessivi sono più bassi); mentre nella disabilità intellettiva ci sono punteggi bassi in tutti e 4 gli indici. Riguardo ai disturbi specifici di decodifica della lettura, oltre ai criteri generali relativi a tutta la categoria dei DSA, i punti generalmente condivisi dalla Consensus Conference-ISS riguardano 3 criteri per la valutazione della lettura: 1. la necessità di somministrare prove standardizzate di lettura a più livelli —> lettere, parole, non-parole, brano; 2. la necessità di valutare congiuntamente i due parametri di rapidità/accuratezza nella performance (non rientra nel parametro la comprensione del testo); 10 3. la necessità di stabilire una distanza significativa dai valori medi attesi per la classe frequentata dal bambino (convenzionalmente fissata a -2DS dalla media per la velocità e al di sotto del 5° percentile per l’accuratezza), in uno o nell’altro dei due parametri menzionati. Riguardo alle caratteristiche delle prove di valutazione della abilità di lettura, la CC-ISS ha rilevato: - che in generale le prove di lettura di parole e di non-parole sono più affidabili rispetto alla lettura del brano (in cui ci sono elementi contestuali, semantici e lessicali che aiutano nella lettura); - che le prove di lettura di non-parole restano stabili anche con dislessici adulti e/o compensati In generale, le caratteristiche del disturbo specifico di lettura sono che: - il deficit interessa la velocità (l’automatizzazione del processo) e la correttezza della decodifica - c’è difficoltà a leggere in maniera accurata e/o fluente un testo o singole parole, in presenza di un adeguato livello di funzionamento cognitivo - la diagnosi può essere posta solo alla fine della classe seconda primaria (perché i dati della letteratura circa lo sviluppo tipico, dicono che i bambini hanno bisogno di due anni per imparare a leggere) LEZIONE 14 Ottobre “Il disturbo di lettura” pt.2 + “Disortografia e disgrafia” pt.1 Per quanto riguarda l’evoluzione delle abilità di lettura, in genere: - le abilità di lettura sono soggette a progressivo miglioramento nei normolettori e nei dislessici; questo miglioramento inizialmente rapido e consistente continua fino a tutto l’arco della scolarità - l’evoluzione del miglioramento si manifesta sia in termini di velocità che accuratezza (quest’ultima in maniera particolare per i dislessici di lingue e ortografie trasparenti) - la velocità è il parametro prognostico più significativo - si ottiene quello che è chiamato “effetto lessicale”, cioè si leggono meglio e più velocemente delle parole o un brano, mentre ci sono maggiori difficoltà nelle non-parole (“effetto soffitto” —> non riescono ad aumentare oltre un certo limite la velocità di lettura) Un altro dato riguarda la velocità di lettura silente, rispetto alla quale si è visto che adulti senza un disturbo di lettura possono incrementare notevolmente la loro velocità di lettura rispetto alla lettura ad alta voce (12,2 sillabe al secondo, contro 7,5); nei dislessici, da una media di 4,9 sillabe al secondo con la lettura ad alta voce, si passa a 6,15 nella lettura silente. Per quanto riguarda la dislessia evolutiva nell’adolescente, ci sono alcuni quadri specifici: - dislessia recuperata —> le prestazioni del soggetto con pregressa diagnosi di DE sono comparabili in tutti gli ambiti a quelle dei normolettori; - dislessia compensata —> la lettura di materiale significativo (testi e parole) è abbastanza fluente (lenta ma non sempre sotto-soglia), mentre la lettura di non-parole è significativamente lenta e inaccurata; - dislessia persistente —> tutti i parametri di lettura, in tutti i tipi di stimoli (testo, parole e non- parole) sono significativamente sotto-soglia per rapidità e accuratezza In particolare, le caratteristiche neuropsicologiche nella dislessia compensata sono: - è in grado di leggere con discreta fluenza (>3 sillabe/secondo —> permette di capire i testi) - legge stimoli significativi senza commettere errori (compenso lessicale) - gli errori compaiono negli stimoli a bassa frequenza (non-parole, lessici specialistici ecc.) - permane deficit di automatizzazione (prontezza nella risposta) Tra le conseguenze funzionali della dislessia compensata ci sono: - affaticabilità in tutti i compiti che richiedono lettura, cefalee e disturbi funzionali - difficoltà di comprensione e di studio - difficoltà con la lettura delle lingue straniere - difficoltà nelle prove a tempo - difficoltà con le prove con risposta a scelta multipla - bassa autostima Per quanto riguarda invece le caratteristiche della dislessia persistente abbiamo: - lettura molto stentata, lenta (< 3 sillabe al secondo) - lettura inaccurata (< 5° percentile) - impossibilità di studiare senza aiuto - rifiuto della scolarizzazione - disturbi di socializzazione Per la scrittura esistono due tipi di disturbi, che sono la disortografia e la disgrafia. Secondo la Consensus Conference, gli aspetti generalmente condivisi circa il Disturbo della Scrittura, riguardano la sua suddivisione in due componenti: una di natura linguistica (deficit nei processi di cifratura, cioè errori nella corrispondenza tra fonema e grafema) e una di natura grafo-motoria 11 (deficit nei processi di realizzazione grafica). Il Disturbo di Scrittura può presentarsi in isolamento (raramente) o in associazione (più tipicamente) ad altri disturbi specifici (spesso con la dislessia). Al fine di descrivere questa possibile co-occorrenza di più disturbi, senza stabilire una gerarchia tra gli stessi, si propone di utilizzare la dicitura estesa “Disturbo Specifico di Apprendimento della Lettura e/o della Scrittura (grafia e/o ortografia) e/o del Calcolo”. Per la valutazione clinica è necessario somministrare prove standardizzate, in particolare, per la disortografia è condiviso il parametro di valutazione della correttezza, costituito dal numero di errori e dalla relativa distribuzione percentilare (al di sotto del 5° percentile), mentre per la disgrafia i principali parametri di valutazione riguardano la fluenza (-2DS) e l’analisi qualitativa delle caratteristiche del segno grafico. Ai fini della diagnosi di disortografia, è bene ricorrere all’analisi qualitativa degli errori (gli errori più significativi sono quelli fonologici rispetto a quelli non fonologici) quale ulteriore fonte di informazioni che può aiutare ad orientare la diagnosi e a definire il profilo di funzionamento, in particolare nei casi dubbi, differenziando casi specifici da soggetti a basso rendimento. Inoltre, è raccomandato effettuare oltre alle prove di dettato di parole singole, anche prove di dettato di testo e prove di composizione di frasi o di testo. Bisogna infine valutare componenti diverse in base al momento evolutivo: - nelle fasi iniziali dell’alfabetizzazione, valutare i processi di conversione fonema-grafema - nel corso della scuola primaria, valutare le componenti ortografiche di tipo lessicale, che acquistano progressivamente nel tempo maggior rilevanza - al termine della scuola primaria, valutare la presenza di errori di conversione fonema-grafema che, se riscontrata in tale fascia temporale (fasi avanzate della scolarizzazione primaria), costituisce un elemento diagnostico di particolare gravità del disturbo. Gli errori fonologici sono quegli errori in cui non viene rispettato il rapporto tra grafemi e fonemi, e includono: - scambio di grafemi (es. FOLPE per volpe) - aggiunta o omissione di lettere/sillabe (es. TAOLO per tavolo) - inversione (es. LI per il) - grafema inesatto (es. PESE per pesce) Gli errori non fonologici, invece, sono errori nella rappresentazione ortografica delle parole in cui il livello fonologico è preservato, ad esempio: - omissione dell’h - omissione di apostrofo - scambi di suoni omofoni non omografi (es. quore, cuaderno) - scambi di suoni omofoni non omografi (es. d’anno per danno, l’ago per lago) - fusioni/separazioni illegali (es. in sieme, conla) - errori di regole (es. cie/ce, scie/sce) - errori nella rappresentazione dei di/trigrammi (es. gni/gn, gl/gli) Poi ci sono gli errori di accenti e doppie: - aggiunta od omissione di doppie - aggiunta od omissione di accento LEZIONE 11 Novembre “Disortografia e disgrafia” pt.2 Nella valutazione di una prova, se un bambino sbaglia una parola più volte si conta come unico errore e si tiene conto dell’errore più grave (più grave fonologico, poi non fonologico, poi accenti e doppie). Perché classificare gli errori? - VAZO per VASO o ANTATI per ANDATI è possibile che gli errori siano determinati da discriminazione fonemica dei suoni. - FOLIA - PESE —> il bambino potrebbe non aver appreso una regola ortografica - AQQUA —> analisi fonologica corretta ma difficoltà nel richiamo della veste ortografica corretta - IN SIEME, DELLANNO —> difficoltà ad identificare le parole come unità distinte le une dalle altre - Le doppie —> capacità di identificare da un punto di vista percettivo uditivo che un fonema di quella parola risulta più esteso di un altro Per quanto riguarda l’evoluzione del disturbo, si nota che: - gli errori fonologici si riducono più rapidamente nella scrittura sia di parole sia di non parole rispetto agli errori non fonologici (sviluppo più rapido della componente fonologica) - l’uso delle doppie e dell’accento rappresenta una categoria di errori a parte, più resistente (componenti non di tipo fonologico ma fonetico, individuabili tramite variazioni di durata/doppie/ di intensità/accenti) 12 VIDEOPILLOLA “La discalculia” La discalculia è un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) che interessa uno degli aspetti dell’ambito aritmetico. Possiamo distinguere due tipi di discalculia: - discalculia semantica —> riguarda il processamento numerico (costruzione della linea del numero) e i fatti aritmetici (capacità di manipolazione dei fatti aritmetici), poi oggi si parla di una terza componente che è la difficoltà nella gestione del senso del numero - discalculia procedurale —> riguarda la letto-scrittura del numero e l’algoritmo del calcolo scritto. Nella discalculia semantica il bambino incontra difficoltà in compiti di processamento numerico, cioè nella scrittura della linea dei numeri (non accede alla rappresentazione del numero); ha difficoltà nei fatti aritmetici, quindi un prolungato uso delle dita nel calcolo mentale entro il 10 e difficoltà nel risolvere problemi come 5+x=8; infine, ha difficoltà in tutti i compiti che implicano stime e trasformazioni (es. equivalenze). Le conseguenze sul piano sociale sono: - difficoltà nell’uso dei quantificatori temporali e spaziali (difficoltà nella distinzione dei giorni, delle distanze e nell’utilizzo dell’orologio analogico, quindi nella rappresentazione del tempo); - difficoltà nell’uso del denaro (difficoltà ad imparare il valore di un insieme di monete, le equivalenze e difficoltà con il resto, che a che vedere con il processamento numerico, come 7+x=10, e il calcolo frazionale o equivalenza, come 6,80+x=10). La discalculia semantica si manifesta fin dall’inizio dell’introduzione dei numeri, con difficoltà nel conteggio all’indietro, anche dal 10, e difficoltà nelle operazioni entro il 10, in particolare nelle sottrazioni (uso di linea dei numeri con segnaposto per aiutare i bambini nei problemi). La discalculia procedurale riguarda la letto-scrittura dei numeri (come errori di natura sintattica tipo 12046 invece di 1246, ed errori di sequenza nella letto-scrittura del numero tipo 531 invece di 135) e gli errori nell’algoritmo del calcolo scritto (errori nel vettore destra-sinistra, errori nel prestito o nel riporto e mancata disponibilità delle tabelline). La discalculia procedurale si sviluppa in un tempo successivo rispetto a quella semantica, ed è un effetto dell’aumento della dimensione del numero e dell’introduzione degli elementi sintattici (per la diagnosi si aspetta alla fine della terza primaria); inoltre, c’è una discrepanza temporale tra il disturbo di lettura (diagnosi alla fine della seconda primaria) e la discalculia procedurale. In particolare, la discalculia nasce dalla difficoltà nello sviluppare il concetto di numero. Gelman e Gallistel hanno individuato i 5 principi universali del numero: 1. serie automatica —> capacità di produrre la sequenza della serie numerica, che si sviluppa come abilità linguistica (come le filastrocche) e compare nel bambino in età precoce (4-5 anni). Precede la capacità di enumerazione (conteggio ordinale) ed è un prerequisito indispensabile per la concezione del numero. La serie automatica non ha valore di numerazione in quanto il bambino non sa ancora contare. 2. corrispondenza termine a termine —> capacità di far corrispondere un elemento, e uno solo, ad ogni numerale pronunciato; viene definita anche capacità di enumerazione o di conteggio ordinale, e si sviluppa intorno ai 5 anni, a seconda dell’esperienza. 3. cardinalità —> il numerale contiene tutti gli elementi che lo precedono (es. se chiedo ad un bambino di darmi 5 matite, deve contare fino a cinque e fermarsi); prevede la capacità di contare fino ad un certo numero o di contare a partire da un certo numero. 4. irrilevanza dell’ordine —> gli oggetti o le persone possono essere contate indipendentemente da dove si inizia, purché non si conti mai due volte lo stesso oggetto. 5. astrattezza —> tutti gli elementi possono essere contati (es. posso contare insieme persone e sedie per vedere se ci sono abbastanza sedie per tutti); posso anche contare elementi che sono continui e non discreti, come il tempo Un particolare modello di studio della matematica, prevede la relazione tra funzioni esecutive e calcolo (Devine, Soltesz, 2013), perché è frequente nei bambini che ci siano errori di switch, in quanto se l’operazione cambia (es da 3+5 a 5+3) il bambino trova difficoltà nel controllo delle funzioni esecutive del calcolo rapido. VIDEOPILLOLA “I disturbi specifici del linguaggio” pt.1 Il linguaggio (≠ da lingua, cioè codice) è la capacità (umana) di utilizzare un codice arbitrario e convenzionale per esprimere, comunicare e rappresentare la realtà interna ed esterna. La principale caratteristica del linguaggio è la sua generatività, cioè la possibilità di realizzare un numero infinito di enunciati attraverso l’impiego di un numero limitato di elementi e di regole di combinazione. L’attività generativa di impiego del codice, viene detta anche attività di codifica, proprio perché consiste nel combinare gli elementi del codice per interpretare e produrre enunciati significativi. Questa capacità è innata, ma l’acquisizione del codice si sviluppa in tempi e in modi diversi nelle diverse componenti del sistema linguistico, il quale infatti ha 4 sottosistemi: 15 - fonologia —> l’insieme delle regole che danno tutte le combinazioni fra i suoni per produrre le parole di una lingua - sintassi —> l’insieme delle regole che danno tutte e solo le combinazioni possibili fra le parole per produrre le frasi di una lingua - lessico —> l’insieme delle parole usate da un individuo - pragmatica —> l’insieme degli elementi che rendono il linguaggio verbale interpretabile in un contesto (la stessa frase può significare due cose diverse a seconda dell’elemento contestuale) Il disturbo del linguaggio può riguardare selettivamente anche uno solo di questi sottosistemi (es. la pragmatica, cioè un soggetto che non capisce l’ironia, i doppi sensi ecc.). Il disturbo più frequente è di tipo fonologico, che si manifesta nella difficoltà a unire insieme i suoni per dire certe parole, oppure nel non dire tutti i suoni che compongono una parola ecc. Di questi quattro sottosistemi, due sono chiusi e prescrittivi, mentre due sono aperti. I sottosistemi chiusi (fonologia-sintassi) sono quelli che sono rieducabili attraverso l’intervento specialistico di un riabilitatore (logopedista), mentre i sottosistemi aperti (lessico-pragmatica) non si prestano ad essere migliorati attraverso una procedura tipica della riabilitazione specialistica. La fonologia, cioè la capacità di combinare i suoni per produrre le parole, si sviluppa a parte da: - capacità di discriminazione psico-acustica, che condividiamo con tutte le specie animali - capacità di categorizzazione fonetica, cioè di riconoscere dei suoni simili ma non uguali, appartenente solo agli esseri umani La capacità fonologica viene sviluppata in gran parte entro il 2° anno di vita, tuttavia deve essere completata (prescrittività) entro il compimento dei 3 anni (con eventuali disturbi residuali, rotacismo e sigmatismo). Lo sviluppo fonologico avviene a partire dai primi mesi di vita: 1. la pietra miliare della struttura fonotattica dell’italiano è la sillaba piana, formata da CV (consonante-vocale, es. bambino che dice “ma”) 2. le prime parole che il ambino pronuncia sono formate dalla replicazione della sillaba piana (ma-ma, pa-pa, na-na) —> lallazione canonica 3. successivamente la duplicazione viene variata e aumentano i suoni (ti-to, pa-ta, no-na) 4. compaiono poi strutture sillabiche più complesse, come il gruppo CVC (es. por-ta) o CCV (es. sca- in scala) 5. le combinazioni divengono più lunghe e complesse Infine, successivamente c’è l’ampliamento del vocabolario, la comparsa delle prime frasi ecc. La semantica definisce l’insieme delle relazioni e delle caratteristiche che costituiscono le rappresentazioni mentali che vengono espresse attraverso le parole. Il significato (la rappresentazione mentale) viene espresso verbalmente attraverso le rappresentazioni fonologiche (parole). Il lessico è appunto l’insieme delle parole conosciuto da un individuo, e si organizza nel: - insieme delle parole comprese —> lessico passivo - insieme delle parole prodotte, utilizzate —> lessico attivo o espressivo All’inizio, quindi, possediamo un lessico recettivo o passivo e un lessico espressivo o attivo; il primo nei bambini piccoli è molto più esteso del lessico attivo, ma col tempo questi due sistemi si avvicinano, anche se non è detto che coincidano perfettamente. Il lessico, costituito dalle rappresentazioni fonologiche relate alle rappresentazioni semantiche, è: - un sottosistema aperto (il numero di parole che ciascuno di noi possiede cambia nel tempo) - non è prescrittivo (non è indispensabile conoscere un certo numero di parole, ma è opportuno) - non è rieducabile con procedure intensive - si sviluppa attraverso processi educativi Il lessico si sviluppa attraverso l’esposizione al linguaggio della famiglia e al linguaggio formale utilizzato a scuola, o attraverso la lettura; più in generale si sviluppa attraverso processi educativi, ma non rieducativi. Il linguaggio poggia sulle rappresentazioni semantiche, che vengono poi espresse attraverso le rappresentazioni fonologiche, che a loro volta si confrontano con le rappresentazioni semantiche (es. dire qualcosa e accorgersi che non era ciò che si intendeva). Le rappresentazioni semantiche sono correlate al sistema cognitivo, mentre le rappresentazioni fonologiche non lo sono, quindi l’ampiezza del vocabolario non dipende solo dalla capacità fonologica (mettere insieme suoni per produrre parole), ma dipende dal sistema cognitivo, cioè la capacità di sviluppare rappresentazioni semantiche. La sintassi, infine, che è l’insieme delle regole che danno tutte e solo le combinazioni possibili fra le parole per produrre le frasi di una lingua, si divide in due sottosistemi: - la sintassi propriamente detta, che riguarda l’ordine delle parole; - la morfologia grammaticale o morfosintassi, che riguarda le modificazioni delle parole per realizzare le relazioni grammaticali (es. frasi che hanno il verbo senza avere il pronome come “vai a casa a mangiare”, in cui “vai” contiene già al suo interno il pronome) 16 VIDEOPILLOLA “I disturbi specifici del linguaggio” pt.2 Il linguaggio verbale non si insegna, ma si acquisisce, si apprende, emerge se sussistono alcune condizioni: - deve esistere un contesto comunicativo adeguato - esposizione ad una lingua - integrità dei sistemi di input e di output Se manca uno di questi 3 elementi, il linguaggio non si sviluppa in modo adeguato. La comunicazione è un prerequisito indispensabile per lo sviluppo del linguaggio (se espongo un soggetto ad una lingua, ma non in un contesto comunicativo, il soggetto non impara il linguaggio), infatti veicola le intenzioni e gli scopi e attribuisce senso al codice (labeling). Quando si parla di comunicazione bisogna distinguere il contesto comunicativo e la competenza comunicativa. Il contesto comunicativo dipende dall’adulto (all’inizio è lui che lo modifica), ed è definito da: - attenzione verso il bambino - attenzione condivisa - contatto corporeo - adattamento ai bisogni (cura) - riprese linguistiche —> condotte che adotta l’adulto riprendendo una parola come l’ha detta il bambino, per poi ripeterla in maniera corretta (es. “otto”-“biscotto”; “otto”-“rotto”) - ridondanza —> si parla spesso di “motherese” o madrese, per riferirsi ad un linguaggio ripetitivo che consente al bambino di identificare le parole ed estrarle dal contesto La competenza comunicativa, invece, riguarda entrambi gli interlocutori, ed è la capacità di mettere in atto l’insieme di elementi per comunicare qualcosa a qualcuno (intenzione, informazione o messaggio). L’intenzione è il proposito o desiderio di comunicare, attraverso strumenti come: - sguardo - mimica (sorriso, pianto, espressione di disgusto…) - prosodia (intonazione del linguaggio) - gesti - linguaggio verbale (compare per ultimo) Il linguaggio verbale non coincide con il parlato (speech). La parola, infatti, è la capacità del soggetto di produrre fisicamente i suoni di una lingua. Quindi, la comunicazione verbale si struttura su tre elementi: 1. l’intenzionalità comunicativa 2. il linguaggio verbale (ovvero il processo di codifica, la capacità del soggetto di tradurre le idee in lessico fonologico e sintassi) 3. il parlato (ovvero la capacità del soggetto di produrre fisicamente i suoni di una lingua) VIDEOPILLOLA “I disturbi specifici del linguaggio” pt.3 Per ciascuno degli ambiti sopra citati esistono specifici disturbi della comunicazione. I disturbi della comunicazione sono quelle condizioni in cui il soggetto ha una buona capacità di usare il parlato e di codificare la lingua, ma è alterato l’uso del linguaggio, cioè lo scopo della comunicazione, e comprendono: - disturbi della relazione —> soggetti che parlano senza guardare in faccia l’interlocutore ecc. - psicosi autistiche —> il soggetto parla bene ma non si sa a chi indirizza la comunicazione e il contenuto è fuori dal contesto - mutismo elettivo —> soggetto che in certi ambienti non usa il linguaggio (es. scuola) I disturbi del parlato, invece, sono quelle condizioni in cui il soggetto ha adeguate capacità comunicative e di codifica della parola/frase, ma è alterata la produzione fisica della lingua: - disfluenza —> che include la balbuzie (manca la continuità del parlato) e la tachilalia (manca il controllo del flusso dell’eloquio) - disartria —> disturbo di natura neuromotoria che interessa la produzione fisica dei suoni (di solito presente in soggetti con patologie spastiche o discinetiche) - disprassia —> difficoltà nel produrre correttamente i suoni in assenza di danni neurologici (disturbo nella pianificazione dei movimenti) - dislalia —> disturbo meccanico-articolatorio, (come la r moscia, o la s interlinguale). Naturalmente i disturbi interagiscono tra di loro, infatti, secondo gli psicolinguisti, il linguaggio è strutturato in tre grandi aree che sono interconnesse: 1. forma (forme fonologiche e grammaticali) 2. contenuto (lessico e semantica) 3. uso (intenzione e capacità comunicativa). 17 Disturbi fonologici e memoria fonologica Il disturbo di linguaggio fonologico espressivo è verosimilmente causato da un deficit della memoria fonologica a breve termine (MBT), infatti c’è una scarsa capacità di trattenere la traccia (deficit di immagazzinamento) e difficoltà nel recuperare la traccia (recupero-ricordo). A causa del deficit di MBT, i bambini hanno difficoltà a ripetere la parola che sentono e quindi sviluppano lentamente il linguaggio. I bambini con questo disturbo presenteranno anche difficoltà ad imparare le sequenze vincolate, quindi i giorni della settimana, i mesi dell’anno, le serie numeriche (soprattutto dopo il numero 10) e le tabelline. Ma anche quando hanno imparato le sequenze, avranno difficoltà di recupero funzionale (ad esempio “che giorno è oggi?”, “in che mese siamo?”, “quale viene prima e quale viene dopo?”). In particolare, questi bambini hanno una grande difficoltà nella capacità di ripetizione di non-parole, quindi fanno fatica nell’apprendimento di parole nuove che fanno parte, ad esempio, di un linguaggio specialistico. Difficoltà fonologiche ed accesso lessicale Il disturbo fonologico espressivo ha come una delle sue conseguenze tipiche, una difficoltà di accesso lessicale, cioè di denominazione. Questi bambini presentano anche difficoltà nella denominazione rapida: ad esempio al bambino viene chiesto di riconoscere una serie di colori, a seguito viene mostrata una lista di colori e viene chiesto di elencarli in modo rapido. Questo esercizio viene denominato RAN (denominazione rapida automatizzata), e i bambini che hanno problemi di accesso al lessico mostrano difficoltà in questo tipo di prove. Il lessico recettivo (cioè passivo), nei bambini è più sviluppato del lessico espressivo: in particolare, in una prova di competenza lessicale recettiva, ai bambini viene mostrata una foto che presenta più oggetti, e viene chiesto loro di indicare l’oggetto che corrisponde alla parola nominata. Lo studio del linguaggio, inoltre, riguarda anche lo studio della sintassi recettiva, quindi della comprensione degli enunciati. Lo studio della comprensione del linguaggio non può essere fatto in una situazione contestuale, in quanto i bambini possono utilizzare molte informazioni per comprendere il linguaggio (come informazioni lessicali). A questo proposito si usano vari test, come il test dei gettoni: in questo caso su un pannello sono presenti cerchi e quadrati di varie dimensioni e colori, quindi l’elemento lessicale viene rapidamente reso saturo perché manca la presenza di elementi lessicali. Si tratta di una prova che prende il nome di token test, in cui si misura il peso della memoria nella comprensione degli enunciati, poiché si passa da una situazione molto semplice in cui si pronunciano enunciati che possiedono una sola caratteristica (es. tocca un cerchio), per poi arrivare ad una situazione più complessa in cui si richiede di indicare enunciati che presentano più di una caratteristica (es. tocca il cerchio blu). Si arriva poi ad una situazione più complessa ancora, in cui si richiede attenzione nell’individuazione di enunciati che presentano tre caratteristiche (es. tocca un cerchio piccolo giallo). Si arriva, infine, all’operazione più complessa (es. tocca il quadrato rosso grande e il cerchio piccolo bianco). L’età critica per l’identificazione del DSL è a partire dai 3 anni e non oltre i 4 anni. Come si può studiare la produzione verbale? Una prova può essere quella di ripetizione di parole e di non-parole, che è una condizione in cui al bambino viene proposto uno stimolo e gli viene chiesto di ripeterlo in modo identico (viene coinvolta la memoria fonologica e la costruzione fonologica). Caratteristiche della prova di ripetizione: - somministrazione rapida (4 minuti) - strumento utilizzabile da non specialisti - chiarezza della valutazione (sì/no) - identificazione di una soglia discreta - replicabilità a distanza I requisiti per somministrare la prova di ripetizione: - lingua madre italiana (caratteristica indispensabile) - deve essere di uguale provenienza regionale (suggerita) - assenza di significativi disturbi di articolazione (dislalie-disprassie —> indispensabile) - rallentare la produzione (indispensabile) - no sillabazione (indispensabile) La valutazione viene fatta in riferimento a delle tabelle che rappresentano la scala dei valori soglia, in modo da capire se è utile che il bambino si rivolga ad un logopedista. Il disturbo fonologico espressivo, quindi, tende ad evolvere intorno ai 5 anni e induce le persone a considerare risolto il problema, tuttavia, le cause che hanno prodotto questo ritardo nello sviluppo fonologico, si presentano anche durante lo sviluppo linguistico. 20 LEZIONE 28 Ottobre “I disturbi dello spettro autistico” pt.1 Attualmente si parla di “spettro” per la grande variabilità di manifestazioni di questo disturbo, che va dall’autismo a basso funzionamento, cioè bambini/persone con disabilità intellettiva al di sotto della media, fino all’autismo ad alto funzionamento, che sono quei bambini/persone che a livello intellettivo hanno abilità nella media, ma hanno difficoltà relazionali e comunicative. La triade sintomatologica dell’autismo su cui si basava il DSM-IV comprendeva: - compromissione qualitativa dell’interazione sociale - compromissione qualitativa della comunicazione - modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati Il DSM-5 si basa su due sintomi: la compromissione dell’interazione e della comunicazione sono state raggruppate insieme (sono due abilità difficili da separare perché l’interazione si basa sulla comunicazione), e rimane a parte la modalità di comportamento ripetitivo. Il primo a studiare il disturbo autistico è stato Leo Kanner nel 1943, che scrisse un articolo osservando 11 bambini con caratteristiche comuni quali, sofferenza al cambiamento di abitudini e routine, sviluppo anomalo del linguaggio, rifiuto del contatto sociale e tendenza all’isolamento. Questo studioso ha coniato il termine “autistico”, che sta ad indicare proprio l’incapacità a rapportarsi ad altre persone (adulti o persone della stessa età). In tutti noi esistono aree cerebrali che ci predispongono alla relazione (all’inizio con la mamma, poi con altre persone), mentre nei bambini con disturbo dello spettro autistico queste aree non sono attive. Molto importante, quindi, è l’intervento tempestivo al fine di sviluppare queste abilità, in quanto i bambini piccoli hanno maggiore plasticità cerebrale. Quando si è cominciato a studiare questo disturbo, c’erano due convinzione erronee: che l’autismo fosse dovuto ad una relazione sbagliata con una madre distaccata e incapace di cura (“madre frigorifero”); l’altra idea era che questo disturbo colpisse solamente il ceto sociale alto, quindi i bambini col “sangue blu”, perché gli unici a potersi permettere trattamenti a quell’epoca appartenevano al ceto sociale alto, quindi erano i soli ad arrivare all’attenzione di specialisti. I criteri diagnostici dei disturbi dello spettro autistico secondo il DSM-5, sono: A. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, come manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato (gli esempi sono esplicativi, non esaustivi): - deficit della reciprocità socio-emotiva che vanno, per esempio, da un approccio sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della conversazione, a una ridotta condivisione di interessi, emozioni e sentimenti, all’incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali; - deficit dei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale che vanno, ad esempio, dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrata, ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio del corpo, o deficit della comprensione e dell’uso dei gesti, a una totale mancanza di espressività facciale e di comunicazione non verbale; - deficit dello sviluppo, della comprensione e gestione delle relazioni che vanno, per esempio, dalla difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi ai diversi contesti sociali, alle difficoltà di condividere il gioco di immaginazione o di fare amicizia, all’assenza di interesse verso i coetanei. B. Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori presenti attualmente o nel passato (esempi esplicativi, non esaustivi): - movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (per es. stereotipie motorie semplici, mettere in fila giocattoli o capovolgere oggetti, ecolalia, frasi idiosincratiche); - insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale (es. estremo disagio davanti a piccoli cambiamenti, difficoltà nelle fasi di transizione, schemi di pensiero rigidi, saluti rituali); - interessi molto limitati, fissi, anomali per intensità o profondità (es. forte attaccamento o preoccupazione nei confronti di oggetti insoliti, interessi eccessivamente circoscritti e perseverativi); - iper o iporeattività, in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente (es. apparente indifferenza a dolore/temperatura, reazione di avversione nei confronti di suoni o consistenze tattili specifiche, annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o movimenti). 21 C. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o possono essere mascherate da strategie apprese in età successiva). D. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro dell’autismo spesso sono presenti in concomitanza; per porre diagnosi di comorbilità di disturbo dello spettro dell’autismo e disabilità intellettiva, il livello di comunicazione sociale dev’essere inferiore a quanto atteso dal livello di sviluppo generale. Un altro aspetto richiesto al momento della diagnosi, è la valutazione del livello di compromissione: il DSM-5 divide la compromissione in tre livelli, dal primo (meno grave) al terzo (più grave). Per quanto riguarda l’area sociale, i bambini con autismo non interagiscono con gli altri bambini, appaiono indifferenti alle persone e sembrano preferire lo star da soli; spesso appaiono apatici e insensibili, e non danno alcun segno di voler iniziare un contatto o di voler essere presi in braccio e coccolati. Nelle situazioni di interazione fisica possono irrigidirsi dando ai genitori la sensazione che non esista il legame di attaccamento. Il bambino con disturbo dello spettro autistico non guarda colui che parla, il suo sguardo è perso nel vuoto; anche i gesti e i movimenti espressivi del volto sono poveri, e sono presenti solo stereotipie senza un vero valore espressivo. Tendono ad estraniarsi e spesso li ritroviamo in un angolo della stanza che maneggiano oggetti in modo stereotipato: un dondolare ritmico, un giocare monotono per ore con un particolare giocattolo. Secondo molti autori non hanno sviluppato la teoria della mente, cioè la capacità di vedere le cose dalla prospettiva di un altro (Baron-Cohen, Leslie, Frith, 1985). Il bambino a sviluppo tipico riesce a gestire quelle che Baron-Cohen (2011) individua come le componenti dell’empatia: - capacità di identificare ciò che l’altro sta pensando o provando - rispondere in maniera adeguata e congruente con un’emozione ed eventualmente con un’azione corrispondente Un bambino con autismo non riesce ad immaginare gli stati mentali delle altre persone, ad identificare quello che le persone provano e questa difficoltà nel capire le intenzioni altrui gli rende impossibile prevedere o comprendere le intenzioni che sono alla base della azioni, rendendo difficili -quando non impossibili- le normali interazioni sociali. Per quanto riguarda l’area linguistica e cognitiva, alcuni bambini con autismo non parleranno mai, o perché hanno un livello di disabilità intellettiva grave, o perché non presentano i requisiti (attenzione condivisa, comunicazione intenzionale, gioco di finzione) per questa forma di apprendimento; altri invece saranno in grado di emettere suoni o lallazioni in età molto precoce, ma potranno perdere tale abilità o comunque non è detto che essa evolverà in linguaggio. Altri, ma solo una piccola parte, svilupperanno il linguaggio in forte ritardo rispetto allo sviluppo tipico. Questi bambini utilizzano quasi sempre un linguaggio poco funzionale alla comunicazione, caratterizzato da ecolalie e da stereotipie verbali. Solitamente usano le parole corrette per gli oggetti, ma hanno problemi con le espressioni più astratte. Le parole vengono infatti comprese in quanto legate a qualcosa di reale e obiettivo. È piuttosto carente anche la pragmatica: ignorano le regole della conversazione che rendono la comunicazione uno strumento sociale. Anche la comprensione non verbale presenta delle anomalie: non c’è la capacità di indicare, non c’è un’adeguata mimica facciale, non viene adottata una postura adeguata, una contiguità con l’altro a scopo di interazione, e i soggetti possono non usare e non comprendere i gesti (sia deittici che referenziali). La maggior parte dei bambini con disturbo dello spettro autistico ha capacità intellettive al di sotto della media: circa di 70% ha una diagnosi di disabilità intellettiva e sono pochi i bambini che hanno uno sviluppo cognitivo considerato normale o al di sopra della media. Una piccola percentuale di persone con autismo possiede abilità del tutto eccezionali, per lo più di tipo mnemonico, di riconoscimento di pattern o legate all’abilità nel calcolo. L’attenzione può essere compromessa sia nel suo utilizzo selettivo sia nella capacità di mantenerla per un tempo prolungato. La memoria spesso è molto buona quando riguarda il ricordo di informazioni di tipo meccanico, mentre è compromessa quando deve essere supportata da livelli di elaborazione che richiedono il recupero di dati contenuti in altri sistemi (ad esempio la memoria episodica, a lungo termine, o l’utilizzo di meccanismi di controllo e/o pianificazione). La memoria di informazioni visive spesso è un punto di forza in questi soggetti, a differenza della memoria verbale. Per ciò che concerne l’area comportamentale, nelle relazioni con gli oggetti i bambini con autismo tendono ad arrabbiarsi, spaventarsi o piangere quando gli oggetti abituali che popolano il loro ambiente vengono portati via o cambiati di posto. Usano i giocattoli in modo insolito, mettendoli sempre in 22 Sally sa. Per questa ragione, i soggetti autistici assumono che Sally farà quello che loro (che hanno visto spostare la biglia) farebbero. L’altra teoria cognitivista che sembra essere alla base di questo disturbo, riguarda la Weak Central Coherence Theory (Frith, 1989; Frith, Happé, 1994; Happé, 1999), secondo cui alla base dell’autismo ci sarebbe un disturbo nei processi centrali di elaborazione e quindi un particolare stile cognitivo. Da qui deriva la loro particolare attenzione ai dettagli e le caratteristiche ossessive. Normalmente le persone sono in grado di estrarre il significato generale dei fatti e dagli eventi in cui si trovano coinvolti, cercando il senso generale di coerenza in quanto accade e facendo riferimento alle informazioni del contesto. I soggetti autistici, invece, non avrebbero la stessa spinta a cercare la coerenza globale che caratterizza i soggetti normali, ma sarebbero invece costantemente focalizzati sui singoli dettagli, gli aspetti molecolari dei fatti e degli eventi e poco sensibili agli aspetti di contesto. Anche i comportamenti ripetitivi possono essere interpretati come «frammenti» di azioni più complesse, che quindi vengono decontestualizzate e ripetute senza che ci sia un sistema in grado di inibirle adeguatamente. Ancora, secondo la teoria chiamata broken- mirror, le persone con autismo possiederebbero una via motoria intatta (relativa al funzionamento della via del giro frontale inferiore), mostrando invece delle difficoltà nel comprendere e decidere chi e quando imitare. Per questo, in alcune situazioni, i bambini con autismo evidenzierebbero un eccesso di imitazione (ad esempio ecolalia o ecoprassia), mentre in altre situazioni non riuscirebbero a imitare affatto. Secondo questa ipotesi, il sistema dei neuroni specchio non sarebbe «rotto» nell’autismo, ma alla base delle difficoltà vi sarebbe un’anomala modulazione delle vie necessarie alla comprensione di come comportarsi in un determinato contesto, cioè una sorta di deficit della coerenza centrale. Infine, secondo la teoria delle funzioni esecutive noi abbiamo la possibilità di pianificare, programmare e avere un pensiero flessibile. Il bambino con autismo fatica a pianificare, presenta impulsività, iperselettività e perseverazione. Queste teorie non si escludono a vicenda perché si può ipotizzare che esista un malfunzionamento di un network complesso che comprende varie strutture cerebrali. VIDEOPILLOLA “I disturbi dello spettro autistico: intervento comportamentale ABA” pt.1 Una procedura di insegnamento comune nell’ABA è il modellamento (shaping): procedimento mediante il quale gradualmente modifichiamo il comportamento del bambino in quello che riteniamo sia il comportamento corretto. Ciò viene solitamente fatto aggiustando le richieste prima di consegnare il rinforzo. Un’altra procedura è il prompting (aiuto), cioè l’aiuto da parte del terapista/insegnante per promuovere la risposta giusta, e include: prompt fisici, verbali, gestuali, di posizione, di imitazione, prompt traccia e prompt dello stimolo (importante prestare attenzione ai prompt involontari). Quando viene utilizzato il prompt, nelle richieste successive si deve gradualmente ma immediatamente ridurlo il più rapidamente possibile, attraverso una procedura chiamata attenuazione del prompt (fading). La riduzione dell’aiuto verbale può consistere nel diminuire il numero di parole che compongono l’ordine e nell’abbassare il tono della voce con cui è pronunciato. L’aiuto gestuale si attenua diminuendo l’ampiezza del gesto o sostituendolo con un altro meno appariscente (ad esempio, invece di indicare con l’indice lo si può fare con lo sguardo). I prompt fisici possono essere diminuiti riducendo gradualmente l’area del corpo toccata (ad esempio, se all’inizio l’allievo veniva toccato con tutta la mano, in un secondo momento lo si tocca solo con alcune dita, poi con un solo dito e, infine, con la punta del dito). Quindi, nell’attenuazione del prompt, inizialmente ogni comportamento adeguato sarà rinforzato immediatamente dopo la emissione (programma a rapporto continuo) e, successivamente, solo dopo l’avvenuto apprendimento, si passerà a rinforzarlo saltuariamente (programmi di rinforzamento a rapporto variabile). Una volta avviato il processo di apprendimento, sarà necessario stabilire dei criteri che ci aiutino a considerare acquisito o meno un compito, un item o un’abilità. Un’altra procedura ancora, è il concatenamento (chaining), in cui tutte le abilità vengono suddivise in unità più piccole e sono insegnate singolarmente e poi concatenate tra loro (il concatenamento può essere in avanti e all’indietro). In particolare, si utilizza la Task Analysis nelle autonomie: ad esempio si divide l’autonomia del lavarsi le mani in unità più piccole e si insegna ogni più piccola abilità per rendere il soggetto autonomo nella catena dei movimenti. Nella costruzione del setting, quando si lavora con un bambino autistico, bisogna seguire alcune regole fondamentali che riguardano: - l’ambiente fisico (materiali, disposizione della stanza, posizione del tavolo…) - l’ambiente normativo (regole tra terapista/educatore e bambino) - l’ambiente interpersonale (scambi sociali tra le figure di riferimento e il bambino) Quando si utilizza l’ABA, si lavora principalmente utilizzando due tipi di setting. Nel setting strutturato viene appunto strutturato tutto l’ambiente in modo da rendere favorevole 25 l’apprendimento. Dunque, la posizione da assumere nei confronti del bambino deve essere funzionale all’obiettivo specifico che in quella sessione d’intervento si vuole perseguire e funzionale a mantenere l’attenzione del bambino focalizzata sul compito. La posizione da assumere deve essere funzionale all’erogazione dei rinforzatori e alla presentazione del materiale. La posizione da assumere deve essere funzionale alla somministrazione dei prompt. Infine, la posizione deve essere funzionale alla promozione di un comportamento collaborativo. Nel setting NET, invece, l’ambiente fisico ove si opera è quello naturale, ma viene arricchito con materiale intrinsecamente motivante (EO, establishing operation). Inoltre, è importante non fare nessuna richiesta ma aspettare che sia il bambino a prendere l’iniziativa; a quel punto la si segue in modo da sostenerla nel modo migliore. Il setting strutturato, quindi, segue poco la motivazione del bambino, mentre il setting NET va incontro all’iniziativa del bambino (ma rende gli apprendimenti meno veloci). Ancora, nel metodo ABA è molto importante la scelta dei rinforzatori: per stabilire se una conseguenza è rinforzante non bisogna indagare le intenzioni della persona che la elargisce, ma bisogna vedere in che modo modifica il comportamento che la precede. Per scegliere i rinforzatori si fa un assessment delle preferenze, chiamato stimulus preference assessment, in cui: - si domanda la preferenza al bambino o ai genitori - si osserva direttamente il bambino - si usa il campionamento dei rinforzatori (avvicinamento, contatto, interazione) Gli stimoli possono essere presentati da soli o insieme ad altri, ed è fondamentale individuare per ogni bambino il maggior numero possibile di rinforzatori da usare durante le sessioni di apprendimento (rinforzatori sensoriali, dinamici, simbolici come la token economy, sociali, primari). La gestione dei rinforzatori deve tener conto di alcune caratteristiche: - il rinforzatore deve essere somministrato subito dopo l’emissione del comportamento desiderato - il bambino può interagire con il rinforzatore per qualche istante - i rinforzatori devono essere sempre consegnati dal tecnico (processo di pairing) - sempre sottolineare la correttezza della risposta - il bambino non deve alzarsi dal tavolino con il rinforzatore in mano La sazietà o saziazione/saturazione, è quella situazione in cui il rinforzatore è stato somministrato così spesso da non essere più efficace nell’incremento o nel mantenimento di un comportamento. In questi casi, quindi, si applica il principio di privazione. VIDEOPILLOLA “I disturbi dello spettro autistico: intervento comportamentale ABA” pt.2 Le linee guida della società italiana di neuropsichiatria infantile (SINPIA) individuano come obiettivo delle terapie quello di favorire il migliore adattamento possibile del bambino al suo ambiente per garantire una soddisfacente qualità di vita al bambino e alla sua famiglia. Uno degli interventi di tipo comportamentale più noti, è l’Applied Behavioral Analysis (metodo ABA - analisi comportamentale applicata) proposto da Loovas. Gli studi sostengono una sua efficacia nel migliorare le abilità intellettive (QI), il linguaggio e i comportamenti adattativi dei bambini con disturbi dello spettro autistico. Le prove a disposizione, anche se non definitive, consentono di consigliare l’utilizzo del modello ABA nel trattamento dei bambini con disturbi dello spettro autistico. L’ABA trae i suoi principi dal comportamentismo e li applica al fine di migliorare i comportamenti socialmente significativi, e usa il metodo scientifico per identificare le variabili responsabili del cambiamento dei comportamenti. ABA —> Applied behavior analysis: A. analisi —> individua relazioni funzionali tra individuo e ambiente, stabilendo in modo oggettivo le relazioni causali tra eventi ambientali e comportamenti osservati B. enfasi sul comportamento osservabile —> osservazioni dirette del comportamento come strumento principale di misurazione; le abilità promosse devono essere quantificabili in maniera obiettiva e direttamente osservabili C. applicazione —> si concentra su comportamenti significativi dal punto di vista sociale, che consentano un’effettiva crescita dell’individuo e la progressione verso quei comportamenti adattivi tipicamente esibiti dalle persone della stessa età e gruppo sociale di riferimento. L’efficacia di un trattamento ABA è tanto maggiore quanto più è aderente alle 7 dimensioni dell’ABA: 1. applicazione —> l’ABA si concentra su comportamenti significativi dal punto di vista sociale, che consentano un’effettiva crescita dell’individuo e la progressione verso quei comportamenti adattivi tipicamente esibiti dalle persone della stessa età e gruppo sociale di riferimento. In quest’ottica le priorità educative sono individuate sulla base di un criterio di funzionalità, in modo da promuovere l’autonomia della persona presa in carico e ridurne la dipendenza dalle figure di riferimento 26 2. enfasi sul comportamento osservabile —> l’ABA si basa su osservazioni dirette del comportamento come primario strumento di misurazione. In altri termini, le abilità promosse devono essere quantificabili in maniera obiettiva e direttamente osservabili 3. analisi —> l’ABA individua relazioni funzionali tra individuo e ambiente, stabilendo in modo oggettivo delle relazioni causali tra eventi ambientali e comportamentali osservati. Questo processo avviene attraverso la manipolazione sistematica dell’ambiente e la rilevazione dei comportamenti esibiti al variare delle condizioni ambientali 4. tecnologia —> le procedure d’analisi o di insegnamento vengono descritte in modo dettagliato, al fine di favorire la replica delle stesse 5. sistematicità concettuale —> le procedure ABA si riferiscono direttamente ai principi del comportamentismo, escludendo le forme di intervento carenti di sistematicità o identificate dalla comunità scientifica come “di ridotta efficacia” o “di non provata efficacia” 6. efficacia —> la rilevazione costante del dato comportamentale si rivela strumento principale per rilevare l’efficacia degli interventi e prendere decisioni rispetto alle abilità da promuovere e alle modalità d’intervento 7. generalizzazione —> l’obiettivo del metodo ABA è quello di promuovere la generalizzazione delle abilità attraverso diversi ambienti, persone e comportamenti. Pertanto sarà fondamentale la condivisione di obiettivi, strategie e materiali da parte di tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo dello studente. L’analisi del comportamento applicata, è la scienza che utilizza tecniche e procedure derivate dai principi del comportamento per: - incrementare repertori del comportamento socialmente significativi - ridurre quelli problematici Il comportamento è ogni interazione dell’organismo con l’ambiente e ha due dimensioni: - la topografia —> cioè la forma del comportamento (cosa fa il bambino) - la funzione —> cioè la relazione tra il comportamento e le conseguenze che produce (perché) Per definire un comportamento non usiamo etichette riassuntive, ma definizioni operazionali chiare, oggettive e comprensibili da tutti. In particolare, i comportamenti vengono misurati secondo: - durata —> tempo totale - frequenza —> numero di occorrenze/unità di tempo - latenza —> distanza tra stimolo e risposta - intensità —> forza della risposta Per implementare un comportamento, nell’ABA è importante fare l’analisi funzionale. Il termine “analisi funzionale del comportamento” fu utilizzato da Skinner (1953) per descrivere la relazione di causa effetto tra l’ambiente e il comportamento. Il comportamento è provocato da situazioni che lo precedono (situazioni antecedenti) ed è consolidato dalle conseguenze che tale comportamento produce. Quindi, l’analisi funzionale del comportamento consente di evidenziare le relazioni esistenti tra ambiente e comportamento, cioè le modalità con le quali l’ambiente produce, mantiene e sostiene certi comportamenti individuali. Dunque, i tre concetti cardine dell’analisi funzionale sono l’antecedente (cosa è successo prima che si verificasse il comportamento), il comportamento (qual è stato il comportamento problematico) e la conseguenza (cosa è successo dopo che il soggetto ha manifestato il comportamento). L’analisi funzionale può essere scomposta in 3: 1. analisi funzionale indiretta —> intervista strutturata o semistrutturata rivolta ai genitori, parenti, referenti clinici o scolastici circa la natura del comportamento target preso in esame 2. analisi funzionale diretta —> osservazione del bambino in ambiente naturale e registrazione del comportamento (antecedente, comportamento, conseguenza) 3. analisi funzionale analoga (o sperimentale) —> si attuano 5 condizioni di verifica che sono una condizione di gioco libero, una di attenzione (lo sperimentatore legge un giornale/libro senza prestare attenzione al bambino), una di rinforzo tangibile, una di richiesta (il terapista chiede al bambino di fare un compito) e una condizione da solo (stanza priva di qualsiasi stimolo) LEZIONE 18 Novembre “Disabilità intellettiva” pt.1 Ad oggi, nell’ICD-10 viene riportato il termine “ritardo mentale”, che tuttavia ha connotati negativi e stigmatizzanti. La parola “ritardo”, in effetti, può essere fuorviante (non presume che la persona prima o poi raggiunga l’abilità ritenuta normale). Inoltre, il termine “intellettiva” è ritenuto più specifico e adeguato rispetto a “mentale”. Per questo motivo, si è ritenuto più opportuno adottare il termine disabilità intellettive per indicare la molteplicità delle varie forme con cui si manifestano le disabilità che coinvolgono l’intelligenza. L’ICD-10 è lo strumento diagnostico maggiormente utilizzato e stabilisce che: 27 LEZIONE 25 Novembre “Disabilità intellettiva” pt.2 I bambini con DI, presentano particolari caratteristiche in età prescolare: - lieve ritardo nella comparsa della deambulazione - ritardo nella comparsa del linguaggio verbale - attività motorie finalizzate —> discreta ma goffa l’attività grosso-motoria; nettamente scadente e imprecisa l’attività motoria fine - gioco povero e ripetitivo - disegno —> in genere a livello di scarabocchio fino a 6 anni - capacità costruttive (puzzle) scadenti - socializzazione limitata - autonomia nel vestire in genere scadente Le caratteristiche cliniche sono: - deficit delle funzioni cognitive di base (attenzione, memoria, concentrazione, pianificazione) - difficoltà linguistiche (fonologiche, struttura sintattica, pragmatica - modalità rigide di risoluzione del compito - difficoltà di generalizzazione e di trasferimento delle competenze attese - disturbo dell’apprendimento scolastico Le caratteristiche del funzionamento cognitivo in età scolare sono: - instabilità attentiva marcata - difficoltà di apprendimento - tendenza all’attività ripetitiva - difficoltà di riconoscere le somiglianze - nel lavoro individuale l’instabilità attentiva migliora vs. lavoro collettivo L’apprendimento scolastico si manifesta con: - acquisizione lenta della letto-scrittura, ma non deficitaria (le difficoltà compaiono nella fase ortografica e lessicale e tendono a persistere) - difficoltà nell’acquisizione del numero - buone capacità di memorizzare luoghi e persone - difficoltà in aritmetica - difficoltà nella comprensione del testo In particolare, per quanto riguarda le difficoltà in aritmetica, si nota una difficoltà ad acquisire la procedura delle operazioni, il concetto di sottrazione e difficoltà nel problem solving aritmetico. Analizzando un quadro specifico, la sindrome di Down ha un profilo neuropsicologico e comportamentale di questo tipo: - maggiore compromissione delle abilità linguistiche (maggiore in produzione) rispetto alle abilità visuo-spaziali (discrepanza tra scala verbale e scala non verbale) - range QI tra 25-55 - EM (età mentale) = arriva circa a 8 anni - QI varia nel corso degli anni —> QI medio 63-67 prima dei 3 anni; dai 3 ai 6 anni 48-57; dai 6 ai 12 anni QI medio 36-45; dai 12 ai 18 anni QI medio 32-38 - prestazioni scolastiche —> difficoltà nel disegno - MBT e WM verbale < MBT e WM visuo-spaziale (migliore) - capacità adattive punto di forza (abilità della vita quotidiana) - socievoli 30 - comportamenti esternalizzanti inizialmente poi internalizzanti in età adulta - deterioramento neurocognitivo (rischio demenza) Parlando della sindrome dell’X fragile, il profilo neuropsicologico e comportamentale presenta: - mutazione gene FMR1 situato sul cromosoma X —> impedisce la corretta espressione della proteina fragile X - Mental Retardation Protein - QI variabile e differenze tra M e F (nei maschi il QI è più basso rispetto alle femmine) - deficit delle funzioni esecutive (pianificazione, shifting, inibizione, flessibilità cognitiva) - comorbilità con ASD, ADHD, ansia - compromissione dell’interazione sociale (può essere confuso con autismo) Per quanto riguarda l’intervento psicoeducativo è importante lavorare su: - pianificazione di attività in grado di favorire cambiamenti adattivi e stabili all’interno del processo educativo - analisi funzionale - riduzione di comportamenti problema (con strategie cognitivo-comportamentali) - incremento delle abilità adattive e finalizzate all’acquisizione di autonomia personale, sociale e lavorativa - un intervento è efficace quando porta ad un miglioramento della qualità della vita Ci sono poi le competenze trasversali, ovvero quel vasto insieme di abilità della persona, implicate in numerosi tipi di compiti lavorativi, dai più elementari ai più complessi, ed esplicate in situazioni operative tra loro diverse. In altre parole, ci si riferisce ad abilità di carattere generale, a largo spettro, relative ai processi di pensiero e cognizione, alle modalità di comportamento nei contesti sociali e di lavoro, alle modalità e capacità di riflettere e di usare strategie di apprendimento e di auto-correzione della condotta. Per quanto riguarda la struttura dell’ora di lavoro individuale: - attività semplici e alla portata del bambino (bisogna garantire il successo almeno parziale delle azioni richieste) - devono essere di breve durata - devono essere realizzate attraverso procedure chiare e ripetibili - si deve mantenere traccia delle attività Infine, i principi generali nel potenziamento, sono: - ripetitività nelle attività quotidiane - rigidità nelle procedure adottate - verbalizzazione delle sequenze nell’attività - gradualità nel rilascio dell’autonomia, anche all’interno di un’attività LEZIONE 9 Dicembre “Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività (ADHD)” pt.1 Il DSM-5 colloca l’ADHD all’interno della categoria dei Disturbi del neurosviluppo (diversamente dalle versioni precedenti che lo collocavano tra i Disturbi del comportamento), inoltre, sempre secondo il DSM-5, l’ADHD si caratterizza principalmente per un deficit di attenzione e iperattività- impulsività (tali da compromettere il funzionamento globale del bambino). In età scolare, la prevalenza è del 5% circa (2,5% in età adulta); rapporto maschi e femmine di circa 3:1. 31 I criteri diagnostici del DSM-5 sono: - presenza di almeno 6 sintomi (su 9) di disattenzione/iperattività-impulsività, che persistono da almeno 6 mesi (sopra i 17 anni vengono richiesti 5 sintomi) - i sintomi devono essere presenti in almeno e contesti di vita - esordio dei sintomi entro i 12 anni - i sintomi determinano una compromissione significativa del funzionamento globale (“disadattamento familiare, sociale, scolastico, lavorativo) I sottotipi di ADHD sono: - con disattenzione predominante (almeno 6 sintomi di inattenzione, 5 o meno di iperattività- impulsività) - con iperattività-impulsività predominante (almeno 6 sintomi di iperattività-impulsività, 5 o meno di inattenzione) - combinato (almeno 6 sintomi di inattenzione, almeno 6 sintomi di iperattività-impulsività) I sintomi di disattenzione sono: - spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari, commette errori di distrazione - ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti e sulle attività di gioco - spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente - spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici - ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività (disorganizzato, disordinato) - spesso evita, prova avversione a impegnarsi in compiti che chiedono sforzo prolungato - perde, spesso, gli oggetti necessari per i compiti e le attività - spesso è facilmente distratto da stimoli esterni - è spesso sbadato/a nelle attività quotidiane I sintomi di iperattività-impulsività invece sono: - spesso si agita o batte le mani e i piedi e si dimena sulla sedia - spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti - spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato - è spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente - è spesso “sotto pressione”, agendo come se fosse “azionato/a da un motore” - spesso parla troppo - spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata - ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno - spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti Se prevalgono le problematiche relative alla disattenzione si riscontrano problemi di apprendimento scolastico, mentre se predominano l’iperattività/impulsività sono prevalenti le difficoltà di adattamento sociale. Per quanto riguarda la comorbilità, troviamo associati: - disturbi del comportamento dirompente (DOP, disturbo oppositivo-provocatorio, 40-50%; DC , disturbo della condotta, 10-15%) - DSA (M: 30% - F: 10%) - DI (nel caso in cui le manifestazioni di disattenzione e iperattività non siano giustificabili dall’età mentale del bambino) - disturbi della sfera emotiva (ansia e depressione) Rispetto alla prognosi, studi americani in età giovanile e adulta evidenziano: - tra il 50% e il 70% permane una diagnosi di ADHD - il 20% evolve in disturbo di personalità antisociale - abuso di sostanze (circa il 15%) - criminalità (circa il 13%-15%) - precoce abbandono scolastico - basso status socio-economico - perdita di lavoro - disturbi dell’umore - disturbi di ansia Gli strumenti di valutazione più utilizzati sono il colloquio clinico, test (neuropsicologici), questionari parent/teacher/self-report, l’osservazione clinica in un contesto familiare per il bambino (ad es. scuola o casa); è indispensabile la raccolta accurata di informazioni da fonti multiple (in più contesti). Per quanto riguarda la valutazione neuropsicologica, la prima cosa è valutare il QI (WISC-IV). In particolare, i dati dicono che il profilo tipico nell’ADHD mostra un punteggio nella media per quanto riguarda gli aspetti di comprensione verbale e di ragionamento visuo-percettivo, ma si evidenziano punteggi più bassi nell’indice di velocità di elaborazione (quando c’è un disturbo di attenzione) e nell’indice della memoria di lavoro (quando c’è un disturbo di iperattività). Altri test 32 rinforzi che mantengono il comportamento problema (es. risate, sorrisi, rimproveri, punizioni). Quando riguarda l’attenzione (ossia è l’attenzione dell’adulto a rinforzare il comportamento problema) l’estinzione prende il nome di ignoramento strategico. Ovviamente non è facile ignorare certi comportamenti, sia perché molto fastidiosi (e subito dopo l’ignoramento possono aumentare d’intensità), sia perché il genitore deve fare i conti con il suo sentirsi poco adeguato, con ansia e vergogna. Quindi, non appena il comportamento cessa, è essenziale rinforzare i comportamenti alternativi funzionali. La strategia del costo della risposta, invece, consiste nell’eliminare un “privilegio” quando il bambino emette un comportamento problematico. Si fa ricorso a questa tecnica quando estinzione/ignoramento non risultano sufficienti e quando i comportamenti sono molto negativi (rischiosi, aggressivi, violenti). Può essere applicata anche alla token economy e, in generale, la penalità dev’essere il più possibile collegata alla situazione. Inoltre, la penalità dev’essere prima esplicitata (avvisare il bambino/ragazzo), con dispiacere e tono calmo. Una volta esplicitata la penalità, l’adulto deve incoraggiare il bambino ad attuare il comportamento corretto. Non appena il comportamento cessa, di nuovo, è essenziale rinforzare i comportamenti alternativi funzionali (con lodi, attenzione). Infine, la strategie del time out consiste nel sospendere ogni forma di attenzione, gratificazione, soddisfazione, allontanando il bambino, collocandolo in un luogo privo di qualsiasi stimolo. Si fa ricorso a questa tecnica quando i precedenti non risultano sufficienti e quando i comportamenti sono molto negativi (come sopra). La penalità, come nel caso precedente, dev’essere prima esplicitata con dispiacere e, una volta esplicitata la penalità, l’adulto deve incoraggiare il bambino ad attuare il comportamento corretto. La penalità dev’essere erogata con dispiacere e tono calmo (specificando i minuti che durerà, da 2 ad un massimo di 5; si può utilizzare un timer) e, ancora una volta, non appena il time out cessa, è essenziale rinforzare i comportamenti alternativi funzionali che emergono. L’efficacia del parent training è stata dimostrata per quanto riguarda: - effetti positivi sugli aspetti emotivi - riduzione dello stress - miglioramento dell’autostima - riduzione dei comportamenti a rischio, dell’impulsività e dell’aggressività - miglioramenti sia all’interno della famiglia che nel contesto sociale Per quanto riguarda infine il teacher training, serve a: - migliorare la comprensione del disturbo e smantellare idee sbagliate sul bambino/la famiglia - organizzare un ambiente-classe che promuova comportamenti funzionali —> ambiente molto strutturato, routine, scaletta/organizzazione delle attività (prevedibilità), regole chiare e semplici - posizionamento nel primo banco e vicino ad un compagno sensibile e molto partecipe; ridurre i distrattori - scomporre i compiti in sotto-obiettivi per incrementare la difficoltà in modo molto graduale - istruire sull’importanza di lavorare sugli antecedenti, sull’utilizzo di rinforzi, token economy per promuovere/valorizzare i comportamenti positivi (precedenza su punizione) - lodi (e rimproveri) non devono essere generali, ma includere il riferimento al comportamento Inoltre, altre azioni che possono aiutare includono: - incrementare la motivazione/attenzione variando compiti e attività (ruolo centrale della passione) - mettere al centro la relazione, coinvolgimento affettivo insegnante-bambino - focalizzare sui punti di forza del bambino, sostenere la sua autostima 35 36
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