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APPUNTI LEZIONI PSICOLOGIA DELL'ARTE, Appunti di Storia Dell'arte

Documento con appunti delle lezioni di psicologia dell'arte, prof Zavagno, Scienze Psicosociali della Comunicazione

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 04/09/2022

greta-stucchi
greta-stucchi 🇮🇹

5

(3)

17 documenti

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Scarica APPUNTI LEZIONI PSICOLOGIA DELL'ARTE e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! psicologia dell’arte freud e la psicologia dell'arte slide/lezioni + 3 documentari esame: 30 domande con risposta a scelta multipla e 3 domande aperte > 1h 30 1 COSE COSE IMP leon battisti percezione pittorica e gibson tesi semi zekir ? fecner e la sua teoria approccio psicanalitico arte e scienza! birkoff chiedere tutte le domande possibili (e guarda gruppo) oltre a queste: 1. classificazione tassonomie (es. caratteristiche materiali e modalità di fruizione) 2. è giusto utilizzare solo un parametro di classificazione? sono parametri utilizzabili o sarebbe un errore? 3. pulsioni e bisogni 1+2. intro e tassonomie massironi, prendendo spunto da freud e arnheim e racconta gli incontri di scambio/incontro e scontro tra arte e psico. la psicologia dell’arte è una disciplina che studia la concezione, percezione e le caratteristiche dell’arte e della sua produzione (non coincide con la terapia dell’arte). si occupa di indagare e spiegare i processi psicologici coinvolti nelle esperienze di produzione e di fruizione di un’opera d’arte. possiede molteplici, variabili e multidisciplinari territori di confine: dall’estetica alla storia, alla teoria alla critica d’arte, letteratura, medicina, psichiatria, e così via. è quindi difficile definire l’ambito della psicologia dell’arte. 2 4. dinamicità o evoluzione temporale vi sono 2 dimensioni sulla base delle quali è possibile classificare l’arte sulla base di caratteristiche temporali e dinamiche: simultaneità o presente fenomenico e fruizione diacronica tuttavia, si tratta di un processo molto arduo. dunque, le classificazioni sono varie e guardano diversi aspetti; tuttavia, non riescono a spiegare e a dare un metodo per definire cosa sia o non sia arte. molto difficile classificare l’arte in base alle sue caratteristiche temporali e dinamiche: nulla è simultaneo perché noi non siamo simultanei e sequenziali. dibattito: ciò che non rientra in queste classificazioni non dovrebbe essere arte - giusto? definizioni platone: l’arte è imitazione (o rappresentazione) wordsworth : emozione ricordata in condizione di tranquillità tolstoj e ducasse: espressioni di emozioni kant: interattivo gioco di forme weitz in un articolo del 1956 spiega che il fallimento nel definire l’arte non è un caso. e’ così perché l’arte non ha essenza, non ci sono proprietà comuni solo alle opere d’arte. duchamp avrebbe decretato che l’arte risiede in un oggetto e che poteva essere scoperta da un qualunque artista. era l’azione stessa a diventare opera d’arte. 5 3. il bello e il brutto ! ! “c’è una classe di oggetti che ha la proprietà di indurre in chi li osserva, o si intrattiene con essi, uno stato psicologico particolare, fatto di attrazione, ammirazione, piacere, emozione, curiosità, interesse, meraviglia. sono oggetti artificiali costruiti per gli scopi più diversi, che vengono chiamati opere d’arte.” motivazione perchè la gente fa ciò che fa? motivazione. gli stessi comportamenti possono avere motivazioni diverse oppure non si è consapevoli di ciò che si fa. da platone in poi libero arbitrio - l’uomo può scegliere per se motivazione ha dei sottogruppi, è complessa, non si può spiegare in modo semplice. - i riflessi - risposte innate e automatiche basati su meccanismi neurofisiologici - gli istinti - sono in risposta a uno stimolo e sono riflessi complessi. es. ho fame, cerco cibo (sempre comunque genetico, non scegli tu di avere fame). con freud nascono gli istinti inconsci (tutto ciò che è un desiderio, desiderio sessuale, sono istinti inconsci, la persona non è consapevole - pulsioni, bisogni e incentivi - il bisogno produce una pulsione che ti spinge ad avere un comportamento per avere un certo soddisfacimento, risultato. la pulsione viene da dentro, non è genetico, decido io. posso avere un bisogno senza avvertire la pulsione. non sempre sono insieme, non sempre ho la spinta per andare a farla. non segui la tua necessità posso avere una pulsione senza il bisogno. non ho fame ma ho voglia di cioccolata e me la mangio. pulsioni cambiano nel tempo. pulsione viene da dentro. pulsioni si distinguono in: regolative - devo soddisfare cibo, sete, sonno non regolative - istruzione, curiosità, sessualità incentivi - quello che mi fa ridurre il mio bisogno. incentivi arrivano sempre dall’esterno. gli incentivi sono: rinforzi primari - sono genetici rinforzi secondari - sono appresi, li imparo nella vita (esempio pugno). es. io vado al lavoro e mi pagano > soldi. non nasco con il concetto di denaro, lo apprendo con il tempo. tutto ciò per dire, in soldoni, esistono due tipi di motivazione: primaria - bisogni biologici secondaria - indirettamente connessi ai bisogni biologici, hanno natura psicogena - soddisfacimento psicologica. funzionalmente autonome - sono motivazioni legate a un gran numero di scopi es. denaro. io lavoro per il denaro perché può darmi una serie di benefici. tutto ciò crea un sistema dei desideri: il desiderio è quando c’è una rottura nell’equilibrio che può essere sia biologico che psicologico, oppure è una carenza. al sistema dei desideri è connessa il sistema dei valori: quanto noi desideriamo una cosa è legato ai nostri valori. da tutto ciò viene elaborata la piramide dei bisogni di maslow: 1. fisiologici 2. di sicurezza (avere casa, lavoro stabile, soldi, partner stabile) 3. appartenenza (sentirsi parte di una comunità) 4. di stima (autostima e gli altri mi stimano) 5. b. di autorealizzazione con il tempo è stato aggiunto un sesto : 6. b. di intrascendente > sentirsi parte dell’universo, spiritualit. in questo è compresa l’arte ( può essere compresa già dai b. di stima) lo scopo dell’arte non è avere una funzione. 6 estetica l’opera d’arte non ha una vera funzione, non serve a niente materialmente (non ha un’utilità, forse solo l’architettura). serve a rappresentare altro, mezzi che permettono di comunicare. l’opera d’arte è un viaggio (non una meta) nel dada non è l’oggetto in sé che conta ma la trasformazione concettuale che io gli ho fatto, il percorso che c’è dietro. ! c’è lo stato psicologico peculiare e diverso che si attiva quando le persone entrano in contatto con quegli oggetti: un misto di esperienza conoscitiva, emotiva e comunicativa non disgiunta dal piacere chiamata esperienza estetica. difatti, lo scopo di un’opera d’arte non esaurisce la sua funzione (ex: un edificio progettato da un architetto ha certamente lo scopo di accogliere le persone entro uno spazio definito. tale scopo fa parte della sua funzione, ma non la esaurisce, in quanto lo spazio può essere modulato in funzione simbolica, emotiva, ecc…) bello l’estetica a tal proposito, non è altro che il termine con cui, a partire dal 1700, si indica la disciplina filosofica che si occupa del bello e dell’arte (deriva dal greco “sensibile”, capace di sentire, dal tema aisthànomai “percepisco attraverso i sensi”, e aisthêsis “sensazione, sentimento”) ! il concetto “estetica” fu introdotto da baumgarten a metà 700: era consapevole che l’esperienza sensoriale può essere analizzata dal punto di vista qualitativo oltre che quantitativo. si danno idee differenti a seconda dell’esperienza sensoriale che le alimenta. teoria della conoscenza sensibile, la quale si occupa sia della mera conoscenza sensibile (attraverso i sensi), sia della “teoria del bello”; sarà poi kant (critica del giudizio) a definire l’estetica come giudizio di bello e di sublime nella natura e nell’arte. è importante sottolineare come il termine “estetica” non riguardi esclusivamente il mondo dell’arte, bensì tutto il mondo dell’essere umano. quest’ultimo va alla ricerca del bello nelle cose che crea e nelle scene naturali. l’estetica parla una lingua in cui il termine bello esiste solo come sostantivo, il bello come aggettivo presuppone l’incontro tra opera e fruitore e capire cosa accade in questo incontro è compito della psicologia dell’arte. partita da duchamp e il dadaismo e poi con l’espressionismo, il neoplasticismo, l’informale, la body art e l’arte concettuale attaccano l’arte bella. - dadaisti rifiutano ogni dimensione estetica. dunque, il valore estetico va al di là del mero mondo dell’arte. per quanto riguarda gli oggetti del mondo, il termine “bello” non coincide con il “buono”. stessa cosa nell’arte: - “bel dipinto” = in grado di suscitare ammirazione in noi - “buon dipinto” = dipinto fatto bene, ben eseguito; non necessariamente bello. nel senso che è una “buona esecuzione”. gli aggettivi “bello” e “buono” indicano entrambe esperienze positive, legate a sensazioni piacevoli. ma quando è corretto usare l’aggettivo “buono” invece di “bello”, e viceversa? a quali esperienze rimandano quegli aggettivi? un cattivo dipinto è un dipinto in cui la tecnica pittorica e/o l’abilità dell’esecutore sono mediocri, oppure inadeguati al compito; al contrario, un dipinto è bello, in quanto a composizione armonica, resa dello spazio, capacità di rappresentazione di “accidenti” e di “moti mentali” in poche parole, il bello e il brutto, sono qualità estetiche che si possono raccogliere mediante i sensi della vista e dell’udito. al contrario, il buono e il cattivo, sono qualità morali ciò-determinate dall’individuo e dalla società (possono cambiare da epoca a epoca); questo dualismo può anche essere visto in termini di qualità materiali (ex: qualcosa di buona fattura o qualcosa di cattiva fattura). 7 wittkower non sono d’accordo. gli hanno chiesto di dipingere madonne. ex: caso di andrea del sarto: apparteneva alla cerchia della cerchia fiorentina turbolenta. si pensa che la presenza delle arpie simboleggi la sua omosessualità repressa; in realtà, personaggi come le arpie e le sfingi sono molto comuni nella rappresentazione religiosa perché simboleggiano la vittoria del cristianesimo sul paganesimo. approccio psicoanalitico in un discorso di tipo psicoanalitico sull’arte, quasi sempre primeggia l’analogia tra opera d’arte e sogno inoltre, non esiste un livello 0 di interpretazione dell’opera d’arte. un contenuto di un’opera d’arte è convogliato dalla forma dell’opera stessa, che a sua volta è determinata e modificata sulla base dello stile dell’artista e della sua opera. il contenuto di un’opera è ciò che si vuole trasmettere: è un’idea di partenza che non è ancora un atto finché non viene creata l’opera. il contenuto vive in funzione della forma e dello stile di chi esegue l’opera. l’approccio psicoanalitico dell’arte ha come obiettivo quello di individuare le pulsioni sottostanti l’atto creativo, nella convinzione che siano questi il motore della creazione artistica. in sintesi, l’idea è che tramite le forme scelte e inventate, l’artista condensa le proprie pulsioni e nevrosi a livello inconscio la creazione artistica, quindi, si rappresenterebbe una risposta dell’artista a drammi interiori, sepolti sotto la coltre della coscienza, si costituisce come una forma di catarsi tramite processi e pratici tale processo viene esteso al fruitore che, a sua insaputa, soffre di drammi interiori simili. (catarsi - buttare fuori ciò che stai tenendo dentro) tale approccio è basato dunque sul valore empatico dell’opera d’arte con il fruitore, piuttosto che con l’artista stesso. bisogna considerare che spesso l’arte non nasce sulla base di pulsioni: in passato l’arte veniva creata dietro compenso; al giorno d’oggi una canzone può anche essere scritta sulla base della propria immaginazione piuttosto che di un sentimento reale dunque, l’approccio psicoanalitico si concentra molto sulla forma, in quanto veicolo del contenuto solidificato (nelle arti plastiche); al contrario, in letteratura, è il contenuto l’oggetto principale di analisi (ciò che lo scrittore ha inteso rappresentare è letta come metafora o insieme di simboli che permetterebbero di individuare pulsioni e drammi personali, perlopiù inconsci dell’autore. il ruolo dello stile tuttavia, la pura forma (intesa come oggettivazione della rappresentazione) è una chiamera (forma mitologica, corpo leone). le forme sono ampiamente condizionante dallo stile dell’artista, che a sua volta, è condizionato dallo stile imperante che caratterizza la società in cui l’artista si trova a vivere (= il uso periodo storico) dunque, lo stile è una caratteristica complessa: contribuisce sia a modulare, che a creare il contenuto (ovvero, il significato dell’opera) impressionismo 10 freud e surrealismo surrealismo > nasce da breton (poeta), con l’obiettivo di abbandonare la razionalità per abbracciare un modo diverso di vedere e concepire la realtà (ex: tramite esperienza inconscia, sogno, ecc…). freud dice che non è possibile rappresentarle inconscio in quanto tale. lui si discosta dalla loro visione anche se egli l’avevano preso in considerazione come santo patrono in quanto trattava argomenti a loro utili e vicini. ! freud apprezza a livello dello stile e della tecnica le opere surrealistiche di dalì, ma non riesce a considerarle come “arte”, poiché non è presente un buon rapporto tra il materiale inconscio e l’elaborazione preconscia (l’opera è troppo “conscia”). la rappresentazione di figure umane nelle opere d’arte è spesso accompagnato da un tentativo di riprodurre stati d’animo ed emozioni. questi sono oggetti di studio della psicologia. tuttavia, risalire dalla rappresentazione di stati d’animo ed emozioni alla scoperta delle motivazioni profonde ed inconsce che sottostanno all’atto creativo dell’artista è un’operazione del tutto arbitraria. il rischio di mistificazione è altissimo, come già hanno sottolineato a loro tempo i coniugi wittkower —> tutte le analisi fatte a posteriori. la psicoanalisi non è forse il metodo migliore per indagare le personalità degli artisti; come approccio per spiegare l’arte, oppure l’atto creativo, ha indubbiamente più limiti che pregi. tuttavia, proprio la psiche malata diviene un motivo, quando non proprio un tema, analizzato dagli artisti. la follia, infatti, è un tema presente nell’arte definizione del termine ‘surrealismo’ dato da breton: “automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale” definizione per un’enciclopedia filosofica: “il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d'associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita”. per quanto riguarda il surrealismo in letteratura, le idee di freud sono state fondamentali nella produzione di opere d’arte. zelig di woody allen per spiegare il surrealismo nel cinema. sigmund freud - l’arte e la psicanalisi teoria psicanalitica di freud applicata all’arte: il centro degli interessi di fechner e dell’estetica sperimentale è il fruitore, la sua attivazione, i suoi giudizi, il suo stato consapevole di gradimento, mentre il centro di freud è l’artista, la sua personalità, le spinte che lo portano alla creazione. freud, seppur interessato più all’artista che all’arte, colleziona molte opere. viene criticato per non aver prestato attenzione alla forma, freud è più interessato al contenuto delle opere che alla forma, alla loro carica simbolica. l’arte e il passato: freud è interessato alle manifestazioni del passato: passato lontano (archeologia), passato vicino (rinascimento italiano) l’enigma: freud è interessato ad artisti come leonardo, michelangelo oltre a scrittori e poeti, di cui ritrova un enigma da risolvere. enigma che ritrova e tenta di sciogliere con il suo metodo della psicoanalisi, solo nell’arte del passato, che vede con maggiore chiarezza nell’arte del presente. per lui il tempo del presente è il tempo della nevrosi in atto, scatenata da qualche causa che ricerca nel passato. 11 per freud creare un’opera d’arte è trasporre conflitti ereditati dall’infanzia che l’artista può esprimere in sogni o sintomi nevrotici oppure con la creazione artistica. fare arte: soddisfare un bisogno inconscio = sublimazione, modo più controllato di esprimere i bisogni e più socialmente accettato rispetto alle nevrosi. 5. l’estetica sperimentale di fechner ! le misure del bello l’estetica è un termine che concerne il bello e il sublime in arte e in natura. riguarda armonia, bellezza e piacere visivo, come sonoro (tramandato da kant) secondo policleto da argo (v sec. a.c.), la bellezza nasce dall'esatta proporzione non degli elementi, ma di tutte le parti tra di loro —> egli realizzò il doriforo (atleta portatore di lancia), secondo il canone da lui derivato empiricamente misurando i corpi e le membra di persone reali: il canone potrebbe derivare dalle medie di quelle misurazioni. per l’altezza ideale dell’uomo e le proporzioni tra le sue membra si usava come riferimento le dimensioni della testa e rapporti tra le parti del volto. secondo il canone della bellezza teorizzato da policleto da argo, l’altezza ideale dell’uomo (l’altezza media) era 8 volte la lunghezza della testa. l’estetica non riguarda solamente l’arte, ma anche l’uomo stesso. cennino cennini ciao 3 parti: fronte, mento, da sotto il naso al mento coscia - due visi ginocchio tallone 2 visi piede 1 viso 8 volti vitruvio - poi l’ha ripreso leonardo le incertezze di rudolf arnheim: protagonista degli studi di psicologia delle arti visive. il suo lavoro ormai solido patrimonio della cultura generale è un punto di riferimento. secondo arnheim l’arte deve fare qualcosa di più che essere se stessa, deve avere una funzione semantica. arnheim ritiene che il piacere sia un epifenomeno che si accompagna all’arte ma non ne costituisce lo scopo. per comprendere bene il pensiero di arnheim bisogna presentare la natura e la struttura dell’estetica sperimentale fechner la sua psicofisica nasce per confutare sul proprio terreno il materialismo: voleva dimostrare la “falsità” del mondo fisico, sostenendo che l’unica realtà è invece quella mentale (viviamo in un mondo fenomenico). THEODOR FECHNER e il metodo della bellezza. inventore dell’estetica sperimentale: studio sperimentale dei giudizi estetici: controllare le relazioni a livello dello stimolo fisico e ricavarne valutazioni a livello psicologico. pubblica “elementi di psicofisica”. dimensioni della: gradevolezza, preferenza estetica, livello di piacere. smentisce l’esistenza della realtà materiale. l’unica realtà che esiste solo quella mentale. vuole dimostrarlo con formule. vuole calcolare le sensazione di uno stimolo: s= k x log i k: costante di weber / log i: intensità fisica dello stimolo / I: scala di intensità dello stimolo 12 le impostazioni del metodo scientifico che esigevano misure precise, possibilmente lungo una variabile unidimensionale, avevano costretto, secondo a., l’estetica sperimentale nei panni stretti di una estetica edonista, con la conseguenza che, quanto più i ricercatori aderivano ad un criterio di preferenza tanto più i loro risultati trascuravano quegli aspetti che consentivano di distinguere il piacere prodotto da un’opera d’arte da quello prodotto da un gelato. gli studi condotti sul paradigma scientifico non ci dicono cosa accade quando osserviamo un oggetto estetico. non ci dicono cosa intendiamo quando diciamo che un oggetto ci piace o non ci piace. ESTETICA EDONISTICA: edonismo: concezione filosofica secondo cui il piacere è il bene sommo dell’uomo. dopo fechner dopo fechner, e in seguito agli sconvolgimenti nel mondo dell’arte legati sia all’invenzione e all’affermarsi della fotografia, sia alla nascita delle avanguardie artistiche, il concetto di esperienza estetica subisce una lenta mutazione, in particolar modo in riferimento al campo delle arti: da esperienza legata al bello e al sublime (di definizione kantiana) muta in esperienza che dona piacere a livello affettivo e/o a livello intellettuale. la fotografia rappresenta così com’è il mondo quindi anche la pittura inizia ad essere il vero simile è bellezza. che in realtà diventa un corregge i difetti del mondo. in questo modo, va progressivamente a mutare il concetto di fruizione artistica —> nel tentativo di formulare una nuova definizione di “estetica” applicata alle arti, o meglio di una “esperienza estetica-artistica” bisogna prima cercare di definirne le caratteristiche: per esperienza estetica-artistica ci si riferisce ad una particolare sensazione di piacere legata alla fruizione di opere d’arte. questa sensazione di piacere non è determinata in modo esclusivo da rappresentazioni del “bello”, e di norma si caratterizza come una modifica di stati affettivi e cognitivi nel fruitore. in sostanza, il fruitore esperisce a livello cognitivo/intellettuale una sensazione di accrescimento/arricchimento quando entra in contatto con un prodotto il cui contenuto è imprescindibile dalla sua struttura formale —> l’esperienza che si ha con l’opera d’arte, è molto di più di una semplice esperienza estetica di piacere. questo piacere si innesca in un canale che non è solo sensuale, bensì anche di natura affettivo-intellettuale dunque, parlare solamente di piacere estetico corrisponde a “banalizzare” il senso dell’opera d’arte definizione di “esperienza estetica-artistica”: l'esperienza estetica-artistica è un piacere insieme affettivo e intellettuale emergente dalla fruizione di opere d'arte. la definizione è nuova, e non la troverete altrove perché in generale chi pratica l'estetica empirica (o sperimentale) di norma non distingue tra esperienza estetica ed esperienza estetica-artistica, dove la prima si riferisce al piacere estetico kantianamente inteso, mentre il secondo è un piacere che emerge solo dalla fruizione di opere d'arte. a livello teorico, se si riuscisse a definire i parametri che inducono un'esperienza estetica-artistica, si riuscirebbe anche a definire alcuni dei parametri che costituiscono l'essere 'opera d'arte'. l’arte serve a porci altri e nuovi punti di vista birkhoff !! ricerca delle formule ci serve per capire cosa è arte e cosa non è arte. iil primo personaggio che (dopo fechner) si pone il problema dell’estetica è george david birkhoff (1884-1944). egli propone un approccio matematico all’estetica, con una formula che esprime il valore estetico (1932): m = o/c m = misura estetica, cioè il grado di piacere estetico suscitato da un’opera d’arte o = il grado di ordine di un oggetto - più ordine più piacere c = il grado di complessità di oggetto 15 tanto maggiore è il grado di ordine rispetto al grado di complessità, tanto maggiore è l’esperienza di piacere con l'oggetto —> l’assunto base della formula proposta da birkhoff è che il valore estetico di un’opera d’arte dipende dall’esatta misura delle sue componenti bisogna riuscire a determinare il grado di ordine e complessità di un oggetto, in quanto la relazione intercorrente tra questi due aspetti, fornisce la misura esatta dell’esperienza estetica, legata a quanto l’opera è più o meno piacevole. quando si valuta sul piano estetico un’opera d’arte bisogna considerare 3 fattori di natura psicologica: 1. lo “sforzo”, che l’osservatore di un oggetto artistico compie per coglierne percettivamente la struttura —> esso sarebbe direttamente proporzionale al numero delle componenti elementari di quell’oggetto (come una sorta di approccio strutturalista alla percezione). dato che birkhoff identifica con il numero delle componenti la misura della complessità di un’opera, lo sforzo sarebbe direttamente proporzionale alla complessità dell’opera 2. la “percezione dell’ordine”, inerente alla configurazione o alla struttura dell’oggetto e alle sue componenti elementari —> anche l’ordine, come la complessità, sarebbe quantificabile 3. la “sensazione di piacere”, che la percezione dell’oggetto provoca, compensando lo sforzo compiuto, tramite la percezione di ordine il problema che emerge a tal proposito è legato al fatto che birkhoff attribuisca del tutto soggettivamente i valori numerici ai parametri individuati per stabilire la quantità di ordine e di complessità delle opere d’arte l’approccio di birkhoff è stato poi utilizzato nell’ambito dell’intelligenza artificiale —> per cercare di rendere operazionabile (da un punto di vista matematico) la sua formula, introducendo il concetto di entropia e complessità. la trasformazione proposta è di sostituire a ordine e complessità, una loro definizione operativa e matematica: - ordine = inteso come riduzione dell’incertezza - complessità = intesa come incertezza iniziale dil rapporto tra essi, si traduce in rapporto tra quanto viene ridotta l’incertezza e l’incertezza iniziale nella teoria algoritmica dell'informazione, la complessità di kolmogorov di un oggetto (assumendo che possa essere rappresentato come una sequenza di bit, per esempio un pezzo di testo), è la lunghezza del più breve programma informatico (in un dato linguaggio di programmazione) che produca l'oggetto come output (da wikipedia) la definizione della complessità di kolmogorov suppone che si possa descrivere, e quindi riscrivere, un'opera d'arte come una sequenza di bit (in teoria dell'informazione il bit è definita come la quantità minima di informazione che serve a discernere tra due eventi equiprobabili). più bit ci sono più sarà complessa, quindi calcolo la complessità di un opera sulla base dei bit. hans jürgen eysenck l’autore, in anni più recenti, propone una correzione alla formula di birkhoff (1916-1977): m = o•c m: paicere / o: ordine / c: complessità la misura estetica è cioè determinata dal prodotto ordine*complessità; tuttavia bisogna porsi alcune domande a tal proposito: che cosa s’intende per ordine e che cosa s’intende per complessità? come si misurano tali dimensioni, sia a livello percettivo che cognitivo? 16 quali sono i fattori sottostanti le loro definizioni? possiamo trovare per loro una definizione operativa? essi appaiono come aspetti abbastanza primordiali, che interessano i sistemi cognitivi: 1. ordine: il dizionario zanichelli (1984) lo definisce come un assetto, disposizione o sistemazione razionale e armonica di qualcosa nello spazio o nel tempo secondo esigenze pratiche o ideali arnheim, lo definisce come “qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l’ordine ne è una indispensabile condizione (ex: apprendimento). disposizioni quali la planimetria di una città o di un edificio, un insieme di utensili, un’esposizione di mercanzia, la manifestazione verbale di fatti o di idee, ovvero quali un dipinto o un brano musicale, sono disposizioni dette tutte ordinate quando sia possibile a chi le osservi o le ascolti coglierne la struttura generale ed anche il diramarsi di essa in una certa articolazione di dettaglio”. esempi di ordine: - bibliografia e citazioni: opere sono citate in ordine alfabetico in base all’elenco degli autori. - indice: mostra l’ordine di esposizione di un testo scritto, quando l’indice è fatto bene, permette di comprendere la macrostruttura degli argomenti trattati - catalogo di una mostra: percorso ragionato delle opere esposte - collezionismo: di solito il vero collezionista ci mette del metodo nella raccolta ed esposizione della propria raccolta. in che modo possiamo misurare l’ordine? quali sono i fattori che ci possono informare circa l’ordine che tiene insieme in una struttura logica o percettiva un gruppo di elementi? un fattore principale nella percezione di ordine è data dalla regolarità sottostante la struttura ordinata. i principi organizzativi sul piano visivo (e anche uditivo) possono essere, per esempio, le leggi di segmentazione del campo studiate dalla psicologia della gestalt —> leggi che rappresentano un certo ordine. anche la simmetria è un fattore che introduce regolarità all’interno di strutture, ed è quindi un fattore che crea ordine —> in quanto principio di armonia, è visto come uno degli elementi che riguardano la percezione di bellezza. tuttavia, è bene tenere presente che l’ordine percepito è anche una condizione contestuale, spesso determinato da schemi di riferimento —> un esempio è l’illusione di giovanelli che conferma che il contesto influenza la nostra percezione di ordine. nonostante non sembri, questi pallini sono ordinati lungo una linea retta; sono i cerchietti a essere disordinati. ordine e simmetria è ritrovabile in tutta la natura; tuttavia la simmetria geometrica è ritrovabile soprattutto nell’arte: tutti esempi vediamo come la simmetria venga usata come principio ordinante; tuttavia, se affiancata alla ripetizione, può anche generare complessità. può essere complesso ma in realtà è ordinato e ripetitivo. 2. complessità : zanichelli (1984), definisce la complessità come un costrutto che risulta dall’unione di varie parti o di diversi elementi = complicato, difficile da comprendere —> ancora vediamo la complessità emergere come una sommatoria (più sono gli elementi in gioco, più qualcosa è complesso) si può comprendere il termine “complessità” in relazione al termine “semplicità” > se riuscissimo a definire la semplicità forse potremo definire in modo rigoroso il grado di complessità di un oggetto, una scena, un evento: “simplicity and complexity need each other” (john maeda, the laws of simplicity, 2006). multidimensionale - dipende dalla quantità della variabili, strutturazione delle v., iterazione delle v., qualità intrinseche del v., e il soggetto interessato ad esso. 17 john maeda, artista visivo, grafico, docente al mit ha scritto un agile libretto in cui elenca e spiega 10 leggi della semplicità che possono essere applicate alla progettazione, alla tecnologia, agli affari e alla vita: 1) riduci: il modo migliore per ottenere la semplicità è mediante una riduzione ponderata. 2) organizza: l’organizzazione semplifica l’immagine di un sistema (= supporto esterno che ci permette di azionare una determinata tecnologia; noi non sappiamo cosa vi accada all’interno) 3) tempo: il risparmio di tempo appare come un guadagno in semplicità. 4) apprendi: la conoscenza rende tutto molto più semplice. 5) differenze: semplicità e complessità sono necessari l’uno all’altro —> è probabile che un giudizio estetico positivo di un’opera d’arte, e dunque l’esperienza estetico-artistica sia tanto più piacevole quando questi due elementi si compenetrano 6) contesto: ciò che sta alla periferia della semplicità non è affatto periferico/secondario 7) emozioni: più emozioni sono meglio di poche emozioni —> creare cose piacevoli rende l’interazione con esse è molto più facile. per quanto riguarda la fruizione delle opere d’arte, se c’è qualcosa che ci piace, ci appare più facile per noi interpretarla, perché ci sembra di averlo compreso 8) trust: ci fidiamo della semplicità. 9) fallimento: alcune cose non possono essere rese semplici. 10) vera legge della semplicità: sottrarre l’ovvio e aggiungere significato —> eliminare ciò che è scontato, aggiungendo senso i principi di segmentazione del campo visivo ed il modo in cui essi interagiscono tra loro sono in accordo con la prima legge della semplicità: una riduzione degli elementi a favore di una coesione delle parti costituenti una struttura questi sono 2 esempi di come il nostro sistema percettivo utilizzi i principi di organizzazione del campo di visivo (leggi della gestalt) come guida per migliorare il grado di semplicità del vissuto percettivo —> facendo sì che tutto abbia un senso la semplicità non è però un concetto semplice —> delle entità geometricamente identiche possono avere un grado diverso di semplicità a livello percettivo. non dipende quindi dagli elementi ma dalle caratteristiche strutturali, quindi dal rapporto tra il tutto e le sue parti. questo perché la semplicità di una figura non dipende tanto dal numero degli elementi costituenti, bensì dal numero delle caratteristiche strutturali, cioè del rapporto tra tutto e le sue parti in relazione al contesto entro cui sono osservate, nonché dal loro scheletro strutturale (ci informa sulla dinamicità implicita anche di strutture rigide) per quanto riguarda il principio del minimo, il sistema visivo è sintonizzato sulla terza dimensione: la soluzione tridimensionale è favorita quando tale esito semplifica la struttura dell’oggetto visivo. gli psicologi di indirizzo gestaltista chiamano il principio di economia pregnanza e affermano che il campo visivo viene segmentato in funzione di una massima omogeneità e una minima eterogeneità quando consideriamo strutture più complesse, quali sono per esempio le opere d’arte, entrano in gioco dinamiche e tensioni visive che possono semplificare o complicare la scena visiva. la lode alla semplicità emerge soprattutto nell’ambiente del design, della tecnologia (usabilità) e dell’economia. ma la semplicità è una categoria fondante della ricerca artistica? se sì, in quali termini? le arti mirano forse ad una semplicità relativa più che ad una semplicità assoluta —> secondo arnheim, la semplicità relativa implica economia e ordine. il principio dell’economia nel metodo scientifico implica la scelta dell’ipotesi più semplice (di solito quello quello con meno eccezioni) alla spiegazione di un fatto. in linea generale, un’ipotesi è più semplice di un’altra in base al numero di elementi primari che la compongono 20 6. estetica dopo fechner ! nel 1923, lo psicologo gestaltista wertheimer individuò le leggi di segmentazione (o di unificazione) del campo visivo oltre venti anni più tardi cesare musatti argomentò che i principi individuati da wertheimer possono essere ridotti ad uno solo —> il principio di omogeneità arnheim descrive il principio di omogeneità di musatti in termini di un principio di somiglianza, nel senso che fattori isolati da wertheimer, come la buona continuazione, possono essere descritti in termini di una somiglianza di direzione. in verità, il principio di omogeneità di musatti implica molto più della sola somiglianza —> per certi versi assomiglia al principio di pregnanza, che sarebbe quel principio sovraordinato che controlla l’esito dei raggruppamenti compiuti con i principi di somiglianza, vicinanza, ecc. che si chiami principio di omogeneità o di pregnanza, risulta evidente che vicinanza, chiusura, somiglianza (di qualsiasi tipo: colore, velocità, direzione, grandezza, ...), ecc. non sarebbero quindi dei veri principi bensì dei fattori la cui presenza determina il modo in cui il campo visivo viene segmentato in unità significative. nei libri di testo è abbastanza comune che gli autori scelgano di mostrare situazioni semplici in modo da favorire l’apprendimento dei cosiddetti principi di segmentazione (organizzazione, unificazione) —> si tratta di un approccio dal basso nello studio dell’arte però risulta molto più proficuo un approccio dall’alto, per cui partendo dall’unità dell’opera la si segmenta in sottounità per facilitarne la lettura e valutare la coesione tra forma e significato. è opportuno però ricordare che l’unificazione dal basso e la segmentazione dall’alto sono concetti reciproci —> la differenza tra i due approcci sta nel modo in cui si può applicare il principio di omogeneità, che nell’organizzazione dal basso riguarderà essenzialmente la somiglianza tra elementi ed unità, mentre con l’approccio dall’alto concerne anche l’organizzazione globale della struttura, cosa che intimamente correlata con lo stile dell’artista. semplicità e complessità sono due estremi di un continuum, oppure sono fattori disgiunti? affermare che complesso è ciò che non è semplice implica un continuum. tuttavia il costrutto di semplicità è multidimensionale e si applica a diverse dimensioni del reale. in tal senso i continuum sono molteplici e qualsiasi generalizzazione rischia di banalizzare un problema che invece riguarda i livelli di comprensione e di interpretazione di un’opera d’arte all’interno del paradossale rapporto tra semplicità e complessità vi è pure un altro paradosso: se ciò che è complesso appare tale in quanto contrapposto alla semplicità, costrutto la cui definizione risulta complessa (sia 21 sul piano teorico che su quello operativo), ciò che è semplice appare semplice e basta. la semplicità si impone da sé, e non necessita del costrutto di complessità. semplicità e complessità abbiamo più volte evidenziato che il sistema visivo segmenta la scena visiva in base a leggi che tendono a favorire la “semplicità” dell’esito percettivo. il costrutto di semplicità è però complesso: la semplicità dipende dal numero di elementi costituenti l’oggetto; dall’orientamento di assi, bisettrici, diagonali; dall’orientamento di lati, contorni, margini; dai rapporti tra le parti; dal rapporto tra le superfici ed il tutto. appare evidente che una definizione operativa del costrutto di semplicità non è facile; quindi è complesso. il costrutto di complessità è invece paradossalmente semplice da definire: è complesso ciò che non è semplice, ovvero ciò che è costituito da molti elementi, da numerosi rapporti, da dinamiche che sfuggono all’equilibrio, ecc. quindi, dato che non esiste una definizione operativa universalmente valida con cui identificare il costrutto di “semplicità”, non esiste a tutt’oggi neppure una definizione operativa, cioè matematica, in grado di quantificare la complessità che sia universalmente valida. va da sé che vi è una forte assonanza tra l’impossibilità di definire in maniera operativa concetti esperienza quali semplicità e complessità e l’impossibilità di definire a priori che cosa sia o non sia arte. l’arte ci intriga per la sua complessità, ma ci affascina con la sua semplicità. il valore estetico si annida in questa contrapposizione, che è giocata sul fattore ordine. modulor di le corbusier segue la tradizione che era già di vitruvio, e cioè di porre l’uomo quale metro di proporzione ideale —> dietro l’apparente semplicità dell’architettura razionale di le corbusier vi è dunque un sistema complesso di rimandi a moduli basati sia sull’uomo ideale, sai sulla sezione aurea. le corbusier dimostrò sempre molta attenzione alle proporzioni; in realtà fu un grande musicista. ma la sua musica, invece di svilupparsi nel tempo, si sviluppa nello spazio a tre dimensioni. e, come il musicista, egli si esprime attraverso rapporti. si può dire che il modulor è una scala, paragonabile approssimativamente alle scale musicali anche se, invece di essere una scala di suoni, è una scala di grandezze spaziali (andré wogenscky, architetto allievo di le corbusier) le piramidi sono da considerarsi opere d’arte? secondo arnheim, la resistenza che si incontra quando si tenta di classificarle come arte consiste nella loro estrema semplicità. la piramide del louvre progettata da ieoh ming pei è un’opera che ha suscitato molte polemiche, ma non vi è dubbio che si tratti di una commistione tra architettura, ingegneria e arte (come d’altronde accade sempre in architettura). a livello figurativo, l’iperrealismo (ultrarealismo, superrealismo) è una corrente che si caratterizza per una aderenza alla realtà che va oltre la rappresentazione fotografica. l’eccesso di fedeltà al reale crea una tensione psicologica particolare nel fruitore che a stento riesce a vincere un innato senso di imbarazzo di fronte ad un atto di voyeurismo pubblico. la complessità quindi s’insinua tra la componente tutto sommato semplice della fedele resa visibile del soggetto e la confusione instaurata nel fruitore chiamato a giocare il ruolo del voyeur. semplicità e complessità si compenetrano nell’opera d’arte. opere d’arte strutturalmente complesse sono semplificate tramite accorgimenti grafico-pittorici che guidano la loro segmentazione interna, operazione che facilita la fruizione e l’interpretazione dell’opera. le opere apparentemente semplici contengono livelli di complessità nel contenuto che emerge dall’incontro tra forma e fruitore. l’opera concettuale si avvale proprio del contrasto tra soluzioni visive semplici e contenuti complessi per determinare nell’osservatore un complesso gioco di tensioni cognitive ed emotive. boselie e leeuwenberg (1984) rivedono la formula di birkhoff- eysenk: m= um (ue) (cm,e) m = grado di bellezza (intesa come esperienza estetica); um = grado di non ambiguità dei mezzi; ue = grado di non ambiguità dell’effetto; cm,e = contrasto tra effetto e mezzi 22 dal modo in cui funziona il cervello. conoscere le leggi del cervello può quindi indubbiamente aiutare a comprendere il fenomeno “arte”. il problema però è comprendere se l’identificazione dei correlati neurali esaurisce la spiegazione di un qualsiasi fenomeno cognitivo. è il problema mente-corpo: la mente si dissolve interamente nel cervello (corpo)? cioè: per comprendere come funziona la mente (la psiche) è sufficiente conoscere come funziona il cervello? il comportamento umano modula la plasticità della rete neurale, e il comportamento è a sua volta governato dal cervello, sulla base però dell’interpretazione dei dati in ingresso che è operazione mentale, compiuto tramite il cervello. 2. tesi 2 arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. la funzione dell’arte è dunque un’estensione della funzione del cervello. questa tesi pone 2 problemi su cui vale la pena riflettere: 1) la funzione dell’arte è in modo inequivocabile sempre quello di acquisire conoscenza? tutte le arti hanno come scopo ultimo incrementare la conoscenza dell’uomo? 2) che tipo di conoscenza può essere fornita dall’arte? cosa ha in comune e quanto è diversa questa conoscenza da quella fornita dalla ricerca scientifica? la funzione dell’arte è piuttosto variegata e fluida. una delle funzioni di cui poco si parla è che l’arte “intrattiene”, dona piacere al fruitore. una delle funzioni peculiari dell’arte è quello di stimolare l’intelletto, fornendo quindi un piacere ed una esperienza estetica che si estende ben oltre il semplice, ma potente, piacere fornito dal bello. infine, attraverso la lettura di un giornale una persona indubbiamente può acquisire conoscenza. anche attraverso la lettura di un romanzo uno può acquisire conoscenza, ma la funzione del romanzo non è quello di incrementare la nostra conoscenza del mondo, bensì quello di calarci in un mondo non nostro che però agisce sulla nostra coscienza (se il romanzo funziona). 3. tesi 3 l’arte riflette la capacità di astrazione che è caratteristica di ogni sistema efficiente di acquisizione di conoscenza. tutta l’arte è astrazione con il termine “astrazione” si intende la capacità di astrarre dal particolare delle leggi generali, che diventano poi conoscenza secondo questa tesi l’arte vola al di sopra del particolare per mostrare l’universale, ottenuto mediante un’operazione di astrazione —> l’arte rappresenta quindi forme ideali, “astratti” dalla realtà; delle forme e delle scene prototipiche, a cui noi diamo un senso astrazione simbolica e imminenza del momento (non astratto per definizione), sono simultaneamente presenti nell’arte fiamminga (ex: matrimonio arnolfini) 4. tesi 4 la conseguenza del processo di astrazione è la creazione di concetti e ideali. l’arte è la traduzione su tela di questi ideali formati dal cervello. circa questa tesi dobbiamo riflettere criticamente sulla seguente domanda: l’arte coincide con la rappresentazione di concetti ideali, ovvero universalmente riconosciuti e accettati? ogni civiltà ha definito in modo più o meno esplicito i canoni della bellezza, tramite cui si possono fare confronti. ma come si traduce la bruttezza “ideale”? come si determina il grottesco perfetto? il “brutto”, che è una deviazione dal cammino verso il bello, è comunque una categoria insistente sull’esperienza estetica. come lo so idealizza? la neuroestetica tuttavia non affronta il brutto nell’arte. 5. tesi 5 25 l’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. ne segue che il perché e il come le creazioni artistiche suscitano un’esperienza estetica può essere intesa pienamente soltanto in termini neurali a prescindere da un feroce neuroriduzionismo, il problema qui è che si è dato per scontato il significato di esperienza estetica, tra l'altro facendola coincidere spesso con l'esperienza del bello, quando l'esperienza estetico-artistica è ben più complessa. questa linea di pensiero conduce nuovamente l’estetica sperimentale (di cui la neuroestetica è una delle ultime evoluzioni) a considerare soltanto casi limite, a porre barriere piuttosto rigide nei confronti dell’arte, definendo ciò che funziona sul piano estetico da ciò che non funziona. scritto così, il piano scientifico sembra importante, ma è nei dettagli che si annida il diavolo. nel suo libro zeki afferma, per esempio, che il cubismo è stato un fallimento perché ha operato delle scelte formali non basate sul modo di funzionamento del cervello. l'affermazione ha del ridicolo... un altro punto debole, reminiscente di un’idea ‘romantica’ dell’arte e dell’artista, è l’insistere sul carattere istintivo dell’artista, come se l’artista non avesse piena consapevolezza dei propri mezzi e del proprio operato. la conseguenza di questo tipo di ragionare non è quello di alzare l’artista al rango di “neuroscienziato”, bensì di svilire il suo apporto intellettuale nella creazione dell’opera. l’artista avrebbe delle abilità, ma per lo più opererebbe in modo inconscio. noi usiamo il termine “arte concettuale” per definire un certo tipo di arte visiva. e tuttavia, non si dà alcun prodotto artistico che non sia infine anche un’opera concettuale. anzi, si può ben ritenere che siano proprio il background socio-culturale, le pulsioni sociali attorno all’artista, nonché la sua impostazione intellettuale a guidare la forma data all’opera, la cui funzione è di convogliare “significato”, nel senso più ampio del termine, e cioè senza confini. la forma, in arte, è anche una componente fondamentale del contenuto —> in tale senso l’arte vera non è mai istintiva, ma premeditata, anche quando si avvale dell’improvvisazione 8. la verosomiglianza ! GRECI > NIMESI : potere delle immagini di presentarsi con le caratteristiche visive di altri oggetti di un altra natura, materia, dimensioni e così via. nella cultura occidentale si parla di imitazione o verosimiglianza.3 punti di vista particolari: - IMITAZIONE DELLA NATURA: Trattato sul filo dei contributi che in periodo manieristico hanno alimentato il dibattito sul rapporto fra natura e arte.Si tratta di un argomento che fu molto sentito nel 1500 - RAFFIGURAZIONE DEL CORPO UMANO: pensiero occidentale sulla bellezza del corpo umano - PERCEZIONE PITTORICA: verosimiglianza e imitazione dal punto di vista della Psicologia della Percezione (Gibson) la scoperta della prospettiva fece ritenere che l’obiettivo inseguito per secoli dai pittori di raggiungere la perfetta verosimiglianza, era alle porte. le regole prospettiche applicate a disegni e dipinti avevano determinato un nuovo modo di rappresentare il mondo. i registri visivo-verbale si possono completare a vicenda. la verosimiglianza non è altro che una caratteristica di ciò che è simile o conforme al vero: vi è una tensione costante alla verosimiglianza nell’arte figurativa sai suoi albori. 26 la funzione è quella di rappresentare nel mondo più realistico possibile ciò che realmente esiste, ma anche ciò che è solo frutto dell’immaginazione: consiste nel portare il fruitore al di là del confine del reale, mostrando qualcosa che sembra possibile, sebbene impossibile. tensioni alla verosimiglianza sono presenti anche nell’arte contemporanea, anche se in forme diverse da come inteso nella definizione classica: caratterizzano infatti altre forme d’arte, come letteratura, cinema, arte radiofonica e teatro per quanto riguarda la verosimiglianza nell’arte figurativa classica, nella pittura, nelle arti grafiche e sculture, l’alberti sostiene che l’arte nacque come tentativo di riprodurre il visibile; con un fine che potrebbe essere di varia natura (celebrazione di eventi, religioso, racconto). in ogni caso si tratta di comunicazione è necessario chiedersi se vi sia uno stile migliore di altri, che sia più fedele nel modo di rappresentare le qualità formali e materiali del mondo visibile in verità, già nell’arte preistorica vi sono non pochi esempi anche di raffigurazioni geometriche, condivise da culture diverse e lontane, ripetute fino a occupare un’intera parete. nonostante non sia chiaro definire se esse siano decorazioni o rappresentazioni simboliche, qualsiasi fosse la loro comunicazione, molti studiosi ritengono che le raffigurazioni geometriche in generale siano importanti esercizi del vedere e del ragionare, mirati al controllo della superficie e dello spazio. la psicologia dell’arte e l’estetica sperimentale si sono concentrate in passato sull’analisi dell’arte figurativa, individuando nella tensione alla verosimiglianza uno dei motori dell’evoluzione artistica. per quanto riguarda il realismo dell’arte figurativa, l’uomo da sempre cerca di piegare la natura; tuttavia, andando sempre contro alle rappresentazioni realistiche. in quanto, il mondo presenta irregolarità e imperfezioni, pur suggerendo all’osservatore la bellezza di proporzioni regolari e perfette il compito dell’artista era dunque quello di rappresentare una natura perfetta, sostituendo le irregolarità e le imperfezioni, tipiche della natura, con regolarità e proporzioni ritenute ideali in altre parole, l’arte figurativa mirava non tanto a imitare la natura, quanto proprio a superala. il mondo rappresentato diventa un luogo simbolico in cui la comunicazione viene perseguita seguendo specifici canoni estetici si pone dunque una distinzione tra imitazione e ritratto della natura: - la prima deve rappresentare ciò che si vede - la seconda deve rappresentare ciò che si dovrebbe vedere se il mondo fosse perfetto. rappresenta la vera sfida, che consiste nel perfezionare la natura, superandola in bellezza si tratta del programma implicito dell’arte figurativa, reso esplicito dal manierismo in poi la natura, quindi, come generatrice e portatrice di “perfezione” va imitata; ma il grande artista va anche oltre, superandola, per equilibrare e aggiustare le sue disomogeneità e imperfezioni è esistito dunque un atteggiamento ambivalente nell’arte verso la natura, che se da un lato è maestra da imitare; dall’altro è dimensione da giudicare e superare, correggendo la sua apparenza laddove necessario non ci si deve però scordare che l’uomo imita la natura, anche ritraendo il “brutto”, che in natura si sostanzia in proporzioni esagerate, irregolarità e asimmetrie —> anche qui l’arte, pur ispirandosi alla natura, sembra andare oltre, individuano, perfezionando prototipi e inventando nuove forme e combinazioni 27 nel rinascimento è stato posto di frequente il problema dell'origine dell’arte. leon battista alberti- primo capitolo del trattato incompleto sulla scultura - de statua (xv secolo). (....) “essi forse videro in un tronco o in una zolla o in altre cose inanimate di tal genere alcuni tratti che, con pochi cambiamenti, potevano rappresentare qualcosa di molto simile ad altri aspetti reali della natura. allora rendendosene conto esaminandoli accuratamente cominciarono a fare dei tentativi, se mai potessero aggiungervi o togliervi qualcosa e darvi quei tocchi finali che parevano mancare per cogliere e esprimere completamente il loro aspetto di un’immagine (....)”. questa intuizione che può sembrare banale va comparata con le precedenti teorie dei secoli prima: come la teoria su nino, re degli assiri che alla morte del padre ordinò un ritratto del defunto per farlo adorare. teoria citata anche da vasari e supportata da leon battista alberti. voyager: sottolinea il frequente utilizzo di protuberanze di rocce somiglianti ad animali che venivano in parte dipinte. procedure abbandonata dall’arte occidentale e coltivata dall’arte cinese e giapponese: macchie di inchiostro che rappresentano piante….. ma anche la loro assenza, la transitorietà della vita, fragile concretezza. reinterpretazione ● preso in prestito da finke che lo usa per definire alcuni aspetti di operazioni con le immagini mentali. finke è interessato alla capacità delle persone di manipolare mentalmente immagini oggetti o di forma non attualmente sotto osservazione ● alla base di questa attività cognitiva che nesser definisce “andare al di là (interpretazione di livello basso) dell’informazione data”. ciò che osserviamo muta e si riorganizza in modo diverso: ○ scambio tra sfondo e oggetto percepito (bianco o nero) ○ papero-coniglio di jastrow 1. douchamp: ready mades → fontana: inmoposizione di un oggetto quotidiano come epifania dell’opera d’arte l’arte contemporanea è sempre più un gioco di interpretazione, sempre più tendente ad attribuire all’artista un’intenzionalità non sempre esplicita all’autore. livello di significato: - materiale grezzo = significato livello 0 - manipolazione artista sul materiale = significato livello 1 - critico che interpreta l’opera = significato livello 2 - critico che interpreta l’intenzione = significato livello 3 livello 2 e 3 insieme formano un discorso del critico = livello 4 quando l’arte è astratta il ruolo del critico diventa determinante. il critico diventa una sorte di artista di livello superiore, che manipola l’arte dell’artista dandogli una propria interpretazione. modello diffuso dell'attività percettiva → si divide in due processi che concorrono: 1) uno innescato dai dati registrati dagli organi sensoriali periferici. ( fase sensoriale) 2) uno innescato dai dati già depositati in memoria sotto forma di concetti. (il caso della nostra antenata che trasformò una roccia in un bisonte è un caso emblematico di quel tipo di reinterpretazione operata autonomamente dal sistema percettivo.) 1) a fondamento dell'organizzazione delle nostre conoscenze vi è un sistema ordinatore basato in primo luogo sulla forma delle cose e poi anche sugli altri attributi ( colore, materiale….) 30 2) i processi di raccolta delle info sensoriali (dal basso) e di verifica del loro significato ( dall’alto) in condizione di osservazione prolungata, non si arrestano e proseguono nella verifica dei significati attribuiti e nel controllo della compatibilità dei dati sensoriali con altri significati possibili. distinzione tra: - oggetti numerabili: hanno una forma singolare - oggetti non numerabili: forme cumulative - oggetti intermedi: che stanno tra numerabili e non numerabili (pietra, nuvole, roccia….) un oggetto numerabile non puo’ essere reinterpretato come oggetto non numerabile. (un gatto gatto non viene interpretato come una roccia) le qualità espressive ogni oggetto trasmette a chi lo osserva, anche nelle info per quel che soggettivamente o convenzionalmente valgono di carattere emotivo. (wertheimer “il nero è un ombra prima di essere nero) qualità primaria → caratteristiche fisiche qualità secondaria → caratteristiche fenomeniche qualità terziaria → qualità espressive categorizzazione fatta in precedenza dal filosofo inglese locke (differente) e ripresa dai gestalgisti ↓ matzger e le 3 qualità gestalgiche: 1) struttura degli insiemi ordinati che hanno struttura spaziale o figurale 2) qualità e caratteristiche globali ( qualità del materiale come “ trasparente, luminoso…”) 3) modo di essere ( qualità espressive nella modalità) festoso, amichevole, tetro…… fig: 3 .10 a) ….cerchio di 7mm di diametro……. → qualità primarie fisiche b) sequenza di immagini che esibiscono momenti differenti dello stesso evento cinematico (fa riferimento a elementi prevalentemente geometrici del moto) → esperienza fenomenica c) il cerchio, facendo cadere il rettangolo, si può definire la componente attiva dell’azione, il rettangolo quella passiva. qualità terziaria: narrazione antropomorfa (completa la descrizione b) cerchio aggressivo e rettangolo colto di sorpresa. michotte e il movimento (1946 - 1962) primo psicologo a studiare la causalità fenomenica, rivelando che tra due forme in movimento si instaurano con facilità relazioni reciproche di dipendenza causale che tutti vedono. molti osservatori descrivono la scena attribuendo alle figure emozioni e intenzioni. (cogliere relazioni di causalità fenomenica) ciò porta michotte a pensare che l’osservazione dei soggetti che osservano queste figure è un modo per comprendere gli stati emotivi e l’interpretazione delle azioni altrui. disegno gli eventi cinematici comprendono un prima e un dopo che fluiscono l’uno nell’altro nel momento che li osservo, anche in condizioni statiche. es. il rombo ha modificato le linee che in un momento passato pensiamo essere state tutte parallele fra loro. -forma di completamento amodale temporale invece che spaziale? 31 leyton e la percezione visiva del tempo leyton (1992) sostiene che in certi casi, il tempo sia visivamente percepibile già dalla forma degli oggetti e su questa base ha costruito una teoria secondo la quale l’asimmetria sarebbe un veicolo espressivo dell’informazione temporale. i punti cardine di questa teoria sono: 1) la forma ci dice qualcosa sulla storia dell’oggetto e in alcuni casi percepiamo gli eventi che lo hanno portato nell’attuale forma. forma = finestra sul passato 2) e’ possibile cogliere i fenomeni che hanno cambiato la forma di un oggetto solo se esso ne ha qualche traccia visibile. 3) l'asimmetria costituisce la memoria di un oggetto, vista nel presente sembra generata da una precedente simmetria. processo unidirezionale: dalla simmetria all’asimmetria. gibson - teoria ecologica sostiene che la luce riflessa dagli oggetti arriva agli occhi degli spettatori come un fascio di angoli solidi ben strutturati e ordinati, chiamato assetto ottico. quando il soggetto si muove l’assetto ottico si modifica, ma mantiene inalterate alcune relazioni. - l’attività percettiva è in grado di utilizzare gli aspetti invarianti del flusso ottico come info sull’ambiente in cui viviamo (secondo gibson) affordance: consentibilita’ (diz. qualità fisica di un oggetto che suggerisce all’essere umano le azioni appropriate per manipolarlo) l’aria consente la respirazione, il terreno un sostegno, l’acqua di lavarsi ma non di sostenersi. qualsiasi superficie consente o non consente attività lo stesso stimolo, secondo gibson, ci fornisce le info formali - posizionali - dimensionali, sia le info delle affordance due ordini di invarianti: - basso livello: caratteristiche formali - spaziale (invarianti) - alto livello: affordance ma cutting comprende che gibson non esplicita le relazioni tra invarianti e affordance takete e maluma la dimostrazione di kohler ci sono 2 disegni: 1 simil stella ; 2 simil cerchi incrociati disegno associare le parole prive di senso alle figure. tutti associano takete a disegno n. 1 e maluma a disegno n. 2 la scelta della qualità espressiva si può manifestare in differenti modalità sensoriali. non si può associare ad una parola il proprio disegno, pensando che esso vada bene solo per quella parola. la verifica si ottiene trasformando le due parole progressivamente l’una nell’altra, sostituendo le lettere. allo stesso tempo si trasformano le due figure l’una nell’altra, con lo stesso numero di passaggi intermedi. tra i disegni intermedi e le nuove parole, non si instaura la stessa attrazione magnetica che c’era tra le figure e le parole iniziali. ciò significa che le corrispondenze si instaurano fra strutture organizzate e non alle sue componenti costitutive. non c’è lo stesso rapporto espressivo. le qualità espressive sono componenti intrinsecamente connessi all’oggetto complessivo. 9. le origini ! come nasce l’arte? quando l’uomo sente il desiderio di rappresentare qualcosa? una risposta ce la offre leon battista alberti: 32 rilevatore di segnali (invarianti di struttura) in mezzo ad un mare necessario di rumore (le variazioni nel flusso ottico). (si noti l’assonanza con la posizione di zeki, secondo cui compito del cervello è quello di rilevare le costanze percettive) secondo questo approccio teorico, la luce che viaggia verso l’occhio possiede una struttura che le deriva dall’azione di riflessione degli oggetti fisici. è una struttura che subisce continue variazioni sia a causa del movimento di cui sono suscettibili gli oggetti stessi nella scena, sia a causa dei movimenti continui dell’osservatore. queste variazioni sono essenziali, perché è per mezzo di esse che emergono le invarianti di struttura. le invarianti di struttura sono senza nome e senza forma: difatti, esse sono meglio descrivibili in termini di rapporti tra gli elementi costitutivi degli stimoli. in tale ottica, il rapporto aureo, sempre identico a se stesso, sarebbe l’invariante di struttura sottostante la percezione di bellezza. alla famosa domanda di koffka (psicologo gestaltista) “why do things look as they do?”, gibson risponderebbe “because they are what they are!” —> noi vediamo la macro-struttura fisica del mondo: rispetto al cognitivismo classico, il sistema visivo non crea una “rappresentazione” del mondo, bensì registra il mondo così come si presenta nella sua veste macro-fisica, trasmessa a noi come struttura complessa, ma non ambigua, tramite la luce. tuttavia, la teoria di gibson presenta diversi problemi dal punto di vista epistemologico: un primo problema riguarda l’esistenza di illusioni = se il sistema visivo registra la macrostruttura dell’ambiente circostante, non dovrebbero esserci fenomeni illusori, in quanto le illusioni non fanno parte del mondo fisico. di fatto, gibson tratta le illusioni alla stregua di eccezioni, fenomeni che emergono soltanto in laboratorio dove le condizioni di stimolazioni sono particolarmente impoverite, e quindi con pochi invarianti di struttura. gibson, infatti, ha sottolineato la necessità di condurre studi sperimentali al di fuori dai laboratori, in condizioni appunto “ecologiche”. si possono fare due importanti obiezioni a questi argomenti: - “in una corretta teoria scientifica non vi deve essere posto per le eccezioni: esse devono poter essere spiegate dalla teoria o la teoria va messa in crisi. (...) molto più produttivo mi sembra considerare questi fenomeni come preziosi indicatori del reale funzionamento del sistema, cioè come «situazioni sperimentali naturali» che possono consentire di scoprire la «logica» secondo la quale funziona quel sistema” (kanizsa, 1980). alan gilchrist, psicologo americano, concepisce le illusioni con una firma del sistema visivo - il sistema visivo funziona sempre allo stesso modo, sia dentro che fuori di un laboratorio. il vantaggio del laboratorio è quello di permettere un maggiore controllo su variabili non pertinenti ma che nondimeno potrebbero influire sull’esito dell’esperimento stesso. un secondo importante problema riguarda l’esistenza di immagini pittoriche (disegni, dipinti, fotografie). queste presentano un assetto ottico congelato, suscettibile di variazioni solo in virtù del movimento dell’osservatore, il quale però muovendosi non determina l’acquisizione di nuova informazione in forma di invarianti di struttura, in quanto la struttura di un’immagine non è suscettibile di variazioni. un’immagine è infatti una superficie piatta; scostamenti dal punto ideale di osservazione possono indurre effetti di distorsione nella percezione della scena raffigurata, ma non apportano necessariamente nuova informazione circa la scena raffigurata. gibson cercò di ovviare a quest’ultimo problema epistemologico introducendo l’ipotesi di una peculiare abilità percettiva: la percezione pittorica: “concludo dicendo che un’immagine richiede sempre due abilità percettive che 35 agiscono simultaneamente: una è diretta, e l’altra è indiretta. c’è una percezione diretta della superficie pittorica insieme ad una consapevolezza indiretta della superficie virtuale”. (gibson 1979) dunque, essa sarebbe quindi la facoltà di vedere cose diverse dagli stimoli realmente presenti sul piano fisico. in altre parole, la percezione pittorica sarebbe quel fenomeno per cui invece di una successione disordinata di ombre, o un pasticcio di pigmenti, noi siamo in grado di vedere un film, un dipinto, una fotografia, ecc. è indubbio che la nozione di percezione pittorica ha fruttato molto dal punto di vista della ricerca e della comprensione di come “funzionano” le immagini. tuttavia, dal punto di vista epistemologico tale nozione pone più problemi che soluzioni, e sorge il forte dubbio che di fatto si postuli due modi di funzionare del sistema visivo, uno normale (o ecologico), e l’altro artificiale, da laboratorio tuttavia, bisogna sottolineare come la percezione pittorica non riguardi solamente le immagini pittoriche, bensì un po’ tutta l’arte: in quanto tutta basata sul principio di rappresentare qualcosa attraverso qualcos’altro (che sia la pietra per le sculture o il movimento per la danza) una doppia presenza conflittuale imporrebbe che si vedessero due cose simultaneamente (per esempio osservando una scultura): la materialità dura del marmo e la morbida resistenza del corpo —> in realtà quando noi osserviamo la scena pittorica; il piano o supporto sparisce la caratteristica delle immagini somiglianti è che mentre parti di una roccia, la trama tessiturale della corteccia di un albero, una serie di macchie casuali su un muro, ecc., possono dar luogo al riconoscimento di pattern significativi (come visi, animali, paesaggi), visi e animali non possono essere visti in altro modo. esistono però fenomeni di mimetismo animale e di camouflage. in tali casi tuttavia l’animale o l’oggetto non è soltanto visto come altro da sé, ma scompare proprio dalla vista, integrandosi come componente di una struttura più ampia o come parte dello sfondo. al contrario di una roccia somigliante, che invece può mostrare altro pur mostrando sempre di essere una roccia il fenomeno del mascheramento vicario (2003) dà la seguente definizione per l’uso del termine mascheramento nello studio dei fatti percettivi: “si dà il nome di mascheramento ad ogni processo in cui uno stimolo, identificabile o riconoscibile (...), viene reso del tutto o parzialmente non identificabile o non riconoscibile per mezzo di un altro stimolo”. tuttavia, dalla definizione di vicario, infatti, si potrebbe cadere nell’errore di pensare al mascheramento come a un particolare processo del sistema visivo —> le cose stanno in altri termini: il mascheramento non è un processo, bensì è una possibile conseguenza di certi processi di articolazione del campo visivo (unificazione e segmentazione secondo i principi di wertheimer, segmentazione figura-sfondo, ecc…) tuttavia, sempre vicario riporta un principio rilevante enunciato da kanizsa: può essere mascherato soltanto ciò che può essere smascherato. considerando l’obiezione iniziale alla definizione di vicario, e il principio di kanizsa, possiamo giungere ad una nuova, e si spera migliore, definizione del termine mascheramento: con il termine mascheramento si suole indicare quel particolare fenomeno per cui un oggetto, che sarebbe riconosciuto come tale nella sua unità ed integrità se osservato in “isolamento”, non appare invece visibile quando è compreso in un set di stimoli tali da indurre il sistema visivo a smembrare e/o inglobare l’unità originaria dell’oggetto stesso in nuove unità percettive. la nuova definizione, anche se più complessa, ha il vantaggio di delimitare il fenomeno, in quanto l’oggetto mascherato deve innanzitutto possedere una propria identità strutturale a livello percettivo, che in quanto tale deve poter essere recuperato sempre. se l’operazione di recupero visivo è possibile solo in seguito ad un grosso sforzo cognitivo, allora non siamo di fronte ad un fenomeno di mascheramento, ma a una sorta di errore dello stimolo, in cui il fenomenologo dice che l’oggetto in questione è mascherato, quando in realtà l’oggetto in questione esiste come unità soltanto a livello cognitivo, ovvero nella mente del fenomenologo la cosa interessante riguardo al mascheramento sta nell’osservare che il sistema visivo procede ad una organizzazione automatica dell’informazione visiva derivante dagli stimoli, usando in modo dinamico principi 36 quali la buona continuazione, la somiglianza, l’avvicinamento, insomma quegli stessi principi che garantiscono una segmentazione appropriata del campo visivo in unità discrete dotate di proprie caratteristiche figurali. i casi più spettacolari di mascheramento sono il mimetismo animale e di camouflage o camuffamento militare. in entrambi i casi lo scopo è quello di nascondersi agli occhi di un potenziale predatore o nemico, per mezzo di una integrazione mimetica con l’ambiente circostante. in tal modo, infatti, vi è una certa probabilità di passare inosservati in quanto scambiati come parte dell’ambiente (sfondo) o come parte di un oggetto poco interessante sul piano alimentare (per esempio essere scambiati per una foglia, ramo o, un sasso) 37 11. arte e scienza ! MORIN (1977) Riteneva che la scienza fosse una branca dell’arte in quanto a strategia di conoscenza. fine rinascimento: l’arte come technè (tecnica per personificazione divina del’arte) coltivava interessi per la scienza dei numeri per proporzioni e rapporti. post rinascimento arte e scienza vengono separate (circa nel 1600) in seguito alle pubblicazioni di galileo galilei e l’introduzione del metodo sperimentale, che affiancò il metodo dell’osservazione che aveva caratterizzato lo sviluppo delle scienze naturali. quindi la scienza si è separata dall’arte dopo l'introduzione di: - strumenti di osservazione quali: cannocchiale e microscopio - falsificazione come metodo di verifica delle ipotesi - matematica per descrizione dei fenomeni e definizione delle leggi. leonardo da vinci rappresenta l’emblema dell’artista/scienziato del rinascimento si può assegnare a leonardo da vinci l’idea che l’osservazione da sola non basta, e che bisogna ‘sperimentare’ per capire come funzionano certi aspetti del reale. il metodo vinciano, tuttavia, era ancora largamente legata ad interpretazioni del reale basate sull’osservazione. i esperimenti erano infatti guidate da domande (cosa succede se? come funziona?), non da ipotesi, le quali sono alle basi della formulazione di teorie, complesso appunto di ipotesi interconnesse, che caratterizza le scienze moderne. la formulazione di ipotesi non è legata a domande generiche (tipo ‘come funziona?’), ma a domande strutturate: perché succede una cosa? è a causa di a o di b? dunque, è galileo, che contrapponendo il ‘dubbio’ al ‘dogma’, va oltre la semplice ’sperimentazione’, adoperando in modo sistematico l’osservazione sperimentale, ponendo così le basi allo sviluppo del metodo sperimentale. perché la comparsa del metodo sperimentale ha imposto una divisione tra attività artistica e attività scientifica? in che modo il metodo sperimentale contrasta con l’arte? perché si dice che arte e scienze hanno preso due strade diverse? in che cosa consiste questa differenza? queste domande sono centrali, se si vuole indagare il fenomeno arte dal punto di vista psicologico. servono a comprendere meglio il fenomeno e a incorniciare una nuova tendenza, quella che negli ultimi 20 anni vede un certo ritorno di fiamma tra arte e scienze. al fine di comprendere a fondo il nuovo accostamento tra fare artistico e fare scientifico, cioè tra ricerca artistica e ricerca scientifica, conviene porre alcune domande, la risposta delle quali può aiutarci a trovare le risposte alle domande precedenti: 1. che cosa hanno in comune arte e scienza? 2. quali sono le differenze tra ricerca scientifica e attività artistica? 3. quali potrebbero essere i vantaggi in termini culturali e gnoseologici di un nuovo accostamento tra le due discipline? arte e scienza punti in comune: passione, intuizione, creatività, eleganza e semplicità nelle soluzioni, senso estetico del risultato differenze: scienza: - non può prescindere da un atto di fede realista. dualismo necessario: vi è un mondo esterno, indipendente dall’osservatore, regolato da leggi basate su relazioni che possono essere indagate. - il mondo esterno è osservabile da tutti, è pubblico. - partendo dall’osservazione e dalla misurazione della realtà è possibile scoprire teoremi e ipotizzare leggi che spiegano il funzionamento delle cose e la loro ragione d’essere - le leggi ipotizzate mediante procedimenti propri a ciascuna scienza devono essere tutte comunque passibili di verifica (giusto/sbagliato) in relazione alla loro corrispondenza con il mondo - sulla base di leggi e teoremi corretti vengono costruite teorie che però sono meno certi dei teoremi da cui sono formate, perché le teorie non sono mai completamente verificabili. le teorie, per quanto incerte, tentano di spiegare il funzionamento di un qualche aspetto del mondo. 40 - le scienze hanno un problema a cui cercano risposta, trovata la soluzione, e non significa che ce ne sia una soltanto non ci si interroga più del problema. arte: - può prescindere dal rappresentare la realtà esterna e oggettiva. anzi, l’opera d’arte, anche quando è realista al massimo grado, è comunque il prodotto di un punto di vista - non è necessario che i risultati facciano riferimento al un mondo esterno a chi osserva. - : l’arte non è necessariamente in cerca di risposte; piuttosto tende a rappresentare qualche cosa mediante materiale anche intrinsecamente estraneo da ciò che intende rappresentare - i risultati artistici sono al loro apparire incerti. i passaggi in base ai quali viene stabilito il livello di artisticità di un’opera non sono né stabili né definibili. - alla fine del processo di valorizzazione, in cui il tempo gioca un ruolo decisivo ma non prevedibile, si giunge alla certezza dell’arte, costituita dall’insieme composito e diversificato delle opere d’arte. dalla massa delle proposte necessariamente incerte emergono un numero limitato di risultati certi. i risultati non spiegano il mondo, ma possono rappresentare aspetti del mondo, nonché istanze ed esperienze del tutto soggettive eppure in parte condivisibili mediante l’opera stessa. - l’arte non arriva a risultati in risposta a problemi, ma come nuovi pezzi di realtà da spiegare ed interpretare. un risultato scientifico - va compreso: la capacità di comprendere è un modo di essere dell’intelligenza. chi non possiede gli strumenti intellettivi atti alla comprensione profonda di una scoperta scientifica può solo accettarla con un atto di fede. - va interpretato. mentre la comprensione è una dimensione che molto si avvicina al “tutto o niente”, l’interpretazione è un continuum che non possiede limite zero. tutti possono interpretare un’opera d’arte, anche quando non conoscono la storia che sta dietro e/o dentro l’opera stessa. non vi è alcun criterio oggettivo in grado di stabilire la falsità di un’interpretazione, in quanto chi interpreta lo fa anzitutto per se stesso. - può essere riportato in diversi modi. il risultato non cambia in base al modo in cui esso viene presentato. inoltre, il risultato nuovo include quello precedente, il risultato precedente si dissolve in quello successivo. un risultato scientifico pone fine ad una discussione, un risultato artistico intavola temi su cui discutere. Un risultato artistico va interpretato a va continuamente ri-analizzato.Le opere migliori vengono continuamente discusse e ridiscusse. le scoperte scientifiche vengono verificate prima di pensare alla comunicazione: per le scienze viene prima il problema e poi la comunicazione. nell’arte viene prima il come (comunicazione) e poi il cosa. la filosofia e la psicologia hanno tentato di trovare e fingere delle cause, di capire quali fossero le domande a cui l’arte da risposta. un’opera d’arte è quella che è, e non può essere modificata di una virgola. può dar luogo ad interpretazioni diverse, che possono essere confrontate con il testo originale, ma il testo originale non si dissolve nelle sue interpretazioni, né in opere ad esso successive, e non include al suo interno opere precedenti, benché possa fare riferimento ad opere precedenti - il prodotto scientifico è indipendente dal modo e dallo stile con cui è presentato: un resoconto verbale, un grafico, una formula, non alterano la sostanza del prodotto scientifico. - il prodotto artistico è imprescindibile dalla sua forma. l’arte non può prescindere dalla forma con cui è espressa. anche l’arte concettuale, che rifiuta la forma, non può prescindere da un ancoraggio materiale, 41 senza il quale l’opera non potrebbe esistere. nel caso de linea di lunghezza infinita di piero manzoni, il contenitore cilindrico è il segno materiale che concretizza l’esistenza dell’opera. il prodotto dell’arte: un oggetto materiale, solido, concreto che non può esimersi dalla forma, non può essere solo concetto, anche se si parla di arte concettuale, astratta. l’oggetto può essere anche solo la cornice dell’opera in sè come “merda d'artista" o la “ linea di lunghezza infinita” di manzoni. un’opera dadaista sarà sempre meno se ripetuta. il prodotto della scienza: al contrario di un risultato scientifico, che risulterà sempre più vero in base a quanto lo si verifica, lo si smonta e lo si riproduce. il prodotto scientifico studia un fenomeno ma è indipendente dall’oggetto materiale che lo veicola. e’ costituito da testi, immagini, formule. il valore di un risultato scientifico è indipendente dal modo in cui è stato formulato la prima volta. mentre un risultato dell’arte ha il proprio valore proprio nella sua prima o ultima forma. nella scienza è la soluzione che conta, una volta arrivati alla conclusione, la formula iniziale non conta più. nell’arte invece non ci può essere alcuna variazione, non è solubile negli sviluppi successivi dell’arte. esempio: il testo di Lavoiser è compreso nella stessa maniera da chi riesce a comprenderlo e può essere riprodotto da chiunque lo abbia compreso. l’Amleto di Shakespere può essere interpretato in infiniti modi, ma per accedere all’opera e dargli una nuova interpretazione o di valutarne una già esistente, occorre avere il testo originale. i vantaggi a tal proposito di una ri-unificazione di scienza e arte è funzionale soltanto all’industria culturale, non certo alle due discipline. i modi di procedere, i risultati ottenuti e ottenibili, gli scopi stessi, ed i linguaggi utilizzati sono intrinsecamente diversi. - l’artista non è un neuroscienziato: il suo scopo non è quello di studiare o di spiegare il funzionamento del cervello, bensì quello di determinare in un osservatore una determinata esperienza estetica - il neuroscienziato (e lo psicologo) non è un artista: il suo scopo non è quello di creare forme o di rappresentare istanze umane, bensì quello di comprendere i meccanismi sottostanti il comportamento umano. la scienza rincorre la verità attraverso lo studio della realtà. l’arte relativizza la verità, e nel fare ciò può anche prescindere del tutto dalla realtà. comprensione e interpretazione come scienza e arte la comprensione (scienza) è un processo di tipo tutto/niente. Una formula o la si comprende o non la si comprende, essendo basato il sapere scientifico su forme e ragionamenti. l’interpretazione ha un vasto spettro di sfumature, non c’è qualcuno che si esclude come non c’è un critico che stabilisce in via definitiva che una interpretazione è sbagliata. ad esempio: se si dovessero smarrire gli studi chimici di LAVOISER e l’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina, non avremmo eguali danni nella conoscenza della chimica ed al sapere artistico. per la chimica di oggi perdere un antico trattato di Lavoiser sarebbe un danno molto limitato, dato che si possiedono conoscenze molto più avanzate.diverso sarebbe per l’affresco di Michelangelo che non verrebbe più compreso perché non ha tracce di sé in opere successive. tesi di semir zeki: tesi # 2: arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. la funzione dell’arte è dunque un’estensione della funzione del cervello. tesi # 5: l’artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva 42 12. arte e comunicazione 1 ! la vita biologica e sociale si evolve perché c’è comunicazione. la comunicazione si riferisce a moltissimi processi diversi, uno dei quali è la necessità e la capacità che gli esseri umani hanno di condividere le conoscenze, emozioni, esperienze. è un sistema vivente (che respira, si riproduce e si adatta) è differente per il modo in cui utilizza l’informazione rispetto ad una macchina che funziona in base ai principi della meccanica classica (legame di tipo causa-effetto con esiti prevedibili). con il termine “comunicazione” si intende: - atto del trasmettere ad altri, atto del trovarsi in contatto con altri - processo mediante il quale l’informazione viene trasmessa tra due sistemi - collegamento materiale - un processo del quale l’informazione è scambiata tra individui per mezzo di un sistema comune di simboli. con “informazione” si intende: - la comunicazione o ricezione di conoscenza - conoscenza ottenuta mediante l’investigazione, lo studio, o l’istruzione - l’attributo inerente a, e comunicato da, una sequenza o arrangiamento di un insieme di elementi che produce effetti specifici - un segnale o segno rappresentante dati, cioè entità aventi un contenuto specifico - qualche cosa (messaggio, dati, immagine) che giustifica un cambiamento di costrutto (come un piano, un’ipotesi, un pensiero) rappresentante esperienze fisiche, mentali, oppure un altro costrutto. è possibile individuare differenti gradi di libertà della comunicazione: ● rigida: comunicazione di tipo meccanica; l’interazione avviene in un solo mezzo, un solo modo e un solo risultato comunicativo. questo vale anche per tutti gli apparecchi digitali ● vincolata: comunicazione di tipo biologico; numero finito di elementi informativi, risultati virtualmente infiniti ma parzialmente prevedibili. 45 ● aperta: la comunicazione che caratterizza i rapporti umani; numero infinito e illimitato di elementi,mezzi e risultati che si rinnovano continuamente (e devono rinnovarsi continuamente, come ad esempio in pubblicità). il problema della comunicazione è nel modo in cui viene definita e utilizzata nel suo contenuto. a comunicazione fa entrare in contatto due elementi due elementi indipendenti nella comunicazione aperta le caratteristiche dell’informazione non sono né stabili né rigide. in questo tipo di comunicazione l’informazione che circola deve rinnovarsi di continuo affinché il processo di comunicazione rimanga attivo. forse massironi fa una leggera svista: non è l’informazione che deve necessariamente rinnovarsi, ma le modalità mediante cui è trasmessa (forma, stile, simbolismo implicito ed esplicito, ecc.) la comunicazione di tipo aperto obbedisce alle regole interpretative. l’interpretazione può spiegare gli eventi a posteriori e non ha perciò un potere predittivo. esempio: la storia può interpretare la natura dei fatti accaduti, tentare di spiegare quanto sta accadendo, ma può soltanto opinare una ragionevole direzione di sviluppo di eventi in corso. non può predire il futuro. nessuna scienza è in grado di predire il futuro. al massimo si possono delineare possibili percorsi di eventi. alcune scienze che studiano fenomeni naturali, come la meteorologia, hanno maggiore capacità predittive rispetto a scienze legate al comportamento umano (come per esempio le scienze economiche). i processi che guidano l’interpretazione sono successivi ai processi che raccolgono l’informazione e la strutturano. gli organismi viventi raccolgono l’informazione attraverso i sensi. i dati derivanti dalla stimolazione sono organizzati e strutturati in forme in modo automatico, secondo modalità largamente indipendenti dalla volontà dell’organismo senziente. comprendere il modo in cui l’informazione sensoriale (informazione che è in grado di stimolare i recettori sensoriali) è organizzata in unità significative può essere un passo importante nella comprensione profonda delle dinamiche di comunicazione tra organismi viventi. l’arte bella (....) è una specie di rappresentazione che ha il suo scopo in se stessi e che, pur senza scopo, promuove la cultura delle facoltà dell’animo in vista della comunicazione in società. la cumulabilità universale di un piacere, implica che il piacere non sia godimento sensoriale ma di riflessione l’esperienza passata l’esperienza passata è un fattore di tipo empirico: a parità di altre condizioni, il campo visivo si strutturerebbe anche in funzione delle nostre esperienze passate, in modo che sarebbe favorita la costituzione di oggetti con i quali abbiamo familiarità. il ruolo dell’esperienza passata risulta essere marginale, se messa in conflitto con altri fattori quali la buona continuazione, la chiusura, ecc. l’esperienza passata non può però spiegare il modo in cui noi organizziamo l’informazione —> questo perché i processi percettivi sono impermeabili ai processi cognitivi rappresenta una garanzia che il sistema funzioni sempre allo stesso modo, in maniera adeguata e funzionale figura modificata da michotte > pur sapendo che uno solo di quelle tre strutture è un triangolo, non riuscite a fare a meno di vedere tre triangoli completi quando la figura è parzialmente occlusa nelle sue parti critiche da una striscia. il fenomeno illustrato da questa figura si chiama completamento amodale > forte tendenza a unificare gli elementi (fattore della chiusura) la figura non necessita di interpretazione: vediamo tre triangoli senza dover pensare. è vero che i triangoli sono a noi figure note. il fatto è che anche quando sappiamo che una sola delle di quelle strutture occluse è un vero triangolo, una volta occlusa di nuovo non riusciamo a non vedere i tre triangoli. con lo sviluppo delle scienze informatiche, della teoria dell’informazione, e degli studi sull’intelligenza artificiale, si è andato delineando un nuovo approccio al comprensione di come funzioni il sistema visivo > il più autorevole tra questi approcci è stata la teoria computazionale di david marr. 46 la teoria di marr comporta 4 stadi, oltre all’acquisizione dei dati sensoriali (stimolo prossimale): 1. image-based stage: consiste nell’analisi dello stimolo prossimale per estrarre caratteristiche tipo i contorni. questo stadio porta alla formazione di uno “schizzo primario”. 2. surface-based stage: il sistema visivo recupera proprietà inerenti le superfici, determinando anche la distribuzione delle superfici (surface layout). in questa fase il sistema crea quello che marr definiva uno schizzo a due dimensioni e mezzo (2.5 d sketch). 3. object-based stage: il completo recupero delle proprietà tridimensionali delle superfici, che avviene attraverso la ricomposizione e l’integrazione di informazione presentata dal 2.5 d sketch. 4. category-based stage: recupero di proprietà funzionali degli oggetti che servono a guidare l’azione nell’ambiente e a decidere le strategie future. noi raccogliamo informazione tramite i nostri sensi l’informazione sensoriale, per essere utilizzata, deve essere organizzata in unità —> il modo in cui i sistemi sensoriali raccolgono ed elaborano l’informazione sensoriale in entrata è specifica per ciascun senso, ma i principi generali sottostanti l’organizzazione dell’informazione è simile nei diversi sistemi sensoriali. le unità percettive (un oggetto, un suono, un odore, ecc…) sono informative, cioè hanno un dato significato, perché posseggono una data forma. i nostri processi cognitivi lavorano con le forme, cioè con le strutture emerse dai processi di organizzazione sensoriale, non con l’informazione sensoriale grezza la vita sociale è il risultato di interazione e scambio di informazione tra gli individui —> questo processo articolato è chiamato comunicazione. la vita sociale è caratterizzata dalla comunicazione di tipo aperto; essa funziona e rimane attiva se è alimentata da una continua invenzione ed immissione di nuove forme. le forme perdono potere comunicativo in funzione del loro uso: una forma usata molte volte ha, a livello teorico, meno potere di una forma inventata da poco. l’arte è uno di quegli ambiti in cui è portata avanti la ricerca di nuove forme aventi potenzialità comunicative. non tutta la ricerca artistica finisce col fornire nuove forme alle esigenze più diverse della comunicazione quotidiana, ma vi è un’osmosi tra i due livelli —> talvolta l’arte ha proprio guardato ai prodotti commerciali per trarre ispirazione e creare opere nuove. infatti gli elementi della comunicazione quotidiana possono avere un'importante influenza sulla ricerca artistica. i vissuti che ogni persona può esperire durante la propria esistenza, nonché le esperienze emotive, sono spesso molto simili tra loro, ma allo stesso tempo diversi sia per il contesto che caratterizza l’esperienza, sia in base al modo in cui sono rappresentate (o ricordate) in arte è soprattutto la forma che si carica della diversità, e quindi del processo di innovazione. tra le forme “peggiori” e quelle più “sublimi” vi è una continuità di realizzazioni che soddisfano una richiesta generalizzata e scalare di modelli da cui attingere le forme del comunicare. tutte le epoche ed i periodi storici sono caratterizzati da una certa unità di stile che non riguarda solo l’arte, ma tutte le manifestazioni dell’attività umana. lo stile riguarda anzitutto la scelta di forme, e non necessariamente di contenuto. in tal senso l’arte di un determinato periodo storico tende a fornire modelli utili alle attività in cui la componente della comunicazione è rilevante. ovvero, l’arte nutre lo stile di un’epoca, nutrendosi a sua volta di contenuti emergenti dall’epoca in cui è nata l’opera. che fine ha fatto il contenuto? a livello di opera conclusa, forma e contenuto sono elementi inseparabili. la pura forma non esiste: ogni forma veicola anche un contenuto (se non altro perché innesca un processo di interpretazione). tuttavia, nella pratica del fare arte, queste due facce della stessa medaglia possono essere temporaneamente separate. per esempio, nelle cosiddette belle arti, una volta definito il contenuto, è la forma ciò di cui l’artista deve preoccuparsi: concentrandosi sulle qualità estetiche della forma, l’artista può mettere in evidenza aspetti inediti del contenuto. 47 da una parte vediamo l’odio per le avanguardie artistiche, come il cubismo e l’impressionismo, dall’altra l’esaltazione per l’arte classica e i suoi grandi interpreti. in quell’anno fu inaugurata un’esposizione pubblica per condannare e deridere la cosiddetta “arte degenerata” che derideva, disprezzava e metteva al bando centinaia di capolavori di artisti come chagall, kandinsky, picasso, monet, cézanne e matisse, etichettati come “incompetenti e ciarlatani”. appese in modo caotico, addirittura storte o senza cornici, queste opere furono ripudiate dal regime per il loro aspetto spesso straniante, i loro soggetti deformi e in quanto portatrici di caos. la mostra girò ben 12 città e fu visitata da oltre due milioni di persone. contemporaneamente a tutto lo stato tedesco rispose con una mostra per esaltare “la pura arte ariana” contrapponeva l’arte ariana con l’arte classica “del sublime e del bello, veicolo del naturale e del sano”, bramata come strumento di affermazione sociale dal nazismo stesso. per celebrarla fu inaugurata, sempre a monaco nel 1937, la grande esposizione di arte germanica. si stima che hitler abbia raccolto 5 milioni di capolavori, comprati a prezzi stracciati o confiscati in modo illecito e spesso utilizzati come merce di scambio per visti e lasciapassare per le famiglie ebree destinate alla deportazione. i protagonisti principali di questa razzia sono adolf hitler e hermann goring. entrambi ossessionati dall’arte e dalla necessità di eliminare la cultura ebraica dall’europa. i due diventano molto presto antagonisti contendendosi, in una sorta di gara, ogni singolo pezzo dell’enorme saccheggio messo in atto nei paesi invasi. arte e rivoluzione bolscevica, comunismo e russia (1917) si ha una prima adesione entusiastica delle avanguardie artistiche alla rivoluzione che stava accadendo in russia, con conseguente accettazione iniziale da parte dei rivoluzionari. rifiuto successivo in nome di un’arte populista in grado di essere immediatamente compreso. la visione utilitaristica dell’arte dà luogo ad una ricerca di forme atte a promuovere il messaggio sovietico (da soviet, che significa unione). inizio dell’arte-propaganda. l’arte al servizio del potere è, in un modo o nell’altro, sempre portatore di un messaggio propagandistico, educativo, spesso auto-celebrativo. il lavoro dell’arte è di inventare e scoprire nuovi modi di comunicare. rivoluzione d’ottobre 1917: arte a sostegno della rivoluzione russa. la forma si evolve per esprimere nuovi contenuti. rapporto tra intellettuali d’avanguardia ed il partito comunista: fare arte con e per il popolo nel 1918 Majakovskij che voleva coniugare l’azione poetica e quella politica, scrisse “letteratura agli operai”: rivoluzione del contenuto non può avvenire senza la rivoluzione della forma 50 finì male: l’arte d’avanguardia venne marcata come arte controrivoluzionaria. L’arte entra in quel meccanismo meccanismo di difesa che adotta, assume quando non sa come procedere. Si ferma, si guarda attorno e ricerca, con pochi risultati. opere: autoritratto, malevic // quadrato nero la guardia, malevic suprematism, malevic monumento per la terza internazionale , tatlin manifesto del 1917: le donne aderiscono alla cooperazione bandiere urss e cina - entrambe sfondo rosso 13. arte e comunicazione 2 ! la street art alcuni esempi di street art si configurano come vere e proprie opere d’arte, tanto da essere staccate da dove vengono create, per essere vendute all’asta ed esposte. i graffiti sono sia un codice grafico non ufficiale, sia (ad eccezione di pochi casi), un’arte non ufficiale. il graffitismo di harding ha molti punti in comune con lo stile precolombiano, non solo per l’horror vacui che caratterizza spesso le opere, ma anche per il modo in cui le forme sono trattate —> stilizzazioni che permettono giochi di incastri e forte aspetto ludico che invitano l’osservatore a cercare parti e ricomporre la scena. tristan manco afferma come fare graffiti sia il modo più onesto di essere artista > non si hanno bisogno di soldi, di un’educazione per comprenderla e non vi è alcun biglietto di ingresso per poterla ammirare l’asserzione di identità individuale è forse il tema più popolare e prevalente degli scritti di graffiti > quello di scrivere o incidere il proprio nome e soprannome (nickname) è però una tradizione antica, che risale ai tempi dei gladiatori. ma quand’è che un graffiti diventa un’opera d’arte e cessa di essere un atto di vandalismo? 51 molto spesso i writer vengono spesso additati come vandali > tuttavia, l’intervento di un graffiti può anche andare a riqualificare uno spazio. allo stesso tempo è necessario mettere dei paletti, in quanto monumenti ed edifici pubblici non andrebbero toccati. il writer si contraddistingue per le scritte illeggibili > si tratta di un’evoluzione del lettering (trasformazione delle lettere per finalità estetiche). le lettere diventano oggetti morbidi, gommosi, duri, metallici. la parola si carica di dinamicità visiva. quasi tutti gli street artist nascono con i tags (firme veloci e molto elaborate che si ritrovano ovunque negli spazi urbani). lo scopo di questo raggiungere ossessivo è quello di frasi notare, dichiarare la proprio esistenza e e “segnare” il proprio territorio documentario: exit through the gift shop - banksy exit through the gift shop è un documentario del 2010 attribuito a banksy, il celebre artista anonimo, e basato parzialmente sulla sua vita e le sue opere. nel film, diretto da banksy con l'aiuto di shepard fairey, si susseguono delle interviste a street artist di primo piano. è un documentario, una forte testimonianza in prima persona di quello che è stata la street art dopo la fine degli anni ‘90: ci sfilano davanti shepard fairey, il demiurgo di "obey" e della iconografia obamiana, ron english, invader, monsieur andré. è anche la storia di chi c'è dietro a questa testimonianza in prima persona, ovvero thierry guetta, un anonimo immigrato francese negli states talmente ossessionato dalla propria telecamera da avere filmato compulsivamente ogni istante della propria vita, l’uomo che per anni ha filmato alcuni fra i maggiori interpreti della street art. la sua vita ironicamente, si è intrecciata con quella dei suddetti artisti. un bel giorno, ancora in francia, incontra un suo cugino che non è uno qualunque ma uno dei primi street-artist. è, soprattutto, la più compiuta riflessione di banksy, probabilmente lo street artist più noto e geniale al mondo, sull'arte e sul continuo paradosso che la muove. arriva il giorno in cui il caso fa incontrare guetta e banksy, e così nasce una collaborazione, oltre che un’amicizia. guetta riprenderà anche banksy durante le sue imprese di guerrigliero maximo dell’arte da strada. poi banksy decide che farà lui un film sul movimento street-artistico utilizzando l’enorme archivio video di guetta. il fascino di alcune delle opere murali si ricollega alla ricerca visiva fatta da artisti delle avanguardie del ‘900, come klee, che nelle loro opere hanno ricreato una impressione di sfondo murale. per rispondere alla domanda relativa al fatto che i graffiti possano essere considerati arte p atto vandalico, è da sottolineare che il momento in cui l’artista di graffiti entra fare parte di una galleria, la sua opera viene immediatamente qualificata come arte. a volte la street art viene vista come un attentato al decoro dello spazio pubblico. una delle caratteristiche degli artisti di street art o arte urbana, è la riconoscibilità, che talvolta coincide con il segno grafico stesso, più spesso riguarda il modo di creare i personaggi. i detrattori di queste forme espressive infatti affermano che i prodotti visivi sono simili al mondo del fumetto; ma se guardiamo un picasso, un klee, ecc… non possiamo affermare la stessa cosa? difatti, il messaggio trasmesso tramite la street art è abbastanza semplice e i stilemi grafici sono abbastanza chiari. la cifra di differenza sta nella globalizzazione del fenomeno, con lo sviluppo di un linguaggio specifico seppur ancora filtrato dalla cultura autoctona. 52 da un punto di vista puramente descrittivo, l’esperienza della percezione pittorica descritta da gibson è per certi versi simile a quella che si ha con una figura impossibile, dove si vede un oggetto tridimensionale che però non può essere sostanzialmente tridimensionale al di fuori della realtà pittorica. questo perché noi possediamo una “doppia consapevolezza” che ci dice che l’immagine in realtà è piatta, però ci appare come tridimensionale. gombrich (1956) aveva parlato di doppia presenza in riferimento ad opere pittoriche, indicandola però in termini di due vissuti percettivi alternativi. per lui, più che di un rapporto conflittuale si tratterebbe di un’alternanza tra esiti percettivi. in questo senso l’esperienza della percezione pittorica sarebbe simile a quella innescata dalle figure ambigue, le quali mostrano appunto due esiti percettivi possibili - l’uno alternativo all’altro - come nella coppaprofili di rubin. il nostro sistema visivo cerca di eliminare l’ambiguità (in questo caso rende saliente la coppa) wollheim (2003) parla invece della percezione pittorica in termini di twofoldness, e quindi di simultaneità per quanto riguarda l’esperienza visiva del supporto pittorico e della scena ivi raffigurata questa posizione trova riscontro in altri studiosi, come per esempio in pirenne (1970) e in kubovy (1986), secondo cui la consapevolezza percettiva del supporto pittorico è un requisito essenziale per il funzionamento d’ipotetici processi compensatori atti a correggere distorsioni percettive dovute alle discrepanze tra l’immobile geometria interna alla scena pittorica e le continue trasformazioni dovute alla mutevole geometria dell’osservazione. l’ipotesi di wollheim richiama alla mente il vissuto di doppia presenza che si ha quando ad un unico livello di stimolazione corrisponde il vissuto di due presenze fenomeniche simultanee, come nel caso della trasparenza. mausfeld (2003) parla di rappresentazioni congiunte ma in termini antagonistici, per cui i parametri caratterizzanti un particolare aspetto di una delle rappresentazioni costituiscono un vincolo per l’altra rappresentazione circa la stessa caratteristica, e viceversa. in altre parole, parametri specificanti medesimi aspetti nelle due rappresentazioni mentali starebbero in una relazione antagonistica tra loro. è come se si volessero rubare la scena l’un l’altro. l’idea di rappresentazioni congiunte in modo antagonistico rimanda anche alla scissione fenomenica descritta da koffka (1935), quella cioè relativa all’esperienza simultanea di un colore di superficie e dell’illuminazione della superficie. questo fenomeno è forse quello che strutturalmente più si avvicina a quella della percezione pittorica. la proprietà di possedere un dato colore è una caratteristica di una superficie opaca, come è propria di una superficie pittorica la caratteristica di essere appunto una superficie. allo stesso tempo però una superficie opaca può anche mostrarsi illuminata in un certo qual modo, una caratteristica questa che è molto diversa da quello di essere di un dato colore; in modo abbastanza simile, la superficie pittorica mostra altro da sé, con una estensione spaziale che non appartiene alla superficie pittorica in quanto tale. in entrambi i casi si ha quindi una doppia rappresentazione: il colore di superficie e l’illuminazione coesistono simultaneamente nello spazio-tempo fenomenico, rubandosi a vicenda la scena, così come coesistono l’aspetto superficiale-materico del supporto pittorico e la scena che viene rappresentata. il prestare più attenzione ad un aspetto rispetto all’altro è determinato di volta in volta dal rapporto dinamico appunto tra l’attenzione e le mutevoli relazioni foto-geometriche all’interno della scena visiva globale. l’esperienza della scissione fenomenica tra colore di superficie e illuminazione è quella che più si avvicina al doppio vissuto che caratterizza la percezione pittorica, dove nella stessa esperienza spazio-temporale si danno due vissuti contrapposti ma contemporanei: quello del supporto che chiede di essere considerato per la sua materialità, e quella della scena ivi rappresentata, che quando vista tende a diluire o vanificare la materialità intrinseca del supporto. 55 indici pittorici di profondità oltre all’accomodamento (indice fisiologico e non artistico), esistono diversi altri indici monoculari che sono definiti pittorici in quanto si ritrovano nelle immagini pittoriche: 1. interposizione (od occlusione): è un indice pittorico piuttosto comune, e consiste nel fatto che la scena visiva è costituita da superfici che occludono alla vista parti di altri superfici. una superficie che risulta occludente è per definizione più vicina all’osservatore rispetto a quella parzialmente occlusa. sebbene poco informativo rispetto alle distanze, si tratta di un indice onnipresente e di un’importanza fondamentale > esso si collega al completamento amodale (noi spesso non possiamo vedere tutti gli oggetti nella loro totalità) 2. prospettiva naturale e prospettiva lineare: la luce che entra nell’occhio genera un’immagine retinica in base a precise leggi ottiche. questo tipo di proiezione viene chiamato prospettiva “naturale”. la prospettiva lineare, invece, concerne tecniche di disegno geometrico formalizzate sulla base delle stesse leggi ottiche cui obbedisce la prospettiva lineare. la prospettiva si fonda sulle leggi elementari dell'ottica, e in particolare sul fatto che gli oggetti distanti sembrano più piccoli e meno definiti rispetto a quelli vicini. la prospettiva lineare traduce graficamente l'effetto di riduzione scalare delle superfici determinato dalla distanza. essa non è altro che la traduzione delle leggi di ottica, in termini artistici; tuttavia, non traduce graficamente l’acuità visiva. parlando di proiezioni geometriche per effettuare un effetto tridimensionale, si fa riferimento alla prospettiva in 3 maniere diverse: 3. proiezione isometrica o assonometria = utilizzata per mostrare (tramite il disegno astratto), la forma solida di un oggetto e di mantenere simultaneamente costanti rapporti di grandezza. spesso si trova nelle immagini o nei disegni tecnici sulle istruzioni di oggetti. non vi è un elemento di diminuzione (legato alla distanza che si utilizza nella prospettiva lineare) > permette di comprendere le relazioni di grandezze rispetto alle parti. a. prospettiva inversa = di origine bizantina. questi operano una ipercorrezione dell’effetto distorto dato dalla proiezione isometrica: esagerano questo effetto, rendendolo reale (ex: rendono effettivamente più lungo il lato in fondo). gli antichi egizi, greci e romani indicavano la profondità dello spazio nei dipinti mediante una serie di accorgimenti più o meno rudimentali, come l’interposizione. a roma, la parola perspectiva (dal verbo perspícere, 'vedere chiaramente') indicava la 'scienza della visione' e corrispondeva al termine greco 'ottica'. nonostante fossero arrivati a utilizzare talvolta la convergenza apparente delle linee parallele di profondità, i pittori e gli scenografi greci e romani, legati all'esperienza della visione reale, non giunsero mai a determinare un 'punto di vista' fisso e immutabile capace di coordinare tutti gli aspetti della visione. la comprensione scientifica delle leggi della prospettiva è quindi un'acquisizione relativamente recente nella storia. queste leggi furono per la prima volta descritte con precisione in italia da leon battista alberti, il quale illustrò i procedimenti della costruzione di scene prospettiche nel suo trattato de pictura (1435). ma già tra la fine del xiv e l'inizio del xv secolo, gli artisti 56 erano arrivati a sviluppare una coscienza intuitiva della prospettiva; tuttavia, fu l'architetto fiorentino filippo brunelleschi che, con una serie di esperimenti attuati tra il 1417 e il 1420, mise a punto con esattezza le leggi della prospettiva lineare centrale. i pittori fiorentini masaccio e paolo uccello furono tra i primi ad assimilare e ad applicare tali regole prospettiche. l'esempio intuitivo più semplice del principio della prospettiva lineare è offerto dalla percezione visiva illusoria per cui i binari della ferrovia sembrano avvicinarsi fino a convergere all'orizzonte. in un disegno prospettico, la superficie del foglio o della tela è chiamata piano di proiezione; l'orizzonte è la linea orizzontale che divide il piano di proiezione individuando l'altezza del punto di vista dell'osservatore ideale; il punto di fuga, collocato sull'orizzonte, è quello in cui convergono tutte le linee di profondità. i punti di fuga possono essere più d'uno, a seconda dell'allineamento degli oggetti presenti nella scena raffigurata. il punto di fuga, punto di convergenza di tutte le linee non frontoparallele al piano pittorico, non esiste sul piano dell’esperienza fenomenica, ma corrisponde grossomodo al fuoco binoculare (o monoculare) di un osservatore ideale b. prospettiva aerea = oggetti che sono collocati più in profondità rispetto all’osservatore tendono ad apparire più sbiaditi e a possedere contorni meno marcati. questo è dovuto al fatto che l’atmosfera non è completamente tersa. vi sono microparticelle sospese nell’aria, la cui densità varia in funzione del clima, della pressione atmosferica, delle correnti, ecc. queste microparticelle di fatto costituiscono una sorta di filtro o velo tridimensionale: è come osservare la realtà attraverso strati di vetro sempre meno trasparenti man mano che lo sguardo procede in profondità la prospettiva aerea, i cui studi furono iniziati soprattutto da leonardo da vinci, si fonda sulla scoperta che l'aria non è un mezzo del tutto trasparente, ma con l'aumentare della distanza dal punto di osservazione essa rende i contorni più sfumati, i colori sempre meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. infatti leonardo tende a distinguere ulteriormente una prospettiva aerea propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della distanza degli oggetti raffigurati, da una prospettiva del colore che invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della loro lontananza. secondo gli studi di ottica di leonardo, l'aria è più densa («una aria grossa più che le altre») quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più trasparente con l'altezza. quindi soprattutto gli elementi di paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono più nitidi nelle parti più alte c. gradiente tessiturale: fu james gibson che per primo sottolineò l’importanza di questo indice di profondità, che consiste nel fatto che le superfici di cui è composto il nostro mondo visivo presentano spesso delle caratteristiche tissurali, sono cioè composti da elementi che, in media, posseggono tutti la stessa grandezza. l’indice consisterebbe nel fatto che gli elementi tissurali spazialmente più vicini a noi proiettano una immagine retinica più grande (occupano più spazio nel nostro campo visivo) rispetto ad elementi tissurali più distanti. in altre parole, gli elementi tissurali di una superficie sono scalati in profondità, determinando scaricato da fiorella della valle (fiorelladellavalle@gmail.com) lomoarcpsd|9733904 un gradiente scalare di grandezze angolari, il quale aiuta non solo ad incrementare la percezione di profondità, ma anche a stabilire rapporti di distanza tra oggetti visivi. va da sé che, in ambito di visione naturale, il gradiente tessiturale obbedisce alle stesse leggi ottiche che governano la prospettiva naturale d. ombre e ombreggiatura: la conformazione di un oggetto tridimensionale colpito dalla luce genera sulla superficie stessa dell’oggetto zone di diversa intensità di illuminazione. in parole povere, oggetti tridimensionali ci appaiono avere zone più illuminate e zone meno illuminate, o ancora zone illuminate e zone in ombra. inoltre, la 57 piuttosto comune rivolta all’arte bizantina, ed estesa poi alla quasi totalità dell’arte medievale, è quella di non aver saputo determinare una spazialità visiva coerentemente profonda esempio: l’arte medievale si è concentrato primariamente sulle forme, e tramite le forme ha definito lo spazio . punti di vista diversi sono combinati assieme anche quando si tratta di progettare macchinari. il modo medievale di determinare lo spazio ha una sua aderenza all’esperienza visiva del quotidiano, in cui lo spazio è un contenitore la cui apparenza è determinata da strutture, superfici ed oggetti delle più svariate forme e caratteristiche visive. in fondo, una stanza vale l’altra, quello che fa la differenza è la presenza di cose nella stanza, i loro colori, la loro disposizione. scopo dell’arte medioevale non era tanto quello di dare una forma coerente allo spazio, quanto quello di mostrare la solidità tridimensionale delle forme, le quali modulano lo spazio visivo. in un certo qual senso, quindi, quello dei dipinti medioevali è uno spazio con una propria coerenza. la coerenza dell’approccio medievale allo spazio pittorico consiste nel fatto che gli artisti compresero che gli oggetti sono spazio allo stato solido. al fine di ottenere una solidità tridimensionale stabile è necessario modulare quella materia che non solo è altamente mutevole ma anche alquanto effimera, cioè la luce. i consigli di cennini sul modo di adoperare la luce la dicono lunga sull’importanza dell’ombreggiatura nell’arte medievale prima dell’avvento dello sfumato infinito di leonardo da vinci: lo scopo non era quello di cogliere un umore vago, di amalgamare personaggi e cose all’interno dell’atmosfera pastosa dello spazio pittorico, bensì quello di rendere una tridimensionalità tangibile e allo stesso tempo ieratico. non si trattava di fare dipinti in cui perdersi con lo sguardo, ma di creare personaggi, oggetti, città che dovevano staccarsi dallo sfondo pittorico per co-esistere nello spazio comportamentale. la luce era quindi al servizio dello spazio inteso come presenza solida nel mondo materiale. il grande vuoto: ombre e penombre ciò che ha creato la differenza rispetto all’arte medioevale, per creare una superficie pittorica da penetrare con lo sguardo è stato la rappresentazione delle ombre > chiaro esempio di come le ombre vadano a cambiare la configurazione e rapporti spaziali. le carenze e le ambiguità spaziali nell’arte medievale sono determinate in particolare da due fattori: l’uso di proiezioni assonometriche, degenerate col tempo in forme di prospettiva inversa, e la mancanza di ombre portate. uno dei risultati di questi fattori è l’assenza di vuoto inteso come spazio arioso. l’esperienza dello spazio può essere caratterizzato in diversi modi: quello di oggetti solidi tridimensionali, e di vuoti. alla maggior parte dell’arte medievale è venuta a mancare quest’ultima componente dell’esperienza spaziale-pittorica. giotto fu il primo a sperimentare lo sfumato in funzione atmosferica e a cercare una geometria tale da rendere la superficie pittorica una finestra attraverso cui guardare all’interno di altri micromondi. con giotto, lo spazio si fa vuoto dopo mille anni di spazialità solida in occidente. sono testimoni di questo fatto i due splendidi corretti, noti anche come cappelle segrete, che si trovano nella cappella degli scrovegni a padova, giustamente decantati da longhi (1952) che per primo riconobbe la loro funzione di finzione architettonica. quello che più incanta in questi capolavori assoluti è la semplice ariosità dei due vani pittorici, che mostrano un sublime vuoto pieno di luce. giotto di bondone (1267-1337), cappelle segrete (1306, padova, cappella degli scrovegni). spazio e luce la fisica ci insegna che vi è un legame molto forte tra spazio e tempo. 60 è un legame che peraltro sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente: lo spazio sembra poca cosa quando ci vuole poco tempo per percorrerla, e sembra infinito quando ci vuole molto tempo per spostarsi da un punto all’altro. è proprio una questione di relatività, anche se più sul piano psicologico che su quello fisico. a livello percettivo, però, vi è un legame che è altrettanto fondamentale, quello tra spazio e luce. spazio e luce sono infatti entità incastrate l’una nell’altra. ciononostante, possiamo avere rappresentazioni efficaci di spazio senza una precisa qualificazione della luce, ma non possiamo percepire la luce senza che emerga un qualche vissuto spaziale. in altre parole, lo spazio c’è sempre; la luce modula lo spazio (vedi per esempio la prospettiva aerea, il ruolo delle ombre), ma non emerge sempre come forte presenza oggettuale all’interno dello spazio. l’importanza del lavoro di giotto in relazione alla storia della rappresentazione dello spazio nell’arte occidentale consiste nell’aver portato all’interno della superficie pittorica ciò che gli artisti precedenti mostravano sopra la superficie pittorica, intesa più come un piano sopra cui far emergere le figure (uno scolpire quindi con colori e luce) che come una finestra attraverso cui guardare. lo spazio rappresentato pittoricamente diventa quindi un contenitore, e come ogni contenitore è possibile che abbia dei vuoti, colmi però di luce. con il rinascimento, lo spazio reso pittoricamente si fa sempre più contenitore pieno di giochi di luci e ombre in conclusione, la percezione dello spazio appare essere una caratteristica congenita del sistema visivo. in tal senso ogni segno su una superficie, sia esso accidentale o creato intenzionalmente, è suscettibile di divenire un indice pittorico di profondità e quindi di essere visto come qualche cosa d’altro posto in relazione a quello stesso spazio pittorico che esso stesso contribuisce a determinare sulla superficie materiale. è anche per questo motivo che qualsiasi segno tracciato sopra una superficie è in grado di specificare in termini pittorici un qualche aspetto della “realtà”. il problema nella produzione artistica è quello di definire semmai l’aspetto o gli aspetti della realtà che devono essere rappresentati, come sostiene anche arnheim. nell’arte post-romana, per esempio, la realtà che si voleva rappresentare era la consistenza materiale delle cose. lo spazio non solo era modulato dagli oggetti rappresentati, esso consisteva in quegli stessi oggetti. la luce era l’utensile per rivelare quel tipo di spazio, ma non fu oggetto di rappresentazione per se stessa (se non come entità simbolica congelata, come nelle aureole). è con l’arte rinascimentale, come fu già nell’arte greco- romana, che si cerca di rappresentare uno spazio in modo “oggettivo”. mentre nell’arte greco-romana l’oggettivizzazione era un processo lasciato ancora all’intuizione, nell’arte rinascimentale si prefigura come scienza in seguito all’adozione di precise regole geometriche. tuttavia l’esito percettivo rende l’opera più soggettiva ed empatica, in quanto più verosimile all’esperienza visiva dello spazio comportamentale. lo storico dell’arte panofsky espresse una tesi molto importante, secondo cui la prospettiva lineare non solo assolveva una funzione oggettivante, ma anche una funzione simbolica. ogni rappresentazione spaziale è, per così dire, una espressione simbolica della cultura che l’ha sviluppata, in quanto è espressione di un punto di vista circa la realtà di cui vuole essere una rappresentazione visiva. per mantegna, per esempio, la prospettiva era un modo per fondere il mondo reale con quello pittorico, e far sì che l’osservatore avesse l’impressione che il mondo pittorico fosse un’estensione di quello reale lo sviluppo della fotografia ha determinato una crisi importante nel mondo dell’arte, crisi talvolta sottovalutata dagli stessi operatori. 61 il mezzo fotografico era in grado di rendere in modo oggettivo la scena osservata, e nel fare ciò furono molti gli artisti che si sentirono privati del loro privilegio creativo. delacroix descriverà la fotografia come “la matita della natura”, mentre ingres si chiese, sconcertato, quale artista avrebbe mai potuto raggiungere certi livelli di realismo. aldilà dello sconcerto iniziale, l’avvento della fotografia libererà gli artisti da certe costrizioni accademiche, lasciando liberi di avventurarsi in ricerche formali che sboccheranno nelle varie avanguardie che hanno caratterizzato la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. la fotografia diverrà primo strumento dell’artista, poi esso stesso mezzo d’espressione artistica. ben presto si scoprirà che il mezzo oggettivo è in realtà molto soggettivo, nel senso che ripropone il punto di vista dell’artista. sarà questa nuova constatazione, assieme alle possibilità di manipolare le immagini nelle camere oscure, a rendere la fotografia mezzo d’espressione artistica e non solo strumento di registrazione del reale. come mezzo artistico la fotografia troverà ancora nuovi modi di rappresentazione spaziali 62 la foto di nixon si vede in modo “normale” anche se guardate quest’immagine di lato (non centrato). la foto della foto di nixon appare invece sempre distorta. quanto detto per la foto di nixon vale anche qui: anche se guardiamo la foto in modo non centrale, geldof non appare distorto. la foto della sua foto appare invece sempre distorta. la foto di geldof è un’immagine di prim'ordine, la foto della foto di geldof è un’immagine di secondo ordine. in quest’opera un artista è ritratto mentre ritrae la moglie. tecnicamente il quadro assomiglia alle fotografie precedenti, ad eccezione per il fatto che in questo caso la riproduzione dell’immagine della moglie non appare distorta. è ipotizzato che la robustezza delle immagini pittoriche sia legata al fatto che l'informazione relativa alla superficie di supporto è disponibile. a tal proposito, così scrive gerbino (1989, p. 121): accade così che l’osservatore sia consapevole della propria collocazione in due modi. in quanto parte della realtà pittorica, l’osservatore rimane in una posizione costante rispetto alla scena raffigurata. in quanto parte della realtà ambientale, l’osservatore occupa un punto dell’ambiente corrispondente alla propria posizione rispetto alla superficie di supporto. per semplicità potremmo dire che l’osservatore si scinde, da una parte, in un io pittorico costante e, dall’altra parte, in un io ambientale variabile. > importante > domanda esame: teoria di gibson e che gibson parla di percezione pittorica > parlami della percezione pittorica (domanda aperta) o chi ha parlato di percezione pittorica (domanda chiusa) quando la superficie pittorica non è resa visibile (casi di trompe l’oeil, per esempio), l’immagine appare distorta quando non è guardata dal punto di osservazione esatta che garantisce un'appropriata proiezione geometrica sulla retina. l’arte anamorfica rappresenta un’eccezione, in quanto è dipinta già distorta e può essere apprezzata in pieno solo da un determinato punto di vista che crea una distorsione generale dell’opera. le immagini che ci seguono sono una eccezione alla robustezza delle immagini pittoriche? (ex: monnalisa, la ragazza con l’orecchino di perla, ecc…): 65 due situazioni opposte: il dito che ti punta sempre e lo sguardo che non ti guarda. il dito può puntare una sola persona alla volta. caso di robustezza o eccezione? non sarebbe robusto se cambiasse direzione. le immagini che ci seguono sono una eccezione lla robustezza delle immagini pittoriche? per il prof non lo sono perché mantengono una direzione risultato di un esperimento con una riproduzione della gioconda osservata da 6 distanze diverse. un gruppo di soggetti cominciava ad osservare da vicino, un altro gruppo da lontano. fa eccezione alla regola della robustezza degli sguardi il ritratto di mona lisa, che sembra mutare la direzione del proprio sguardo in relazione alla distanza di osservazione (e cioè della grandezza angolare della sua proiezione sulla retina). perché? un’ipotesi recentemente investigata riguarda la presenza di luci di riflessione nella zona iride/pupilla dell’occhio, presente nella maggioranze dei ritratti sia pittorici che fotografici, ma assenti in mona lisa. un altro esperimento murante a capire se gli occhi guardano anche in assenza del resto del viso, e sulla possibilità che gli occhi sorrideranno anche in assenza del resto. il fenomeno della robustezza delle immagini pittoriche è una violazione rispetto alle reali condizioni di proiezioni retiniche generate dall’immagine non osservato centralmente: quando ci spostiamo lateralmente davanti ad un’immagine pittorica lo spazio ivi raffigurato dovrebbe deformarsi perché le proiezioni sono distorte, proprio come in una anamorfosi. tranne che in casi particolari, questo però non accade: oggetti e spazi rappresentati non sembrano deformati. nel fenomeno del ritratto che sembra seguirci, puntarci di continuo, l’impressione che abbiamo è che lo sguardo ci fissi di continuo, o il dito si muova per puntare sempre noi. secondo molti diversi autori, il fenomeno dello sguardo omnidirezionale è sostanzialmente diverso dalla robustezza delle immagini pittoriche - goldstein, (1987) ritiene che il fenomeno sia un’eccezione alla robustezza, in quanto la struttura rimane rigida, ma la direzione cambia - altri come gerbino (1989), ritengono che i due fenomeni siano invece da tenere completamente distinti. tuttavia, i due fenomeni sono invece profondamente relati tra loro. la robustezza dell’immagine fa sì che non appaia distorta, bensì resti costante la sua struttura quando ci muoviamo dinnanzi ad essa. resta immutata, invariata, la direzionalità dello sguardo o del dito non rispetto all’ambiente esterno, ma rispetto a noi. il fenomeno dell’inseguimento è anch’esso una forma di resistenza alla deformazione geometrica, che ben si accorda con l’egocentrismo del nostro mondo, di cui noi siamo, appunto, il centro. il fenomeno dello sguardo omnidirezionale riguarda anche quei ritratti che non ci guardano mai: possiamo metterci ad osservarne uno da qualsiasi posizione, ma se non ci guarda in una di esse, non ci guarderà mai dritto negli occhi. quando l’occhio destro (quello che noi vediamo a sinistra dell’immagine) è l’unico visibile emerge una certa ambiguità; essa non è presente se solo il suo occhio sinistro (alla nostra destra) è visibile. 66 fatto psicologico: siamo talmente egocentrici che pensiamo sempre di essere osservati dagli altri 17. la rappresentazione della luce - la luce nell’arte gioco di luci e di ombre che sono distribuite in modo sferico. l'area centrale sembra essere illuminata da un punto. luce quasi accecante, tanto che una signora si copre il viso per proteggersi. l’esperienza percettiva normalmente chiamiamo “luce” sia lo stimolo proprio della vista (le onde elettromagnetiche comprese tra i 400 e i 700 nm), sia esperienze visive legate a impressioni di illuminazioni e luminosità. gibson (1979) intese indicare con il termine “luce” soltanto quella forma di energia in grado di stimolare i fotorecettori. egli pose la seguente domanda retorica: “vediamo mai la luce in quanto tale?”, e la risposta che diede non poteva che essere negativa, dato che egli intendeva indicare col termine “luce” l'energia con cui viene trasmessa l'informazione ottica. la risposta di gibson è del tutto coerente all’interno della nuova teoria che allora egli stava delineando: se la luce è quella forma di energia fisica che trasmette informazione visiva strutturata, o si vede quella informazione, oppure si vede il mezzo nel quale essa viaggia. vedere entrambe le cose è impossibile. è opportuno osservare che le ragioni di gibson sono dettate dal suo modo di usare i termini, conforme a quello dell’osservatore ingenuo. egli stabilisce un nesso diretto tra il mondo fisico e l’esperienza di tale mondo. tuttavia, egli sembra del tutto ignorare il fatto che prima ancora di essere di proprietà della fisica, la luce è una esperienza visiva comune la cui importanza sul piano culturale è spesso sottovalutata. il problema sta nel fatto che chiamiamo luce sia l’entità fisica in grado di elicitare una risposta fotochimica nei nostri recettori, sia certe esperienze visive determinate da quelle risposte. se non vi fosse esperienza alcuna della luce non si spiegherebbe la sua importanza simbolica, che compare già in epoche remotissime, assieme alla necessità di tentarne una rappresentazione. la luce è utilizzata anche come metafora della conoscenza. perchè se c’è luce possiamo vedere il mondo. è stata utilizzata anche come metafora della verità (es. il mito della caverna nella repubblica di platone), e infine della rivelazione. perché la luce ha giocato un ruolo così importante nell’evoluzione culturale dell’umanità intera? la risposta può apparire banale, eppure ha una valenza universale, e in tale valenza sta tutto il potere simbolico della luce: senza luce non possiamo vedere il mondo. come dice platone, possiamo avere la vista e i colori, ma serve un terzo elemento che è la luce per rendere i colori visibili e la vista utile. il senso della vista è la nostra sorgente principale di informazione riguardo il mondo esterno. 67 documentario ai weiwei ai weiwei non è un artista del sistema, lui è solo se stesso. assume artisti che lavorano per lui e realizzano le sue idee. weiwei schiaffeggia lo spettatore con opere di impatto. ama la cultura, ma propone qualcosa di nuovo. come si considera? si considera un giocatore di scacchi, osserva le mosse dell’avversario e poi agisce. non ha peli sulla lingua e critica le falle del sistema sociale e politico cinese. e’ emerso dopo il terremoto del sichuan dove hanno perso la vita moltissime persone, tra cui molti bambini a causa di edifici costruiti male. weiwei ha cercato info riservate come il numero delle vittime per renderle pubbliche. ha cercato volontari e indagato sul campo per scoprire i nome dei deceduti. ai weiwei è stato sostenuto da moltissime persone, volontari. così nel 2009 ha pubblicato i nomi sul suo blog. successivamente viene messo sotto sorveglianza. tan zouren: attivista post-terremoto dichiarato colpevole del reato di “incitamento alla sovversione del potere di stato” e condannato a 5 anni. ai weiwie è stato bloccato in hotel dalla polizia per non farlo testimoniare in favore di tan zouren. la polizia lo ha anche picchiato. 3 aprile 2011 ai weiwei è scomparso, e’ stato trattenuto 81 giorni in un luogo segreto mostra a monaco la comunicazione, come ci esprimiamo. vasi neolitici ridipinti e distrutti: significato: la cina distrugge ciò che è vecchio dal periodo della rivoluzione culturale. “il partito comunista è fatto da teppisti” liu xiabo > nobel per la pace, in precedenza incarcerato per le critiche fatte al paese: l’arte è un mezzo per sviluppare idee, ampliare l’immaginazione. e’ responsabilità di ogni artista diffondere la libertà di espressione. 70 intermezzi question mark accade che verso l’imbrunire una specie di insofferenza si mescoli a qualcosa che si potrebbe definire “richiamo del luogo” e che insieme mi spingano a uscire per passeggiate senza meta, ma non prive di metodo. e’ un modo di far proprio l’ambiente e di consegnarsi allo spazio che ci circonda per esserne accettato. una strada conosciuta è come una persona conosciuta, disposta a qualche piccola confidenza e a qualche innocente complicità. ogni sera la mia esplorazione si allarga un poco. question mark: studio, progettazione, esecuzione, dr. pertu mentula - non lasciate le vostre risposte senza domanda - ogni domanda ha il fascino di un problema - la domanda è l’anima del problema - chi ha paura di fare domande non merita risposte - la domanda giusta al momento giusto ha una forza dirompente - fate domande non fate la guerra il dr. mentula sosteneva che senza domande la conversazione si fermerebbe. e che si facesse una sezione sincronica di tutte le interazioni comunicative si vedrebbe un …..?? le interazioni forma e dimensione sono meccanismi fatti di ingranaggi le cui ruote motrici sono le domande. la metafora della meccanica classica però è errata. dobbiamo immaginarci meccanici in grado di cambiare forma e dimensione e di trasformarsi l’uno nell’altro durante l’esercizio. questa è una comunicazione. 71 studio dei punti interrogativi -indagine delle potenzialità espressive dei punti interrogativi. -ogni domanda ha uno spettro di emissione diverso a seconda da chi e a chi vien posta, in quali circostanze e con quali aspettative. -disegnare un punto interrogativo che si adatti alla domanda -nel 2004 per il 700esimo anniversario della nascita di petrarca, lo studio question mark ricevette la commissione di trovare i giusti punti di domanda da inserire nei sonetti del canzoniere composti quasi solo da domande. dentro ogni domanda c’è il pericolo di pensare che la domanda sia facile formulare mentre la risposta sia più difficile. piazze la piazza: un luogo in cui l’aprirsi di uno spazio pubblico si contrappone al chiudersi degli edifici privati. ardesia arana tozzi a questa insegnante di urbanistica che si occupa di piazze era piaciuta l’idea di vedersi come una donna senza qualità. ma già l’uomo si era impadronito di ogni qualità e di conseguenza del non aver nessuna qualità. si sentiva in un limbo indefinito sospeso tra pieno e vuoto in un non luogo neutrale. piazza = ossimoro spaziale: uno spazio esterno che possiede solo la dimensione interna. in piazza il tempo si contrae. guardare un tavolo, un oggetto o un monte è diverso che osservare l’interno di una chiesa o di una piazza. nel primo caso si focalizza l'oggetto e si visualizza il resto sullo sfondo, nel secondo caso questo modo di visualizzare è troppo stretto. differenza: oggetto: può essere di materiali differenti (legno, ferro ….) luogo ampio: è caratterizzato dallo spazio (vuoto), come campo in cui sono immersi gli oggetti (vuoto materiale) oppure spazio come materia (quando non è ………. illimitata ma delineato da confini) due casi di oggetti chiamati anche: oggetti-materia oggetti-spazio distinti in base al comportamento osservativo (percettivo) osservazione oggetti materia: l’osservatore deve girarci intorno e l’oggetto ruota sul proprio asse verticale (oggetto = perno) oggetti-spazio: l’osservatore ruota su se stesso e lo spazio attorno a lui (osservatore = perno) relazione topologica: osservatore-osservato oggetti-materia: rapporto di reciproca esclusione oggetti-spazio: rapporto di inclusione dell’osservatore all’interno dell’oggetto focalizzazione attentiva oggetti-materia: oggetto-materia e sfondo ben distinto oggetti-spazio: oggetto-spazio e sfondo si uniscono e confondono (andrebbero studiati dalla psicologia della percezione) completamento oggetti-materia: ogni oggetto-materia tridimensionale non trasparente occlude all’osservatore una parte di sè, che l’osservatore completa grazie ad un processo automatico 72 analisi di "sant'anna" di leonardo di freud l'analisi di quest'opera si basa su un presupposto errato: un'informazione proveniente da un testo mal tradotto relativa all'infanzia di leonardo. l'artista raccontava di essere stato colpito alla bocca dalla coda di un nibbio quando ancora bambino; nella traduzione dal"italiano al tedesco, però, questo animale è diventato un avvoltoio. freud è entrato in contatto con questa traduzione e da questo presupposto ha avanzato un'interpretazione dell'opera (che lui stesso riconosce come "romanzata") collegandosi al valore simbolico che l'avvoltoio ha nel simbolismo egizio. fu così che, nelle pieghe della veste di sant'anna, freud ci vide l'immagine di un grande condor. alcuni sostengono che l’avvoltoio sia un simbolo di omosessualità, la presenza di questo animale celerebbe tendenze omosessuali di leonardo stesso. freud nel modo di rappresentare sant'anna e la vergine, ci vede una proiezione dell'infanzia di leonardo. le due donne, infatti, sono fuse insieme come fuse erano, agli occhi di leonardo, la matrigna e la mamma biologica (la matrigna, infatti, era sterile ed era vista più come una nonna che una madre a causa della sua anziana età). leonardo, figlio di una relazione illegittima, vedeva la madre naturale di nascosto). nell'opera, freud ricerca il massimo contenuto psicologico delle figure analisi di "mosé" di michelangelo di freud grandissima passione nei confronti di questa scultura, si dice che durante il suo soggiorno romano, andò tutti i giorni per vederla. freud era ebreo e molto legato alle tradizioni, forse questa scultura era di suo interesse anche perché rappresentava un episodio del vecchio testamento (fondamentale per la religione ebraica). pensava che il mosé rappresentato fosse quello appena disceso dalla montagna, che ha trovato il suo popolo in adorazione di un vitello d'oro. alcuni pensano che freud si identifichi nella figura di mosè: freud percepisce una somiglianza poiché anche lui era stato inizialmente respinto e rifiutato dai contemporanei per la sua teoria psicoanalitica, così come mosè aveva inizialmente incontrato un’avversione inaspettata nei suoi confronti da parte del suo stesso popolo ebraico. il carattere conservatore e tradizionalista di freud emerge anche nel rifiuto verso i movimenti artistici moderni, l'arte del dopoguerra. lo psicanalista pfister aveva invitato freud a psicanalizzare un artista espressionista che lui riteneva interessante e che stava studiando a livello psicologico attraverso l'analisi delle sue opere, ma la reazione di freud è un netto rifiuto. l'espressionismo non era neppure degno di essere definito "arte". freud sosteneva che dietro l’arte dei suoi contemporanei ci fosse la manifestazione di una nevrosi eccessiva, questo rendeva le opere inaccettabili. dopo molte pressioni, freud cedette ad un approccio con l'arte a lui contemporanea ed incontrò salvador dalí. dalí lo colpisce per la sua maestria tecnica. il surrealismo, ovvero la corrente a cui dalí aderisce, però, continua ad essere considerata "non-arte". la contestazione di freud verso il surrealismo si lega al pensiero ed al meccanismo artistico che creano la base di questa corrente, elementi che freud non reputa artistici poiché li considera parte comune della vita di ogni individuo e non solo di un artista. il contenuto preconscio prende forma durante il "processo primario" quando preconscio ed inconscio si incontrano, è l'inconscio a stabilirne la forma. il risultato che ne deriva è qualcosa di accettabile socialmente; questo può anche generare piacere e riso (ma solo negli individui sani). questo processo è comune a tutti gli uomini, per questo è la "normalità", non ha nulla di artistico. surrealisti ed espressionisti basano la propria arte su questo meccanismo; e per questo che freud li contesta. la contrapposizione più forte in ambito artistico fra freud e l'espressionismo in particolare verte sul rapporto fra forma e contenuto dell'arte. per freud la forma determina il contenuto, per gli espressionisti la forma è irrilevante dato che l'arte è il contenuto che si libera dalla forma che è un semplice involucro. l'arte nasce dall'arte un giovane artista che si immette nel mondo dell'arte, almeno per quanto riguarda l'arte occidentale, subentra nel lavoro dei suoi predecessori e introduce delle variazioni. la sua arte è influenzata da un linguaggio che diventa il mezzo che gli permette di esprimere i suoi pensieri personali senza però cadere nella soggettività intesa come esibizionismo. il prodotto artistico è quindi frutto dell’interazione di tre elementi: mezzo, tradizione e personalità. teoria centrifuga vs teoria centripeta freudiana la teoria centrifuga ritiene che l’artista sappia già inconsciamente quale sarà il risultato finale e la struttura formale non è altro che una forma di razionalizzazione che serve a nascondere sia al pubblico sia all’artista stesso 75 quello che veramente accade. la teoria centrifuga freudiana, invece, si basa sull’idea del “motto di spirito” dando quindi peso a gioco e piacere infantile di sperimentare combinazioni e permutazioni; può darsi che l’artista non sappia prevedere il risultato finale, ma è certo che creerà qualcosa di grandioso combinando e sperimentando le convenzioni tipiche del linguaggio del suo tempo (di cui e pienamente padrone). durante la sperimentazione, l’artista sceglie di far prevalere quelle strutture significative per il suo intelletto e per i suoi conflitti interiori; queste possibilità strutturali portano alla luce stati d’animo ed esperienze che altrimenti sarebbero rimaste dormienti. il caso dell’attrice yvette guilbert questa attrice era diventata famosa interpretando prostitute e criminali, era preoccupata che il pubblico potesse pensare che avesse veramente alcune caratteristiche caratteriali che portava sul palco attraverso i suoi personaggi. freud non la rassicura, anzi. l’attrice sostiene che la sua abilità nel ricoprire questi ruoli derivi dalla grande padronanza delle tecniche recitative e dell’ottima capacità di immedesimazione; freud, di contro, crede che la sua bravura sia data dall’esaltazione di alcune caratteristiche inconsce che realmente possiede ma che tiene nascoste per ragioni sociali oppure da tratti repressi della personalità infantile capitolo 2: psicoanalisi e storia dell’arte ottica psicoanalitica – e. jones, analisi di "colomba della pace" di picasso: in un discorso psicoanalitico sull'arte, quasi sempre primeggia analogia tra opera, arte e sogno.!vero che esistono pitture simili a sogni ma gli elementi tradizionali e convenzionali hanno spesso più peso di quelli personali = dovrà sempre esistere una determinante personale. premessa - il significato privato, personale, psicologico del quadro è l'unico significato vero, e sia quindi quello che esso trasmette almeno all’inconscio dello spettatore. il significato manifesto dell’opera è di carattere sociale e politico: pace (la colomba, infatti, è convenzionalmente il simbolo della pace). e. jones, psicanalista e biografo di freud, vuole studiare il motivo profondo che ha portato a scegliere la colomba come simbolo della pace, questa infatti è un animale piuttosto aggressivo. la colomba potrebbe anche voler rimandare ad un simbolo fallico. agli occhi di jones, però, la colomba si legherebbe all’immagine del piccione se si pensa all’infanzia di picasso. dietro la raffigurazione della colomba, in realtà, potrebbe nascondersi quella di un piccione e quindi la conseguente proiezione di significati personali che questo animale ha per picasso stesso. il padre di picasso era solito dipingere piccioni e portava sempre con sé alcuni esemplari impagliati di questo uccello; dalla biografia di picasso sappiamo che l’artista, da bambino, manifestava il suo complesso di edipo verso il padre aggrappandosi a questi uccelli quando temeva di essere abbandonato. con la crescita, il complesso di edipo ha portato il piccolo picasso ad eccellere nella rappresentazione di piccioni e poi il giovane picasso a rifiutare completamente la rappresentazione di questo animale (come a significare una distruzione ed un'uccisione metaforica del padre attraverso i suoi ideali accademici). approfondendo di più l’analisi, però, jones abbandona questa idea e smentisce l’ipotesi che dietro a questo dipinto possa esserci un richiamo all’animale del piccione con gli annessi significati privati ed inconsci che questo ha per picasso. jones comincia quindi a pensare che il vero significato dell’opera non possa trovarsi solo nella storia personale di picasso, ma debba essere cercata anche nel contesto pittorico dove l’artista era immerso; è per questa ragione che lo psicanalista si dedica all’analisi dell’opera “demoiselles d’avignon” (titolo dato da un commerciante d’arte per semplici fini pratici). opera che ebbe immense ripercussioni. dipende il punto di partenza del cubismo, e fu l'origine dell'arte moderna. contenuto manifesto: bordello in calle de avignon a barcellona. questo quadro acquistò il significato che ha nell'ordine dell'istituzione che chiamiamo arte, e non solo in termini della storia personale di picasso. 76 ciò che importa non è tanto che molta arte e pseudo arte siano di derivazione, quanto il fatto che fino a un certo punto sia di derivazione tutta l’arte. ecco come si potrebbe spiegare che l'arte ha una storia, ha degli stili - a differenza della percezione dei sogni che non ne hanno. com’è accaduto che le forme delle donne abbiano subito una simile alterazione? la risposta minaccerebbe di porci di fronte a un’interminabile retrocessione. pigmalione: plasmò una figura di donna, anzi una donna vera e propria, poiché un simbolo non è sentito come simbolo. la statua in questione ha un numero sufficiente di caratteristiche del suo stesso perché si possa classificare come donna. entrando nella storia vediamo che non si crei il simbolo di una donna con l'imitazione di un corpo femminile, ma si ricorre a quel processo che alcuni storici hanno chiamato rappresentazione “concettuale”, cioè a base di ideogrammi o simboli schematici. se vogliamo ricostruire le figure dipinte dobbiamo lavorare sulla base di indizi e ripetere nella nostra mente lo sforzo di fantasia dell’artista. duplice partecipazione tra l'artista e lo spettatore = formulazione teorica dal punto di vista della psicanalisi di ernst kris. mise in luce che l'apparire di un atteggiamento verso la pittura che potremmo chiamare sedico comporta un nuovo tipo di relazione, o come egli la definisce discarica picasso sceglie di rappresentare proprio le prostitute poiché le vedeva come vittime della società e potevano rappresentare il conflitto interiore presente nell’animo di una persona e soprattutto nell’inconscio. questo quadro ha un valore fondamentale per l’arte pittorica e la sua evoluzione storica. l’arte, infatti, è un continuo estendersi e modificarsi di simboli che fonda le proprie radici nel passato: da simboli ideografici dell’arte infantile o primitiva a figure come le demoiselles d’avignon. queste donne sarebbero il risultato di “rappresentazione concettuale” che ha sostituito l’imitazione pedissequa. il processo artistico è un’evoluzione frutto di assimilazione: il passato influenza l’arte futura, non è mai un ricominciare dal nulla. la rappresentazione delle figure femminili, ad esempio, è molto cambiata nel corso del tempo. le rappresentazioni duecentesche, come ad esempio - l’adamo ed eva della cattedrale di bamberg, differenziavano le donne dagli uomini solo attraverso l’aggiunta di due piccoli seni simbolici. - anche la venere di botticelli nasconde un’incertezza nella rappresentazione dei seni, questo emerge dai numerosi ritocchi fatti sulla tela volti a rappresentare proprio i connotati tipici del corpo femminile. - raffaello, invece, distante solo di una generazione, mostra sicurezza nel rappresentare il corpo della donna. la generazione antecedente a quella raffaellita non è che avesse una mente bambinesca e quella successiva una mente più sviluppata, il cambiamento si spiega semplicemente attraverso un semplice processo evolutivo che ha portato a ricercare nell’arte qualcosa di diverso rispetto al passato: simbolismo per botticelli e maggiore realismo per raffaello. ➔ con bouguereau c’è una rappresentazione ancora più realistica, tanto vera da sembrare stucchevole e noiosa. la noia scaturisce, secondo la psicanalisi, dal mancato sforzo immaginativo e fantasioso dell’osservatore: l’immagine è così diretta che la sua interpretazione è di una desolante facilità che addirittura urta. questa abilità nel rappresentare la perfezione porta ad una reazione opposta che induce il gusto dell’osservatore a regredire preferendo così immagini più primitive. ecco spiegato perché picasso si trova a rappresentare in questo modo così grottesco e primitivo le sue demoiselles (alcuni critici pensano che picasso si sia avvicinato al cubismo solo per ragioni economiche dato che aveva capito 77 8. molteplicità delle forme simboliche metodo delle matrici nella molteplicità della metafora: l’insieme delle sensazioni nate in un dato contesto spiegano un significato, nessuna sensazione ha questa capacità se considerata isolatamente.%neisser, elaborazione successiva e simultanea: normalmente nel pensiero umano c’è un filo principale che si schiarisce a poco a poco secondo una determinata materia. secondo neisser questo filo principale corrisponde al normale contenuto della coscienza che non è in grado di pensare a più cose contemporaneamente. a volte, però, questa coscienza si trova a dover affrontare più aspetti contemporaneamente dovendo così distribuire l’attenzione (questo avviene quando la materia principale è accompagnata da uno svolgimento polifonico multiforme del pensiero). un esempio di elaborazione simultanea (opposta a quella per gradi) è la comprensione del significato di una parola: il significato di una parola, infatti, non avviene sulla linea successiva del senso letterale, ma è simultanea al suono delle parole. 9. la “profondità” del simbolo bruner, meccanismo della cateratta (principio di economia attuato in precise condizioni percettive): quando non vogliamo più ottenere informazioni chiudiamo la cateratta passando ad altro; questo chiuder la cateratta è tipico dell’attività mentale e del suo progredire del pensiero logico. l’opera d’arte è un “segno aperto” che non ha limiti definiti e può essere compresa solo quando si smette di chiudere la cateratta. chiudendo la cateratta si rischia di interrompere il filo principale dell’attività mentale ed il suo pensiero logico, rendendo così impossibile la completa chiarezza della comprensione. forse, però, l’intensità dell’esperienza artistica non coincide con la chiarezza della comprensione; l'incomprensibile esercita un fascino particolare proprio perché non vincola ad una determinata elaborazione di idee consecutive. 10. il simbolo del neoplatonismo - marsilio ficino esistono simboli con un valore estremamente profondo, anche più intenso di quello delle parole stesse. i sacerdoti egizi, ad esempio, scrivevano i misteri divini in figure anziché in lettere, questo perché pensavano che il sapere divino potesse essere colto solo nella totalità e non nel corso di una conoscenza razionale. marsilio ficino riporta l’esempio del serpente che si morde la coda come simbolo del tempo. questo è un “simbolo mistico” che è diverso da un “simbolo artistico”. il primo racchiude in sé un paradosso che sprona il mistico a trascendere i limiti della ragione ed inoltrarsi in una sfera dove la contraddizione perde ogni valore poiché il principio di consonanza convive con quello di dissonanza. nel simbolo artistico, invece, vige solo il principio di consonanza. 11. la simbologia romantica – creuzer per cruezer, il simbolo è un’incongruenza continua che serve a spronare l’osservatore a cercare sotto la forma il vero significato. l’incongruenza si trova nel rapporto fra sostanza e forma oppure dell'esuberanza del contenuto nei confronti dell’espressione. il simbolo, proprio per questo aspetto, è incomparabile con il segno e la sua chiarezza. questa definizione di simbolo risente anche del pensiero freudiano che considera il simbolo come una “pre-arte” che richiama un simbolismo inconscio. contrasto fra la concezione classica dell’arte e la concezione mistica del simbolo: la prima, infatti, mira a quella consonanza dei significati che la seconda rifiuta. così, la concezione classica sostituisce l’immagine del tempo data attraverso il serpente che si morde la coda con una divinità. l’allegoria tradotta integralmente nella forma umana scivola nel “troppo umano” mancando così di quell’aspetto ultraterreno. dal romanticismo in poi si assiste ad un allontanamento dalla consonanza armonica per raggiungere una maggiore dissonanza. la perdita di chiarezza, però, deve essere spiegata da una maggiore densità di significati dove si concentrano tensioni e contraddizioni tipiche della nostra esperienza artistica. kant, all’opposto, pensa che il simbolo sia solo una specie di ciò che è intuitivo; accusa quindi un abuso ed un uso scorretto di questo termine. 80 12. il concetto freudiano del simbolo e il romanticismo i simboli onirici di freud sono maschere destinate a travisare i nostri desideri inconsci al fine di aggirare la censura della nostra coscienza. il loro significato è chiaro solo agli iniziati. essi hanno la funzione di rivelare una sfera che altrimenti sarebbe inaccessibile. l’idea freudiana è di un simbolo come una metafora. freud applica tutto al mondo onirico, dove i simboli sono la parte principale. un simbolo è più profondo quando rimanda ad una matrice più nascosta o ad un istinto più represso della persona che sogna. freud, tuttavia, non ha mai dichiarato che la dimensione simbolica onirica sia la vera essenza di un’opera d’arte; anzi, ha sempre dichiarato l’impossibilità di accedere davvero completamente alle libere associazioni del sognatore e quindi dell’artista mentre crea un’opera. soltanto con i suoi successore, ad esempio con jung, il concetto freudiano di simbolo è regredito alla fase più antica ovvero quella del misticismo neoplatonico (dove si arriva a pensare che si possa accedere alla sfera dell’inconscio collettivo attraverso le già note chiavi interpretative che risolvono gli enigmi della tradizione religiosa) distinzione tra freud privato e scienziato, il primo è molto scettico riguardo la ricerca del contenuto simbolico/inconscio - il processo primario non è traducibile nella creazione artistica (arte del suo tempo: molto diversa da es. leonardo). diventa un grande collezionista di antichità (disegno di pollak di freud alla sua scrivania circondato da statuine egizie). analogia psicoanalisi/scavo archeologico (presente/conscio=passato/inconscio) - metafora dell’archeologo che porta alla luce reperti preziosi. freud (privato) scrive alla fidanzata quanto è stato colpito dal cristo della moneta di tiziano e dalle aree egizie e assire, nel viaggio successivo da amor sacro e amor profano sempre di tiziano, non condividendone però il titolo che trovava insensato in quanto non ricerca il contenuto simbolico, ma solo la bellezza - inadeguatezza di freud davanti alle arti visive (leonardo è un’eccezione). nel 1938 incontra dal che lo fa riflettere nuovamente sui surrealisti ma non è convinto del fatto che tutta la sua maestria sia messa a favore di una concezione che non condivide ( i surrealisti pensavano di creare ciò che avevano nell’inconscio mentre lui riteneva che fossero cose rappresentabili perché già emerse). gombrich prende in analisi la colomba della pace di picasso, il quale ne riprende una della sua infanzia. il disegno della colomba diventa globale pur non essendo di fatto un animale docile. al centro dell’analisi c’è la figura del padre di picasso che dipingeva spesso piccioni ripresi da animali impagliati, il pittore se ne circondava quando si sentiva solo - la paura di perdere il padre potrebbe essere causa del complesso di edipo, per questo non ci si stupisce se picasso inizia ad aiutare il padre nei dipinti - questa volta abbiamo informazioni su cui basarci. ciò nonostante gombrich non vede delle patologie nella colomba di picasso e da qui arriviamo alla concezione di arte come comunicazione - esaminare chi osserva l’opera per provare se il messaggio è decodificatile - il rapporto messaggio privato/pubblico è molto più complicato di così - possiamo affiancare quest’opera alle demoiselles d’avignon (comprensibile dopo essere stati informati sul contenuto) con la partenza del cubismo, cosa fa diventare un prodotto privato un contenuto pubblico? gombrich sostiene che gli artisti medino le opere secondo le loro conoscenze, in questo modo molti riprendono ciò che faceva picasso modificandolo quel poco che basta per farlo sembrare un prodotto proprio = per questo l’arte nasce dall’arte più che dall’inconscio, le variabili individuali vanno poi ad aggiungersi- l’evoluzione artistica non è quindi dell’artista in sé ma dei canoni estetici - ci vuole equilibrio tra piacere estetico e regressivo, essendo l’epoca a rendere possibile l’evoluzione stilistica è quindi importante il contesto (storico). terzo saggio di gombrich : freud e la psicologia dell’arte = studio del simbolo, dice di partire dal manifesto - il simbolo trascende l’aspetto artistico. metafore e metonimie - gombrich dice che la valenza di simbolo c’è quando siamo in un contesto condiviso da altre persone. buona parte è dedicata ai simboli sacri, molto presenti nella storia dell’arte del tempo- importante la storia dell’evoluzione degli stili, non vanno valutati solo formalmente. il contesto a discapito della forma? la forma può essere se stessa un simbolo. questione colomba foto frase erika - galleria 81
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