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APPUNTI LEZIONI METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICO-ARTISTICA (METODOLOGIA DELLA CRITICA DELLE ARTI) PROF.SSA SAVETTIERI 2020/2021, Appunti di Storia Dell'arte

Appunti presi bene, dettagliati e riordinati. MANCA UNA LEZIONE : TRA IMPRESSIONISMO E POLLOCK

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 28/01/2021

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Scarica APPUNTI LEZIONI METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICO-ARTISTICA (METODOLOGIA DELLA CRITICA DELLE ARTI) PROF.SSA SAVETTIERI 2020/2021 e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! ATTENZIONE: DOCUMENTO SPROVVISTO DI IMMAGINI. E’ ASSOLUTAMENTE ESSENZIALE AVERE A DISPOSIZIONE IL FILE POWERPOINT UPLOADATO DALLA PROF.SSA SAVETTIERI NELL’AULA TEAMS DEL CORSO. Ricevimento: online su Teams o su Skype. METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICO-ARTISTICA Cosa è la materia? È un titolo complesso che non è immediatamente comprensibile. Metodo: la parola metodologia o metodo. Effettivamente andiamo a parlare dei metodi attraverso cui possiamo studiare e conoscere la storia dell’arte. Se lei dice ‘fiore’, quanti metodi ci sono di parlare del fiore? Quanti punti di vista possiamo avere? Possiamo descriverlo visivamente usando le parole, possiamo studiarlo scientificamente, possiamo renderlo attraverso la fotografia, possiamo usare la poesia. L’oggetto artistico ha delle sue determinate caratteristiche per cui dobbiamo sapere che domande farci. ♡ A seconda della domanda avremo un metodo piuttosto che un altro. Se lei ha davanti la primavera di botticelli, - Se ci si pone la domanda cosa rappresenta, quello le impone un metodo iconografico-iconologico; - Se ci si pone la domanda, come è rappresentato, richiede un metodo che è quello stilistico-formale, come sono i colori, il disegno, lo stile, la forma. A seconda delle domande che io mi pongo avrò delle risposte, e mi faranno capire un aspetto dell’opera d’arte. L’ideale per conoscere più metodi e applicarli: più metodi conosco, più conosco l’opera d’arte e la comprendo meglio. ♡ Il nostro obbiettivo primario è conoscere e capire. Giudizio/Critica: lo storico può giudicare ma non è il suo obbiettivo primario. Il giudizio è qualcosa di soggettivo. L’obbiettivo nostro non è tanto giudicare e fare considerazioni soggettive, ma è capire l’opera d’arte e l’umanità che ci sta dietro. ♡ Più dubbi ci poniamo sull’opera, maggiormente la nostra RICERCA e COMPRENSIONE sarà approfondita. Metodologia della ricerca storico artistica: ricerca. ♡ Noi non abbiamo mai una conoscenza statica dell’opera d’arte, ma dinamica. Possiamo all’infinito trovare cose nuove, interpretazioni nuove. È una continua ricerca. Per questo è importante non accontentarsi mai delle frasi fatte sugli artisti, ma anche mettere in dubbio quello che leggiamo, concepire lo studio dell’arte come una ricerca continua. È importante che si sondi, ed è importante acquisire un approccio che serve per la storia dell’arte ma anche per la vita: quando leggiamo i giornali, non ci lasceremo abbindolare. Perché questo giornalista ci sta dicendo questa cosa? Confrontiamo con altre fonti. È importante acquisire un approccio alla storia dell’arte che sia complesso, il porsi domande non è un aspetto che ci fa perdere tempo ma è segno di maturità e volontà di approfondimento. QUINDI: Metodologia: analisi dei metodi con cui possiamo affrontare l’oggetto artistico, della Ricerca: perché sull’oggetto artistico non abbiamo mai verità definitive soprattutto per oggetti artistici dei secoli passati, e poi: STORICO-ARTISTICA. LA STORIA. È fondamentale. ♡ Noi non andiamo a giudicare l’opera d’arte, dobbiamo conoscere, e per conoscere dobbiamo avere coscienza della distanza storica tra me e un’artista che vive durante la peste. Tra me e l’oggetto artistico, tra me e l’autore, e se non ne prendiamo coscienza facciamo guai: interpretiamo male, arriviamo a malintesi, non capiamo bene quello che l’artista esprime. Oggi stesso magari partiremo da un’opera che a suo tempo fece scandalo ma ora non ci dice niente. distanza storica: ho delle categorie mentali-culturali-percettive che sono profondamente diverse rispetto a quelle dell’artista che ha realizzato quella data opera e del suo pubblico. Questa differenza può essere abissale. Per fare questa ricerca non dobbiamo proiettare il nostro tempo sull’opera d’arte del passato, ma dobbiamo cercare le diversità: cosa differenzia i due contesti, quello dell’opera e il mio. Esempi di differenze: - Abitudini percettive: le opere sono belle illuminate adesso, nei musei, noi siamo abituati alla luce sparata sopra le opere ma consideriamo che la luce elettrica è una invenzione recente e per secoli le opere sono state viste nella penombra. QUESTO SOLO PER LA DIFFERENZA PERCETTIVA. - Abitudini culturali: pensiamo a come siamo abituati alla velocità, al movimento, vediamo i video, prendiamo l’aereo: questo fa parte della nostra cultura VISIVA, ma la cultura visiva dell’artista del ‘500 non è come la nostra. ♡ Pensiamo che la storia dell’arte nasce nel Settecento quando si prende coscienza della distanza abissale tra antichi e moderni. Se non sento il senso di distanza non posso comprendere l’opera ma questo non esclude che l’opera d’arte possa avere un messaggio che possa toccare noi, può essere un aspetto che travalica i secoli. Ma prima dobbiamo capire l’opera in relazione alla sua storia, anche per capire quanto pur essendo radicata, l’opera possa travalicare il suo contesto e ci dice qualcosa ancora dopo tanti secoli. Quello che viene richiesto all’esame: LE DATE SONO FONDAMENTALI. Parleremo di Konrad Fiedler - Vive negli ultimi tre decenni dell’800. Nel 1850 non ci sarebbero stati i presupposti culturali perché un Fiedler potesse sviluppare un linguaggio artistico. Ripetiamo - Le nozioni che dobbiamo ricordare sono: 1. Metodo: come io affronto l’oggetto artistico. 2. La dimensione di ricerca 3. La dimensione della storia, infatti dobbiamo diffidare di testi che non tengono conto della distanza storica. Dobbiamo lasciare la nostra epoca e tornare indietro. Dobbiamo capire come erano abituati gli uomini del tempo. Le due domande fondamentali che è necessario porsi davanti a un oggetto artistico è: 1. Che cosa rappresenta l’artista? 2. Come lo rappresenta l’artista? poi dobbiamo chiederci perché, e con che materia. Per la metodologia le più importanti sono principalmente le prime due. 1. La metodologia iconografica-iconologica studia il soggetto. Solitamente chi entra in un museo e non ha grande cultura artistica guarda le opere e si chiede cosa rappresentino. È importante il - L’artista muore, resta l’opera, ma l’opera ha una sua vita anche dopo la morte dell’artista e l’artista continua a vivere nella sua opera. - Siamo anche noi i posteri: come guardiamo noi, oggi, la primavera? Ma non siamo solo noi: cosa pensava Ruskin, critico d’arte inglese dell’800, di Botticelli? Cosa pensava Vasari di Botticelli, nel 500? Tra Botticelli e Vasari non c’è neanche un secolo di distanza. - La posterità dell’opera è anche l’opera che viene fraintesa e riscoperta dopo. Michelangelo nel 600 e 700 è criticato, viene considerato un artista pessimo, poi il preromanticismo inglese (Blake) lo riscopre. Seguire la posterità significa seguire LE VICISSITUDINI DELL’OPERA D’ARTE, se un’opera viene dimenticata vuol dire che lì l’opera è silente, poi c’è un’epoca che cerca qualcosa e la trova nell’artista del passato. Dimenticanze e riscoperte, la vita alterna dell’opera d’arte. Leggeremo un brano di Proust: ci sono scrittori che hanno avuto una comprensione profonda dei fenomeni artistici, o sono stati vicini agli artisti. Termine classico: si usa per definire qualcosa che è legato alla posterità. Artisti noti e studiati, che diventano classici, come BERNINI, anche se lui era barocco. Nella storia dell’arte, nel momento in cui un artista entra in un manuale di storia dell’arte, come DUCHAMP, finisce per essere un classico anche se deride la storia dell’arte. 5. iconografia e iconologia 6. Funzione: Per molti secoli l’opera è fatta per rispondere al bisogno di un committente, infatti la nozione di funzione è collegata al concetto di storicizzazione: noi siamo abituati a vedere le opere nei musei, e ci sembra che le opere siano espressione pura dello spirito, però per secoli la creazione artistica era legata a UNA CONSEGNA. “Io committente chiedo a te Michelangelo”: l’artista doveva comunque far fronte e tener conto della consegna. 7. Materiali, tecnica e stile: Lo stile, il come, lo mette nelle slides accanto a tecnica e materiali. In una visione idealistica dell’arte si tende a non considerare tecnica e materiali, ma certi effetti stilistici sono possibili perché si usano materiali e tecniche in un modo piuttosto che in un altro. Rosalba Carriera, artista del Settecento: lei TENDE A CREARE EFFETTI DI MORBIDEZZA USANDO IL PASTELLO, se avesse usato la tempera non avrebbe potuto rendere quell’effetto. È un suo obbiettivo, quello dell’effetto di morbidezza. 8. Quando nasce il senso della storia dell’arte, una prima consapevolezza di arte nella storia, e come si sviluppa fino alla fine del 700, quando nasce LA STORIA DELL’ARTE. ABBIAMO DAVANTI l’opera di GIRODET. Era un artista francese, fu un allievo del grande pittore della rivoluzione, David, che nel 1806 espone quest’opera al salon. Il déluge. Salon: erano delle esposizioni pubbliche, aperte davvero a tutto quanto il pubblico. Nelle chiese c’era un pubblico, certo, ma esporre un’opera in un salon era diverso. ♡ Sono le prime forme di mostre d’arte. Prima dei salon le opere erano o nelle chiese, o nei palazzi reali, e non chiunque poteva andarli a vedere, solo chi aveva accesso ai quei luoghi, chi aveva accesso ad esempio anche alle collezioni principesche come quelle medicee. Altrimenti l’opera restava nell’atelier dell’artista, se non era venduta. I salon sono un cambiamento fondamentale: aprono la percezione dell’opera d’arte al pubblico. Chiunque può entrare al salon e vedere le opere. ♡ Nella psicologia dell’artista tutto questo ha un peso. Una cosa è dire “il committente mi ha commissionato un ritratto, lo faccio, i suoi amici lo vedono perché è casa sua” … fine. Se l’artista dice “faccio ritratto di questo signore ma prima lo espongo al salon”… cambia. L’artista sa che l’opera sarà CONFRONTATA e CRITICATA. Significa quindi esporsi a critiche e in più il salon enfatizza una competizione che in realtà c’è sempre stata. Diventa pesante per un’artista esporre al salon. Ci sono casi in cui le opere esposte ai salon vengono proprio stroncate. ♡ Noi conosciamo di più l’ultima parte nella storia dei salon, il fatto ad esempio che gli impressionisti vengono rifiutati, che espongono da Nadar… infatti ai salon potevano esporre non tutti gli artisti mentre il pubblico era vario. Potevano esporre solo gli ARTISTI ACCADEMICI. SOLO DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE CI FU UN CAMBIAMENTO DI BREVE DURATA perché in base ai principi di uguaglianza si disse ‘no, tutti gli artisti hanno diritto di esporre’ ma la selezione fu chiusa di nuovo, e si arriva fino al salon dei Refusés. La critica al Déluge Quest’opera destò uno scandalo incredibile. Fu criticata in tutti i modi possibili e immaginabili. Adesso si trova in una grande galleria del Louvre, ASSIEME AD ALTRE OPERE DELL’OTTOCENTO FRANCESE, E ASSIEME A OPERE DI DAVID. L’ha notato la professoressa stessa che il pubblico passa e non si ferma. Il pubblico del 1806 rimase sconvolto, ma il pubblico di ora non si sofferma. Getta solo uno sguardo distratto. Già qui vediamo la differenza, la distanza storica, tra l’artista e noi, tra il pubblico che l’artista sconvolse, e noi. Se ne scrisse di tutti i colori: che faceva partorire le donne incinte, c’era gente che aveva crisi di nervi, alcuni commentatori parlano di attacchi veri e propri. La maggior parte dei commentatori dice che deve girarsi, come si fa davanti a scene truculente, che non osiamo guardare. Com’è possibile che oggi non proviamo nulla di particolarmente sconvolgente ma il pubblico del 1806 sì? Iniziamo a entrare nel merito della distanza storica, e del diverso modo di guardare che hanno gli uomini delle diverse epoche. ♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡♡ Ci fa una mini-monografia sul déluge per far capire come l’opera va aggredita per poter essere compresa nel modo più completo possibile. Per quanto noi facciamo uno scavo storico scientifico, comunque la nostra interpretazione sarà sempre condizionata da quello che siamo e che sappiamo. L’oggettività pura non esiste nelle scienze ma neanche nelle altre discipline. Abbiamo visto la scienza disorientata nel 2020, gli scienziati dicono cose molto diverse sul COVID. Questo ci dà una dimostrazione della fragilità del sapere umano. Dobbiamo accettare che non capiamo subito tutto. Ci vuole l’umiltà e la pazienza che sono delle doti che nell’epoca dei social mancano. Ora vale la frase ad effetto. Fondamentalmente per capire le cose: BISOGNA DARSI TEMPO. NON SI POSSONO DARE AFFERMAZIONI ESTEMPORANEE. Il fatto che vediamo tutto in un colpo d’occhio e vediamo i dettagli di un dipinto non ci deve far credere che basta vedere per comprendere. Scène du déluge Esposto al salon del 1806, desta scandalo. Viene esposto con titolo che è: scena del diluvio. In realtà l’artista segnalerà a un giornale che è un errore e che in realtà il titolo dell’opera è SCENE D’UN DELUGE. i salon: ♡ E’ un tipo di esposizione pubblica di opere d’arte che viene inventata in Francia alla fine del 600. ♡ Alla fine del 600 e all’inizio del 700 i salon non hanno regolarità annuale, poi dalla seconda metà del 700 sì ♡ Tra ottobre e dicembre in alcune sale del Louvre venivano esposte opere di artisti accademici tranne nel periodo della rivoluzione quando c’è una democratizzazione del salon. Quindi, il salon non è aperto a tutti gli artisti, ma è aperto al grande pubblico. Questo è un grande cambiamento. Tante opere vengono esposte al giudizio del pubblico più vario. Queste opere vengono viste senza sapere per chi sono state fatte, senza conoscerne la funzione, sono DEFUNZIONALIZZATE nel momento in cui entrano nel salon per il pubblico. Nei salon la fruizione che il pubblico aveva era simile alla fruizione che abbiamo delle opere noi ora, a una mostra. Le vediamo decontestualizzate. E siamo portati a confrontarle. La stessa cosa succedeva nei salon. ♡ Nel momento in cui prendono cadenza regolare si crea una critica d’arte molto democratica, di tutti i tipi. Questo provoca una produzione critica molto intensa e molto varia, sia per livello che per altri motivi: ci sono recensioni ai salon interessanti fatte con un punto di vista ben preciso – si riescono a capire molte cose della cultura anche grazie ai toni usati, che talvolta sono leggeri, canzonatori, sarcastici. Alcuni critici, recensendo il Déluge, dissero che partorivano le donne davanti al dipinto: questo non è un giudizio critico di alto livello ma è sarcastico, e feroce. Tuttavia, per noi storici anche questi giudizi un po’ leggeri sul filo dell’ironia sono interessanti, quasi più interessanti di altri giudizi argomentati perché fanno capire la temperatura del giudizio globale del grande pubblico. Come quando esce un film: c’è una recensione approfondita ma le stelline ci danno (anche se fatte da chiunque) una temperatura del giudizio globale del pubblico. L’opera viene esposta e desta subito scandalo. Perché? perché la maggior parte del pubblico è costretta a “volgere lo sguardo indietro”? molti dicono che non riescono a fissare la tela. Che la scena è terribile. per capire questo shock che ebbe il pubblico di allora e che non abbiamo noi guardando l’opera al Louvre, è necessario mettersi nei panni e nelle abitudini percettive del pubblico del 1806, o comunque di inizio 800. C’è qualcosa nel dipinto che forse, indipendentemente dal fatto che abbiamo altre categorie culturali, ci fa capire perché l’opera fa girare lo spettatore. cosa rappresenta? 1. Diluvio: iconografia del diluvio universale. È una scena biblica. Capitolo ‘generi artistici’: rappresentare una scena biblica significa fare un dipinto di storia, come se la bibbia fosse una fonte ragguardevole, così come Omero, Ovidio. La pittura di storia rappresenta episodi di livello elevato, legati a situazioni nobili, anche di tipo religioso. Il diluvio avviene affinché ci sia una purificazione. C’è dietro la sofferenza un riscatto. C’è una volontà divina, una provvidenza. Questo è il diluvio. Evoca questo. 2. Una famiglia che in maniera acrobatica sta arrampicata su due rocce, ma si capisce che stanno per cadere. Non è una scena statica ma estremamente dinamica che gioca tutto sullo stare per. Sappiamo che questa famiglia fra qualche istante cade nelle acque. lo capiamo dalla posizione spericolata del personaggio maschile, verisimilmente il padre, che tiene in groppa un vecchio e col braccio tiene la sua compagna, che sembra essere svenuta o morta. È evidente che la compagna sia un peso morto, e ha anche il peso dei suoi due figli, uno dei quali la spinge verso il basso, e le tira i capelli. Venne considerato osceno, eccessivo. Da cosa capiamo che fra poco cadono? Dall’albero che si sta spezzando. Lo vediamo. Sembra un dettaglio secondario ma è la chiave filosofica del dipinto: tutti gli sforzi della volontà umana di salvarsi sono inutili perché l’uomo non è artefice del proprio destino. La sua vita e la vita dei suoi cari dipendono da qualcosa che non può dominare, un elemento naturale che sta per cedere. Già se riflettiamo capiamo tutta la tragicità del dipinto. Sta rappresentando una scena di morte: c’è una catastrofe naturale. Loro cercano di salvarsi ma per quanto morire. Sento il senso della morte ma so che la catastrofe non sta coinvolgendo me. proviamo piacere perché non siamo protagonisti. Il problema, qua, è che la distanza è ridotta al minimo e il dipinto è troppo incombente, troppo coinvolgente, e questo sublime si potrebbe trasformare in terrore, orrore, spavento. Il pubblico non capisce che quel sublime spinto ha un suo significato e la prima cosa che fa è girarsi. La categoria del sublime qua non funziona perché la scena è immersiva e transitoria. NATURA MATRIGNA DI LEOPARDI. La cultura di Leopardi è filosofica, settecentesca, materialista e meccanicista. Significa che, semplificando, nel Settecento si affermano filosofie del mondo LAICHE, dio è assente, non ci sono giustificazioni provvidenziali del mondo ma prevale una visione materialista e una visione meccanicista, la natura è un insieme di fenomeni e oggetti che ha i suoi modi di agire, procedere, che non derivano da nessuna volontà divina. Da qui il concetto leopardiano di natura indifferente e natura matrigna, che se ne frega delle pretese dell’uomo, anzi fa e disfa, e nel susseguirsi di natura e morte l’uomo non ha nessun ruolo e nessun significato. È un concetto leopardiano, che è SETTECENTESCO, proprio della filosofia francese perché materialismo e meccanicismo nascono filosoficamente in Francia, perché illuminista, e laica. Dio è assente. La natura non è amica dell’uomo. Se decide di fare un terremoto lo fa per cause geologiche, e che l’uomo possa morire o meno non importa perché la natura non è identità ma insieme di fenomeni. In relazione a questa filosofia nasce la nozione di CATASTROFE. I fenomeni naturali distruttivi non sono un segno divino (dio che ci punisce, dio che ha un disegno superiore), ma la catastrofe È UN CONCETTO LAICO, la natura fa operazioni che talvolta sono operazioni distruttive e l’uomo talvolta è vittima. E non ci può fare niente, non può lottare contro la natura infinitamente più potente di lui. È un concetto settecentesco che la natura è un continuo fare e disfare senza che ci sia nessuna volontà dietro, e appunto quindi – si capisce che il dipinto è legato al concetto filosoficamente nuovo per l’epoca. Abbiamo già visto che Girodet fa un dipinto catastrofista, e si vede gente che corre, esplosione, pericolo, ma questa fragilità ineluttabile e disperata non emerge in maniera così incisiva come nel Déluge. Il dettaglio del ramo, la nudità, la dimensione in qualche modo eroica, fanno la differenza, come se Girodet volesse cambiare la pittura di storia. Ci sono anche dipinti di storia napoleonica propagandista, o con soggetti mitologici, e la pittura di storia all’epoca doveva fornire un messaggio positivo e Girodet è come se volesse inserire un cambiamento: la pittura di storia può anche trasmettere una verità filosofica, dare messaggi negativi, i filosofi del 700 l’avevano detto per iscritto, ma Girodet sceglie un’estetica dello shock. RE: - È un dipinto calato nella cultura settecentesca. È una nozione nuova. Prima del Settecento se c’era un’epidemia era un segno divino, invece nel 700 si laicizza la visione del mondo e la visione della natura, e per far riferimento all’attualità, è nel Settecento che si affermano le prime norme igieniche. La laicizzazione reca con sé un approccio più scientifico. - 700: prima grande esplosione demografica dovuta al fatto che la mortalità perinatale diminuisce, grazie a cose banali come il famoso lavarsi le mani. ESAME: approfondimenti ai seminari. Brano di Pietro Giordani amico di Leopardi, in cui parla dell’arte come salvezza dalla natura matrigna. Ci ricorderemo di questa idea. A sinistra abbiamo un dipinto di REGNAULT. Dipinto del 1789, anno della rivoluzione, e vediamo che abbiamo un dipinto dello stesso soggetto. Il titolo era una scena del diluvio universale. È una scena disperata, i personaggi stanno tentando di salvarsi, e si vede un uomo affogato. È cupo. Come nel dipinto i Girodet c’è una figura maschile che tiene un vecchio, e la madre innalza con tutta la forza che può il bebè in alto per salvarlo. Questo dipinto non destò molto scandalo: sullo sfondo c’è l’arca, quindi, idea del ‘comunque tutto questo dolore ha un suo significato’. C’è qualcosa che ci fa capire che esiste un dio al quale appellarsi. Il gesto più significativo è quello del vecchio che alza la mano perché nella tragedia umana c’è un dio da invocare, l’uomo non si sente solo. Accanto c’è un disegno di Girodet, che è una copia del dipinto di Regnault. Entriamo nel vivo della metodologia La copia è uno strumento fondamentale. Dobbiamo vedere chi lo copia e come lo copia, perché il come è significativo di un interesse. È nella copia che entriamo nella mente dell’artista e capiamo cosa interessa. Se Girodet in quell’anno copia un dipinto di un diluvio, è un soggetto che gli interessa già a questa data. La cosa fondamentale è capire come lo copia. Ci sono varianti? È uno schizzo di un dipinto di Regnault. La donna è ruotata ma mantiene il gesto del bambino, mantiene anche la posizione dell’uomo, ma non c’è l’arca. È un cambiamento voluto dall’artista che ci fa capire già dal 1789 quale è la sua idea di diluvio e catastrofe. È un dettaglio. L’artista copia il dipinto ed elimina un dettaglio fondamentale. In Regnault C’E’ UN DIO, la mano alzata che rappresenta l’invocazione. Girodet la copia volontariamente assente. Girodet già dice ‘questo dio non c’è, è una catastrofe senza nessuno da invocare’. La famiglia che prima non si sente sola ma ora lo è – Girodet fa un cambiamento non solo iconografico ma anche filosofico. L’uomo è solo. Attraverso l’eliminazione totale dell’arca e del gesto, Girodet trasforma il dipinto dal diluvio universale a una diversa natura. Da un dipinto di storia biblica a una scena che indica una fragilità dell’umanità dinanzi a una natura avversa. Rende il dipinto di Regnault un dipinto disperato. Per capire un’artista è necessario andare a studiare i disegni e gli schizzi, cosa guarda della sua epoca, cosa copia, non è un esercizio filologico fine a sé stesso ma ci aiuta a entrare nella mentalità dell’artista. È la genesi del déluge. La storia di questo dipinto risale a tanti anni prima. Già dall’89 l’artista è intrigato da quei soggetti. Punto nodale dell’attacco dell’uomo al polso della donna, è l’unione degli opposti. E poi uno studio della donna. le contraddizioni secondo il pubblico Dicevano fosse contraddittoria la posizione della donna, perché sembra morta, sì, ma se si lasciasse andare le gambe sarebbero più molli invece il corpo in parte è sostenuto, quindi c’è ambiguità (lo disse il pubblico) perché non si capisce se è morta o svenuta. Si diceva che se fosse svenuta si sarebbe svegliata dal dolore provocatole dal bimbo che le tira i capelli. Il pubblico dell’epoca notò ambiguità. Come vedremo in Girodet spesso c’è questa ambiguità. La figura femminile è morta o no? È dormiente? È una scena inverosimile, è colta nel momento in cui si sta lasciando andare ma ha ancora un minimo di forza. Però il fatto che il pubblico dell’epoca vedesse delle ambiguità che noi non notiamo, è di nuovo significativo della sofferenza del loro sguardo. Noi non siamo più abituati a guardare dipinti in quel modo. In una visione museale en passant non ce ne accorgiamo. L’obbiettivo è quello di dire questa donna sta per cedere ma ancora non del tutto. Altro elemento che enfatizza la transitorietà del dipinto. ci saranno dei seminari. non sono obbligatori, servono per chiarire, per avere un confronto diretto con lei. mandare una mail entro mercoledì per i seminari. non deve durare più di mezz'ora- il sabato - mezz'ora? verso le 18? il materiale: chiedere alla prof. Ripasso: Senso della distanza storica: ci permette di capire che l’umanità che guardava quelle opere del passato è molto diversa da noi, e per capire le opere dobbiamo fare uno sforzo di storicizzazione che non riguarda solo l'opera d'arte ma anche il pubblico. il fatto che un'opera come il déluge di Girodet, allievo di David, non ci desti emozioni né shock, ma che invece abbia scioccato il pubblico dell’epoca, tanto che la gente aveva crisi e le donne partorivano: questa differenza di percezione già ci deve fare capire che non dobbiamo attualizzarla troppo. L'opera è legata a delle condizioni culturali, può continuare a parlarci oggi, ma in ogni caso non dobbiamo correre il rischio di perdere di vista il significato iniziale. facciamo un discorso metodologico: ci sono informazioni dell’opera che noi possiamo trarre dalla visione stessa dell'opera, senza sapere niente del contesto e dell'artista. 1. diciamo che è una famiglia aggrappata a un ramo che sta per spezzarsi, in una situazione di cataclisma naturale. Dal titolo sappiamo che si tratta di un diluvio. 2. desumiamo che l'artista ha voluto rappresentare l'umanità nei suoi aspetti: bimbo, adulto, vecchiaia, tre età e due sessi. 3. Vediamo che l'opera è strutturata secondo una diagonale. Lungo la diagonale si gioca l'opposizione tra l'uomo che resiste e la donna che si abbandona, che fa capire che la famiglia non ha chance. 4. un'altra informazione che traiamo dalla visione è quella che il dipinto, anche se non sappiamo niente, non ci dà una visione positiva della condizione umana, ci fa vedere la sua fragilità. Potremmo fermarci qui e dire che abbiamo capito l'opera, però non basta: se facciamo una descrizione iconografica possiamo dire delle cose ma questo è il primo stadio, ci fa capire che per capire a fondo l’opera la visione non basta. dobbiamo tenere conto di altri aspetti che fanno parte della storia dell'opera, dell'artista e del contesto. Esempio: questa fragilità dell'uomo che a noi sembra una cosa non nuova – nella nostra epoca artisti e intellettuali si sono sempre espressi su questo argomento, non sembra ci stia dicendo niente – ma quello che lui dice qua, era nuovo o no rispetto al suo contesto? quello che a noi pare scontato non lo era all'epoca. L'artista fa un'operazione culturale. per capire la portata e l'originalità dobbiamo SEMPRE capire il contesto. l'originalità la misuriamo non rispetto al nostro concetto di originalità del 2020 ma rispetto al suo contesto, ai canoni, alle categorie in uno in quell'epoca. Vedremo che si nascondono altre cose che il pubblico dell'epoca capì. Dobbiamo leggere i giudizi e considerarli tutti, anche quelli molto negativi ovvero le stroncature sull'opera: è utilissimo, capiamo quali erano gli orizzonti, cosa si aspettava il pubblico e perché risulta così originale rispetto all'idea di pittura di storia. Vedremo ora come un'opera significativa nel panorama artistico francese, la zattera della medusa. Iniziamo a parlare di una visione della pittura non solo come un'arte che deve glorificare e che può fare propaganda: la pittura non deve solo dare messaggi positivi ma può denunciare il male della storia o della condizione umana. È un'opera chiave, e per capire anche la zattera è importante studiare tutto il tessuto: attraverso lo studio del tessuto capiamo meglio i grandi capolavori che non vanno isolati. L'opera ha una luce tagliente e drammatica - è un'estremizzazione, quest'opera, del giuramento degli Orazi di David. questione di affetto. Cosa fa Girodet? per capire questa operazione bisogna aggiungere un dettaglio: Girodet è un artista ribelle. Fin all'inizio della sua carriera, fin dal suo soggiorno romano nei primi anni ‘90 dice che vuole essere diverso da David, si mette in competizione col maestro. E’ un po' romantico, è ossessionato dall'idea di farsi notare ed essere originale, ha una volontà di contrapporsi alle idee comuni, alle convenzioni, e questo ne fa un'artista ribelle e moderno, più vicino di quanto possiamo credere. In questa opposizione lui estremizza questa polarità che era già presente nei dipinti del suo maestro - anche se David aveva già avuto critiche per il giuramento degli Orazi. (rispetto ai colori pastello delle pitture erotiche con Fragonard, Batteux, questo viene totalmente negato da David che è l'emblema del neoclassicismo francese) Girodet estremizza questa polarità già presente nei dipinti di David. - L'uomo sta combattendo, ha una sua eroicità ma non c'è nessuna speranza di vittoria, anche perché il nemico di quest’uomo è la natura, natura molto più grande di lui. È quindi un'azione eroica disperata, non è l’eroismo vigoroso e ottimista degli Orazi. - Le donne invece, in David piangono, esprimono il loro affetto per gli uomini che partono, mentre qui in Girodet la donna viene rappresentata nel massimo della passività in una posizione di abbandono, tra svenimento e morte. Sta per morire. Girodet assimila alcuni aspetti della pittura di David, li rimacina e ritrasforma in qualcosa che è completamente diverso. all'eroismo di una umanità per il bene pubblico della patria, si contrappone l'eroismo disperato di un uomo che combatte contro una natura avversa, e che non potrà mai vincere. CONOSCERE IL CONTESTO CULTURALE DELL'ARTISTA, CHI È STATO IL SUO MAESTRO ECC., È FONDAMENALE PER POTER OSSERVARE E CAPIRE COME RIELABORA GLI INSEGNAMENTI IN QUALCOSA CHE È DIVERSO. C'è quindi questa ribellione in lui: è un artista che vuole stupire il pubblico vuole scioccarlo. Ma in realtà vuole anche il suo appoggio, perché è un personaggio in realtà insicuro. Lo è dall'inizio della sua carriera fino all'ultimo salon a cui partecipa. È interessante per capire il passaggio dal neoclassicismo al romanticismo in Francia, infatti artisti come Girodet aprono la strada alla zattera della medusa e stanno tra neoclassico e romantico. I DETTAGLI: IL BAMBINO E IL VECCHIO Abbiamo capito che i dettagli che nota il pubblico non sono gli stessi che notiamo noi, abituati alle scene truculente di tarantino. Per l’epoca, il bambinetto che tira i capelli alla madre era una scena orrida e infatti il pubblico si girava! Quindi a parte l'aspetto di transitorietà (nodale) della scena (la situazione della famiglia legata a un ramo che sta per spezzarsi), aggiungiamo ora l’elemento del bambino che tira i capelli alla madre. C'è un critico che dice che addirittura che il dipinto è inguardabile. È una scena atroce che Girodet mette per aggiungere l’effetto shock. Abbiamo poi il dettaglio in primo piano del sacco con i soldi, si vedono delle monete, e anche questo desta scandalo. Abbiamo trovato un commento sul volto del personaggio che tiene i soldi, che è brutto fondamentalmente. Ricorda Michelangelo e le sue figure di dannato, ed è effettivamente un condannato a morte. Qui il riferimento a Michelangelo, anche nel lato muscoloso delle figure, è evidentissimo. Questa figura viene considerata brutta. Effettivamente in Francia Michelangelo non è considerato bellezza. per un certo gusto estetico è un disvalore questo michelangiolismo. Quello che respinge non è solo bambino, che sta sulla diagonale, ma anche questa figura con la morte in faccia, che guarda l'abisso che sta per inghiottirlo. La bocca aperta è considerata un errore di gusto, una pecca: questi denti che digrignano, gli occhi spalancati che escono dalle loro orbite, formano un insieme SCHIFOSO per l’epoca che respinge ma che non tocca il cuore umano. Non commuove ma respinge: ci volevano categorie culturali diverse per un contesto in cui la dimensione del sublime non è attiva. Il fatto che il pubblico dell’epoca questo personaggio l'abbia definito schifoso ci fa capire distanza tra noi e Girodet, e tra noi e pubblico dell’epoca. Il fatto di provocare queste reazioni rende moderno Girodet. Perché il vecchio che tiene la borsa è considerato fuori luogo? Riflettiamo su un fatto: questo è Enea con Anchise, che fugge da Troia portando le statuette familiari. Girodet sostituisce la dimensione religiosa e sacrale… al denaro. Cosa c'entra con l'eroicità disperata? Il pubblico commentò: “ma come, stanno per perse la vita e il vecchio pensa ai soldi? in un dipinto che si vuole storico vediamo un dettaglio che fa parte di un registro basso, che c'entra il denaro? il vecchio è avaro?”. Se l'obbiettivo è salvare sé stesso e soldi, appare quasi immorale. Si difende dicendo che lui non voleva rappresentare l'avarizia del vecchio o dell'uomo, ma voleva rappresentare come la natura umana reagisce davanti a un pericolo imminente ed enorme. Cosa fa? Cerca di salvare sé stesso e prende i suoi averi, nell'idea di potersi salvare in qualche modo. In caso di un terremoto ad esempio, uno si riveste, si porta il cellulare e il portafoglio. Girodet dice “è nella natura umana portare con sé i propri averi, a Ercolano e Pompei sono sati trovati corpi di uomini con in mano delle ricchezze”. Ercolano e Pompei: è un riferimento a due città italiane e a un episodio tragico, ovvero la famosa eruzione che distrusse le due città. Girodet è stato in Italia, fu anche a Napoli. Il dipinto ha a che fare anche col soggiorno italiano perché per difendersi va a inserire nella scena del diluvio un aspetto vulcanico, che vedremo ha a che fare in maniera forte col dipinto. Ultimo punto fondamentale: il recensore che ha scritto “tutto è disperazione in questo dipinto” fece riferimento alla borsa col denaro dicendo: “se il vecchio porta il denaro vuol dire che spera di salvarsi ma noi sappiamo che non si salverà; quindi è quasi ridicolo portarsi il denaro, quando moriranno tutti”. La borsa serve per laicizzare ancora di più il dipinto, ma anche per aumentare l'effetto di disperazione: il vecchio pensava a un'altra vita dopo l'inondazione invece … muoiono. P 185 – 220 La verifica delle fonti, SEMPRE! è una cosa che salva. 7-800: è una fase cruciale. È vero che non esistono fasi più importanti di altre, ma succede qua a cavallo fra questi due secoli che ci sono un insieme di fratture che aprono la strada alla contemporaneità e a una concezione dell’arte più vicina alla nostra. Abbiamo parlato dei salon, grazie ai quali un pubblico esteso ha accesso a tante opere messe le une accanto alle altre: è alla base della concezione che abbiamo nei musei! Si tratta infatti, per l’epoca, di un’apertura alla percezione contemporanea. Analizzare snodi dal punto di vista della cronologia sette/ottocentesca è utile perché fa capire cosa cambia rispetto a prima e cosa anticipa alcuni aspetti della contemporaneità. A lezione parlerà di Panofsky e di Ragghianti, ma possiamo sostituirli con il suo volume ‘tutto è disperazione in questo dipinto’. Girodet che va in Italia e sta anche a Napoli. La prof aveva evocato il soggiorno italiano perché in quella famosa lettera in cui difende il suo dipinto (‘non è una scena del diluvio universale ma di un diluvio’), dice: “avete criticato il vecchio con il denaro, considerandolo avidità, in realtà è uno studio sul come l’umanità reagisce davanti agli eventi catastrofici improvvisi e distruttivi”, e aggiunge “la natura umana è sempre uguale, l’uomo scappa ma cerca di afferrare i suoi averi, ed è quello che successe durante l’eruzione di Ercolano, e Pompei, perché sono stati trovati corpi con monete d’oro o appunto ricchezze”. Dobbiamo capire che l’opera d’arte è una rielaborazione di un CONTESTO. non pensiamo che l’opera d’arte sia solo un documento dell’epoca, altrimenti sarebbero storici e non stoici dell’arte. Il soggiorno italiano è veramente importante. Citazione HIDEUX: SCHIFOSO. Quest’uomo atterrito non è bello. Il corpo sì ma il volto è una maschera di angoscia e dolore. Oggi il brutto non ci sconvolge, ma questo brutto nel contesto francese sconvolgeva. Sappiamo che le teorie estetiche in voga nella Francia di fine Settecento/inizio Ottocento sono le teorie estetiche dell’ideale, che secondo le idee di Winckelmann, si raggiunge con la serenità e la pacatezza: elementi che permettono alla bellezza di sorgere. Qua l’artista invece sceglie l’elemento transitorio, che implica la distruzione della bellezza che nella Francia del periodo è fondamentale. La transitorietà comporta il BRUTTO, e non è una categoria accettata all’epoca. Il brutto sarà un aspetto dell’età romantica ma quando succederà saremo già negli anni ‘30 dell’800. In spagna con Goya già avevamo i disastri della guerra: rappresenta scene abominevoli, teste e arti mozzati, cadaveri. Contesto FRANCESE: L’accademia nasce con Colbert in Francia nel 1748 (?). “Nel 1661 passò sotto il controllo di Jean-Baptiste Colbert che fece delle arti la maggiore espressione della glorificazione di Luigi XIV.” Questo artista che sceglie un concetto che avvicina al brutto… sciocca! Carracci rappresenta il diluvio con tanti personaggi. POUSSIN: L’HIVER / Il Déluge. Poussin, grande artista francese del ‘600, fa un déluge che in qualche modo rappresenta un cambiamento perché in questa opera, che possiamo definire sublime, riduce enormemente il numero di personaggi, e riducendolo, aumenta il pathos. Diminuisce la drammaticità, e aumenta il tragico. Ciò che è drammatico ci può creare una sensazione di palpitazione. Il tragico però è sublime, fa riflettere in maniera commossa e profonda sulla condizione umana. Poussin sceglie quindi di rappresenta pochi episodi fortemente significativi. C’è un uomo che disperato si rivolge verso Dio. C’è l’arca, in fondo, e quindi c’è una riflessione sul dolore umano che è forte ma che ha un riscatto divino perché c’è una mano divina dietro tutto ciò, e il dolore ha un significato. Poussin sembra QUASI anticipare MA NON ANTICIPA GIRODET O L’ICONOGRAFIA SETTECENTESCA. Semplicemente trova utile in questa operazione di riduzione concentrarsi su un nucleo familiare che rappresenta un concentrato dell’umanità in qualche modo. C’è un padre che porge il figlio alla madre perché la terra sarà sommersa dalle acque, e cerca di salvarlo. C’è un equilibrio perfetto nell’opera di Poussin tra dolore e giustificazione universale del dolore. il dipinto è cupo, ci sono colori molto scuri, tutti i toni sono sul grigio, sul marrone. Tutto è teso a suscitare tristezza, ma NON GRIDATA: è tutto misurato. Girodet zooma sulla famiglia mettendola in primo piano, enfatizzando una posizione inverosimile, aumenta l’effetto drammatico e anche un po’ acrobatico (Girodet: dicevano fosse acrobatico), invece in Poussin non c’è nessuno aspetto inverosimile, il dolore c’è ma … è rappresentato in un modo distante. È chiaro che Girodet nel déluge fu colpito da questo nucleo familiare, infatti questa idea della diagonale molto probabilmente gli proviene dal dipinto di Poussin ma viene STRAVOLTA! Chaussard Un grande critico d’arte dell’età napoleonica e rivoluzionaria, è interessante perché legato a movimenti abolizionisti antischiavisti per cui scrive anche un pamphlet. Quando vide Girodet al salon del 1806 rimase colpito, scrisse: ‘guarda che scena drammatica, si tratta di un diluvio’. Inizialmente crede che si tratti di un diluvio universale e lo considera come appartenente al genere CATASTROFISTA, quindi gli va bene. Chaussard racconta poi di aver visto il livret delle opere: quando scopre Bernardin era stretto amico di Girodet. Sicuramente avranno parlato, era familiare a Girodet questa importanza che per gli intellettuali giocava la famiglia nel dipinto di Poussin, questo dolore umano che non trova una giustificazione vera e propria nella mano della provvidenza. Qui, stiamo facendo una SERIE di collegamenti. Come si va a scovare Bernardin? Girodet ha illustrato Paul et Virginie! Girodet invia delle lettere a Bernardin, che è in contatto con ROUSSEAU, colui che aveva rivalutato l’infanzia. Il tipo di metodo che stiamo seguendo ora è una ricerca A TAPPETO TOTALE. Notiamo un’affinità nella diagonale tra le due opere, e si va a studiare come l’opera di Poussin è stata considerata. Bisogna affidarsi ad altri studi specifici che magari non hanno niente a che vedere con l’argomento. Dallo studio sulla fortuna critica di Poussin si viene a scoprire che Bernardin dice cose su Poussin, e si fa la triangolazione. Girodet amico di Bernardin, interessato al déluge di Poussin! Il cerchio comincia a stringersi. Più tessere abbiamo più abbiamo elementi per creare collegamenti. L’ATTENZIONE ALLE DISGRAZIE DELL’UMANITA’ Vediamo una carrellata iconografica nel Settecento sul genere catastrofistico: terremoti ecc., in cui protagonista è la famiglia. Uno sguardo settecentesco abituato a dipinti catastrofistici con una sola famiglia è portato a osservare proprio quel dettaglio. 1. LOUTHEBOURG: INONDAZIONE. Abbiamo il dramma, lo sconvolgimento della famiglia. 2. Poi c’è un’incisione fondamentale: alcuni dipinti non si spostavano ma le incisioni li rendevano noti in tutta Europa. Girodet potrebbe averlo visto perché circolavano. Ma l’opera che in teoria ha influenzato la creazione del Déluge, l’ha vista o no? Girodet è andato a Londra? Esisteva un’incisione? Girodet guarda incisioni? Sì. Nel suo inventario c’erano raccolte di incisioni. Tutto dev’essere documentato, più le cose sono verificate più abbiamo un quadro stabile, non basato su ipotesi. Spesso le nostre costruzioni si basano su ipotesi, ma queste ipotesi devono sempre avere fondamenti in documenti, non possiamo inventarci le cose. 3. Füssli: svizzero, opera a Londra. La visione del diluvio è un’opera che può ricordare Girodet per il protagonismo della figura maschile che domina rispetto alla figura femminile prostrata, sono chlichés dell’epoca. Questo dipinto, del circa 1800, è la seconda versione di una tela molto simile che faceva parte della Milton gallery (raccolta di opere che illustrano paradiso perduto di Milton, questo era il diluvio universale descritto da Milton). Anche di questo circolavano incisioni. Ci potremmo chiedere ma Girodet poteva aver visto Füssli? Scopriamo che Girodet non possedeva delle incisioni dirette, ma possedeva un saggio sulla fisiognomica di Lavater. Il saggio è illustrato da Füssli, nella sua edizione francese posseduta da Girodet. È verisimile che l’abbia visto? Füssli magari era conosciuto attraverso quel libro. Bisogna cercare di giustificare tutto quello che si dice. Ogni cosa che dico deve avere un riscontro sulla realtà. 4. Qua abbiamo un’incisione di BONIEU. Anche qui la concentrazione è sulla famiglia: padre, madre e bambino. C’è l’uomo che cerca con titanismo di resistere a qualcosa di potente. 5. Poi abbiamo DANLOUX, SCONVOLGENTE. COME IN REGNAULT, C’è il GESTO VERSO IL CIELO. Il titolo è sempre ‘diluvio’. Nelle descrizioni del salon un recensore dice che si vedeva l’arca, quindi c’è un accenno iconografico all’idea della mano divina. In Danloux quindi troviamo un uomo disperato che si rivolge verso il cielo, mentre la donna è morta. C’è poi un dettaglio inquietante: un bimbo messo a pancia in giù, abbandonato dalla Madre! Immaginiamo cosa potesse significare in quel contesto di rivalutazione della figura materna un infante abbandonato con la mano in bocca. Quando il bebè si mette la mano in bocca, ci sono due possibilità: o stanno uscendo i dentini, o sta morendo di fame. Quindi significa che se non muore perché viene travolto dalle acque, comunque morirà di fame, perché la madre è morta! È un dipinto ATROCE. 6. Poi abbiamo un’opera di CLODION, una SCULTURA: anche nell’ambito della scultura ci si cimenta in questo soggetto. 7. Poi abbiamo la possibile fonte iconografica non tanto in Regnault, ma in Danloux e Bonieu, delle rappresentazioni della famiglia in questa sorta di lembo di terra. È l’opera di GESSNER, che si conclude con un diluvio in cui Semir e Semira moriranno dopo essersi ritrovati in un lembo di terra. La figura femminile appare già morta nell’illustrazione. È possibile che Girodet l’abbia vista. È possibile che i due ragazzini stiano per morire ma si affidano a dio, c’è figura provvidenziale che nel dipinto di Girodet è assente. Sentire la rec per i seminari – Cominceranno la prossima settimana ci darà le date. Chi partecipa può iniziare a leggere le prime tre pagine del capitolo sui generi artistici. Chaussard dice che è un bel dipinto fino a quando non legge che si tratta del diluvio, a quel punto dice di avere bisogno di andare a vedere il dipinto di Poussin. Parliamo di un grande capolavoro sul déluge: il dipinto di Poussin. È interessante a livello metodologico. Parliamo di come vedere non è solo un fatto fisiologico ma anche culturale. Noi abbiamo delle categorie culturali, alcune che ci provengono da abitudini che abbiamo fin dall’infanzia e che fanno sì che quando guardiamo qualcosa il nostro cervello applichi una sorta di filtro e selezioni le informazioni che recepiamo. La nostra visione/attenzione infatti si posa più su alcuni aspetti che su altre. Eugene Delacroix già ci pensava, lui era anche un grande scrittore. Dice che il vedere a questo punto diventa una forma quasi di idealizzazione, che sceglie non le cose belle necessariamente, ma che nel momento in cui guardo fa una selezione e mi fa vedere ciò che mi interessa. Bernardin e gli innocenti Leggiamo una citazione di Bernardin (Bernardan) de Saint Pierre, uomo di cultura settecentesca, amico e allievo di Rousseau, che guarda la scena familiare e VEDE il bambino che morirà. DA QUI l’incomprensione del dolore umano. Sì credo in dio, ma perché permette che gli innocenti periscano, perché non c’è giustizia? Chi crede pensa ci sia un riscatto ulteriore, ma nel Settecento laico queste domande sono molto pressanti e anche problematiche. Louthebourg: siamo nel genere catastrofistico, è un genere tipicamente settecentesco. C’è l’emancipazione della nozione di catastrofe. I cataclismi sono fenomeni della natura non sono più legati alla volontà di un dio, e l’umanità resta spiazzata. Abbiamo visto anche altre opere francesi che rappresentano i diluvi, che Girodet può aver visto attraverso incisioni. 1. Quella di Bonieu: è un’incisione. Le descrizioni dicono che sullo sfondo si vede l’arca, e qui riflettiamo su un aspetto: il giganteggiare delle figure della famiglia, con il suo dolore, e questo indietreggiare quasi invisibile dell’arca, ci dice qualche cosa sul modo in cui viene interpretata il diluvio universale, la catastrofe, quando questa presenza del dio è sempre meno evidente. 2. Qua il dipinto del 1802 di Danloux, con il bambino che ha la mano in bocca: ha fame, e se non viene sommerso dalle acque comunque muore di fame, e qui di nuovo il riferimento all’infanzia. 3. Immagine di un’opera dello svizzero Solomon Gessner, scrittore molto in voga nel corso del 700. Abbiamo una traduzione francese. Semir e Semira, i due protagonisti, aspettano di morire, e il poema di Gessner (che si intitola TABLEAUX du déluge, nella traduzione francese, tableau nel senso di scena, la cultura settecentesca punta molto sul visivo, vengono usati termini come Tableau che fa parte ella pittura, vengono usate in chiave metaforica, SCENA del diluvio, ma il titolo esatto è L’UTIMA SCENA). L’ultima scena del diluvio in cui quei due fanciulli, due innocenti, si affidano al dio. C’è la donna nell’acqua che galleggia, morta, ma lo sguardo di Semir è rivolto verso il cielo. Pensiamo a questa scena, che probabilmente Girodet vide perché era colto, era scrittore, ha scritto anche poemi, conosceva Bernardin, Château-Bryant e altri grandi autori della sua epoca, sicuramente conosceva queste illustrazioni dell’opera di Gessner. Semir si rivolge verso l’alto mentre in Girodet il protagonista guarda l’abisso. 4. Questo è un dipinto di Delafontaine che è ispirato sempre all’opera di Gessner. Vediamo ancora la scelta: perché invece di rappresentare il diluvio biblico vanno a rappresentare il diluivo passando per l’opera di Gessner? Perché si concentra su due personaggi, sulle paure e sull’innocenza dei due personaggi, il pubblico settecentesco (immersi in una certa cultura, riflessione su innocenza punita, dolore intimo e individuale) è quasi più attirato dalla versione di Gessner. Qui riflettiamo su come il diluvio fosse un tema alla moda, e come questa riflessione sulla fragilità dell’uomo si veda a livello iconografico. Poussin: l’Hiver detto il Déluge, 1660-4. È a colori. Colori tetri. Ritornando al decorum di cui abbiamo parlato: Poussin (Pussan) è un artista che sta molto attento al decorum e sappiamo sia da una sua lettera che da quello che dicono di lui, che dà una grande importanza alla scelta dei colori, scegliendo quelli adatti al soggetto rappresentato. Soggetto triste e uniformità cromatica giocata sul grigio, che serve per aumentare effetto generale di tristezza, non di disperazione, mentre in Girodet l’effetto enfatico e di disperazione c’è. ♡ A questo punto facciamo un punto della situazione: abbiamo detto che capiamo meglio un dipinto se lo caliamo nel contesto dell’epoca, se andiamo a leggere le critiche che vennero fatte all’opera, se andiamo a capire quale era anche il contesto pittorico, il rapporto con il maestro dell’artista. Abbiamo bisogno di conoscere la cultura settecentesca, e dobbiamo collocare l’opera all’interno del percorso dell’artista. Nel 1806 Girodet è già maturo e affermato. Quando procediamo in questo modo, cominciamo a chiederci: ma ci sono dei disegni preparatori di Girodet? È possibile datare l’inizio della GENESI dell’opera? La storia non la dobbiamo intendere solo come eventi macroscopici (come la Rivoluzione francese, che interviene anche in maniera quasi brutale nella via di Girodet), ma anche la storia personale dell’artista. GIA’ L’OPERA È STORIA. La presenza dell’opera nel mondo è un fatto storico di cui dobbiamo capire l’origine. Quando è cominciata la riflessione di Girodet su quell’opera? Non dobbiamo pensare che l’artista ha in mente l’opera e la fa in un mese. Talvolta un’opera richiede una maturazione che dura anni, come per il déluge! Anche con varie fasi. Capire l’opera significa capirne la storia, capire le sue varie fasi. Ancora una volta: vedo il dipinto e traggo qualche informazione. Poi ho la visione di altre opere; abbiamo parlato anche delle diverse categorie settecentesche: sono cose che fanno parte di cultura filosofica e non visiva, ma ci aiutano! La storia dell’arte non è separata dal resto, ANZI, l’opera è spesso una rielaborazione. La genesi è importante perché ci fa capire che l’opera, quella che vediamo con un colpo d’occhio, è frutto di una lunga storia, ed è importante capirla. La genesi è la ricostruzione di tutte le fasi che hanno portato alla realizzazione di un’opera. È un processo articolato e complesso. Hamilton e Cirillo nel déluge: Chi era Cirillo? Era un amico di Hamilton, un personaggio illuminato della Napoli di fine 7/inizio 800, interessato alla cultura britannica (che in quel momento è preromantica), soprattutto alla poesia sepolcrale. Ci permette di fare il collegamento con lettera di Girodet in cui parla di Ercolano e Pompei, e sia Hamilton che Cirillo erano appassionati esperti di fenomeni vulcanici e facevano gite pericolose sul Vesuvio. Da questi studi viene fuori un testo, campi FLEGREI. Girodet nella sua biblioteca aveva questo libro: magari gli venne donato. In questo testo Hamilton racconta anche di come lui e Cirillo si trovarono a volte in difficoltà. Hamilton fa ipotesi sul tipo di eruzioni che distrussero Ercolano e Pompei. Racconta dei morti trovati con monete d’oro, anelli, e così via. Sempre più stringente è l’ipotesi che l’idea del diluvio sia venuta a Girodet in questo contesto in cui era attiva la riflessione sui fenomeni vulcanici e sulla fragilità dell’uomo nei testi preromantici di Cirillo. Contesto britannico: la poesia sepolcrale nasce in gran Bretagna. Girodet nasce in un contesto diverso: si confronta a quel punto con la cultura britannica che non ha vincoli accademici, mentre la cultura francese è una cultura normativa, classicista, non per imposizione ma perché sentono il classicismo come un qualcosa di vicino a loro. Questa nuova cultura settecentesca britannica è libera, moderna. Il tipo di evoluzione porta un’apertura alla contemporaneità. Il cerchio si stringe diamo sempre più importanza al soggiorno napoletano. Quella che dobbiamo attuare è una sorta di RICERCA DA DETECTIVE: tutto ci può essere utile per capire l’opera. Quindi: Girodet ha la sua prima idea del déluge in Francia, poi questo interesse per l’elemento catastrofico sarà stato enfatizzato dal soggiorno napoletano e rafforzato da vicende personali, durante le quali probabilmente sperimentò fragilità e paura di morire. Quando sta meglio lascia Napoli. A Manfredonia viene imprigionato, è senza soldi, e abbiamo delle lettere che manda a David, braccio destro di Robespierre. Chiede a lui di inviargli dei soldi. Perseguitato in quanto cittadino francese, nessuno lo vuole aiutare. Risale a Venezia, va a Genova, dove riesce ad avere committenti e incontra un collega francese, Antoine Jean Gros, artista che ha un suo momento di splendore nella fase napoleonica. Qua (siamo nel 1795) è un giovane pittore come Girodet, sono amici, e succede che a Genova sperimentano soggetti britannici, legati alla letteratura inglese in particolare a OSSIAN, quindi, la poesia ossianica. Gros: conosciuto per un dipinto come gli appestati di Giaffa, in cui c’è questo gesto taumaturgico di un napoleone guaritore, o la battaglia di Eylau. Fa grandi tele dando importanza alla dimensione del dolore della morte in guerra della malattia. Vivrà più a lungo di Girodet, che morirà nel 1824: Gros morirà suicida nel 1835. Una volta finita l’epoca napoleonica non trova una sua collocazione e tutti lo ricorderanno solo per le sue opere napoleoniche. I poemi ossianici: Ossian era considerato un bardo celtico vissuto nel III secolo d.C. I poemi sono un falso. I canti sono un falso: era tutta un’opera di John mc Pherson, il quale rielaborò degli antichi canti gaelici e li presentò come canti di Ossian. La poesia ossianica nonostante si basi su un falso, ebbe un successo enorme, i canti erano la cosa più letta forse tra 1700 e 1800. Rispondevano perfettamente all’orizzonte d’attesa del pubblico settecentesco: erano invocazioni di morti, Ossian era un poeta che ricordava ed invocava gli eroi celtici, le loro vicende, battaglie. Non c’è nessun dettaglio concreto, è una poesia funebre, è un’evocazione di defunti, con delle idee che poi ritroviamo in Foscolo (=la poesia permette la sopravvivenza dei defunti). L’idea della mitologia ossianica: un eroe diventa immortale e accede al paradiso se è cantato dai poeti, e c’è l’idea è che l’eroe deve distinguersi per poter essere ricordato. Anche Foscolo lo si capisce meglio alla luce di Ossian. Girodet farà un dipinto ispirato a Ossian. Gros: insieme a lui sperimenta soggetti ossianici, disegni tenebrosi, cupi, rappresentano fantasmi, bagliori di luce che prendono forma umana, e sicuramente tutto questo lo fa a Genova. Tra Manfredonia e Venezia non ha tempo di fissarsi, a Genova con Gros invece riesce a essere più tranquillo. L’interesse non gli viene da Gros, ma semmai il contrario visto che Girodet a Napoli era entrato in contatto con la cultura britannica. Sicuramente proprio a Napoli deve avere approfondito la propria conoscenza della letteratura britannica, ma a Genova sperimenta questi soggetti funebri. È una visione laica anche quella di Ossian, perché non c’è immortalità fuori dal ricordo: l’immortalità è su questa terra, nel ricordo de vivi. Quindi tutto questo fa maturare il pensiero nuovo di Girodet sulla vita. Le esperienze del pittore le dobbiamo conoscere perché ci aiutano a capire come può avere maturato una determinata idea. Ritornando a Hamilton Hamilton: illustrazione di Pietro Fabris del libo di Hamilton. Girodet già in Italia pensa a Poussin, alla diagonale, al Déluge… Probabilmente la fragilità la sperimenta sulla sua pelle in Italia quando è perseguitato e senza soldi. Si vede nelle lettere, quando racconta di essere arrivato a Genova dai monti sul dorso di un mulo. Dice di aver avuto paura di morire. Non possiamo escludere che il soggiorno italiano ricco e pieno di turbamenti non l’abbia indirizzato verso il soggetto del diluvio. Questo è un altro disegno che forse risale alla nuova fase francese: schizzo col cane. La diagonale viene recuperata e c’è l’opposizione maschile-femminile. Non abbiamo il senso dell’ineluttabilità della morte della famiglia, magari qua, infatti, possono anche salvarsi: non c’è il ramo che sta per spezzarsi. Questa infatti non è un’idea che arriva subito, ma l’artista deve passare attraverso studi ecc. per poter avere l’idea che renderà poi il dipinto originale. Ossian non crede nell’aldilà: è la poesia eternatrice l’aldilà, e questo è un concetto laico. Come Girodet. In più, questo indugiare sui soggetti funebri lo ritroviamo nel diluvio. La cultura laica è la stessa di Girodet, Thanatos è una costante. Ci sono quindi, ora, varie ipotesi di lavoro. Abbiamo affrontato l’iconografia, abbiamo parlato delle rappresentazioni dei diluvi, e delle problematiche che rientrano necessariamente nello studio di un’opera. Poi rifletteremo sul concetto della storicità del concetto di arte, partendo dalle prime manifestazioni artistiche della preistoria, e rifletteremo anche sulla funzione che l’arte ha avuto nelle età arcaiche ovvero Egitto e Grecia. Vedremo come l’arte lì abbia avuto una funzione funeraria, quindi il rapporto tra arte, morte e religione si pone in maniera ineluttabile e costante per tutta la fase arcaica, come anche per i sumeri, come per l’epoca di Roma. Vedremo come il concetto di imitazione della natura (aristotelico) ha una sua data: non è sempre stato presente nell’arte ma viene introdotto nel IV secolo a.C. in Grecia, e da lì partirà un primo percorso della storia dell’arte. Girodet - Già stavamo percorrendo la genesi dell’opera, e l’abbiamo collegata alla biografia dell’artista, al soggiorno italiano. Abbiamo parlato di come le vicende biografiche possano influenzare la genesi di un’opera. Che Girodet abbia in mente di rappresentare la fragilità della condizione umana ha origine multipla: suggestioni dell’epoca, dipinti di Regnault, le cose che Girodet sa della cultura illuminista, il suo sperimentare una condizione di fragilità, il contatto con la cultura britannica a Napoli. Ovviamente non bisogna MAI sottovalutare la cultura letteraria di un artista, soprattutto se ha contatti con filosofi e scrittori. Caso di Galbanino? Galbadì? Per il quale scrisse una poesia di cui riparleremo. Cosa significa, poi, per Girodet, ritornare nel 1795 in Francia, dopo la caduta di Robespierre? Cosa trova Girodet? Trova un altro paese, diverso, e anche questo può averlo spinto a proseguire quelle idee sul déluge che gli erano già venute nel soggiorno italiano. Non tutte le ipotesi di lavoro dell’artista diventano opere, ci vuole una forte volontà dell’artista stesso, una intenzionalità forte, prorompente. L’artista deve essere consapevole. C’è anche in mezzo, ad esempio, il fatto che le terre dei suoi fratelli furono espropriate. Quindi lui e la sua famiglia si trovano in una condizione molto diversa rispetto a com’era quando Girodet lasciò la Francia per visitare l’Italia. Inoltre, dovrà dimostrare che era in Francia perché era in Académie, e che non era un émigrait. Questo senso della transitorietà non solo della vita umana ma anche delle situazioni politiche, sociali, è qualcosa che Girodet sperimentò in prima persona come altri artisti. Girodet lo vive in maniera diversa perché questo tema del déluge lo interessa fin dal 1789. Sarà un interesse in primo luogo filosofico, che poi si caricherà di altri significati. Ma quello che andremo a vedere oggi è che l’opera non ha solo un significato filosofico, ma ha anche un significato ESTETICO, che vuole dire ai suoi contemporanei qualcosa sulla funzione della pittura. Ma quest’opera è stata commissionata? No. È un’opera che l’artista fa a sue spese. Anche questo è significativo, significa che l’artista si impegna per poter dire qualcosa. Il fine dell’arte non è mai solo la bellezza: l’opera d’arte spesso è qualcosa di profondo in cui l’artista concentra la sua visione del mondo, infatti talvolta le opere sono dei manifesti, delle proclamazioni di cosa l’artista pensa. Nel déluge questo è evidente. Ma la professoressa come si è accorta di ciò? Che l’opera non aveva il solo significato filosofico della catastrofe, ma che ha pure un significato estetico? Da dove può esserle venuta l’idea di approfondire questo aspetto? IL SIGNIFICATO ESTETICO DEL Déluge La Savettieri si è accorta che l’opera di Girodet aveva un significato estetico, riguardante la funzione dell’arte e ‘cosa è l’arte’, leggendo tutte le recensioni all’opera. Rimase colpita dal continuo insistere sul fatto che l’opera è inguardabile. ‘ah lo sguardo, la testa si gira, si perde’ ‘allontaniamoci mi fa venire una crisi di nervi’ ‘si gira la testa per non vederli cadere nell’abisso’ ‘e quando si torna a fissare con lo sguardo questo dipinto si è quasi sorpresi di ritrovarli, questa scena è terribile’. Questo e altri dipinti fanno vedere che quello che disturba lo sguardo del pubblico, che non è il nostro sguardo, è una contraddizione intrinseca: il fatto di essere una pittura che è fissa, ma c’è una parossistica transitorietà della scena. Questo gruppo sta per cadere, ed ETERNAMENTE STARA’ PER CADERE. È quindi una transitorietà fissata. 1. Vediamo cosa David, il maestro, dice del déluge Fa un discorso sul soggetto scelto e fa una stroncatura del dipinto. “Girodet avrebbe dovuto consultarmi (lo dicono quasi tutti i maestri anche se l’allievo è ormai autonomo), se mi avesse consultato gli avrei fatto capire che il soggetto della sua scena è BIZZARRO, e che un grande mantenere su un registro non di distruzione del bello. Per Girodet il bello è importante ma può essere superato, ecco perché se ritorniamo all’opera c’è il contrasto maschile-femminile. Il pubblico dell’epoca notò che la donna che si lasciava andare aveva una bellezza raffaellesca mentre l’uomo era michelangiolesco. Donna/Raffaello/Bellezza La bellezza è nella donna del déluge, che è in una situazione statica e passiva e sia Winckelmann che Lessing dicevano che la bellezza si raggiunge lì. Ma è in una figura che sta per morire, che non avrà una sorte positiva. Girodet estremizza: è come se dicesse “la bellezza è morta, la volete? Bene io ve la do, ma è morta”, perché è travolta da una condizione umana che è tragica. E la pittura deve poter rappresentare senza avere quelle limitazioni che imponevano Lessing e l’estetica neoclassica. Nel Déluge quindi c’è un lato filosofico ma accanto ad esso c’è anche un lato estetico: poter dire il male significa poter rappresentare il brutto. “La condizione dell’uomo è appesa a un filo, come faccio a dirlo?” Con la transitorietà, che viene negata dai canoni, e Girodet dice NO, la pittura deve poter superare questa regola. La professoressa scrive di Girodet (Focus random): L'analisi dimostra la volontà di Girodet di creare un'opera pittorica che goda degli stessi diritti di un testo letterario, ponendosi contro la distinzione lessinghiana tra pittura/scultura e poesia. Se Lessing nel suo Laocoonte (1767) affermava che le arti spaziali dovevano limitarsi alla rappresentazione del bello e dovevano quindi scegliere di raffigurare delle scene non troppo espressive, ma caratterizzate da sentimenti pacati e da situazioni non transitorie o poco movimentate, Girodet rivendica alla pittura la possibilità di rappresentare, come la letteratura, una scena nel culmine dell'azione e del pathos, mettendo così al primo posto l'espressione e annullando l'idea che la pittura debba limitarsi al bello. [Anonimo], Le Glaneur. Glanage dans le Salon, in «Journal de Paris», 20 settembre 1806, pp. 1929-30: È un commento che critica l’opera perché la disperazione non è adatta alla pittura di storia, che deve dare messaggi positivi e costruttivi. Quello di Girodet è un dipinto quasi nichilista, non c’è speranza. Qua, in questo commento, capiamo ancora meglio il problema della borsa e del denaro. È un’infrazione al decorum, un segno della disperazione, come se Girodet si fosse divertito ad aumentare a dismisura questa dimensione disperata, perché la borsa di denaro, il vecchio sulle spalle del figlio… tutti stanno per cadere. La borsa dice che significava ci fosse speranza, che potevano rifarsi una vita. “Noi vivremo”, dice. Invece no, vediamo che è quasi ridicolo perché non è vero che vivranno. La borsa aumenta la spietatezza e la crudeltà della dimensione della famiglia. L’umanità pensa che vivrà, invece no. Per la mentalità e per la pittura di storia, che doveva dare un messaggio positivo, questo nichilismo non può esser capito dal pubblico. Noi arriviamo dalla critica a capire l’intenzione dell’artista. Girodet a parte la lettera in cui dice “non è una scena DEL DILUVIO”, non ha spiegato cosa è questa opera, ma lo possiamo capire facendo questo scavo. Questa è una reazione alle idee neoclassiche. L’idea di Girodet è moderna: la pittura deve poter superare certi canoni per poter dire la verità. L’obbiettivo della pittura non è illudere con la positività ma dire la verità, e l’artista può superare il bello e il decorum. La zattera della Medusa - 1819 Solitamente si fa cominciare la modernità della pittura in Francia con la zattera della medusa di Géricault. Siamo nel 1819. La zattera della medusa è un’opera, poi ne riparleremo, che sconvolge il salon del 1819 perché è monumentale, perché ha un impatto visivo forte, e mette in scena non un episodio glorioso, ma una TRAGEDIA, il male della storia di Francia: dice la verità. C’è un significato politico che è difficile da esplorare in pochi minuti, ma in breve: (Da Wiki: era stato nominato capitano della fregata nonostante la scarsa esperienza di navigazione. La missione della fregata era quella di accertarsi che l'Inghilterra avesse tenuto fede al trattato di Parigi e avesse abbandonato la colonia del Senegal restituendola alla Francia) rappresenta una scena dell’episodio della Medusa. Chaumareys era il capitano della Medusa, era un incompetente, non sapeva navigare, gli era stato dato l’incarico perché era stato un emigré, un fedele alla corona. Siamo nel periodo della restaurazione. . Dice ‘no andiamo avanti, facciamo prima per questa via’, ma si sapeva che c’erano problemi. La nave si incaglia. Sulle scialuppe vengono messi gli ufficiali, gli alti gradi, e ai disgraziati deve bastare una zattera fatta con gli alberi della nave, di fretta, di 10x20m, con 150 persone: i cuochi, servitori, bassi gradi dell’esercito. Da 150 ne restarono 11, alcuni dei quali morirono dopo: una tragedia. In questa zattera non stavano all’asciutto: l’acqua arrivava fino alle ginocchia, e non potevano appoggiarsi da nessuna parte. C’erano stati episodi di cannibalismo, i malati vennero buttati in mare. Venne anche descritto, l’episodio, da due dei sopravvissuti: Henri Savigny e Alexandre Corréard. In teoria, e lo sappiamo anche dalla vicenda della Costa Concordia, il capitano deve essere l’ultimo ad abbandonare l’imbarcazione invece questi poveri disgraziati vennero lasciati all’abbandono. Fu una tragedia con gravi responsabilità politiche. Henri Savigny e Alexandre Corréard scrissero un resoconto. Géricault entrò in contatto con loro, li intervistò più volte: la sua opera si basa anche su una vera e propria ricerca per capire cosa fosse successo. Nella zattera: - Per la prima volta nella storia i protagonisti sono disperati che lottano per la sopravvivenza. - Per la prima volta in assoluto nella pittura tout court, un meticcio nero è protagonista del dipinto, è l’apice di questa piramide ascensionale. Ce ne sono due tra l’altro di neri. * Quindi Géricault non solo mette in scena un dramma di disperati, ma rende protagonista un nero, in un’epoca in cui si lotta per l’abolizione della schiavitù. Il Senegal serviva per la tratta degli schiavi con le Antille, con santo Domingo ecc. È un atto rivoluzionario il dipinto di Géricault, e a differenza di Girodet (filosofico-esistenziale), questo è politico. Se Géricault può fare questo è perché Girodet aveva rivendicato il diritto della pittura di occuparsi di soggetti che secondo i canoni dell’epoca dovevano essere esclusi dalla pittura. Il fatto che ci fosse un meticcio nel dipinto è un aspetto assolutamente rivoluzionario. Géricault mette a fuoco non solo i disperati e gli ultimi (perché lui è melanconico, sente affinità ed empatia con gli ultimi della terra) ma rappresenta gli ultimi in assoluto, considerati alla stregua di animali, e li mette in un dipinto di storia: è un atto così rivoluzionario che nessun commento osa dire che ci sono. Come se fosse letteralmente un tabù. Verranno notati nel 1848, anno dell’abolizione della schiavitù in Francia e nelle colonie francesi. Questo aspetto rivoluzionario è reso possibile perché prima Girodet aveva sdoganato il male della condizione umana come soggetto della pittura di storia. Géricault era vicino ad ambienti liberali antimonarchici ed era contro la tratta dei neri già dagli anni ‘10. Abolizionismo Parte dalla fine del 700 in Francia e Gran Bretagna e arriva oltre. Gli abolizionisti saranno dalla parte degli stati del nord in AMERICA. Nasce dall’idea di uguaglianza tra gli uomini in Francia, e dall’idea che effettivamente economicamente la tratta degli schiavi non fosse vantaggiosa. Durante la rivoluzione la tratta degli schiavi viene abolita, ma durante l’epoca napoleonica viene ripristinata. La fratellanza e le mani L’opera di Géricault dice ‘guardate che i poveri disgraziati vengono salvati da un nero’. Dice anche una cosa attuale: ‘nella difficoltà siamo tutti uguali, dobbiamo essere fraterni, non c’è distinzione di razza’. C’è un dettaglio importantissimo che osserviamo nei personaggi vicini alla vela, notato da Bruno Chenique. Là, dove c’è il personaggio che indica verso l’orizzonte, dietro, c’è un nero e a fianco dei bianchi, e la mano del nero stringe la mano del bianco, dando così l’idea della fraternità delle persone. Il punto che ha sottolineato Bruno: “chi ha studiato Géricault ha in qualche modo estromesso il lato positivo”. Quest’aspetto politico è stato messo in secondo piano rispetto al lato estetico: il fatto che ci sia un’intenzionalità politica è emerso solo recentemente e non da parte della storiografia artistica francese ma da parte di quella britannica. Corure (?) è stato uno dei primi ad affrontare la zattera politicamente. Quest’opera come è stata studiata? Quali aspetti sono stati studiati? Non è che c’è una lacuna negli studi? Cosa è stato taciuto? Perché disturba che un’opera di questo genere, con questo respiro tragico, abbia un significato politico? Perché la politica nell’arte è stata considerata come qualcosa che diminuisce il valore dell’arte? È tutto un percorso necessario da fare, dobbiamo vedere come è stata studiata prima l’opera. L’artista assorbe il contesto, reagisce, e l’opera d’arte è un’elaborazione. Se fa parte della sua personalità questa empatia nei confronti degli ultimi, dei perseguitati, come potrebbe non entrare nella sua arte? Sarebbe assurdo. Quindi ci sono dei lunghi studi di Chenique sulla ricostruzione di come la zattera è stata vista e sul fatto che i primi biografi di Géricault hanno cercato di smussare questo aspetto perché l’obbiettivo era quello di farlo diventare un artista classico, non romantico, ma così hanno creato malintesi e non l’hanno compresa nella sua complessità. Noi ragioniamo con le nostre categorie novecentesche, e quando creiamo potremmo dire che introduciamo nella nostra arte aspetti incoscienti, di cui noi ci rendiamo conto. L’artista è completamente presente a sé stesso, ma è vero che alcune cose possono essere così intimamente assorbite che l’artista magari le fa senza che si accorga di farle: questo è possibile. Sicuramente non è il caso dei neri di Géricault. La sua opera è così opposta alle idee dell’epoca, al razzismo dell’epoca: mettere un meticcio al centro di un’opera storica è ancora più grave che mettere un nero. I matrimoni tra bianchi e neri erano vietati dalla legge, erano puniti legalmente, giuridicamente. Addirittura, in certi momenti della storia non è possibile far entrare neri nell’Hexagone. Questo che fa Géricault è intenzionale e voluto, sta lanciando un messaggio molto forte. Nei manuali si dice ‘l’opera venne stroncata’, ma solo una parte di critica la stronca, un’altra parte la esaltò. La parte liberale la esalta (senza dire dei neri che erano una specie di tabù). ♡ Tutto ciò che abbiamo fatto finora: non si trattava di lezioni su Girodet ma di lezioni sul metodo che si usa per affrontare un’opera d’arte. Bisogna leggere tutte le recensioni, collegare l’opera col contesto. Queste settimane sono servite per capire i problemi che suscita l’opera d’arte. ma allora, se per l'uomo della preistoria questo è un atto magico, per noi non è arte? Se vogliamo essere storicisti allora non è arte, ma non è così. Chiaramente si vede che chi ha dipinto queste immagini possiede una certa mano, spirito di osservazione, senso compositivo, raffinatezza di tratto che certo, per l'uomo erano funzionali al pratico, ma ciò non toglie che stia esprimendo una dimensione estetica, altrimenti non sarebbe arte neanche la pittura egizia dentro le piramidi, che aveva la funzione ci accompagnare il faraone defunto nell’aldilà. Ri-Spiegato: La funzione primaria dell’arte era pratica, rituale, magica, ma attenzione: sì, per secoli la funzione dell'arte è pratica, ciò non toglie che emerga una visione estetica del mondo, anche se esso non è l'obbiettivo primario. La visione estetica è contenuta intrinsecamente; noi possiamo parlare di arte preistorica, ma siamo noi a considerarla arte. Se parliamo con persone di un certo livello culturale possiamo dire “arte”, parlando dell’arte preistorica, ma se dobbiamo spiegarlo al cuginetto… per evitare malintesi e per spiegarlo meglio, è meglio parlare di immagine pittorica, perché non contiene necessariamente il concetto di rappresentazione, problematica per questo tipo di immagini. Capiamo qua per quanti secoli l'arte ha avuto un'altra funzione. L'origine della pittura e dell'immagine scolpita - Plinio Abbiamo visto queste pitture rupestri, andiamo ora a interpellare le fonti. Plinio, scrittore romano, dà una sua versione dell'origine dell'arte. Plinio scrive ormai in epoca romana, quando il concetto di arte era diffuso. La sua è una idea a posteriori rispetto alle situazioni più arcaiche (preistoria, sumeri, assirobabilonesi, fenici). La leggenda di Plinio contiene idee simili con leggende di altre aree culturali, la Cina, l'India, e addirittura con la bibbia, con l'area ebraica. Questo significa che dal punto di vista antropologico, in luoghi diversi della terra, è stata formulata un’idea della funzione dell'immagine dipinta o scolpita. Secondo Plinio, la pittura nasce come delineazione del contorno di un’ombra, come se l’ombra si volesse catturare. Plinio dice che ci sono varie leggende, ad esempio gli egizi dicono la pittura sia nata da loro prima dei greci, ma secondo lui nasce presso i greci, proprio, appunto, come delineazione di un’ombra. Poi veniamo a scoprire quale era la funzione di questo tracciare il profilo di un’ombra. Dibutade La figlia del vasaio BUTADE è presa d’amore e si trova nell'impossibilità di vedere il suo innamorato perché deve partire, come succedeva sempre che partivano e poi bo. Questa figlia, per poter potersi ricordare del suo amato, lo ritrae. L'arte secondo questa leggenda nascerebbe da un atto di amore, o meglio dalla volontà di ricordare la persona amata, per essere quasi consolata: attraverso una lampada la figlia di Butade fa proiettare sul muro il viso dell’amato di profilo, e ne traccia i contorni. Imprigiona il ritratto dell'amato. Questo imprigionare l'ombra ha un che di magico: parte l'amato, ma qualcosa mi resta: la sua ombra imprigionata. È una reazione, un modo per far fronte alla sparizione dell'amato, lui sparisce e io come faccio in mancanza di fotografia e altri mezzi? Ne faccio un ritratto. Poi che la funzione del ritratto sia stata quella di ricordare il volto sì, ma alla luce di quello che ci ha detto la professoressa in precedenza, questo catturare l'ombra ha quasi un significato magico. Tutto ciò continua nell'arte greca arcaica con concetto di doppio: l’idea che l'immagine contenga qualcosa della persona rappresentata. Questo nella nostra mentalità non c'è, perché facciamo una distinzione tra immagine artistica e realtà, ma nell'epoca arcaica il ritrarre, in questo caso, ha il fine di far restare con sé una parte di qualcosa, qui nella leggenda di Plinio della persona amata. Il vasaio, vedendo il ritratto dell'amato della figlia, fa un'impronta e crea il primo bassorilievo. Era un vasaio quindi crea la scultura: fa il rilievo, su terracotta. verticalità dell'ombra, poi, ombra, non è un fenomeno ottico ma è lo spettro, o il doppio della persona. Importante: secondo questa prospettiva pliniana l'immagine artistica nascerebbe come un modo per superare l'assenza e il vuoto, e in ultima istanza la morte. Fin nell'immaginario pliniano e comunque dell'antichità, la creazione artistica è legata a eros e a thanatos. la cultura greca e anche quella romana sono piene di storie nelle quali il simulacro di una persona assente corrisponde al doppio consolante. Questa idea dell'immagine che sostituisce il defunto si ritrova anche in culture diverse, c'è una sorta di convergenza di questa idea dell'origine dell'immagine. Girodet Abbiamo davanti un’incisione di Girodet che rappresenta il mito della figlia di Butade. Plinio non la nomina ma non si sa per quale motivo a un certo punto le fonti seicentesche (forse per qualche interpretazione sbagliata) cominciano a chiamare questa ragazza la figlia DIBUTADE, e questo ne diventa il nome. Vediamo Eros che spinge la fanciulla a tracciare ritratto: è un amorino con la fiaccola. storia di protesilào e laodamìa: il simulacro sostituisce il marito. Ovidio mette in scena Laodamia che scrive una lettera a Protesilao morto, dicendogli che il simulacro la aiuta a superare la lontananza. Esattamente come fosse Protesilao in carne e ossa! Anche qui, l'immagine come sostituzione e mezzo per colmare un vuoto. mito di pigmalione È speculare a quello di Dibutade: c'è sempre amore di mezzo, c'è un'immagine non viva che rimpiazza una figura viva. Qua abbiamo una statua che per amore del suo proprietario diventa vivente. Libro della sapienza della bibbia, il quattordicesimo Si parla di un padre che disperato a causa della morte del figlio decide di farne una statua da adorare, come fosse il figlio. Qui bisogna capire il contesto del brano, che è il contesto della idolatria, non ammessa nella religione ebraica né in quella cristiana perché si tratta di immagini idolatrate come dei. Questo episodio del padre serve per dire che non si possono adorare delle statue, ma è interessante perché ha vicinanze con la leggenda di Dibutade, anche in questo caso l'immagine (qui statua) ha la funzione di sostituire il defunto, o l'assente. Si crea una sorta di culto attorno al simulacro del figlio ma questo per noi è meno importante: è importante che la statua è stata atta per consolare un lutto, un’assenza. Maurizio Bettini Su Dibutade, un antropologo italiano, Maurizio Bettini, scrive 'il ritratto dell'amante'. Dice che queste immagini non sono come rappresentazioni della natura, né come espressioni di qualcosa di bello, né espressioni di visioni del mondo, ma sono immagini come sostituzione di un assente. Quando ci accostiamo a epoche remote dobbiamo stare attenti a che idea si aveva di immagine artistica. Qui è come se l’arte, l'immagine artistica, nascesse da un bisogno antropologico connaturato nell'uomo (come il ruolo magico per i primitivi) di difendersi da ciò che non si domina, in questo caso dalla morte, o dall'assenza. George Bataille Ne parla anche George Bataille, ne l'erotisme. Eros contiene in sé necessariamente la paura della perdita, l'amore contiene in sé la paura della perdita. L'amore non è qualcosa di statico e sereno, perché contiene in sé un'angoscia. E questo non vale solo per il fidanzato, il compagno, o la compagna, ma vale per i genitori, per i figli, per tutti i tipi di affetto e attaccamento molto forte. È come se fosse amore + paura della morte, e quindi eros e thanatos sono fortemente connaturati nella psiche dell'uomo, radicate nella natura. L'arte nasce in collegamento a questa esigenza di far fronte all'angoscia della morte, della sparizione. passo di Kris/Kurz, LA LEGGENDA DELL'ARTISTA Gli atti magici nascono da meccanismi del pensiero per difendersi, per avere una forma di dominio sulla realtà: tutto questo è fondamentale, necessario. L’uomo primitivo non aveva cognizioni scientifiche, e io non posso essere GETTATO NEL MONDO senza avere punti di riferimento. Il pensiero magico e il pensiero religioso, e l'immagine artistica collegata a entrambi i pensieri, serve per far fronte all'incertezza di una condizione umana legata a conoscenze che possono fornire all'uomo basi certe per orientarsi nella realtà. Régis Debray, Vita e morte dell’immagine - 1992 Tutti questi aspetti che abbiamo detto sono stati oggetto di riflessione di vari studiosi tra cui Régis DEBRAY, che riflette su questo rapporto tra la nascita dell'arte e la dimensione dell'assenza, del vuoto, della sparizione, e della morte. FIGHISSIMO! L'arte egizia è funebre, praticamente tutta. L'arte nasce funeraria, nasce da una reazione dell'individuo che non può accettare la sparizione, perché significherebbe accettare la propria sparizione, accettare che la vita che viviamo non ha senso. Questo non è accettabile per l'illuminismo. Dinanzi al cadavere, la reazione dell'uomo è creare riti. 1. La pulsione religiosa è questo: “non è vero che muoio, c'è una vita oltre la morte, e questo salva l'umanità dal trauma della morte”, 2. mentre dall'altro lato scatena la pulsione plastica: c'è un morto, e io lo faccio rivivere attraverso l'immagine. La pulsione plastica e la pulsione religiosa sarebbero germogliate da un unico grande elemento: il lutto. L'immagine artistica aiuta a pensare che chi è morto o sparito non è del tutto morto ma continui a vivere. Dice: "Il lavoro del lutto passa così attraverso la confezione di un’immagine dell’altro che vale come liberazione (…)” Quindi c'è la decomposizione, e io contrappongo la ricomposizione attraverso l'immagine. Non è solo consolatorio ma quasi salvifico. Dice: “Se questa genesi è confermata, lo sbalordimento dinanzi alla spoglia mortale, lampo fondatore dell’umanità, porterebbe con sé a un tempo la pulsione religiosa e la pulsione plastica” Lampo: l'umanità diventa umanità quando capisce che l'altro muore, capisce che esiste la sparizione. Giovan Battista Vico (filosofo, storico, e giurista italiano del Settecento) diceva che l'umanità nasce quando l’uomo seppellisce i defunti. L’avere cura del defunto è fondatore dell'umanità, perché capisce la sparizione e cerca di attraversarla. Il seppellire è anche un nascondere: io non voglio vedere, io seppellisco, non voglio pensare alla spoglia mortale in via di decomposizione. Ecco perché in certe culture si pratica la mummificazione, il conservare il corpo: si pensa sia più facile andare nell'aldilà. Quindi nasce dalla volontà di non vedere la decomposizione e di permettere con più sicurezza un'ulteriore vita. Recap: La funzione funebre dell’arte risulta evidente per tutte le civiltà precedenti alla Grecia classica (quindi V secolo a.C.). Diciamo che per tutte queste civiltà la produzione di immagini è collegata a una visione della vita oltre la morte, a questa necessità di sconfiggere la paura della morte. È un qualcosa di radicato nell’umanità, che diventa umanità quando si accorge del fatto che il proprio simile sparisce e che io stesso sparirò. Non è accettabile vedere la decomposizione del corpo, quindi ci si protegge dalla morte, elaborando visioni religiose che danno l’idea di continuità dopo la morte. Il tema della vanitas è diffuso nelle nature morte seicentesche, è un tema molto sentito nel 600 più che nel 500. Evert Collier - Autoritratto con Vanitas, 1684 - Honouloulou, Museum of Arts Abbiamo un'altra sorta di vanitas: un autoritratto con vanitas. Si tratta sempre di un pittore olandese, in mano ha il disegno della donna amata scomparsa quasi a dire ‘attraverso il ritratto perpetuo il ricordo’. Il significato è simile al più complesso dipinto di Bailly. Quindi questi due ritratti ci sono serviti a capire che uno dei fili conduttori della storia dell’arte sono i temi della vanitas e del ritratto (che ci permette di ricordare la persona cara). QUI NON E’ OPERANTE IL PENSIERO MAGICO. La cultura egizia Nella cultura egizia l’immagine scolpita o dipinta aveva la funzione di perpetuare la vita dopo la morte, e si collega quindi a imbalsamazione e mummificazione del corpo. Il servo non veniva imbalsamato. Gli affreschi dentro le piramidi avevano la funzione non metaforica di mantenere in vita, ma letterale. Nel senso che ritornando al pensiero magico, che non è operante nei due dipinti che abbiamo appena visto, si ha l’idea che questi affreschi aiutino a mantenere in vita il defunto nell’aldilà, e che quindi avessero una funzione specifica pratica come le pitture rupestri dell’età preistorica. Per le epoche successive il ritratto mantiene in vita la persona amata in maniera metaforica, il pittore non pensa realmente che la sua donna amata sia viva attraverso il ritratto, è una vita metaforica attraverso il ritratto, qui si tratta invece di un’idea di mantenere in vita letterale. C’è un momento, una fase arcaica, in cui dei servi in carne ed ossa vengono chiusi dentro la piramide per accompagnare il faraone nel suo viaggio oltre la vita terrena. Però poi invece di sacrificare servi, il servo reale viene sostituito dal servo dipinto. Quindi questa sostituzione è una sorta di doppio: le immagini dei servi e del faraone nelle pitture sono un DOPPIO dei servi reali e del faraone reale. Quindi già da questo possiamo capire che quello che dice Debray, che L’ARTE NASCE FUNEBRE, è vero: nasce all’interno delle pratiche funebri e serve per letteralmente mantenere in vita il faraone dopo la morte. Stiamo facendo UN DISCORSO SULLA FUNZIONE DELL’ARTE e LA FUNZIONE DELL’IMMAGINE ARTISTICA. È UNA COSA CHE VA SEMPRE CONSIDERATA: PER SECOLI L’ARTE HA AVUTO UNA FUNZIONE PRATICA. I RITRATTI, ANCHE NEL RINASCIMENTO, COSI’ COME LE PALE D’ALTARE, HANNO SEMPRE UNA FUNZIONE PRATICA RELIGIOSA. Molte opere non le capiamo se non sappiamo la loro funzione. Questo è chiaro, molti di noi sono condizionati dalla visione odierna dell’arte, con l’artista che opera liberamente. Ma questa concezione è moderna, non è la stessa situazione che c’era dalla preistoria al Settecento (e anche nell’Ottocento ci saranno commissioni). La professoressa con questo discorso non sta facendo la storia dell’arte antica, ma sta parlando di una funzione dell’immagine artistica nelle epoche arcaiche. Se facessimo la storia dell’arte egizia, la dividerebbe in epoche, farebbe discorsi stilistici, ma qui stiamo tentando di rispondere a una domanda: QUALE ERA LA FUNZIONE? Stiamo verificando concretamente quello che dice Debray. Gombrich L’arte ha sempre una funzione. E la funzione va sempre a interagire con lo stile. Qualcosa dal punto di visto stilistico va detta dell’arte egizia: è un’arte sobria, raffinata, stilizzata. È una stilizzazione di grandissima raffinatezza con senso di proporzioni ed equilibrio, che chiaramente non ha come obbiettivo quello di rappresentare la natura. Infatti, come dice Gombrich “l’arte egizia non …” cit. ♡ Io dipingo non ciò che vedo, ma ciò che so. ♡ Attezione: ‘rappresentano gli uomini di profilo e appiattiti senza tridimensionalità perché non lo sanno fare, non sono capaci’. È una falsità. Si può dire anche per l’arte medievale. Mentre l’arte romana era andata più avanti dal punto di vista del naturalismo, nel medioevo tutto è stilizzato. Ma non è questione di non saperlo fare, è questione di non volerlo fare. Cioè, all’artista egizio non interessa rappresentare il mondo in termini di tridimensionalità. Interessa rappresentare l’essenza, non il fenomeno. Non è che la rappresentazione dello spazio, o dei muscoli, a cui ci ha abituato il Rinascimento, deve essere il criterio di giudizio. Ogni epoca ha i suoi principi. Va valutata per quella che è la sua mentalità, non possiamo giudicare gli egizi pensando all’arte rinascimentale. Nel momento in cui l’artista vuole, si dota degli strumenti e impara a rappresentarlo. Se fosse così, se davvero fosse questione di immaturità artistica, significherebbe che la storia dell’arte sarebbe come la storia dell’uomo, e ci fossero fasi di infantilità e maturità. Ma assolutamente no. Non è un’evoluzione in senso di progresso. Questo concetto fallace si ritrova nella storiografia del ‘500 e in Winckelmann nel ‘700, ma ora è abbandonata. Non è questione di progresso, ma di cosa interessava all’artista. Sebbene l’artista faccia cose pratiche e religiose, comunque esprime attraverso le immagini che dipinge una visione del mondo. La domanda principale che dobbiamo porci è: Cosa gli interessa? E non come fenomeno, ma come idea. Similmente la stessa cosa avverrà nel medioevo: c’è un disinteresse per la realtà concreta. Il non rappresentare tridimensionalmente non è un problema tecnico. Quando poi l’artista vuole rappresentare lo spazio ci riesce benissimo, perché si darà gli strumenti per rappresentarlo. Non possiamo prendere l’adesione alla natura, lo spazio, la capacità di rappresentare il corpo, come criteri del giudizio dell’arte, perché altrimenti ci troveremo bene con l’arte da Giotto a Courbet e poi per la parte successiva troveremmo difficoltà, già Monet non lo capiremmo. Quello del naturalismo è un obbiettivo degli artisti rinascimentali che riscoprono la natura ma non degli assiro-babilonesi, degli egizi. Questo è un punto sul quale dovremo battere molto. Tutto questo vale anche per la scultura. Presso gli egizi, il ritratto del re aveva la funzione di mantenere in vita il re stesso. In una visione magica aveva una funzione pratica, non è che ‘metaforicamente ricorda il faraone’. Anche perché questi ritratti erano dentro la piramide e li vedevano in pochissimi. Siamo in presenza di un simulacro, l’obbiettivo non è quello di rappresentare la natura, ma di mantenere in vita. Per questo sono somiglianti ma stilizzatissimi: perché devono dare una versione universale della effige del personaggio. In Egitto l’artista era un sacerdote: era colui che mantiene in vita il faraone. Il faraone Micerino (ca. 2530 - 2510 a.C.) affiancato da Hathor e dalla personificazione del VII nomo dell’Alto Egitto E’ un altro esempio: serve per far capire anche un’altra cosa. Queste statue sono statiche, somigliano a delle mummie. Ci sono tre personaggi: - Micerino: sovrano della IV dinastia - Hathor: dea della musica e della gioia - Divinità del nomo: personificazione divina delle province dell'Alto Egitto Ricorda Micerino in compagnia della moglie Khamerer-Nebtì. Anche qui non c’è il senso del movimento. Pensiamo al discobolo di Mirone… All’artista, che è anche un sacerdote, la rappresentazione del movimento non interessa perché le statue devono essere immobili, con un accenno di movimento dato dalla gamba che è più avanzata rispetto a un’altra. Si tratta comunque di un passo solenne, statico, perché la statua ha una funzione di doppio sia nell’arte egizi che nell’arte greca arcaica. La scultura è un sostituto del defunto. E il defunto è un’entità che sta tra morte sulla terra e vita nella dimensione ultraterrena. Noi in terra lo vediamo morto ma continua a vivere, e se la scultura deve rendere la condizione del defunto che è morto ma e vivo allo stesso tempo, quindi è vivo ma non nel mio mondo, lo rappresento non in movimento ma statico, per dare l’idea che sotto i nostri occhi il faraone o chi per lui è defunto, ma in un’altra vita è vivente. È un concetto complicato ma lo risolviamo attraverso l’aiuto degli studi antropologici e dell’antropologo francese Vernant che ha scritto saggi sul tema del doppio nella scultura arcaica. cosa dice Vernant? (cit. ambizione dell’arte) Consideriamo quello che Vernant dirà delle sculture delle età greca arcaica e dell’arte egizia: sono dei doppi, sono delle presenze-assenze: entità ambigue. Manifesta l’assenza di un essere che non è defunto definitivamente ma si trova in un altro mondo. Queste statue non possono essere realistiche, perché devono ricordare a chi le vede che l’essere che incarnano non appartiene a questo mondo, sono presenze-assenze di entità che vivono in un’altra dimensione e che si manifestano in questo moto silenzioso. Presenza-assenza: Fa pensare ai vampiri, ai fantasmi. Devono essere figure estranee, lo spettatore li le deve percepire come appartenenti a un altro mondo, e che si manifestano in un certo modo. Kuros dell’età arcaica con in fondo altre statue La professoressa ha scattato questa foto alla Galerie du Temps del Louvre di Lans (il Louvre ha due sedi). Lans si trova nel nord della Francia al confine con il Belgio, in una zona di miniere di carbone quindi un ex zona di minatori. L’idea di trasferire una sezione del Louvre in questa zona veniva dall’intenzione di riqualificare quell’area della Francia abbastanza povera. Sono presentati oggetti d‘arte di varie epoche in ordine cronologico, quindi vi sono oggetti di varie epoche e varie aree culturali contemporaneamente nella stessa zona della Galleria. C’è sulla parete destra della galleria una linea del tempo simile a quella che si fa scuola: si parte dalla preistoria, poi c’è la parte egizia, tutta scansionata cronologicamente, a un certo punto le opere egizie stanno accanto alle greche. C’è una fase in cui le sculture egizie e quelle della Grecia arcaica sono contemporanee e simili. Avanzando nella galleria del tempo si vede che l’arte egizia rimane sempre uguale a sé stessa, ha sempre le stesse formule compositive, mentre l’arte greca a un certo punto cambia. Vediamo una scultura greca dell’età classica quindi natura e idealizzazione in equilibrio, e dietro siamo già nell’età ellenistica, con un nuovo senso di movimento. Altro concetto: LA CRONOLOGIA VA FATTA INTERAGIRE CON LA GEOGRAFIA. A seconda del luogo e del contesto l’arte si evolve in maniera diversa. Questo è fondamentale: la cronologia va fatta interagire con contesti geoculturali. Geografia è anche cultura e quello che avviene in Grecia non è quello che avviene in Egitto. Quell’idea del doppio è presente anche nell’arte greca ma ci sarà un cambiamento che porterà a un diverso sviluppo nell’arte occidentale: a un certo punto l’artista greco sente il bisogno di guardare la natura quindi la natura diventa interlocutore, non solo per quanto riguarda l’idea della realtà ma anche per quanto riguarda la natura in quanto fenomeno. Questo provoca un cambiamento nell’arte greca collegato anche alla religione antropomorfica, e si evolve nel senso che cambia, non nel senso che migliora. Non possiamo dire che il Kouros in primo piano sia inferiore rispetto a Fidia (amazzone ferita) perché il kouros aveva un’intenzione diversa. L’arte egizia anche se ha fasi è comunque conservatrice, l’arte greca invece parte da situazione simile a quella egizia poi prende una strada diversa di naturalismo e di cambiamento. A un certo punto infatti, e siamo verso la fine del VI/V secolo a.C., inizia a esserci un’attenzione alla natura, e questi sostituti dei defunti vengono rappresentati in maniera sempre più vicina alla natura. L’anatomia viene studiata, non che prima non venisse studiata perché erano incapaci tecnicamente ma perché non interessava. Però quando interessa, si forgiano le conoscenze! Gli strumenti e le tecniche cambiano. La volontà artistica : Termine coniato da un grandissimo storico e teorico dell’arte, viennese, della seconda metà dell’Ottocento: RIEGL. È una questione di volontà artistica: cosa vuole fare l’uomo? In base alla sua volontà, TROVERA’ IL MODO E LA TECNICA. Non è mai questione di saper o non saper fare ma di VOLERE NON VOLERE. Vernant nello spiegare il passaggio dice che si passa ‘dalla presentificazione dell’invisibile (il doppio) all’imitazione dell’apparenza’ ovvero di ciò che vediamo, di ciò che cade sotto i sensi, sotto la vista in particolare. Tra VI e IV secolo Vernant vede un passaggio. Prima del V secolo non possiamo parlare di una concezione di rappresentazione. Rappresentazione significa che io cerco di imitare ciò che vedo ed è un principio che interviene in questa fase, non prima. Per rappresentare un corpo di doppio, il corpo reale viene sintetizzato, l’uomo lo astrae, non gli interessa il dato corporeo fenomenico della figura umana. ♡ Aristotele nella poetica dirà che l’arte è imitazione della natura, concetto che avrà una grandissima fortuna nel corso dei secoli. Si affaccia in questo punto il concetto di IMITAZIONE che si collega a quello di ILLUSIONE. Gli artisti cercano di realizzare delle opere che possano illudere lo spettatore che quella che è un’opera in realtà è natura. Plinio parla di pittori antichi che dipingono l’uva in maniera così vera che gli uccelli si avvicinano. Il principio di imitazione diventa un cardine dell’estetica occidentale. Quello che noi notiamo è che bene o male in tutte le civiltà arcaiche la figura umana è stilizzata. Poi attraverso lo studio della parola kolossos e kouros abbiamo scoperto quale fosse la funzione delle statue. Per quanto riguarda la pittura abbiamo Ercolano e Pompei e qualche altro esempio ma è più rara, e si presume comunque che l’imitazione della natura non fosse un obbiettivo. La controprova ce l’abbiamo nel IV secolo quando un filosofo come Aristotele che sistematizza il sapere ci dice l’arte è imitazione della natura. Sappiamo comunque che la storia si basa su ipotesi, provate in maniera più o meno forte e sostanziosa dai documenti. La scienza è uguale, è un sapere in continuo movimento, fa delle ipotesi e può sbagliare. Queste discipline non sono mai esatte perché la conoscenza sia scientifica, che storica, che filosofica, è sempre in movimento. La scienza non può basarsi su verità certe assolute, o sarebbe statica. Siamo uomini, la ricerca scientifica e storica si basano su uomini che ricercano. Non dobbiamo credere che storia e scienza ci diano verità perfettamente certe ed esatte. Ci danno ipotesi più o meno plausibili, accreditate, e non è che la scienza è tanto più esatta della storia. Entrambe vengono modificate nel corso del tempo anche se ci sono dei punti fermi. Dobbiamo abituarci a concepire sempre la conoscenza come un’evoluzione, una trasformazione continua. C’è una fase dell’arte egizia (sotto il faraone Amenophis) che è più naturalistica? Ci sono situazioni di naturalismo come nelle pitture rupestri della preistoria? in Grecia Nella cultura greca, che poi viene ereditata dalla romana, siamo davanti a un’accelerazione delle evoluzioni artistiche in relazione all’idea di imitazione della natura. Datiamo con Aristotele e l’arte di Fidia il perfetto equilibrio tra idealizzazione, stilizzazione e naturalismo. Winckelmann nel Settecento venne colpito da questo fatto, dal fatto che l’arte greca del IV e V secolo è l’apice della perfezione in tutta la storia dell’arte: questo momento particolare della storia della cultura occidentale in cui natura e idea si compenetrano, in cui quindi c’è adesione alla natura e insieme idealizzazione, che sembrano due tendenze opposte. Questa è la sintesi che avviene nella Grecia del V secolo e che prosegue durante l’età ellenistica, per andare verso un’accentuazione di naturalismo ed espressione, per arrivare a tendenze espressionistiche. Sicuramente è un momento fondamentale della storia della cultura occidentale questo spostamento, come lo sarà un ritorno alla natura con Giotto nel 200/300 e un riavvicinamento con Caravaggio e Carracci, tra fine 500/inizio 600. Dal momento in cui la Grecia si avvicina alla natura, dal V secolo in poi, l’occidente corre, per quanto riguarda l’evoluzione e l’innovazione dell’arte, su un binario completamente diverso rispetto all’oriente (area persiana, area islamica, India e Cina) la cui arte si basa sul conservatorismo e che quindi difficilmente hanno grossi traumi, cambiamenti, e rivoluzioni interne. Dipende dalla diversità di contesti, ma alla cultura greca dobbiamo questa nozione di imitazione della natura. Perché? Possiamo dare diverse spiegazioni. È un percorso interno alla cultura greca che è legato forse a una evoluzione della religione, i loro Dei sono antropomorfi, cioè l’uomo e il dio si differenziano per immortalità, ma gli dei sono UOMINI. La mitologia greca ci fa infatti vedere come gli Dei siano lungi dall’essere irreprensibili. I greci si immaginano Dei simili agli uomini, e siccome il kouros spesso deve rappresentare un Dio, c’è una spinta maggiore verso il naturalismo rispetto agli altri popoli. Il Naturalismo si raggiunge attraverso la scioltezza di pose a volte apparentemente spontanee, ma come vediamo in Policleto con il suo canone (queste cose vanno STUDIATE) la creazione delle statue deriva dal seguire proporzioni corporee ben precise, anche se dietro c’è lo studio anatomico. La natura viene studiata per rendere armonia ed equilibrio, in modo anche che i corpi affrontino lo spazio. Tutto questo avviene in Grecia. Noi osserviamo questa trasformazione, ma a questa trasformazione non corrisponde un progresso. Il fatto che un kouros del V secolo a.C. sia più naturalistico di uno del VII secolo a.C., non significa che l’arte sia MIGLIORATA. Sarebbe migliorata se il criterio fosse l’imitazione ma non è questo il caso. Se diciamo che il fine dell’arte è sempre imitare la natura, se consideriamo questo come principio assoluto, allora non potremmo capire niente di niente dell’arte medievale, tardoromana, assiro-babilonese. Non c’è MAI progresso, ma espressioni di visioni diverse. Il nostro obbiettivo non è giudicare la produzione artistica in base a un dato criterio, ma è comprendere perché in quella data epoca quell’artista si è espresso in quel modo. L’Apollo del Belvedere è considerato un capolavoro dell’arte greca perché è una statua che affronta lo spazio e ha un grande senso del movimento: si gira a sinistra, sembra avanzare, c’è un drappo fluente, il corpo è naturalistico ma idealizzato. Poi arriviamo nell’età ellenistica con il LAOCOONTE QUASI ESPRESSIONISTA nella dimensione del pathos. Quindi quella che poi sarà l’arte romana tenderà al naturalismo, basta pensare agli imperatori romani. L’arte romana eccelle riprendendo l’aspetto dell’arte greca della narrazione dei fatti. Pensiamo al bassorilievo della colonna traiana. Questa svolta naturalistica del IV secolo a.C. a un certo punto ha una battuta d’arresto che avviene nell’età tardo romana, tra il III e il IV secolo d.C. Succede che le rappresentazioni si fanno sempre più schematiche, sempre più statiche, sempre più stilizzate, sembra che quella capacità che i romani avevano di aderire alla natura e all’espressione dei sentimenti venga meno. È epoca di crisi e non sanno scolpire? NO. L’arte romana Vediamo nell’arco di Costantino il discorso di Costantino ai cittadini del foro: la rappresentazione è paratattica. C’è un gusto per la composizione ritmica di pieni e vuoti, e RIEGL si ferma molto su questo passaggio. Ci furono in quel periodo grandi modificazioni religiose: dopo Diocleziano ci sono lotte intestine, arriviamo all’Impero Romano che crolla. Il cristianesimo è evitato ma alla fine ha una diffusione tale che Costantino si rende conto che non ci si può opporre e che l’unica cosa da fare è dare libertà di culto. Con Teodosio ci sarà l’affermazione del cristianesimo come religione ufficiale, poi l’editto di Costantino darà libertà religiosa, nel 313 a Milano, all’epoca MEDIOLANUM. Perché il cristianesimo diventa così importante? Se la religione cristiana si diffonde è perché il culto pagano non soddisfa più l’esigenza dell’umanità dell’epoca. Nessuno crede più a dei simili agli uomini che si fanno i dispetti. Nella tarda antichità si diffondono i culti orgiastici, misterici, esoterici, perché c’è un’esigenza di spiritualità a cui alla fine cristianesimo risponde. Prima di quel momento non erano maturi i tempi, mentre quella è l’epoca adatta per la diffusione del cristianesimo perché va incontro a quello che l’uomo cerca, di spirituale. Se no sarebbe rimasto un culto circoscritto. Questo culto rivoluzionario monoteista, in cui c’è l’idea di un dio vicino all’umanità, che si fa uomo ma muore in croce, è uno scandalo per i pagani: un dio che soffre per l’umanità. Però il messaggio è esplicito: 1. c’è un dio che è vicino all’uomo, 2. l’uomo ha la possibilità di riscattarsi e avere una vita ultraterrena nel paradiso introducendo anche il dogma della resurrezione. Tutto il contesto filosofico-culturale dell’epoca era tale per cui la religione cristiana non poteva che avere successo. Questo implica una sorta di cambiamento nella spiritualità dell’epoca: la religione cristiana fa molto affidamento alla coscienza individuale e alla spiritualità individuale. Inizia dalla fase tardoantica, e prosegue nel medioevo, una visione diversa in cui non è più il mondo naturale che interessa, ma tutto viene visto come il segno di qualcosa di sovrannaturale. Ecco perché nell‘arte tardoantica e del medioevo non c’è naturalismo come prima del V secolo in Grecia, ma in modi diversi. È una cultura che tende all’universale: interessa l’individuo, non l’uomo come corpo, ma l’idea del corpo. Tutto questo porta a un abbandono del naturalismo dell’arte greco-romana e a una nuova stagione dell’arte, che avrà poi una svolta fondamentale con Giotto che reintrodurrà un rinnovato ritorno alla natura. La funzione dell’arte varia nel corso del tempo e non dobbiamo confondere quello che è un valore artistico in una data epoca con un principio dell’arte in assoluto, perché non c’è una definizione univoca. Ogni epoca ha una funzione e obbiettivi diversi. Torniamo alla leggenda di DIBUTADE L’interpretazione in chiave funebre della cultura tardo-settecentesca e ottocentesca del mito Nelle fonti sei-settecentesche questa fanciulla figlia del vasaio di Corinto compare come DIBUTADE, anche se Plinio non la chiama in nessun modo. Questa leggenda ha una fortuna iconografica in un periodo ben preciso della storia dell’arte fra 700 e 800. Abbiamo visto come la leggenda abbia somiglianze con un episodio del libro della sapienza della bibbia e con delle leggende orientali in cui l’immagine artistica ha una funzione di sostituzione. Nell’arte egizia e greca il simulacro è un sostituto e doppio. La leggenda di Dibutade è ripetuta nei testi, ma dal punto di vista della fortuna iconografica ha una sua fiori. Il paesaggio è ridente, ma SOLITARIO, malinconico. Lo possiamo desumere difficilmente dall’incisione che ha il tratto neoclassico: tutto è basato su delineazione dei contorni, e difficilmente possiamo sapere come questo paesaggio ridente ma solitario ci dia idea di quell’atmosfera che si respirava nei cimiteri dell’epoca. Il cimitero moderno è immerso nel verde, è un paesaggio che non trasmette serenità ma solitudine e melanconia (il mito di Dibutade ha una diffusone nell’età neoclassica ANCHE perché dà importanza al disegno al tratto, la leggenda infatti dimostrava che l’origine della pittura stava nel disegno al tratto). ♡ Vengono in mente le stele funerarie dell’epoca, come quella di Canova (la stele funeraria di Giovanni Volpato). Il dipinto di Chaudet ci trasporta nell’epoca in cui la dimensione funebre dell’arte emerge in maniera molto forte. C’è tutto un culto della tomba, come luogo in cui posso ricordare, posso far rivivere amici estinti. ♡ Cosa ci sta dicendo in fondo questo dipinto? Che l’arte, che ha avuto la sua origine nel ritratto mitico di Dibutade, è come la tomba. Nasce per dare un senso all’esistenza: stiamo ritornando a quello che diceva Debray. Siamo in un’altra epoca che non è l’età in cui si crede nel doppio, nell’idolo, ma comunque si ribadisce la funzione salvifica dell’arte che ritroviamo in Foscolo e altri autori dell’epoca, per cui l’arte come la tomba ha una funzione sacrale perché ricorda gli estinti e dà un senso all’esistenza. Torniamo all’immagine di dibutade di Girodet ♡ C’è un aspetto fondamentale: Eros che tiene la fiaccola e permette a Dibutade di fare il ritratto dell’amante. La posizione dell’eros è la posizione del trait d’union, è il punto di congiunzione di due termini diversi. Qui congiunge gli amanti. Ecco, è interessante notare che un’ulteriore prova (di questa altra interpretazione in chiave funebre della cultura tardo-settecentesca e ottocentesca del mito di Dibutade) è proprio il fatto che questa incisione correda un poema di Girodet intitolato il pittore, che comincia con la leggenda di Dibutade. Girodet e Foscolo, l’arte come riscatto nei confronti della morte Dice Girodet che l’arte nasce da Eros, da Amore, che spinge l’artista a fissare i propri affetti, quei tratti di una bellezza che svanisce, per poter salvare l’umanità dalla morte. Un concetto molto vicino a quello di Foscolo, infatti ci sono tanti punti in comune tra cui quest’idea che l’arte sia un riscatto nei confronti della morte. Se si comincia a studiare la cultura dell’epoca si vede che ci sono tanti testi che affrontano il tema della morte, soprattutto a fine Ottocento, e ci sono anche fonti comuni, francesi, per Girodet e Foscolo, che fanno sì che siano simili. MA LORO NON SI SONO MAI CONOSCIUTI. Girodet era amico di DELILE: ci scrive un poema in cui parla della funzione delle tombe, a cui si ispirerà Foscolo. Foscolo e Girodet sono due autori simili che non hanno un legame diretto, ma intermediato dalla presenza di Delile e di altri autori dell’epoca, tra cui Bernardin. I nomi tornano. Girodet dice che la funzione dell’arte è quella di ingannare la morte, di far credere che chi non esiste più, chi è morto, può continuare a vivere attraverso l’arte. Lui parla di intere epoche storiche, intere porzioni di storia dell’umanità che sembrano andate perdute ma che l’artista attraverso il pennello rievoca e fa rivivere. La funzione dell’arte per Girodet: DARE NUOVA VITA A CIO’ CHE NON ESITE PIU’. IL SOGGETTO È LA MORTE, IL NON ESISTENTE, CIO’ CHE È SPARITO, L’ASSENZA. Tutto ciò è TIPICAMENTE NEOCLASSICO SETTE-OTTOCENTSCO. Tutto quindi ci spinge a pensare che la fortuna di dibutade tra 7 e 800 è legata all’importanza che si dà all’arte, vista come un riscatto dalla morte. Il Settecento rappresenta una cesura, un trauma dal punto di vista filosofico perché il criticismo illuminista, il meccanicismo, il materialismo filosofico, sono aspetti che hanno corroso quell’idea che la religione possa costituire uno scudo nei confronti della morte, assieme all’arte. Debray: l’impulso plastico e religioso nascono da un’unica causa, cioè trauma della morte. Come posso accettare la decomposizione? Non lo accetto, e trovo un modo per proteggermi. Arte e religione si connettono, giocano e fanno in modo che io possa proteggermi dalla morte. Ma lo scudo rappresentato da quell’insieme di credenze, superstizioni, ideali religiosi, che proteggevano l’umanità, vacilla con l’illuminismo laico, nella seconda metà del 700. Se ho dubbi sul fatto che esista una vita dopo la morte… cosa mi salva? Solo l’arte. L’arte finisce per avere una funzione sacrale che prima era di religione e arte nello tesso tempo. Ora solo l’arte è la responsabile della sopravvivenza dell’individuo. Lo statuto ambiguo della tomba nella mentalità tardo-settecentesca Abbiamo visto la Dibutade di Mme Chaudet, perduta, ma nota grazie all’incisione. Qui la tematica funebre è lampante: il ritratto è una stele funeraria, ha la stessa funzione della tomba (ha sicuramente un lato sublime). Ci ricorda il defunto, ma nella mentalità tardo-settecentesca è anche consolazione. Ha uno statuto ambiguo, è del pianto ma anche della consolazione. È importante! Quello che ci dice Jeanne-Elisabeth Chaudet è che la funzione dell’arte, del ritratto, è simile a quello della tomba. L’arte ha un fondo funereo perché l’artista sa che tutto perirà, che gli affetti periranno, ma l’arte ricordando le virtù e le epoche, ha una potentissima funzione consolatrice. Tutto un filone di arte neoclassica è privo del lato frivolo e spensierato dell’arte rococò: c’è sempre un fondo severo. L’arte neoclassica è stata oggetto di critiche fino agli anni ‘70 del 900, rivalutata in quegli anni perché veniva considerata un’arte funebre e fredda. Roberto Longhi, studioso dell’arte, definiva Canova l’artista nato morto. L’arte neoclassica ha questo fondo sublime, severo, trasmette un senso di silenzio e di morte. Discorso in parte filosofico, in parte storico, per capire come si arriva alla concezione della tomba come luogo di pianto e consolazione in età neoclassica. L’altra volta la professoressa ha rievocato nuovamente la frase di Debray che dice che la pulsione plastica e quella religiosa germinano come due rami di un unico albero dalla scoperta della sparizione, dal trauma della morte, e dalla necessità di difendersi. È una situazione che al di là dei sentimenti religiosi, di tutte le varie vicende storiche, si protrae nei secoli. L’illuminismo rappresenta una cesura fondamentale. Non tutto l’illuminismo è laico, ma c’è un filone ateo che per la prima volta dice ‘ecco, siamo fatti di atomi che si decompongono con la morte, e dopo la morte non c’è nessuna vita’. citazioni di autori dell’epoca - Siamo nella cultura che sta dietro al Déluge: questo vedere la vita umana, la vita della terra, degli animali, come indipendente dalla presenza di un essere ultraterreno. Quello che accade sotto i sensi non è divino ma è un fenomeno scientifico. Buffon: sta anche dietro alla trasformazione del concetto di catastrofe. Dice che prendiamo coscienza della vita per gradi. È spietatamente scientifico e ateo, dice che cominciamo a morire a poco a poco, anni prima. D’Holbac: uno dei grandi filosofi atei, dice che morire è come dormire, è entrare nello stato di insensibilità che avevamo prima di nascere. CABANIS: uno degli idéologues, un gruppo di filosofi francesi di inizio 800 che enfatizzano una visione serena della morte, non bisogna avere paura di niente, perché morire è il termine. Punto. Siamo in presenza di una laicizzazione della morte che diventa un fenomeno naturale sganciato da una prospettiva provvidenziale o divina. Sono affermazioni quasi normali per noi, però nella cultura dell’epoca sono delle bombe. Dopo che l’umanità per secoli si è protetta dalla paura della sparizione con credenze, superstizioni, religioni e arte, questa prospettiva rivoluzionaria costituisce una cesura profonda dal punto di vista della mentalità. Diderot sposa tutte queste idee, dice che il religioso pensa che ci sia un altro mondo dopo la morte. Per il filosofo invece l’immortalità sta nella posterità, nell’essere studiato, letto. È una prospettiva laica che aiuta a capire che quello che dice Foscolo ha tutto questo retroterra. Gli autori o artisti isolati non li capiamo, pensiamo dicano cose scontate ma certe idee sono preparate negli anni precedenti. Il filosofo crede in una sola immortalità: l’essere ricordato dai posteri. Questo sarà alla base della concezione della tomba, tra fine 700/inizi 800. Il cimitero Il primo cimitero moderno, che diventò poi il modello dei cimiteri di tutto il mondo, fu il Père-Lachaise del 1808, dopo un lungo dibattito. Prima parliamo di un dettaglio fondamentale: c’è una questione sociale. Le persone ricche e potenti avevano le proprie tombe dentro le chiese, in vista, in luoghi protetti. Quelle meno abbienti invece venivano seppellite attorno alle chiese, nei sagrati. Prima del 1808, a parte i cimiteri di campagna di cui parla Thomas Gray, i cimiteri non esistono. I morti convivono con i vivi, la morte è una presenza continua nella città: come ha detto gauvelle?, “la città dei vivi convive con quella dei morti”. Quale è il punto? La tomba è il luogo di sepoltura, ma nella religione cristiana si pensa che l’uomo vada a vivere in una vita ultraterrena. Cambia che non ci si crede più di tanto. Questo fa sì che si dia alla tomba un significato. E se io credo nel ricordo, mi aggrappo alla tomba. La storia la ricostruiamo sulla base delle fonti scritte: la storia nasce quando ci sono documenti scritti nel 3000 a.C. Cosa pensasse il contadino non lo sappiamo, e questo è un problema fondamentale. Ora si cerca di capire come stavano le masse, dagli Annales in poi c’è filone che ha molta difficoltà nel ricostruire le mentalità. Sappiamo queste cose dai filosofi, dal punto di vista della storia della filosofia. Da cosa viene fuori l’idea di separare il cimitero dalle città? BERNARDIN DE SAINT PIERRE - Studi sulla natura, 1784 - 1784: è una data precedente alla nascita dei cimiteri pubblici, ma ne anticipa l’idea. - Era allievo di Rousseau. Non era cattolico, quindi, ma in questo brano, tratto dal capitolo ‘piaceri della tomba’, parla di una melanconia che viene fuori dalla tomba. Ricorda FOSCOLO. - Sicuramente è una posizione DEISTA: crede in un essere sovrannaturale che non si identifica. Il Deismo è tipico di una certa parte dell’illuminismo laico: non c’è un dio cristiano, della chiesa, ma c’è l’idea di un essere superiore. - Parla di questo sentimento anch’esso ambiguo, perché la melanconia reca con sé un certo piacere. Ricordiamo che questa è l’epoca in cui le sensazioni e i sentimenti prima considerati come spiacevoli vengono rivalutati in un’ottica di piacevolezza. La melanconia idem, è negativa ma voluttuosa. Nasce dalla Questa situazione si estremizza in Francia durante la rivoluzione, perché la morte è all’ordine del giorno. La rivoluzione ha un forte impeto distruttivo: l’idea è che bisogna fare tabula rasa per poter costruire una nuova società, e ciò che ricorda l’assolutismo o la religione intesa come strumento di oppressione va distrutto. A essere uccisi, poi ghigliottinati, non sono solo gli uomini che considerati controrivoluzionari, quindi che si oppongono all’instaurazione di nuova società, ma anche i simboli. Vengono abbattute le statue dei re di Notre Dame ad esempio. Il fenomeno di statue recentemente abbattute è un dialogo antico. C’era una statua del re? La abbatto. Mi ricorda il potere, e ciò che ricorda l’assolutismo va abbattuto. Quindi si parla di morte non solo dei controrivoluzionari ma anche di simboli e vessilli, che ricordano l’idea della schiavitù. Il lato più cruento della cosa è che a essere considerato controrivoluzionario poteva essere anche un componente della propria famiglia che, opponendosi alla rivoluzione, andava eliminato. - In questa fase di guerre, contrasti, lotte fratricide (come se fosse una guerra civile fra chi vuole instaurare un nuovo status e chi si oppone), la sepoltura non avviene quasi più, i riti non vengono più celebrati in nessuna maniera, non c’è rispetto per le tombe. - Questa situazione si perpetua negli anni finché alla fine degli anni ‘90 del 700, finito il terrore (quindi nella fase del direttorio, che si prepara al consolato, e quindi a napoleone), c’è una nuova riflessione, si accende un dibattito: numerosi intellettuali sottolineano che non è possibile continuare così. Quello che era successo nella rivoluzione, di non avere più nessun rispetto per i morti, è qualcosa di grave, di inumano. Questi intellettuali sottolineano che bisogna correre ai ripari. - Così vediamo, nel 1796, il 14 giugno (nella seduta del Consiglio dei Cinquecento del 26 pratile anno IV), Emmanuel Claude Pastoret propone di ristabilire regole che permettano di restaurare il culto delle tombe. Il 1796 è l’anno in cui viene pubblicato il poemetto sepolture, di Jacques Legouvé, testo letto anche da Foscolo. Cosa dice Legouvé in ‘sepolture’? Sottolinea che è barbaro non occuparsi dei morti, riprendendo il pensiero anterivoluzone di Bernardin. Legouvé sottolinea che è ‘barbaro non occuparsi dei defunti’, che bisogna dare importanza al sepolcro. Ci sono stati molti morti, e la tomba ne permette la sopravvivenza. Questa forma di immortalità laica costituisce un collante della società che costruisce la società stessa, perché ci sono dei punti fermi nella costruzione delle società, ricordati attraverso le tombe. Nel 1800 Lucien Bonaparte, fratello di Napoleone e ministro degli interni, chiede all’institute de grane di organizzare una competizione letteraria/filosofica sui sepolcri. Cosa pensano gli intellettuali? Che provvedimenti propongono? Cosa si può fare per rispristinare questo culto? È un tema di dibattito non solo culturale e filosofico, ma anche politico. - Citazione da un testo: “La tomba è per l’uomo virtuoso (…)” Torniamo a Diderot e Bernardin: 1. Diderot: immortalità che si ottiene attraverso la tomba e quindi il ricordo, e quindi vedremo anche con Mme Chaudet che l’arte può dare immortalità; 2. L’idea che le tombe devono essere sobrie, di Bernardin Fatto interessante: questi testi hanno un’impostazione molto simile ai sepolcri di Foscolo. Si parte da una visione meccanicista: Foscolo inizia dicendo ‘il sonno della morte è meno duro se seppellisco qualcuno sotto l’ombra dei cipressi?’ Il seppellire rende la morte meno dura per chi muore? No, ma ha senso per i vivi e da qui parte l’idea del valore civico ed estetico della tomba e dell’arte. La morte è morte, non c’è nessun aldilà. Ora c’è un culto laico della tomba. La tomba permette l’illusone che la vita continui. Il concetto di ILLUSIONE Emerge qui questo concetto tanto importante per l’epoca e anche ambiguo, dell’illusione. La tomba illude gli uomini che la vita possa continuare, che i morti continuino a vivere. È illusione: il saggio sa benissimo che chi è morto non torna in vita e non ci sono speranze, ma si consola col fatto che c’è il ricordo che in qualche modo permette l’immortalità e trasmette i valori della persona defunta. Tutto questo assume significato estetico in Foscolo. Anche l’arte ha la funzione di 1. rievocare epoche passate, 2. fissare la bellezza, 3. e creare una forma di immortalità che è illusoria, perché si sa che il morto non farà, come il faraone, un viaggio ultraterreno. Che non va in un’altra vita inaccessibile per noi vivi, non c’è neanche l’idea del paradiso in quel contesto. Poi con la restaurazione c’è un ritorno in auge della religione, anche se non vissuta come prima. In Foscolo l’arte ha la funzione di proteggere l’umanità dalla morte, di schermare questo trauma impossibile da accettare, prendendo le veci della religione, per questo si parla di sacralità dell’arte. In che senso? Se tutto perisce, se niente resta, se l’uomo è atomi che si disperdono, che senso ha l’esistenza? Cosa ci salva? È una visione neoclassica dell’arte che potrebbe avere un suo significato anche oltre l’epoca neoclassica. Continuando a leggere, ancora una volta troviamo un’ideale di tomba sobria che non esprima sfarzo, e vediamo chiaramente il riferimento all’idea di tomba di Bernardin. - Tutto è illusione, che si sa essere illusone, ma è necessaria per dare senso all’esistenza e proteggerci dalla disperazione totale. Andremo a piangere nelle tombe e immagineremo che ai nostri sospiri, i cari rispondano attraverso il vento: anche qui si tratta sempre di illusione consapevole e salvifica. Foscolo lo dice nelle ultime lettere di Jacopo Ortis, “o illusione! Cosa sarebbe l’uomo senza le illusioni?”. Quello di Delille, poeta amico di Girodet che va a influenzare anche il poema di Girodet (che dice che l’arte inganna la morte), è il testo tenuto presente da Foscolo, infatti sappiamo che se lo fece spedire dalla Francia. Il legame si chiarisce in maniera evidente. Delille parla delle tombe in termini simili a quelli di Legouvé, cita versi dal testo del 1800. Pochi anni dopo, esce il poema ‘imagination’, che Foscolo legge. Delille dice: “Si presume che il defunto che sa che verrà celebrato, ricordato, muore con briciolo di speranza sapendo che non tutto è vano, e che anche morendo rinascerà nel cuore dei suoi cari. Sembra che in questi fiori ecc..” Immagine poetica di fiori che vengono messi nella tomba (torniamo a Chaudet), che emanano profumo, e il profumo è un segno: 1. dell’affetto 2. che questi morti rispondano ai nostri pianti. Non tutti gli illuministi si aggrappano a questa illusione, ma buona parte sì: una parte della cultura illuminista dice di vedere il potere distruttivo di una visione della vita completamente atea. Come ci possiamo consolare? L’umanità deve avere delle speranze, cosa possiamo fare se la condizione umana è quella che descrive Girodet nel déluge? E quindi c’è un filone che si aggrappa all’illusione come a una consolazione, come a un qualcosa che dia senso all’esistenza. Consideriamo la tragicità del pensiero leopardiano. Leopardi è ateo, porta avanti tutta la una polemica contro le magnifiche sorti ma ha comunque un’idea ottimistica della vita e della morte. In Leopardi ci sono questi due aspetti che convivono tragicamente, cioè - la visione sconsolata e disperata della condizione umana; - e le piacevoli illusioni, questa nostalgia che Leopardi ha delle favole antiche che proteggevano l’umanità. Quelle sensazioni che il poeta si crea (l’infinito) gli permettono di mettere una barriera e immaginare – è sempre un’illusione, l’uomo non pensa infinito già lo diceva Kant, perché l’infinito non si può misurare, ma il fatto stesso di pensare astrattamente all’infinito eleva l’umanità. Leopardi è uno dei figli prediletti di quell’epoca, a metà tra visione disperata del mondo e illusione. Questa piacevolezza dell’illusione emerge come uno dei fili della produzione leopardiana che ha funzione demistificatrice. Una parte di questo aspetto deriva da un filosofo e scrittore francese che è Rousseau: il concetto di illusione necessaria alla sopravvivenza. Il modo in cui questi autori del dibattito delle tombe e Foscolo usano la parola illusione… è quello di Rousseau. C’è un filone di filosofi quindi, che vedono l’illusione come ultima spiaggia, come unico elemento che rende la vita accettabile. Si sa che l’uomo la sceglie per addolcire la vita pur rimanendo consapevole della tragicità della condizione umana. U. Foscolo «E di fiori odorata arbore amica/le ceneri di molle ombre consoli»: ‘nel fondo di una verzura…’ Di nuovo troviamo l’immagine poetica del fiore sulla tomba, che col suo profumo dà l’illusione di avere a che fare col defunto. L’uomo ha bisogno di speranze e il fiore diventa un elemento di consolazione. È un’idea neoclassica questa che il fiore sia consolante e poetico, ma, potendo morire anch’esso, la sua è una bellezza che contiene in sé il germe della distruzione. Le citazioni servono per rafforzare il concetto e far capire che quello che noi diciamo deve avere riscontro da qualche parte. L’idea che la tomba abbia una funzione civile è presente in Foscolo. La tomba di un grande uomo spinge i posteri a grandi azioni: questa è l’idea che si ritrova nel dibattito delle tombe francese. Legouvé usa la parola rêver e la parola charme: IL FASCINO. Legouvé sottolinea che il valore della tomba non è solo individuale (muore un caro e andando a visitare la tomba ho l’illusione di mantenere un rapporto con esso) ma anche civica e da qua deriva Foscolo: l’idea che le tombe dei grandi spingono i vivi a grandi azioni. Vediamo qui il valore esistenziale attribuito alla tomba, ma anche valore civico. Servono per farci assimilare le citazioni quindi IMPARALO CAZZU Dobbiamo parlare di tutto ciò ad esempio quando la professoressa chiede dell’ego in arcadia. Abbiamo un altro testo di Legouvé: La mélancolie, del 1800. Anche qui ricorderemo Foscolo. - ma tu che senti le fiamme divine: tu artista, senti il richiamo dei sepolcri. Ecco la morte è luogo in cui il pittore intinge il pennello: la morte è la fonte di ispirazione dell’arista. - ingiurie dei secoli: cioè L’OPERA DI DISTRUZIONE DEI SECOLI= “Vedi le ferite che il tempo ha inflitto alle civiltà antiche, e che continua a infliggere alla storia e all’umanità”. Troviamo qua il concetto di morte come fonte di ispirazione dell’artista, che dalla morte trae la spinta per creare opere che sa si opporranno alla distruzione e che diano l’illusione che l’arte possa risarcire le ferite inflitte dalla storia. come un volontario inganno. La differenza tra arte barocca e arte neoclassica si potrebbe tracciare facendo la distinzione fra illusionismo, che farebbe di tutto per illuderti, e illusione, che ha già assimilato l’dea che tra natura e arte c’è una differenza sostanziale e che non si possono confondere i piani. L’illusione è consolazione, è un’illusone già in partenza disillusa. L’arte barocca porta fino alle estreme conseguenze l’illusionismo. C’è l’intenzione di persuadere lo spettatore che la pittura si trovi in una relazione di continuità con la realtà. Chi entra in una chiesa barocca, vede il soffitto dipinto e vede il cielo. Sa che quel cielo è dipinto ma sta al gioco, si lascia persuadere. La pittura neoclassica non vuole persuadere lo spettatore che possa essere reale, che possa essere confusa con la realtà. La pittura neoclassica è idealizzata, stilizzata, con colori freddi, e segnala in questo modo la distinzione fra piano dell’arte e piano della natura. Propone una bellezza idealizzata che non crederò mai possa esser vivente. Manca totalmente il lato persuasivo. Riprendiamo Legouvé - Souvenirs, 1813 “L'immaginazione risolleva le rovine” Io vedo delle rovine ma la mia immaginazione completa quelle rovine. Guardo quelle rovine e dai frammenti costruisco l’intero, risarcisco la storia delle fratture. È una costruzione dell’immaginazione che ha la capacità di risollevare le rovine. “Atene si risveglia, ed esce dalla sua tomba” : è una civiltà che è morta ma io, rivedendone i frammenti e le rovine, attraverso l’immaginazione posso risvegliarla. È un provare i brividi nella percezione dell’abisso dei secoli che passano, e ciò che emoziona è che quelle rovine sono là, e mi ricordano cose che sono esistite ma che non ho mai vissuto. Vede le rovine, e ripenso a ciò che è successo in quei luoghi. “l’antichità rinasce e brilla tutta intera” L’antichità rinasce: l’illusione che ho io di questo risorgere che si pone sia a livello individuale che di civiltà intere. Abbiamo varie citazioni da testi sulle sepolture Vedremo affinità con Foscolo. - Coupé: fa nascere la consolazione nei viventi che chi è morto possa continuare a vivere. - Mulot: parla dell’immortalità del ricordo. - Delamalle: parla del fatto che attraverso la tomba si ha l’illusione di sopravvivere nella memoria. - Cambry: scrive una biografia di Poussin in cui le sue opere vengono lette con la chiave del tema funebre e della melanconia. Leggendo i testi e facendo l’analisi lessicale e semantica, si nota che la parola ‘illusioni’ o chimères, la chimera, è collegata a un’idea di consolazione: è la consolazione dell’arte, che produce l’illusione di una sopravvivenza oltre la morte. L’arte avrà sempre un fondo amaro, sublime, solenne, ma allo stesso tempo avrà un aspetto consolatorio. Cambry dice di trovare una consolazione nell’idea che i suoi amici gli rendano omaggio alla sua tomba. È un aspetto preromantico. - Siamo all’interno di una visione meccanicista/materialista del mondo e della natura, senza un’idea di una vita ultraterrena. Questo si mantiene, - MA nello stesso tempo c’è una rivolta nei confronti della ragione: se la vita umana non ha senso, se è tutto un nascere e perire, io non posso affidarmi del tutto alla ragione. È necessario affidarsi a delle illusioni che sì, sono illusioni, ma che permettono di continuare a vivere. Tutti gli artisti del rinascimento talvolta ricorrono a correzioni in chiave illusionistica. È un aspetto fondamentale dell’arte del rinascimento. ‘Arte e spettatore nel rinascimento italiano’ è un libro di John Shearman pubblicato nel 1995. Parla del rapporto che si viene a creare fra spettatore e opera d’arte: è un gioco continuo. Ad esempio, nei personaggi che guardano lo spettatore. Sono punti fondamentali della produzione artistica del rinascimento ma non vale per tutto il 500. Pontormo, Rosso Fiorentino c’è fine anticlassicista che va a sfociare nella maniera, il manierismo - NO classicismo. Raffaello e Correggio sono per ILLUSIONISMO. Non possiamo dirci capaci di giudicare pienamente un’opera in un museo, perché è tolta dal suo contesto, e a seconda di come era posizionata e dove si trovava faceva la differenza. Venivano apportate delle correzioni ottiche in base al luogo dell’opera e anche questo fa parte dell’illusionismo. L’idea è sempre quella di dare l’illusione di una continuazione rispetto alla realtà. Questo concetto di illusione e chimera deriva da Rousseau: è il filosofo dell’età dei lumi, che viene considerato il più sui generis. sui generis ‹... ǧèneris› locuz. lat. (propr. «di genere proprio»), usata in ital. come agg. – Nel linguaggio della scolastica, espressione riferita a ciò che, non potendo essere ricondotto sotto un concetto più esteso, non ammetteva la normale definizione per mezzo del riferimento al genere prossimo (v. genere, n. 1 a). È poi passata a indicare in generale tutto ciò che, per l’originalità e singolarità della sua natura fa, per così dire, parte per sé stesso: è un tipo sui generis; ha un carattere sui generis, e bisogna lasciarlo stare!; talvolta con riferimento a qualità caratteristiche, che non è facile definire altrimenti (Treccani) È uno dei primi a credere e non credere nello strapotere della ragione: mette in crisi questa idea di ottimistica fiducia nella ragione, perché se abbiamo una fiducia così grande allora finiamo per eliminare una parte dell’essere umano che serve a vivere: quella dei sentimenti e illusioni. La nouvelle Eloise La fine della Nouvelle Eloise, romanzo epistolare del 1761, servirà anche come ispirazione per Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Dice, Rousseau, che l’illusione è ciò che non esiste, è utopico, ma di cui ho bisogno anche se la ragione mi dice che non esiste. ‘nulla delle cose umane’: era un deista. Dice che ciò che è bello è ciò che non esiste. È un’idea che ha un’importanza grandissima: il bello non esiste in realtà, esiste solo l’illusione che mi dà: l’amicizia è illusione, l’amore è illusione. Dice che non c’è niente di più bello di ciò che non esiste: il paese delle chimere è l’unico degno di essere abitato. È una visione totalmente negativa del vivere umano. È esattamente in questa accezione di illusione che bisogna leggere la pubblicistica delle tombe della cultura francese a cavallo fra 7 e 800. André Chénier - Souffrances “La speranza che gli amici piangeranno la nostra sorte rende più dolce l’istante supremo e consola la morte” L’illusione ha una funzione consolatoria, esattamente come l’arte. Illusone è una parola chiave nella produzione foscoliana. COLLEGAMENTO CON JACOPO ORTIS Gli ideali sono delle illusioni. Il filosofo materialista dice che tutto è solo illusioni, anche la religione, l’immaginare di colloquiare con gli dei… è illusione. Ma intanto (prosegue Foscolo) senza di esse, io non sentirei la vita che nel dolore. Quindi senza le illusioni io sentirei la vita solo nel dolore, e questa situazione di non senso della vita può provocare dolore o una reazione cinica di indifferenza verso le proprie sorti, o verso le sorti della natura. E se questo cuore non vorrà più sentire lo strapperò: sentire/sentimento: questa è una cosa romantica. C’è un’estetica del sentimento nel ‘700. Rousseau dà molta importanza al sentimento e questo lo porterà a fare una gerarchia delle arti e a porre la musica in cima, perché è senza quell’illusione (nel senso di illusionismo) che può caratterizzare le arti visive, e mi mette più facilmente in contatto col sentimento. Incisone di BROGNIART - 1812 È un architetto francese che presenta un progetto per il Père-Lachaise, un cimitero di Parigi. Al Père ci sono tombe illustri tra cui di Jim Morrison, di Chopin, di Edith Piaf, Proust, e si trova in una collina. Il Père-Lachaise è il prototipo del cimitero moderno: fuori dalle mura e immerso nel verde. L’immersone nel verde dà l’idea di naturalezza del morire e si avvicina a una concezione pagana della morte, e nello stesso tempo genera un senso di malinconia che non è considerata del tutto negativa. - Bernardin de Saint-Pierre voleva tombe semplici nel mezzo della natura perché è nella natura che sorgono i sentimenti più delicati e consolanti. Tutto questo, unito alle riflessioni del dibattito sulle tombe alla fine degli anni 90 del 700 in Francia, dà vita a questo cimitero fuori le mura, immerso nel verde. È un tappeto di tombe, scosceso, alberi in realtà ce ne sono pochi, non è l’immagine che abbiamo dalle illustrazioni dell’epoca. - Il Père era concepito sul modello DEI PARCHI MEMORIALI INGLESI. A differenza di quelli, abbiamo tombe vere e proprie, non lapidi. - La storia del cimitero è collegata al dipinto di Poussin, al suo essere fonte di ispirazione. È una mescolanza di tutto ciò. Un evento, la nascita del cimitero moderno, è frutto di una storia complessa, in cui la storia del paesaggio e del giardino si intersecano con la filosofia: non si tratta mai di fenomeni isolati ma ci sono delle cause che derivano da un insieme complesso di circostanze. Vediamo come tutto ciò ci riconduce alla Dibutade di madame Chaudet: per leggere quell’incisone dobbiamo sapere tutto questo. Il significato di un ritratto all’interno di un giardino arcadico non potremmo capirlo se non sapessimo cosa c’è dietro. È fondamentale non considerare le varie discipline come compartimenti stagni. Nel corso dell’800 il Père si riempie di tombe. Diventa meta turistica e modello di altri cimiteri come quello a New York, di Greenwood: è una foresta, il lato paesaggistico è ancora più forte e preponderante. L’incisione della Dibutade di Madame Chaudet ha un significato funebre perché la lastra nel verde si riferisce al dibattito francese sulle tombe e al fatto che nel 1803 viene fondato il Père-Lachaise. Funzione dell’arte: è un aspetto che cambia a seconda delle epoche. Abbiamo cercato di vedere la validità dell’affermazione di Debray che l’arte nasce funebre. Possiamo dire sì, perché altrimenti non si spiegherebbe la funzione sacrale e ad esempio sostitutiva dell’immagine, quando abbiamo fatto il discorso sul doppio. Però questa riflessione che c’è spesso nell’arte sulla caducità della vita e l’importanza della leggenda di Dibutade ci può fare riflettere sul fatto che la leggenda si è riattivata proprio in un’epoca in cui lo scudo protettivo della religione vacilla. L‘arte assume una funzione (che era prima della religione) di consolare e difenderci dalla morte, ma in una visione disillusa perché l’epoca dei Lumi ha creato chiarezza. Il problema è che questa chiarezza ha anche creato un vuoto. Le superstizioni hanno permesso all’umanità di difendersi per secoli ma dal Settecento la vera risposta difensiva contro la morte è L’ARTE. guardo più gli antichi ma al mio tempo e faccio un'arte del mio tempo”. Qui siamo proprio in una dimensione romantica. Rimane una COSTANTE della cultura occidentale l'idea della Grecia classica come paradiso, ma se l'arte è frutto di un contesto, e il mio contesto è diverso, allora la mia arte non sarà mai come l’arte di quell’altro contesto, quindi faccio un’arte del mio tempo. Nell’età neoclassica c'è una variabile in più che riguarda gli antichi, ovvero che sono distanti, lontani dalla modernità. La bellezza dei greci è il frutto della cultura di greci di una data epoca, e quel contesto culturale, politico, religioso, e sociale, è un contesto che mai potrà tornare. Qualunque sforzo per imitarli è destinato a fallire. Se la Grecia è morta non deve più costituire un modello che mi condiziona nel mio fare arte, significherebbe tradurre problematiche della modernità (rispetto a cui l'antichità è estranea) con strumenti dell’antichità. Il passaggio da Neoclassicismo a Romanticismo si gioca nel momento in cui vedo che gli antichi sono morti, e io mi sento libero di creare individualmente senza seguire dei modelli. Il romanticismo non segue modelli antichi, e noi non possiamo capire fino in fondo il Romanticismo se non sappiamo che nell'età neoclassica si arriva a pensare che gli antichi erano di fatto inarrivabili e non più attuali. Winckelmann ricostruisce le fasi dell'arte antica mentre prima si raccoglievano le biografie degli artisti. Lui procede per evoluzioni stilistiche e la perfezione dello stile è stata raggiunta dai greci del V secolo, e mai più sarà riproducibile. Gli artisti della Grecia classica si trovavano davanti modelli già belli, nel senso che loro, i greci, erano belli esteticamente. L'elemento fondamentale che caratterizzava la Grecia classica era la libertà politica: la Grecia della repubblica ateniese era la Grecia della libertà oligarchica. Winckelmann idealizza: secondo lui c'era la bellezza dell'arte, la bellezza legata ad abitudini culturali, ad aspetti antropologici, ad aspetti genetici, e aggiunge anche l’elemento della libertà politica. Tutto questo lo contrappone al presente che lui considera corrotto, falso, volgare, vive nell'epoca del dispotismo, non c'è libertà. 'Sappiamo troppo', dice. Quando l’artista deve dipingere qualcosa ripensa a ciò che è stato prodotto prima, mentre i greci operavano quasi ingenuamente. Ma anche questo modo di creare è perduto. Per questo è impossibile ricreare la stessa arte degli antichi: se l'arte è frutto di precise condizioni, allora l'arte che produco non potrà mai più ritornare. Winckelmann Abbiamo parlato della dimensione funebre dell’arte molto presente in età neoclassica, della concezione della tomba e della forza di queste due idee. Dobbiamo capire il metodo: come ci siamo arrivati? Tutto quello che noi affermiamo deve avere un riscontro nei documenti dell’epoca, altrimenti proiettiamo la nostra visione delle cose ad altre epoche. Dobbiamo abbandonare il presente, anche se possiamo riscontrare una certa attualità in alcune opere d’arte di altri tempi. Questo problema del proiettare sé stessi è qualcosa di radicato nella psiche umana e Proust lo descrive molto bene nella Recherche (À la recherche du temps perdu è l'opera più importante di Marcel Proust, scritta tra il 1909 e il 1922). Nel nostro lavoro non si proiettano esigenze o idee che caratterizzano la nostra epoca, perché l’obbiettivo è quello di capire EPOCHE DIVERSE. La diversità deve essere fondamentale: cerchiamo prima di tutto ciò che ci divide. La professoressa ha proseguito il discorso facendoci leggere una parte dell’ultima pagina della storia dell’arte degli antichi di Winckelmann, l’autore per eccellenza dell’età neoclassica. Quello che sappiamo di Winckelmann: quest’autore tedesco considera l’arte della Grecia del V secolo la perfezione. L’umanità ha raggiunto la bellezza ideale una sola volta nella storia, nella Grecia del V secolo. L’età ellenistica e romana sono già considerate decadenza. Winckelmann scrive due testi importanti: - Il Gedanken, i Pensieri sull’imitazione dell’arte greca, saggio del 1755; - e la Geschichte, La Storia dell’arte degli antichi, del 1764. ♡ Nel 1755 Winckel conosce l’arte antica solo attraverso incisioni e calchi. Nonostante ciò, comincia a costruire un sistema estetico in cui c’è una netta contrapposizione tra presente corrotto moralmente, politicamente e artisticamente, e una Grecia classica del V secolo che risplende di perfezione. Il Gedanken rappresenta una fase un po’ astratta perché non ha un confronto diretto con l’arte greca se non con delle monete ma mai con grandi sculture. Questa è una fase in cui ipotizza che gli antichi possano essere imitati. ♡ Con La storia dell’arte degli antichi cambia profondamente. Ci sono due Winckelmann. Tra il 1755 e 1764 Winckelmann va a Roma e si confronta direttamente con le opere d’arte antica. Winckel aveva una cultura enciclopedica: aveva fatto anche studi di medicina, di anatomia, sul rapporto tra contrazione muscolare e i sentimenti, per cui sapeva leggere molto bene le statue. Si rende conto, e la studia veramente, che di fatto l’arte antica non è imitabile. Cerca di ricostruire l’arte antica nelle varie fasi ma ha perso qualunque speranza della possibilità che in qualche modo i moderni possano ritornare all’antico. Questa distinzione tra i due Winckel è una distinzione che non si ritrova nei manuali e che porta il lettore ad appiattire Winckelmann, e la sua complessità, ai Gedanken. La vulgata è che Winckel dice di imitare gli antichi ma è una frase contraddittoria ‘essere inimitabile imitando gli antichi’, è un’aforia! ♡ Nella Geschichte si perde questa speranza della possibilità di un minimo avvicinamento agli antichi. Il moderno può ammirare quello che resta dell’antichità piangendone la fine: c’è una visione funebre dell’arte antica che non può rivivere. ‘la Grecia è un paradiso perduto’: potremmo definirla un’idea romantica. Winckel, il campione dell’età neoclassica, ha una visione (dell’antichità) moderna. Alla fine del ‘700 per Winckelmann c’è una distanza enorme tra antichi e moderni. Questa è una novità. Prima gli antichi non erano considerati come un insieme di valori letterari, filosofici e artistici distanziati dal presente. Non si percepivano gli antichi con distanza storica. L’antichità era un serbatoio da quale attingere, come un repertorio di modelli a cui rifarsi sempre presenti. La querelle des Anciens et des Modernes È una polemica nata nell'Académie française che agitò l'ambiente letterario e artistico francese della fine del XVII secolo. Quello che succede è che in questa disputa si prende coscienza del fatto che gli antichi appartengono a un mondo diversissimo e c’è un abisso che separa le due epoche. Per chi sta dalla parte des Anciens non c’è perfezione per i moderni, perché riconoscono che gli ambiti di cui si parla sono completamente diversi fra loro, troppa storia è passata, il moderno è diverso dall’antico. Quando dico che l’arte greca del V secolo è l‘incarnazione della perfezione, ed è dovuta a circostanze precise della Grecia di quel momento, ne consegue una visione tragica della storia. Non possiamo in nessun modo tornare all’età di Pericle. La bellezza ideale è inaccessibile. Il tema della morte è un tema centrale nell’età neoclassica perché in certe sue tendenze (quelle più vicine a Winckelmann) celebra, nell’ispirarsi agli antichi, un grande rito funebre per l’antichità. Parte della cultura neoclassica considera gli antichi morti, ma è la consapevolezza della morte che mi può portare alla creazione. L’aporia di Winckelmann In Winckel c’è APORIA: vuol dire contraddizione. C’è una dialettica interna che rende il pensiero Winckel quasi tragico. L’aporia consiste nel fatto che Winckelmann: - Da un lato, dice una cosa in cui ancora noi oggi crediamo, cioè che l’arte in qualche modo è frutto del suo tempo, delle condizioni in cui operano gli artisti, della cultura dell’epoca, della situazione politica dell’epoca (vedremo poi come questo ovviamente non deve essere letto in maniera deterministica e meccanica). L’artista rielabora la realtà che vive, e per capire la sua arte dobbiamo capire la realtà che filtra, rielabora e reinterpreta. Winckelmann lega la produzione artistica a un contesto. Il contesto sono l’insieme delle condizioni in cui avviene la produzione artistica. È tutto lo stato fisico di un popolo, la sua religione, le sue pratiche sociali, le sue abitudini, anche le abitudini sportive. Anche il culto della bellezza, presente nel popolo greco, e poi un aspetto fondamentale: la libertà politica. La perfezione è frutto anche di precise condizioni politiche, e stiamo parlando della libertà della repubblica ateniese dell’età di Pericle. Se seguissimo questa idea ovviamente ogni arte di ogni epoca avrebbe una sua giustificazione nel contesto in cui nasce e non potremmo mai dire che un’arte è superiore ad un altra. Dice : ‘l’ideale greco è frutto di un contesto ben preciso’ quindi storicizza il suo ideale di bellezza, che è l’equilibrio tra naturalismo e idealizzazione. - Ma dall’altro lato, nel momento in cui dice che l’arte greca del V secolo è la perfezione, contraddice il suo storicismo, che vorrebbe che ogni epoca producesse arte secondo i suoi principi. Se l’arte è figlia del suo tempo dobbiamo comprenderla in base al suo tempo non in base a un ideale di bellezza che le è estraneo, quini perché l’arte moderna dovrebbe essere inferiore all’arte antica? In altre parole: Winckelmann fa due cose. - Da un lato crede che l’arte sia frutto del suo tempo. Che l’arte di ogni epoca sia il risultato di precise condizioni culturali e politiche. - Dall’altro lato dice che l’arte greca del V secolo è la perfezione, che la produzione artistica umana ha raggiunto la perfezione una sola volta nella Grecia del V secolo. = Dire che l’arte è frutto di precise condizioni e dire che esiste una perfezione nell’arte, sono cose in contraddizione perché se l’arte è frutto del suo tempo non c’è la perfezione, non c’è un “meglio di”, proprio perché ogni epoca ha i suoi ideali. Quindi la contraddizione sta nel dire che l’arte è frutto di un contesto preciso, ma che esiste una perfezione. È una perfezione che dovrebbe valere anche per le altre epoche, che sono giudicate negativamente in base a un presunto ideale che diventa a-storico. In Winckel c’è aporia tra ideale e storia. Non posso avere un ideale dell’arte e allo stesso tempo storicizzare la produzione artistica. È contraddittorio. Le contraddizioni, quelle dell’animo umano e quelle delle epoche storiche, non vanno criticate ma comprese perché sono interessanti. Non avevamo mai immaginato un Winckel in una chiave contraddittoria, ma lo è tantissimo, e questo ci fa capire tante cose della sua epoca. In questa contraddizione c’è tragicità. Se io guardo a un ideale di bellezza, tento di imitare la fonte per avvicinarmi a questa bellezza. Se questo ideale però lo collego a delle condizioni irripetibili, è come se presentassi un preciso ideale e lo negassi contemporaneamente. L’età neoclassica si fonda su un autore per cui i grandi defunti/assenti sono gli antichi e la bellezza ideale. C’è un tendere nostalgico verso un ideale che si sa che non potrà mai più ritornare in vita. Le etichette: Neoclassici e Romantici Il neoclassicismo è un’etichetta coniata a posteriori per indicare un’epoca. Tutte le etichette che usiamo come ‘neoclassicismo’ e ‘romanticismo’, un grande studioso dell’età neoclassica, ROSENBLOOM, le ha definite camice di forza semantica, perché racchiude una quantità enorme di concetti diversissimi in un medesimo contenitore. Non esistono i neoclassici, ma artisti che hanno prodotto in un’epoca compresa tra il 1750 e il 1820. cercando di capire perché si tengano in pregio le arti; ne ho concluso che la cosa migliore che esiste al mondo sono le arti”. Nelle frasi successiva spiega questo suo concetto. Lui non vuole accusare gli uomini dei loro errori perché la natura non li aiuta. E qui ritroviamo il continuo fare e disfare della natura indifferente. “Cosa vediamo sotto il sorgere e il calare della luna? Sempre successioni di rovine distruzioni. Ogni cosa per salda che ci paia va stritolata risolvendosi in impalpabili vapori”: usa una terminologia tipica della filosofia meccanicista, materialista. Dice che ogni cosa si dissolve in un invisibile vapore che si disperde nell’atmosfera: è proprio la filo materialista: gli elementi si compongono per creare la natura e l’uomo, poi gli atomi si disfanno, e si ricompongono in maniere diverse. Come vediamo, tutto ciò reca con sé una visione pessimista della condizione umana. “Questa fugacità delle cose della natura potrebbe essere accettabile se vivessimo a lungo, o se fossimo eterni, ma ella, la comune madre, la natura si mostra maligna, appare come una madre che è matrigna”. Siamo vicinissimi al concetto leopardiano, siamo nel 1810. Questa natura è negativa: sembra veramente avercela con questa umanità che assiste quotidianamente a un perenne fare e disfare, e l’uomo stesso è sottoposto a questa fugacità. Lo diceva Debray, parlando dell’origine funebre dell’arte, ma è una cosa che dice anche Pietro Giordani. Dinnanzi a questo continuo nascere e morire, a questa serie di rovine, che si svolgono sotto lo sguardo dell’uomo, nasce una sdegnosa e superba audacia, che è quella di voler contrastare, reagire a questa fragilità dell’uomo. Ecco, la reazione dell’uomo è di salvare qualcosa dinanzi a questo continuo succedersi di generazioni, questo senso del ricambio, visto in termini rovinosi, questo continuo morire e sparire. Tutto ciò ci fa sorgere il desiderio di un durare più lungo, di sopravvivere a questa continue trasformazioni. Quali sono gli strumenti che l’umanità ha per cercare di salvarsi dalla morte, per sperare di sopravvivere alla propria esistenza su terra? C’è la bellezza, c’è il pensiero, c’è la virtù. Sono gli aspetti positivi dell’umanità. Rendono l’uomo nobile, che fanno dell’uomo un essere pieno di dignità. Virtù nel senso di fare opere magnanime: è il lato morale. Sono tre elementi, che sembrerebbero riprendere la tripartizione kantiana delle critiche. L’uomo gode di questi tre elementi che lo rendono un essere nobile. Ma la bellezza, quanto rimane? Rimane poco, riguarda la giovinezza poi svanisce. I bei pensieri, e quindi il lato del pensiero umano che formula idee, e le opere virtuose, possono sopravvivere nel ricordo di coloro che sono stati vicini, ma poi saranno sommerse nel corso dei secoli. Unicamente le ARTI possono dare all’uomo una forma di sopravvivenza. Tutto questo va via: un uomo virtuoso muore, lo ricorderanno i parenti, e finisce tutto lì. Mentre l’arte perpetua. C’è somiglianza con tutti i testi sulle tombe che abbiamo letto e ancora una volta ritroviamo Chaudet, del 1808. Ci dicono che l’arte, come la tomba, ci permette una forma di sopravvivenza. Quindi attraverso l’opera d’arte ci guadagniamo una sorta di vita oltre la morte. Dai poeti, dagli scultori, dai filosofi, dai pittori, ci viene l’unica forma di immortalità. ♡ E poi ovviamente, Canova. Giordani fa esempi in cui i poeti e scultori hanno perpetuato uomini e donne illustri, ma dice: che necessità c’è di cercare esempi nel passato? Il Canova è per lui l’emblema di un’arte che riesce a perpetuare le vite degli uomini, e a sconfiggere la morte. Ricordiamoci… Forse Pietro Giordani ha letto Bernardin, che diceva che la tomba era al confine tra due mondi. Qui Giordani dice che l’arte si pone come uno scudo rispetto alla condizione umana, è un modo per sconfiggere il passare del tempo; è illusione, sì, ma è una cosa a cui ci si può aggrappare. Il resto: riferimento ad opere di Canova. Poi conclude parlando della funzione che l’arte ha di risarcire l’uomo e la storia delle ferite del tempo. Punto della situazione: I capitolo: funzione dell’arte + relatività e storicità della funzione dell’arte + filo che possiamo ricostruire della meditazione sulla morte e dell’uso dell’arte per far fronte alla difficoltà di accettare la sparizione e la fragilità della condizione umana. Abbiamo parlato di quest’idea dell’artista immortale grazie alle sue opere, ed è presente anche in Giordani perché Canova diventa immortale, quindi l’artista è divino secondo la prospettiva neoclassica. C’è comunque la coscienza che con la propria opera si perpetua qualcosa (tutto il genere dell’autoritratto è un ‘chi si è’). Anche se c’è più il defunto che viene salvato o attraverso la tomba o attraverso l’arte, intrinsecamente è anche l’artista che diventa immortale. ♡ Cominciamo un altro capitolo. È collegato a quello precedente. Parliamo di come sono state viste le arti visive in epoche diverse dalla nostra. A livello di studi antropologici sappiamo che l’arte era collegata a contesti religiosi, e rituali. Ma quelle che chiamiamo arti visive (pittura, scultura, architettura che sono le più importanti) nelle società passate, come erano considerate? Noi oggi diamo all’arte un significato positivo. Poesia, letteratura, musica: un artista per noi ha la stessa dignità di un matematico o di astronomo. Ma non è sempre stato così. DEBRAY Questa diapositiva preannuncia ciò di cui andremo a parlare. Quindi a quando risalgono le origini del nostro concetto di arte? Debray dice al Quattrocento fiorentino, ma noi andremo a vedere che risale all’età di Giotto quindi scaliamo di un secolo, siamo nel Trecento. artigiano / artista Nell’antichità e nel medioevo l’artista è artigiano. È nel momento in cui si forgia una nuova nozione di arte che il pittore da artigiano diventa artista. Non significa che gli artisti del ‘200, Antelami, Wiligelmo, Cimabue, Duccio di Buoninsegna, sono artigiani. Noi li considerano artisti ma allora non era un lavoro artistico, ma artigianale. Molto banalmente: la pittura, la scultura e l’architettura facevano parte delle arti meccaniche. È un SAVOIR FAIRE, un insieme di competenze. Ars è una competenza. Le arti meccaniche comprendevano competenze che implicavano uno sforzo fisico. Significa che pittura, scultura e architettura per secoli fin dall’antichità sono attività artigianali come caccia, arte della navigazione, equitazione, medicina. È una mentalità completamente diversa rispetto alla nostra. Ecco perché il concetto di arte cambia nel corso dei secoli: nel medioevo è un artigiano che rende gloria a Dio, non si esprime liberamente, cioè, lo fa, ma questo aspetto della sua produzione non è riconosciuto. Diapositiva riassuntiva: - Arte: sia greco che latino, indicano un’attività professionale. - Le Artes. Abbiamo 2 gruppi: le arti liberali, che implicavano sforzo mentale, e le arti meccaniche, che implicavano uno sforzo fisico. Quindi le nostre arti visive erano allora meccaniche. Non si riconosceva un aspetto intellettuale, di movimento del pensiero. Fare una torta o un dipinto è la stessa cosa nella mentalità antica e medievale. Le arti liberali si dividevano in arti del trivio e del quadrivio: * Trivio: Grammatica, retorica, logica, e poi in seguito anche poesia (retorica) * Quadrivio: aritmetica, geometria, astronomia, e musica (numerica). Poesia e musica vediamo che sono a un livello diverso. La musica fa parte del quadrivio perché i suoi intervalli sono numerici, la poesia per la sua vicinanza alla retorica fa parte del trivio. Poesia e musica sono arti liberali mentre le arti visive sono meccaniche. Dal Trecento inizia un processo grazie al quale alle arti visive viene riconosciuto (nonostante l’atto meccanico del gesto) un lato intellettuale. Il processo è lungo: dal 300 ci porta nel 500 alle accademie che sanciscono l’idea che un artista è allo stesso livello di un poeta per coinvolgimento dell’intelletto. Quello che noi chiamiamo arte lo indentifichiamo a partire da Lascaux, ma effettivamente quando diventa per il sentire comune arte come un’attività non solo pratica, ma anche spirituale, che implica una dimensione mentale? Recap: ars: UN SAPER FARE, un insieme di competenze che uno possiede in diversi ambiti. L’antichità divideva le arti meccaniche dalle arti liberali. Le liberali implicavano uno sforzo mentale, le meccaniche, uno sforzo manuale. - La pittura e la scultura erano Artes meccaniche come l’equitazione, la caccia, la navigazione. A livello di status, l’arte della navigazione e della pittura erano identiche. Il pittore non è superiore al cacciatore perché sono entrambi arti pratiche. L’aspetto creativo non veniva ancora riconosciuto. Questa è la situazione, ma non sono mai veramente statiche e fisse, nel senso che questa distinzione è vera ma contraddetta dal fatto che comunque artisti dell’antichità raggiunsero un certo prestigio sociale, e anche dal fatto che fin dall’antichità esiste il principio della pittura come la poesia. L’ut pictura poesis è un concetto dell’antica Grecia poi ripreso da Orazio. L’artista è un artigiano, che usa le mani. Il percorso deve seguire questa progressione, per arrivare a visione moderna di arte: In primo luogo è necessario che a pittura e scultura venga riconosciuta una dimensione non solo materiale ma anche mentale, che avverrà come vedremo nell’età di Giotto: comincia nel 300 in Italia poi tra 400 e 500 si afferma pienamente. Il processo in cui assistiamo è di emancipazione delle arti visive come liberali, quindi anche di rivendicazione del carattere liberale dell’arte, che andrà a culminare con la creazione delle accademie d’arte fondate sul modello delle accademie poetiche del Rinascimento. 1° Il primo passo quindi, è l’arte come scienza, come forma di conoscenza del mondo: si riconosce a pittura, scultura, e architettura un lato scientifico, a partire da Giotto per poi affermarsi nel 400. Questo stralcio che propone è interessante fa capire cosa lo spettatore medievale si aspettava entrando in chiesa. Descrive l'incanto del MOSAICO, delle vetrate, degli elementi che riflettono la luce. Tutto questo lo fa sentire più vicino a dio. “trasferendo ciò che è materiale a ciò che è immateriale, per via ANAGOGICA”: l'idea è che la luce materiale, quella che penetra attraverso le vetrate, che rifulge nei mosaici, è una metafora della luce spirituale. La luce materiale ha un significato spirituale perché porta in maniera metaforica a pensare alla luce divina e quindi a dio. È importante questo aspetto della luce materiale come tramite di luce spirituale, perché non è solo un portare i fedeli a dio ma c'è l’aspetto della sensazione visiva che mi porta a immaginare una sfera ultraterrena. Se leghiamo i versi sui battenti del portale centrale dell’abbazia, capiamo meglio: Nobilmente risplende l'opera, ma l'opera che risplende nobilmente illumina le menti: la luce materiale illumina e diventa metafora di luce spirituale. La porta qui è metafora della porta del paradiso. Libro disegnato di Honnecourt - 1240 ca. Rarissimo, appartenuto ad un architetto della Piccarda (regione della Francia a nord di Parigi). ♡ È una sorta di taccuino in cui l’architetto/scultore fa degli schizzi: sono un insieme di modelli da seguire quando si fanno delle decorazioni o si costruiscono parti di edificio. È un testo di grandissima importanza per capire come procedeva l’artista medievale: esso non parte dall'osservazione del dato naturale per rifletterlo nella sua rappresentazione, ma prende schemi astratti e li sovrappone al dato naturale creando gli effetti di schematismo e stilizzazione che vediamo in tutta l'arte medievale. Quello che gli interessa dell'aquila non è la forma dell'aquila, ma fare rientrare la sua forma nel sistema geometrico della stella. Questo libro con disegni ci fa capire che l'artista medievale si serve di schemi geometrici. Gli interessa che il dato naturale vada a adattarsi a questi schemi a priori. L'effetto ovviamente non è naturalistico se interessa lo schema e spesso questi schemi sono i medesimi, dando un’impressione di ripetitività dei modelli. Nel medioevo il concetto di originalità non esiste, comincia nel Rinascimento ed è una categoria romantica. Lo ritroviamo in Girodet ad esempio. Nell'età medievale l'artista deve rifarsi a dei modelli, e le individualità si manifestano in dettagli minuti. Possiamo accostare opere anonime che hanno caratteristiche molto simili (come accade per il maestro di san Martino, autore pisano anonimo). Non c'è l'idea ovviamente che l'artista possa fare quello che vuole. SCHLOSSER - L’arte del Medioevo, 1961 E un librino breve che dà chiavi di lettura importanti per l'arte medievale. Lui è un grande storico dell'arte che fa parte della scuola di Vienna. Commenta Honnecourt. organica: naturale. originale: a noi risulta originale. L'artista non parte da una forma naturale ma da schemi geometrici elementari, astratti e ideali costruiti con riga e compasso. Schlosser fa una distinzione tra modo di procedere dell'artista medievale e modo di procedere dell’artista rinascimentale. Ci verrebbe da chiederci: “sì, le figure medievali si adattano a schemi geometrici ma Piero della Francesca non fa la stessa cosa? Con gli abiti che sembrano colonne scanalate e volti ovoidali?” Il testo di Schlosser ci aiuta a capire che non è così. L'artista medievale parte da uno schema e vi sovrappone il dato naturale (quindi effetto astrattistico/stilizzativo) il rinascimentale parte dalla forma naturale e rintraccia in essa forme geometriche (quindi effetto più naturalistico). Gli ordini mendicanti e Federico II di Svevia Questa situazione non è destinata a durare: a un certo punto, nel Duecento, ci sono una serie di cambiamenti di mentalità. 1. Il 1200 è il secolo degli ordini mendicanti, i francescani e domenicani, e si afferma una visione della storia sacra più umanizzata, di un dio vicino all’ uomo. Notiamo che inizia a esserci una tendenza più naturalistica. 2. Si guardano le opere dell'antichità cercando di comprenderne il naturalismo. Questo avviene per motivi politici nelle zone dominate da Federico II di Svevia, in Sicilia e Puglia. In un revival del modello imperiale, lui spinge verso una ripresa dei modelli dell'età classica imperiale romana. Odiava il papa che lo scomunicò due volte vedendo in lui l’anticristo (era Gregorio IX). Potenzia la ricerca scientifica di allora, e in un suo trattato sulla caccia dice che bisogna rappresentare LE COSE CHE SONO COME SONO, cioè esprime nuova esigenza di adesione alla natura che è la stessa idea del francescanesimo, un vedere nelle creature della natura delle creature di dio, da guardare con profondo rispetto e nuovo interesse. Nicola Pisano, e la formazione pugliese Lo scultore che dà una svolta all'arte medievale prima di Giotto virando verso il naturalismo è NICOLA PISANO. Nicola Pisano si firma nei documenti come NICOLA DE APULIA, ha una formazione pugliese e sicuramente lavorò nel cantiere di Castelmonte di Federico II. Si forma nella cultura federiciana e va a sviluppare la sua arte in Toscana PULPITO DEL BATTISTERO DI PISA: esempio di naturalismo nell'arte medievale. Leggiamo cosa scrive BURCKHARDT Parla della dimensione magica del pensiero medievale. Quando parlava del 700 citava la distruzione delle leggende e delle mistificazioni della religione; nel medioevo si viveva di superstizioni, credenze, e l'approccio con la realtà è irrazionale. L'uomo non è individuo ma comunità: si riconosce come razza, popolo, partito, corporazione, famiglia: non c’è l’idea dell'io mi distinguo. ♡ In Italia questo si dissipa nell'aria: questa visione delle cose del mondo comincia a incrinarsi con questa raccolta naturalistica di Nicola Pisano (il Pulpito del battistero di Pisa risale al 1260) precedente alle grandi opere di Giotto, considerato come colui che ha cambiato il corso dell'arte medievale. Prima c'è Nicola Pisano. In lui non c'è paratassi ma sintassi, si cerca un naturalismo, una certa spontaneità nella rappresentazione di queste espressioni. Nel medioevo non interessa l’espressività, ma ora una nuova palette affiora in maniera molto forte. Si vede che Nicola Pisano usa modelli antichi ed è quindi classicista nel modo di rappresentare le figure. Giovanni Pisano Vediamo la scena della strage degli innocenti di Giovanni, che vivrà questo naturalismo in chiave espressionistica dando alle figure un forte senso del movimento. Il movimento spiraliforme tipico delle sue figure sarà un modello per Donatello e Michelangelo, come riconobbe Vasari. Notiamo il dinamismo del gesto di Erode e il groviglio di corpi drammatico nella strage degli innocenti. Dante in alcune scene del purgatorio si è ispirato secondo degli studi a Nicola, ma Giovanni è importante anche per un altro motivo. Lungo la cornice del Pulpito del duomo di Pisa, del primo decennio del 1300, corrono delle iscrizioni. Giovanni fa qualcosa che nessun aveva mai fatto prima, secondo quello che ci è rimasto di materiale scultoreo architettonico. In queste iscrizioni si difende dalle accuse che gli avevano mosso dei detrattori e rivendica la bontà del suo lavoro. In un’opera fatta per stare nella cattedrale, osa prendere la parola e rivendicare bontà del suo lavoro. QUESTO, questa rivendicazione, è una spia fondamentale del fatto che l'artista non si sente più solo un artigiano. Nessuno avrebbe mai osato fare gesto così audace. Ci sono dei cambiamenti in corso e gli artisti cominciano a rivendicare un loro ruolo nella società che non può essere solo il ruolo dell’artigiano. ♡ Il movimento spiraliforme tipico di Giovanni Pisano accende le sue sculture, si vede anche in quelle del duomo di Siena, che adesso sono al museo di Siena dell'opera del duomo. Giovanni immaginò di rappresentare in questa facciata del duomo delle sibille, dei profeti, come invasati dal fatto che ci sarà la Vergine, che darà alla luce Gesù. Si vede come in queste Giovanni cerca di rendere un invasamento divino di figure sacre. Le sibille nella facciata sono in dialogo fra loro, si guardano. Se durante l'esame ci fa vedere questa immagine e ci chiede “Perché abbiamo parlato di Pisano?” LA PRIMA COSA DA DIRE E': “A PROPOSITO DEL PERCORSO CHE LE ARTI VISIVE HANNO ATTRAVERSATO PER DIVENTARE ARTI LIBERALI, E QUESTA DIAPOSITIVA MOSTRA COME GIOVANNI PISANO ABBIA RAPPRESENTATO UNA PRIMA SPIA DI CAMBIAMENTO”. Dobbiamo sempre prima agganciarci al filo conduttore. Dobbiamo trasmettere come abbiamo tentato di capire COME ERANO CONSIDERATI L'ARTE E L'ARTISTA IN QUEL MOMENTO DELLA STORIA. Dobbiamo parlare del fatto che con l'iscrizione Giovanni rivendica la bontà del suo lavoro e non si considera solo un artigiano. ENRICO CASTELNUOVO Come ha notato Enrico Castelnuovo: “Tutto ciò non significa solo l’emergere di un certo tipo di comportamento, la coscienza di una capacità creativa sentita e vissuta come una missione, ma anche l’accettazione da parte del pubblico e dei committenti di queste forme di presentazione di sé partigiana e autoesaltante”. ♡ Sempre di Giovanni Pisano è la Madonna col Bambino del 1305-1306, che si trova nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Qui c’è una visione della storia sacra più umanizzata, mentre la madonna col bambino nell'arte duecentesca è sempre statica, non c'è dialogo fra i due. Con Giovanni, e anche in Francia nel gotico, si fanno dialogare, diventa il dialogo di una madre con il figlio. Il Gesù di Giovanni guarda intensamente la madre, e questo provoca uno sbilanciamento della figura: c’è la negazione degli assi di simmetria e si raggiunge un forte senso di dinamismo, perché il bambino è innalzato da un lato. espressionismo di Giovanni pisano: Espressionismo è un termine che si utilizza in questo caso in maniera indebita, perché l’espressionismo è un’avanguardia del ‘900. Con espressionismo, in relazione a Giovanni Pisano, si intende il fatto che mentre Nicola Pisano è classicista nel modo di rappresentare le figure e nel modo di interpretare l'antichità, Giovanni accentua il lato espressivo delle composizioni dando un maggior senso del movimento, come nel caso della strage degli innocenti, che sembra animata da questi grovigli di corpi che stanno per uscire dalla superficie scolpita; c'è un aggetto degli elementi plastici e quindi c’è un’accentuazione della dimensione del dolore, della sofferenza, oltre che del movimento. In Nicola queste cose non le troviamo. Questo modo di muovere le figure in chiave spiraliforme dà la sensazione che sia una spirale divina ad agitare il corpo. ♡ Platone di Siena: Giovanni voleva inserire nel duomo di Siena sibille, profeti, e filosofi che avevano previsto la venuta di Gesù. Questo Platone trasmette un senso di forza compressa ed energia latente che si nota particolarmente nel bordo della tunica tirato. Nicola è importante per: classicismo/naturalismo/spontaneità/sintassi Giovanni è importante per: espressionismo + iscrizione GIOTTO L'arte giottesca è quella che incarna una nuova fase dell'arte medievale. C'è: 1. una nuova adesione alla realtà, 2. un nuovo senso dello spazio, 3. dell’espressione dei sentimenti e degli stati d'animo, e 4. una riscoperta della natura da parte dell'artista. Siamo tra fine ‘200 e inizi ‘300. ♡ Boccaccio Lui e Petrarca contrappongono Giotto alla pittura precedente e dicono che Giotto ha fatto rinascere un’arte che era stata sepolta. Boccaccio : ‘egli’: Giotto ‘arte’ : pittura ‘fatta riemergere’: rinascere Dice: Giotto ha fatto rinascere un’arte che a causa di vari errori era stata sepolta, e anche a causa del fatto che era un’arte che tendeva dilettare gli occhi degli ignoranti piuttosto che compiacere l‘intelletto dei saggi = La pittura di Giotto, contrariamente alla precedente, non serve per abbindolare gli occhi degli ignoranti (fedeli?) ma fa un’arte in cui i savi vedono stimolato il loro intelletto. C’è una svolta nell’ambito delle arti meccaniche e liberali. L’arte di Giotto si pone sul livello intellettuale, e con gli intellettuali che si occupano di Giotto, si parla di cambiamento dello statuto dell’artista. Riflettiamo sulla frase di Boccaccio: Giotto fa rinascere quell’arte antica che era stata sepolta dall’ignoranza e da un tipo di arte che si preoccupava di colpire lo sguardo senza procurare piacere intellettuale. A cosa allude Boccaccio quanto parla di arte che tende a dilettare occhi degli ignoranti? I M P O R T A N T E: si riferisce all’arte bizantina. ♡ (Cennino Cennini a proposito di questo dirà ‘rimutò l’arte del dipingere dal bizantino al latino’ ovvero alla tradizione greco-romana occidentale) Ma più semplicemente, generalmente, ci si riferisce all’estetica della luce dell’abate, a questo “devo dimenticare la valle di lacrime e proiettarmi in una Gerusalemme celeste”: questo è dilettare, è un “ti abbindolo con materiali preziosi e abbagli di luce”. Tutto questo, che era un valore nell’XI/XII secolo, viene considerato ora un disvalore perché si chiede un’adesione alla natura, un modo di interpretarla, non un rimandare a dio attraverso la luce. ♡ In questo riportare l’arte all’antico, Giotto è moderno. La modernità nel Rinascimento consiste nel ritornare a un’arte della tradizione occidentale e non di quella bizantina. Ripetiamo: Quando Boccaccio dice che quell’arte serviva a “dilettare gli occhi” si riferisce a una funzione dell’arte che aveva avuto grande diffusione del medioevo e che abbiamo identificato come ESTETICA DELLA LUCE, questa idea che la luce materiale deve ricondurre alla luce spirituale. In quella frase c’è un riferimento a quella esigenza estetica che aveva l’umanità di quel tempo, quando l’arte doveva riportare a Dio. A questo tipo di arte Boccaccio contrappone l’arte di Giotto, che ci riporta alla natura, e attraverso l’adesione alle problematiche legate allo spazio e al lato emozionale fa sì che l’arte di Giotto abbia un suo interesse intellettuale e provochi nel pubblico dei dotti un piacere che è intellettuale. quindi spazio + emozione = lato intellettuale ♡ Petrarca Oltre che essere uno dei più grandi intellettuali dell’epoca è pure preumanista: comincia ad interessarsi ad una lettura più adeguata e puntuale dei testi classici. Nel testamento lascia al signore di Padova, dove si era stabilito, un’opera di Giotto, una tavola, “la cui bellezza gli ignoranti non comprendono ma i Magistri (gli intellettuali) se ne stupiscono”. QUINDI: la bellezza di Giotto non è fatta per abbindolare gli ignoranti con effetti preziosi, ma va a dare piacere (riprendendo Boccaccio) all’intelletto delle persone colte. ♡ ! Si fa così una sorta di “estensione di pubblico” che è sbagliata. Alla fine le opere di Giotto erano viste dal popolo e non era un’arte elitaria rivolta solamente agli intellettuali. Era rivolta alla gente comune che in quelle opere si riconosceva. Giotto si fa interprete di nuove esigenze, e di qui il suo grande successo, però evidentemente a Boccaccio e Petrarca sta a cuore sottolineare questa differenza profonda rispetto all’arte precedente. Le frasi di Boccaccio saranno ripetute nella trattatistica quattrocentesca in continuazione e ciò deriva dal fatto che i due intellettuali si sono riconosciuti nella scelta giottesca, che permette loro di elevare l’artista al rango di intellettuale. La distinzione di Petrarca e Boccaccio è tra 1. il pubblico e gli artisti ignoranti del passato e 2. il pubblico intellettuale e l’artista saggio di oggi, che è Giotto e coloro che lo apprezzano. Cennino Cennini Siamo qua agli inizi del ‘400, Cennino Cennini è un allievo di Giotto che scrive Il libro dell’arte, che non si differenzia affatto dai libri di laboratorio e dai trattati tecnici del medioevo, anche se come vedremo la tecnica pittorica della pittura a tempera con Giotto cambia. Il tipo di prescrizioni che dà Cennini sono però diverse del Diversarum Artium Schedula, un ricettario che rappresenta una sorta di enciclopedia del sapere tecnico del medioevo nel campo dell'arte e dell'artigianato, presentato per la prima volta in termini di chiarezza e divulgazione. Il Diversarum venne scritto da Teofilo, un monaco cristiano tedesco, vissuto probabilmente nel XII secolo nell'area renana (Teocrito: Arcadia) . Il testo di Cennini contiene questa frase significativa che verrà riportata da altri autori: Trasformò l‘arte del dipingere dal greco al latino. C’è un ritorno all’arte classica, agli antichi, e ridusse al moderno ‘Moderno’ significa essere del proprio tempo, anche se noi ci consideriamo contemporanei. Significa essere legato alla cultura del proprio tempo: il moderno è l’oggi. 1 Il moderno, e così sarà anche per gli artisti del Rinascimento, è il ritorno agli antichi, mentre nel 700 i moderni saranno contrapposti agli antichi. 2 - Rapporto con gli antichi nel rinascimento: ‘io sono moderno se ritorno agli antichi’; - Rapporto con gli antichi nel 700: i gruppi sono distinti e separati e non può ritornare l’antichità. 3 Allora era come dire “io artista di oggi lo sono perché mi rifaccio all’antico che è il mio modello”; mentre nel 700 i moderni si considerano diversi dagli antichi e non c’è possibilità di conciliazione. C’è una specificità in Italia Debray dice che l’artista diventa artista nel 400 fiorentino quindi italiano perché in Italia la tradizione greco-romana aveva un peso molto forte, così forte che anche nel pieno del medioevo l’Italia non ha mai dato, ad esempio nel campo architettonico, aspetti di misticismo che vediamo in altri paesi. Il gotico tende a far svettare la chiesa verso l’alto, e l’uomo è sopraffatto. Se andiamo a guardare il gotico italiano come la basilica di san Francesco vediamo che lo slancio verso l’alto è sempre in realtà contenuto perché l’artista italiano tende a considerare l’uomo come uno strumento di misura e di porzionamento dello spazio: in una chiesa medievale italiana mai succederà che il nostro sguardo si perde come nella cattedrale di Colonia o a Chartres. La cultura italiana è come se avesse nel suo DNA i principi dell’ARTE CLASSICA in cui l‘uomo è misura di tutte le cose e non ci si deve stupire se la svolta verso una nuova centralità dell’uomo rispetto a Dio avvenga in Italia. Non è un caso che sia anche la patria di san Francesco. La Prospettiva ♡ La nascita della prospettiva brunelleschiana è emblematica della nuova importanza data all’uomo come artefice e misura del proprio spazio. ♡ L’architetto ha in mano il problema della gestione dello spazio prima ancora del problema del realismo delle figure, dell’anatomia. È in primo luogo una questione di spazio. Allo spazio infinito e indefinito del fondo oro, a partire da Giotto e dal 400, si contrapporrà uno spazio misurabile, e la prospettiva serve a rendere lo spazio a misura d’uomo per permettergli di avere il senso del dominio nei confronti dello spazio circostante. ♡ Si vede nelle chiese di Brunelleschi: se entriamo in san Lorenzo (Firenze, 1420) non abbiamo un’impressione di smarrimento ma di dominio, abbiamo la capacità di misurare lo spazio. Non è lo spazio, Dio nella prospettiva medievale, che domina l’uomo. La trinità di Masaccio – 1427 – santa Maria novella ♡ Il dipinto si trova nella terza campata della navata sinistra della basilica di Santa Maria Novella a Firenze ed è databile al 1426-1428. ♡ È emblema di un’arte in cui anche la rappresentazione divina è sottoposta a leggi prospettiche. ♡ È un esempio di trompe-l’oeil in cui è rappresentato il dogma della trinità che non ha niente di narrativo, è l’identità del padre, figlio, e spirito santo, che è un mistero come tutti i dogmi della chiesa, e non c’è niente da capire. ♡ Il dogma, qualcosa di assolutamente spirituale e astratto, è inserito in uno spazio misurabile che sembra continuare lo spazio della chiesa. ♡ Ci sono due lesene che inquadrano un arco a tutto sesto come nella tradizione greco-romana, attraverso cui si accede a uno spazio dominato a una volta a botte cassettonata. C’è uno spazio che viene finto sulla parete e sembra in continuità con lo spazio reale. * Tutto questo nasce dai falsi coretti di Giotto della cappella degli Scrovegni. Ecco: un altro snodo fondamentale nella rappresentazione illusionistica dello spazio è proprio la trinità di Masaccio. principio della prospettiva: cosa è? Cosa implica la legge prospettica? - Riduco le tre dimensioni a due dando l’impressione si tratti comunque di tre dimensioni. È in base a questa legge che i rapporti tra i vari elementi del dipinto vengono congegnati. - Siamo davanti a un tipo di composizione sintattica. - L’inversa proporzionalità è il principio base: all’aumentare delle distanze diminuisce la misura degli oggetti. Se io mi allontano di tre centimetri, la figura diminuirà di tot. La prospettiva si basa su questo. ♡ La definizione sarebbe: RIPORTARE LE TRE DIMENSIONI SU DUE DIMENSIONI, SEGUENDO IL PRINCIPIO DELL’INVERSA PROPORZIONALITA’. Aumento la distanza, diminuisco proporzionalmente le figure. In un dipinto prospettico le cose più lontane sono più piccole. ♡ Brunelleschi e coloro che seguivano la prospettiva erano convinti questa fosse una legge della visione. È verissimo, ma ciò non avviene affatto secondo il principio dell’inversa proporzionalità. Noi vediamo gli oggetti allontanarsi ma questo dipende dalla prospettiva sferica: non esistono le direttrici che confluiscono in un unico punto di fuga anche perché la visione prospettica prevede che ci sia un solo occhio, mentre la visione umana è bi oculare. Il motivo e il modo in cui vediamo gli oggetti più piccoli con l’aumentare della lontananza sono più complessi rispetto al principio della prospettiva quattrocentesca. ♡ L’effetto della prospettiva è che lo sguardo dell’uomo organizza lo spazio davanti a sé in maniera comprensibile. Tutto è organizzato in base allo sguardo: è l’emblema di questa centralità dell’uomo, che prima veniva sommerso dalla visione unistica e divina. La prospettiva nasce da un’esigenza di rappresentare lo spazio in base allo sguardo dell’uomo. ♡ La pittura viene considerata come una forma di conoscenza del mondo: io conosco il mondo e lo domino attraverso l’inversa proporzionalità. fiamminga c’è sempre un pdv rialzato che identifica più dettagli. Mentre più è ribassato, è più è sintetico. La chiesa di san Lorenzo La pianta della chiesa di San Lorenzo DI BRUNELLESCHI è organizzata secondo un modulo ben preciso ovvero il quadrato che individua una campata delle navate minori (la campata è lo spazio compreso tra due arcate). Il modulo quindi è il quadrato che viene ripetuto lungo tutto il perimetro della chiesa e se vediamo la navata centrale, questa è esattamente il doppio della navata laterale. Il lato di questo quadrato è il modulo da cui parte tutto (l’area del quadrato è lato x lato, poi il quadrato lo moltiplichiamo per due e otteniamo lo spazio corrispondente nella navata centrale). Questa lunghezza del lato del quadrato è scelta in rapporto all’altezza in modo tale che la figura umana media (circa 1 metro e 70 cm) sia il centro proporzionale. L’uomo ha così l’impressione di dominare completamente lo spazio. Mentre la pittura, anche se non l’abbiamo davanti in qualche modo una buona foto ci dà delle buone idee, per scultura e architettura è diverso perché esse si addentrano nello spazio e noi dobbiamo addentrarci in loro. ♡ In cosa si vede questa volontà brunelleschiana di rendere chiara la struttura spaziale? Questo bicolorismo (muro bianco e pietra grigia) serve per rendere tutto segnalato, tutto deve essere chiaro e comprensibile. Questa NUOVA CONQUISTA dello spazio e questa nuova visione delle cose parte in Italia - Debray diceva - nel Quattrocento ma noi in base a Petrarca e Boccaccio l’abbiamo spostato a Giotto. Il Gotico Internazionale/Cortese L’arte dominante dalla seconda metà del Trecento fino alla prima metà del 400 (o fino al 500) negli altri paesi europei è il Gotico Internazionale o Gotico Cortese, che si sviluppa nelle corti europee. È caratterizzato da: ♡ grande eleganza, ♡ grande piacevolezza e gusto nei colori, ♡ punte talvolta naturalistiche ed espressionistiche nella rappresentazione dei volti, ♡ attenzione particolare per le notazioni d’ambiente, ♡ gusto anche per la ricostruzione degli edifici reali, ♡ ma senza alcun senso dello spazio. Nel Ciclo dei mesi a Trento (attribuito a Vinceslao), o nel Libro delle ore dei fratelli Limbourg (I fratelli Paul Limbourg, Jean Hennequin Limbourg ed Hermann Limbourg sono stati tre miniatori olandesi, tra i più significativi rappresentanti della pittura franco-fiamminga del XV secolo), le figure sono stilizzate, appiattite sul fondo. Matteo Giovannetti Le origini del Gotico Cortese le facciamo risalire a un artista viterbese vicino a Simone Martini (parliamo della pittura senese del ‘300): Matteo Giovannetti, che durante la cattività avignonese viene chiamato dal papa ad affrescare il Palazzo dei papi (siamo circa a metà del Trecento). Matteo crea un tipo di linguaggio destinato ad avere successo strepitoso fino al ‘500. Si trova ad operare in un contesto straniero, e di corte. Quindi cosa fa? C’è un’impostazione spaziale che ricorda Giotto, ma non è volto a creare quell’effetto di chiarezza compositiva, di solidità corporea che hanno le figure giottesche: sono figure molto leggere, con un gusto per la linea, per l’eleganza, che è un aspetto tipico dell’arte senese. La scuola senese tende ad eleganza e stilizzazione, in contrapposizione al realismo della scuola fiorentina con Giotto. Certo c’è in mezzo Giotto anche per l’espressività dei personaggi, ma le figure sull’elegante sfondo blu non hanno niente a che vedere con l’approccio giottesco. Troviamo una certa attenzione nei confronti della natura (come si vede nella camera del cervo), rappresentata decorativamente con un effetto arazzo, in maniera elegante, raffinata, con un piacere della profusione dei colori dei fiori, della frutta, delle piante, ma l’obbiettivo dell’eleganza è più importante rispetto all’adesione vera dell’arte naturale. Il fiore è sempre stilizzato. Pisanello -San Giorgio e la Principessa, affresco, Verona, Santa Anastasia . 1436-1438 – IMPOSTAZIONE PARATATTICA Contemporaneamente ci sono linguaggi diversi in Italia. Pensiamo al Masaccio della Trinità, al Brunelleschi degli affreschi della cappella Brancacci, e vediamo Pisanello che rappresenta il san Giorgio che parte per uccidere il drago (1436): guardiamo come siamo lontani dall’idea di Masaccio, di Donatello, di Brunelleschi. È tutto stilizzato. Ma quello che ci interessa qui (e che ci fa pensare alla formella per il concorso per la seconda porta del battistero) è l’impostazione spaziale paratattica: i personaggi sono messi gli uni accanto agli altri, l’organizzazione spaziale non è organica. Lo sguardo vaga da un dettaglio all’altro perché c’è un principio di varietà che ha la meglio sull’organizzazione spaziale. A Pisanello interessa che lo sguardo VIAGGI, non c’è un’impostazione organica ma tutto appare come se fosse un discorso basato sull’enumerazione (come dire: ‘ci sono tante cose: le piante, i cavalli, le bardature, il cavaliere, gli uomini sullo sfondo’, tutta una serie di cose in successione). Mentre se io voglio fare un discorso che abbia un’impostazione sintattico-organica, non enumero. Parlo in primo luogo di quello che mi sembra importante, e strutturo gerarchicamente il discorso. Leggendo una pagina si capirebbe subito quale è l’idea centrale, con le idee secondarie che ruotano attorno a essa. Nella letteratura latina dell’età classica, il discorso ciceroniano (in cui c’è la principale e tutte le secondarie messe in un certo ordine) è un termine di confronto con Masaccio, Donatello, Brunelleschi. Giotto e gli umanisti di Baxandall La professoressa ha in mente, mentre parla, un libro di fondamentale importanza per capire l’arte del 400 che è ‘Giotto e gli umanisti’, di Michael Baxandall, in cui si parla del ruolo del modello retorico ciceroniano nella pittura del Quattrocento. Perché dice questo? Alcuni di questi artisti del 400 erano molto dotti, e legati agli umanisti che vanno a recuperare il latino dell’età classica e il latino ciceroniano in cui c’è la proposizione principale e tutta una serie di proposizioni secondarie dipendenti dalla principale, introdotte dall’ut (‘affinché’) o da un ablativo assoluto. Ci sono vari modi attraverso cui posso collegare le varie proposizioni e corrispondono tutti alla consecutio temporum. È una maniera organica, chiara, e gerarchica di organizzare un discorso. Baxandall fa capire nel suo libro come questo modello retorico abbia avuto una sua influenza fondamentale nel modo di organizzare le scene narrative nella pittura o nella scultura del Quattrocento. Se ripensiamo a Brunelleschi, al sacrificio di Isacco, lo sguardo era attirato dal dramma del nucleo della storia, quindi c’è una certa gerarchia. “In questo affresco di Pisanello a Verona, come è organizzato lo spazio?” Vediamo questo sedere del cavallo messo tra i due protagonisti, che sono la principessa e san Giorgio. Poi abbiamo un cane in primo piano, del fogliame; dietro sono presenti altri personaggi, dietro ancora c’è una montagna. Già nel modo in cui si racconta questo dipinto non ci si sofferma su un nucleo dell’azione, ma viene spontaneo enumerare gli elementi del dipinto. Noi stessi parliamo paratatticamente. ♡ Se dovessimo paragonare il modo di impostare lo spazio del gotico internazionale a un tipo di discorso non lo collegheremo a Cicerone, che è quello che fanno gli umanisti a partire da Petrarca a Padova in quegli stessi anni, ma alla retorica greco-bizantina basata su un’organizzazione del discorso paratattica. ♡ L’organizzazione gerarchica del discorso ciceroniano è come la prospettiva. Ci possiamo inserire qui tutto il filone brunelleschiano, masaccesco, e di Donatello. In teoria potremmo analizzare un dipinto nella sua struttura come e fosse un testo verbale, anche se il linguaggio visivo ha sue peculiarità non traducibili in termini simili. Altro esempio: il gotico internazionale si interessa alla natura senza l’organizzazione spaziale La visione di sant’Eustachio - Pisanello Vediamo un bosco con l’apparizione della croce. Quello è il tema centrale: il cristo crocifisso nel bosco. In realtà siamo distratti. Un Masaccio avrebbe fatto una cosa diversissima: avrebbe rappresentato pochi animali, e al centro avrebbe inserito l’effetto drammatico della scena del santo davanti al miracolo. Ma Pisanello riempie l’immagine di elementi con grande adesione naturalistica. Non è estraneo al gotico cortese l’attenzione alla natura, ma manca il senso dell’organizzazione spaziale che la prospettiva stabilisce. La diffusione della prospettiva ♡ Negli anni ’50 del ‘400 comincia a diffondersi la prospettiva nel nord Italia in area padovana e veneta, ♡ ma anche nella zona romana grazie alla presenza a Roma di Masaccio, Brunelleschi c’era stato a inizio 400. ♡ Poi sorgeranno il Bellini e la tradizione veneta prospettica, ♡ poi il FOPPA e la tradizione ligure. ♡ Così come la prospettiva arriverà in Lombardia grazie ai Medici, essendo banchieri. - Fino alla metà del 400 il fenomeno della prospettiva tocca varie parti italiane ma nel resto della penisola vige il linguaggio del gotico cortese. Masaccio e l’ordine Pensiamo a Masaccio e alle opere che abbiamo visto: non ama i fronzoli, evita l’effetto piacevole, le figure femminili sono arcigne, non hanno dolcezza, perché è come se fosse concentrato nella radicalità del ‘basta disordine’. Lui vuole l’ordine, e questo significa dare centralità all’azione e non alla decorazione. Ghiberti tra Rinascimento e Gotico Cortese ♡ Ghiberti è un artista che viene considerato rinascimentale, e in effetti nel corpo di Isacco c’è il modello antico. Ma Ghiberti in qualche modo media le novità più radicali di Masaccio, Brunelleschi e Donatello, attraverso il senso dell’eleganza della decorazione, che è quella del gotico cortese. Ecco perché vince Ghiberti, perché unisce innovazione e tradizione. ♡ La radicalità di Brunelleschi fa paura, come radicale è Masaccio a questo stadio. Ricordiamo infatti che siamo nel 1401, all’inizio del Rinascimento. Viene preferita una soluzione intermediaria piuttosto che la radicale. Gentile da Fabriano Contemporaneo di Masaccio è Gentile da Fabriano con la sua Adorazione dei magi. C’è il gusto dell’oro assolutamente negato da Masaccio (di oro in Masaccio ci sono solo le areole), un gusto decorativo che rispecchia la volontà del committente. L’oro è un modo per dimostrare lusso, ricchezza, e potere. ‘andiamo all’estero’ C’è di base il gotico internazionale, ma qualcosa di nuovo di altrettanto innovativo, che possiamo paragonare a Masaccio per importanza, avviene nelle Fiandre con il genio dell’arte fiamminga: Van Eyck. Van Eyck comunque attua una grande rivoluzione, e già a fine 400 è tutta un’altra storia. Il linguaggio di Van Eyck si diffonde: ha successo perché riesce a rispondere alle esigenze dell’epoca, e va a quindi colonizzare un po’ tutta l’Europa. Arriva anche nella zona della Borgogna, nel sud della Francia, la cultura provenzale sarà tra fiammingo e prospettico. In ambito portoghese e spagnolo idem, e penetra anche in Germania. Nel 1448 Alfonso d’Aragona diventa re d’Italia meridionale e Sicilia. Viene dalla penisola spagnola, fa venire artisti spagnoli in Italia e colleziona opere fiamminghe a Napoli. Quindi le opere arrivano anche grazie alla situazione politica. I Medici avevano banche in tutta Europa e facevano penetrare opere fiamminghe in Italia, e viceversa. C’è una mescolanza che va accrescendosi nel corso del 400, e sfocia nelle grandi sintesi di fine 400. Immagine della QUADRERIA DI UN SIGNORE OLANDESE, WILLEM VAN HAECHT. Sullo sfondo della sala ci sono delle statue: c’è l’Apollo del Belvedere, la Venere Pudica (ovviamente sono dei calchi). Ecco sopra la statua della Venere che si copre, c’è un dipinto. È un Van Eyck perduto ma noto attraverso quell’immagine. Vediamo la figura di una donna in un bagno pubblico, a Bruges questi bagni erano molto diffusi ed erano luoghi di incontro e di trattazione di affari, come una piazza. Nell’arte fiamminga è frequente la rappresentazione della donna che si fa il bagno, faceva parte della cultura delle Fiandre. Vediamo anche qui uno SPECCHIO, che permette di fare vedere anche la parte laterale/posteriore del corpo della donna. ♡♡♡♡♡♡ Abbiamo tanti testi che ci fanno capire come la prospettiva fosse centrale nella riflessione estetica teorica quattrocentesca 1. Leon Battista Alberti – de pictura ♡ Leon Battista Alberti scrive il de pictura, la cui prima pubblicazione è del 1435. Lui era architetto ma anche scrittore, filosofo, e umanista. ♡ Nel de pictura Leon Battista fa una teoria della prospettiva, che dice di aver ripreso da Brunelleschi che non ha lasciato nulla, infatti che sia l’inventore della prospettiva lo sappiamo dalle fonti. ♡ Rivendica il ruolo intellettuale degli artisti tenendo conto sia della matematica che della poesia, il modello retorico ciceroniano. ♡ Leon battista Alberti crea così un parallelo tra - il modo di comporre ideale dell’artista rinascimentale - e il modo di strutturare il discorso nella retorica ciceroniana. ♡ Abbiamo quindi operanti due modelli: 1. Modello Scientifico 2. Modello Retorico per dire che le arti visive non sono artigianato. Rispiega: Leon Battista Alberti scrive tre trattati: il de pictura, il de statua, e il de re ædificatoria. De pictura: Leon Battista è un umanista e un architetto molto vicino agli artisti, anche a Brunelleschi. Cosa fa? Rivendica il ruolo intellettuale degli artisti in base a due modelli 1. Quello prospettico, per cui la pittura è una scienza, perché si basa sulla prospettiva che si rifà alla geometria euclidea e alla matematica abachista. 2. Quello retorico ciceroniano, che viene riscoperto in questi anni dagli umanisti, per il modo di comporre utilizzare e organizzare le forme, molto simile alla strutturazione del discorso nel linguaggio ciceroniano. 2. Ci sono tanti testi nel 400, per esempio quelli di Piero della Francesca, De prospectiva pingendi ("Della prospettiva del dipingere"), in cui l‘elemento fondamentale è la prospettiva. In che senso la prospettiva, per questi artisti e intellettuali, rende la pittura una scienza? 3, Matteo Colacio – Laos perspectivae Leggiamo un piccolo brano da un testo che si chiama ‘LAOS PERSPECTIVAE’, l’ode della prospettiva, di un umanista di origini calabresi operante in uno studio di Padova: MATTEO COLACIO. Leggiamo ode e cosa ci aspettiamo? Di cosa può parlare? Ci aspettiamo parli di pittura. Invece no. Un umanista del 400 che vive a Padova, centro di umanesimo molto fiorente, scrive un’ode alla prospettiva per esaltare DEI MAESTRI INTARSIATORI, Lorenzo e Cristoforo Canozi da Lendinara. Matteo scrive in onore delle tarsie del duomo di Padova. Quelle che vediamo nelle immagini sono le tarsie del coro del Duomo di Modena, del 1465. Tarsie: sono pannelli di legno costituiti dall’intarsio di legni diversi, per mimare stipiti di legno aperti con oggetti dentro, come libri e strumenti musicali. ♡ Siamo sicuramente stupiti del fatto che un umanista non parli di Antonello da Messina, di Mantegna, di Bellini, le grandi glorie della pittura del nord Italia, ma parla di maestri intarsiatori, che dal nostro punto di vista sono meno importanti di artisti che ha citato. Pensiamo a Masaccio: non andremmo a pensare a dei maestri intarsiatori. Décalage (spostamento/sfasamento): differenza tra nostro sguardo, per cui i grandi artisti della prospettiva sono pittori e scultori tipo Donatello, e lo sguardo invece quattrocentesco di un umanista che abita in quell’ambito, ed esalta i maestri intarsiatori. Per comprendere un contesto culturale dobbiamo prendere i testi dell’epoca. Storicizzare significa: “siamo sicuri che i grandi maestri della prospettiva fossero solo grandi pittori che pensiamo noi?”. Solo leggendo testi dell’epoca possiamo scoprirlo. Il testo di Colacio ci serve per scacciare un pregiudizio. Lui è un umanista ben consapevole delle novità, e identifica la prospettiva nelle tarsie prospettiche. ♡ ♡ I legni diversi hanno caratteristiche cromatiche e di grana diverse, e l’intarsio permette di creare effetti stereometrici di scorcio prospettico molto interessanti. ♡ Essendo il legno che imita stipetti, scaffali in legno, mobili in legno con ante ecc., il tutto diventa una sorta di ebbrezza della mimesi: il legno imita non solo in maniera prospetticamente perfetta gli oggetti, ma imita oggetti che anche nella realtà sono di legno, come la cetra. ♡ La tarsia è la quintessenza della prospettiva, in un dipinto c’è sempre una storia da narrare, c’è significato iconografico, mentre le tarsie rappresentano solo oggetti, è una richiesta sulla resa prospettica di ogni singolo oggetto. Vediamo cosa scrive Colacio. Premettiamo che potremmo dire: ‘beh, era amico dei maestri Canozi ma alla fine gli altri artisti non li conoscevano’ oppure ‘magari era ignorante, non conosceva i grandi maestri della prospettiva’. In realtà l’ode alla prospettiva comincia con una premessa lunga. Dice che il 400 è il secolo della prospettiva, e cita proprio alcuni dei grandi maestri. Dice “Si sono distinti nella prospettiva…” Tutta la lode è comunque un elogio a quei due da Lendinara. Colacio poi conclude con la citazione della diapositiva. !!! L’aspetto su cui dobbiamo riflettere è che la prospettiva permette di comprendere la natura, le forme, le misure. E il comprendere come si traduce per un artista, e per i maestri intarsiatori? Nel rappresentare la natura. Per questo Colacio usa questo chiasmo: “che voi comprendete le proprietà, le forme, le fattezze, le misure, la natura, non meno di come le rappresentate e che voi rappresentate tutte queste cose non meno di come le comprendere”. Quindi i maestri intarsiatori sono degli interpreti della natura che capiscono, interpretano e rappresentano la Natura stessa. Quando si parla di imitazione della natura, ecco, ogni secolo ha un significato diverso per questo rappresentare. Per il contesto culturale quattrocentesco umanistico prospettico, rappresentare è CONOSCERE la natura. All’appello ci dobbiamo connettere tutti anche se ci sono ottanta iscritti. Riprendiamo: - Il testo di Colacio è interessante perché ci dice qualcosa sullo statuto delle tarsie in quel periodo. - Nello sguardo del Quattrocento c’era una visione delle arti diversa dalla nostra: le tarsie hanno una dignità pari a quelle della scultura e pittura. - Ci fa capire anche che nella mentalità di un umanista del nord Italia del ‘400 la prospettiva è lo strumento attraverso cui l’artista comprende la natura. Rappresentarla significa conoscerla scientificamente. Qua vediamo attivo il modello matematico-scientifico. - Abbiamo detto come sia tutto legno che imita il legno. - In queste tarsie non c’è niente di tridimensionale. Sono dei legni intarsiati su due dimensioni che mimano le tre dimensioni. C’è un effetto particolare che ritroviamo a livello prospettico anche in certe opere di artisti del 400 inoltrato, tipo Antonello da Messina: l’effetto di EMINENSIA, deriva dal latino, da una espressione di Plinio, ed è l’idea che certi oggetti sembrino uscire fuori dalla superficie intarsiata. È il caso degli stipetti che sembrano aprirsi verso lo spettatore, o la cetra nell’esempio in basso. Leonardo da Vinci Il modello scientifico trionfa e ha il suo culmine nella figura di Leonardo da Vinci. Questo ci farà capire la rivendicazione del ruolo intellettuale delle arti visive attraverso il modello scientifico, nel caso di Leo si parla di pittura. Cioè Leonardo è un’artista convinto della superiorità della pittura rispetto alle altre forme di espressione artistica: a scultura, architettura, musica, poesia. ♡ La pittura è l’arte per eccellenza. Lui sottolinea come la pittura non sia un’attività manuale ma scientifica perché è convinto che si basi sull’occhio, e l’occhio ha la priorità sugli altri sensi ed è strumento di conoscenza: è come un “io sperimento il reale, e in quel momento osservando la natura in maniera profonda io conosco la realtà e lo strumento attraverso cui l’occhio rielabora questa realtà e ne mostra le leggi è proprio la pittura” // Quindi: osservando conosco le leggi e ti mostro che le conosco attraverso la pittura. // ♡ Infatti, in Leonardo non c’è il modello poetico/retorico. Come abbiamo visto, in Leon Battista Alberti ci sono i due modelli attraverso cui si rivendica il ruolo intellettuale degli artisti (quello scientifico e quello letterario). In Leo il linguaggio verbale è inferiore rispetto a quello pittorico. - Leonardo non si è occupato solo di pittura, ma ha usato dei disegni per documentare i suoi esperimenti scientifici e i suoi studi nel campo dell’idraulica, della meccanica, della fisica, della botanica. Ogni pagina dei Codici di Leonardo è piena di studi. percepisce grazie ai gesti. Leonardo è stato importante perché ha dato avvio a studi anche di fisiognomica che avranno importanza nei secoli successivi (Lavater nei suoi trattati di fisiognomica farà vedere come a certi tratti del volto corrispondano delle determinate passioni. Wiki: Il principale esponente della fisiognomica pre-positivista è stato il pastore svizzero Johann Kaspar Lavater (1741 - 1801). Il saggio di Lavater sulla fisiognomica fu pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1772 e divenne subito popolare. Le fonti principali dalle quali Lavater trasse conferma per le sue idee furono gli scritti di Giambattista della Porta (1535 - 1615) e del fisico e filosofo inglese Thomas Browne (1605 - 1682) del quale lesse e apprezzò Religio medici. In questo lavoro Browne discute della possibilità di dedurre le qualità interne di un individuo dall'aspetto esteriore del viso). Le emozioni si rendono attraverso le alterazioni dei tratti fisiognomici o attraverso i gesti. Perugino e Raffaello (1502/1504) - il crollo del modello scientifico Vediamo ora un confronto presente in tutti i manuali di storia dell’arte, che fa capire cosa succede tra 4 e 500, e perché a un certo punto il modello scientifico che ha il suo apice con Leonardo va a crollare. Si tratta delle due versioni dello sposalizio della vergine: da lato c’è Perugino, dall’altra Raffaello. Come Raffaello riesce a creare la sensazione di maggiore scioltezza, naturalezza e dinamismo? - La differenza fondamentale è che l’opera del Perugino sembra statica, rigida, e soprattutto è SIMMETRICA. La simmetria è un principio che serve per creare ordine. Abbiamo nel Perugino il sacerdote che sta al centro, e il suo copricapo si trova sulla stessa linea che va a finire sulla porta dell’edificio a pianta centrale sullo sfondo (la chiesa che nascerà dalla nascita del Cristo la cui origine sta nel matrimonio tra i due). Nel Perugino questo principio di simmetria è scoperto, è dichiarato, ma dall’altro lato, dal punto di vista prospettico, è meno riuscita rispetto a Raffaello. Avvicinando l’edifico a pianta centrale non lo rappresenta interamente, infatti è tagliato dalla CENTINA DELLA PALA. Nel Perugino il principio di costruzione dell’immagine è la simmetria, i personaggi sono gli uni accanto agli altri. Il copricapo e la posizione del sacerdote determinano l’effetto che abbiamo guardando il dipinto. Nel Perugino questo sacerdote è frontale, statico, simmetrico, e disegna l’asse in base al quale è costruita l’opera perché i gruppi sono equilibrati rispetto all’asse centrale. - Raffaello calibra lo spazio in maniera precisa. 1. L’edificio è allontanato e viene inglobato per intero. 2. L’edificio è posto in un centro virtuale di un ipotetico cerchio, di cui le teste dei personaggi in primo piano sono un arco di circonferenza (quindi una porzione della circonferenza). Questa costruzione noi non la vediamo, non la percepiamo immediatamente, ma questi mattoni rossi sono i raggi di questo ipotetico cerchio. Questo ci dà l’impressione di una maggiore naturalezza perché i personaggi non sono disposti paratatticamente, gli uni accanto agli altri, ma secondo questa disposizione ad arco di circonferenza, che ci trasmette un senso diverso di armonia generale. ♡ La costruzione di Raffello è così calibrata che si può permettere di negare l’asse di simmetria. C’è una centralità, ma siccome c’è già un’armonia che deriva dalla costruzione complessa dello spazio, si può permettere di negare l’Asse di simmetria in maniera lampante, facendo divergere l’inclinazione dell’asse del sacerdote rispetto all’asse di simmetria. Questo dà un enorme senso di naturalezza. Nella realtà il tipo simmetria presente nel Perugino non esiste, o se esiste ha comunque un movimento. Le figure sono schiacciate sul piano limite del dipinto verso lo spettatore e la chiesa incombe in maniera un po’ opprimente. Cambiamenti tra fine Quattrocento/inizio Cinquecento In un giro di anni dal 1490 (Botticelli) al 1520 ci sono ulteriori cambiamenti. - L’arte quattrocentesca in certe manifestazioni italiane è molto più legata a disegno, ordine, simmetria, perché sono quelli gli aspetti che interessano agli artisti in quel dato momento. - Nel Cinquecento c’è un ammorbidimento delle regole prospettiche del Quattrocento in nome di una maggiore naturalezza e spontaneità, che in Raffaello non si traduce nella negazione di ogni regola ma nel dominio perfetto della regola: lui conosce benissimo la prospettiva, ma la regola non la vuole fare vedere, per questo si percepisce un senso di equilibrio e spontaneità e non riusciamo a capire da dove deriva, dobbiamo fare uno sforzo maggiore. Questo effetto di naturalezza ha un corrispettivo nella prospettiva aerea di Leonardo e nel chiaroscuro morbido. Qui si allenta la rigidezza quattrocentesca in nome di una forse maggiore adesione alla naturalezza. Se a un certo punto il modello scientifico viene meno è perché c’è una modificazione nel Cinquecento che svaluta la regola, in nome di una maggiore spontaneità o apparente spontaneità. Cupola del duomo di Parma, Assunzione della vergine, di Correggio Nella cupola affrescata da Correggio sembra tutto in movimento e dietro ci sono delle regole, certo. Ma la dimensione scientifico-prospettica quasi viene meno, e questo può aiutare a capire perché questo modello letterario prenderà piede. La Camera degli sposi di Mantegna è di 60 anni prima eppure si vede tutta la differenza tra i due secoli di cui abbiamo parlato. Qua nella cupola c’è un’idea di messa in movimento delle figure, di dimensione luministica ed emozionale, di creare un impatto emotivo. La cupola non sembra neanche una cupola, non siamo capaci di misurarla perché l’effetto illusionistico è tale che ci sembra un cielo aperto con le schiere angeliche. Questa Vergine che vediamo in basso a sinistra, che si sta sollevando verso il cielo con le schiere di angeli che girano attorno alla luce centrale, sembra un miracolo in atto. Per scorciare dal basso le figure è necessario conoscere bene le regole ma l’artista le nasconde, perché più che mostrare la chiarezza spaziale, come Masaccio e Brunelleschi, preferisce creare un impatto emotivo. Michelangelo Rappresenta un caso a parte. È un artista che non ha allievi, che opera da solo, e che ha una visione così personale dell’arte che non fa scuola. È a sé stante, e sotto certi punti di vista trascende il suo tempo. È fondamentalmente uno scultore anche se verrà più imitato nel suo lato pittorico. Quando Giulio II gli chiede di affrescare la Cappella Sistina, Michelangelo lo fa ma diciamo che il suo talento è la scultura, si sente più portato. Ecco perché anche quando dipinge Michelangelo cerca e crea effetti di tipo scultoreo. ♡ Perché questa importanza data alla scultura? Torniamo alla dimensione materica e tecnica. C’è un motivo ben preciso perché in Michelangelo c’è questa predisposizione per la scultura, e ce lo dice lui stesso nei suoi sonetti e nei suoi scritti. Lui dice che la materia in sé contiene un principio divino e di bellezza, ed è compito dell’artista rivelare la bellezza divina che presente nella materia, LETTERALMENTE LEVANDO MATERIA. Questo lo capiamo vedendo le sue opere legate alla tecnica del non finito, come lo schiavo che si risveglia: si vede la forma che si sbozza dalla materia bruta. Il lasciare a vista il marmo bruto non lavorato mentre la forma sta uscendo fuori ha un significato che per Michelangelo è sacrale, quasi religioso: lo scultore deve togliere materia per rivelare la forma che è la bellezza, che deriva da Dio. C’è una lotta tra forma, dimensione spirituale, e materia: la materia racchiude la forma divina che l’artista deve liberare. L’arte del 500 comincia a divergere da quella 400. Un’arte come quella di Michelangelo rispetto al concetto quattrocentesco di simmetria, finito, ordine, e chiarezza, rappresenta qualcosa di diversissimo. Anche se Michelangelo ha due modelli fondamentali: 1. Giovanni Pisano, da cui “eredita” questa dimensione di fuoco interiore delle figure talvolta in contorsione, 2. Donatello: c’è un lato di Donatello dionisiaco, espressivo, problematico, che solitamente nei manuali si presenta confrontando le cantorie di Luca della Robbia e quelle di Donatello: Luca della Robbia rappresenta la dimensione apollinea, quasi peruginesca, equilibrata; mentre in Donatello c’è un lato espressivo e dinamico. In Michelangelo la dimensione corporea del peccato viene superata dalla bella arte. Mentre a livello della Pietà, opera giovanile databile alla seconda metà degli anni ‘90 del Quattrocento, o del Bacco, degli stessi anni, la tendenza è quella di cercare una perfezione, una levigatezza formale che esprima la bellezza divina. La poetica del non-finito È moderna, ci fa vedere il work in progress, quando la forma lotta per dominare la materia e liberarsene. Per questo Michelangelo piace ai contemporanei, perché c’è qualcosa di universale in questa lotta, che qualunque artista intraprende nel momento in cui fa l’opera: è l’avere un’idea di formalizzazione del mondo ma durante la realizzazione trovare l’opposizione della materia; è necessario vincerla affinché l’espressione avvenga chiaramente e adeguatamente. Come se la materia coprisse un principio formale divino. Ricollegamento con la citazione di Leonardo: è la mano che ubbidisce all’intelletto che sa come agire per togliere la materia per liberare la forma. Michelangelo è uno scultore che quando dipinge dà grandissima importanza all’anatomia. Nella cappella Sistina anche sibille hanno corpi muscolosi perché c’è quest’idea che il corpo muscoloso sia perfetto: è il corpo che diventa emblema della presenza di Dio (come il movimento). = Le figure di Michelangelo sembrano avere un fuoco interiore (Giovanni Pisano-Duomo di Siena), sembrano animarsi di ispirazione divina, IN MOVIMENTO. Gli sperimentalisti anticlassici e i manieristi Nel Cinquecento succede che abbiamo questi tre grandi artisti, Leonardo, Michelangelo e Raffaello, e gruppi di artisti che operano nell’ambito nel classicismo raffaellesco, caratterizzato dal perfetto dominio dello spazio unito a spontaneità e naturalezza. Lo vediamo nelle stanze vaticane, in cui Raffaello orchestra gruppi eterogenei di personaggi in maniera armonica e spontanea. Ci sono poi però, alcuni artisti che non si sentono a loro agio in questa visione armonica del rapporto tra uomo e natura. Questi artisti sono quelli che a torto vengono definiti manieristi ma sono sperimentalisti anticlassici, operanti soprattutto tra il 1515 e il 1530 che tra i nomi celebri ha Pontormo, Rosso Fiorentino, Aspertini. Per la prima volta, da Brunelleschi in poi, vengono messi in crisi valori del Rinascimento. Viene messo in crisi 1. il rapporto tra figura e spazio, 2. il concetto di bellezza, 3. il rapporto con natura, 4. la stessa idea di imitazione della natura: qui infatti si va oltre l’imitazione della natura, con effetti del
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