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Appunti lezioni Sarmati 2020-2021, Appunti di Letteratura Spagnola

Appunti lezioni letteratura spagnola II professoressa Sarmati, voto 30 e lode

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 27/01/2022

GiorgiaSib
GiorgiaSib 🇮🇹

4.4

(57)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti lezioni Sarmati 2020-2021 e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! APPUNTI LEZIONI Ambito cronologico → dalle origini al 1554 (siglo de oro), anno in escono le 4 edizioni simultanee del ‘Lazarillo de Tormes’. SIGLO DE ORO → può indicare sia il ‘500 che il ‘600. Epoche della letteratura spagnola canonicamente più importanti, insieme al ‘900 che viene definito ‘siglo de plata’. Si è davvero autorizzati a parlare di letteratura spagnola in quanto espressione nazionale a partire dalla monarchia dei Re Cattolici (Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona nella loro unione in matrimonio nel 1469 e poi nella loro unione politica nel 1474). Per quanto riguarda la letteratura anteriore, quella medievale, Ramón Menedez Pidál sostiene che sarebbe più opportuno parlare di ‘letteratura castigliana’. Il termine ISPANIA è più antico dei Re Cattolici, risale a quando ci fu un’unità peninsulare precedente. Ciò avvenne quando, dal III secolo ac al V dc la Spagna fu una provincia romana. I romani diedero alla penisola il nome di ISPANIA. Il termine sembra derivare dai fenici e significa ‘la terra dei conigli’ → alcuni storici romani parlavano della Spagna come ‘piena di cuinicoli’, che in latino significa ‘conigli’. Una seconda possibilità etimologica del nome è che invece indicasse una ‘terra ricca di metalli’ per gli abbondanti giacimenti minerali e metalliferi sulle coste dell’Andalusia, sfruttate molto a livello commerciale ed economico. Quando la Spagna verrà invasa dagli arabi, il territorio si frantumerà in tanti piccoli stati cristiani che si riorganizzeranno per riconquistare il territorio sottratto. Di questi piccoli stati, la Castiglia fungeva da zona di frontiera, costellata di castelli → da qui deriva il suo nome. Da piccolo stato diventa il cuore della Riconquista e poi quello della lingua e della cultura, tanto che l’eroe del poema epico nazionale spagnolo (il Cid) è castigliano. JARCHAS La loro scoperta rivoluziona il concetto di origini della letteratura spagnola ed europea. Jarcha → traslitterazione del termine arabo KHARGIA. 20 Jarchas furono scoperte nel 1948 dall’ebraista Samuel Stern, celate da caratteri ebraici che però descrivevano parole e testi romanzi. La lingua di queste Jarchas era il ‘mozarabe’ → lingua romanza parlata dagli ispano-cristiani di Al- Andalus. Dopo poco tempo, nel 1952, l’arabista Emilio García Gómez ne scoprì altre 24, anch’esse in mozarabe ma rese con caratteri arabi. 2 tipi di Jarchas → ebraico-romanze e arabo-romanze. Ad oggi, le Jarchas scoperte sono 76 → 50 in arabo-romanzo e 26 in ebraico- romanzo. MOZARABE → molto vicino al latino rispetto allo spagnolo, lingua proto-romanza che non si evolverà mai. Le comunità cacciate dalla penisola mantennero questa lingua. Il loro rinvenimento rivoluzionò ogni idea circa le origini delle letterature romanze e confermò la preesistenza di una lirica romanza ispanica. Prima del loro ritrovamento, per congettura, si ipotizzava che prima dell’epica avessero circolato poesie e canzoni in forma orale di carattere popolare → ciò perché, nelle composizioni di alcuni autori successivi compaiono versi di canzoncine. Si supponeva che questi autori avessero attinto ad una traduzione lirica precedente. Prima, la lirica in Spagna si faceva risalire ai CANCIONIEROS, antologie tardive tra XV e XVI secolo. Datate dal secolo XI alla fine del XII, le Jarchas costituiscono la più antica testimonianza di poesia lirica in linea romanza. Le Jarchas furono dunque scoperte studiando dei componimenti in lingua araba o ebraica → alla fine di questa componimenti comparivano queste canzoncine. La prima Jarcha venne datata 1042, un secolo prima del ‘Cantar de Mio Cid’, è la prima poesia europea in lingua volgare. - Perché esisteva nella Spagna delle origini (metà XI secolo) una produzione in lingua araba? Perché esisteva una produzione romanza con caratteri arabi? ALJAMIADA → letteratura romanza scritta in caratteri arabi o ebraici. La Spagna faceva parte dell’impero romano → la dominazione romana incidette in maniera importante sulla cultura iberica (esempio → lingua romanza, architettura e archeologia). La dominazione romana iniziò nel III secolo ac dopo le guerre puniche e terminò nel V secolo dc. V secolo → iniziarono le invasioni barbariche, l’imperò romano crollò e la Spagna fu invasa. L’ultima invasione fu quella dei Visigoti, di religione ariana, che entrarono in Spagna come esercito alleato ai romani. I Visigoti fondarono la loro capitale a Toledo; la monarchia visigota visse abbastanza isolata. Dal V secolo fino al VII fu fortemente dilaniata da guerre interne → l’ultima di queste guerre, vide contrapporsi due famiglie che si contendevano il potere. Questa guerra è un evento tra storia e leggenda → da una parte c’era Re Witiza e dall’altra Re Rodorigo. Sembra che, il primo, per avere la meglio, chiese aiuto al re del Marocco, che mandò in suo soccorso un esercito berbero. Tariq Al Ziyad → generale a capo di questo esercito berbero, attraversa l’Africa all’altezza dello stretto di Gibilterra ed impianta il suo accampamento sul promontorio di Casbe. Questo esercito arabo, arrivato per sostenere il sovrano visigoto, fu accolto favorevolmente dalle popolazioni, specialmente dagli ebrei (arrivati in Spagna tempo prima) che, dopo la conversione del re visigoto al cristianesimo, venivano qualificati come assassini di Cristo e discriminati. Nel 711 inizia in Spagna la conquista araba, che procede da sud fino verso le zone del nord, fermandosi alle cordigliere. Al-Andalus → nome che i mussulmani diedero alla loro Spagna. I cristiani arretrano e si confinano nelle regioni dell’Asturia e dei Paesi Baschi, dove con il tempo, si ricostruisce la resistenza. Tra VIII e IX secoli gli arabi controllavano quasi tutta le penisola iberica, fatta eccezione per una piccola fascia del nord dove si erano rifugiati i cristiani. Tra X e XI secolo, i regni cristiani del nord si organizzano ed iniziano delle guerre, vissute come crociate, per riconquistare il territorio. Nella lirica araba ci sono due tipi di sentimento amoroso → uno platonico caratterizzato dalla distanza dell’amato, uno più passionale, carnale, sensuale, vissuto nella dimensione più erotica. In questo componimento c’è il secondo tipo di amore. CABEZA → primi due versi, preludio al componimento, serve a riassumere il tema sviluppato nelle strofe successive. Quando la muwaschaha non ha il preludio si dice ‘calva’. Schema rimico → AA BBB-AA CCC-AA DDD-AA EEE-AA FFF-AA. ANALISI vv.1-2 → difficile da tradurre/traslitterare anche per un carattere culturale. Ci sono dei passaggi oscuri di difficile interpretazione. ‘Lunas nuevas salen entre cielo de seda: guían a los hombres, aun cuando eje no tengan’. PRELUDIO → in questo caso è diverso dagli altri, ci da una circostanza temporale: è notte (dimensione adatta per l’incontro amoroso). Carattere circostanziale evocativo. Il poeta allude alle prime fasi del novilunio → la luna è sottilissima, si trova tra sole e terra. La luna era un punto di riferimento per l’orientamento → quando è crescente le punte indicano l’est. L’emistichio ‘aun cuando eje no tengan’ è oscuro. Eje → punti di riferimento. 1° strofa → tema estraneo alla lirica occidentale, esaltazione della bellezza maschile. vv.3-4-5 → l’io lirico dice che solo i biondi dilettano i suoi occhi, i biondi sono rami d’argento che fanno spuntare foglie d’oro. Esclamazione ‘Oh, se potessi baciare il diluvio di queste terre!’. La bellezza maschile viene elogiata con il paragone tra parti del corpo ed elementi del mondo minerale e vegetale, per esaltare colori e brillantezza. Argento → colore della pelle. Oro → biondo dei capelli. Perle → colore dei denti. Bellezza ariana esaltata → nell’iconografia dei tempi, venivano raffigurati biondi con carnagione chiara. vv.6-7 → versi finali in corsivo, cambia la rima ed hanno un altro tono. ‘Perché il mio amico si rifiuta di baciarmi se la sua bocca è dolce e la sete mi tormenta?’. Siamo passati da versi di carattere descrittivo a versi di carattere lirico, modellati su una confessione di una pena d’amore. Metafora dell’innamorato assetato d’amore. Il registro, nei primi versi è più colto, nell’estribillo c’è un registro più fresco, più immediato e popolaresco. Ogni strofa ha un tristico monorimo (MUDANZA, porzione della strofa che varia) e un estribillo (VUELTA) che si caratterizza da un registro più popolare, di rima baciata. L’ultimo estribillo è la jarcha. 2° strofa → continua la lode. La poesie in generale può essere considerate come un panegirico (poesia in lode). vv.8-9-10 → ‘tra i gigli le sue gote sono come papaveri, raggi di scirocco e di gibetto le adornano. Se aggiungo anche la Carniola non sbaglio’. Descrive la bellezza con elementi vegetali → gigli, papaveri, Carniola. Bianco, rosso e oro sono i colori predominanti. I papaveri sono le guance, la Carniola è una pietra rossa. Da notare come la bellezza dell’amato si descrive fino al collo, parte dall’alto (capelli) e si ferma al collo → la jarcha termina proprio sul collo. vv.11-12 → estribillo, rima uguale al preludio e all’estribillo della prima strofa. L’innamorato è paragonato ad una gazzella, ‘non si comporta bene se spaventa il suo galán (colui che nella coppia ama soffrendo), quando accetta le cattiverie dei censori’. Censori → altro personaggio ricorrente, figure centrale che hanno il compito di controllare, solitamente sono i padri o i fratelli. Tutelano e mettono ordine nei comportamenti sociali. Sono gli antagonisti degli innamorati 3° strofa → compare il nome dell’amato ed è un ‘nome parlante’, contiene un significato nella sua etimologia → Ahmad: degno di lode. vv. 13 → interrogativa retorica per dire che la bellezza dell’amato è superlativa. ‘C’è qualcuno che può competere con lui?’. Luogo comune. vv.14 → metafora animale, l’amato è come un cucciolo di gazzella, è unico in bellezza → topos ricorrente nella letteratura araba. vv.15 → il suo sguardo colpisce tutti coloro che lo guardano. Metafora della freccia d’amore e dell’amore che passa attraverso gli occhi. Mudanza = rima assonante in I-A. vv.16-17 → estribillo, tema della caccia d’amore. ‘Tutti i cuori ben trafigge con le frecce’ iperbato. Le frecce sono le sue ciglia ‘le frecce sono attorno ai sui occhi’ come ciglia spesse. 4° strofa → c’è un nesso sintattico tra mudanza e vuelta costituito dal ‘mientras’. vv.18-19-20 → ‘mentre camminavo al lato dell’amico e gli confidavo la mia pena e la mia sofferenza perché lui è il medico che potrebbe curarmi’ metafora della malattia d’amore. vv.20-21 → mentre succedeva ciò, arrivò la spia (ostacolo che alimenta la passione degli amanti). Spia → altro modo per riferirsi ai censori. La spia, senza farsi accorgere, si è avvicinata e l’amato si è vergognato. Narrazioni esili → è una lirica, il lettore è rimandato ad una dimensione sentimentale. 5° strofa → contiene i versi di transizione e la jarcha. vv.22-23-24 → si passa dall’io lirico ad un narratore extradiegetico. ‘Tutte le fanciulle belle che sono innamorate, vedono le sue labbra rosse che vorrebbero baciare e il suo collo, dicono alla loro mamma’. Versi di transizione. vv.25-26 → jarcha in cui la fanciulla si rivolge alla mamma, scritta in mozarabe. ‘Madre, che bello il mio amico! Sotto la ‘zazzera’ (capelli) bionda, il collo bianco e la bocca rossa’. Nella Jarcha non si racconta niente → non sappiamo niente, è un accento lirico che spesso si esprime attraverso una linguaggio enfatico. Non è un amore su cui si raziocina. Differenze tra Muwaschaha e Jarcha: - M → 90% io lirico maschile - J → io lirico solo femminile - M → temi vari - J → solo tema amoroso, narra solo una pena d’amore - M → registro letterario alto, ricorre a metafore - J → registro popolare, linguaggio semplice e colloquiale, adatto all’io lirico Il canto di amore posto in bocca di donna non appartiene solo alla lirica romanza → in Germania esistono i ‘canti di donna’, anche nella tradizione orientale- siriana. La prima lirica accompagna il mondo femminile. Nell’area spagnola abbiamo la fortuna che questi testi siano stati conservati così presto. TESTO MUWASCHAHA PAGINA 16 Non è anonima, è di un autore conosciuto sotto il nome di ‘panettiere di Murcia’, la jarcha che chiude è il testo è quella datata 1042. La trascrizione è diversa, i versi sono messi di seguito divisa da uno slash. Anche per questo testo la traslitterazione e la traduzione risulta difficile per via di alcuni passaggi oscuri. Struttura → preludio, 4 strofe, 5° di transizione e Jarcha. ANALISI Preludio → l’io lirico è maschile. Ricompare il termine ‘gazzella’ che sostituisce metaforicamente l’amata, per rappresentare la sua bellezza. Interrogativa retorica. Geografia e fauna esotica in un contesto occidentale. ‘Chi mi restituirà la gazzella schiava che i leoni cacciano nei canneti? Lei che è mia debitrice quando io attendevo da lei la restituzione di quanto mi deve’. Il preludio circostanzia l’assenza della fanciulla chi già si dimostra per certi versi come non corrispondente del sentimento d’amore. La fanciulla ha le caratteristiche della ‘belle dame sans merci’, espressione per qualificare la figura della ‘famme fatale’ ostile, crudele, che non accondiscende il sentimento dell’amato (⌿ fanciulla della jarcha). Tuttavia, sia nella M. che nella J. c’è il lamento dell’assenza, entrambi i lamenti partono dalla memoria e non dal presente. 1° strofa → amante arreso, prostrato, sottomesso, disperato (caratteristiche dell’amante trovatorio). Prima descrizione psicologica dell’amante. ‘Ho affidato il mio destino in quanto a lei, alla speranza e al desiderio, non hi manifestato la mia disperazione quando lei ha prolungato la sua ingiustizia, se non quando ho detto a me stesso ‘oh cuore mio, proteggila da un cattivo pensiero, e tu, anima (…), fai ciò che vuoi perché io mi conformerò con il tuo giudizio’. L’innamorato passa da un monodialogo tra lui e il suo cuore, a rivolgersi ad un ‘tu’, un’apostrofe. Lui si dichiara totalmente asservito alla sua dama mostrando la sua frustrazione. 2° strofa → allegorie dell’amore: alcune note, altre appartenenti ad un contesto poetico che ci è meno familiare. Nucleo tematico: metafore canoniche dell’amore. Inizia con una costruzione molto enfatica, un’esclamativa. Il dio amore si allontana ingiustamente da colui che non riesce ad essere paziente (amore impaziente). Ci sono tre raffigurazioni dell’amore → colui che dorme, colui che lancia frecce e colui che è tranquillo di occhi. È difficile accedere ai campi metaforici non familiari. Malattia d’amore → frecce lanciate che fanno ammalare. 3° strofa → registro colto, aulico, alto. Metafore elaborate. C’è un altro tipo di trattamento del tema dell’amore, presente nella nostra cultura. Interrogativa retorica. Il poeta rappresenta l’amore come COINCIDENTIA OPPOSITORUM → coincidenza degli opposti, l’amore è il luogo dove possono coincidere anche i contrari. Le fanciulle non sono amanti timide e ritrose → vivono con grande intensità l’amore. Sono attive nell’unione amorosa, partecipano sempre con intenso pathos. L’immediatezza dell’emozione è resa bene dalle frequenti interrogative e esclamative e dalla sinteticità dell’espressione. Prevale l’elusione dello stato d’animo sofferto → l’evento che si patisce è annunciato con estrema essenzialità. Nessun atteggiamento intellettuale interviene a definire le caratteristiche che quell’evento provoca sul giovane animo femminile. Caratteristiche → densità dell’espressione, ripetizioni frequenti, prevalenza di un tono affettivo → si ritroveranno spesso in ogni manifestazione letteraria popolare e diventeranno in alcuni periodi, veri e propri enunciati di poetica (generazione del ’27). A livello linguistico → molti tratti distintivi del dialetto mozarabe sia nella fonetica che nel lessico. CANTIGAS DE AMIGO Y VILLANCICOS Ramón Menédez Pidal definisce le jarchas, las cantigas de amigo e los villancicos come ‘tres ramas de un mismo tronco’ → sono tre filoni della lirica che hanno una radice comune. Sono tutte canzoni poste in bocca di una fanciulla innamorata che, accorgendosene, si confida con qualcuno (solitamente la madre). Anche Samuel Stern aveva definito le jarchas vere canciones de amigo dove l’uomo, che nella lirica gallego-portoghese è rappresentato dall’amico, in quella andalusa è reso dall’habibi. Ci sono molte coincidenze tra la lirica ispano-araba delle jarchas, quella delle canzoni d’amico e quella d’amore castigliana dei villancicos → probabilmente una lirica romanza di tipo tradizionale servì di sostrato tanto alla lirica gallego- portoghese come ai villancicos castigliani. In epoca medievale, fino al XIV secolo, sulla penisola iberica coesistevano 4 nuclei lirici: - Lirica mozarabica, nucleo arabico-andaluso (più antico, già nel IX secolo); - Nucleo gallego-portoghese; - Nucleo castigliano; - Nucleo catalano → la cui lirica è una diretta imitazione della lirica provenzale. La catalogna era geograficamente un naturale prolungamento della Provenza e la lirica provenzale si propaga in Castiglia. Anche nella zona nord occidentale della Spagna arriva la lirica trovatorica → ciò avviene attraverso un percorso, quello di Santiago de Compostela (veicolo inoltre di diffusione per l’arte romanica in Spagna). LEGGENDA → Santiago (San Giacomo) fu uno dei primi apostoli martiri, muore decapitato in Palestina. Fu l’apostolo che più di tutti si occupò di fare proselitismo in Spagna. Si dice che due suoi compagni si occuparono di trasportare le sue spoglie nella zona estrema della Galizia. Le spoglie furono poi rinvenute casualmente nell’800 da un eremita → durante la notte vide un fascio di luce che illuminava una zona specifica. Questo fascio di luce lo condusse alle spoglie del santo. Questa leggenda fu molto utile alla Spagna medievale → il culto del santo fu opportunamente impegnato in chiave ideologica nella riconquista dei cristiani. All’intervento del santo furono attribuite una serie di conquiste e vittorie sugli arabi. In particolare una, che segnò per i cristiani un effettivo momento di riscossa → la battagli di Clavijo nell’844. A partire da questa battaglia, a Santiago fu dato l’appellativo di ‘Santiago Matamoros’. Perché i trovatori provenzali si spingono fino a Santiago de Compostela? Francia verso XIII secolo → la lirica trovatorica nasce in Provenza dove c’è un periodo di relativa pace. Nelle corti si sviluppa un genere amoroso propiziato dalla condizione di pace. 1208 → il papa Innocenzo III scatenò una crociata contro l’eresia catara. All’inizio del ‘200 i trovatori scappano dalla Provenza → diaspora occitanica. Si dirigono in Italia, Francia e Germania per esercitare la loro arte. Attraverso il cammino di Santiago arrivano in Galizia. Se in catalogna la lirica provenzale si esprime nelle modalità stesse di questa lirica, in Galizia nacque un genere che possiamo definire ‘autoctono’ → le cantigas de amigo. La produzione iberica dei trovatori gallego-portoghesi si articolò essenzialmente in tre generi: - Cantigas de amor → legate alla lezione provenzale della lirica trobadorico- cortese i cui tratti innovativi sono però: assenza incipit primaverile, del locus amenus, assenza descrizione dell’amata, assenza degli godimento d’amore che compensa le pene amorose. Il poeta canta la pena di un amore desiderato ma irraggiungibile, destinato all’infelicità, all’insoddisfazione e a volte alla morte. Modello occitanico preponderante, trasposizione della concezione dell’amore come servizio feudale in una logica erotico-amatoria. Costituiscono la maggior parte del corpus delle cantigas. C’è una dama, chiamata spesso al maschile ‘senhor’, sempre descritta come tiranna del cuore del poeta che la corteggia come un essere superiore. È silente e perfetta sia fisicamente che moralmente tuttavia riserva all’innamorato un atteggiamento ostile anche quando lo ricambia. Importante → c’è un cambio sostanziale rispetto al modello occitanico. In quest’ultimo, l’amore cortese è adulterino e l’innamorato teme le spie. In Spagna questo è impossibile e ciò subisce un cambiamento → la dama è nubile e non c’è un vero ostacolo all’amore, se non uno interno. Il principale sentimento del poeta è la COITA → tristezza che sfocia in uno stato di depressione perché non è ricambiato. Il predominio di questo sentimento conferisce ai testi cupezza e tono lamentoso. - Cantigas de escarnho e maldizer → canti di scherno con linguaggio popolaresco e scurrile che uniscono alla satira politica e morale, quella personale e letteraria. Anche qui c’è un modello occitanico → SIRVENTES PROVENZALE → prima erano due generi diversi, oggi sono considerati un unico genere. Nelle cantigas de escarnho, l’oggetto della satira veniva celato, non era esplicito, era omesso o trasposto in termini metaforici. Nelle cantigas de maldizer l’oggetto/ soggetto è sempre esplicito. La maggior parte di queste cantigas hanno come oggetto una dama → potrebbero essere definite il contrario delle cantigas de amor. La dama oggetto di satira è brutta, infedele, dotata di eccessivo appetito sessuale. A volte, il vero bersaglio delle satire è il marito di queste dame, altre volte anche personaggi altolocati. L’autore di queste cantigas si rivolge in termini satirici nei confronti di altri poeti che gli sono inferiori, altre volte, si rivolge ai signori (celati da pseudonimi) lamentandosi della loro avarizia. - Cantigas de amigo → canti di fanciulla innamorata. La lirica gallego-portoghese inizia nel XIII secolo e termina nel XIV con una data convenzionale → 1350, anno di morte di Pedro di Portugal, ultimo culture di questo genere poetico. Anche se non ci sono dubbi sul fatto che le cantigas venivano cantante, nella maggior parte dei casi non è pervenuta la dotazione musicale. CANTIGAS DE AMIGO Le cantigas de amigo appartengono alla lirica gallego-portghese → fino al XIV secolo in tutta la Spagna, la lingua d’eccellenza per la lirica fu quella gallego- portoghese. La lirica gallego-portoghese non venne scritta solo dai galiziani. Mentre l’epica si scriveva nella lingua castigliana, la lirica si scriveva in gallego- portoghese. Esempio molto noto → anche Alfonso X el Sabio, re della Castiglia, scrisse cantigas in gallego-portoghese. Abbiamo un corpus di 427 cantigas, alcune scritte da lui, altre probabilmente composte da altri per lui. Una delle più famose è una cantiga di tema religioso, quella di Santa Maria stella del giorno’. Queste cantigas ci sono state tramandate da 4 codici → uno di essi, non solo contiene le parti musicali, ma anche quelle danzate. Il corpus delle cantigas de amigo è composta da circa 500 testi, nonostante non si allontani dalla poesia cortese, è composta da liriche colte di stile popolareggiante → imitano dei tipici tratti folklorici come l’espressione sintentica, il frequente ricorso alle figure di ripetizione e il tono evocativo. Esse sono però testi d’autore. Caratteristiche → costruite su una struttura parallelistica o incrociata, che riduce il lessico all’essenziale e che, grazie ad una variazione estremamente contenuta delle strofe ripetitive, punta essenzialmente ad una altissima sonorità. In generale sono composte da 4 o 5 strofe di due versi, spesso seguite da un verso di ritornello. Tra la prima e la seconda strofa il tessuto lessicale è uguale, si può assistere all’inversione dei due ultimi termini o alla sostituzione dell’ultimo termine. I secondi versi delle prime due strofe diventano poi i primi delle strofe tre e quattro, e così via, secondo il noto meccanismo della Leixa-pren. Su questo schema avvengono poi delle variazioni. Anche qui c’è una fanciulla che lamenta la lontananza dell’amico, la difficoltà di incontrarlo, il suo abbandono, ma a volte anche la gioia dell’incontro e di un amore ricambiato. Protagonisti principali → fanciulla con la madre e le sorelle e l’amico amato, a volte ci sono anche animali dai risvolti metaforici. A differenza delle jarchas e dei villancicos, qui è presente un paesaggio (spesso marittimo) e a volte la descrizione, benché minima, della donna amata. I più famosi trovatori gallego-portoghesi sono Martin Codax e Pero Meogo. Della lirica gallego-portoghese ci sono pervenuti due tipi di canzonieri: - Canzonieri collettali → con antologie di vari autori che vengono messe insieme da un solo poeta ma sono composti dalla produzione di diversi autori. - Canzonieri individuali → in misura minore. I più importanti sono → 3 canzonieri collettali e 2 individuali. JARCHAS → nascono in un contesto popolare e orale, la loro struttura è più semplice e la poetica più sintetica. POETICA DEI TROVATORI → non può essere definita popolare, ma popolareggiante. Ci troviamo di fronte a una lirica d’autore che imita i contenuti e le modalità della lirica popolare (anonima). È più raffinata. MARTIN CODAX - CANTIGA II PAGINA 32 (V nel repertorio) Più breve, composta di 4 strofe organizzate in coppie → 2 blocchi. 1° strofa → ‘voi che sapete amare l’amico, venite con me al mare di Vigo e nelle onde ci bagneremo!’ 2° strofa → ‘voi che sapete amare l’amato, con me venite al mare levato e nelle onde ci bagneremo!’ 3° strofa → ‘con me venite al mare di Vigo che troveremo il mio amico e nelle onde ci bagneremo!’ 4° strofa → ‘con me venite al mare levato, che troveremo il mio amato e nelle onde ci bagneremo!’ Poesia molto enigmatica ma gioiosa → si esula dal lamento ed invita ad un amore collettivo, si rivolge alle amiche. PANISMO, FESTA DIONISIACA. C’è uno stato di ebrezza ed una forte sensualità. La struttura è uguale a quella della cantiga precedente. PARALLELISMO PERFETTO → quando i versi ripetono la stessa struttura sintattica con l’unica variazione della parola in rima. (Imperfetto → quando si ripetono le stesse parole ma con una costruzione sintattica inversa). LEIXA-PREN → importante, rende un effetto di intreccio che può indicare una possibile danza. 1° verso strofa 3 è il 2° verso della strofa 1. 1° verso strofa 4 è il 2° verso della strofa 2. Anche qui c’è una ripetizione costante. PERO MEOGO → anche di lui si hanno pochi elementi biografici, fu contemporaneo di Don Dinis. Nelle sue composizioni, una figura molto ricorrente è quella del cervo. Di Meogo si hanno 9 cantigas de amigo con un forte taglio metaforico. PERO MEOGO - CANTIGA III PAGINA 34 Contesto → prati, cervi, fontana dove lei si lava i capelli. C’è una descrizione. 8 strofe costruite a coppie con una variazione legata al genere → una strofa femminile ed una maschile. Nella poesia ci sono dei parallelismi perfetti ed il LEIXA-PREN inizia solamente dalla 5° strofa in poi. RIME → uguali nelle strofe pari e in quelle dispari. Sono molto ricche. Questa cantiga è più complessa rispetto a quelle di Codax, inoltre presenta più strofe. Una figura retorica molto ricorrente nella poesia è il POLIPTOTO → gli stessi verbi ricompaiono nel componimento coniugati o declinati in tempi e modi diversi. C’è un poliptoto verbale → lavey-liey, lavara-liara, asperey-asperara. ANALISI 1° e 2° strofa → trasposizione di uno scenario naturale carico di sensualità, dato dall’alternarsi di maschile e femminile. Questa alternanza, che inizia con il femminile, dura fino alla fine del componimento. 3° e 4° strofa → la fanciulla si lava i capelli. FONTE → spesso indica il luogo dell’incontro amoroso perché l’acqua è il simbolo della fertilità. 5° e 6° strofa → la fanciulla si fa bella legandosi i capelli. FANCIULLA CON TRECCE → simbolo della verginità. La poesia, attraverso la divisione delle strofe, vede alternarsi fasi di stasi e fasi di azione → I/II stasi, II/IV azione, V-VI azione, VII/VIII stasi. Nelle strofe di azione c’è la preparazione dell’incontro amoroso, evocato sul piano metaforico nelle strofe di stasi. PERO MEOGO - CANTIGA VI PAGINA 36 Con questa cantiga torniamo nel campo metaforico della caccia e della ferita d’amore. Nel testo ci sono parallelismi sia perfetti che imperfetti. 5 strofe → è una cantiga dialogata, nelle prime tre parla la fanciulla, nelle ultime due la madre risponde. ANALISI 1° e 2° strofa → c’è un paragone → l’amico è un cervo ferito. Il paragone con i cervi è presente anche nella bibbia, nel cantico dei cantici, dove l’amata chiama l’amato ‘cerbiatto’. Ciò sembra anche derivare dalla cultura celtica. 3° strofa → centrale, indipendente, non è collegata a nessuna altra strofa. La fanciulla deve aiutare il suo amico ferito altrimenti lui andrà a morire al mare. Questa espressione sentimentale della fanciulla è carica di ingenuità e lo si capisce dalla risposta della madre nelle strofe successive. 4° e 5° strofa → brusco cambio di tono, la madre mette in guardia la figlia in base alla sua esperienza. C’è un ricordo, la narrazione si fa più complessa. La madre invita la figlia alla prudenza perché l’amore può essere anche frutto di inganni. La cantiga in generale è semplice e leggera, l’intervento della madre stempera l’immedesimazione della fanciulla con il suo amato. VILLANCICOS Genere le cui prime attestazioni scritte risalgono al XV secolo. Di base sono costituiti da una strofetta (cabeza, estribillo) che manifesta la rappresentazione più semplice della lirica tradizionale castigliana. Caratteristiche → forte densità concettuale accompagnata da sintesi linguistica, con prevalenza dell’enunciato breve, espresso in forma diretta. Stern, nel rinvenire le jarchas, notò la loro somiglianza marcata con i villancicos. I villancicos ci sono pervenuti nei cancionieros → raccolte della produzione lirica. A corte nasce una moda legata alla poesia circa la produzione e la riproduzione di poesie all’interno di cancionieros collettivi → queste antologie costituiscono un lascito enorme, sono circa 50, sia collettivi che individuali, contengono migliaia di canti di più di 700 poeti, alcuni anche anonimi. Nelle corti spagnole del ‘400 e ‘500 si inizia ad apprezzare una poesia lirica di carattere tradizionale e sui modelli di questa poesia vengono composti altri testi. Succede ciò che era successo in Al-Andalus durante la dominazione araba → questi canti popolari, però, che erano ancora ‘vivi’, iniziarono ad essere trascritti in queste raccolte. XIV e XV secolo → le canzoncine trascritte sono precedenti e arrivano fino a questi secoli, alcune anche fino all’800. Sono collocate nelle origini, in tempi remotissimi. CANZONIERI → non tutti presentano un lascito di lirica popolare anonima, i più interessanti sono: - Cancionero musical de palacio (di Barbieri) → fine XV inizio XVI, ha la notazione musicale. - Cancionero del British Museum → 1500 circa. - Cancionero llamado flor de enamorados → 1562 (la parola ‘flor’ compare spesso nei canzonieri). - Cancionero sevillano. Il termine ‘villancico’ sembra derivare da una prima caratterizzazione sociale, da ‘villano’ (colui che abita nelle campagne) → sono canti contadini che riguardano momenti di riposo dal duro lavoro dei campi, feste della comunità paesana (soprattutto legate al ciclo liturgico), sono canti di nozze e canzoni che accompagnano l’attività lavorativa nei campi. Uno dei concetti chiave di questa lirica è VIVIR EN VARIANTES → questi testi erano trasmessi oralmente, hanno avuto una lunga vita supportata dall’oralità, non dallo scritto. Questo tipo di trasmissione, comporta la variazione dei testi, sia in maniera involontaria che volontaria (spesso i poeti di corte che li trascrivono, li modificano per regolarizzarli). La tradizione orale comporta molte irregolarità metriche e rimiche. VIVIR EN VARIANTES → dei diversi risultati di un testo non possiamo dire quale sia il migliore, dobbiamo ammetterli e ripeterli tutti. Questo è un concetto importante. I villancicos de amigo sono posti in bocca di donna. Si dividono in sottogeneri: - Las mayes - Quelli della malmaritata e della fanciulla che non vuole farsi suora - Quelli sulla festa di San Giovanni - Quelli sulla ‘morenica’ (bella donna mora) - Quelli sulla serrana (montanara) I villancicos sembrano delle jarchas → i temi sono diversi ma la fanciulla si lamenta sempre di un’attesa di amore o di un futuro infelice. I villancicos de amigo sono indicati anche con il termine ‘FRAULIER’. Uno dei temi più ricorrenti è quello dell’amore. Le situazioni cantate sono di tipo elementare e ammettono come testimoni del canto le amiche/sorelle della fanciulla, la madre o l’amato. VILLANCICO DI BASE → breve, di 2, 3 o 4 versi. Strofe brevi a rima baciata, schema XX o XYY o XXY. Esiste anche il VILLANCICO STROFICO → quando c’è un ritornello iniziale al quale si aggiungono delle strofe (raramente di origine popolare). Nella maggior parte dei casi, i villancicos strofici sono d’autore → i poeti prendono il villancico popolare e lo ampliano con altre strofe, dette pies, composte da due ‘mudanzas’ (abba) e uno o due versi di allacciamento ‘enalce’ con l’ultimo verso della mudanza, e con uno o due versi che riprendo la rima del secondo verso dell’estribillo o lo ripetono ‘vuelta’. STRUTTURA SIMILE MA CONTRARIA ALLA MUWASCHAHA (le jarchas erano alla fine). REDONDILLAS → quartine a rima baciata. VERSO DE ENLACE → lega la quartina. L’età eroica di cui si narra nell’epica, non corrisponde alle stesse epoche per i diversi popoli. CHANSON DE ROLAND → l’età eroica corrisponde all’epoca di Carlo Magno. Racconta una storia fondata dell’VIII secolo, quando vengono bloccate le invasioni degli arabi. CASTIGLIA → ha due età eroiche: - Inizio della riconquista VIII secolo. - Intendenza della Castiglia con Fernán Gonzáles. ELABORAZIONE DELLA MATERIA STORICA NELL’EPICA: 1. Fatto storico → si parte da qui. 2. Elaborazione della leggenda epica 3. Elaborazione della leggenda epica come ‘cantar de gesta’ → ciò avviene in maniera fortuita, come un fortunato incidente: i canti potevano andare persi nell’oralità. Alcune leggende epiche ebbero più fortuna di altre → una molto fortunata fu quella del CID. Ci sono molti poemi su di lui, la sua storia fu molto popolare. Ci sono 3 cicli epici che narrano la vicende del CID: 1. Cantar de Sancho II → non ci è pervenuto intero. 2. Las mocedades de Rodrigo → la gioventù di Rodrigo, poema tardo e incompiuto. 3. Cantar de mio CID. Un’altra leggenda che si impose, fu quella attorno alla figura di Fernán Gonzáles - Poema de Fernán Gonzáles (che però rientra nel Mester de Clerecía). In Spagna, inoltre, si impose anche un altro nucleo narrativo → quello di Roncesvalle, legato alla storia francese. - Cantar del Bernardo del Carpio → ci sono pervenuti solo 1000 versi su 5000. È una riscrittura di una battaglia in chiave ideologica e nazionale. Si racconta di come sia stato un saturiano a fermare gli arabi, non i francesi. POEMI → ci pervengono in maniera frammentaria. I frammenti sono stati scoperti perché, mentre gli studiosi leggevano le cronache storiche medievali, si accorsero di avvertire una certa musicalità nei testi. In alcune parti di queste cronache, spesso venivano riportati alla lettera dei versi di cantares perduti → i compilatori delle cronache consideravano questi poemi epici come delle fonti importanti. Dal momento che in diverse cronache si trovano passaggi diversi dello stesso cantar, ciò ha permesso di seguire la loro evoluzione. Le versioni diverse, contraddittorie, sono importanti per ricostruire i testi. CANTARES DE GESTA RICOSTRUITI A PARTIRE DALLE CRONACHE STORICHE. ORGINI DELL’EPICA IN SPAGNA → l’epica si sviluppa in Castiglia, poiché fu una terra costretta a lottare per la propria esistenza (a differenza della Galizia dove si sviluppa la lirica). La Castiglia era un popolo guerriero, il suo nome vuol dire ‘pequeño rincón’. Successivamente questa terra avrà invece una posizione di vantaggio rispetto a tutte le altre. Riguardo l’origine dell’epica in Spagna, sono state formulate diverse ipotesi e sono stati forniti diversi modelli da cui avrebbe avuto origine: - Tesi francese - Tesi gota - Tesi araba TESI GOTA → secondo alcuni studiosi, in particolare Menédez Pidal, l’epica in Spagna ha avuto origine dal popolo dei visigoti. I visigoti entrano in Spagna nel V secolo e vi rimangono fino all’VIII. Questa tesi è la più articolata e quella con più fondamento, poiché è avanzata leggendo e fornendo esempi di diversi testi. Menédez Pidal avvalora la sua posizione riscontrando motivi simili tra l’epica germanica e quella spagnola: - Consultazione del re con i suoi vassalli prima di prendere una decisione. - Duelli rappresentati tra due eroi/campioni per redimere un oltraggio. - Episodi in cui l’eroe viene mandato in esilio con i suoi vassalli che condividono la sua sorte (come il Cid). Inoltre, c’è un momento in cui, nel terzo cantar del poema del mio Cid, a Toledo, il Cid si prostra e si umilia davanti al re mordendo l’erba → questa è un’usanza attestata come gota da Menédez Pidal. TESI FRANCESE → anche questa tesi risulta abbastanza convincente, sostenuta da Gastón de Paris che utilizza elementi extratestuali. L’epica francese nasce prima di quella spagnola → è ovvio che essa abbia influenzato l’epica in Spagna. In realtà però, ci sono molte differenze tra le due epiche: - Regolarità → l’epica francese è molto regolare, quella spagnola no (trasmessa oralmente dal mester de julgaría). - Realismo → l’epica francese ha una narrazione molto fantastica, quella spagnola è invece molto realistica. Menédez Pidal non rifiuterà però del tutti questa tesi → secondo lui, c’è stato un rapporto tra queste due epiche, ma l’influsso francese risulta posteriore e riguarda il terzo ciclo dell’epica, soprattutto a livello tematico. Secondo Pidal, se l’epica francese avesse davvero condizionato l’epica spagnola sin dall’inizio, avremmo avuto poemi più regolari. Pidal confuta e appoggia questa testa allo stesso momento. TESI ARABA → sostenuta da Julián Ribera facendo appiglio a contenuti extratestuali. Ribera sosteneva che fu anche l’epopea andalusa ad influenzare l’epica spagnola. Effettivamente, qualche influsso arabo/andaluso è presente anche nel Cid → nomi di persona, toponomastica, qualche motivo presente nel corano (es. quando il Cid destina la 5° parte del suo bottino al re). Le tre tesi si completano → influssi arabi, influssi francesi nella tarda epica spagnola ma nelle sue origini preponderanza di motivi che discendono dall’epica germanica, oltre ad elementi autoctoni. Parlando delle origini dell’epica, c’è un’altra questione importante → nasce prima l’epica e poi i romances o viceversa? ROMANCES → composizioni poetiche tipiche della tradizione letteraria spagnola, composti usando la combinazione metrica di ottosillabi assonanzati nei versi pari. Hanno origini antichissime, hanno un lungo periodo di latenza e sono caratteristici della tradizione orale. Diventano popolari nel XV secolo. Presentano un grande repertorio e sono raccolti in antologie, i romanceros → riferiscono storie epiche (genere di carattere epico-lirico). Sono più brevi dei poemi epici e venivano anch’essi recitati o cantati. Ci si chiede se l’epica sia nata successivamente, unendo i vari romances, oppure se essi siano nato dopo l’epica da una sua frammentazione → 2 ipotesi contrarie: UNIONE DEI ROMANCES PER CREARE L’EPICA o FRAMMENTAZIONE DELL’EPICA PER CREARE I ROMANCES? COME NASCE QUESTA DISCUSSIONE → dall’analisi di alcuni romances. DON SANCHO CERCA ZAMORA → testo di un romance. Sancho II: figura chiave anche per la storia del Cid. Storia → nel 1065 muore Ferdinando I, che aveva riunito grazie alla guerra di riconquista la Castiglia, il León e la Galizia. Alla sua morte divide il suo regno tra i suoi eredi: 3 figli e 2 figlie. Sancho → Castiglia, Alfonso VI → León, García → Galizia, Urraca → Zamora e all’altra figlia spetta Toledo. Sancho non si accontenta e muove guerra ai fratelli e ad Urraca. Il Cid, che viene allevato da Ferdinando I, viene mandato da Sancho nella città di Zamora per assediarla e sottrarla ad Urraca. Nel testo, Sancho spiega al Cid che lui deve essere grato al re e ai suoi fratelli e per questo motivo gli fa una richiesta → andare a Zamora per dire alla sorella di cedere la sua città ottenendo in cambio grandi averi. Se lei non accetterà, Sancho prenderà la città con la forza. Il Cid arriva a Zamora con 15 cavalieri. In questo testo appare chiaro ciò che spinse gli studiosi a dedurre che l’epica derivi dai romances, soprattutto grazie a delle spie nell’assetto metrico. STRUTTURA METRICA → somiglia a quella dell’epica. ROMANCES → ottosillabi astrofici (non divisi in strofe) assonanzati nei versi pari. Tuttavia, i romances potevano circolare anche con un’altra struttura, per risparmiare spazio sui fogli → versi di 16 sillabe, tutti con la stessa rima e con una forte cesura al centro che divideva il verso in due emistichi. EPICA → versi di 16 sillabe, tutti con la stessa rima e con una cesura al centro di ogni verso che divide due emistichi. Dunque, questo collegamento tra epica e romances nasce da un’osservazione di tipo metrico dei testi. Per tante caratteristiche però, sembra siano i romances a derivare dall’epica, e non viceversa → i romances sono un genere che ha seguito l’epica frammentandola e cantandola in un’altra forma metrica (ottosillabo). Alcuni romances sono epici, altri esclusivamente lirici. Evidentemente il tema epico, che già esisteva nell’epica, trovò fortuna anche all’interno dei romances. CANTAR DE MÍO CID Poema nazionale di Castiglia, l’unico dell’epica primitiva spagnola che ci sia pervenuto sostanzialmente completo → nell’unico manoscritto conservato mancano solo quattro folii, circa 200 versi. STORIA EDITORIALE → pubblicato a stampa nel XVIII secolo, 1779 da Tomás Antonio Sánchez con il titolo ‘Poema del Cid’. La denominazione ‘cantar’ tuttavia è più appropriata poiché fa riferimento alla fruizione del testo (era cantato). Il primo editore lo aveva rinvenuto in un codice mutilo, mancante di 4 fogli → il primo era probabilmente quello iniziale. Questo codice era firmato PER ABAT, Pietro Abate. STRUTTURA → 3733 versi ininterrotti → in realtà però divisi in 3 cantiche non divisibili tipograficamente. 1. Dal 1000 al 1084 2. Dal 1085 al 2277 3. Dal 2278 al 3733 Queste 3 cantiche corrispondo alle unità di recitazione a cui gli studiosi hanno dato dei titoli. 1. Esilio del Cid 2. Nozze delle figlie del Cid (già eroe) 3. Cantar de la afrenta de corpes, oltraggio che le figlie del Cid ricevono dai propri mariti. Termina con la riparazione all’oltraggio. Verso 1085 → ‘qui inizia la storia di Mio Cid de Vivar’. Probabilmente c’era stata una pausa precedente. La stessa cosa avviene alla fine del secondo cantar. Verso 2276 → ‘i versi di questo cantar terminano qui’. In base a questi versi, gli studiosi hanno diviso il cantar in 3 cantiche. ARGOMENTO → epoca del re Alfonso VI. INIZIO → l’eroe dell’opera che prende la strada dell’esilio. L’antefatto è presente nei versi perduti. Sancho II inizia delle guerre contro i fratelli per avere i loro territori. Quando muore, il fratello Alfonso VI prende il suo regno e il Cid entra a far parte dei suoi cavalieri. Il Cid viene mandato a riscuotere i tributi (parias) dai re mori delle taifas (piccoli regni). Loro pagavano dei tributi per essere lasciati in pace ed essere difesi. Gracía Ordoñez, un magnate del re, attacca un re moro. Il Cid lo sconfigge e lui lo accusa davanti al re di aver trattenuto per se una parte dei tributi. Il re gli crede e manda il Cid in esilio. Questa premessa non c’è nel cantar, fu ricostruita da Pidal attraverso un passo de ‘Historia de los 20 reyes’ del 1366, nel quale il cantar è prosificato entrando a far parte della cronaca storica di Alfonso VI. Riguardo alle costanti della narrazione epica, il Cid in parte le rispetta anche se si caratterizza per alcuni tratti peculiari → una marcata tendenza realistica, che ha fatto parlare più propriamente dell’opera come di una biografia eroica o di una cronaca rimata. Inoltre, è assente quel tono elevato che qualifica lo stile dell’epopea, a favore di una narrazione più prosaica. Un terzo elemento differenziale sta nelle qualità più umane che soprannaturali del Cid → il suo amore maritale, l’attaccamento alle figlie, la descrizione della sua vita domestica. Inoltre, non ottiene sempre vittorie, non è senza macchie. La sua storia è narrata talmente in maniera reale che si può seguire il suo percorso d’esilio su una cartina. REALISMO STORICO, GEOGRAFICO e NARRATIVO. CID → personaggio storico realmente esistito. ‘CID’ è un termine che deriva dall’arabo e significa ‘signore’. È curioso il fatto che un eroe della riconquista abbia un appellativo arabo. I particolari biografici conosciuti ma omessi dall’opera rispondo probabilmente a una necessaria selezione narrativa. Non si narra del suo secondo esilio e neanche di quando fu al servizio del re moro di Saragozza. Alcuni episodi, invece, sono di pura invenzione → l’episodio dei due ebrei e quello del leone. La presenza di questi episodi non storici, tuttavia, non riduce la forte tendenza realistica del romanzo. Non appaiono mai componenti fantastiche → appartenente a un soprannaturale cristiano, ma affidato a un’immagine onirica, è solo l’intervento dell’arcangelo Gabriele che compare in sogno al Cid per predirgli la buona fortuna. LINGUA → senza dubbio arcaica. METRICA → lasse assonanzate (tiradas → versi di arte mayor monorimi). Quando la rima cambia, cambia la lassa. Inoltre, ogni lassa è anche un’unità tematica. Anche questo è un tratto arcaico. L’epica francese, dopo un primo stadio di assonanza, si dirige verso la rima consonante e lasse di versi isosillabici con tendenza stabile al 5+7 e al 7+7. Le lasse del poema variano moltissimo → la più breve conta 3 versi, la più lunga 185. L’estensione della tirada dipende dal tema trattato. MISURA DEI VERSI → si va dalle 10 sillabe alle 20 sillabe con emistichi dalle combinazioni molto differenti. In genere, il secondo emistichio è quello più lungo e contiene l’assonanza. Si è notata una certa varietà formale nei tre cantares che compongono il poema → la tendenza a diversificare le rime, presente nel I cantare, va riducendosi progressivamente. A livello stilistico vi è una grande libertà nell’uso dei tempi verbali, con il predominio del presente storico, per attualizzare la narrazione. Il linguaggio tende alla concretezza, a rendere visibile ciò che è astratto. Caratteristiche dello stile → frequente uso dell’amplificatio verborum nel raddoppiamento sinonimico. Si tratta di espressioni che si rafforzano e completano la vicenda → amplificano un’emozione nel ribadirla intensificandola e forse hanno anch’esse funzione riempitiva come meccanismo di completamento di fine verso. I° LASSA → DESTIERRO DEL CID PAGINA 66 L’inizio del poema in medias res è molto efficace, possiede una forte enfasi → la perdita del primo folio, contenente l’antefatto all’esilio, colloca il lettore odierno nel vivo dell’azione. L’inizio coincide con il pianto doloroso dell’esiliato che si appresta a lasciare la sua terra. L’inizio di questa opera è uno tra i più famosi della storia delle letterature. v.1 → il Cid piange → il pianto era un segno di virilità. Frase fisica che aiuta a rendere concretamente visibile il verbo che accompagna. v.2 → anacoluto, pronome enclitico. ‘Li stava a guardare’ chi? Cosa? Qui capiamo che qualcosa prima ci doveva essere, altrimenti non capiamo il pronome. CATAR e TORNAR → termini arcaici, guardare e girare. Il Cid guarda le sue proprietà piangendo perché le sta abbandonando. v.3-4-5 → spiegano cosa sta guardando. Questi versi hanno una costruzione parallelistica. C’è una reiterazione del ‘sin’ che rimanda ad un senso di privazione. L’autore dell’opera appare esperto, sa maneggiare i meccanismi retorici. Astori → uccelli rapaci, sin astores mudados perché non hanno compiuto la muta. L’eroe piange, si sente privato di ogni cosa. v.6-7 → si passa dalla rassegnazione alla capacità di reagire. Parallelismo, ripetizione sintattica (serviva anche alla memorizzazione). Il Cid prima guarda quello che sta perdendo e piange, poi sospira e parla. Questa struttura climatica è volta ad aumentare la suspance del racconto. In questi versi viene usato per la prima volta l’aggettivo possessivo ‘mio’ riferito al Cid → ‘mio’ diventa un epiteto affettivo per indicare che il giullare è dalla parte dell’eroe, è suo alleato. Il Cid parlò ‘bene e molto misurato’ → la misura è una virtù che qualifica il Cid. Lui non è un eroe iracondo, è misurato. Si dice che la misura riassuma le 4 virtù cardinali della morale cristiana → prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. v.8-9 → versi curiosi. Nel primo c’è una forma di ringraziamento, nel secondo c’è una condanna ai suoi nemici. Il verso 8 è interpretato in due forme antitetiche → secondo la prima, il Cid vorrebbe mostrare la sua religiosità profonda, secondo la seconda il Cid usa un tono ironico per disprezzare il signore. La strategia di attribuire la sua sventura ai nemici è un modo per preservare a figura del re. Di fatto, alla fine del poema c’è un ravvicinamento. Il Cid da un lato scagiona il re, dall’altro testimonia il conflitto sociale dell’epoca tra magnati e piccola nobiltà. I magnati non volevano cedere il passo alla piccola nobiltà che rafforzava la propria posizione con i meriti. Questa prima lassa contestualizza il profilo psicologico del Cid, non è una lassa d’azione. Il Cid è un uomo misurato → ha un carattere equilibrato e temperato che gli fa accettare con rassegnazione la sua sorte da esule. Altrettanto accade più avanti nel poema, quando le figlie vengono oltraggiate. Il Cid non è mosso da un sentimento di ira e vendetta → va dal suo re e chiede giustizia. In queste caratteristiche, è molto diverso dagli altri eroi epici. Il Cid risulta come una figura abbastanza inedita. La prima lassa insiste sul tema dell’esilio, il Cid personifica l’esule che non trattiene il pianto. Si dice che ha perso molte cose → TEMA DELLA PRIVAZIONE. L’eroe prende la parola e parla in prima persona con una frase forse seria o forse sarcastica. II LASSA - PAGINA 66 In questa lassa ci viene narrato che il Cid si dirige a Burgos sotto degli auspici contraddittori. Domina la simmetria della costruzione sintattica e la sobrietà di uno stile narrativo che procede per grandi sintesi. v.10 → ‘spronano i cavalli e sciolgono le reti’. Il Cid e i suoi vassalli si allontanano. Anafora di ‘allí’ v.11 → uscendo da Vivar sentono il gracidare di una cornacchia a destra, segno di buon augurio. v.12 → entrando a Burgos però, sentono gracidare un’altra cornacchia a sinistra, segno di cattiva sorte. Parallelismo con verso 11. Il Cid riceve sia un segnale di buon augurio, si uno di cattiva sorte → il primo potrebbe far riferimento al suo successo futuro, il secondo potrebbe riferirsi a cosa troverà a Burgos, preannuncia un qualcosa di sgradevole. v.13 → il Cid scuote le spalle. v.14 → verso oggetto di discussione. C’è un’esclamazione di gioia, evviva/coraggio → la differenza tra le due parole è legata al verso successivo. ‘Evviva’ ha senso se collegata al v.15. 2° CANTAR → cantar delle nozze. Il Cid assedia Valencia e la città si arrende. Nomina come vescovo un suo sacerdote guerriero e manda suo nipote dal re donandogli 100 cavalli, per chiedergli di potersi ricongiungere con la sua famiglia, che era in un monastero. Il re acconsente e permette inoltre alle persone di unirsi alla schiera dell’eroe. LXXXVII LASSA - PAGINA 72 Questa lassa è diversa dalle altre, è divisa in 2 parti con un salto tematico. Nei versi 1610-1619 di tema più lirico, si passa ai verso 1620-1622 di tema più propriamente epico. La moglie e le figlie del Cid arrivano a Valencia, il Cid per dimostrare l’importanza del territorio che ha conquistato, si avvicina assieme a loro a Alcazar → roccaforte degli arabi nella parte più alta della città. Il Cid fa salire la sua famiglia lì su e artisticamente avviene che i lettori vedono Valencia Il giullare ci racconta questa città mediterranea attraverso gli occhi di chi non l’ha mai vista, la moglie e le figlie del Cid. v.1610-11 → il Cid fa salire la sua famiglia sull’Alcazar. vv.1612-15 → l’autore dell’opera fa una scelta: Valencia non viene descritta dal giullare, neanche dal Cid, ma viene descritta attraverso gli occhi di Jimena e delle figlie. La città viene descritta e vista attraverso gli occhi di 3 donne, che non la guardano come una conquista. I loro occhi si guardano intorno con uno stato di meraviglia → da una parte vedono il mare e dall’altra una grande pianura, ‘huerta’. Il loro sguardo femminile è uno sguardo di pace, pensano alle possibilità di vita che di potrebbero essere in un territorio così rigoglioso. Questi versi rendono benissimo la capacità artistica dell’autore. v.1616 → inserito da Pidal. v.1617-19 → viene ringraziato il signore per questa conquista, per questa terra fertile. Il Cid, come signore di Valencia, rimarrà lì fino alla morte. Dopodiché, la moglie resterà lì per altri due anni, nonostante il territorio sarà soggetto a invasioni dagli arabi. Successivamente Jimena tornerà a Castiglia con le spoglie del marito, che saranno poi interrate con lei. v.1620-22 → viene citato un episodio storico. Parla del re Yúsuf, indicato come imperatore dei mori, chiamato in Spagna. Egli era un capo guerriero, re del Marocco. La conquista araba in Spagna avviene gradualmente e a più riprese. Verso l’inizio/metà del XI secolo, gli almoravidi entrano in Spagna e la situazione cambia un po’ → la dominazione si fece più irrispettosa e violenta. Yúsuf tentò di riconquistare Valencia, nel 1086 entra in Spagna con conseguenze disastrose sia per cristiani che per arabi. Le imprese che il Cid compie iniziano a suscitare invidia nei sui confronti da parte di Ordoñez e degli infanti di Carrión. Riguardo questi ultimi, si hanno dei dubbi sulla loro veridicità storica e sul loro matrimonio con le figlie del Cid. INFANTI DI CARRIÓN → antagonisti del Cid, vili. Si muovono sempre in coppia, non godono di una personalità propria, incarnano la malvagità e la meschinità. Gli infanti chiedono al re di poter sposare le figlie del Cid e il re accetta → durante il famoso incontro con il re, quest’ultimo propone al Cid il matrimonio e lui acconsente solo per obbedienza nei confronti del sovrano. Ciò si evince da un solo verso → v.2110. Il Cid rifiuta però di consegnare le figlie direttamente agli infanti e chiede al re di farlo lui stesso. Questo verso racchiude un’anticipazione → il matrimonio sarà tragico e determinerà la afrenta de corpes del terzo cantare. AFRENTA DE CORPES → dopo il matrimonio gli sposi tornano a Valencia, assaltata di nuovo da ABU BAKR. Gli infanti dimostrano la loro vigliaccheria rimanendo indietro. Non sono dei veri combattenti e verrano derisi dai compagni del Cid. Un altro episodio significativo → in un momento di riposo, mentre il Cid dorme, da una gabbia scappa un leone. Gli infanti, spaventati si nascondono sotto la panca dove sta dormendo il Cid. Successivamente, il leone viene ricondotto nella gabbia dall’eroe. È evidente la contrapposizione CID-INFANTES DE CARRIÓN. Gli infanti, sentendosi umiliati, decidono di vendicarsi e lo faranno oltraggiando le figlie del Cid. Loro chiedono al Cid di poter tornare nelle loro terre con le mogli, il Cid acconsente ed affida a loro anche le sue due spade, la Colada e la Tizzona. Nel bosco di Corpes, in Castiglia, gli infanti, rimasti soli con le mogli, le picchiano e le lasciano lì moribonde. Tuttavia, il Cid aveva mandato anche un suo vassallo assieme a loro → sarà lui a trovare le figlie dell’eroe. CXXVIII LASSA - PAGINA 74 v.2689-96 → gli infanti sono in viaggio con le loro spose → questi versi risultano un po’ oscuri, la geografia no è trasparente. v.2697-2709 → arrivano a Corpes e si accampano. Gli infanti chiedono di rimanere soli con le mogli e mandano tutti avanti. Qui c’è una prima descrizione del querceto di corpes secondo un’iconografia infernale. Il luogo viene descritto come LOCUS ORRIBILIS, bosco oscuro, folto, circondato da terribili fiere. Il luogo è descritto così perché l’autore fa riferimento ad un’iconografia medievale di come si immaginava l’inferno (folta foreste nera circondata da bestie feroci). Subito dopo, però, con la tecnica del contrasto, l’autore trasforma il LOCUS ORRIBILIS in un LOCUS AMENUS → presenta una fonte, un giardino. Ci sono dei richiami ad un’iconografia che rimanda invece al paradiso, luogo nel quale c’è l’amore. Questo contrasto è un spia che suggerisce che le spose stanno per cadere nella trappola dei mariti. v.2710-19 → gli infanti informano le mogli della loro intenzione di oltraggiarle e di oltraggiare il loro padre. v.2720-24 → gli infanti spogliano le spose lasciandole nelle sottovesti e si preparano a picchiarle. vv.2725-33 → prende la parola doña Sol implorando gli infanti di ucciderle, perché era meglio morire che sopravvivere al disonore. v.2734-48 → gli infanti le picchiano abbandonandole, credendole morte, nel querceto di Corpes. L’efferatezza crudele degli infanti è in contrasto con l’eroismo delle due spose. CID → non si vendicherà personalmente dell’oltraggio, chiederà giustizia al re. I suoi cavalieri sconfiggeranno gli infanti e al re verrano restituite le spade e la dote. L’opera dunque, termina con un lieto fine → il Cid ottiene giustizia e le sue figlie si risposeranno con gli infanti di Navarra e Aragona. MESTER DE CLERECÍA Macrogenere letterario e scuola poetica. La sua denominazione indica una serie di opere a cavallo tra XIII e XIV secolo che presentano delle caratteristiche peculiari e comuni. CLERIGO → dal latino ‘clerus’, insieme di sacerdoti. Nella società medievale, il termine non indica strettamente l’uomo di chiesa, ma l’uomo di lettere, l’intellettuale. Nel medioevo si verifica una grave crisi linguistica, culturale ed economica dopo la caduta dell'impero romano. Ci fu anche una crisi educativa poiché chiusero i centri scolastici. Nel XIII secolo, emersero dei nuovi centri culturali: nelle sedi religiose nascono le scuole monastiche e le scuole cattedrali. Erano gestite da monaci e non era obbligatorio prendere i voti per accedervi. In questo contesto, il termine ‘clerigo’ indicava l'uomo di studi, il letterato. I chierici erano uomini istruiti, non necessariamente sacerdoti. Nel XIII, in Spagna, avviene dunque un rinascimento → nascono nuovi istituzioni culturali e al tempo stesso la situazione economica migliora. Le nuove sedi culturali nascevano sotto il patrocinio del re e dell’aristocrazia. Il Rinascimento spagnolo fu determinato anche da una condizione storica → una battaglia epocale del 1212, nella quale si batterono gli eserciti cristiani coalizzati contro Al-Andaluz, contro l’islamismo. Battaglia de Las navas. La vittoria dei cristiani in questa battaglia marcherà nuovi confini e la Spagna cristiana includerà tutto il settentrione della nazione → nell'arco di poco tempo vengono conquistate anche Cordova e Siviglia. La Spagna cristiana ritrova la sua unità peninsulare che determina un clima pacifico e sereno. Le nuove sedi culturali si trasformano in studi generali, in università → la prima fu Palencia, poi Salamanca e Valladolid. MESTER → dal latino ‘ministerium’, compito, ufficio che ognuno svolge. A questa altezza, la letteratura spagnola si divide in due stili/generi → mester de clerecía e mester de juglaría, dove, per il primo abbiamo un autore e per il secondo solamente un interprete. DIFFERENZE: 1. AUTORE/INTERPRETE → gli autori del mester de claerecía erano uomini colti, chierici. Per il mester de juglaría c'erano solamente i giullari, interpreti di opere altrui, veicoli. 2. Le opere che fanno parte del mester de clerecía sono opere d'autore noto (la maggior parte), quelle che fanno parte del mester de clerecía (jarchas, villancicos, epica) sono tutte anonime. 3. SIMMETRIA/AMETRIA → le opere del mester de clerecía, hanno una struttura formale impeccabile. Quelle del mester de juglaría sono irregolari da ogni punto di vista: presentano rime assonanti, diverso numero di sillabe per ogni verso, emistichi di diversa misura sillabica ecc. 4. INTENZIONI → la finalità delle opere che fanno parte del mester de clerecía, è quella di divulgare in lingua romanza il patrimonio letterario presente nella latinità. Dal momento che il latino ormai era inaccessibile ai più, occorreva trasferire storie e racconti della letteratura classica nella letteratura romanza. Queste opere hanno dunque uno scopo pedagogico e divulgativo. Al contrario, le opere del mester de juglaría, come l’epica, hanno la finalità di informare riguardo questioni di interesse popolare, hanno una funzione informativa, ma in generale, sono volte all'intrattenimento sociale. Gonzalo de Berceo non è un autore del tutto originale → lavora con delle fonti latine per scrivere le sue opere. Per il suo lavoro, si serve di codici classici che volgarizza → le sue opere sono volgarizzamenti di opere precedenti del patrimonio classico. Tuttavia, dal momento che le sue opere dovevano risultare accattivanti, attua alcune strategie. Nonostante fosse un uomo di studi, Gonzalo de Berceo fa spesso dichiarazione di ignoranza (motivo ricorrente nella letteratura medievale). Ciò gli serve in funzione della CAPTATIO BENEVOLENTIAE → per ottenere l’attenzione e la simpatia del pubblico, per avvicinarsi ad esso. AFFETTAZIONE DI IGNORANZA PROBABILMENTE SECONDO IL TOPOS DELLA CAPTATIO BENEVOLENTIAE. In una quartina di ‘Santo Domingo de Silos’ l’autore scrive → voglio scrivere un’opera in lingua romanza come il popolo usa parlare normalmente perché non sono così colto da scriverlo in latino, credo che varrà un buon vaso di vino. Nella quartina l’autore dichiara ignoranza ed adopera delle strategie proprie del mester de juglaría (richiedere la ricompensa per il suo lavoro) pur essendo effettivamente un autore colto. L’autore fa ciò, oltre che per ottenere la simpatia del pubblico, anche per conferire alla materia sacra dei suoi scritti una dimensione meno trascendente, calando la religione nella prosaicità quotidiana. Gonzalo de Berceo spesso si muove tra due estremi → essere un giullare ed essere un autore colto. Questo anche perché i suoi testi, nascevano per essere recitatati, come quelli del mester de juglaría. Riguardo alle fonti, l’autore interveniva spesso sui codici su cui lavorava, fino al punto di trasformarli e di farli diventare nuove opere. Tuttavia, nel fare ciò, presenta un atteggiamento molto filologico, esplicitando sempre di lavorare con testi a fronte e citando le fonti. Molto spesso, nelle sue opere dichiara di star lavorando con dei codici che sono rovinati oppure dei quali non capisce la grafia, e per questi motivi afferma di non voler inserire nei suoi testi alcune informazioni (poiché non le capisce). MILAGROS DE NUESTRA SEÑORA → opera del XIII secolo basata sul codice latino ‘Miracula Beatae Mariae Verginis’ che appartiene al genere della miracolistica: genere molto in voga nella letteratura religiosa tardo latina utilizzato per convertire il pubblico. Berceo seleziona 24 dei 49 miracoli della fonte latina aggiungendone un 25esimo , ‘La Iglesias robada’, (sua invenzione o preso da un’altra fonte) e sottolinea la sua funzione di mediatore e non di autore del testo che propone → per esempio, lascia incompiuto un miracolo perché afferma che nel codice che sta leggendo mancano alcune pagine. Il fatto che i miracoli siano 25 ha un valore simbolico → 5, con tutti i suoi multipli, è il numero mariano per eccellenza. Nella copla 325 c’è un riferimento storico che colloca l’opera, presumibilmente, scritta prima del 1246. MIRACOLI → tante storie con finalità didascalica, definiti come ‘exempla’, servono per mostrare idee e concetti. Anche Gonzalo de Berceo utilizza questo termine definendolo però ‘racconto’ con finalità morale. Di fatto, il termine EXEMPLUM è l’antesignano di CUENTO, impiegato a partire dal XIV secolo. I milagros de nuestra señora riguardano 25 miracoli compiuti dalla madonna, della quale in Spagna si aveva uno spiccato culto molto sentito. Questo genere letterario, la miracolistica legata al culto mariano, venne coltivato tra XII e XIII secolo, quando la figura di Maria assume più importanza nella sfera del sacro. Prima era più marginale, anche nei vangeli vive un protagonismo ridotto. Durante il medioevo, la devozione mariana si esprime in diverse correnti religiose e letterarie (es. Cantigas de Santa María). In Europa ci sono due elementi che contribuiscono all’esaltazione della figura di Maria: 1. AMORE CORTESE → la donna è in una posizione gerarchica di preminenza. È un essere superiore. Questo tipo di culto della donna influenza anche la dimensione religiosa. 2. SERMONI DI S. BERNARDO DI CHIARAVALLE → la protagonista dei suoi sermoni è Maria. In particolare, in ‘De Aquaeducto’, la vergine è paragonata a un acquedotto, poiché convoglia il messaggio religioso dalla terra al cielo. Berceo spesso parla della Madonna come di una fonte. In particolare, in Spagna, Maria viene venerata perché nella liturgia mozarabica veniva identificata come la ‘nuova Eva’ che conduce gli uomini alla salvezza. Ciò ebbe riscontro anche nella liturgia visigota, dove la vergine aveva la funzione di mediatrice e co-redentrice assieme a Cristo. Maria permette la redenzione poiché ha generato Gesù. La religione, nei Miracoli di Berceo, ha al centro la figura di donna. Si basa su concetti semplici e accessibili ai più. La figura di donna avvicina affettivamente il pubblico alla narrazione → Maria è mediatrice anche in questo senso. NARRAZIONE AFFETTIVA E SENTIMENTALE, MARIA INTERCEDE E AIUTA IL PECCATORE PERMETTENDO LA REDENZIONE. Tutti i peccatori si salvano grazie alla loro devozione per la madonna. La religione dei Miracoli è una religione di salvazione, non di redenzione. Il peccatore viene salvato dall’intervento di Maria → non occorre che egli presenti alcun pentimento, deve solo adorare la vergine. Ciò che interessa esclusivamente è la devozione del peccatore, semplice che però è all’origine dei miracoli che si narrano. È una religione facile a cui ci si accosta facilmente; è una religione umana → in ogni miracolo c’è un peccatore che permette a chiunque di identificarsi con lui. Questa semplificazione de Gonzalo de Berceo attua, non riguarda solo la religione, ma anche lo stile e il linguaggio che utilizza. Il racconto latino viene depurato e si approfondisce la psicologia dei personaggi. Il lessico è famigliare e ci sono metafore che riprendono le occupazioni di tutti i giorni I Miracoli hanno un’ambientazione varia, di molti non vi è neppure il riferimento ad un luogo preciso → questo per indicare che si sta parlando di un uomo e di un luogo generale, non di uno di particolare. INTRODUZIONE, LOS MILAGROS DE NUESTRA SEÑORA - PAGINA 92 Paratesto scritto da Berceo che, attraverso l’allegoria, introduce i suoi 25 miracoli. Sono 46 strofe → l’allegoria viene presentata dalla strofa 1 alla 15, di lì in poi, viene spiegata e tradotta. INTRODUZIONE DI CARATTERE ALLEGORICO MA FACILMENTE ACCESSIBILE PERCHÉ L’ALLEGORIA VIENE SVELATA DALL’AUTORE. Questo prologo, a differenza dei miracoli che derivano da una fonte accertata, sembrerebbe essere del tutto originale, anche se l’autore fa riferimento a stereotipi e artifici retorici fortemente consolidati della tradizione → uomo inteso come pellegrino e descrizione di un locus amoenus. 1° strofa → apostrofe rivolta all’auditorio, è un appello. Gonzalo de Berceo ha ben presente chi siano i suoi destinatari ed utilizza questa strategia retorica per interessare il pubblico. L’autore prima ricorre all’auto nominatio, poi dice che quello che racconterà sarà bellissimo ed introduce l’allegoria in questa maniera. 2° strofa → l’autore dice ‘io’. Ciò è molto importante perché non è un riferimento autobiografico: in un contesto medievale, l’io indica ‘io in quanto peccatore’ e dunque ha una configurazione universale. È un ‘io come voi’, non un ‘io individuale’. Quello che l’autore sta per raccontare è di fatto la caduta dell’uomo nel peccato e la sua salvazione avvenuta per l’intercessione della vergine. L’autore si appella ‘maestro’ → o perché era un uomo di studi superiori, o utilizza il termine come titolo religioso, maestro di confessione. L’io del testo è un pellegrino → figura propria dell’iconografia medievale: uomo come pellegrino sulla terra, uomo viator, viandante. Anche affermare di essere un pellegrino è una strategia utilizzata per identificarsi con il suo pubblico. Mentre andava in pellegrinaggio si imbatté in un prato verde, ben coltivato con tanti fiori, un luogo bellissimo. L’autore inizia a costruire la sua allegoria → ci sono un pellegrino ed un prato verde pieno di fiori, un luogo piacevole dove stare. Gonzalo de Berceo ricorre molto all’amplificatio, sviluppando brevi citazioni e distese descrizioni. 3° strofa → i fiori di quel prato erano talmente profumati che davano sollievo a corpo e anima. Ad ogni angolo del prato, inoltre, c’erano delle fonti → 4 fonti, altro elemento allegorico. 4° strofa → c’erano anche molti alberi da frutto, che portavano frutta matura e fresca (nessun frutto era marcio o acerbo). 5° strofa → di carattere riepilogativo, ripete tutti gli elementi che costituiscono l’allegoria: prato verde, fiori profumati, alberi da frutta ecc. Il luogo descritto dall’autore ricorda l’eden → l’eden, nella bibbia, viene collocato tra 4 fiumi, che qui corrispondo alle 4 fonti. Inoltre nell’eden anche vi erano alberi da frutta. 14° strofa → il guardino ricorda il paradiso. È un LOCUS AMOENUS. Il pellegrino dunque, precipita in un giardino edenico → l’incontro con la vergine è anche un incontro sentimentale. Successivamente, l’autore traduce i simboli che ha introdotto in queste strofe e ci dice a cosa corrispondono, dalla strofa 16 alla 46. Per ora ha raccontato la ‘corteccia’, adesso spiega il ‘midollo’. PRATO → corrisponde alla VERGINE, il verde è il colore della verginità. Il prato è sempre vergine poiché Maria rimase sempre vergine. 4 FONTI → corrispondo ai 4 VANGELI e ai 4 EVANGELISTI che li scrivono. OMBRA DEGLI ALBERI → corrisponde alle PREGHIERE CHE MARIA FA per far intercedere i suoi peccatori. ALBERI → corrispondono ai MIRACOLI della vergine, più dolci e gustosi del peccato che conduce all’inferno. In fine, l'autore conclude questa introduzione affermando di voler raccontare questi miracoli compiuti dalla vergine. che si presenta come un’autobiografia che parla dei suoi trascorsi amorosi. L’autobiografia potrebbe essere un’autobiografia fittizia. Probabilmente subì prigionia a Toledo, per le accuse che gli rivolsero alcuni chierici. Visse forse tra il 1280 e il 1350, giacché nel 1351 era Arciprete de Hita un certo Pedro Fernández. Nelle prime 10 coplas della sua opera, dice di trovarsi in una prigione e invoca il Signore affinché lo liberi. Copla 1 pagina 105 → ‘Señor Dios, que a los jodios, pueblo de perdiçión, sacaste de cabtivo, del poder de Far[aón], a Danïel sacaste del poço de Babilón: saca a mí, coitado, d’esta mala presión’. PRESIÓN → potrebbe essere anche una prigione metaforica; forse il termine è solo generico per indicare la sofferenza. Il tema del corpo come prigione dell’anima è di ascendenza orfica e fu largamente impiegato in tutta la letteratura. Nel testo, si dà anche una descrizione fisica di Juan Ruiz, che tuttavia corrisponde allo stereotipo medievale del ‘buen amador’, con fisico forte e tratti marcati. Pagina 111 nota n°6 → una mezzana descrive l’arciprete nel suo aspetto fisico. La descrizione è interessante anche per percepire il carattere goliardico della narrazione → l’arciprete ha un corpo lungo, grandi membra ed è robusto. La testa non è piccola, pelosa. Il collo non è molto lungo. I capelli sono scuri. Le orecchie grandi, le ciglia nere ben distanziate. Cammina bello dritto con passo tranquillo. L’arciprete ha un naso un po’ lungo. Parla profondamente con la sua bocca non piccola. Sono piccoli i suoi occhi, ha la carnaio scura ecc.. LIBRO DE BUEN AMOR → capolavoro della letteratura medievale, opera complessa e composita, già dai suoi preliminari: inizia con una preghiera nella quale l’arciprete chiede al signore e alla vergine di essere liberato da una terribile, ma non esplicita, pena che lo affligge. Seguono poi due prologhi, uno in prosa ed uno in versi, due cantigas dedicate alla vergine e una favola in cuaderna vía, nella quale si narra una disputa tra greci e romani. Juan Ruiz spiega cosa intende con ‘Buen Amor’ nell’introduzione dell’opera → dice che esistono due tipi di amore: un amore profano (mal amor) e uno cristiano (buen amor). Le sue intenzioni sono di carattere didascalico, vuole indicare la strada giusta da intraprendere se si vuole essere un bravo cristiano, la strada del buen amor. Improvvisamente, però, con una torsione totale, il lettore si trova di fronte ad un’opera che, nonostante la sua dichiarazione al principio, narra 14 avventure amorose di un arciprete. Un amante sfortunato, tanto che, dopo le prime avventure che non vanno a lieto fine, all’altezza della 4° avventura, incontra il dio amore che gli suggerisce di ricorrere ad una mezzana per avere fortuna in amore. In quest’opera appare la prima mezzana della letteratura spagnola, Urraca (il suo soprannome era ‘trotta conventi’). Donna che si fra interceditrice nei traffici amorosi. L’arciprete si rivolge a Urraca e finalmente, dalla quarta avventura, l’arciprete riesce a conquistare diverse donne. 14 avventure → la maggior parte non vanno a buon fine. La 4° e la 12° invece si, ma saranno però marcate entrambe dalla morte delle due donne, donna Endrina e Donna Garoza. IMPORTANTE → il racconto che ci fa l’autore, proprio perché marcato dalla sfortuna e dalla morte delle due donne, potrebbe far parte di quella letteratura in cui il racconto deve essere colto dal lettore come ‘exemplum a contrario’ (non fare ciò di cui si racconta). L’opera andrebbe interpretata come modello da evitare. L’arciprete, esempio sbagliato da non imitare, verrà di fatto rifiutato da diverse donne ed il suo appetito sessuale sarà punito con la morte delle donne che invece non lo rifiuteranno. La narrazione vera e propria, che ha come centro le avventure amorose, inizia sostanzialmente dalla copla 71. Il titolo 'Libro de Buen Amor’ non contenuto nei codici, gli fu assegnato da Ramón Menéndez Pidal e si alterna con il titolo di ‘Libro de los cantares’. Caratteristiche generali → mescolanza di forme: la prosa si alterna a versi di arte menor e versi di arte mayor, varietà di temi: tenute insieme dalla finzione autobiografica si giustappongono narrazioni di tipo diverso (apologhi esemplificativi, una narrazione in terza persona, una battaglia tra Carnevale e Quaresima, una parodia delle opere canoniche). L’eterogeneità dell’opera, il suo carattere miscellaneo, la rende anche una sorta di antologia di testi diversi. Tre manoscritti → G, T, S. Manoscritto G → perché appartenuto a suo tempo a Benito Martínez Gayoso. Manoscritto T → appartenuto alla Cattedrale di Toledo. G e T conservano una prima versione del libro ca. del 1330. Manoscritto S → Salamanca, Colegio de San Bartolomé. Contiene circa 1700 versi, è il più completo e dovrebbe corrispondere a una versione del 1343. Si tratta probabilmente di due redazioni dello stesso Juan Ruiz e non di tre codici discendenti dallo stesso archetipo. Opera ricca di fonti in cui si mostra bene la vastità della cultura clericale. L’eterogeneità dell’opera fa si che per trovare possibili modelli si è ricorsi a opere a formule narrative della letteratura orientale araba, come il famoso ‘El collar de la Paloma’, o ispano-araba, come il genere delle maqāmāt a cui appartiene il ‘Libro delle delizie’. EL COLLAR DE LA PALOMA → di Ibn Hazm opera in prosa del XI secolo. Su richiesta di un amico, l'autore compone una lettera in cui descrive l'amore, le circostanze in cui nasce, le vicissitudini che lo accompagnano e il comportamento che esso suggerisce o impone agli amanti. Dapprima l'argomento viene affrontato dal punto di vista filosofico e delle differenti cause che provocano l'amore. A ciascuna causa viene riservato un capitolo speciale: troviamo i casi di chi s'innamora in sogno o in seguito a una descrizione, o per un semplice sguardo, o di chi invece s'innamora solo alla lunga, o ancora di chi rimane colpito da determinate qualità e non ne ammette altre. Si passa poi per i segni con cui si comunica l'amore. L'autore tratta poi delle gioie e delle pene dell'amore. Nel suo esposto egli rispetta per quanto possibile il processo naturale dello sviluppo del sentimento amoroso, opponendo le qualità contrarie le une alle altre. Seguono i motivi per cui l'amore può terminare quali l'oblìo, la morte degli amanti, il tradimento. L'opera si conclude con due capitoli morali: sulla turpitudine del peccato e sugli alti meriti della castità, dove ci si rivelano brillantemente il teologo, il giurista eminente e il futuro polemista MAQĀMĀT → Le maqamat (singolare maqama o maqāma; in arabo: مــــــــــــــــــقــــامــــــــــــــــــة; al plurale: maqāmāt, مــــــــــــــــقامــــــــــــــــات; letteralmente significa assemblea, consesso, riunione) sono opere in prosa rimata della letteratura araba dei secoli IX-XII. Sono opere a cavallo tra poesia e prosa, tra finzione e descrizione di fatti reali, ricche di fantasia e invenzioni su episodi di vita realmente accaduti. Solitamente sono caratterizzate da una serie di brevi racconti consequenziali che sono versioni romanzate di fatti reali di vita quotidiana nei quali vengono messe a confronto idee diverse. In una realtà marcata da una forte presenza multiculturale e in assenza di una tradizione o di un modello referenziale, si possono certamente riconoscere influenze di generi diversi e di diverse fonti della cultura cristiano-ebrea- musulmana, che Juan Ruiz assemblò e rielaborò con indubbia autonomia. FONTI → Bibbia, ‘Libro de Alexandre’, ‘Ars amandi’ di Ovidio e filone pseudo ovidiano, ‘Ysopete’ (raccolta delle favole esopiche), ‘Pamphilus de amore’ commedia latina del XII secolo (commedia elegiaca in latino XIII secolo). Panfilo, un giovane timido, che ama una ricca sua vicina Galatea, e per rivelare a lei il suo sentimento invoca l'aiuto di Venere e si giova dell'astuzia d'una vecchia. Comprende 780 versi in distici elegiaci; ha somiglianze con l'altra commedia ‘De nuncio sagaci’ e vi si nota ugualmente l'imitazione d'Ovidio. L’opera ebbe singolare fortuna, specie nella letteratura spagnola dal Libro de Buen Amor dell'arciprete de Hita e attraverso a questo nella Celestina. SCHEMA: - Preghiera che l’arciprete rivolge a dio (cuaderna vía) - Prologo in prosa - Prologo in versi (cuaderna vía) - 2 gaudi di Santa Maria - Disputa tra greci e romani - Gli uomini cercano la compagnia delle femmine - 1° e 2° avventura amorosa - L’influsso dei pianeti sulle vicende umane - 3° avventura amorosa - Disputa tra arciprete e dio dell’amore, con apologhi - 4° 5° 6° 7° 8° 9° avventura amorosa - Canto alla vergine di Santa Maria del Vado - Contesa tra carnevale e quaresima - I dodici mesi dell’anno - 10° 11° 12° 13° avventura amorosa - La morte di Urraca - Le qualità delle donne piccoline - 14° avventura amorosa - Come debba intendersi il libro - Canti alla vergine - Canti ai chierici di Talavera - 2 canti di ciechi 2. 12 strofe (ottave) in cui l’autore si scusa per quanto scritto nell’opera 3. Prologo in prosa 4. Titolo e argomento generale Le edizioni di Toledo e Sevilla sono complete, contando, oltre a questi preliminari, anche i paratesti alla fine dell’opera, dopo il pianto di Pleberio: 5. 3 ottave dell’autore 6. 6 ottave di un certo Alonso de Proaza → umanista, correttore di bozze. Sono ottave in cui l’editore si rivolge ai lettori. Dopo qualche anno, emergono altre edizioni dell’opera, segno che essa ebbe un grande successo già dal suo esordio. Nelle edizioni successive, cambia la titolazione dell’opera ed anche il genere → il nuovo titolo è ‘Tragicomedia de Calisto y Melibea’. - 1506 Roma - 1507 Zaragoza - 1510-1520 Toledo, Sevilla, Valencia Queste edizioni contano 21 atti, 5 in più rispetto alle edizioni precedenti. Tra 1523 e 1632 seguono altre 60 diverse edizioni della Celestina. Nel 1526 l’opera cresce di un altro atto, arrivando a contenere 22 atti → l’atto aggiunto è ‘l’atto di Traso’, un nuovo personaggio. Quest’atto sembrerebbe essere un atto spurio, apocrifo, aggiunto da altre persone diverse dall’autore originale. In nessuna di queste edizioni compare il nome dell’autore. LA CELESTINA → titolo che compare tra ‘500 e ‘600 e che deriva dalla mezzana, poiché la sua figura risalta con prepotenza nell’opera. Celestina è un personaggio nuovo, innovativo, che si impone nell’opera e diventa il motore dell’intera azione. Per questo motivo, ‘La Celestina’ è il nuovo titolo che gli autori decidono di dare all’opera. COME SAPPIAMO CHE FERNANDO DE ROJAS É L’AUTORE DELL’OPERA? Anche se non tutti gli editori moderni menzionano il nome di Fernando de Rojas, a seguito di ricerche e di letture attente dell’opera, gli studiosi hanno individuato come autore de ‘La Celestina’ Fernando de Rojas. All’interno del testo, c’è un passaggio in cui è celato il nome di FDR → nella 5° delle ottave finali di Alonso de Proaza, l’editore dichiara che l’autore dell’opera ha nascosto il suo nome nei versi all’inizio del libro. Alonso de Proaza vuole dare notorietà all’autore de ‘La Celestina’. 5° ottava → viene svelato il ‘nascondiglio’ dell’autore. Bisogna unire ogni lettera iniziale di ogni verso delle 11 ottave all’inizio dell’opera per ottenere il nome, la terra di provenienza e la nazione dell’autore. ‘EL BACHILLER FERNANDO DE ROYA ACABÓ LA COMEDIA DE CALISTO Y MELIBEA Y FUE NACIDO EN LA PUEBLA DE MONTALVÁN’ BACHILLER → studente ACABÓ → vuol dire ‘terminò’, non ‘scrisse’ Dunque, FDR si presenta nelle ottave acrostiche come un co-autore. La sua identità fu messa molto in discussione tanto da essere negata e considerata come un’attribuzione fittizia. Successivamente, però, vennero scoperti dei documenti che testimoniavano la reale esistenza storica di FDR. FERNANDO DE ROJAS → nacque effettivamente a Montalván, nella provincia di Toledo, tra 1470 e 1476. Morì nel 1541 a Calavera de la Reina. Era un giurista che esercitava la sua professione e forse fu sindaco della città in cui morì. Nel corso della sua vita, difenderà molti ebrei conversi (come lui) dall’accusa di criptogiudaismo. CRIPTOGIUDAISMO → ha a che fare con la conversone forzata degli ebrei che avviene con i re cattolici, ma che trova le sue premesse nella storia del ‘300. In Spagna c’era un clima di convivenza tra religioni diverse, legato fino al XII secolo al pagamento di tributi. Per quanto riguarda gli ebrei, il clima di convivenza dura fino al 1300 → a causa di una serie di problemi legati ad una crisi economica a causa di un’epidemia di peste e di una siccità. Ci fu un impoverimento del popolino, a cui si sovrappose poi la predicazione di alcuni religiosi che iniziarono ad incolpare gli ebrei di queste sventure. EBREI INCOLPATI DELLA CRISI IN SPAGNA → perché si erano distinti da sempre. Costituivano il 5% della popolazione ed erano emersi nel commercio e nel maneggio del denaro. Erano diventati la borghesia ed essendo intermediari tra cristiani e mussulmani, emersero anche nell’amministrazione. Venivano accusati in prima persona di diffondere l’epidemia e di causare siccità. Queste accuse determinarono assalti a sinagoghe e ghetti, gli ebrei iniziarono ad essere perseguitati. La Spagna delle tre religioni tramontò definitivamente, a partire da Enrico IV si chiese l’istituzione di un tribunale dell’inquisizione che venne approvata durante il regno dei re cattolici, nel 1578. I re cattolici dovettero convogliare le rivolte sociali spagnole in un progetto comune ed utilizzarono l’astio nei confronti degli ebrei per unificare il popolo. Venne intrapresa una politica anti-ebraica che, congiunta alla conquista di Granada, unì effettivamente il popolo. 1492 → data simbolica: scoperta America, conquista di Granada e diaspora degli ebrei. Gli ebrei furono costretti a convertirsi al cristianesimo per non dover abbandonare la Spagna. Una volta convertiti, però, l’inquisizione iniziò ad indagare su quali fossero i convertiti sinceri e quelli solo apparenti → iniziò una caccia alle false conversioni, una caccia al CRIPTOGIUDAISMO. Le persone accusate erano colpevoli di aver aderito alla religione cattolica pur mantenendo usi e costumi dell’ebraismo. Come venivano distinti conversi sinceri e conversi apparenti? Si stabilì una sorta di controllo sociale, chiunque poteva denunciare chiunque. Chi era riconosciuto come giudaizzante veniva privato di ogni bene (ciò serviva alla nazione per arricchirsi). La Spagna delle tre religioni diventa una Spagna divisa e dilaniata → in questa società vive FDR, il quale scrive un’opera che può essere letta a tanti livelli, uno dei quali, quello sentimentale-erotico. Inoltre, nell’opera c’è anche l’ambiguo personaggio di Celestina, una sorta di strega. Probabilmente furono tutti questi elementi, che all’epoca risultavano altamente compromettenti (anche perché scritti da un converso), che spinsero l’autore a nascondere il suo nome. PRUDENZA DELL’AUTORE,UOMO EMARGINATO NEL PROPRIO PAESE. APPARATO PARATESTUALE → importante, svolge una funzione informativa sulla gestazione, sull’autore e sul genere letterario dell’opera. Non è chiaro, però, se queste informazioni siano fittizie o reali, se siano indicazioni convenzionali oppure no. EL AUTOR A UN SU AMIGO → compare dall’edizione di Toledo del 1500. Topoi: - Falsa modestia → l’autore si presenta come un semplice divulgatore di un’opera altrui. Sminuisce le proprie capacità e si propone come editore. Serve a predisporre il pubblico in modo benevolo, docile e attento. Serve alla CAPTATIO BENEBOLENTIAE. - Risaltare novità del tema e originalità dell’opera → l’autore dice che la sua terra ha necessità di conoscere quest’opera. CARMINA NON PRIUS AUDITA, per aumentare l’attenzione e la motivazione. Forma parte del meccanismo chiamato ATTENTUM PARARE. - Utile et dulci → l’opera viene presentata gradevole ma anche esemplare. È una ‘reprobación del amor mondano’, condanna l’amore mondano, chiamato anche ‘loco amor’. Questo topos è continuamente reiterato nell’opera, anche nel titolo e nella 5° ottava acrostica con una metafora, quella di una pillola amara nascosta in un dolce per farla ingoiare al malato. Allo stesso modo, l’autore, per istruire, deve rivestire l’opera con ‘detti lascivi e che facciano sorridere’. EL AUTOR A UN SU AMIGO, 1° PROLOGO - PAGINA 71 ED. CATEDRA Epistola dedicatoria che sviluppa argomenti propri di un prologo, svolge na funzione introduttiva di preparazione all’uditorio. La sua funzione è rendere il pubblico attento, benevolo e ben disposto → per fare ciò l’autore impiega dei motivi tradizionali: - Esalta l’utilità e la bellezza dell’opera, dichiarandola imprescindibile - Fa dichiarazione di modestia 1° paragrafo → forte retoricizzazione del linguaggio. L’autore si rivolge a un narratario, un’ideale destinatario, un amico anonimo. Il narratore dichiara di aver scritto l’opera per questo suo amico. Dell’amico non sappiamo niente, solo che è innamorato → l’autore gli scrive per fornirgli delle ‘armi difensive per resistere al fuoco dell’amore’. Queste armi non sono spade, ma parole, che oggi abbiamo grazie all’ingegno di uomini sapienti. Lo scopo dell’opera è quello di avvisare l’amico riguardo i mali in cui potrà incorrere a causa dell’amore. Nelle prime righe, inoltre, l’autore, oltre a dichiarare che si trova lontano da casa, ci fornisce altre due informazioni: - Tutta l’opera, essendo scritta per aiutare l’amico, è una riprobazione dell’amore mondano. È stata scritta contro l’amore mondano. FRD indirizza il lettore circa le sue intenzioni di carattere didascalico, pedagogico e morale. - L’autore ci fornisce una sorta di autoritratto → in realtà, questo autoritratto, viene fatto in modo stereotipato, presentando l’autore in una posizione riflessiva, molto ricorrente nell’iconografia. In realtà, l’autore non sta descrivendo se stesso: fa solamente riferimento a se stesso come a un uomo di studi ricorrendo all’iconografia tradizionale. Questo prologo serve a FDR come escamotage per indicare che la sua opera va letta come un esempio da non seguire → EXEMPLUM A CONTRARIAS, categoria di storie da non seguire, servono per mettere in guardia i lettori. 2° paragrafo → l’autore dice di aver letto quest’opera: non si presenta dunque come l’autore. Dice di averne apprezzato varie cose e le spiega attraverso metafore. Successivamente parla dello stile elegante e sottolinea la bellezza e la novità dell’opera → fa ciò per invogliare i lettori. Questo è un topos molto La 1° ed. della tragicommedia è italiana: sicuramente ce ne fu una precedente spagnola. FDR sente la necessità di aggiungere questo prologo per fare chiarezza sulla definizione di commedia e tragicommedia. 1° parte → molto lunga. L’autore cita e semplifica una citazione di Eraclito: ‘tutte le cose sono create per essere in perenne conflitto’. FDR esemplifica la frase nel macrocosmo e poi nell’uomo, un microcosmo. TUTTO NELLA VITA É ASSOGGETTATO A PERENNE CONFLITTO. Anche l’opera ha suscitato conflitti circa la definizione del suo genere. Il primo autore l’ha denominata ‘commedia’ perché inizia allegramente → poiché in realtà, però, termina male, FDR cambia il genere in ‘tragicommedia’. Inoltre, l’autore ci informa che il pubblico era insoddisfatto della brevità degli incontri tra Calisto e Melibea → si incontrano nel XII atto. Dopo il primo incontro amoroso, però, Calisto muore. FDR per ovviare questo problema, effettua delle modifiche → da metà dell’atto XIV aggiunge 5 atti interpolati. La tragicommedia ha dunque 5 atti in più che allungano la relazione tra Calisto e Melibea di 3 mesi, anche se la conclusione rimane uguale. Un’altra informazione che ci fornisce l’autore in questo secondo prologo, è che tutte le rubriche sono state aggiunte dagli editori e non da lui. Questo prologo, risulta in realtà come una traduzione quasi letterale di un prologo di Petrarca → ‘de remediis utruisque fortunae’. In questo prologo viene citato Eraclito, spiegato e esemplificato con i conflitti del macrocosmo, dell’uomo e della stessa opera. MODELLO FORTE ALLE SPALLE → prologo di Petrarca. Un parte della critica vede in questo prologo un riassunto dell’opera → esso sottolinea il profondo pessimismo dell’autore, di un ebreo converso che ha una visione angustiata della realtà perché vive in un contesto a lui nemico. SIGUESE → sorta di 2° titolo collocato ad apertura dell’opera È davvero un’opera teatrale? Non c’è rispetto dei tempi teatrali → nel 1° atto c’è un momento in cui Celestina e Sempronio bussano alla casa di Calisto. La porta, dal momento in cui si bussa, viene aperta 5 pagine dopo. Pensando a questa scena rappresentata in uno spettacolo è evidente che c’è uno sfalzamento dei tempi teatrali. Inoltre, l’opera presenta molti atti in più rispetto al numero convenzionale delle altre opere teatrali. Alcuni critici, come Menendez y Pelayo collocano l’opera alle origini del romanzo → di fatto, essa fu importante ed influente sulle opere di narrativa successive, non su quelle teatrali. Altri, come Gilman, sostengono che l’opera sia ‘dialogo puro’ → la collocano in una sorta di nuovo genere. Rosa Linda, invece, rileggendo le ottave di Proaza, coglie un indizio celato in esse: nella 4° ottava vengono date informazioni circa la ricezione dell’opera da parte del pubblico. L’opera non veniva letta in solitario, veniva letta recitando a voce alta. C’era un solo interlocutore che recitava l’opera a voce alta. ERA UN’OPERA TEATRALE MA DESTINATA ALLA RECITAZIONE DI UN SOLO INTERPRETE. Cos’era ai tempi di FDR una tragicommedia? La tragicommedia è un genere che inizia con Plauto e Terenzio nel III a.C. Plauto chiama nel prologo del suo ANFITRIONE l’opera come una tragicommedia spiegandone i motivi → poiché essa mescola personaggi alti e bassi. Secondo la RUOTA DI VIRGILIO, che associava ad ogni genere letterario un tema e dei personaggi, c’erano 3 stilo → alto, medio e basso. La tragedia corrispondeva allo stile alto, la commedia a quello basso. Per essere una tragedia, un’opera doveva vivere in un contesto alto, non necessariamente finire male. In essa non dovevano comparire ambienti bassi, propri solo delle commedie. Plauto, mescolando questi due mondi separati, decide di chiamare la sua opera ‘tragicommedia’. La Celestina ha questa stessa ambientazione tra mondo alto e mondo basso: c’è un mescolamento di stili e personaggi. TRAGICOMMEDIA → non vuol dire solo che l’opera inizia bene e finisce male, ma anche che essa presenta un contesto misto. Rispetto alle commedie classiche di Plauto e Terenzio, modelli da seguire per FDR, la Celestina ha in comune con esse il tema amoroso, la presenza di servi, mezzane e prostitute, ambiente urbano, ironia e satira sociale. MORTI → avvengono tutte dall’alto verso il basso. Hanno un alto valore simbolico, avvengono per caduta. Secondo l’iconografia medievale, la vita era rappresentata come una ruota, mossa dalla fortuna → indicava il destino umano che era varievole. Nell’opera si è osservata la verticalità delle morti, che assumono un forte significato simbolico poiché si rifanno all’iconografia medievale che rappresentava la vita umana come una ruota mossa dalla fortuna, come un ciclo, fatto di alti e bassi. Questa verticalità della morte è costantemente avvertita nell’opera. Esempio → in un dialogo tra Sempronio e Celestina, nel quale la mezzana cerca di convincerlo a tradire il padrone, Sempronio dice ‘…Chi si muove verso l’alto in modo sbagliato cadrà giù più velocemente di quanto ha impiegato a salire…’ La Celestina ebbe una grande influenza sulla letteratura spagnola successiva → si parla di letteratura celestinesca quella che include opere di temi affini e continuazioni. Dalla celestina vengono riprese la figura della mezzana e quella dei ruffiani, come nel Lazarillo de Tormes. EL LAZARILLO DE TORMES Opera del 1554 → il ‘500 ci fa entrare in pieno rinascimento. Un articolo di Carmelo Samonà, pubblicato su ‘La Repubblica’ nel 1980, ci fornisce un breve riassunto della trama → la storia del Lazarillo sembra più una di quelle dei romani vittoriani inglesi. Invece, si tratta di un’opra spagnola di metà ‘500, rivolta ad un pubblico più incline a divertirsi che a piangere. Queste affinità tematiche con i romanzi vittoriani non sono casuali → queste opere fanno riferimento al modello picaresco. PICARECSA → genere di cui il Lazarillo è capostipite. PICARO → personaggio astuto, in genere un bambino, che deve superare delle prove. In genere vive in una condizionale sociale degradata, ha origini umili ed è spesso orfano. Il picaro riesce sempre a cavarsela in ogni situazione. È un essere vile e spregevole → vive della macchia di essere un protagonista privo del senso dell’onore (honor) e senza reputazione (honra). Alla metà de ‘500 non veniva ancora utilizzato il termine ‘picaresca’ → nasce a cavallo tra ‘500 e ‘600 e fu coniato da Matteo Alemán. Alemán, constatando la fortuna del Lazarillo e della sua formula, nel 1599 scriverà un suo romanzo sul modello del Lazarillo → ‘Guzmán de Alfarache’. Per trovare una definizione al genere della sua opera, Alemán conia il termine ‘picaresca’ che, retrospettivamente, viene attribuito anche al Lazarillo. Più avanti, nel 1626, anche Francisco de Quevedo scriverà un’opera picaresca: ‘El Buscón’. Il genere della picaresca ha avuto molta fortuna nella letteratura iberica e per questo motivo è difficile definirne i limiti e le caratteristiche. - PICARO → figura centrale. Fanciullo che diventa uomo: la picarecsa è di fatto anche una sorta di romanzo di formazione. - BAMBINO CHE SI FA UOMO METTENDOSI AL SERVIZIO DI PIÙ PADRONI → questi padroni rappresentano gli strati sociali del mondo contemporaneo. - COLLOCAZIONE NELLA CONTEMPORANEITÀ DELLA SCRITTURA → romanzo realista. - I romanzi si propongono come PSEUDO-AUTOBIOGRAFIE → si parla in prima persona. ‘Pseudo’ perché in realtà l’autore non sta parlando di se stesso. Il fatto che sia una storia in prima persona narrata da un personaggio del popolo rappresenta una novità assoluta nella letteratura. - La storia raccontata dal picaro ha sempre uno scopo → giustificare la condizione nella quale esso si trova Il picaro adulto narra in retrospezione la sua storia da quando era bambino per giustificare la sua condizione disonorata attuale di uomo compromesso. Nella picaresca si osserva dunque una prima realizzazione del determinismo sociale impiegato nell’800 → è un’anticipazione al naturalismo francese perché determina i personaggi in base alla loro condizione sociale e familiare. La critica nota nelle opere che fanno parte di questo genere un’ossessione per la ‘limpieza de sangre’ → ciò era un’ossessione della Spagna del ‘500 strettamente legata alla questione dell’onore. La Spagna si trovava divisa tra cristiani vecchi e cristiani nuovi → i cristiani vecchi erano quelli che potevano vantare della limpieza de sangre. Nella picaresca si risalta questi tema nel creare personaggi che vivono in una situazione degradata poiché sono frutto di una società con queste ossessioni. Il questo senso, il romanzo picaresco è anche un romanzo di critica sociale che mette in risalto ipocrisie e difetti della società. MODELLI DEL LAZARILLO → nella Spagna di metà ‘500 c’erano due generi narrativi dominanti: 1. NOVELA SENTIMENTÁL → storie d’amore tra dame e cavalieri. 2. LIBRI DI CAVALLERIA → storie di cavalieri, di eroi di successo. Entrambi questi generi sono molto lontani dal Lazarillo → erano storie ambientate in realtà ucroniche (non si sa dove avevano luogo). Un esempio di queste opere è ‘El Amadís de Gaula’, ambientato in un mondo sconosciuto e fantastico. Il Lazarillo rappresenta una novità rispetto a questi due generi → è la storia di un accattone che descrive una società degradata. Gli effettivi modelli del Lazarillo vanno ricercati in:
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