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Appunti lezioni Storia del cinema popolare a.a. 2020/2021 - DAMS, Appunti di Storia Del Cinema

Appunti completi sulle lezioni tenute dal prof. Fassone per il corso di Storia del cinema popolare a.a. 2020/2021 1. Che cos’è il cinema popolare 2. Introduzione alla teoria dei generi 3. I generi a Hollywood 4. Focus: Horror 5. Il cinema di genere in Europa 6. Il cinema di genere globale 7. Il cinema di genere italiano 8. Il peplum e il western 9. Il musicarello e l’horror 10. Introduzione al poliziottesco 11. Focus: Fernando di Leo 12. Poliziottesco: una teoria politica

Tipologia: Appunti

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Scarica Appunti lezioni Storia del cinema popolare a.a. 2020/2021 - DAMS e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! STORIA DEL CINEMA POPOLARE 1/10/2020 Come funziona il corso: tutti i materiali sono caricati su Moodle. Esame orale: essenziale aver visto tutti i film della filmografia che si trovano tutti in mediateca. La bibliografia comprende un libro di Giacomo Manzoli e va conosciuto bene. Molte delle cose dette a lezione riprendono questo libro. In più ci sono delle dispense su Moodle, estratti di diversi testi. Struttura del corso: 1. Introduzione al corso/ Che cos’è il cinema popolare 2. Introduzione alla teoria dei generi 3. I generi a Hollywood 4. Focus: Horror 5. Il cinema di genere in Europa 6. Il cinema di genere globale 7. Cinema di genere italiano: cinema medio e cinema di profondità, una storia 8. Il peplum e il western 9. Il musicarello e l’horror 10. Introduzione al poliziottesco 11. Focus: Fernando di Leo 12. Poliziottesco: una teoria politica CHE COS’È IL CINEMA POPOLARE Il cinema popolare è un campo molto amplio, che va dalla produzione di film di serie b in Brasile ai classici del film americano degli anni ‘30. La nozione di cinema popolare contiene quindi film diversissimi e spesso non rientra nella storia istituzionale del cinema, costruita su un canone critico ed estetico che si autoalimenta. Il cinema nella sua complessità è soprattutto però un’altra cosa, prodotta da personaggi meno noti ma non per questo non rilevanti. C’è un distacco molto forte tra il cinema visibile nella società e il cinema d’autore. Il cinema popolare è quello che le persone guardano pur non stando nella storia del cinema tradizionale. Una delle linee guida del corso è capire quali film non vengono affrontati nella storia del cinema e per quale motivo: si rischia di dire che tutto il cinema è popolare, affermazione non del tutto falsa poiché il cinema è sempre visto da qualcuno. Le definizioni del cinema popolare cambiano rispetto a dove ci si posiziona. Introduciamo quattro punti di osservazione del fenomeno: - Definizione critico/estetica: si oppone il cinema popolare “basso” a quello d’autore “alto”. È una opposizione fondata sul canone critico che contrappone la cultura popolare e quella elitaria. La società occidentale ha creato questa distinzione nella storia, creando un divario tra alto e basso, che distingue l’arte dalla cultura di massa. La cultura popolare produce degli oggetti che non possiedono le caratteristiche auliche tipiche della cultura alta. Secondo Edgar Morin le società occidentali sono fondate su questa opposizione: oggi, però, è messa in crisi per l’esistenza delle “terze culture”, che uniscono le classi sociali di chi comanda e chi viene comandato. Con l’avvento della borghesia emerge questa cultura, che tiene insieme questa dicotomia e costruisce un ibrido di fenomeni. Oggi l’accesso alle due culture è sempre più semplice, e il canone culturale è oggetto di continue riappropriazioni e negoziazioni. Alcuni oggetti culturali si trovano in una zona grigia di riferimenti culturali alti ma ispirazione tradizionalmente bassa (fumetti). - Definizione economico/produttiva: si considera cinema popolare il cinema di grande rilievo commerciale, con notevole successo di pubblico. Questo implica una accezione negativa di chi frequenta il cinema “di massa”, proposta anche da diversi critici come Adorno. Il termine “popolare” intende quindi l’interesse da parte di un pubblico: le classifiche degli incassi mostrano effettivamente film popolari, di genere, serie, film di avventura, tratti da romanzi popolari. Raramente si trovano film d’autore tra i maggiori incassi, ma ci sono alcune eccezioni, come Parasite. 1 Nonostante ciò, tutti i film sono inseriti nel commercio, e quindi questo termine ha una dimensione limitata. Inoltre, ci sono film “popolari” che hanno un rilievo commerciale praticamente nullo, che non conosce quindi nessuno ma che sono comunque di genere e popolari. Un esempio sono i “generi di profondità”, come Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento: un filone di film a basso costo con caratteri popolari che però non hanno successo nel grande pubblico. - Definizione politico/sociale: si considera il cinema che “interpreta” o “riflette” il sentire popolare, la cultura non egemone. Ne è esempio la figura di Fantozzi, un impiegato remissivo e soggiogato al volere dei suoi capi e rappresenta la classe media italiana, dalla cui tragicità nasce la forza comica del personaggio. Nella famosa scena della visione della Corazzata Potemkin, Fantozzi cerca di emanciparsi dalla sua posizione subordinata prendendo posizione e viene applaudito dagli operai. Questa scena rappresenta la differenza tra la l’interesse per le masse di un cinema popolare e quello per l’élite del cinema d’autore. Questo discorso si incrocia con la questione del populismo: quella manifestazione del pensiero che presuppone l’esistenza del popolo, una componente della società non corrotta, buona e di buonsenso. Il popolo è indistinto ed è un concetto di cui Fantozzi si fa portavoce. Questa teoria si dimostra vera soprattutto nell’Italia degli anni ‘60 e ‘70: la popolarità degli attori di western italiani e lo stesso Fantozzi, rappresentano una risposta alla domanda della società dell’epoca. Chi appartiene a questa categoria viene individuata nella classe lavoratrice nella visione marxista, ma al giorno d’oggi questa definizione è meno lineare. Secondo lo studioso Vittorio Spinazzola, il cinema popolare è quel cinema che intercetta il sentito popolare e lo mette sullo schermo: parla la lingua dei lavoratori, che interessa a loro e che rielabora le istanze e il senso comune di questa categoria sociale. Si tratta di una definizione di cinema popolare che deriva dalle teorie di Gramsci;una cultura che rappresenta e mette in scena i desideri, le inclinazioni e i posizionamenti delle masse subalterne. C’è un continuo scambio di idee dal cinema al popolo e dal popolo al cinema. È tuttavia difficile capire cosa sia “il popolo”: una entità sociologica legata all’ideologia, o una costruzione teorica, un’idea senza corpo sociale. - Definizione “da storia del cinema”: il cinema “non d’autore”. Questa è una definizione in negativo, dice ciò che il cinema popolare non è. Il cinema d’autore viene considerato cinema d’arte. Questa definizione trova un momento di complimento della storia del cinema stesso. I Cahiers du cinéma sono un luogo di formazione di questa dicotomia, che però ha una lunga storia, soprattutto in Europa. La “politica degli autori” attribuisce una patente di autorialità in base alla critica dei film stessi. I critici francesi degli anni ‘50 cercano dei segni distintivi in certi registi e li elevano ad un livello di superiorità, anche nel caso di un sistema produttivo seriale e commerciale come quello della Hollywood degli anni ‘30 e ‘40. Il nascente cinema francese è invece uno spazio creativo per il regista che diventa autore. Qui nasce quindi la distinzione tra il cinema d’arte e quello industriale. Questa distinzione è ancora molto visibile nello studio attuale del cinema, ma è da notare che stessi autori e film possono essere inseriti in una delle due categorie in base al momento storico in cui viene analizzato. Per esempio il film The brood, di David Cronenberg, è un classico film horror di bassa serie degli anni ‘70. lo stesso regista, nel 2018 vince il Leone d’oro alla carriera: Cronenberg, prima considerato parte del circolo di film popolari di serie b, viene considerato anni dopo autore. L’esclusività e il confine delle due categorie vacillano quindi negli anni e non sono stabili. Il cinema popolare si ritrova in uno statuto intermedio: ogni film ha infatti un regista che può essere considerato nel corso della storia come autoriale. Altro esempio è Mario Bava, regista che negli anni ‘60 viene non considerato di nessuna importanza e invece rivendicato come autore dopo la sua morte. Esponiamo due proposte di lettura del cinema popolare. - Una contraddizione politica non risolta: secondo John Fiske la cultura popolare occidentale è contraddittoria poiché il potere è distribuito in modo disuguale nella società. Il cinema e la cultura popolari sono generati dalla società appunto piena di contraddizioni e che quindi si replicano nella cultura stessa, contenendo delle forze di resistenza in essa. Per esempio, in molti film americani catastrofici come Independence day, il problema degli alieni viene risolto da un personaggio negativo che però si sacrifica: il protagonista è qualcuno che sta fuori dalla società, ai margini, che tende però a ristabilire l’ordine. Per il pubblico è interessante vedere la sovversione delle diseguaglianze. Rick Altman ha un’idea simile dei generi 2 - Le innovazioni tecnologiche diventano dei selling point. Nel caso del techicolor, si va a vedere il cinema “a colori”. Caratteristiche di Robin Hood: - Alternanza tra momenti “espositivi” e “cellule spettacolari”, ovvero tra momenti in cui è importante la storia e altri in cui è importante l’avvenimento in corso, come nel caso dei film d’azione. In Robin Hood ci sono spesso duelli spettacolari, in cui l’attore mette in mostra le due doti e la trama non varia. Le sequenze durano diversi minuti e sono di forte impatto scenico: il puro spettacolo utilizza sia il duello che l’inseguimento (Robin Hood 1). L’alternanza e l’equilibrio tra narrazione e spettacolo è fondamentale nel cinema popolare e nel “genere del corpo”: quei generi che interpellano non solo la logica ma anche il corpo dello spettatore, con risate, lacrime, eccitazione. - Riferimento populista e ambiguità politica: il popolo è terrorizzato dal tiranno cattivo e cerca di riguadagnare potere attraverso la figura di Robin Hood, portavoce e leader dei buoni. L’arringa di Robin Hood nella gestualità e retorica rimanda ad un discorso politico (Robin Hood 2). Il discorso è apertamente politico, e i volti che lo ascoltano evocano il popolo in modo stereotipato. L’utilizzo del verde per i vestiti del protagonista è dovuto alla tecnologia del technicolor, che predilige i colori primari. - Centralità del double plot, una doppia trama che procede parallelamente all’avventura, in questo caso la storia romantica con Lady Marian: è un classico che si risolva il conflitto principale del film, in questo caso il ritorno del re in patria, che corona anche la storia d’amore con la principessa. Questa trama stabilisce contatto con un pubblico più ampio. La prossima sequenza (Robin Hood 3) mostra il rapporto tra i due ed è interessante perché c’è un rapporto classico delle commedie romantiche dell’epoca: il tratto distintivo è il rapporto conflittuale, con provocazioni e battute (pal comedy). Lady Marian passa dalla diffidenza all’infatuazione verso il protagonista in una sequenza breve: la coppia rappresenta la classica coppia anni ‘30, in cui lei considera lui un selvaggio e lui considera lei una snob. Il diversivo comico del film è costituito da una una coppia anziana che vuole allontanarsi in privato. - Persistenza nella cultura popolare: Robin Hood è oggetto di numerose reinterpretazioni, parodie e remake soprattutto nel panorama americano, a partire dal Robin Hood della Disney, arrivando alla parodia di Mel Brooks degli anni ‘90. Sempre negli anni ‘90 esce una rivisitazione dei Looney Tunes, Rabbit Hood. 8/10/2020 I GENERI A HOLLYWOOD La lezione è volta a dare uno sguardo sull’industria cinematografica di Hollywood, che in termini storici è stata la più grande industria di questo genere, almeno nella prima metà del XX secolo. Quando si parla di Hollywood, si fa riferimento in particolare allo studio system, l’assetto economico industriale della Hollywood classica, circa dal 1910 al 1959, che indica il “cinema americano classico”. In questo periodo è in opera un sistema in cui cinque grandi case produttrici (Paramount, MGM, Warner Brothers, RKO E Fox) monopolizzano la produzione creando molti film all’anno con pratiche standardizzate e attori di richiamo. Altre case produttrici minori e indipendenti operano, ma a livello globale sono queste big five a dettare le mode e il mercato dell’epoca. La standardizzazione funziona per divisioni in diversi generi, in cui lavorano operatori specializzati in un genere singolo e che quindi possono produrre un film velocemente, utilizzando divi di grande richiamo che il pubblico riconosce e ama. Gli attori sono lo strumento di traino del film in questa epoca che lascia la sua eredità nella contemporaneità. Questo sistema industriale favorisce lo sviluppo dei generi, per produrre film in serie rapidamente e in modo efficace. Anche dentro questa produzione standardizzata ci sono film di diverso livello e aspettativa commerciale: quelle di serie A sono con i grandi divi, grande budget; quelli di serie B sono di minor impatto economico e servono per testare delle novità: i film vengono noleggiati e quelli di serie B circolano in dei pacchetti venduti alle sale cinematografiche. Spesso i film di fantascienza e gli horror appartengono alla categoria di serie b, senza divi e piccole spese. 5 Il film I dimenticati, di Preston Struges (1941), racconta proprio di un regista di film di serie B che vorrebbe realizzare un film impegnato, a testimonianza dell’esistenza di una qualche forma di “politica degli autori” nella Hollywood classica. Il regista vorrebbe proprio fare un film sulle persone al margine della società, ne discute con i produttori e viene in contro al problema economico. Questo film rappresenta la scissione che comincia ad esistere agli inizi degli anni ‘40, tra il cinema puramente industriale e quello che ha uno slancio culturale. C’è un altro versante della Hollywood classica: le minors, case produttrici che non hanno il monopolio in quanto non possiedono le sale cinematografiche. Queste producono, distribuiscono ma poi devono affidarsi ad altri per la distribuzione di film. Le minors sono specializzate in film di genere, come nel caso della Universal, che a partire dagli anni ‘30 inizia a produrre una serie di film horror e diviene famosa proprio per questo: nascono “divi di genere”, attori che si prestano a determinati generi e presto diventano riconoscibili all’interno di questi generi. Il budget più basso permette di fare film leggermente più sperimentali, più lontani dai canoni classici e creativi. In Frankenstein, l’utilizzo delle luci e delle scenografie hanno influenze molto chiare del cinema tedesco espressionista, mentre il primo piano del volto di Frankenstein ha l’obiettivo di creare shock, utilizzando un montaggio e una inquadratura divergente dal cinema classico dell’epoca. Il terzo tipo di produzioni di Hollywood sono le case indipendenti, che producono loro stesse e cominciano a prendere vita negli anni ‘50: ad esempio, la casa produttiva di John Wayne, Batjac, che si specializza in western. Questa produce il primo di sette western di Budd Boetticher, film che traghetta il western nella sua epoca post-classica. 7 men from now, film del 1956 rappresenta questa transizione, che va verso l’epoca dei western revisionisti, che criticano tutti gli aspetti classici del genere, a partire dalla bontà degli sceriffi, fino al ruolo dei nativi americani. In questo film uno sceriffo cerca gli uomini che hanno ucciso la moglie. La sparatoria rappresentata nel finale è significativa perché si intravedono i chiari scuri morali dei classici personaggi buoni, come uno sceriffo. È inoltre un western molto violento, in cui ci sono molte morti e pallottole in arrivo: proprio perché di una produzione minore, un western del genere può permettersi di avere uno sguardo rivolto al futuro. La “Paramount decision” (1948) è una decisione giudiziaria che condanna la produzione verticale e smonta il sistema produttivo della Hollywood classica, considerata un cartello, un monopolio. Questo permette a molte case indipendenti di emergere poiché il mercato non è più monopolizzato dalle majors. Il mercato si apre alle case minori che producono nuovi film, con dipartimenti più piccoli, meno soldi, attori e registi sconosciuti, pensati per la distribuzione locale, i drive ins e i grindhouse. Anche in città come Pittsburgh e New York nasce la produzione indipendente e il fulcro di Hollywood perde la sua egemonia. Si avvia la transizione alla new Hollywood, in cui l’asse cinematografico si sposta verso New York, e in cui nascono nuovi registi che lavorano in condizioni produttivo industriali molto diverse dalla Hollywood classica, con un orientamento verso la produzione autoriale. Chi fa da collante e viene definito come una figura di passaggio di questa epoca è Roger Corman, produttore di piccole case che incarna la produzione indipendente. Produce molti dei registi che saranno il centro della produzione degli anni ‘70, come Francis Ford Coppola, Jonathan Demme e Joe Dante. Corman gira decine di film di generi molti diversi, a volte anche inventati da lui, e battezza grandi attori come Jack Nicholson in La piccola bottega degli orrori. Molti dei suoi film ibridano horror e commedia. I GENERI NELLA NEW HOLLYWOOD La New Hollywood è quella nuova generazione di registi che produce film a basso budget, con storie che non sarebbero mai appartenuti al cinema americano classico. Si fondano generi e piccoli filoni, come ad esempio il road movie, la storia di viaggio negli Stati uniti, che uniscono storie complottiste, alienazione maschile e traumi della Guerra del Vietnam. I generi classici vengono rivisti, come il noir negli anni ‘70: Il lungo addio, ispirato dal film Il grande sonno, composto da personaggi con ambiguità morali, viene ripreso nei personaggi e nell’approccio stilistico. Nello stesso genere e con lo stesso personaggio, tratto dalla stessa fonte letteraria, il protagonista viene rappresentato in maniera completamente diversa. Film: I selvaggi, Roger Corman (1966) Diretto da Roger Corman, I selvaggi è un film degli anni ‘60 prodotto da una casa indipendente all’interno di un micro-genere o filone: di durata breve nel tempo, nascono da un progenitore e vengono copiati per un periodo. Corman sfrutta i filoni e contribuisce a fondare generi, come i biker movie. I selvaggi si produce 6 fuori dalle majors e fuori dai canoni cinematografici: non sempre vengono rispettati i raccordi di montaggio, i personaggi non rispettano le morali tipiche, ma anzi si trovano in un limbo di criminalità e pena. È un film che dà l’idea di come funzioni il cinema popolare dell’epoca, avendo grande successo, e arrivando anche fino a Venezia. I personaggi rappresentano la controcultura degli anni ‘60. Nell’apertura del film i due protagonisti vengono caratterizzati e anche lo stesso stile del film: i protagonisti sono la negazione del vivere civile americano, che rispetta i veterani di guerra e i poliziotti. Il film rappresenta le problematiche della controcultura ma da li rappresenta anche con un fare affascinante. Corman collabora proprio con gli Hell’s Angels, gruppo neonazista e violento della California. Questo film appartiene al filone dei biker movies, le cui caratteristiche sono: - temi e personaggi della controcultura, proprio come i biker californiani dell’epoca; - utilizzo di personaggi sgradevoli o moralmente reprensibili; - rapporto con il western, come nel tema della wilderness contro la civiltà, o la moto come cavallo; - grande enfasi sulla natura antisociale delle gang di biker, derivante dalla cronica degli anni ‘60, e per solleticare le paure della borghesia americana; - utilizzo della musica contemporanea come sineddoche (modo di rappresentare) della cultura giovanile: l’hard rock psichedelico è caratteristico di questi film. Il film ha notevole successo e contribuisce alla popolarità del filone che genera, tre anni più tardi, Easy rider, considerato uno dei film centrali della prima fase della New Hollywood. Questo film è parte di un filone di cinema popolare che rappresenta l’esito finale di questo processo di consumo fondato dal film di Corman. A partire da uno studio sul cinema popolare si arriva quindi ai film considerati canoni del cinema d’autore. I selvaggi ha una serie di macro sequenze caotiche e poco comprensibili, come il funerale di uno dei personaggi. In questa sequenza c’è l’intenzione di mostrare il disordine e la pericolosità di questi personaggi, mostrare una situazione spaventosa per lo spettatore. L’intento generale del film è di generare shock e di mostrare una vita sconcertante, contrapponendo simboli come la croce e la svastica, con una spiegazione dei valori della controcultura e la perdita di controllo. L’ossimoro di questi film è mostrare la libertà, parte fondamentale della società americana, e come questa porti al caos. I due attori protagonisti sono figli di personaggi celebri della generazione del cinema americano classico, che si rivisitano nella controcultura. L’iconografia e la mistica dei biker è ben presente in molti prodotti mediali contemporanei, dato il lascito affascinante di questo tipo di personaggio. In diversi reality e film odierni si porta avanti la tradizione di ribellione, libertà, mascolinità oppressiva, lasciti culturali che proseguono nel solco del macro genere del biker. 9/10/2020 L’HORROR La definizione di massima dell’horror è: “più che un genere a sé, sembra un effetto raggiungibile sulla base di qualsiasi ambientazione o genere narrativo” (Kim Newman). L’horror non ha quindi le stesse componente semantiche, ma è più l’effetto pauroso che ricorre in generi diversi. L’horror è una volontà di spaventare lo spettatore, e funziona meglio in alcuni generi rispetto ad altri. Il conglomerato di horror è meno forte di altri generi come il western. Il cinema horror ha radici che affondano nella letteratura, in particolare il gotico e il fantastico anglosassone sono le radici più visibili dell’horror: scritti che indagano i temi della morte, dell’aldilà, del fantastico, rintracciabili in particolare in territorio anglosassone, come per il famoso Edgar Allan Poe. Il motivo del successo dell’horror nel cinema deriva proprio dal fatto che il pubblico sia già abituato all’idea di storie di paura tramite questa letteratura. È significativo che le fonti italiane e “latine”, siano scarse, non essendoci una tradizione forte autoctona. Un ulteriore filone passa per Freud, interessato a scrittori tedeschi come E.T.A. Hoffmann, fondamentali nella formazione di una sensibilità “perturbante” nella cultura europea. 7 15/10/2020 IL CINEMA DI GENERE IN EUROPA Partiamo dallo studio di due esempi di cinema europeo: il noir francese e il cinema di genere spagnolo contemporaneo, rappresentato da Alex de la Iglesia. Il noir francese Con il termine noir o polar (policier + noir) in Francia si fa riferimento a una lunga tradizione cinematografica e letteraria di racconti polizieschi legati al crimine. Arriva da una tradizione storica specificatamente francese, e racconta storia torbide legate ai bassifondi, alla commistione tra legge e fuorilegge, al dualismo morale, che ritornano in tutta la produzione noir. Tutto ciò deriva dal feuilleton nero (romanzi d’appendice), romanzi popolari pubblicati in appendice delle riviste pubblicato alla fine dell’800 in Francia. Una grande parte di questi romanzi ha a che fare con la cronaca nera, con il racconto di storie criminali più o meno romanzati. Il piò famoso è il ciclo di Lupin, trasposto poi in film e nella famosa seria animata giapponese. L’ossessione attuale per i contenuti seriali ha una storia lunga, che parte dalla narrazione seriale di queste pubblicazioni. Un esempio interessante di come genere di narrazione abbia un filo rosso nella storia contemporanea è l’interesse da parte di Netflix per storia di cronaca contemporanea, come nel caso di Making a murderer, o in Italia per serie televisive come Chi l’ha visto. Il true crime è una tradizione longeva che tocca la maggior parte delle produzioni nazionali. La tradizione noir in Francia trova compimento nella série noire, romanzi pubblicati una volta al mese pubblicati a partire dal 1945 e corrispettivo dei gialli italiani. Negli stessi anni, all’inizio del ‘900, si sperimenta questo genere in Francia. Una delle serie più famose è quella di Fantomas di Louis Feuillade, iniziata nel 1913. Ancora una volta questi sono film seriali, che permettono di porre ganci narrativi definiti cliffhanger alla fine di ogni “puntata”. Siamo di nuovo nel contesto del crimine, del poliziesco, in cui ci sono poche sfumature morali e si accentua l’aspetto nero, torbido, della vicenda. Negli anni ‘30 la cultura del noir esplode in Francia: il successo del commissario Maigret, ideato da George Simenon, personaggio che spesso collabora con criminali e presenta situazioni torbide e poco chiare, e la popolarità di film come Pépé Le Moko, interpretato da Jean Gabin, consacrano la Francia come patria del poliziesco. Gabin rappresenta, nel film Il bandito della Casbah e negli altri film in cui rappresenta il personaggio, il prototipo del personaggio noir: uomo, con una instabilità emotiva e nei rapporti con altre persone, spesso violento, che stabilisce uno stampo per il protagonista del noir francese. Prima della nouvelle vague, tra gli anni ‘40 e ‘50, il polar ha come maggior interprete il regista francese Jean-Pierre Melville. Nonostante appartenga alla generazione del “cinema dei papà”, termine coniato proprio della nouvelle vague in senso dispregiativo, Melville è uno dei pochi registi di questa generazione che viene preso ad ispirazione da molti giovani registi francesi ed europei. Bob le flambeur è la storia di un giocatore d’azzardo che rappresenta di nuovo il personaggio di polar. Nell’inizio del film si può ammirare una enciclopedia del noir di questi anni, dove ammirare musica, ambientazione e personaggi tipici. Il personaggio di Bob non è molto diverso da quello di Gabin, che si riconosce come semi-criminale e ambiguo. La città è un aspetto fondamentale del noir: proprio nei bassifondi delle metropoli prosperano i film noir, e queste figure di uomini tragici, impulsivi e violenti, però incapaci di realizzarsi, sono un tutt’uno con la città. Il film del 1967 Franck Costello faccia d’angelo ritrova questi caratteri aggiornati al nuovo decennio: un uomo solo, abbandonato ai suoi demoni. Melville è l’interprete della tradizione noir, che con l’emergere della nouvelle vague viene rimodellata dai nuovi registi. Il cinema di genere contemporaneo spagnolo La cinematografia spagnola è una delle più vivaci tra quelle europee di epoca attuale per una serie di motivi: da una parte l’interesse del pubblico verso i prodotti tipicamente commerciali, dall’altro un bacino potenziale molto ampio per la diffusione della lingua spagnola nel mondo. Tra gli anni ‘90 e il presente, registi come Vigalondo, Balaguerò e De la Iglesia producono film di notevole successo che disegnano una via spagnola al cinema di genere, o una “via ispanofona”: ci sono anche registi messicani come Cuarón o Guillermo Del Toro, che hanno forte impatto nella cultura di massa. 10 C’è una lunga tradizione di cinema di genere in Spagna, in cui a partire dagli anni ‘60 si sviluppano dei filoni che ottengono grande successo nel pubblico. Gli horror spagnoli sono mediamente noti e hanno una vitalità propria. Il maggior interprete di questa nuova ondata di cinema popolare spagnolo è Alex de la Iglesia: debuttato nel 1993 con Acción Mutante, costruisce una carriera tra il genere “basso” e riconoscimenti autoriali, ponendosi come esempio di cinema postmoderno. Il cinema è fatto di: - Citazionismo: i film vengono costruiti da citazioni di altri registi conosciuti, mostrando un lato tipicamente cinefilo. Nel film Crimen ferpecto, citazione del cinema di crimine americano, la sequenza dell’omicidio ha una trama hitchcockiana e mostra una serie di prestiti di altri film. Un fatto criminoso di cui è a conoscenza solo il pubblico è alla base della suspense di Hitchcock e viene appunto ripreso dal regista con un accento grottesco. - Ibridazioni: prende parti di generi diversi per unirli in modo spesso volutamente incongruo. De la Iglesia unisce comico, horror, grottesco soprattutto nei suoi primi lavori, come El dia de la bestia (1995). nella sequenza finale si ritrova il luogo stilistico del regista in cui si ritrova il marco autoriale. L’incongruenza tra i generi diversi funziona nel cinema popolare spagnolo come strumento di interesse. - Dinamica locale/globale: essendo un cinema ispanofono, il cinema di De la Iglesia è più facilmente vendibile; nonostante ciò lo stesso regista si impegna a creare film globali, con produzioni spagnole, messicane e americane insieme, che esporta il prodotto a livello globale. De la Iglesia fa questo passaggio presto, già negli anni ‘90 con il film Perdita Durango. Film: 36 Quai des Orfèvres, Olivier Marchal (2004) intitolato secondo l’indirizzo della questura centrale di Parigi, il film è uno degli esempi del rinnovato interesse per il genere noir. È infatti definito neo-polar, e affonda le sue radici nella fortuna dei romanzi del ciclo marsigliese di Jean-Claude Izzo della fine degli anni ‘90. Il regista è un ex poliziotto, che mostra come chi partecipa a questa linea di mezzo di crimine/non crimine tende poi a narrarla. C’è un transito tra il mondo rappresentato e il mondo degli autori, essendo poco rare le storie di personaggi che diventano narratori. Le caratteristiche del neo-polar viste tramite gli occhi del film: - Stilemi di genere nazionali ibridati con forme internazionali, come l’ibridazione con il genere action americano. L’assalto ad un portavalori mostra un chiaro rimando al film Heat. L’apertura del film passa dal tipico noir, con personaggi criminali e fratturati e notti parigine oscure,ad una vera e propria scena d’azione che ricorda un classico film d’azione americano. Il protagonista ha una frattura morale tipica del personaggio noir. - Ricorso a elementi di forte polarizzazione morale e dualismi: i film sono costruiti sul filo del giusto e sbagliato, di giustizia e legge, di poliziotto e criminale, generalmente non risolti. Questo è rappresentato da due poliziotti che cercano di ingannarsi a vicenda. L’ideale dei protagonisti non sono giustizia e lealtà, quanto più di generare una giustizia fai da te e in particolare vendetta. Nella sequenza di agguato si vede il motore della rivalità tra i personaggi e la partecipazione emotiva amplificata. In primo luogo, l’esplicitazione dell’economia morale del poliziesco dichiara la giustizia del poliziesco facendone un’assioma centrale del genere. Questo ci mette nei panni del poliziotto che cerca giustizia da sé, facendo una politica populista e reazionaria. Dall’altra parte, questo presupposto su cui lavora il poliziotto porta alla morte di un personaggio, complicando le cose e creando il dualismo tra i due colleghi, che diventano quasi l’uno l’alter ego dell’altro. - Utilizzo di forme di scrittura melodrammatica, che ricorrono a storie tragiche come i conflitti familiari o le crisi amorose. La partecipazione demotiva dello spettatore si ritrova nel funerale del capo della polizia, quando i poliziotti voltano le spalle al funerale: i primi piani dei colleghi vengono sfruttati per creare il melodramma. 22/10/2020 IL CINEMA DI GENERE GLOBALE Rilegare il cinema popolare al di fuori degli Stati Uniti non è corretto ma è una scelta esclusiva. Oggi ci occupiamo delle cinematografie asiatiche, nonostante molte siano le cinematografie nazionali di grande importanza: quella cinese, indiana, sudamericana o nigeriana sono consumate in tutto il mondo, in particolare 11 a seguito dell’immigrazione della popolazione contemporanea. Queste cinematografie venivano chiamate “terzo cinema”, termine però decaduto, poiché anglo-centrico. Wuxiapian e film di arti marziali Il termine Wuxiapian è un genere che racconta le storie di eroi che praticano le arti marziali. Nato come adattamento del genere letterario cinese wuxia, è uno dei generi d’esportazione d’eccellenza della Cina e in particolare di Honk Kong. I registi si specializzano in questo genere, che racconta queste storie di eroi ed eroine con una straordinaria continuità nel tempo: film degli anni ‘60 e anni 2000 hanno fortissima continuità stilistica. Il genere è quindi passato indenne ad un ricambio di generi nella seconda metà del ‘900, anche nella ricca cinematografia di Hong Kong. Ancora oggi questo genere è il genere cinese che più circola nel mondo, avendo creato dei divi riconoscibili globalmente, come Bruce Lee, e una serie di registi, attori e attrici con volti riconoscibili. Uno dei film di maggiore successo è Le implacabile lame di rondine dell’oro (1966), il cui l’aspetto radicalmente coreografato è di grande impatto. Questo è un punto cardine del genere, nel quale la cellula del combattimento è parte fondamentale del film. La coreografia, molto specifica, è così importante che nei film vengono ricordati spesso con maggior nota i coreografi. Si producono in Cina e ad Hong Kong centinaia di film di questo genere, caratterizzati da trame epiche e un utilizzo del wire work, ovvero l’utilizzo dei fili per creare effetti scenici come lunghi salti. L’espediente tecnico è una delle caratteristiche che rende il genere tale, che specificatamente costruisce il genere. Il film del 2000 La tigre e il dragone, di enorme successo planetario, è pensato anche per un pubblico occidentale. Anche qui l’aspetto coreografico è potenziato in modo significativo, ma nonostante ciò la scansione dei tempi del genere è immutata dagli anni ‘60 ad oggi. Questo genere dagli anni ‘90 ha grande influenza nella cinematografia occidentale, a partire da Matrix; la circolazione di questi film dà vita alla cinefilia vernacolare, che si forma nelle videoteche e influenza registi a venire, come Quentin Tarantino. Bollywood e le cinematografie indiane nonostante Bollywood sia utilizzato come sinonimo di cinema indiano, con questo termine si fa riferimento ai film girati a Mumbai, girati in hindi. Soltanto nell’industria di Mumbai si producono in media 2000 film all’anno. C’è un bacino di pubblico straordinario e andare al cinema nelle grandi città è una tradizione popolare più forte che in Europa. I divi di Bollywood hanno grandissima fama. Il masala film è il genere bollywoodiano per eccellenza: si tratta di un genere che assomma in modo spesso apparentemente disordinato molti altri generi, tenuti insieme di solito dalla rilevanza dei numeri musicali di ballo. Anche in questo caso la cellula spettacolare è fondamentale: che sia il combattimento, le esplosioni o il ballo, questa è una caratteristica tipica del cinema popolare. Il film Sholay presenta tutte le caratteristiche tipiche del masala film. Anche nel contesto di un film pseudo-western, l’azione e il momento spettacolare hanno a che fare con la danza, essendo incorporate nella narrazione. Film come Dil se… appartengono al cosiddetto parallel cinema, che cercano di incorporare anche tematiche politiche sociali nel masala film, e sono inoltre pensati per le diaspore indiane all’estero. Dil se… è infatti stato girato in hindi e doppiato in tamil per incontrare i favori di un pubblico più vasto. Bong Joon Ho e Chan Wook e il nuovo cinema coreano tra la fine degli anni ‘90 e gli anni 2000 nasce una generazione di registi coreani che diventa ospite stabile dei principali festival cinematografici mondiali. A partire da Park Chan Wook, seguendo poi con Bong Jooh Ho, questi registi inaugurano uno stile coreano, basato sui virtuosismi stilistici di ripresa e sull’utilizzo estremo di violenza. Il film del 2003 Oldboy di Park Chan Wook parla di una vendetta attraverso la violenza: un lungo piano sequenza durante un combattimento è una delle dimostrazioni del virtuosismo tecnico che diventa uno dei tratti distintivi del genere. L’arrivo di cinematografie internazionali nei circoli occidentali è un processo successo più volte nella storia del cinema.ì, come nel caso della cinematografia brasiliana. Questi registi lavorano anche nel circolo mainstream hollywoodiano, come nel caso dei film Stoker e Snowpiercer: la nobilitazione dei film avviene grazie al korean touch, molto apprezzato in epoca contemporanea. Film: Godzilla, Ishirō Honda (1954) 12 Film: Sei donne per l’assassino, Mario Bava (1964) Questo film è considerato il capostipite del giallo all’italiana, un filone non particolarmente fortunato dal punto di vista commerciale che, però, lancerà la carriera di Dario Argento, uno dei maggiori registi italiani della seconda metà del ‘900. Sono moltissimi i filoni che nascono in Italia, che durano per pochi anni e spesso hanno produzioni basse. Il giallo all’italiana si trova in un campo intermedio, diventando il filone d’eccellenza di Dario Argento. Tra il 1954 e la metà degli anni ‘70 si producono una manciata di questi film simili tra loro, a partire da Sei donne per l’assassino. Mario Bava in questo periodo è già un regista affermato, considerato di grande capacità tecnica. Questo film fonda le caratteristiche del filone anche per Argento, con il quale collabora nel film Inferno e che prende diretta ispirazione da Bava per il film L’uccello dalle piume di cristallo. Mario Bava è considerato uno dei maggiori interpreti dell’horror e del fantastic in Italia. Questo film, pur essendo un giallo senza elementi sovrannaturali, conserva un gusto per il fantastico, per l’irreale e per il grottesco tipicamente “baviani”. Bava è uno dei pochi registi italiani degli anni ‘60 al di fuori del circolo di Fellini e Antonioni ad essere sempre recensito dai Cahiers du cinéma. Sei donne per l’assassino è il primo giallo di Bava e ha diverse caratteristiche: - L’omicidio: la messa in scena di omicidi fantasiosi e coreografati diventa in questo filone una vera e propria ossessione. Gli omicidi sono il cuore del film e la loro importanza viene trasportata in tutta la trama. Lo stesso Bava sembra avere più interesse per questa “coreografia” che per la stessa trama. Il film è in funzione delle sequenze di terrore e di orrore, di volta in volta temute e agognate dallo spettatore: le performance dell’assassinio diventano sono da valutare una per una, per l’ingegnosità della messa in scena. Bava è tra i massimi esponenti dello stratagemma italiano della “trovata”: quell’ingegno che il pubblico ricorda, un elemento spesso incongruo o non necessario che serve per dare allo spettatore uno shock inaspettato. L’omicidio è una sequenza a sé stante in cui si vedono tutte le caratteristiche dello stile di Bava: le luci, che illuminano in maniera impressionistica, del tutto scollegate da un’illuminazione realistica; l’interesse morboso-erotico verso le vittime; l’utilizzo radicale della violenza, abbastanza rara negli anni ‘60. Per Bava i personaggi messi in scena sono dei manichini, non hanno vera importanza se non di essere oggetto di omicidio. Il trucco delle attrici e la loro rigidità nei movimenti mostra questa fattezza artificiale. Questa sua dissociazione con l’umanità dei personaggi crea uno stile che si tramanda nel filone. - Elementi semantici: il film di Bava fonda alcuni degli elementi semantici del giallo all’italiana, il primo luogo l’assassino con guanti e cappello, ma anche l’assassino dal volto invisibile e l’ambientazione borghese. Questa strategia permette a Bava di girare scene con l’assassino in piena vista senza mostrarne il volto. L’ambientazione borghese è contemporanea, come nel caso della casa di moda dove avvengono gli omicidi nel film in questione. La città è una presenza molto forte che si tramanda anche a Dario Argento. Un altro elemento semantico del giallo all’italiana è l’utilizzo di una soggettiva dell’assassino, che permette di vedere attraverso i suoi occhi: Bava utilizza questo espediente ma poi fa capire allo spettatore che questo non è possibile. Il regista sfrutta due effetti cognitivi contemporaneamente: da una parte la soggezione dell’assassino, e dall’altra la sorpresa di vedere il cadavere che si muove e quindi capire che non si sta guardando dal punto di vista dell’assassino - La violenza: l’utilizzo estremo della violenza, e l’interazione tra questa e la sfera sessuale viene ripresa in maniera sistematica da Bava e dai suoi successori. Vengono messi in campo diversi effetti speciali per mostrare l’utilizzo della violenza. Nella sequenza in cui l’assassino brucia una delle sue vittime, all’indugiare in scene di crudeltà Bava mantiene i suoi aspetti stilistici, come l’illuminazione della vittima con la stufa che permette di mantenere il colore acceso tipico dei suoi film. Inoltre, Bava mostra il volto dell’assassino in un momento molto rapido, che non permette allo spettatore di comprendere chi sia. Questa tecnica è ripresa da Dario Argento in Profondo Rosso e in Suspiria, facendo sentire il nome dell’assassino. 29/10/2020 PEPLUM E WESTERN Due filoni particolarmente significativi per il cinema italiano sono il peplum e il western, avendo maggiore visibilità e successo negli anni ‘50 e ‘60 e portando alla produzione di film di un certo budget. In questi anni 15 la quantità di sale era tale che avveniva una vera diversificazione dell’offerta: peplum e western sono filoni proiettati nelle sali di serie A. Il peplum Il peplum è un filone che deriva da un genere popolare, le grandi epopee storiche prodotte in tutto il mondo negli anni ‘50. In questo contesto si inizia a parlare di kolossal, per il grande dispendio economico: in Italia il successo è notevole, dovuto anche all’inizio del sistema produttivo della Hollywood sul Tevere, dove sempre più persone dell’establishment di Hollywood passano tempo a Roma, trovando grande preparazione e un costo minore della troupe. Si producono film come Ulisse di Camerini (1954), un film in tutto e per tutto americano, a partire dal protagonista, ma anche italiano, essendo uno degli esiti più riusciti di questo filone. Questi film sono adattamenti di miti classici che hanno grande successo e rilevanza. Una casa di produzione italiana capisce che può sfruttare il successo del filone senza il sostegno di Hollywood, massimizzando gli incassi in Italia. La Lux, che aveva realizzato film molto importanti nel neorealismo come Riso amaro, produce Le fatiche di Ercole. I film del peplum italiano non sono divi ma forzuti, attori dalle grandi doti fisiche. Il forzuto per eccellenza è Steve Reeves, che è un modello e body builder di una certa fama. Queste pellicole sono nuovamente di ambientazione greco/romana in cui si ibridano avventura, azione, romanticismo e momenti ironici e dissacranti. Questi film si appoggiano infatti ad una mistura di genere, essendo di fatto dei film esotici e d’avventura. Nel gergo cinematografico questi film vengono chiamati swords and sandals, mentre in Italia le maestranze romane li denominavano i sandaloni, rimandando all’abbigliamento tipico dei protagonisti. Nel 1958 viene realizzato dalla Lux Le fatiche di Ercole, padre di tutti i peplum degli anni ‘50 e ‘60. Mentre Ulisse sta molto nel solco del cinema americano popolare, il film di Francisci è più avventuroso e disordinato, dove la centralità del corpo maschile è fondamentale. Le differenze sono abbastanza evidenti: se Ulisse ha tutte le caratteristiche del kolossal americano, c’è un’insistenza fortissima nel corpo maschile, un tono quasi parodico che prende il cinema meno sul serio. Gli attori sono abbastanza mediocri, e la loro performance è accompagnata da dei suoni scopertamente comici. I film americani precedenti sono invece piuttosto seriosi, tendenti a fare ricostruzioni storiche affidabili: il peplum usa effetti speciali bassi e ricostruzioni ironiche. La durata standard del filone italiano viene rispettata ma il successo porta alla creazione di un numero elevato di film, diventando un laboratorio di cinema popolare, data l’ibridazione di generi come nel caso di Ercole al centro della terra (1961) di Mario Bava, un peplum misto ad un horror. I filoni italiani tendono a prendere molte strade diverse e molte ibridazioni, tela bianca su cui si può fare di tutto. In questo filone si formano grandi registi, come Sergio Leone e Michelangelo Antonioni. Anche nel caso del peplum vediamo l’ibridazione tra cinema alto e basso, nel fatto che in realtà nel peplum lavorano personaggi di tutti i tipi. Guardare la clip de Il colosso di Rodi, film su cui lavora Sergio Leone. Il peplum per primo ha le caratteristiche del filone: molti film in pochi anni, con grandi divagazioni, fatto con aspirazioni commerciali, con un arco di vita che va dal 1958 fino all’esaurimento con la metà degli anni ’60, venendo sostituito con la mania del western. Il western L’immaginario western non nasce con Leone negli anni ‘60, anzi circola in Italia già alla fine dell’800, con i romanzi di Salgari, molto venduti, e con le tournée italiane del Wild West Show di Buffalo Bill, uno spettacolo itinerante con questo personaggio che fa vari numeri: inseguimenti con i cavalli, finte sparatorie. Questo immaginario circola negli Stati Uniti ma arriva anche in Europa e in Italia, portando uno spettacolo che rimanda direttamente alla cultura western. Nel 1964, quando Sergio Leone gira Per un pugno di dollari, cambia il significato del western in Italia, consacrando il western come genere dominante, nel quale le produzioni investono capitali notevoli. Questo film esce in un solo cinema a Firenze, riscontrando un enorme successo nel pubblico, che permette la nascita del filone e la produzione di più di 400 film western negli anni seguenti. La bravura di Leone, di Morricone, di Clint Eastwood e Gianmaria Volontè lanciano il movimento. Una delle caratteristiche principali del western sono i personaggi maschili misteriosi, senza provenienza e di poche parole. Leone firma questo film come Bob Robertson, pseudonimo per dare una apparenza di credibilità internazionale, come anche la ricostruzione della Monument Valley in Spagna (Almeria). I western di Leone non hanno niente a che vedere con quelli americani, nascendo come genere a sé e 16 diventando una miniera d’oro, con registi e attori di tutti i tipi e una sovrabbondanza produttiva che porta a una serie di ibridazioni con altri genere, in particolare con rivendicazioni politiche. La variabilità di generi, stili e influenze è enorme in questo decennio di western italiani, nonostante si mantengano alcuni elementi: l’utilizzo di inquadrature paradossali, il personaggio maschile misterioso, le sperimentazioni stilistiche. Un altro film western molto importante è Se sei vivo spara (1967), completamente diverso in quanto film d’avanguardia: si lavora molto sul montaggio e sull’aspetto figurativo. Il personaggio principale è molto diverso da Clint Eastwood, e mostra lo spettro di frequenze del western italiano. In tre anni di differenza l’incipit dei due film è completamente diverso: il ricordo di un personaggio febbricitante viene mostrato in maniera confusa e frammentaria, e lo stesso personaggio è un “mezzosangue” anglo-messicano, mostrando un’ambiguità caratteristica del film. L’avanguardia del montaggio e della narrazione complessa si accompagna spesso al western politico, tipico della seconda metà degli anni ‘60, che rispecchia le contestazioni giovanili e del conflitto politico: il western mastica i temi politici, portati avanti dai registi apertamente schierati a sinistra. Un altro western interessante è Tepepa, che mostra la frattura tra i messicani e i generali americani che rappresentano la borghesia dell’epoca. Il clima culturale è apertamente di sinistra e il cinema popolare, per sua natura, è maggiormente in grado di mettere in gioco tematiche politiche del cinema d’avanguardia: il western ha anche un carattere con la politica dell’epoca e i discorsi circolanti, proprio perché chi lavora in questo cinema è gente inserita nell’ambiente culturale italiano, politicamente attivo e fervente. Ad esempio, molti del lavoratori del cinema sono ex partigiani, che portano sullo schermo la loro esperienza formativa: Giulio Questi scrive una raccolta di racconti che descrive la sua esperienza di partigiano, che mostra una continuità politica che si palesa nel lavoro cinematografico. Il western diventa un laboratorio per queste idee e la loro circolazione, in particolare nella figura dei peones contro i generali/sceriffi americani. Film: Django, Sergio Corbucci (1966) Uno dei western più citati oltre ai film leoniani è sicuramente Django, non il primo film western di Corbucci ma quello che lo consolida come regista western. L’incipit mette in chiaro la spinta verso il grottesco, l’orrorifico e il macabro, spingendo anche ad una caratterizzazione del tipo di film. In Django si esplicita l’idea della trovata, l’elemento che marchia il film: in questo caso è la bara che trasporta il protagonista. L’insistenza di Corbucci su dettagli violenti è una delle caratteristiche di sfruttamento di elementi spettacolari tipiche del cinema di questo periodo. Il film è violento e cinico, ancora meno empatico e caratterizzato da questo elemento macabro e grottesco della bara. Django ha grande successo, al punto che il suo personaggio viene riutilizzato nei mercati internazionali, come prosecuzione di un film di enorme successo. Un’altra forma di serializzazione arriva dallo stesso Corbucci, che diventa uno specialista del western e fa ritornare temi e stile di Django. Lo stesso personaggio di Django viene imitato, tra i più noti da Terence Hill: questo clone di Django assume una notorietà ancora maggiore e si trova ancora nel circolo televisivo contemporaneo. Django è un film estremamente citato e omaggiato, a testimonianza della persistenza dell’immaginario spaghetti western: anche Tarantino mostra la persistenza forte nell’immaginario cinefilo soprattutto internazionale. Questo più di altri western si conferma per il suo interesse verso il macabro, un’interesse per il grottesco come nella scena finale del cimitero: Django è quasi un morto vivente lui stesso ma riesce comunque a vendicarsi. Corbucci non risparmia gli elementi più shockanti e violenti. 30/10/2020 MUSICARELLO E HORROR La lezione da recuperare sarà il giovedì 12 novembre, dalle 8 alle 11 in streaming. Il musicarello e l’horror sono due filoni, grossomodo coevi a western e peplum, che hanno un successo commerciale minore:questi permettono di indagare la categoria di filoni minori, che stanno dentro a un sistema economico che permette loro di esistere. Il musicarello e l’horror si trovano in uno strato medio dell’industria del cinema, che ha un proprio pubblico e contribuisce alla longevità del sistema produttivo. Il musicarello 17 l’influenza di questi film sulla cinematografia successiva. Fulci passa dal disprezzo dei critici, ad essere adottato dai cinefili americani, fino alla Mostra del cinema di Venezia. La figlia di Lucio Fulci, Antonella Fulci, descrive questo processo di recupero attraverso le parole di suo padre. L’intervista arriva da un progetto chiamato Gli artigiani dell’orrore. L’opinione di Fulci su questa rivalutazione è di “snobbarli al contrario”. 5/11/2020 INTRODUZIONE AL POLIZIOTTESCO Uno dei filoni specifici italiani è il poliziesco o poliziottesco. Questo filone è particolarmente importante poiché ultimo filone propriamente definibile del cinema italiano, arrivando fino alla crisi del cinema italiano degli anni ‘70, che si struttura come i filoni precedenti. Si colloca in un periodo della storia italiana molto complesso, compreso tra il terrorismo politico, la violenza urbana: in questi anni il filone del poliziesco filtra ciò che accade nella realtà sociale italiana. La parola poliziottesco viene battezzata dalla critica coeva degli anni ‘70, pubblicata su riviste popolari e quotidiani, considerando i film con delle caratteristiche chiave del filone: una derivatibilità da altri generi extra-italiani, una provincialità nel senso di sviluppo del personaggio del poliziotto italiani usato in forma di scherno. La critica successiva pre de questo termine con un moto d’orgoglio, percependo un valore aggiunto a questi film, come per la rivista Nocturno. Ne è esempio la recensione di De Santis degli anni 2000 su Il grande racket, che dimostra il valore significativo del film. Questo processo culmina con la presentazione di alcuni di questi film alla Mostra del cinema di Venezia. Poliziottesco ha comunque a che fare con il carattere di copia del genere. Con l’esaurirsi del filone del western, inizia l’epoca del poliziesco. In Italia questo genere non ha molti precedenti: alcuni esempi sono Il bandito di Lattuada o Il bivio di Cerchio. In questi anni si stabilisce come filone di maggior successo, a partire dalla prima metà degli anni ‘70. questi film riprendono i temi e i simbolismi del noir. La polizia ringrazia di Steno (1972) è il film che fonda questo filone, raccontando un poliziotto che investiga su una serie di crimini compiuti da una banda paramilitare: contiene tutti gli elementi fondativi del genere, come il poliziotto che cerca di fare giustizia, un rapporto complesso con gli aspetti politici dell’epoca, una forte impronta d’azione e una messa in scena di violenza inedita per l’epoca. Il poliziesco eredita alcune caratteristiche del western, come l’interesse per una violenza piuttosto esplicita, e la continuità tra i cowboy e i commissari “di ferro”. Qualche antecedente e un film fondativo portano alla nascita di questo filone. Come gli altri, anche questo filone nasce come genere d’imitazione di film americani: in particolare Dirty Harry con Clint Eastwook, uno dei capisaldi per il poliziesco italiano, nel quale il poliziotto senza paura diventa un simbolo del filone italiani, The french connection e Death wish, che mette in scena un’altro tipo di figura, ovvero il cittadino vicinante, che stanco dei soprusi della città, prende in mano le redini della giustizia e inizia seguire i criminali. Questo è un film fondativo di altri generi che continuano ad esistere anche negli Stati Uniti. Nel finale di Dirty Harry, un poliziotto al di fuori degli schemi si mette sulle tracce di un assassino seriale: il killer dirotta un bus di bambini che vanno a scuola e Clint Eastwook deve fermarlo. L’intera vicenda è ispirata ai fatti dello Zodiac killer, che non viene mai catturato. Questo è un film ispirato alla contemporaneità degli USA. Da questa sequenza finale di ereditano molti temi, in primis l’inseguimento e il dualismo tra il cattivo assoluto e il difensore della legge, che riporta la giustizia ma al di fuori della legge. Le caratteristiche principali del filone poliziottesco italiano sono: - La messa in scena dei personaggi maschili che hanno un rapporto complesso con la legge. Il “commissario di ferro” non si fa scrupoli ad usare dei metodi ortodossi, i cittadini giustizieri, sono i principali protagonisti del filone. Questo è un genere essenzialmente maschile, in cui le donne sono dei presupposti narrativi che servono a spostare la narrazione, in continuità con il western. Alcuni attori feticcio del poliziesco sono Tomas Milian, Maurizio Merli, Luc Merenda, Henry Silva, Fabio Testi. Milian stringe un solidarizzo con alcuni registi, diventando uno dei volti centrali del filone. Maurizio Merli diventa il volto del commissario di ferro, diventando una vera celebrità a Roma. Questi due attori lavorano insieme in Roma a mano armata, nel 20 cui il finale mette in scena il dualismo tra bene e male, classico del poliziesco. C’è una tensione tra i due personaggi, il poliziotto e il criminale, creato con i tratti di uno psicopatico. Questa sequenza mette in scena la contrapposizione tra gli uomini di legge e quelli fuorilegge. - L’utilizzo di scenari urbani reali, in cui si svolgono eventi che ricordano quelli che avvengono in quegli anni nelle città italiane, il cui senso di sicurezza è basso data l’instabilità politica dell’epoca e la criminalità aumentata. Molto spesso le città dei filoni sono esplicitamente riconoscibili, già a partire dal titolo del film: il poliziesco fa appello a quello che gli spettatori sanno rispetto alla violenza urbana, mostrando la violenza di un certo luogo; inoltre, anche dal punto di vista del marketing funziona esplicitare le città per attirare gli spettatori di quel luogo. Nel film Napoli violenta, si comprende lo sguardo d’interesse per la città: una compilation di stereotipi sulla città rende Napoli la protagonista del film. Questo fenomeno si prolunga nel presente, come nei prodotti televisivi quali Gomorra e Suburra, fortemente ambientati a Napoli e Roma. Questi film rimangono in programmazione per diversi mesi, grazie alla loro popolarità. - Una notevole insistenza sull’azione e la violenza come motivi narrativi: uno dei nuclei fondamentali del poliziesco è l’inseguimento in macchina, che rende i registi del poliziesco degli specialisti di questo tipo di scene. Nel film Squadra volante (1974) si può vedere un inseguimento molto significativo. Queste riprese vengono eseguite con camera car e stuntman molto esperti. L’inseguimento è il pay-off dei film, scena madre che si pone come corrispettivo del duello western. - un rapporto ambiguo con la violenza politica e, più in generale, con le contingenze degli anni di piombo: questi film mettono in scena le circostanze problematiche italiane. Il poliziottesco presenta eventi che ricordano i fatti di cronaca, mantenendo però una posizione ambigua. La violenza politica non è tematizzata, ma viene per lo più ricondotta alla violenza urbana di personaggi instabili. Nel film Milano calibro nove si vede all’opere il populismo del poliziesco, che mette in scena due posizioni politiche: un poliziotto viene definito moderno, comprendendo le ragioni dei criminali, mentre l’altro è di vedute opposte; nonostante ciò la situazione si risolve con poche battute. - Il poliziesco viene spesso messo in scena come instant movie, ovvero riprendendo esplicitamente vicende di cronaca avvenute in quel periodo. Sono esempio i film legati ai fatti di Circeo (1975), come Roma, l’altra faccia della violenza. Questo espediente si ripete più volte negli anni ‘70, dando il polso su come la contemporaneità sia strettamente legata a questo filone. Pesa su questo genere di film l’uscita di Arancia meccanica, seppur provenendo dal cinema d’autore e dalla letteratura, il cui successo stimola lo sviluppo di questo filone. Film: Milano odia: la polizia non può sparare, Umberto Lenzi (1974) Questo è uno dei poliziotteschi più famosi di questo filone: i due protagonisti rappresentano i ruoli speculari del criminale psicopatico e dell’agente che fa di tutto per fermarlo. Lenzi lavora in molti generi prima di arrivare al poliziesco, nonostante venga ricordato in particolare come regista poliziesco per la sua abilità. Questo è un film rappresentativo poiché mette in scena molti dei luoghi comuni e delle scene ricorrenti del filone: ambientato a Milano, si serve degli umori populisti e della paura della criminalità già dalla prima scena, caratterizzando spietatamente i criminali come imperdonabili. Questa è una presa di posizione populista e politica, seppur non esplicita. Il quadro che viene mostrato di questa banda criminale è assolutamente spietato e privo di buone intenzioni. Anche qui si vede un inizio di inseguimento, insieme ad un altro momento chiave, la rapina in banca. Il criminale è il protagonista, interpretato da Tomas Milian, che viene seguito nella narrazione. Il film fa anche una lettura classista della violenza italiana, dove i criminali attaccano le famiglie borghesi, ritratte come incapaci di opporsi alla violenza. Questo è un discorso populista, che va incontro ad un giustizialismo per il quale la borghesia attaccata non si sa difendere. Si stratificano in questo film i tratti tipici del poliziottesco e un approccio politico populista. La sequenza centrale del film vede un attacco ad una villa in campagna di una famiglia borghese, nella quale Milian mostra le sue capacità attoriali mostrandosi vicino alle performances statunitensi del periodo. Questa banda viene ritratta nel compimento di un atto spregevole come lo stupro, che rappresenta l’intero assalto ai valori borghesi. Inoltre, si insiste in questi film nei termini dialettali milanesi. Milano odia è un film che spinge verso la polarizzazione sociale, con una spaccatura tra buoni e cattivi, mentre in mezzo c’è chi vorrebbe agire ma viene sfruttato dai cattivi. Lenzi non risparmia dettagli macabri, tra cui l’uccisione di una bambina, che fa odiare il personaggio, seppur 21 dando una visione attraverso il suo punto di vista. Le questioni sociali, politiche ed etiche sono innumerevoli nel film, contenendo e catalizzando molte delle istanze chiave del filone poliziottesco. Nella sequenza finale si evidenziano altre caratteristiche del film, e in generale del poliziesco. In questa sequenza emerge una delle linee tematiche più forti del filone: l’impotenza dei mezzi ordinari della giustizia, sostituita da una giustizia personale che porta i commissario ad uccidere il criminale. Ancora una volta, uno degli assunti impliciti è che lo Stato sia stato eccessivamente permissivo con i criminali, che rappresentano una parte malata della società. C’è una carica politica in questa circostanza, legata proprio al corretto trattamento da riservare ai criminali negli anni ‘70. Questi registi vengono tacciati, in particolare dai giornali di sinistra, di essere conservatori, fascisti e reazionari. In queste recensioni c’è un’associazione esagerata tra la personalità del regista e ciò che si vede sullo schermo, per la maggior parte falso nel caso del cinema popolare. I film infatti solleticano le paure del pubblico e vengono creati per questo motivo. 6/11/2020 FOCUS: FERNANDO DI LEO Fernando Di Leo è un regista molto utile per muoversi nell’ambito del poliziottesco: i suoi film escono nel periodo d’oro del filone, ma si discostano dal canone in maniera di contrastare il filone e comprenderlo. Di Leo è inoltre un regista molto dotato dal punto di vista stilistico e attraversa in modo trasversale la storia del cinema popolare italiano, lavorando con moltissimi altri registi di nota. Di Leo è un regista nato nel 1932 in Puglia e morto nel 2004 a Roma. Alcuni dei suoi film vengono portati alla Mostra del cinema di Venezia, in cui viene celebrata la sua vita artistica e le sue opere. Il regista è una figura atipica dei suoi anni: è infatti anche sceneggiatore e scrittore, non limitandosi alla regia. Nasce scrittore, vincendo da molto giovane un concorso di poesie, per passare poi alla sceneggiatura per il western: quando si affaccia al cinema negli anni ‘60 questo è infatti il genere dominante. È considerato uno dei pochissimi esponenti del noir italiano. Il noir è quel genere fatto di città notturne, intrighi, detective in difficoltà, di piccoli criminali: in Italia il poliziottesco riprende alcuni temi ma si defila in un percorso più violento e polarizzante. Di Leo è invece l’unico regista italiano che abbraccia questo stile. La sua filmografia inizia nel 1963, debuttando però come regista nel 1968 e detenendo la maggior parte delle produzioni negli anni ‘70. Dal 1972 al 1975 è la testimonianza di un rapporto con il poliziottesco, ma anche della volontà di abbracciare il noir. I suoi film maggiori sono Milano calibro 9 (1972), La mala ordina (1972) e Il boss (1973). Il poliziotto è marcio (1974) è il suo film più vicino al poliziottesco, con un twist dove il poliziotto è invece il cattivo. Questa sezione della sua filmografia è quella più conosciuta. Di Leo sceneggiatore inizia con una doppietta formidabile: è infatti co-autore dei primi due film di Leone, collaborando alla sceneggiatura di questi due film e ricevendo successo nell’ambito western. Il suo lavoro continua con un tocco particolare, visibile come Tempo di massacro (1966), esempio evidente delle sue caratteristiche: Di Leo introduce temi psicanalitici, in particolare il tema del doppio, ma poi anche sadomasochismo e feticismo. Un’altra caratteristica di Di Leo sono i suoi dialoghi, spesso molto letterari, con una volontà di ibridare i generi con influenze della letteratura alta. Di Leo è uno sceneggiatore che mette in bocca delle frasi che sembrano prese da tragedie greche o shakespeariane, che “imbottiscono” le sue sceneggiature. Di Leo racconta la sua volontà di usare la letteratura classica, riconoscendo in questa strategia uno dei motivi del successo del western italiano: i film americani sarebbero stati inevitabilmente vincenti nella competizione del cinema popolare, ma in questa strategia di imbottire i film di riferimenti classici permette loro di avere qualcosa in più di competere nel mercato nazionale e internazionale. Con l’inizio degli anni ‘70, di Leo si distingue come regista di polizieschi, seppur diversi dai poliziotteschi dell’epoca. Non esiste la polarizzazione buono/cattivo, ma tutti i personaggi vivono in una terra di mezzo ambigua, che rappresentano un tentativo di noir italiano. In La mala ordina, la storia di due killer che eseguono ordini di vendetta di un boss internazionale, raccontano un tema decisamente diverso dal filone italiano, nonostante ci siano affinità visive molto forti. A partire dall’inizio del film si mette in evidenza la distinzione tra la criminalità internazionale e quella locale: i due gangster vengono invitati ad agire in maniera plateale, come farebbero negli Stati Uniti, mentre il pappone italiano si comporta come una macchietta, un piccolo personaggio nella criminalità. I due gangster sono il prototipo dei gangster che verrano poi ripresi da Tarantino in Pulp fiction. 22
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